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Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: riflessioni e simboli al Comando Provinciale di Alessandria
L’impegno dell’Arma dei Carabinieri e del Soroptimist nella lotta alla violenza di genere
L’impegno dell’Arma dei Carabinieri e del Soroptimist nella lotta alla violenza di genere Questa sera, alle ore 17:00, il Comando Provinciale dei Carabinieri di Alessandria ospiterà un evento in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, organizzato in collaborazione con il Soroptimist. L’incontro sarà un momento di riflessione e confronto sui…
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Io sono Nannarella. Intrigo a Firenze (Viola Editrice) è il nuovo romanzo giallo di denuncia di Carla Cucchiarelli, giornalista e scrittrice, da sempre attenta alle tematiche legate ai diritti delle donne. Nell’era post covid, in un ospedale di Firenze, viene ricoverata d’urgenza una donna sui quarant’anni che ha tentato di togliersi la vita. Non ha con sé documenti né cellulare e nessuno ne ha comunicato la scomparsa. Afferma di essere Anna Magnani e, in effetti, le somiglia molto. Il suo modo di parlare e ridere, i penetranti occhi neri, il racconto puntuale degli aneddoti sulla vita di registi famosi, sorprendono, incuriosiscono e mettono in allarme l’intero reparto. Qualcuno pensa sia davvero la reincarnazione della diva del cinema scomparsa molti anni prima, altri ipotizzano che si tratti di una falsa identità. Tutti parlano di Nannarella, schietta e verace; persino la stampa locale è interessata alla vicenda. L’articolo che mostra una sua foto “rubata”, seppur scritto nella ricerca di verità, riaprirà vecchie ferite e rischierà di mettere in pericolo la sua vita. Profondi e variegati i personaggi tratteggiati, pezzi importanti di un puzzle ricco di suspence e umanità. Prestandosi a diversi livelli di lettura, con numerosi riferimenti cinematografici e analisi psicologiche sapienti, in contesti cittadini ben delineati, la periferia romana accogliente e viva e il capoluogo toscano mostrato anche nei suoi scorci più belli, il libro offre uno scenario attuale poco lontano dalla realtà, che intende denunciare la violenza di genere raccontando, in forma di romanzo, una delle numerose e drammatiche storie di stalking, soprusi, violazioni, portate quotidianamente alla ribalta delle cronache nazionali. E così, nel cinquantesimo anniversario dalla scomparsa, la Magnani, icona del cinema neorealista e protagonista di capolavori come Bellissima e Roma città aperta, presta idealmente la sua voce a una giovane chef, Silvia, che deve il nome all’amore della madre per l’illustre Leopardi. La scelta di vivere in periferia come espressione di libertà, la cucina come fatto culturale, elemento di ribellione, ricerca e cura per il prossimo, l’incontro con la persona sbagliata, la paura, il pericolo, la solitudine. La fuga come strumento di salvezza. La verità, alla fine, arriverà, dura e commovente. Intensa la copertina del libro, che raffigura un dipinto dell’artista Pier Toffoletti. Una storia senza tempo, quella di Nannarella, che fa riflettere e che Carla Cucchiarelli, già autrice del libro sull’impegno trentennale del Telefono Rosa, dedica a tutte le donne che non ce l’hanno fatta. Io sono Nannarella. Intrigo a Firenze di Carla Cucchiarelli, pubblicato da Viola Editrice (Roma) nella collana “Psico” - pp. 230, euro 17,00 -, è disponibile in libreria e online da giugno 2023.
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Milano: Monumentale, sabato 23 settembre in scena il monologo "Lo stupro" di Franca Rame
Milano: Monumentale, sabato 23 settembre in scena il monologo "Lo stupro" di Franca Rame. In occasione della ricorrenza del decennale della scomparsa di Franca Rame, il Cimitero Monumentale - dove l'attrice riposa - in collaborazione con il CETEC (Centro Europeo Teatro e Carcere) e la Fondazione Fo Rame, sabato 23 settembre, mette in scena il monologo "Lo Stupro", scritto da Franca Rame. Una serata di riflessione e denuncia sulla violenza di genere, anche rispetto ai molti fatti di attualità. La scalinata del Famedio si illuminerà come un teatro per accogliere un'interpretazione asciutta e intensa del monologo recitato da Gilberta Crispino, con la direzione di Donatella Massimilla. Alla serata interverrà anche Mattea Fo, presidente della Fondazione Fo Rame e nipote di Franca Rame. "Nel 1975 Franca Rame diede voce a una terribile violenza di cui lei stessa, come si sarebbe saputo più tardi, era stata vittima - dichiara l'assessora ai Servizi civici Gaia Romani -. A dieci anni dalla sua scomparsa, con questo evento nel luogo dove lei riposa, vogliamo ricordare il coraggio di una grande donna, e non solo. Le sue parole suonano oggi come un monito, perché rappresentano un messaggio di grande e potente attualità. In un periodo storico in cui le cronache sono purtroppo costellate da storie di femminicidi, abusi e soprusi a danno delle donne, è davvero importante ascoltare un monologo che è diventato un vero e proprio manifesto contro la violenza di genere. Per questo ci tengo a ringraziare il CETEC, la Fondazione Fo Rame e la direttrice del Monumentale, Giovanna Colace, per aver voluto promuovere una serata di riflessione e denuncia così intensa, cui invito tutte e tutti a partecipare". "L'attualità e la capacità di denuncia delle parole di Franca Rame sono davvero impressionanti. Il CETEC le aveva usate all'inaugurazione della panchina rossa nel giardino davanti lo Spazio Alda Merini, casa museo che dirige artisticamente da due anni. All'attrice, che si è molto battuta per le donne, la chiusura degli ospedali psichiatrici, per Soccorso Rosso, il Centro Europeo Teatro e Carcere ha anche dedicato un murales accanto a quello di Alda Merini, opera dell'artista Cristina Donati Mayer", racconta la regista Donatella Massimilla. "Recitare questo monologo oggi è un grido contemporaneo necessario e forte, un pugno nello stomaco che fa riflettere e agire, perché non si può più tacere, non si può più stare immobili", commenta l'attrice Gilberta Crispino. Era il 1975 quando Franca Rame salì sul palco recitando, per la prima volta, il monologo e introducendolo al pubblico come una testimonianza ricevuta per lettera. Nessuno dietro le quinte, o in platea, si aspettava quel pezzo. Solo nel 1987, durante la trasmissione "Fantastico" di Celentano, l'attrice rivelò apertamente che il testo era di natura autobiografica. A Milano, infatti, il 9 marzo 1973, cinque paramilitari di estrema destra spinsero Franca Rame, intenta a camminare per strada, in un furgone. Prima la violentarono e torturarono, per poi abbandonarla in un parco. Il monologo è il racconto della sua esperienza. L'anno successivo Franca Rame diede avvio ad una campagna di lotta contro la legge italiana sulla violenza sessuale che, all'epoca, considerava ancora lo stupro come una violenza contro la morale e non contro la persona. "Questa serata – conclude Mattea Fo, Presidente della Fondazione Fo Rame – dialoga con il progetto Panchine Rosse per Franca Rame che vede, grazie alla collaborazione tra la nostra fondazione e il CETEC, tornare per le strade il teatro di Franca e Dario. Il nostro obiettivo è quello di portare questo monologo in luoghi inusuali come le panchine, ma anche nelle scuole e in tutti quegli spazi che ci consentiranno di incontrare persone disposte all'ascolto e alla riflessione, in modo da uscire dalla retorica e cercare veramente un cambiamento, per far sì che non si ripetano più le violenze di cui tanto sentiamo parlare in questo periodo". Il monologo, la cui durata è di 11 minuti, verrà proposto due volte, alle ore 20 e alle 21 di sabato 23 settembre. L'ingresso è libero fino a esaurimento posti. Non sono previsti posti a sedere. Per informazioni [email protected] - 02.88441274... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Non dimenticheremo mai cosa avete fatto. L'odio vomitato nei confronti dei lavoratori, degli studenti, verso uomini e donne colpevoli soltanto di voler scegliere.
Non dimenticheremo mai gli sguardi terrorizzati dei bambini, i loro occhi spenti, i volti arrossati compressi dietro una lurida pezza, quelle oscene mascherate nei cortili nelle scuole, l'intransigenza, il misero spirito di conservazione dello status quo, che non vi ha fatto fiatare e riconoscere l'orrore.
Non dimenticheremo mai i soprusi, i ghigni compiacenti, la viltà, l'assenza completa di pietà, l'umiliazione di una madre fermata ai cancelli della scuola perché sprovvista di lasciapassare, un padre a cui è impedito di portare il pane in tavola, i ragazzi a cui è proibito di fare sport o di prendere un bus.
Non basteranno poche settimane di polveroso dibattito bellico.
Non saranno sufficienti la propaganda, i girotondi per la pace, gli slogan da quattro soldi, la compassione da salotto.
Noi non scorderemo tutto il male che è stato inflitto, la facilità disarmante con cui ogni abominio è stato avallato, la mancanza d'ogni senso di colpa, la santificazione d'ogni bestialità.
Non scorderemo l'affronto che stato fatto alla vita, alla sua bellezza, al diritto, alla libertà, alla dignità umana, la volgarità dei vostri dibattiti, la cattiveria gratuita dei vostri insulti, il trincerarsi dietro un vago e deformato concetto di salute pubblica.
Non seppelliremo nei meandri della memoria ciò che è accaduto.
Non cancelleremo con un colpo di spugna questi due anni di scelleratezze, di soprusi, di vaneggiamenti.
Che l'eco della denuncia riecheggi ancora a lungo tra le rovine di questo mondo. Che riempia il deserto delle coscienze della maggioranza. Chi dimentica, mai come oggi, è complice.
"Profondo è l'odio che l'animo volgare nutre contro la bellezza"
(Ernest Jünger)
Weltanschauung Italia
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7 femminicidi in 7 giorni, ma se l’assassino è il compagno italiano Salvini e Meloni stanno zitti Giuseppina Di Luca, 46 anni di Agnosine in provincia di Brescia e Sonia Lattari, 43 anni di Fagnano Castello in provincia di Cosenza, sono le ultime due vittime di femminicidio in ordine di tempo nel nostro Paese. L’escalation di violenza sembra non volersi fermare: nell’ultima settimana sono sette le donne assassinate dai propri mariti o dai propri ex, una media di una al giorno. Stamattina Matteo Salvini ha chiesto nuovamente le dimissioni della Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese mentre la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha dichiarato: «il Governo non ha fatto nulla, come ormai è prassi nell’era Lamorgese. Cos’altro deve succedere per sostituirla con qualcuno di più capace?». I numeri dei femminicidi e le dichiarazioni di Salvini e Meloni dovrebbero essere due notizie correlate ma non lo sono: i leader dei due principali partiti infatti non stavano commentando le morti di Giuseppina di Luca e Sonia Lattari ma il ferimento di diverse persone a Rimini da parte di un richiedente asilo di origine somala. Una notizia grave e che ha provocato dolore e spavento per cui viene chiesto l’intervento del Viminale, mentre tutto tace quando si parla di violenza di genere. Non è una novità che Salvini e Meloni salgano sulle barricate solo quando i reati sono commessi da persone di nazionalità straniera mentre quando avvengono all’interno del nucleo familiare si limitano a qualche blando tweet e a una preghiera per le vittime. I distinguo non dovrebbero essere fatti in ogni caso: si dovrebbe badare alla gravità del reato, alle aggravanti, alle circostanze in cui questi delitti o questi crimini vengono maturati. A farlo, dovrebbero essere i giudici, le magistrature e le inchieste. Ma ormai siamo talmente abituati all’atteggiamento delle destre che non ci facciamo più caso, mentre dovremmo farci caso eccome, specie perché mentre gli esponenti di questi partiti chiedono conto dei distinguo che spesso vengono fatti dal centro-sinistra e dal Movimento 5 Stelle, questi ultimi raramente si assumono l’onere di chiedere conto a Salvini e Meloni delle loro dichiarazioni. (...) il femminicidio è solo la punta dell’iceberg: gli assassini spesso hanno precedenti per violenza sessuale, vessazioni di ogni ordine e grado, pedinamenti o stalking, tutti soprusi che vengono perpetuati o a danno della vittima di femminicidio o di qualcun altro, come nel caso di Chiara Ugolini, uccisa dal suo vicino di casa con gravi precedenti penali e che inneggiava al Duce sui social. Paolo Vecchia, il marito di Giuseppina di Luca, non riusciva ad accettare la separazione dalla moglie e secondo alcuni testimoni avrebbe detto «mi prendo qualche giorno di permesso, devo ammazzare mia moglie e poi andare a costituirmi». E così è andata. (...) Il Corriere della Sera nella sua newsletter per abbonati oggi scrive: “Ma il tema dei corsi di autodifesa gratuiti, che ogni tanto viene tirato fuori dalla politica, andrebbe forse riesaminato”. Sì, certo, riesaminato per poi essere scartato: come pensiamo di risolvere anche solo in parte il problema addestrando le donne a menare le mani? Forse semmai dovremmo insegnare agli uomini a non uccidere. La Stampa sempre stamattina titola: “I femminicidi non finiscono mai. Sonia stava per denunciarlo, accoltellata dal marito”. La vittima non solo viene privata del cognome, ma viene sottolineato nel titolo il fatto che non abbia denunciato, come se la denuncia da sola bastasse a proteggere le vittime di violenza. Anche Repubblica titola: “Assassinate dai mariti altre due donne. Il pm: denunciate subito”. Non è bastata la triste vicenda di Vanessa Zappalà per capire che denunciare oggi, in Italia, con le leggi che abbiamo e con l’ormai acclarata impreparazione del personale giudiziario a gestire i casi di violenza, non solo non è garanzia di protezione, ma può essere addirittura controproducente per la vittima. Vanessa Zappalà aveva denunciato il suo assassino ma il giudice non aveva predisposto il carcere o l’uso del braccialetto elettronico. Vanessa Zappalà è stata uccisa a colpi di pistola dal suo assassino che poi si è tolto la vita. Per questo non è difficile comprendere il terrore di Giuseppina De Luca quando le è stato consigliato di rivolgersi alle autorità. Questo non significa che le donne non devono denunciare, ma che se vogliamo che le donne denuncino lo Stato deve intervenire immediatamente con corsi di formazione per giudici, magistrati, psicologi, periti e con un serio piano di contrasto alla violenza di genere che deve partire dalle scuole di ogni ordine e grado. Peccato che siano proprio i partiti guidati da Matteo Salvini e Giorgia Meloni a opporsi a qualsiasi forma di educazione sessuale o all’affettività per i nostri bambini e per i nostri ragazzi. Lo spauracchio della così detta “teoria gender” (che altro non è se non lo studio e il rispetto dei valori della diversità, dell’uguaglianza e della lotta a qualsiasi forma di oppressione legata al genere, al sesso e all’orientamento sessuale) viene tirato in ballo ogni qual volta si accenna a questo argomento. Intanto le donne continuano a morire e a patire le conseguenze della violenza di genere sistematica senza che nessuno faccia davvero qualcosa, mentre i leader dei principali partiti di maggioranza e di opposizione impiegano il loro tempo (e il nostro denaro) a fare propaganda per le prossime amministrative. di Maria Cafagna
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Ieri un mio amico mi ha raccontato che aveva una ex molto gelosa, lo rinchiudeva in casa a chiave e diceva “adesso tu non esci!”. Quando la lasciò lei gli tirò uno schiaffo. Che schifo! Secondo me quelle che fanno così lo fanno più per il fatto che sono donne e nessuno dice niente. Non tanto per rabbia. Anche secondo te lo fanno più perché se ne approfittano di ciò?
no, lo fanno semplicemente perchè sono violente e insicure di se stesse. Certi comportamenti si hanno per predisposizione genetica a ‘sto punto.
Anche una mia vecchia amica menava regolarmente il mio ex ragazzo quando si frequentavano. L'ha picchiato, offeso e tradito molteplici volte e non perchè voleva approfittarne in quanto donna. Semplicemente ha (tuttora) un carattere di merda, dovuto ad un'instabilità mentale e familiare. Sarebbero da denuncia, ma OVVIAMENTE non solo per la società, ma anche per la polizia molti casi di violenza nei confronti degli uomini vengono presi sottogamba. Troppo difficile ammettere che anche l'uomo non sempre ha la forza fisica e mentale per reagire ai soprusi.
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“Non c’è da vergognarsi, la violenza è una piaga e va smascherata”. Dialogo con Gessica Notaro
Gessica Notaro è anzitutto una persona. Come tale vive, lavora, offre la sua competenza nel sociale. Sorride, perché lo desidera più di ogni altra cosa. Ama, e ha vinto la sua più grande battaglia contro la violenza. Conosce la dignità. Gessica Notaro è anche donna e parla di eguaglianza, tutela dei diritti e parità di genere. E il nostro è un mondo troppo svilito dalla volgarità, per affacciarsi allo specchio e confessare quanto si sia perso per egoismo e competizione. Basta guardarla con occhi scevri dal pregiudizio, per capire che lei ha l’eleganza dei delfini: la delicatezza d’animo è pari alla grazia che emana. La sua bellezza conosce il dono della luce. Crede in Dio. Una storia di coraggio, quella che testimonia. Lo ha fatto anche di recente, sul palco di Sanremo, dove con l’artista Antonio Maggio ha interpretato La faccia e il cuore, per dire a tutti che «c’è una donna ancora in piedi». Aggredita il 10 gennaio 2017 dall’ex compagno Jorge Edson Tavares, Gessica Notaro rappresenta il rifiorire del più bel mandorlo in primavera.
Afferriamo il presente. Lei è modella, ballerina e cantante, in mezzo a tanti sacrifici e obiettivi che ogni giorno ridefinisce. Che periodo sta vivendo?
«Direi molto intenso. Sto dando spazio a me stessa e alle mie passioni, portando avanti progetti importanti in difesa delle donne vittime di violenza. Spero di costituire presto un’associazione che si occupi soprattutto di questo, ma c’è da fare ancora molto. Inoltre tanti aspetti della mia vita che sembravano perduti a causa degli eventi trascorsi, si stanno ora risollevando e per me tutto questo è motivo di grande soddisfazione».
È per lei un momento anche pieno d’amore, di rinascita. La sua storia, segnata tragicamente da quel 10 gennaio 2017, attesta che è possibile farcela, che si può dire no ai soprusi, agli abusi e alla violenza nata all’interno di una relazione.
«Certo. È possibile dire no, perché l’amore non ha niente a che vedere con le relazioni tossiche, all’interno delle quali la donna resta legata all’uomo che la maltratta, un uomo che all’inizio si camuffa molto bene. Eppure si percepisce sin dall’inizio se una relazione è davvero sana oppure no. La donna lo sente nello stomaco. Se ci disperiamo e passiamo più tempo a piangere che ad essere felici, dovremmo porci subito delle domande».
Qual è la forma più subdola di manipolazione, campanello di allarme?
«Consiste in un agire che fa sentire la vittima sempre sbagliata e inadeguata, in continuo senso di colpa. L’uomo trasforma la donna nella causa di tutti i probabili fallimenti del quotidiano e schiaccia la sua personalità per un insano desiderio di emergere. Il manipolatore aumenta il proprio ego, nutrendosi dell’energia altrui».
E le donne che sono ingabbiate in una relazione tossica, quale tipo di fragilità manifestano?
«Le donne potrebbero commettere l’errore di non aprirsi e di non parlare del loro dolore per un senso di vergogna, quando invece è fondamentale chiedere aiuto subito. Subito! E poi c’è una costante nelle relazioni non sane: la tendenza da parte delle vittime a giustificare i partner violenti e a trattarli come se fossero un po’ i loro figli. Noi donne, purtroppo, in alcuni casi vestiamo l’abito della “crocerossina” e questo è un gravissimo sbaglio. Gli uomini vanno trattati da compagni, non da figli».
Sono molte le forme di violenza. Prendiamo in esame, per un attimo, quella verbale che impera anche sui social. Come personaggio pubblico, lei si è trovata a leggere vere e proprie invettive a commento di alcuni suoi post che la ritraggono a lavoro o in alcune trasmissioni. Addirittura sono comparsi interventi di alcune donne che l’hanno accusata di aver “approfittato” della sua storia per raggiungere la notorietà. Cosa prova, quando accade?
«Stiamo parlando di persone che non stanno bene, che hanno una percezione distorta della realtà. Devo dire la verità, alcune volte mi faccio delle grandi risate! Come è accaduto in occasione del post pubblicato poche ore fa, in cui mi hanno incolpata di aver “sfruttato” la mia faccia per diventare famosa. Sono convinta siano persone profondamente insicure, che non riescono a godere del bello della vita, della felicità altrui, della capacità di trovare il positivo anche nelle esperienze negative. Una persona entusiasta della sua esistenza non perderebbe il proprio tempo a fare simili cose».
Quanto è importante l’uso attento della parola?
«È fondamentale. Credo però si sia perso il controllo e di esempi ne abbiamo molti, purtroppo. Seguo anche i reality nei vari canali, diverse trasmissioni, e mi sembra che le persone manifestino ormai una seria difficoltà nel dare il giusto peso alle parole. È molto grave».
Dopo molti ostacoli, alcuni davvero dolorosi, oggi ha di nuovo in mano la sua vita. Poche settimane fa è stata ospite a Sanremo con la canzone La faccia e il cuore scritta da Ermal Meta e da lei interpretata insieme ad Antonio Maggio, cui è legata da una grande amicizia. Alcuni versi citano: «Tieni le mani in tasca e se le tiri fuori è per una carezza…». Quale messaggio?
«La faccia e il cuore è una canzone che racconta non soltanto la mia storia, ma anche quella di tutte le donne che hanno subito violenza. C’è nel testo la voglia di gridare in faccia a certe persone che è inutile ciò che fanno, perché alla fine il bene torna sempre. Vince. Ci sono tante vittime che sono ancora chiuse dentro casa, che si sentono sole, che pensano di non potercela fare davanti alle più atroci forme di abuso. Ecco, è a loro che noi vogliamo portare speranza. Vogliamo portare la luce. E c’è poi chi ha perso la vita, non possiamo dimenticarlo. Il femminicidio resta ancora una piaga sociale da debellare».
Quante donne la cercano, ogni giorno? So che è costante la sua vicinanza.
«Gestisco tutto tramite e-mail o messaggi, o per telefono quando ci sono casi più urgenti. In questi ultimi tempi sono veramente tanti. Il più delle volte si tratta di casi di stalking, in altri di vittime di una dipendenza affettiva. Molte, dopo aver chiuso una storia tossica, non riescono ad uscirne completamente, restano chiuse nel circolo vizioso dei maltrattamenti e cadono in depressione. A volte ci sono anche tentati suicidi».
Cosa c’è da fare ancora, perché si possa davvero sperare per tutti in un futuro più sereno?
«Ah…tante cose! Innanzitutto trovare il coraggio di smascherarli, gli uomini violenti. Sempre e comunque. Cercare di non chiudersi o smarrirsi, perché la violenza è un problema della società intera, non bisogna temere di parlarne. Non c’è da vergognarsi. Ma ciò che mi preme molto è sapere di poter contare sull’appoggio delle Istituzioni. Questo è un capitolo che meriterebbe un approfondimento a parte, perché c’è ancora da fare un bel po’».
Si può dire – quindi – che la parola chiave sia “denuncia”?
«Denunciare, certo. Ma direi di più “prevenzione”. Questa è la parola. E non solo nelle scuole. Ovunque. In modo particolare costruire da parte delle Istituzioni una vera rete di supporto alle donne, soprattutto dopo che è avvenuta la segnalazione del proprio carnefice. Quello costituisce un momento molto delicato in cui la vittima deve essere tutelata con ogni mezzo».
Alessandra Angelucci
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Panmela Castro la Regina dei graffiti contro la violenza sulle donne
https://www.unadonnalgiorno.it/panmela-castro/
Panmela Castro, alias Anarkia Boladona, è una street artist brasiliana. Chiamata anche la Regina dei graffiti.
Nata a Rio de Janeiro il 26 Giugno 1981, vive nella periferia nord della città. Laureata in Belle Arti ha conseguito un Master in Processi artistici contemporanei.
Nel 2006 collabora con l’organizzazione With cause per promuovere i diritti delle donne e combattere la violenza domestica. Nello stesso anno fonda Rede Nami, organizzazione di artiste che combattono unite contro la violenza e i soprusi. Si battono per la libertà d’espressione e l’uguaglianza di genere attraverso le loro opere di street-art, informando e educando i bassifondi brasiliani e di tutto il mondo.
Collabora con numerosissime organizzazioni internazionali per i diritti delle donne e le politiche sociali tra cui L’OAS, la Nike Company e la Fondazione Rosa Luxemburg. Le sue opere si possono ammirare in molti paesi del mondo: Cile, Bolivia, Brasile, Inghilterra, Canada, Colombia, Repubblica Ceca, Israele, Austria, Turchia, Norvegia.
Ha esposto al Museo della Cultura brasiliana e al Rosário Contemporary Art Museum, è presente nella collezione permanente dell’Inter-American Development Bank a Washington e alla Camera dei Rappresentanti a Brasilia.
La sua arte è principalmente linguaggio educativo a uso sociale.
È impegnata in un grande progetto che riguarda la costruzione di una fitta rete di centri per l’impegno sociale soprattutto nelle zone ai margini delle società. Centri d’ascolto e laboratori dove le donne possono imparare qualsiasi forma d’arte e, contemporaneamente, essere informate, aiutate e seguite in caso di bisogno o richiesta d’aiuto. Luoghi in cui viene insegnata la consapevolezza di sé, il valore e la dignità.
Pamela Castro utilizza i graffiti per legare l’arte al paesaggio urbano. Corpo, sessualità e soggettività femminile sono i temi che danno vita a volti di donne attraverso esplosioni di colore con l’intento di sensibilizzare la popolazione a concepire come violazione dei diritti umani l’abuso fisico.
Attraverso l’arte viene data alle donne una voce che in molti ambienti non è normalmente concessa.
L’invito ad amare la città piena di colori e arte (in contrasto ai numerosi rischi) è parallelo a quello della denuncia degli abusi, di cui ella stessa è stata vittima. Il suo attivismo è stato visto globalmente attraverso i muri delle città brasiliane su cui ha scritto ”Ligue 180” per far conoscere la legge Maria de Pehna del 2006 contro la violenza sulle donne. Il fine ultimo della sua ricerca artistica è la libertà per il genere femminile che celebra in tutte le sue forme. Questa volontà è stata riconosciuta dall’organizzazione Vital Voices fondata da Hillary Clinton.
Nel 2012, per il suo attivismo contro la violenza di genere, è stata candidata tra le 150 donne dell’anno per Newsweek e le è stato conferito un premio dalla fondazione Diller che promuove le organizzazioni no-profit. Il Premio Hutuz l’ha nominata artista dell’anno e del decennio (rispettivamente nel 2007 e 2009).
Le sue mostre fanno il giro del mondo attraverso le numerosissime fotografie che vengono costantemente postate sui social. L’ultima è Femme Maison, concentrata sul colore rosa e sulla sensualità del corpo femminile che sempre deve essere rispettato, dagli altri e da se stesse.
C’è purtroppo ancora bisogno di ricordare che a livello mondiale, ogni giorno muoiono 15 donne per mano maschile, ogni 11 minuti una donna è vittima di violenza e almeno una su tre è stata, o sarà, olocausto di una qualsiasi forma di soperchieria nell’arco della sua vita.
Panmela Castro attraverso la sua arte e il suo messaggio, ha il sogno di abolire questi numeri e vivere in un mondo le donne non debbano difendersi dai soprusi e prevaricazioni dell’altro sesso.
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Sfoghi e deliri
Settimana impegnativa.
Quella che è appena passata, è stata una delle settimane più impegnative tra le ultime. Nonostante non abbia avuto grandi fonti di stress, sono stati molti gli spunti di riflessione che mi si sono posti davanti lungo il cammino.
Primo tra tutti, dover fare i conti con un cambiamento genera sempre paura, per quel che avverrà e per quel che lasciamo dietro.
Ció che siamo stati ne fa di ció che ora siamo, non ho nulla da rimproverarmi oltre alla poca attenzione data agli albori dei miei studi, cosa che sto cercando di recuperare, una mancanza che a poco a poco si sta colmando e portandomi avanti, verso nuovi obiettivi.
Primo tra tutti è il mio lavoro di tesi che mi sta impegnando la maggior parte del tempo, sono fortunata nel poter analizzare la rappresentazione femminile della violenza, non subita ma esercitata. Non faró della mia tesi una denuncia alla violenza sessuale, il mio scopo è oltre i soprusi vissuti, oltre le ferite che segnano costantemente il ricordo del carnefice.
Sono una donna, come tante, come tutte voi. E proprio per questo, sono incazzata. Ho un seno e sono incazzata davvero. Perchè non vorrei esserlo, non vorrei piu arrabbiarmi solo perchè sono vagino-munita.
Sono arrabbiata perchè non mi rispetto. Perchè mi vorrei diversa.
Sono arrabbiata perchè non mi rispettate. Perchè mi vorreste diversa.
Sono arrabbiata perchè questa società non mi rispetta. Perchè pretende che io diventi qualcuno in cui io non mi rispecchio. Perchè dovrei indossare determinate cose. Perchè soprattutto NON posso indossare determinati abiti. Perchè mi chiede di adeguarmi ai gusti comuni, senza gentilezza ne’ compromessi.
Sono incazzata perchè da quando ho 100gr di pelle sul petto non posso girare tranquillamente per le strade della mia città.
Sono incazzata perchè non ci rispettiamo.
Da quando la parola libertà ha perso del tutto il fascino che la accompagnava, ho lasciato dietro di me pregiudizi e costruzioni.
All’alba dei miei 23 anni, freschi di torte e festoni, ho raggiunto la consapevolezza del mio corpo. Lo accetto e dovrebbero farlo tutti, con tutti. Nessuna eccezione.
Non capisco da quale tipo di piedistallo qualcuno possa permettersi di giudicare, di criticare, di demolire, di offendere, di oggettificare, di possedere, l’altro diverso da noi.
Ok, ho deviato il discorso e mi sono persa. Ritorno subito al mio lavoro di tesi.
Lo studio che sto conducendo, come ho spiegato poco sopra, consiste nell’analisi della rappresentazione femminile nelle serie tv, con particolare attenzione ai fortissimi personaggi femminili che egregiamente e molto loscamente si distinguono in Gomorra. Non mi limiteró a descrivere quel che sono i soprusi esercitati sul corpo femminile, bensì la mia attenzione è attratta da come queste donne di potere riflettano nella società maschilista delle organizzazioni criminali.
I miei studi sociologici mi fecero scoprire il power dressing, ossia l’abbigliamento o “divisa” adottata dalle donne che per prime, agli albori degli anni 80, si fecero strada tra le posizioni più ambite nelle dirigenze o nei vertici della politica, locale ed internazionale. Forti, intelligenti, furbe, indipendenti, determinate e donne. Agettivi che non si confacevano all’idea di donna a cui erano abituati, tanto da doverle costringere a limitare la propria femminilità. Fecero passare per adeguamento, camaleontismo, quella che oggi potremmo definire violenza psicologica. Il semplice gesto di dover e non poter scegliere ha minato per decenni l’autostima delle donne.
Non poteva, Margareth Tatcher, mostrare piu del dovuto.
Ma fin qui, ci siamo.
Sono proprio questi punti di vista ad interessarmi. Possono, qualche metro di stoffa, minare alla credibilità di una donna? Possiamo considerarci evoluti o fossilizzati in antichi costumi?
Il power dressing segue logiche comuni o si adegua al tipo di società in cui debba fiorire?
Se le organizzazioni criminali partenopee seguono rigidi protocolli economici, generici, le donne mandanti di omicidio, vestiranno in completi anonimi di 3 pezzi mono colore con un filo di perle? A differenza delle strade legali percorse da Christane Lagarde, politicamente corrette e segnate da blazer blu e pantaloni dritti che tolgono ogni tipo di forma al corpo femminile, le donne di camorra come Scianel (vedi gomorra) o Assunta Maresca potranno scegliere come rappresentarsi davanti i boss nemici/amici o dovranno anche loro adattarsi ad uno stardard maschiocentrico?
Ecco, ho terminato il mio primo post. Scritto in maniera confusa, quasi fosse un flusso di coscienza, di una coscienza macchiata e persa, tra ció che si deve e ció che si puó fare.
Prometto di chiarirmi le idee nell’attesa del mio prossimo post.
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Mentre si moltiplicano i casi di cronaca che vedono uomini in divisa abusare dei propri poteri sfogando i loro più bassi istinti e le loro frustrazioni su donne ed uomini rei di opporsi alla prevaricazione ed ai soprusi o più semplicemente di tentare di sopravvivere, la magistratura torinese continua a prodigarsi nell’assicurare impunità a questi eroi. Mentre Maya con coraggio denuncia le umiliazioni e le botte subite in via Veglia, Marta vede negarsi giustizia per l’ennesima volte. I due poliziotti per i quali era già intervenuta una scandalosa archiviazione per i reati di violenza sessuale, minacce, ingiurie, lesioni ed abuso di autorità contro arrestati, possono ora gloriarsi di una nuova archiviazione per il reato di calunnia. I due agenti (anche loro in allora in servizio presso il Reparto Mobile dove Maya è stata trattenuta e picchiata pochi giorni fa) nella notte del 19.7.2013, dopo avere oscenamente palpeggiata e brutalmente picchiato Marta, l’avevano anche denunciata per violenza aggravata a pubblico ufficiale e lesioni in quanto, così si legge nelle loro annotazioni, “facente parte del gruppo dei manifestanti violenti”. I due avevano specificato di aver visto la donna mentre scappava: “non riusciva a dileguarsi poiché lo stato dei luoghi, costituito da terreno sconnesso ed il concentrarsi nello stesso punto di personale delle FF.OO. e manifestanti, le faceva perdere l’equilibrio, rovinando a terra, verosimilmente procurandosi delle lesioni al viso e su parti del corpo”. L’allora capo della Digos, Petronzi, in ragione delle annotazioni dei due agenti, aveva redatto una comunicazione di notizia di reato con la quale dava atto che Marta era stata indagata “essendo certa la sua partecipazione ai gravi incidenti determinati dai manifestanti”. Sentiti successivamente dalla Procura però gli stessi due agenti avevano invece all’unisono sostenuto: “a pochi metri davanti a me vidi una persona riversa a terra con il volto appoggiato al suolo e le braccia spalancate…mi avvicinai alla persona, che poi mi accorsi essere una donna… guardandola in volto vidi che era tutto sporco di terra ed aveva una ferita dalla quale sgorgava sangue…”. Tale improvviso cambio di versione consentì alla Procura ed al GIP di archiviare la denuncia di Marta, sostenendo che la stessa si era fatta male da sola o per colpa dei suoi compagni e che i ritenuti abusi sessuali erano in realtà semplici ed amorevoli manovre di soccorso. Il caso venne dunque archiviato con lode agli eroici agenti. Ma allora se gli agenti che prima avevano visto Marta agire tra i “violenti” per poi scappare cadendo e ferendosi da sola, l’avevano poi invece vista inerme a terra dopo la fuga dei suoi compagni, PERCHE’ MARTA E’ STATA TRATTENUTA, PORTATA IN CASERMA, TRATTATA COME UN’ARRESTATA, INDAGATA E PROCESSATA? Marta se l’è chiesto ed ha dunque denunciato per calunnia i due agenti che in prima battuta l’avevano segnalata come “facente parte dei violenti” e che quindi avevano dato il via a tutto il trattamento che, come i suoi numerosi coindagati anch’essi assolti, aveva dovuto subire. Perché delle due l’una: o gli agenti hanno mentito quando l’hanno indagata perché “facente parte dei violenti” o hanno mentito dopo quando hanno riferito ai P.M. di averla trovata inerme a terra in mezzo al bosco da sola e già ferita. Nel primo caso, a norma del codice penale, si tratterebbe di calunnia (accusare falsamente qualcuno di aver commesso dei reati), nel secondo caso si tratterebbe di una menzogna che ha consentito la vergognosa archiviazione di cui abbiamo già riferito. Ma non sempre la logica ed il codice dettano le decisioni dei magistrati. E così il gip ha archiviato anche questa denuncia nei confronti dei due agenti perché “la differenza riscontrata fra il contenuto delle relazioni di servizio redatte dagli indagati e le precisazioni dai medesime rese in sede di sommarie informazioni testimoniali…..rappresenta una imprecisione ininfluente ai fini della integrazione dei delitti oggetto del presente procedimento, tenuto anche conto del fatto che, sin dal momento della comunicazione di notizia di reato, alla Camposano non è mai stata attribuita alcuna specifica condotta di violenza o resistenza”. Dunque, proviamo a ricapitolare: Marta era alla manifestazione. Marta è caduta da sola e si è ferita da sola. Marta non ha fatto nulla, ma siccome si trovava alla manifestazione comunque bene hanno fatto ad indagarla. E soprattutto: raccontare prima di vedere qualcuno tra coloro che commettono atti violenti per poi cambiare idea e raccontare di aver visto quello stesso qualcuno inerme e ferito a terra costituisce una semplice ininfluente imprecisione. Si, vabbè, voi direte: MA INTANTO E’ STATA INDAGATA E PROCESSATA….ma che volete che sia! Giusto per mettere i puntini sulle i: attestare in atti la commissione di un reato è atto dovuto e facente fede; se si scopre che è stato attestato il falso attribuendo un reato si risponde di calunnia e non si viene graziati per ININFLUENTE IMPRECISIONE. Indagare qualcuno semplicemente per aver partecipato ad una manifestazione quando non viene “attribuita alcuna specifica condotta di violenza o resistenza” è demenziale, come peraltro attestato dalla giurisprudenza. CONTINUARE A COPRIRE LE VIOLENZE DELLE FORZE DELL’ORDINE. SIGNIFICA ALIMENTARLE E SVILIRE IL PROPRIO MANDATO ISTITUZIONALE. Marta ieri, Maya oggi e centinaia di altri in mezzo continueranno con coraggio a denunciare gli atti vili degli uomini in divisa non perché credono nella capacità della magistratura di dare giustizia ma semplicemente perché una traccia di quelle violenze deve restare e perché prima o poi certa magistratura dovrà vergognarsi dei suoi atti e verrà chiamata a risponderne.
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Marielle Franco e le altre: il Brasile non è un paese per donne di David Lifodi per Micromega Pochi giorni fa Bárbara Querino, giovane modella brasiliana di venti anni, dalla pelle nera, è stata incarcerata con prove debolissime per due presunte rapine a mano armata compiute il 10 e 26 settembre 2017. Il 10 settembre la giovane si trovava a San Paolo per il suo lavoro di modella, come testimoniato dalle fotografie sul suo cellulare, che la polizia ha però deciso di resettare, mentre il 26 settembre, al momento della rapina, era in casa. Il suo caso è emblematico del salto di qualità compiuto dalla violenza statale e parastatale in Brasile, che da sempre prende linfa dalla discriminazione razziale e di genere. Lo scorso 14 marzo il mondo intero si è commosso di fronte all’omicidio dell’attivista femminista Marielle Franco, la consigliera municipale del Partido Socialismo e Liberdade (Psol) uccisa da nove colpi di pistola esplosi da un’automobile all’uscita da un incontro con un gruppo di giovani donne nere dal titolo Mulheres negras movendo estruturas. In Brasile, secondo il Forum Brasileiro de Segurança Pública, ogni undici minuti, una donna è vittima di abusi, ma solo il 10% di coloro che subiscono le violenze trova il coraggio di sporgere denuncia. L’omicidio di Marielle Franco, che il governo si è affrettato a derubricare come un crimine comune, assume in realtà dei connotati politici sotto molteplici punti di vista. Marielle, la quinta più votata alla Camera municipale di Rio de Janeiro con 46mila preferenze, si batteva contro la militarizzazione delle favelas imposta dal presidente Michel Temer. La giovane consigliera (era nata nel 1979) proveniva lei stessa da una favela carioca, quella di Maré, e conosceva bene i soprusi e le violenze commesse da quella polizia a cui sono risultati appartenere i proiettili calibro 9 che l’hanno uccisa. Al tempo stesso, Marielle era un’attivista femminista, dalla pelle nera, impegnata in primo luogo sul fronte della questione di genere, lei che era lesbica e aveva sperimentato cosa significasse ogni giorno dover convivere con il razzismo di Stato, l’esclusione e i pregiudizi. Sou mulher negra, sou militante política, sou anticapitalista, sou lésbica, sou feminista, sou defensora dos direitos humanos, amava ripetere. Nella graduatoria dei paesi dove maggiore è il numero di violenze commesse contro le donne, il Brasile è preceduto soltanto da El Salvador, Colombia, Guatemala e Russia, ma viene prima della Siria, dove da anni gli abitanti vivono in uno scenario di guerra permanente. Più in generale, in America latina e nel Caribe, le donne afrolatinoamericane sono vittime di una doppia discriminazione, di genere e di razza. Eppure, Marielle Franco non è stata uccisa soltanto per essere donna, nera, di origini umili, per il suo impegno in politica e per le sue battaglie in favore dei diritti umani, ma per la violenza insita in uno Stato, quello brasiliano, che disprezza i suoi cittadini provenienti dalle classi sociali più basse. Agli oppressi delle favelas, a maggior ragione se donne, per di più lesbiche, come nel caso di Marielle, non è permesso occupare spazi pubblici e il suo omicidio risulta come un sinistro avvertimento per quelle tante Marielle che abitano nelle sterminate baraccopoli delle megalopoli brasiliane. (...) Marielle Franco non si stancava mai di ripetere che essere donna, nera e lesbica significava dover combattere ogni giorno per resistere e sopravvivere. Nella favela di Acari, dove la madre di uno degli undici adolescenti spariti in un giorno di luglio del 1990 era stata giustiziata in pieno giorno per aver chiesto informazioni sugli assassini del figlio, Marielle denunciava il ritorno della polizia militare e la incolpava di aver assassinato due giovani. Marielle Franco è stata uccisa perché era riuscita a raggiungere dei traguardi che lo stato brasiliano fa di tutto pur di precludere ai suoi cittadini provenienti dalle fasce sociali più povere. La ragazza aveva frequentato il liceo e nel 1998, pur avendo una bambina, era riuscita a superare l’esame di ammissione per frequentare l’università. Si era laureata in Sociologia e aveva conseguito un master in Pubblica amministrazione. Di recente, si era impegnata nel sostenere il progetto di legge dedicato a rendere l’aborto legale e invitava le donne ad occupare quegli spazi pubblici da cui erano sempre state lasciate fuori per protestare contro quell’oppressione di stato fondata sull’esclusione razziale, di classe, di genere, sull’orientamento e sull’identità sessuale.
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Anteprima del parlamento europeo: Carla Bertoli
CARLA BERTOLI È UNA DELLE ARTISTE CHE IL PROSSIMO 6 MARZO SARÀ PROTAGONISTA ALL’EVENTO “LA FORZA DELLE DONNE”, CHE SI TERRÀ PRESSO LA SEDE ITALIANA DEL PARLAMENTO EUROPEO, IN ROMA, CON GLI INTERVENTI DELL’EUROPARLAMENTARE, ON. LUISA REGIMENTI, E DELLA DOTT.SSA ANTONELLA SAMBRUNI, RESPONSABILE DELLA RETE EUROPEA DELLE DONNE.
di Pasquale Di Matteo
Carla Bertoli è una pittrice lombarda in cui si fondono ricerca, cultura e pittura, unitamente a una sua originale e più moderna interpretazione dell’arte del mosaico.
Particolarmente attenta alle tematiche ambientali, l’artista utilizza per lo più materiali di recupero, che miscela attraverso una fusione di stili e di tecniche, attraverso i quali dà forma alla sua poetica, che vede al centro della sua attenzione l’essere umano.
HYPNOTIC EYES Carla Bertoli Tecnica mista 50×70
THE SILENCE OF Marina Abramovic Carla Bertoli Tecnica mista 90×90
OBAMABURGER Carla Bertoli Tecnica mista 80×60-2010
Carla Bertoli osserva i suoi soggetti da punti di vista originali, con un’attenzione particolare per le istanze del mondo femminile, che l’artista sa interpretare e manifestare in tutte le sue sfaccettature, dando risalto alle contraddizioni, alla sua storia, all’emancipazione, ai soprusi, alle violenze, alla sensualità, alla femminilità, in un caleidoscopico mondo di colori, attraverso i quali ci viene raccontata, esaltandola, l’importanza delle donne nel mondo.
Attenta ai bisogni degli ultimi e dei più deboli, la Bertoli declina spesso espressioni e sentimenti di persone comuni, che diventano protagoniste, al pari di altre opere in cui a prevalere sono personaggi più noti o gli eroi dei cartoni animati degli anni ottanta, che oggi ci rendiamo conto di come siano stati messi in panchina troppo presto, per lasciare spazio a serie decisamente più volgari e diseducative, seguendo la moda imperante del trash.
ATLAS UFO ROBOT ACTARUS Dedicated to Gō Nagai -Carla Bertoli tecnica mista 40×40
ATLAS UFO ROBOT GOLDRAKE Dedicated to Gō Nagai -Carla Bertoli tecnica mista 40×40-2019
Così, la denuncia che traspare evidente è proprio quella di ricondurci nuovamente ai veri eroi, a quelli che mettevano in gioco se stessi per salvare tutti gli esseri umani, da un nemico che non era mai il vicino di casa dalla pelle più scura o dalle differenti tradizioni.
La capacità di Carla Bertoli di sviscerare il proprio tempo la rende un’interessante protagonista dell’Arte contemporanea italiana.
CARLA BERTOLI È UNA DELLE ARTISTE CHE IL PROSSIMO 6 MARZO SARÀ PROTAGONISTA ALL’EVENTO “LA FORZA DELLE DONNE”, CHE SI TERRÀ PRESSO LA SEDE ITALIANA DEL PARLAMENTO EUROPEO, IN ROMA, CON GLI INTERVENTI DELL’EUROPARLAMENTARE, ON. LUISA REGIMENTI, E DELLA DOTT.SSA ANTONELLA SAMBRUNI, RESPONSABILE DELLA RETE EUROPEA DELLE DONNE. Anteprima del parlamento europeo: Carla Bertoli CARLA BERTOLI È UNA DELLE ARTISTE CHE IL PROSSIMO 6 MARZO SARÀ PROTAGONISTA ALL’EVENTO “LA FORZA DELLE DONNE”, CHE SI TERRÀ PRESSO LA SEDE ITALIANA DEL PARLAMENTO EUROPEO, IN ROMA, CON GLI INTERVENTI DELL’EUROPARLAMENTARE, ON.
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MACERATA – Domani, venerdì 7 settembre, la Biblioteca Mozzi Borgetti, ospiterà alle ore 17 la presentazione dell’ultimo lavoro di Gabriella Zagaglia Se uccidi un angelo (Kimerik editore), una raccolta poetica ispirata alla triste tematica della violenza in generale con un più forte accento verso quella rivolta al genere femminile.
L’iniziativa è patrocinata dal Comune e prenderà il via con l’introduzione e il saluto dall’assessore alle Pari opportunità del Comune Federica Curzi cui seguiranno gli interventi di Ninfa Contigiani, presidente del Consiglio delle donne e di Antonio Oppido, presidente dell’associazione 50&più di Macerata. A Fulvia Zampa e Fernando Bianchini è invece affidata la recitazione di alcune poesie mentre l’incontro sarà concluso dall’autrice.
“Il testo è una commistione di impronte emozionali del mondo femminile” afferma Gabriella Zagaglia “L’idea originaria, nasce da una particolare attenzione agli accadimenti nella “città inferno” Juarez, nel nord Messico dove moltissime sono le donne vittime di violenze, soprusi e omicidi.
C’è denuncia, dolore, rassegnazione, rabbia, ma anche un’ipotesi di comprensione verso la mente umana. C’è voglia di aprire una breccia nel cuore del mondo che, pur concentrando tanto orrore in quel suo angolo maledetto, riverbera in altri luoghi la stessa sua declinazione.
La poesia però, nasce da dentro, non punta il dito contro colpevoli definiti, ma è un invito alla tolleranza, all’amore universale, al rispetto della vita. Unica via di salvezza possibile, dunque, è il perdono. Il linguaggio poetico può viaggiare su binari sopraelevati” conclude l’autrice “voce alta e pura, sopra le miserie e le fragilità degli esseri umani. Non sa vendicarsi ne uccidere, ma può cambiare, nella gente, la strada della mente verso il cuore”.
Gabriella Zagaglia, che oltre comporre testi è anche un’affermata pittrice, conta diverse pubblicazioni letterarie e ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti partecipando a importanti concorsi nazionali e locali.
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LA LEGGE DEL SILENZIO
Il proprietario di una Ferrari avrebbe schiaffeggiato il padre di un disabile che protestava per essere stato privato del suo spazio privato di parcheggio riservato sulla strada. Nessuno dei presenti ha reagito in qualche modo.
. Eppure un episodio del genere dovrebbe far riflettere in maniera un po’ più approfondita.
La vera legge è quella del silenzio. Nelle famiglie si tacciono le violenze subite dai bambini, nei luoghi di lavoro si tacciono i soprusi nei confronti delle donne e gli imbrogli dei più maneggioni.
Ovunque si insegna un malinteso senso dell’onore quando si guarda con ostilità a chi ha il coraggio di indicare l’autore di qualche malefatta. Finanche nei tribunali ed in altri palazzi del potere, in troppi si affannano a disprezzare i collaboratori di giustizia, bollandoli superficialmente come delatori. Suvvia, guardiamoci bene in faccia, quante volte abbiamo storto il naso quando qualcuno ha avuto il coraggio di denunciare a viso aperto il collega di lavoro, il compagno di classe, il vicino di casa. Il commento più frequente è stato sempre : “ però poteva avere più discrezione “, “ poteva parlarne da parte con qualcuno “ “ si sarebbe trovata una soluzione più riservata”.
E’ questo un tam- tam pericoloso che sta lentamente minando il vivere civile. Se perfino in una strada pubblica di fronte ad un orribile sopruso si tace ad ogni costo, vuol dire che non c’è proprio più speranza.
Nessuno ha trovato la forza di uscire allo scoperto e dare pubblicamente del vigliacco al vile aggressore con la Ferrari Nessuno ha avuto il coraggio di fermare quest’arrogante violento, facendogli capire che si era comportato da vigliacco e non da uomo. E già, perché mi chiedo quale riguardo avere nei confronti di un personaggio del genere..Occorreva che tutta la gente che ha assistito, facesse capire con decisione al vile ferrarista, camorrista, che doveva vergognarsi di quello che aveva fatto e che era circondato dal disprezzo generale e che non era degno di stare in quella strada e forse neppure al mondo..
E’ vero non si possono pretendere atti eroismo dalla gente che oramai non ha fiducia nello Stato e nelle Istituzioni dai quali non si sente ben protetta.Ma allora davvero non c’è più speranza alcuna e le marce e le fiaccolate dei bambini e degli studenti o dei quartieri interi sono solo grottesche rappresentazioni a beneficio delle autorità?
Non può essere così. Non è possibile che tutte le coscienze siano tanto in letargo. Se è il caso, impariamo ad insegnare a tanti , non solo ai giovani, che è giusto denunciare apertamente e con coraggio chi violenta, chi delinque, chi si arricchisce ingiustamente, chi ruba, chi sfrutta il corpo degli altri,chi maltratta, chi violenta, E che comunque l’unione fa la forza anche nella denuncia contro l’imbroglio e la prevaricazione.
Carlo Visconti
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sede: Galleria Cavour (Padova); a cura di: Barbara Codogno e Silvia Prelz.
Amore e Violenza, sono due luoghi dell’anima purtroppo molto spesso connessi tra loro. Da questa riflessione nasce l’esposizione collettiva d’arte contemporanea “Love and Violence”. Scriveva Martin Luther King: “Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è l’indifferenza dei buoni”. Si potrebbe quasi dire, infatti, che alla violenza siamo stati abituati: quotidianamente la cronaca ci mostra immagini terribili davanti alle quali, addomesticati all’orrore, non sappiamo più reagire. Non prendiamo le distanze dai tanti abusi, soprusi, dalle menzogne, dai ricatti… Perché se è pur vero che la violenza sulle donne ha raggiunto quelle drammatiche cifre che hanno le guerre o i genocidi (da qui la parola femminicidio, appunto), è altrettanto vero che violenza è una modalità di pensiero e azione che irrompe in moltissime dinamiche e relazioni.come parlare di tutto questo attraverso l’arte? “Love and Violence” nasce come manifesto di denuncia contro la violenza sulle donne, ma con un importante lavoro di ricerca delle curatrici, si estende a tutte le forme di violenza e vuol essere un momento di riflessione sociale e culturale che suggerisca soluzione e speranza. Amore e Violenza sono infatti il cuore della complessità della relazione che può intercorrere non solo tra uomo e donna, ma anche tra uomini e animali, tra uomini e ambiente, tra pensiero e azione. Ventisette artisti sono stati chiamati a esasperare e risolvere questo binomio e il conseguente disequilibrio violento che si può innescare quando si esce dalla modalità dell’amore. Tra installazioni, opere di fotografia, pittura, scultura e videoarte, “Love and Violence” affronta il tema affidandosi all’interpretazione espressiva personale – e alla sua ricaduta sociale – di ogni singolo artista. Al visitatore viene lasciata la possibilità, una volta “vissuto” il percorso allestitivo, di realizzare che la bellezza è sempre in grado di attuare significative soluzioni di superamento. Perché la bellezza è sempre un salto di coscienza.
Artisti: Gesine Arps, Nabil Boutros, Angelo Brugnera, Emanuela Callegarin, Franz Chi, Francky Criquet, Marta Czok, Piera De Nicolao, Adolfina De Stefani, Tetsuo Harada, Ketra, Antonello Mantovani, Marisa Merlin, Shozo Michikawa, Maria Micozzi, Luigi Milani, Angelo Muriotto, Stefano Reolon, Carla Rigato, Jacek Ludwig Scarso, Bärbel Schmidtmann, Ayumi Shigematsu, Andrea Tagliapietra, Roberta Ubaldi, Giovanni Oscar Urso, Shofu Yoshimoto, Grazia Zattarin.
INCONTRI Per analizzare e approfondire le molte sfaccettature del binomio Amore e Violenza, il progetto “Love and Violence” presenta, oltre all’esposizione d’arte contemporanea, un’importante rassegna di eventi, conferenze ed incontri che si terranno in Galleria Cavour sempre ad ingresso gratuito. Si comincia giovedì 23 febbraio alle ore 17:30 con una conferenza tenuta dalle filosofe dell’Università di Padova Emanuela Magno “Arte e Terrore. Botero su Abu Ghraib” e Silvia Capodivacca “La violenza delle donne. Pratiche di emancipazione alternativa”. In particolare il ciclo dipinti su Abu Ghraib di Botero è una pagina poco conosciuta, lontana dalle immagini di donne abbondanti e festose che lo hanno reso famoso nel mondo. Ottanta opere con cui Botero ha deciso di comunicare al mondo tutto il suo disgusto e disprezzo alla vista delle immagini delle torture e dell’orrore nel carcere di Abu Ghraib, piccola cittadina a circa 30 km da Bagdad. Da non perdere l’incontro di mercoledì 8 marzo alle ore 17:30 dedicato alla calligrafia e pittura giapponese con la performance dell’Artista Shofu Yoshimoto e il contributo del filosofo dell’Università di Padova Alberto Giacomelli. Shofu Yoshimoto, tra i quattro artisti giapponesi presenti in mostra, è un’esponente conosciuta internazionalmente per l’arte calligrafica. Nelle sue opere crea contrasti meravigliosi tra il nero dell’inchiostro giapponese e il bianco della carta vegetale in un mirabile equilibrio di fragilità e forza. Mercoledì 15 marzo dalle ore 17:30 si terrà un approfondimento sul tema “L’emancipazione della donna contribuisce al superamento della violenza” con Confartigianato Donne Impresa, Assosomm Associazione Italiana delle Agenzie per il Lavoro e Gianpaolo Scarante dell’Università di Padova, diplomatico e ambasciatore. All’interno di un percorso di riflessione sul superamento della violenza appare evidente quanto l’autonomia e l’emancipazione della donna dipenda dal suo inserimento, in qualità di soggetto attivo, nel tessuto sociale ed economico del territorio. Nelle due intere giornate del 17 e 18 marzo si terrà il Convegno della Associazione di psicoanalisti Junghiani “VJA” (Viaggi Junghiani Analitici) dal titolo “Amore e Violenza: trauma, dissociazione e cura” in collaborazione con il Centro Junghiano Psicologia Analitica, il Centro Soranzo Mestre e la partecipazione di Paolo Santonastaso, Università di Padova e Umberto Gallimberti, Università di Venezia. Giovedì 23 marzo alle ore 17:30 spazio alla fotografia femminile con un focus tenuto dalle curatrici Barbara Codogno e Silvia Prelz. Si esploreranno i linguaggi della fotografia declinata al femminile passando da Francesca Woodman a Diane Arbus senza tralasciare artisti locali come la fotografa padovana Alessandra Toninello. Chiude il ciclo di incontri la conferenza di giovedì 30 marzo ore 17:30 tenuta dai filosofi dell’Università di Padova Lorenza Bottacin Cantoni e Alberto Giacomelli che approfondiranno il tema della violenza dell’eros a partire da due romanzi in cui la letteratura si intreccia con la sessualità: La filosofia nel boudoir (1795) il manifesto più compiuto ed estremo del pensiero di Sade e Venere in pelliccia (1870) di von Sacher Masoch. Due autori che hanno esercitato una notevole influenza in ambito letterario e culturale tanto da dare origine ai termini “sadismo” e “masochismo”.
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Love and Violence - Mostra Collettiva sede: Galleria Cavour (Padova); a cura di: Barbara Codogno e Silvia Prelz. Amore e Violenza, sono due luoghi dell'anima purtroppo molto spesso connessi tra loro.
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Le motivazioni della sentenza di assoluzione di Massimo Raccuia dall’accusa di stupro hanno suscitato ampia indignazione, perché trasformano la vittima in imputata, negandone libertà e dignità. Ieri scritte sono apparse di fronte al tribunale e sui muri della sede della Croce Rossa. Qui gli articoli di Stampa e Repubblica. Di seguito un testo pubblicato su Indymedia Barcellona dal gruppo anarco-femminista “Emma Goldman” che rivendica le scritte. “Questa notte di fronte al tribunale di Torino è comparsa la scritta “La giudice Minucci protegge chi stupra”. Sui muri della sede della Croce Rossa di via Bologna è stata vergata la scritta “Raccuia stupratore”. Massimo Raccuia è un dirigente della Croce Rossa. Accusato di stupro da “Laura”, una precaria della CRI, dopo sei anni è stato assolto da ogni accusa. In aula, accanto a Laura, sedeva un’altra donna, la ex compagna di Raccuia, che da tempo aveva chiesto ed ottenuto di allontanare la figlia da un uomo che le dimostrava attenzioni poco paterne. La giudice che lo ha assolto ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura di Torino, perché proceda per calunnia nei confronti di Laura, la donna violentata da Raccuia. La giudice Minucci ha deciso che Laura non è credibile. Non è credibile perché ha detto solo no. “No, Basta”, cercando di allontanare da se l’uomo che la stava stuprando. Per Diamante Minucci e le altre due giudici del collegio, dire “Basta” non è sufficiente. Bisogna gridare, correre a farsi fare un test di gravidanza, farsi lacerare la carne e suon di botte. Il discrimine per Minucci è il martirio. Se lo stupratore non lascia il segno, se la donna non grida aiuto, allora è chiaro che ci stava. Raccuia è un dirigente, Laura una precaria, già vittima delle violenze durante l”infanzia. Una storia che somiglia a tante altre: in Italia una donna su tre ha subito molestie o stupri. I violenti giocano sulla paura, sul ricatto del lavoro, dei figli, sulla giusta reticenza delle donne a rivolgersi ai tribunali, dove le loro vite sono frugate ed indagate, dove la loro libertà è sempre sul banco degli accusati. Per noi, che non amiamo né i giudici, né i tribunali, “no” vuol dire “no”, “basta” vuol dire “basta”. Uno stupro è uno strupro. La discriminante è il consenso. La cultura dello stupro si nutre di sentenze come quella emessa dalla giudice Minucci. Stupratori e giudici ci vorrebbero spaventate e piegate, ma la nostra forza è nella solidarietà, nel mutuo appoggio, nella denuncia di violenze e soprusi sui muri della città, nei posti dove viviamo, dove lavoriamo, dove studiamo, dove camminiamo, dove ci divertiamo. Impariamo a riconoscerci, per lottare insieme contro chi ci vuole vittime e indifese. Non lo siamo. Abbiamo imparato ad autodifenderci. Le nostre vite valgono. Gruppo anarco-femminista “Emma Goldman””
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