#danzando sotto la pioggia
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Frasi ad effetto, auguri esplosivi, buona fine e migliore inizio, ora di bilanci... Potrei scrivere pensieri fortemente ispirati, ma ciò che quest'anno avevo da dire, l'ho detto ed è tutto contenuto in questo mio blog. Il mio anno è iniziato a maggio e finisce oggi. E, per citare una famosissima frase: "Dopotutto domani è un altro giorno" e si vedrà...
Grazie a Tutte le belle anime incontrate qui in questi mesi, che mi hanno letta ed emozionata.
Buona fine anno
#libere associazioni#parola di amante dei gatti#Rosella O'Hara#la ricchezza in tumblr#danzando sotto la pioggia#a passo di follia
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Alla fine
ti sei lasciata andare,
mia compagna delle notti.
Sei scivolata dentro la nebbia
nel freddo, nel buio,
ed ora
uno stupido cane da guardia
è padrone della mia quiete
che nel tuo grembo trattieni.
E’ vero dunque,
che non ci sarai
a Natale?
Mai più
collane di sogni e desideri
scenderanno danzando al tuo seno,
amore mio?
No.
Per te ora,
mia innocente puttana,
solo grasse regalìe
per separar le cosce
a qualche indulgente gemito.
Sotto quale nero cielo,
dimmi,
muore il canto che ci chiamava?
Sia questa lacrima
pioggia di marzo
sull’ultima neve caduta:
possa lavarti dai miei occhi,
mia Notturna Padrona.
Davide Piovesan, “Per mia Signora della Notte”
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Hammersmith Odeon, London 1975:
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Live in Houston 1978:
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JUNGLELAND
The rangers had a homecoming in Harlem late last night
And the Magic Rat drove his sleek machine over the Jersey state line
Barefoot girl sitting on the hood of a Dodge
Drinking warm beer in the soft summer rain
The Rat pulls into town rolls up his pants
Together they take a stab at romance and disappear down Flamingo Lane
Well the Maximum Lawman run down Flamingo chasing the Rat and the barefoot girl
And the kids round here look just like shadows always quiet, holding hands
From the churches to the jails tonight all is silence in the world
As we take our stand down in Jungleland
The midnight gang's assembled and picked a rendezvous for the night
They'll meet `neath that giant Exxon sign that brings this fair city light
Man there's an opera out on the Turnpike
There's a ballet being fought out in the alley
Until the local cops, Cherry Tops, rips this holy night
The street's alive as secret debts are paid
Contacts made, they vanished unseen
Kids flash guitars just like switch-blades hustling for the record machine
The hungry and the hunted explode into rock'n'roll bands
That face off against each other out in the street down in Jungleland
In the parking lot the visionaries dress in the latest rage
Inside the backstreet girls are dancing to the records that the D.J. plays
Lonely-hearted lovers struggle in dark corners
Desperate as the night moves on, just a look and a whisper, and they're gone
Live in Passaic, NJ 20/09/1978 (sub ita):
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Beneath the city two hearts beat
Soul engines running through a night so tender in a bedroom locked
In whispers of soft refusal and then surrender in the tunnels uptown
The Rat's own dream guns him down as shots echo down them hallways in the night
No one watches when the ambulance pulls away
Or as the girl shuts out the bedroom light
Outside the street's on fire in a real death waltz
Between flesh and what's fantasy and the poets down here
Don't write nothing at all, they just stand back and let it all be
And in the quick of the night they reach for their moment
And try to make an honest stand but they wind up wounded, not even dead
Tonight in Jungleland
The River Tour, Tempe 1980:
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Firenze 08/06/2003:
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GIUNGLA D'ASFALTO
I Rangers si sono riuniti ad Harlem ieri notte
E Magic Rat ha guidato la sua macchina tirata a lucido oltre il confine del Jersey
Una ragazza scalza è seduta sul cofano di una Dodge
Beve birra calda sotto la soffice pioggia estiva
Rat entra in citta', si alza i pantaloni
Insieme cercheranno di incominciare una storia d'amore
E scompariranno giù per Flamingo Lane
Bene, le Massime Autorità corrono giù per Flamingo
Alla ricerca di Rat e della ragazza scalza
E i ragazzi qui attorno sembrano come ombre
Sempre calmi, mano nella mano
Dalle chiese alle prigioni stanotte tutto è silenzio nel mondo
Mentre noi prendiamo il nostro posto giù nella giungla d'asfalto
La gang di mezzanotte �� al completo
E fissato un appuntamento per la notte
Si incontreranno sotto la gigantesca insegna della Exxon
Che manda questa buona luce di città
Amico, danno un'opera fuori sull'autostrada
E si combatte danzando giù nel vicolo
Davanti ai poliziotti locali Cherry Tops
Squarcia questa notte benedetta
La strada è viva mentre i debiti segreti vengono pagati
Si stabiliscono contatti, svaniscono non vist
iI ragazzi fanno luccicare le chitarre come fossero coltelli a serramanico si spingono per gli amplificatori
Gli affamati e i perseguitati esplodono nelle rock'n'roll band
Si fronteggiano l'un l'altro nelle strade
Della giungla d'asfalto
Nel parcheggio i visionari si vestono nella nuova rabbia
Nella strada secondaria le ragazze ballano
Ai dischi proposti dal DJ
Amanti con la tristezza nel cuore si dimenano negli angoli bui
Disperati, mentre la notte avanza
Solo uno sguardo
E un sospiro, e sono spariti
London Calling: Live in Hyde Park 2009:
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Sotto la città battono due cuori
Motori dell'anima corrono attraverso una notte così tenera
In una camera da letto chiusa in sospiri di leggeri rifiuti
E infine la resa nei tunnel dei quartieri periferici
Il sogno stesso di Rat lo colpisce come i colpi rimbombano nei corridoi nella notte
Nessuno guarda mentre l'ambulanza si allontana
O come la ragazza spegne la luce nella camera da letto
Fuori la strada è in fiamme in un vero carosello di morte
Tra ciò che è reale e ciò che è fantasia
E i poeti quaggiù
Non scrivono niente di tutto questo
Stanno solo alla larga e lasciano che tutto sia
E nel pieno della notte
Giunge il loro momento
E cercano di fare un'onesta figura
Ma si ritrovano feriti nemmeno morti
Stanotte nella giungla d'asfalto
Metlife Stadium, New Jersey 22/09/2012 (sub ita):
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Milano 03/07/2016:
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Circo Massimo, Roma 16/07/2016:
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#jungleland#bruce springsteen#e street band#born to run#1975#musica#musica rock#rock#classic rock#rock music
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La pioggia...Sono nata nella pioggia. Sono cresciuta sotto la pioggia. una pioggia fitta, sottile... di lacrime. Una pioggia continua nell'anima e nel corpo. Sono nata con lo scroscio della pioggia battente. E la morte, la Pelona, mi ha subito sorriso, danzando intorno al mio letto. Ho vissuto da sepolta ancora viva, prigioniera di un corpo che agognava la morte e si aggrappava alla vita. [...] Ho imparato nella pioggia a sopravvivere: alla barbarie di una vita spezzata, a me stessa dolorante e, infine, a Diego. -Frida Kahlo.
Viva la Vida - Pino Cacucci.
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E quando le nostre giornate colme da rumorose risate, verranno interrotte da spaventosi temporali, ti prometto che ti prenderò per mano e andremo a ballare sotto la pioggia.
Non saranno tutti giorni di sole, ma possiamo aspettare l'arcobaleno danzando.
E così faremo sempre: di ogni ostacolo un trampolino per volare più in alto.
EnneInfragilis
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Nessuno si salva da solo, dicevano. Tu salvi me, si sono detti.
A @brandyamber e alle sue magnifiche idee, senza di te questa storia non avrebbe mai avuto un finale.
Grazie, grazie mille. ❤
parte uno.
Inspira l’aria fresca che sa di pioggia e erba bagnata, Marco l’aveva portato in montagna. Non che a Ermal dispiaccia, assolutamente, ma preferiva di gran lunga il mare.
Sta sul balcone di legno di quella piccola baita, i gomiti appoggiati alla balaustra e una sigaretta accesa tra l’indice e il medio della mano destra. Aveva ricominciato a fumare per evitare di sentire il nervosismo che gli attanagliava il cuore, per evitare di sentire il tremore incontrollato delle sue mani. Per tenermi occupato si diceva.
L’aria frizzante di settembre era arrivata e aveva rinfrescato l’aria di quella torrida estate, il sole è alto oltre l’orizzonte e irradia la valle con la sua forte luce dorata. Ne è meravigliato. Soffia il fumo verso l’alto osservando i suoi fili grigi salire danzando.
Sente delle braccia stringersi attorno alla sua vita, sobbalza leggermente. Non era più abituato a quel tipo di contatto ed ogni volta che Marco lo sfiorava percepiva un certo disagio farsi strada nel suo cuore. “Hai dormito bene Erm?” sussurra posando il mento sulla sua spalla. Ermal annuisce appena, spegne la sigaretta nel posacenere nelle vicinanze e prende un respiro profondo, si volta verso il ragazzo osservando i suoi lineamenti, i capelli arruffati e il segno del cuscino sulla sua guancia destra. Gli sorride e Ermal può sentirsi meglio, può smettere di tremare nella sua presa. “Ti va di fare colazione?” e Ermal si schiarisce la voce, “Certamente.” ma il suo stomaco si era già chiuso al pensiero di dover per forza sedersi ad un tavolo e mangiare.
Marco era così premuroso nei suoi confronti, sapeva un sacco di lui e dei suoi progetti futuri e Ermal gli aveva aperto il cuore ma non l’anima, l’anima la teneva sotto chiave lontano dagli occhi della gente. Solo Fabrizio l’aveva attraversata, l’aveva vista e sentita, solo lui aveva curato quegli spigoli laceranti.
Fabrizio, non lo vedeva dall’ultima udienza, a fine giugno quando le giornate si erano allungate e il sole ancora non era calato alle otto di sera. Quel pensiero gli attanaglia il cuore ma lo respinge, ora è con Marco. Ora deve sentirsi felice. Gli lascia un bacio a fior di labbra, leggero, fugace osservando poi la reazione dell’altro che, sotto a quel tocco, si illumina. Difficilmente Ermal gli dava un bacio, arido ancora di emozioni e pensieri positivi, e Marco non perde tempo. Fa incontrare di nuovo le loro labbra chiedendo il permesso per poter approfondire il bacio, lo fa passandogli la lingua sui denti bianchi di Ermal, questo freme ma lo lascia fare schiudendo di poco la bocca.
Ma quello che si trova a pensare è altro, se lo immagina. Fabrizio e le sue mani sulla sua schiena o tra i ricci sfatti, sulla pelle nuda e tra le cosce un po’ sudate, i brividi che corrono giù per la spina dorsale e i polmoni che bruciano perché mancava l’aria. Perché i loro baci erano così: passionali e da farsi mancare il respiro, pure negli ultimi mesi dove di amore non ce n’era più e ogni passione era scemata ricercando la carnalità e soddisfazione.
Con Marco, ora, è tutto diverso: c’è dolcezza, c’è voglia di scoprirsi ma Ermal non trova la passione. Lui non è Fabrizio. Lui non è Fabrizio. Quasi si mette a piangere perché quel bastardo non vuole andarsene dalla sua testa, perché lo tormenta ma non può che amarlo, non può che sentire che lui è stato davvero l’uomo della sua vita.
“Ermal, c’è qualcosa che non va?” chiede Marco abbastanza perplesso, l’altro tossisce slegandosi da quell’abbraccio e: “No Marco, la montagna mi mette sonno. Sono ancora stanco.” sussurra ridacchiando.
(...)
Il suo appartamento è inondato di scartoffie, non riesce più a venirne a capo. Ha troppi documenti inutili che non riesce mai a buttare via, ha trovato tra tutta quella confusione la sua pagella della seconda media. Ottimi voti, comportamento eccellente, il primo della classe e sorride un po’ ricacciandola nella cartelletta rossa in cui era custodita. E poi c’è quella cartelletta, quella blu, quella del divorzio. La lettera dell’avvocato spuntava dall’angolo, sulla copertina un post it bianco recita “Lunedì, ore 14.30” e l’ennesimo appuntamento, l’ennesima chiamata e l’ennesima volta in cui avrebbe dovuto vedere Fabrizio.
Troppi pensieri, prende il telecomando accendendo la tv, forse può pensare ad altro. Forse.
Lo schermo si accende sul canale tv di RTL, una speaker bionda saluta e in sottofondo il classico jingle della radio. “Buon pomeriggio Italia, sono le sedici e due minuti e oggi a Roma fa ancora caldo. Tra pochi minuti con noi avremo un ospite, un cantante che da poco sentiamo in radio. Un romano come me, trentacinque anni, mille storie e tanti tatuaggi sulla pelle, lui è Fabrizio Moro.” gli sfugge il telecomando di mano, il cuore batte nel petto e tenta di calmarlo facendo dei profondi respiri. Fabrizio Moro, il suo Fabrizio che gli aveva confidato di voler cambiare cognome se mai avesse dovuto sfondare nel mondo della musica. I Keane cantano Somewhere only we know e non ci può credere, sposta tutte le carte dal divano e si fa un posticino per sedersi, il cellulare stretto tra le mani e il cuore che non accenna a calmarsi.
E quando il videoclip finisce e viene inquadrata la classica sala rossa della radio lo vede. Bello, tanto bello con quel cappello calcato in testa e la camicia di jeans sbottonata, sorride alla speaker con quel velo di tensione negli occhi. Gioca con i bracciali per contenere il nervosismo, nota anche quello di corda nera che gli aveva regalato tempo fa. “Fabrizio ciao, come stai? Tutto bene?” apre la voce squillante della speaker, impacciato bofonchia al microfono aggiustandosi le cuffie: “Tutto bene, tutto a posto.”.
Ermal non vorrebbe seguire quell’intervista, vorrebbe cambiare canale. Non lo fa. Ascolta con un nodo al cuore le battutine che si scambiano, le domande sui suoi sogni e sui mesi chiusi in sala di registrazione per incidere quel disco tanto desiderato. “Ma adesso ascoltiamo un tuo estratto. Sai una cosa Fabrizio, mi sono emozionata la prima volta che ho sentito questa canzone.” Fabrizio ringrazia e sorride, un sorriso amaro per poi: “Sapessi quanto ho pianto io.”. “Ma dimmi un po’, a chi hai pensato mentre scrivevi questo pezzo?” e riconosce quell’espressione, quella che fa quando non vuole rispondere alla domanda, svia rispondendo solamente: “Alla persona più importante della mia vita.” e ad Ermal si mozza il fiato in gola.
La sala rossa scompare e al suo posto trasmettono il videoclip della canzone, Fabrizio seduto su di uno sgabello con una chitarra poggiata sulla coscia. L’ambiente è spoglio, grigio, solo un letto sfatto sulla sinistra e un tavolo con due sedie sulla destra. Su di esso una candela accesa.
Cercare un equilibrio ogni volta che parliamo e fingersi felici di una vita che non è come vogliamo Ermal non regge, ha il telecomando puntato verso la tv e il pollice sulla freccia per cambiare canale. Sono solo parole, le nostre e quante parole si erano detti? Quante promesse si erano fatti? Tante ma mai troppe.
E ora penso che il tempo che ho passato con te ha cambiato per sempre ogni parte di me. “Fabrizio, ti prego.” riesce a sussurrare a denti stretti
Tu sei stanco di tutto e io non so cosa dire, non troviamo il motivo neanche per litigare. “Ne avevamo troppi di motivi, troppi e tu te ne sei andato.” soffia ancora con una punta di rabbia nella voce.
Siamo troppo distanti distanti tra noi ma le sento un po' mie le paure che hai. “Le abbiamo condivise tutte le paure, Fabrizio.”
Vorrei stringerti forte e dirti che non è niente ed Ermal quasi glielo vuole urlare di raggiungerlo e stringerlo forte, vuole gridargli che non sono solo parole e che forse potrebbero aggiustare tutto ma ... piange.
Piange ed era troppo tempo che non lo faceva più, singhiozza scosso da tremori, la testa tra le mani e le lacrime calde che scorrono giù per le guance scarne e arrossate. Spegne la tv con un gesto improvviso, la spegne senza occuparsene poi più di tanto prendendosi la testa tra le mani. Inspira cazzo, inspira comanda a denti stretti, si passa il dorso della mano destra sugli occhi asciugando le lacrime rimaste impigliate tra le lunghe ciglia.
Guarda l’orologio che porta al polso, rimane per due minuti a fissare il televisore spento, nero. La testa che gira in maniera incontrollata, quasi folle, mille pensieri, mille problemi. Ma di una cosa è sicuro, solo una per cui farebbe pazzie. Lancia la cartelletta blu sul tavolo e raggiunge l’appendiabiti, infila il chiodo di pelle e spalanca la porta.
Si è sempre sentito soffocare nel mezzo della folla, non è a suo agio nel mezzo di una quarantina di ragazzi e ragazze fuori dalla sede centrale della radio. Tutti fremevano sperando che il cantante uscisse da un momento all’altro, che passasse per un saluto e un paio di fotografie, Ermal si tiene a debita distanza ed osserva da lontano quella felicità che invadeva gli occhi dei fan che lo attendevano impazienti. Tiene il telefono tra le mani e il numero di Fabrizio già inserito sulla tastiera numerica, trema e sente il cuore battere come un dannato.
“Ragazzi fatevi da parte.” e Ermal fa scattare lo sguardo verso il cancello d’ingresso, un paio di uomini della sicurezza lo tengono aperto e Fabrizio sgattaiola fuori salutando i ragazzi, fa un po’ di foto, abbraccia e firma un paio di copie del suo cd. Il riccio rimane in silenzio osservandolo, le labbra incurvate in un sorriso genuino e gli occhi nocciola che si strizzano quando rideva di gusto.
“Fabrizio.” chiama ma si accorge che fin troppa gente attorno a lui lo sta chiamando, ci riprova alzando la mano nella sua direzione, alza la voce, si sporge ma non gli riserva uno sguardo. “Bizio!” e il tono si fa quasi disperato, urgente, questo alza lo sguardo dal disco che stava firmando, cerca e gli occhi fanno passare ogni singola persona davanti a lui, lo vede alzarsi sulle punte e, disperato, guardarsi attorno finché i loro sguardi non si scontrano e incontrano.
Dura poco perchè lo chiamano insistentemente dalla struttura, ma non lo molla con lo sguardo. Meravigliato, sorpreso, sbigottito e mille altre emozioni si ingarbugliano nello stomaco del riccio. Fabrizio se ne va, ancora il suo numero composto e il dito sul tasto verde. Si sente abbandonato, lì fermo mentre i ragazzi lasciano il posto e, sorridenti, se ne tornano a casa. Sente gli occhi pizzicare e un forte senso di nausea che gli attanaglia lo stomaco e la gola, è ancora solo. Solo come a cena quando Fabrizio stava in studio fino a tardi, solo come quando pioveva a dirotto e lui lo stava aspettando fuori dallo studio del suo avvocato.
“Tu sei Ermal?” e torna al presente, guarda quell’energumeno vestito di nero oltre l’alto cancello. “Mi rispondi o no?”
“Sì sono io.” sputa piccato, gli fa cenno di seguirlo lasciandogli uno spazio per entrare. Ermal stacca il cervello, deve aver chiesto di me. Scivola all’interno della struttura, tra quei corridoi rossi pieni zeppi di foto e firme di personaggi famosi, “Accomodati qua.” e Ermal guarda l’uomo lasciarlo solo in una stanzetta rossa con un paio di divani.
“Ermal?” si gira di scatto, “Cosa ci fai qui?”
“Fabrizio, ascoltami ti prego.” sputa con la sensazione di dovergli delle scuse, con la paura che non lo ascolti e lo molli in quella camera da solo. “Fabri, non sono solo parole, non lo sono.” sputa.
“Sono i gesti, sono le attenzioni che mi hai sempre riservato, sono le innumerevoli ore a tenermi testa e a litigare ma poi fare l’amore. Scusa se ho sbagliato, scusa per ogni capriccio, ma davvero tu hai cambiato ogni parte di me, non voglio essere distante da te, non lo voglio più.” singhiozza.
“Hai- hai sentito la canzone?” si avvicina Fabrizio levandosi il cappello. “L’hai ascoltata?” e Ermal annuisce, fa sì con la testa.
“Scusami.” fa Fabrizio. “Scusami perchè è stata anche colpa mia.” e ancora una volta sono distanti, l’uno dall’altro. Si studiano come due animali in gabbia, da lontano, timorosi di compiere ancora un passo falso. Si cercano con gli occhi, cercando di interpretare le emozioni dell’altro. Farà male il distacco? Farà male tornare a casa stasera con la consapevolezza di essere stato in sua compagnia? Farà male dormire questa notte?
“Ermal, ascoltami. Ricominciamo.”
“Ho paura.” lo interrompe prontamente. “Non devi, non devi più.” e nel tono di voce di Fabrizio c’è un non so che di supplica. “Ho paura che faccia male.” pronunciò Ermal muovendo un passo nella sua direzione.
“Non farà male, non lo farà più.” singhiozza. Poche volte l’ha visto crollare, ma mai come in quel momento. “Te lo prometto Ermal, te lo prometto. Ti amo e non ho mai smesso di farlo, ho sempre avuto paura di perderti finché non è successo davvero.”
Ermal si allunga e intrappola le labbra dell’altro in un bacio che si scioglie sotto il tocco gentile del marito, gli posa le mani sui fianchi alzando di poco la maglietta e toccando la pelle bollente dell’altro. Lo bacia, si baciano con l’aria che brucia nei polmoni, con le mani che si cercano e scorrono lungo tutto il corpo.
“Nessuno si salva da solo.” soffia Ermal sulle labbra morbide di Fabrizio.
“Tu salvi me.” gli risponde.
Spero di essere stata all’altezza, come al solito.
Un abbraccio come al solito.
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Felice di essere come sono, spero sempre di migliorare danzando anche sotto la pioggia. -Lucia Quarta #pioggia #rain #ballare #dance #danceunderrain #ballaresottolapioggia https://www.instagram.com/p/Bs7fRudnYbI/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=uk904pvdppfs
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Ti piace la pioggia🤔🌧?
La pioggia. il suo profumo, il suo ticchettio! Ogni volta mi ipnotizzo davanti alla finestra a guarde tutte quelle goccioline d’acqua che cadono così leggiadre, come se stessero danzando insieme. Stare al caldo sotto le coperte ad ascoltare il fantastico rumore che produce, e quando cessa il paesaggio è stupendo, magico. Si percepisce ancora l’odore della terra bagnata dall’acqua che ha appena cessato di cadere, e in lontananza nascosto dalle nuvole si intravede l’arcobaleno. Ed è poi bellissimo corre sotto alla pioggia solo per bagnarsi, per sentirsi felici, liberi, vivi come non mai...Adoro la pioggia, mi fa stare bene...mi fa riflettere... 😊
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La pioggia... Sono nata nella pioggia. Sono cresciuta sotto la pioggia. Una pioggia fitta, sottile... una pioggia di lacrime. Una pioggia continua nell'anima e nel corpo. Sono nata con lo scroscio della pioggia battente. E la Morte, la Pelona, mi ha subito sorriso, danzando intorno al mio letto. Ho vissuto da sepolta ancora in vita, prigioniera di un corpo che agognava la morte e si aggrappava alla vita. Molte volte sono stata sigillata dentro bare di ferro e di gesso, ma... io resistevo, ascoltavo il mio respiro e maledicevo il lerciume del mio corpo devastato. Ho imparato nella pioggia a sopravvivere: alla barbarie di una vita spezzata, a me stessa dolorante e, infine, a Diego. Diego è come la mia vita: un lento avvelenamento senza fine, tra gioie di sublime intensità e abissi di angosciosa disperazione. Eppure... amo la vita quanto amo Diego. E a volte, confondo l'odio per questa vita d'inferno con l'odio per Diego che mi trascina all'inferno e poi mi aiuta a uscirne. Lui mi ha ridato la forza per superare l'angoscia e nell'angoscia mi ha risprofondato mille volte. Ma so che l'angoscia è dentro di me: Diego è solo la scintilla che la scatena. Ogni giorno, ogni notte... Ho amato Diego. L'ho odiato. È stato la causa e l'effetto. Il sole e la luna. Il giorno e la notte. Diego, la mia vita e la mia morte. La mia malattia, la mia guarigione. La mia coscienza. Il mio delirio. La linfa più dolce, il deserto più desolato. La mia arsura e la mia pioggia. La fede in me stessa e il disprezzo per come mi sono lasciata martoriare senza porre un limite.
Pino Cacucci, ¡Viva la vida!
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Tempesta.
Mi hai lasciata
da sola
senza ombrello
nella tua tempesta.
Armata di
un solo cervello
e di mille pezzi
di un cuore
in frantumi,
ho aspettato la fine
danzando
sotto a quella pioggia
aggressiva
aspirando alla pace.
@poesie-mai-lette
#tempesta#poesie-mai-lette#poesie#comefogliadautunno#cuore infranto#cuore spezzato#pace#pensieri#mi hai lasciata sola
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"danzando sotto la pioggia" #rome #angelomai #antoniotaormina artista
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“E cos’è la vita se non un cabaret dove lacrime e risa sono un’unica onda?”. Il giovane Nabokov, l’anima russa e la magia dell’arte che trae meraviglia dalle cose semplici
Mi incanta la prosa degli autori alle prime armi. Ora questa raccolta di Nabokov saggista, Think, write, speak (ne avete letto qui) mi sfida.
*
Nabokov ha 24 anni quando compone su tre fogli il saggio che mi interessa. S’intitola Risata e sogno. Il nostro eroe aveva tradotto a 23 anni Alice nel Paese delle meraviglie. A 22 si era divertito invece con la prosa ‘da gnorri’ di Romain Rolland, un precursore di Terzani.
*
Due incisi rapidissimi. Primo. Nabokov maturo sarà altra cosa: poche traduzioni, poche poesie in confronto ai suoi vent’anni. Mentre da giovane leggeva in lingua, si snervava per lo stile orrendo di Stendhal e componeva poesie a pioggia. Secondo. C’è una crasi tra Nabokov giovane e la sua versione matura? Esiste una linea di sutura interna al suo periodo russo, invece della consueta metamorfosi impostagli dell’emigrazione in USA?
*
Ma cos’è maturità? È tutto, come voleva Shakespeare? Ripeness is all? È quindi è tutto qui?
*
Il filologo ci direbbe ora che dal saggio giovanile Risata e sogni al romanzo adulto di dieci anni dopo, Kamera obscura, poi passato in inglese come Una risata nel buio, il passo è lungo. Io tendo a credere invece che nel suo pezzo giovanile siano i germi e i batteri di quel che sarà dopo. E quindi dal saggio giovanile si arriva dritti dritti alla prosa poetica di Lolita. La trama è sempre quella…
*
Ogni pezzo giovanile è macchiato: anche se l’autore è di ottima famiglia, come il conte Vladimir, c’è comunque sempre un alito di fastidio nella prosa dello scrittore as a young man. Un tentativo di capire. Di andare per le spicce.
*
In conclusione, consigli per il lettore giovane di Nabokov: andare in una città hipster come Firenze – portarsi in un posto dove la gente legga veramente tanto – prendere un blocco di romanzi di Nabokov in biblioteca e uscirne con questa sporta sotto braccio come se si arrivasse da una macelleria – sentire una voce da Cuba, dal Cile o dall’Asia – cominciare a scrivere. (Andrea Bianchi)
***
Vladimir Nabokov, Risata e sogno
Arte è meraviglia permanente, una magia col trucco per mettere insieme due e due e farne un cinque, o un milione, o magari farne uno di quei numeri giganti e voraci che danno la caccia alla mente e la intimoriscono fino al delirio distorsivo dell’incubo matematico. L’arte afferra con foga le cose semplici del mondo e le mescola per farne forme meravigliose, le imbeve di colori, ricava Madonne dalle fioraie fiorentine e trasforma in grandi sinfonie i tenui canti degli uccelli e dei ruscelletti. Le parole di uso comune, i nostri piccoli sogni e le preoccupazioni divengono qualcosa di magico sul palco quando l’arte, la magia favolistica, dà un tocco di rosso alle labbra della nostra vita. Chè l’arte sa che non v’è nulla di semplicissimo, nulla né di assurdo né di orribile che non possa sotto una certa luce scivolare e finire dentro la bellezza, e l’arte russa tra le altre è stata particolarmente abile da questo punto di vista.
*
Quando mi esprimo così non penso a gente come Gogol’, quel genio del grottesco che era in grado di trovare il segreto della commedia sublime nella pozza di fango di un piccolo borgo depresso o nelle fattezze dei chierici di provincia che hanno urgenza di flatulenze; né penso alle passeggiate oscure di Dostoevskij attraverso i reami del distorto e della follia. Vorrei parlare, invece, di un palco che sta a mezzo di queste vicende.
*
L’animo russo è ricco del potere di insufflare vita nelle varie forme d’arte che trova nelle altre nazioni; andò così col cabaret francese (un rendez-vous di poeti, attori e artisti), senza perder nulla della sua leggerezza e del suo tocco brillante. Ma nel far ciò il cabaret prese un netto sapore russo. Il folklore, le canzoni e i giocattoli altrui furono richiamati a nuova vita producendo l’effetto delle curve a lacca e di quei sentieri arricchiti di colori che sono associati, nei miei pensieri, col primo blu del giorno primaverile russo. Ricordo bene quei giorni e quella fiera lieta, Verba, simbolo vivente della felicità tremolante della nostra terra. Cumuli umidi di batuffoli, carpinifolia non ancora bionda ma color grigio perla e intagliata nel colore insalubre della campagna; tutto poi era portato in città e venduto lungo i boulevard, in file doppie di stand in legno allestiti per l’occasione. L�� circolava un flusso infinito di gente che comprava e il rosso porpora brillante e appiattito del fango sotto i loro piedi era riverberato dai coriandoli che la gente lanciava per aria. Venditori in grembiule urlano i loro prezzi – indiavolati in stretti abiti di cotone tutti rattoppati come scudi da far leggere al cartomante.
*
Ancora, rivedo palloncini rossi sformati che si sgonfiano e poi tubi di vetro riempiti di alcol colorati dove danzano i diavoletti come fossero in una bottiglia verde dove la membrana di gomma indiana venga schiacciata sul suo fondo. E agli stand, sotto il drip drip delle betulle marrone sprizza il sole di marzo e altre merci ancora sono esposte, creme di wafer e dolcezze europee, pesci dorati e canarini, crisantemi artificiali e scoiattoli di stoffa, maglietti di fine tessuto, fusciacche e bandane, armoniche e balalaiche e giocattoli, giocattoli e ancora giocattoli. Tra i miei preferiti c’era un set con una dozzina di baba, di donne del popolo, ognuna di un goccio più piccola della prossima e incastrata dentro l’altra così che stavano bene tutte insieme.
Amavo moltissimo un giocattolo fatto di due personaggi intagliati, un orso e un contadino. Erano fatti per andar l’uno contro l’altro quando fosse azionata un’incudine di legno. E c’erano anche figure eccentriche dipinte a colori vivaci, con piccole figure a rilievo sui fianchi, ed erano in piombo e pesanti sicché non c’era nessuna mano in grado di farle giacere su un fianco – sempre si sarebbero ributtate verso l’alto con un’energica oscillazione… e in mezzo a questi rollii c’era un liscio cielo blu e tetti bagnati che riverberavano come specchi e il ding dong dorato delle campane di chiesa che si mischiava con le grida della fiera…
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Questo mondo di giocattoli, colori e risate, o per meglio dire l’impressione condensata di quel mondo, è stata magicamente rivissuta sul palco dei cabaret francesi. Ho parlato di Verba solo per mostrare quel che intendo quando parlo di ‘romanzare’ nel folklore russo il quale è espresso da questi giocattoli in legno, brillanti e ben piallati. Questi giocattoli sono stati creati per vivere e danzare sul palco. L’arte ha aperto loro l’anima stessa delle splendenti sfumature di un tramonto. Ma questo non è tutto. V’è infatti un’altra bellezza profonda, un altro incanto dentro la Russia… Infatti il cabaret è essenzialmente una varietà artistica, un’espressione di altri modi e temperamenti, di risata e sogno, di brillar di sole e foschia e questo tipo di bellezza è stata lei pure resa dall’arte. Ché se i colbacchi russi e le cupole sono meravigliosamente colorati in tinte brillanti c’è infatti anche un altro lato dell’anima russa espressa da Levitan in pittura e da Puskin (e altri) in poesia. Ed è quel triste e nebbioso movimento d’anche, destra sinistra destra sinistra, tipico dei canti nazionali, “i più teneri sulla terra”, per usare le parole del poeta inglese. Suonano, quei canti, lungo strade deserte al tramonto sulle rive di fiumi enormi. A questo si aggiunge lo strano charme della pallida luce nordica che schiocca come un fantasma attraverso la città, anch’essa fantasma.
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Forse più giù ancora v’è un’intensità mistica in questo amore da viandanti. L’amore zingaro.
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Perciò allo spettatore viene da ridere e sognare. Una cosa e l’altra. Soldatini in legno, bambole dalle facce arrossate, muzik valorosi che sembrano dei samovar con la barba scorrono danzando davanti ai nostri occhi e infine questo intero romanzo dalla faccia pallida passa come un vento cantando di notti insonni e terre lontane. E cos’è la vita stessa se non un cabaret dove lacrime e risa sono un’unica onda di magnifici tessuti multicolori?
Vladimir Nabokov
*traduzione di Andrea Bianchi
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All’Attilio Pavesi di Fiorenzuola è già festa grande: “Salutate la capolista”, questo l’ultimo coro al fischio finale quando la squadra rossonera festeggia la propria vittoria sul Montevarchi, saltando e danzando sotto il settore con la propria tifoseria. Sono voluto partire dalla fine proprio perché è stato il momento più significativo della partita, in una giornata molta fredda con il manto erboso che ha risentito della fitta pioggia dei giorni passati: per mia fortuna l’impianto piacentino dispone di un velodromo ancora in uso (famosa la “sei giorni delle rose”, competizione di ciclismo che si disputa annualmente in loco), cosa che mi permette di poter assistere alla partita senza sprofondare nel terreno.
Con mia sorpresa, la tifoseria di casa è presente con tanto di bandiere, tamburo e stendardi, molti dei quali rudimentali, fatti al volo con bombolette e vecchie lenzuola, ma tale impegno è sempre piacevole e preferibile al nulla degli anni scorsi. Sono appesi nell’ordine US Fiorenzuola 1922, #cproviamo, Noi C crediamo, Ultras 9 bosio gol e Sesso droga e Fiorenzuola. Con l’ingresso delle squadre in campo eseguono una coreografia con un fumogeno di color nero e uno rosso, sventolando qualche bandiera. Durante la partita però manca il tifo, i cori vengono eseguiti saltuariamente, mentre al gol del vantaggio esultano con l’accensione di una fiaccola.
Non è così per la tifoseria ospite, molto più organizzata: arriva con un pullman e la presenza numerica si attesterà attorno alla 50ina di unità. Si posizionano nella stessa gradinata dei tifosi locali divisi dagli stessi da una rete, anche se poi l’utilizzo dei servizi, bar e toilette sono comuni con tutta la gradinata. Propongono un bel tifo per tutti i 90 minuti, accompagnati dal tamburo ben scandito eseguono ottime manate in cui anche il bandierone ASSENTI PRESENTI sventola a tempo. Propongono una sciarpata solo a fine partita, quando la squadra andrà a ringraziarli per questa presenza in terra piacentina.
Fra i montevarchini si segnala inoltre una delegazione della Curva Nord di Parma, a cui i rossoblu – in appoggio all’iniziativa dei Boys, hanno consegnato materiale di prima necessità per la popolazione di Lentigione (RE) colpita in questi gironi dall’alluvione.
Giovanni Padovani
Fiorenzuola – Montevarchi, Serie D: per gli alluvionati di Lentigione All’Attilio Pavesi di Fiorenzuola è già festa grande: "Salutate la capolista", questo l’ultimo coro al fischio finale quando la squadra rossonera festeggia la propria vittoria sul Montevarchi, saltando e danzando sotto il settore con la propria tifoseria.
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Michelin Historic Rally Cup: danzando sotto la pioggia al Memorial Conrero
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RALLY STORICI www.rallystorici.it [email protected]
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Fooga & Nico, "Gente di passaggio": la recensione
Uscirà il 20 marzo, edito da La Clinica Dischi, il disco d’esordio di Fooga & Nico dal titolo Gente di Passaggio. Nove canzoni ricche di istinti folk e ispirazioni d’autore, con una certa voglia di ribellione alla base. Così lo racconta il comunicato stampa:
“E’ un disco che vuole raccontare questo periodo di transizione tra due millenni, forse tra due epoche, tentando di metterne in rilievo luci e ombre: il disagio delle nuove generazioni, l’amore ai nostri giorni, la condizione di chi è costretto a gesti eclatanti, come arrampicarsi su una gru, per gridare l’ingiustizia di un’esistenza insostenibile e poi ancora la ricerca del futuro, la follia, la necessità del cambiamento.
Un tentativo non solo artistico e culturale, ma anche “umano”, di non farsi travolgere da questo assurdo presente, anche per un istante soltanto, per poterlo guardare negli occhi e metterlo a nudo, raccontandolo attraverso le parole e i diversi sviluppi musicali che ne seguono. Spicca il rapporto della band, e di Nico in particolare, con la propria generazione, che viene in qualche modo provocata e definita, appunto, “gente di passaggio”, “generazione dimenticata, qui ferma, incatenata”, di cui l’autore stesso si sente parte integrante, trasformando la critica in autocritica”.
Fooga & Nico traccia per traccia
Impronte sulla neve apre il disco con buone dosi di pathos: il testo parla di situazioni del contemporaneo, dalla Val di Susa a Baghdad, mentre la musica è quella di una ballata folk piuttosto ardente. Più tranquilla, almeno nei modi, Danzando per le strade (la notte), non proprio una Dancing in the streets, piuttosto una ballata di chiara ispirazione folk con molto in comune con cantautori e band italiane del genere.
Il lato oscuro si impernia su un giro di basso piuttosto vivace, per un pezzo piuttosto appuntito. Si torna a istinti folk morbidi con La Follia, che pure accoglie una chitarra elettrica capace di qualche ricciolo, qui e là.
Fisarmonica e atteggiamento narrativo per La Cartomante, che danza con calma e ritmo. Incalzante, acustica e battagliera Neanche un rimorso (a Jules B.), costruita in modo classico e piuttosto epico. Sorprendente l’evoluzione di Gente di passaggio, la title track: si apre con una prima parte “normale”, con una canzone rock-pop dagli atteggiamenti rivoltosi, salvo poi approdare a una sorta di suite quasi progressive, con varie fasi e diversi cambi di ritmo.
La morbidissima Sotto la pioggia invece si mantiene in canoni molto standard e soft. Si chiude con la session Anno 2010 (studio live version), un’escursione in campo jazz, ma con esiti folk e l’attualità come tema del testo (come spesso nel resto del disco).
Disco con qualche spunto di buon interesse, quello di Fooga & Nico. Un esordio che punta all’intensità e raggiunge spesso i propri obiettivi, regalando anche qualche pennellata sorprendente qui e là.
Se ti piacciono Fooga & Nico assaggia anche: Modena City Ramblers
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