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Russiagate, l’avvocato di Mifsud: “Ecco il ruolo di Gentiloni”
“I miei amici e colleghi a Roma hanno deciso di suggerirmi di lasciare immediatamente Roma e trovare un posto, hanno offerto un luogo fuori mano dove potessi stare”. L’Adnkronos ha pubblicato parte della trascrizione della deposizione del professor Joseph Mifusd consegnata al procuratore John Durham che indaga sulle origini del Russiagate e sulla presunta cospirazione contro la campagna di Donald Trump. L’Adnkronos ha ottenuto direttamente dall’avvocato Roh una parte della trascrizione di quel “vocale”. Il posto “fuori mano” di cui parla Mifsud nel nastro, sostiene Roh, sarebbe una casa in un paese delle Marche, Matelica, nella quale il professore maltese si nascose o “venne fatto nascondere” a partire dal 31 ottobre del 2017.
È lo stesso docente maltese a parlare: “Sono rimasto lì per oltre due mesi – spiega – Ho trascorso questi due mesi a pensare a come recuperare la mia salute, che era una delle cose più importanti, e anche tempo per raccogliere le mie idee e punti di vista su cosa era effettivamente accaduto”. Per il professore è “anche importante sottolineare che i miei amici e colleghi a Roma avevano anche chiesto consiglio, consiglio a livello nazionale, su come dovessi gestire la situazione”.”Mi era stato fatto capire molto chiaramente – prosegue la trascrizione – che era meglio se fossi stato via dai riflettori per un po’ di tempo. Uno degli argomenti che erano stati avanzati era che questa cosa sarebbe morta entro qualche mese e che sarei potuto tornare e continuare il mio lavoro e le mie attività”. A Mifsud, dunque, viene suggerito di stare lontano da Roma e dai riflettori per un po’ di tempo. Secondo Roh,
Mifsud doveva sparire, perché poteva compromettere tutta l’indagine di Mueller
“Se Mifsud parla, ha le prove per dimostrare le cose che ha detto nel nastro e fuori dal nastro. Sarebbe un grosso problema per un sacco di persone negli Stati Uniti”, sottolinea l’avvocato svizzero. Per Roh, “il reato grave non è stato lo spionaggio su Trump, ma la fabbricazione di prove per giustificare l’inchiesta di Mueller. A Mifsud è stato chiesto di presentare George Papadopoulos ai russi, per creare il caso. Mifsud poi è stato nascosto e minacciato per sostenere quell’indagine. Nessuno sparisce così in Europa, se non per una cosa di Stato o di mafia. Secondo me Joseph deve collaborare con l’indagine, lui è una vittima”. E conclude:
Dopo il mio scambio di opinioni con il procuratore Durham, ora gli americani sanno tutto…
Il presunto ruolo di Gentiloni
L’avvocato svizzero racconta all’Adnkronos che Joseph Mifsud “si è nascosto fino a fine dicembre 2017. Chi ha organizzato questa cosa andrebbe sentito come testimone chiave dell’indagine Durham”. E fa due nomi: “Vanna Fadini e Pasquale Russo”. Ovvero il presidente della Global Education Management srl (Gem), la società di gestione della Link, e del direttore generale della Link Campus University. La casa di Matelica nella quale si sarebbe nascosto Mifsud tra novembre e dicembre del 2017, dice Roh, “appartiene a un amico della Fadini, un dentista”. Fadini e Russo smentiscono categoricamente le affermazioni dell’avvocato di Mifsud.
Secondo quanto affermato da Roh alla Verità, in una delle sue dichiarazioni più clamorose, pochi giorni dopo l’interrogatorio di Mifsud a Washington, “il 25 febbraio 2017, l’allora premier Paolo Gentiloni e Gennaro Migliore vanno nella sede della Link per un incontro strategico privato. Russo è testimone. Questo è stato il momento in cui la Link è entrata in gioco e la vita i Mifsud è cambiata”. Mifsud, sottolinea l’avvocato, “mi ha confermato diverse volte che uno dei capi di un’agenzia italiana dei servizi segreti contattò Scotti nel periodo in cui scoppiò lo scandalo e si raccomandò che Mifsud sparisse”. Fonti vicine all’ex premier Gentiloni, ora commissario europeo, hanno smentito categoricamente la circostanza: “Mai stato alla Link il 25 febbraio 2017”. Oggi, tuttavia, La Verità parla di una e-mail che confermerebbe la versione di Roh.
Secondo quanto dichiarato da Roh alla Verità, Mifsud andava in giro a raccogliere fondi per conto della Link. “Entrò in contatto con diversi investitori, i quali si trovavano in differenti Paesi. Tutti gli incontri venivano puntualmente riferiti al professor Scotti e alla Link. Mifsud mise l’università in comunicazione con una serie di potenziali finanziatori nel Regno Unito, negli Stati Uniti, a Dubai e in altri Paesi arabi. Ebbe successo con la 1Mdb-Petrosaudi di Tarek Obaid, che finanziò il War and peace center della Link campus con 700mila euro. Non sono in grado di dire, invece, se Mifsud fosse coinvolto o meno nell’affare con la Suite finance. È molto probabile che quest’ultima avesse raccolto (o stesse progettando di farlo) finanziamenti da fonti ucraine”.
Ma la Link smentisce
In riferimento a quanto apparso su La Verità, e a quanto dichiarato dall’avvocato Stephan Roh all’Adnkronos, l’ufficio stampa della Link, “anche a nome del presidente Vincenzo Scotti”, precisa che “si tratta dell’ennesima serie di bugie diffamatorie, che l’Università ha già risposto mostrando ai giornalisti dell’agenzia Adnkronos tutta la documentazione originale a sostegno delle nostre informazioni”.
La Link, come anche già dichiarato stamattina da fonti vicine all’ex premier Paolo Gentiloni, ribadisce che “è falso che Paolo Gentiloni sia mai venuto alla Link Campus quando era premier ed abbia mai avuto incontri”. Inoltre, sarebbe falso tutto il racconto di Stephan Roh definito dall’ateneo “un volgare mentitore”, un vero e proprio “trafficante di fake news e chi le ha rilanciate senza accertare la credibilità della fonte risulta un complice di fatto”.
La versione di John Solomon
La notizia della deposizione di Mifsud fu data per primo su Fox News dal giornalista investigativo John Solomon: “Posso assolutamente confermare che gli investigatori di Durham hanno ottenuto una deposizione audio di Mifsud dove egli descrive il suo lavoro, perché ha preso di mira George Papadopoulos, chi lo ha indirizzato a fare questo, quali istruzioni gli furono date, e perché ha messo in moto l’intero processo di introduzione di Papadopoulos alla Russia nel marzo 2016, che è davvero il punto focale e di partenza di tutta la vicenda della narrative sulla collusione” ha spiegato Solomon incalzato dalle domande di Sean Hannity. “Posso inoltre confermare – ha aggiunto il giornalista – che la Commissione giudiziaria del Senato ha ottenuto la stessa deposizione”.
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Russiagate, l’avvocato di Mifsud: “Ecco il ruolo di Gentiloni”
“I miei amici e colleghi a Roma hanno deciso di suggerirmi di lasciare immediatamente Roma e trovare un posto, hanno offerto un luogo fuori mano dove potessi stare”. L’Adnkronos ha pubblicato parte della trascrizione della deposizione del professor Joseph Mifusd consegnata al procuratore John Durham che indaga sulle origini del Russiagate e sulla presunta cospirazione contro la campagna di Donald Trump. L’Adnkronos ha ottenuto direttamente dall’avvocato Roh una parte della trascrizione di quel “vocale”. Il posto “fuori mano” di cui parla Mifsud nel nastro, sostiene Roh, sarebbe una casa in un paese delle Marche, Matelica, nella quale il professore maltese si nascose o “venne fatto nascondere” a partire dal 31 ottobre del 2017.
È lo stesso docente maltese a parlare: “Sono rimasto lì per oltre due mesi – spiega – Ho trascorso questi due mesi a pensare a come recuperare la mia salute, che era una delle cose più importanti, e anche tempo per raccogliere le mie idee e punti di vista su cosa era effettivamente accaduto”. Per il professore è “anche importante sottolineare che i miei amici e colleghi a Roma avevano anche chiesto consiglio, consiglio a livello nazionale, su come dovessi gestire la situazione”.”Mi era stato fatto capire molto chiaramente – prosegue la trascrizione – che era meglio se fossi stato via dai riflettori per un po’ di tempo. Uno degli argomenti che erano stati avanzati era che questa cosa sarebbe morta entro qualche mese e che sarei potuto tornare e continuare il mio lavoro e le mie attività”. A Mifsud, dunque, viene suggerito di stare lontano da Roma e dai riflettori per un po’ di tempo. Secondo Roh,
Mifsud doveva sparire, perché poteva compromettere tutta l’indagine di Mueller
“Se Mifsud parla, ha le prove per dimostrare le cose che ha detto nel nastro e fuori dal nastro. Sarebbe un grosso problema per un sacco di persone negli Stati Uniti”, sottolinea l’avvocato svizzero. Per Roh, “il reato grave non è stato lo spionaggio su Trump, ma la fabbricazione di prove per giustificare l’inchiesta di Mueller. A Mifsud è stato chiesto di presentare George Papadopoulos ai russi, per creare il caso. Mifsud poi è stato nascosto e minacciato per sostenere quell’indagine. Nessuno sparisce così in Europa, se non per una cosa di Stato o di mafia. Secondo me Joseph deve collaborare con l’indagine, lui è una vittima”. E conclude:
Dopo il mio scambio di opinioni con il procuratore Durham, ora gli americani sanno tutto…
Il presunto ruolo di Gentiloni
L’avvocato svizzero racconta all’Adnkronos che Joseph Mifsud “si è nascosto fino a fine dicembre 2017. Chi ha organizzato questa cosa andrebbe sentito come testimone chiave dell’indagine Durham”. E fa due nomi: “Vanna Fadini e Pasquale Russo”. Ovvero il presidente della Global Education Management srl (Gem), la società di gestione della Link, e del direttore generale della Link Campus University. La casa di Matelica nella quale si sarebbe nascosto Mifsud tra novembre e dicembre del 2017, dice Roh, “appartiene a un amico della Fadini, un dentista”. Fadini e Russo smentiscono categoricamente le affermazioni dell’avvocato di Mifsud.
Secondo quanto affermato da Roh alla Verità, in una delle sue dichiarazioni più clamorose, pochi giorni dopo l’interrogatorio di Mifsud a Washington, “il 25 febbraio 2017, l’allora premier Paolo Gentiloni e Gennaro Migliore vanno nella sede della Link per un incontro strategico privato. Russo è testimone. Questo è stato il momento in cui la Link è entrata in gioco e la vita i Mifsud è cambiata”. Mifsud, sottolinea l’avvocato, “mi ha confermato diverse volte che uno dei capi di un’agenzia italiana dei servizi segreti contattò Scotti nel periodo in cui scoppiò lo scandalo e si raccomandò che Mifsud sparisse”. Fonti vicine all’ex premier Gentiloni, ora commissario europeo, hanno smentito categoricamente la circostanza: “Mai stato alla Link il 25 febbraio 2017”. Oggi, tuttavia, La Verità parla di una e-mail che confermerebbe la versione di Roh.
Secondo quanto dichiarato da Roh alla Verità, Mifsud andava in giro a raccogliere fondi per conto della Link. “Entrò in contatto con diversi investitori, i quali si trovavano in differenti Paesi. Tutti gli incontri venivano puntualmente riferiti al professor Scotti e alla Link. Mifsud mise l’università in comunicazione con una serie di potenziali finanziatori nel Regno Unito, negli Stati Uniti, a Dubai e in altri Paesi arabi. Ebbe successo con la 1Mdb-Petrosaudi di Tarek Obaid, che finanziò il War and peace center della Link campus con 700mila euro. Non sono in grado di dire, invece, se Mifsud fosse coinvolto o meno nell’affare con la Suite finance. È molto probabile che quest’ultima avesse raccolto (o stesse progettando di farlo) finanziamenti da fonti ucraine”.
Ma la Link smentisce
In riferimento a quanto apparso su La Verità, e a quanto dichiarato dall’avvocato Stephan Roh all’Adnkronos, l’ufficio stampa della Link, “anche a nome del presidente Vincenzo Scotti”, precisa che “si tratta dell’ennesima serie di bugie diffamatorie, che l’Università ha già risposto mostrando ai giornalisti dell’agenzia Adnkronos tutta la documentazione originale a sostegno delle nostre informazioni”.
La Link, come anche già dichiarato stamattina da fonti vicine all’ex premier Paolo Gentiloni, ribadisce che “è falso che Paolo Gentiloni sia mai venuto alla Link Campus quando era premier ed abbia mai avuto incontri”. Inoltre, sarebbe falso tutto il racconto di Stephan Roh definito dall’ateneo “un volgare mentitore”, un vero e proprio “trafficante di fake news e chi le ha rilanciate senza accertare la credibilità della fonte risulta un complice di fatto”.
La versione di John Solomon
La notizia della deposizione di Mifsud fu data per primo su Fox News dal giornalista investigativo John Solomon: “Posso assolutamente confermare che gli investigatori di Durham hanno ottenuto una deposizione audio di Mifsud dove egli descrive il suo lavoro, perché ha preso di mira George Papadopoulos, chi lo ha indirizzato a fare questo, quali istruzioni gli furono date, e perché ha messo in moto l’intero processo di introduzione di Papadopoulos alla Russia nel marzo 2016, che è davvero il punto focale e di partenza di tutta la vicenda della narrative sulla collusione” ha spiegato Solomon incalzato dalle domande di Sean Hannity. “Posso inoltre confermare – ha aggiunto il giornalista – che la Commissione giudiziaria del Senato ha ottenuto la stessa deposizione”.
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“ Quando fui ammesso alla facoltà di Odontoiatria dell’Università del Cairo, nel 1976, mi toccò frequentare per un anno la facoltà di Scienze per assimilare le nozioni scientifiche di base necessarie a un dentista. In quell’istituto il professore di Chimica naturale era un musulmano attempato che sfoggiava sulla fronte il classico bozzo della preghiera, o zebiba, un altro indizio esteriore di quanto era devoto. Durante la prima lezione spiegò quello che ci avrebbe insegnato, ma la seconda volta, appena entrò nell’aula, afferrò il microfono e chiamò uno studente. Quando gli spiegarono che era assente, disse: “Lo sapevo che quel ragazzo è un comunista. Quando lo vedete, ditegli che sarà bocciato in Chimica naturale. Boccio lui e chiunque altro di voi se scopro che è comunista”. Rimanemmo tutti ammutoliti per lo sgomento. Eravamo studentelli imberbi che avevano appena finito il liceo, e questo episodio ci insegnò parecchie cose. La prima fu che il professore collaborava con i servizi di sicurezza, altrimenti come faceva a essere informato delle simpatie politiche di un nostro compagno di studi? La seconda era che i suoi segni esteriori di devozione, la barba e la zebiba, non gli impedivano di commettere un’ingiustizia contro gli studenti che non gli stavano simpatici. La terza: perdere un anno o superare un esame non dipendevano solo da quanto lavoravamo o studiavamo, ma anche dalla capacità di seguire a capo chino la linea politica corretta. Poi passai cinque anni a farmi indottrinare perché arrivassi a credere che non esistessero “punti di vista” autonomi riguardo all’“unica verità” che ci comunicavano i nostri professori. Eravamo tutti costretti a mandare a memoria ciò che diceva il docente per ripeterlo parola per parola agli esami. Il professore di Chimica organica, per esempio, si sganasciava dal ridere quando ci spiegava che se ingoi un topo non sei in grado di digerirlo perché la pelle dell’animale è coperta di indigeribili aminoacidi. Poi, all’orale, amava stupire gli studenti chiedendo: “Che cosa succede se ingoi un topo?”. Se lo studente riusciva a ripetere a pappagallo le frasi dette a lezione dal professore, allora otteneva un buon voto. Se invece rimaneva schifato o confuso, veniva bocciato per non aver presenziato alle lezioni. È così che imparammo che era più importante andare a lezione e memorizzare le battute del docente che acquisire vere nozioni scientifiche. Dopo aver appreso volente o nolente questo trucchetto, mi laureai con lode e trovai lavoro come interno nel dipartimento di Chirurgia orale. In quel posto potevi capire tutta l’influenza del potere militare, dato che in ogni angolo vigeva una gerarchia da caserma, persino in reparto. Lì autorità non era sinonimo di responsabilità, bensì di possibilità di maltrattare i sottoposti. Ogni membro della gerarchia subiva gli abusi di chi gli stava sopra, dopodiché si rifaceva sui sottoposti. Gli abusi partivano dal preside e poi passavano a professore, aiuto, assistente, viceassistente, istruttore, interno e apprendista dentista. Erano relegati in quest’ultima categoria i più giovani e umili, che dovevano sopportare di essere angariati da chiunque. Mi ricordo che litigai con un viceassistente del dipartimento (due gradini sopra di me). Ero convinto del mio parere professionale, ma lui era tanto cocciuto a sostenere il suo che proposi di chiedere lumi a un professore anziano. Domandammo a uno di loro di risolvere la diatriba, poi gli riassunsi la questione e le due opinioni divergenti senza dire chi affermava cosa. Il professore sorrise e chiese al viceassistente come la vedeva. Poi mi lanciò un’occhiata glaciale e mi mise in riga con queste parole: “Per quel che ti riguarda, tutto quello che dice lui è giusto. È viceassistente e tu sei solo un tirocinante. In questo dipartimento ha ragione chi sta sopra”. La diffusione della mentalità fascista è un sintomo immancabile della sindrome della dittatura. “
ʿAlāʾ al-Aswānī, La dittatura. Racconto di una sindrome, traduzione di Giancarlo Carlotti, Feltrinelli (Collana Serie bianca), ottobre 2020. [ Libro elettronico ]
[ Edizione originale: The Dictatorship Syndrome, Haus Publishing, London, U.K. (December 29, 2019) ]
#ʿAlāʾ al-Aswānī#La dittatura#libri#letture#leggere#saggi#intellettuali egiziani#Medio Oriente#cultura#potere#tiranni#libertà di pensiero#Paesi arabi#Nordafrica#Giancarlo Carlotti#libertà di parola#anticomunismo#fanatismo religioso#Egitto#libertà di opinione#regimi autoritari#università#istruzione#giovani#scienze#mentalità fascista#docenti#oppressione#autoritarismo#abuso di potere
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Articolo interessantissimo sugli spazzolini elettrici. In Italiano.
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“Non voglio morire come una mummia, ma sognare il museo dei giocattoli della mia infanzia”. Una conferenza di Vladimir Nabokov
L’idolo di fine anno è lui. Curioso. Nato a Pietroburgo 120 anni fa, morto in Svizzera nel 1977, vissuto – per fette pressoché esatte – vent’anni in Russia, venti in Germania (con puntate in UK e Francia), venti negli Usa e altrettanti in Svizzera, autore di opere emblematiche, astrali, austere, disancorate dai fatti e dalla fama – fatto salvo “Lolita”, romanzo, per lo più, frainteso – è ancora lui, Vladimir Nabokov, il cuore del ‘dibattito’ letterario. Era insopportabile; portò l’arte del romanzo a limiti vertiginosi. Un tempo, un romanzo era una sfida all’intelletto, ora è sfiduciato dalla necessità di dilettare, senza dilatare troppo gli argini formali. In ogni caso, la pubblicazione di “Think, Write, Speak”, cioè “Saggi sparsi, Recensioni, Interviste e Lettere agli editori”, a cura di Brian Boyd e Anastasia Tolstoj, ha galvanizzato la stampa anglofona. Il “New Yorker” pubblica il saggio del 1928 che riproponiamo qui, per larghe lasse, “L’Uomo e le Cose”; Donald Rayfield su “Literary Review” tenta di minimizzare l’estro nabokoviano – “Pride, Prejudice & Pushkin” – dicendo che “la testardaggine, e un certo vezzo perverso, stanno alla base delle opinioni di Nabokov”, eppure Nabokov resta sempre lì, ideatore di labirinti di cristallo. Ineluttabile, insopportabile. “Nella vita, Nabokov era insistentemente goffo, perfino stupido; non sapeva guidare, scriveva a matita su schede, faceva affidamento alla moglie per predisporre una copia leggibile dei suoi romanzi… Eppure, nel caso di Nabokov, come nel caso di Tolstoj, non c’è segno che i pensieri dell’autore vengano in qualche modo rifratti dall’azione della moglie. Pochi scrittori sono stati così privi di influenze extra-letterarie come Nabokov”. Inconsapevolmente, il recensore della rivista cool fondata a Edimburgo nel 1979, continua a foraggiare la leggenda di Nabokov: scrittore eccelso e scontroso, fuori dal mondo perché divino, estraneo perché esteta, cattivo perché catturato dal demone della forma. All’epoca di questo saggio Nabokov scriveva con il nome di V. Sirin, aveva pubblicato “Re, donna, fante”, si armava a scrivere il bellissimo “La difesa di Lužin”. Nel libro, al di là di una sontuosa selezione di interviste, spesso ignote, ci sono alcuni saggi d’interesse: quelli dedicati a Vladislav Chodasevich, a Ivan Bunin, a Nina Berberova, a Hilarie Belloc. Del 1942 è una “Lecture on Leonardo da Vinci”.
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L’Uomo e le Cose
Il titolo del mio intervento, “L’Uomo e le Cose”, potrebbe, probabilmente, confondervi. Ad esempio, potrebbe sembrare, in omaggio al diavolo delle generalizzazioni, che io intenda con la parola “uomo” qualsiasi Homo Sapiens, abbastanza rappresentativo del genere umano. Con “cosa” si potrebbe pensare che significhi qualcosa di definito, nei cui confini intenda muovermi con felicità filosofica… Spero di eliminare ogni concezione errata. Con “uomo” intendo unicamente me stesso. Con “cosa” non intendo uno stuzzicadenti ma anche un motore a vapore. Tutto ciò che è fabbricato da mani umane è una cosa. Questa è l’unica definizione generale che mi permetto.
*
Una cosa, una cosa fatta da qualcuno, in sé non esiste. Un gabbiano che sorvola su un portasigarette dimenticato sulla spiaggia non lo distingue da un sasso, da un frammento di alga, perché in assenza di uomo quella cosa ritorna in seno alla natura. Un fucile che giace nelle profondità della giungla tropicale non è un più una cosa, ma una porzione della foresta, oggi un’onda di formiche rosse lo sommerge, domani vi crescerà, tra la sua ruggine, un fiore. Una casa torna mero blocco di pietra quando un uomo la lascia. Se dovesse restare abbandonata per cinquecento anni, la casa, come un animale silenzioso e astuto che anela la libertà, tornerà alla natura in modo impercettibile: in effetti, non è che una pila di pietre. Va notato, per altro, con quanto entusiasmo e abilità ogni minima cosa si sforzi di sfuggire dall’uomo, e quanto sia incline al suicidio. Una moneta caduta, con la fretta di un fuggitivo disperato, traccia l’ampio arco della sua fuga sul pavimento per poi scomparire lontano, nell’angolo più estremo, sotto il divano.
*
Non solo non esiste un oggetto senza uomo, ma non esiste oggetto senza una relazione definita con un lato dell’uomo. Questa relazione è sfuggente. Prendiamo un dipinto: il ritratto di una donna. Un uomo lo guarda, con la fredda ammirazione di un esperto, analizza i colori, il chiaroscuro, lo sfondo. Un altro, un artigiano, pieno di una esperienza più complessa – in cui convergono la colla, il metro, la fermezza del legno, la doratura – si concentra con occhio professionale sulla cornice. Un terzo, amico della donna rappresentata nel quadro, discute riguardo alla somiglianza della conoscente con il ritratto, oppure, trafitto da uno di quei remoti ricordi che sono come nodi sulla strada della memoria, osserva e ascolta con chiarezza – pur per un istante – quella stessa donna, che ha poggiato la borsa, si sfila i guanti, dice, “Domani è l’ultima seduta, grazie a Dio. gli occhi stanno guarendo”. Infine, un quarto guarda il dipinto pensando al dentista che gli causerà molto dolore, oggi, e ogni volta che guarderà quel quadro non si ricorderà altro che il ronzio del trapano e quanto puzzava l’alito del dentista.
*
Cosa intendo dire? Che non esiste una cosa, anche se è matematicamente una, ma quattro, cinque, sei, un milione di cose a seconda di quante persone guardano quella stessa cosa. Cosa mi importa degli stivali lasciati dal mio vicino di casa fuori dalla sua porta? Beh, quel vicino stanotte è morto: di quale calore umano, pietà, bellezza viva e tenera si caricano quei due stivali logori, con i loro occhielli simili a piccole orecchie, lasciati sulla soglia di casa, radiosi, ora. Sulla mia scrivania, in una busta sgualcita, ho trovato cinque fiammiferi, con il capo nero. Li ho messi lì per conservare memoria di qualcosa che ora ho dimenticato, dimenticato del tutto. Li conserverò ancora un po’, per dare fede a quel ricordo, amandoli di una specie di amore secondario, finché non me ne libererò. Così tradiamo le cose.
*
In una fiera, era una piccola remota cittadina, ho vinto un maiale di porcellana. L’ho abbandonato sullo scaffale dell’hotel quando ho lasciato la cittadina. Così, mi sono condannato a ricordarlo per sempre. Sono irrimediabilmente innamorato di quel maiale di porcellana a buon mercato. Sono sopraffatto da una tenerezza insopportabile, delicatamente sciocca quando ci penso. Con la stessa sensazione, osservo un ornamento insignificante, i fiori sulla carta da parati, in un angolo buio del corridoio, che nessuno tranne me probabilmente noterà mai.
*
L’uomo è fatto a somiglianza di Dio; una cosa è a somiglianza dell’uomo. Un uomo che fa di una cosa il suo Dio finisce per assomigliare a quella cosa. Il cerchio è compiuto: cosa, uomo, Dio, uomo, cosa – una sfera, che piace alla mente. Una macchina automatica è per molti aspetti simile all’uomo. Spingi un tasto, risponde. Gli dai dei soldi, ti ricambia con dei beni. Ma in altri tipi di cose io sento una diversa somiglianza con l’uomo. Le mutande che si asciugano al vento si lanciano in una danza idiota, ma piuttosto umana. Un calamaio mi fissa con il suo occhio nero, la sua pupilla luccica. Tra il vetro che accoglie una lampada e la testa calva di un filosofo pieno di idee c’è una certa rassicurante somiglianza… In alcuni villaggi della Foresta Nera le case ghignano: la finestra sul tetto è allungata come un occhio furbo. Anche le automobili sono simili all’uomo: per questo le dotiamo di due fari e non di tre o quattro. Non c’è da stupirsi se le fiabe siano piene di sedute spiritiche in cui le cose prendono letteralmente vita.
*
Approfondendo queste analogie e penetrando ina una sorta di ardore antropomorfo, possiamo dare alle cose i nostri sentimenti. Nel pigro scialle di lana sullo schienale di una sedia c’è una specie di richiamo: vorrei stare sulle spalle di qualcuno! In un taccuino aperto, ma vuoto, c’è qualcosa di allegro, gioioso, sincero. Una matita è per natura più morbida e gentile di una penna: la penna parla, la matita sussurra. Durante l’infanzia ero turbato da un interrogativo: dove finiranno i miei giocattoli quando sarò grande? Immaginavo un enorme museo, dove gradualmente aumentavano i giocattoli dei bambini. Spesso, quando entro in un museo di antichità, pieno di monete romane, armi, cotte di maglia, corazze, mi sembra di essere entrato in quel museo dei miei sogni.
*
Temiamo di lasciare – e non vogliamo lasciarle – le nostre cose alla natura da cui provengono. È quasi fisicamente doloroso per me separarmi dai vecchi pantaloni. Conservo lettere che non rileggerò mai. Gli antichi re erano deposti nelle bare con l’armatura e le cose amate: avrebbero voluto incamerare l’intero palazzo nella bara, se gli fosse stato possibile. Flaubert desiderava essere sepolto con il proprio calamaio. Ma il calamaio si annoia senza penna, la penna senza carta, la carta senza scrivania, la scrivania senza stanza, la stanza senza casa, la casa senza città. E non importa quanta forza ci metta un uomo: le cose cadono, egli decade. Più che giacere come una mummia in un sarcofago pitturato, nell’alveo di un museo, è più piacevole, e più onesto, consumarsi nel terreno dove, a loro volta, tornano giocattoli, stuzzicadenti, automobili.
Vladimir Nabokov
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Il tragitto prevede ostacoli Vuoi scegliere un percorso alternativo? (Parte 1)
Credo che le scorciatoie, le vie più brevi per fare meno fatica, piacciano proprio a tutti, in qualsiasi ambito. Che sia la cassa più veloce al supermercato, la strada più breve per tornare a casa o anche piccoli espedienti come il foglietto nella manica per copiare e prendere un voto più alto, le agevolazioni sono gradite un po’ a chiunque. Ci sono casi, però, che cambiano da persona a persona; ad esempio una cosa che io trovo più facile fare in un certo modo mia mamma lo preferisce fare in maniera diversa. Lei cerca di spiegarmi perché trova il suo modo di fare più pratico e veloce mentre io le espongo i vantaggi del mio metodo. Ogni volta non se ne viene mai a capo!
Vi starete chiedendo dove sto andando a parare questa volta...Ebbene, oggi mi rivolgo alle mamme ed in particolare ad una parte di esse: le genitrici con taglio cesareo. A voi che come me portate sulla pelle il segno della nascita dei vostri bebè è mai capitato di sentire una di queste frasi? - “Ah, hai fatto il taglio cesareo? Beata te! Così hai fatto alla svelta!“ - oppure - “ Eh beh, col cesareo ti sei evitata la noia dei punti là sotto!” - o addirittura - “Col cesareo ti eviti la fatica, fanno tutto i dottori e ti riprendi subito” - o la migliore di tutte - “Col cesareo non provi le stesse emozioni, non è partorire veramente!” - Se queste parole non sono mai arrivate alle vostre orecchie tanto meglio! Però sono opinioni ancora largamente diffuse anche se del tutto sbagliate!
Secondo me la cosa che conta veramente in ogni percorso intrapreso è il risultato e in questo caso non c’è esito migliore alla fine di questo “viaggio”: diventare mamma!
Forse alla base di queste teorie c’è una scarsa conoscenza di cosa è realmente il parto cesareo...Partiamo dal fatto che il parto cesareo è in tutto e per tutto un’operazione chirurgica, perciò in quel momento voi siete esattamente come l’omino col naso a lampadina del famoso gioco per bambini; tutto è in mano a medici e infermieri che hanno la responsabilità della vostra vita e del vostro bambino ed è per questo che prima di iniziare vi viene chiesto di firmare dei documenti. Dopodiché, dopo aver inserito dove di dovere un catetere, viene fatta un’anestesia, un tempo generale mentre ora locale, con tutti gli eventuali rischi che comporta e viene somministrato un antibiotico per prevenire il rischio di malattie. A questo punto viene praticata una bella incisione tra i 9 e i 15 cm, viene tagliata la pelle, la fascia muscolare che protegge i muscoli, i muscoli stessi vengono separati, si incide il peritoneo, poi l’utero e finalmente viene estratto il bambino, o i bambini come nel mio caso. Se state “assistendo” al tutto grazie all'anestesia locale, anche se un telo verde non vi permette di vedere dove i chirurghi stanno mettendo le mani, con l’udito potrete capire cosa sta succedendo...il rumore del divaricatore che si allarga, i ferri poggiati sul carrello, il medico che chiede gli strumenti all'ostetrica...come partecipare in prima persona ad un medical drama! Infine, dopo aver “ripulito” con l’ausilio di un aspiratore (che fa lo stesso identico rumore dell’aspira-saliva del dentista...), procedendo a ritroso si ricuce tutto, si mette un bel cerotto e la paziente è pronta! Facile no?! Un gioco da ragazzi! Come la ripresa post-operatoria del resto!
Perché non sfatiamo questo mito del cesareo come scorciatoia?
A chi dice che non è come partorire naturalmente dico che, quando nel silenzio della sala operatoria, una madre sente il primo vagito del proprio bambino le emozioni ci sono eccome! A me in prima persona sono cascate lacrime di gioia quando ho capito che le mie bambine erano nate ed ero senza parole quando me le hanno mostrate! Un’infermiera di sala operatoria mi ha confessato che durante le prime settimane della sua carriera a stento riusciva a trattenere le lacrime ogni volta che vedeva nascere una nuova vita.
A chi dice che così si evita l’episiotomia ricordo che nel parto naturale non sempre si rende necessaria mentre nel cesareo i punti non ce li leva nessuno. A volte son punti, a volte son graffette, in alcuni casi punti sottocutanei riassorbibili. VI assicuro che il dolore nel togliere quell'immenso cerotto lo ricordo ancora adesso ed io non avevo né punti né graffette da togliere! Non deve essere una passeggiatina di piacere nemmeno quello...Ah, aggiungiamo anche il livido per l’iniezione spinale e l’eventuale dolore lombare a completare il pacchetto...
A coloro che affermano che la fatica e i dolori ce li siamo scampati e che ci siamo riprese subito dico che avrebbero dovuto essere presenti e vederci e sentirci. Conosco personalmente mamme che sono arrivate in sala operatoria sfinite dopo ore e ore di travaglio e contrazioni, fisicamente e soprattutto moralmente distrutte, mamme che dopo l’operazione hanno faticato a riprendersi e sono rimaste in sala operatoria per molto tempo mentre i parenti fuori erano combattuti tra la gioia per il bebè arrivato e coccolato dal personale medico e l’ansia per la mamma che tarda ad arrivare, conosco chi ha fatto fatica a riprendersi per settimane, anche a casa, quando anche una cosa semplice come stare in piedi diventa impossibile.
Non dimentichiamoci di quei casi in cui “cesareo” sta insieme alla parola “d’urgenza”. Parte di coloro che portano sulla pelle questo segno hanno visto nascere, come me, i loro piccoli prima del termine e per quanto la gioia al ricordo della nascita delle mie bambine sia immensa non posso dimenticare la sensazione di panico misto ad ansia, una sensazione di sconfitta e d’impotenza, quando mi dissero che un cesareo d’urgenza era oramai l’unica cosa da fare. Non eravamo pronti, il papà non era lì per salutarci prima di entrare in sala operatoria. Ricordo i dolori, la raccomandazione di non spingere anche se ne sentivo l’istinto, i tentativi di farmi stare ferma per permettere all'anestesista di praticare l’iniezione lombare senza sbagliare, la frenesia del chirurgo che aveva fretta di tirar fuori Polpetta 1 che si stava facendo sempre più strada nel canale del parto.
Vi sembra ancora che questa sia la via più facile o la più breve? Il parto naturale è doloroso, faticoso, estenuante eppure c’è un motivo se si chiama così. E’ l’unica cosa al mondo che nel tempo non è mai cambiata, che da sempre si svolge alla stessa maniera. Se non vi sono complicazioni la natura fa il suo corso e il bambino nasce, quasi senza bisogno di alcun aiuto. Eppure dobbiamo ringraziare gli antichi Romani che anni e anni fa emanarono una legge per permettere che il ventre delle donne incinte decedute venisse inciso per salvare i piccoli innocenti da morte certa se il numero di gestanti e bimbi che sopravvivono grazie ad esso continua ad aumentare.
Per questo motivo non mi vergognerò mai di mostrare la mia cicatrice e quando le mie Polpette saranno un po’ più grandi e mi chiederanno “Mamma, cos'hai lì sulla pancia?” gli dirò che quel segno serve per ricordarmi meglio del giorno più bello della mia vita!
Esibite le vostre cicatrici con orgoglio, come un tatuaggio alla moda, e magari mentre passeggiate in bikini sulla spiaggia ne vedrete delle altre come la vostra e con quelle donne vi scambierete un sorriso e un fugace sguardo d’intesa.
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