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Clementine Antiviolenza: Solidarietà e Consapevolezza contro la Violenza sulle Donne
Confagricoltura Donna e il 25 novembre: un gesto simbolico per un grande cambiamento
Confagricoltura Donna e il 25 novembre: un gesto simbolico per un grande cambiamento In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre, Confagricoltura Donna Piemonte e Alessandria, in collaborazione con Soroptimist International, Fidapa Italy e altri partner, organizza una significativa iniziativa di solidarietà: la distribuzione delle…
#Acqui Terme#Agricoltura#Alessandria#Alessandria today#azioni solidali#Beneficenza#cambiamento sociale#clementine#Clementine antiviolenza#Comunità#Confagricoltura Donna#Consulta Pari Opportunità#Cristina Bagnasco#cultura della non violenza#donazione#Donne imprenditrici#empowerment femminile#Eventi Locali#Fidapa Italy#Giornata internazionale contro la violenza#Google News#iniziative benefiche#italianewsmedia.com#lotta contro la violenza#Me.dea#Michela Marenco#Novi Ligure#Paola Maria Sacco#partecipazione.#Piemonte
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« Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L'onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l'ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole.
Si batté fino all'ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su sé stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell'infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l'omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.
Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose, primavera del '24, primavera del '44, proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista.
Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così.
Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Dopo aver evitato l'argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l'esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola "antifascismo" in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell'anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola - antifascismo - non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana. »
- Antonio Scurati
Monologo (censurato dalla Rai), ma qui per condividerlo perché: antifascismo sempre!
#antonio scurati#antifascismo#nervi tesi fasci appesi#fasci appesi#viva l'antifascismo#25 aprile#censura#rai merda#giorgia meloni#democrazia#giacomo matteotti#italia#fasci merda
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Ecco il testo integrale del monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile, censurato dalla Rai:
"Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini.
L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole.
Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.
Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.
Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?
Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra.
Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana".
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Questo uomo no, #141 - Quello che secondo lui il patriarcato non esiste più
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Premessa importante: questo testo non è "contro" un ministro ignorante che dice ingiuste e violente inesattezze in una sede istituzionale intervenendo neanche di persona a sproloquiare di cose che non sa, in modo quantomeno inopportuno. Quanto successo alla presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin in Senato è già successo innumerevoli volte, e succederà ancora per molto tempo. Questo testo è l'ennesima ripetizione di cose già sapute e stabilite scientificamente da chi studia le questioni di genere e i femminismi da decenni, e che ripete a ogni occasione perché questo è il suo lavoro: la ricerca e l'azione volte a dare strumenti per risolvere problemi sociali gravi e inderogabili e a puntualizzare concetti importanti per quella ricerca e quell'azione.
"Il patriarcato è finito nel 1975, con la riforma del diritto di famiglia" non è una opinione nuova, è una vecchia ignoranza che in molte forme diverse va in giro appunto dal 1975, sostanzialmente per due motivi. 1) Un punto temporale indietro nel tempo - il '75 è cinquant'anni fa! - fa sembrare questo argomento vecchio, datato, superato, e insieme a lui i femminismi che lo combattono. La realtà è che se intendiamo il patriarcato come modello politico-sociale che informa le leggi del nostro paese, è nel 1981 che viene abolito il delitto d'onore, è nel 1996 che lo stupro è classificato reato contro la persona e non contro l'onore. In più, se anche per le questioni di violenza possiamo fermarci al 1996, il patriarcato è presente nelle leggi del nostro paese in molti altri luoghi dei codici: le leggi sulla cittadinanza basate sul sangue sono leggi patriarcali, le leggi che regolano l'eredità sono patriarcali, la presenza nei nostri codici dell'espressione "buon padre di famiglia" con valore regolativo è patriarcato. Nel '75 sono finite tante cose nelle leggi italiane, ma il patriarcato no. 2) Il secondo motivo riguarda la strumentalizzazione del termine patriarcato, che da questione culturale si cerca di chiuderlo a questione legislativa. Questo è l'esempio di uno dei modi tipici di invalidare le critiche femministe e gli studi di genere: delimitare la complessità della parola patriarcato a un significato, a un solo ambito disciplinare. Si usa l'antropologia per dire che il patriarcato è un modello familiare ormai scomparso dalle nostre società; si usa la storia per rinchiuderlo in tempi lontani e civiltà remote; si usa l'etimologia per sostenere la sua inconsistenza, dato che la figura paterna ha perso potere rispetto a quella materna, la maschile rispetto a quella femminile; si usa la linguistica per sostenere che il termine è inadeguato alla complessità e alle trasformazioni della famiglia e della società contemporanee. E così via, pur di limitarne l'unico uso sensato in queste questioni: l'uso che ne fanno, da qualche secolo, i femminismi e gli studi di genere.
Il patriarcato è il nome di una relazione di potere tra esseri umani o tra istituzioni umane basata su valori sociali comunemente e tradizionalmente associati a ciò che, in una determinata cultura, viene considerato maschile. Questo è il motivo per cui: - il patriarcato non è un modo di "attaccare" o "accusare" gli esseri umani maschi, perché come forma di potere può essere usato (e nei fatti viene usato) da persone di qualsiasi genere; - il patriarcato non è il nome di una struttura sociale, di una relazione o di una forma espressiva (parola, locuzione, testo, opera d'arte), ma il nome del potere che viene usato - anche insieme ad altri - in quelle situazioni o in quelle espressioni. Quindi non esistono parole o azioni "patriarcali" da vietare, ma usi patriarcali di espressioni e situazioni che andrebbero evitate. - il patriarcato non è la "causa" della violenza di genere subita dagli esseri umani, ma il potere usato in tutte le forme di violenza di genere subite dagli esseri umani in maniera differente a seconda dei loro corpi e del loro genere. A questo proposito varrà la pena ricordare che questo è il motivo per cui non esiste alcuna "simmetria" tra la violenza di genere subita dalle donne rispetto a quella subita dagli uomini, e poi tra etero e non etero, e così via. Ogni particolarità di genere subisce forme di violenza di tipo patriarcale; 350 anni e più di femminismi permettono oggi di identificare e parlare con certezza di quelle subite da qualsiasi genere non sia l'uomo eterocis, mentre quest'ultimo genere continua, in tantissimi casi che capitano nella vita dei suoi membri, a non saperla neanche riconoscere, data l'assenza di una competenza diffusa proprio su questo aspetto specifico degli studi di genere: la maschilità. Ecco anche detto il perché in nessun senso il patriarcato è una ideologia, o può essere assimilato a un atteggiamento ideologico: il patriarcato è un fatto sociale esistente e funzionante nelle nostre società, e la sua esistenza è oggetto di studi e ricerche scientifiche da moltissimi anni, in tutte le sue forme (linguistiche, sociali, filosofiche, economiche, storiche). Può essere certamente ideologica, e di fatto lo è, la scelta di non occuparsene oppure sì, di non riconoscerlo oppure sì, di discuterne come fatto sociale del quale occuparsi nelle proprie vite oppure no.
Oppure ancora, come è stato fatto di recente seguendo un andazzo molto in voga tra le persone ignoranti e schierate contro i femminismi di ogni tipo, si può dichiarare che il patriarcato è finito e che ci sono in giro "solo" forme di maschilismo - ignorando il legame tra i due, che non sono sinonimi - e che la violenza di genere diffusa è dovuta anche all'immigrazione.
Dalle mie parti fare così si chiama "buttàlla in caciara", ed è il tipico atteggiamento di chi è ignorante e/o vuole ottenere credibilità e consenso spostando le argomentazioni altrove. Questo uomo no.
Probabilmente anche io, che studio queste cose a livello accademico dalla metà degli anni '90 e che da più di un decennio ne ho fatto un lavoro apprezzato e un'opera di divulgazione che ha aiutato moltissime persone, vengo considerato "ideologicamente schierato". Evidentemente, sapere le cose e usarle per il bene comune anche professionalmente adesso qualcunə preferisce chiamarlo così, sperando che ne possa rimanere fuori. Invece, anche se da diversi posizionamenti, o si conosce e affronta il problema, o si è parte del problema. Buon patriarcato a tuttə. P.S. per chi è più esigente, qui una mia bibliografia aggiornata a fine '23. Ci metto solo quello che leggo, studio e ho usato con risultati, quindi non ci sono pubblicazioni troppo recenti.
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quando ti danno del "fascista" può voler dire:
-che non riconosci altri generi oltre il M e la F
-che ritieni "vita" ciò che proviene dalla fecondazione
-che ritieni che i confini vadano difesi da invasioni non autorizzate
-che la cultura degli autoctoni vada conservata
-che socializzare le spese sociali per gli immigrati e privatizzare i vantaggi dei loro bassi salari è una paraculata dei padroncini
-che i tesori dei beni culturali della penisola appartengono al popolo ital. e non sono patrimonio dell'unesco
-che il sangue e la terra esistono
-che tutto quello che è stato mantenuto, difeso, costruito, (colture, sovrastrutture, arte) è stato realizzato da chi è venuto prima (antenati)
-che se vivi in un ambiente infestato da violenza ciò avvantaggia chi ha i soldi e si può difendere non i poveri.
Secondo te cosa rimane?
horusarcadia
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Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana
monologo di Antonio #Scurati sul 25 aprile, censurato dalla Rai
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Mandare le foto del proprio membro maschile alle donne
Ho voluto scrivere questo testo perché ho sentito troppo spesso, su Tumblr, parlare di foto non richieste mandate a molte donne del sito e del fatto che vengono trattate in generale come pezzi di carne.
Queste azioni causano disagio, ansia e persino traumi. Anche questa è violenza sulle donne, non è solo quella fisica, queste azioni sono irrispettose e vergognose. Non sono accettabili in nessun contesto. Educare gli uomini su queste questioni è molto importante perché purtroppo è una problematica molto diffusa e i casi non sono rari, quindi vorrei fare la mia piccola perte sperando che possa servire (anche se dubito).
È importante comprendere che trattare le donne come pezzi di carne anziché come individui con dignità e autonomia è una manifestazione del patriarcato e della cultura dello sfruttamento sessuale. Queste mentalità dannose perpetuano disuguaglianze di genere e contribuiscono a creare un ambiente in cui le donne sono oggetto di discriminazione quindi perché lo fate? Vi sentite più uomini? In realtà la maggioranza delle donne non sono interessate a queste foto e si sentono “oggetti” dopo averle ricevute. Siccome non vi hanno dato il consenso dovete evitare e avere rispetto.
Rifletteci per favore
Ps: Ovviamente è rivolto a chi lo fa quindi non prendetelo sul personale. Ho voluto parlarne perché nessuno le parla e lo trovo molto ingiusto
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" In fondo, il nostro problema intellettuale è che noi amiamo l’America. Gli Stati Uniti sono stati uno di quei paesi che hanno sconfitto il nazismo, ci hanno mostrato la strada da seguire per la prosperità e la distensione. Se vogliamo accettare pienamente l’idea che oggi stiano tracciando la strada che porta alla povertà e all’atomizzazione sociale, è indispensabile ricorrere al concetto di nichilismo. Quanto alle ragioni tecniche, un’altra cosa che mi spinge a utilizzare questo concetto è la constatazione che i valori e il comportamento della società americana sono oggi profondamente negativi. Come per il nichilismo tedesco […], questa negatività è il prodotto di una decomposizione del protestantesimo, solo che non si verifica allo stesso stadio.
Il nazismo apparve nella sua prima fase dopo che, tra il 1880 e il 1930, il protestantesimo ebbe cessato di essere una religione attiva. Il nazismo corrisponde a un’esplosione di disperazione durante la sua fase zombi, a un’epoca in cui i valori protestanti, positivi e negativi, continuavano a persistere nonostante il venir meno della pratica religiosa. La fase zombi del protestantesimo americano è stata complessivamente positiva. In linea di massima va dalla presidenza di Roosevelt a quella di Eisenhower, e ha visto la nascita dello Stato sociale, delle università che assicurano un insegnamento esteso a tutti e di qualità e il diffondersi di una cultura ottimistica che ha conquistato il mondo. Questa America aveva recuperato i valori positivi del protestantesimo (alto livello di istruzione, egalitarismo tra i bianchi) e stava cercando di liberarsi dei suoi valori negativi (razzismo, puritanesimo). La crisi attuale corrisponde, viceversa, all’approdo allo stadio zero del protestantesimo. Ciò ci consente di comprendere al contempo sia il fenomeno Trump che la politica estera di Biden, tanto il deterioramento interno quanto la megalomania esterna, come pure le violenze che il sistema americano esercita sui propri cittadini e su quelli degli altri paesi. La dinamica tedesca degli anni Trenta e la dinamica americana attuale hanno in comune il fatto di essere animate dal vuoto. In entrambi i casi, la vita politica funziona senza valori, non essendo che un movimento tendente alla violenza. Rauschning definiva il nazismo non diversamente da ciò. Prima di abbandonarlo, fu membro del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP): questo conservatore, per così dire “normale”, non poteva tollerare la violenza gratuita. Nell’America di oggi vedo un pericoloso vuoto di pensiero e di idee, condito dall’ossessione per il denaro e il potere, i quali non possono essere in sé dei fini, dei valori. Questo vuoto conduce all’autodistruzione, al militarismo, a una negatività endemica: in sostanza, al nichilismo. "
Emmanuel Todd, La sconfitta dell'Occidente, traduzione di Alessandro Ciappa e Michele Zurlo, Fazi Editore, 2024.
[Edizione originale: La Défaite de l'Occident, Paris, Gallimard, janvier 2024]
#Emmanuel Todd#La sconfitta dell'Occidente#Alessandro Ciappa#Michele Zurlo#Storia contemporanea#Stati Uniti d'America#Donald Trump#Joe Biden#politica americana#geopolitica#relazioni internazionali#letture#leggere#libri#nichilismo#progresso#sviluppo#democrazia#libertà#civiltà occidentale#Hermann Rauschning#protestantesimo#intellettuali europei#Franklin Delano Roosevelt#Stato sociale#welfare state#warfare#razzismo#puritanesimo#saggi
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Testo del monologo di Scurati censurato dalla Rai
"Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola ‘antifascismo’ in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana".
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Si definiscono "antifascisti", ma censurano il pensiero altrui e approvano le limitazioni delle libertà personali.
Si definiscono "antirazzisti", ma sono gli unici a dare peso al colore della pelle, giudicando il prossimo in base ad esso.
Si definiscono "democratici", ma scavalcano le elezioni e sognano la fine delle sovranità nazionali.
Si definiscono "tolleranti", ma attaccano con violenza chiunque non la pensi come loro, dal web alle piazze.
Si definiscono "progressisti", ma stanno cancellando tutte le conquiste in materia di libertà di espressione.
Si definiscono "acculturati", ma vogliono riscrivere la Storia a seconda della loro ideologia.
Si definiscono "rivoluzionari", ma agiscono, parlano e pensano sempre e solo come vogliono i grandi media.
Si definiscono "di sinistra", ma distruggono i diritti sociali dei lavoratori e hanno dalla loro parte le più potenti multinazionali.
Si definiscono "umani", ma sfruttano i migranti come manodopera a basso costo nei campi e santificano gli scafisti.
Si definiscono "competenti", ma a furia di andare loro dietro l'Italia si è impoverita e deindustrializzata.
Si definiscono "cittadini europei", ma dell'Europa disprezzano la Storia, la cultura, le radici e i popoli.
Si definiscono "cittadini del mondo", ma sognano un globo in cui tutto è omologato e appiattito in nome dei mercati.
Sono la parte peggiore dell'umanità e credono di essere l'esatto opposto.
Matteo Brandi
Pro Italia - Segreteria Nazionale
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Ritrovo vari post di qualche tempo fa mentre cerco riflessioni sulla violenza di genere, il patriarcato, il maschilismo e i femminicidi. Oggi è la giornata contro la violenza sulle donne, ma sono discorsi che volenti o nolenti ci ritroviamo in testa frequentemente, almeno se abbiamo l'occhio e l'orecchio attento alle notizie che arrivano dalla cronaca. Come parlarne è un problema che ogni tanto mi pongo: quali sono i termini giusti, quali sono ormai anacronistici, quali sono quelli più adatti ed efficaci nei vari contesti in cui si discute?
Ieri mia nipote a tavola ci raccontava che delle sue compagne (fanno la prima media) le hanno detto che mentre erano in giro in paese si sono nascoste da un gruppo di loro coetanei perché hanno sentito dire che uno di loro voleva picchiare una di loro. Quanto ci sia di vero o di verosimile non è dato saperlo, ma già interrogarsi sulla veridicità anziché avere pronta una risposta pragmatica mi pare sia un torto a loro e a me stessa.
Io ne ho avuti compagni e compagne stupidi, a quell'età, e non dubito che ci possano essere anche peggiori livelli di stupidità -e cattiveria- di quelli che ho incontrato io. L'unica che mi abbia mai fatto sapere che mi voleva picchiare è stata una ragazzina che pensava le avessi rubato uno spasimante. I ragazzini invece avevano le mani lunghe per altre ragioni, non solo con me, e ricordo che in classe volavano calci e pugni per evitare di essere palpate a sorpresa durante l'intervallo. Di dire qualcosa a prof o genitori non ci è mai passato per la testa, però. Era una cosa da risolvere tra noi.
Quanto sarà cambiata l'adolescenza? Cosa dirle, cosa consigliarle? Minimizzare non mi sembra la strada giusta. Forse a tavola non si può fare molto di più, a parte suggerire che forse è il caso di fare qualche lezione di autodifesa.
Cosa vuol dire essere una ragazzina oggi, cosa vuol dire essere un ragazzino? Quali compromessi sono richiesti per far parte di un gruppo, per non litigare, per non farsi mettere i piedi in testa, per non perdere la faccia? Cosa vuol dire diventare adolescenti, diventare piccole donne e piccoli uomini? È inevitabile questa distinzione, prima di poter essere semplicemente persone?
Non so, la femminilità è in gran parte un mistero anche per me, così come la partecipazione all'educazione di una persona: non sono madre, né sorella maggiore, queste sono le prime nipoti che fanno davvero parte della mia vita e spesso vorrei avere più tempo per essere loro vicina.
Vederle crescere e sapere quello che so della condizione delle donne nel nostro mondo, nel nostro tempo, nella nostra cultura, mi mette molta tristezza e molta ansia. A fare un confronto con qualche decennio fa o con qualche zona del mondo poco distante, mi sale il morale, ma il progresso è comunque troppo poco, e subito arriva anche la rabbia, della fatica e della frustrazione di tutta la strada ancora da percorrere.
Resistiamo e speriamo bene.
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Il discorso integrale di Gino Cecchettin al termine dei funerali della figlia Giulia, 22enne uccisa dall'ex fidanzato.
«Carissimi tutti, abbiamo vissuto un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio. Mi scuso per l'impossibilità di dare riscontro personalmente, ma ancora grazie per il vostro sostegno di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. La mia riconoscenza giunga anche a tutte le forze dell’ordine, al vescovo e ai monaci che ci ospitano, al presidente della Regione Zaia e al ministro Nordio e alle istituzioni che congiuntamente hanno aiutato la mia famiglia.
Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente,
un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà:
il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti. Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà
prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione
Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali.
Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso
e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.
È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente,
a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.
La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli.
Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza inizia nelle famiglie,
ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme
per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.
«Il vero amore non è ne fisico ne romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente
coloro che hanno il meglio di tutto,
ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,
ma di come danzare nella pioggia…»
Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia.
Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
Addio Giulia, amore mio.
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Che poi, il problema non è solo la violenza. Non è solo l’orrore, non è solo la prevaricazione, la mancanza di rispetto, la mancanza di amore, la mancanza di dignità, la mancanza di tenerezza, la mancanza di vergogna, la mancanza di un’educazione sentimentale di base, minimale, da definire banale se non fosse che, evidentemente, banale non è, anzi, è tutto l’opposto. Il problema è anche la cultura del “ti faccio vedere cosa so fare”. Ti faccio vedere fino a che punto arrivo, ti mostro, mi mostro, condivido, condividi, spartisco, mi aggrego, fammi contare qualcosa, guardami, guardami, guardami, guarda cosa so fare, dimmi che ti piaccio, dimmi quanto ti piaccio, e se faccio di più, ti piaccio di più? Come li supero, gli altri? Posso essere meglio, degli altri, lo giuro, ma tu guardami, giudicami se vuoi ma guardami, guardami a tutti i costi. Nella perversione dell’abuso, la perversione dello sguardo degli altri, e questa è un’altra delle tragedie a cui partecipiamo, quotidianamente, in questo turbinio visivo di automasturbazione antierotica. Non c’è sesso, non c’è desiderio, non c’è piacere, non c’è erotismo, non c’è nulla, o meglio c’è l’assenza di ogni cosa.
Mark Rothko, parlando dei futuri acquirenti dei suoi quadri, dei critici che ne avrebbero tessute le lodi, chiama in causa la volgarità del loro sguardo, è ossessionato e intristito da “quegli sguardi volgari” che si affacceranno alle sue opere, estensioni della sua anima, che pagheranno per averle e poterle ammirare, nelle proprie case, nelle proprie gallerie, ogni singolo giorno, che le faranno loro ma senza capire, senza comprenderle, senza comprenderlo, rozzamente, convinti di averle, di possederlo.
Non faccio che pensare alle sue parole in questi giorni.
Gli sguardi volgari.
Le mani volgari, le parole volgari, i messaggi volgari, la battute volgari, i cuori volgari, le anime, così dolorosamente volgari.
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«Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L'onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l'ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all'ultimo, come aveva lottato per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell'infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l'omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose - primavera del '24, primavera del '44 - proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l'argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l'esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola "antifascismo" in occasione del 25 aprile 2023)»
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Risuonano forti le parole lette in chiesa durante l’ultimo saluto a Giulia dal suo papà, Gino Cecchettin.
“Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria.
Allegra, vivace, mai sazia di imparare.
Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti.
Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita.
Come può accadere tutto questo?
Come è potuto accadere a Giulia?
Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione
Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere.
Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali.
Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne, e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possessoe all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.
È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro.
La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.
La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli.
Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza.
La prevenzione della violenza di gene e inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti.
Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere.
Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento.
La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne.
Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.
«Il vero amore non è ne fisico ne romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…»
Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma.
Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia.
Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotta questa pioggia.
Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano.
Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare.
E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
Addio Giulia, amore mio”.
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Racconti di viaggio - parte 3
Ultimo punto dell'India è: la tradizione e la famiglia.
L'India mi è parsa una Napoli del dopoguerra anche per questo: l'attaccamento che hanno nei confronti della famiglia è fortissimo. E il matrimonio è uno dei mezzi che hai per ringraziarla. Perché sei obiettivamente obbligato a sposarti, tant'è vero che se non ti riesci a scegliere un partner, ebbene, allora ci pensano loro (roba da 19mo secolo europeo proprio). La coppia sposata va a vivere a casa del marito, letteralmente, non nel palazzo come spesso si fa al sud che si va al piano di sotto o di sopra, nono, proprio nello stesso appartamento (che sono anche più piccoli dei nostri).
Il matrimonio dura diversi giorni, anche se mi hanno detto che la cosa è molto variabile. L'India, più che una nazione è un continente: non si parla la stessa lingua (l'inglese è la lingua comune ufficiale ma non la sanno parlare tutti), non si crede nella stessa religione e le variazioni nella stessa possono essere innumerevoli (peggio del cristianesimo). Il matrimonio a cui ho partecipato io è durato quasi una settimana, anche se io ho vissuto solo 3 giorni: il primo giorno cena con tutti i parenti di entrambe le famiglie; il secondo, meno formale, solo tra i propri parenti; il terzo, cena grande con tutti quanti e col rituale più importante che dura fino al mattino seguente. Ma ci sono state altre funzioni e rituali a cui non ho partecipato. Nota curiosa: nella cultura indù non esiste lo scambio di fedi. Però ci si scambia una corona di fiori che ha bene o male la stessa valenza.
I novelli sposi non si sono mai baciati o abbracciati per tutto il tempo. Probabilmente è dato anche dal fatto che spesso ci si sposa non per amore, ma perché ci si vuole bene, come se si fosse fratelli. Ed è già tanto se si considera che ci si debba sposare per forza.
Infatti anche nei film indiani le scene con baci o leggermente erotiche sono inesistenti e viene messo in scena solo una versione di amore puro, quasi infantile. Il sesso è ancora tabù e la donna deve ancora mantenersi vergine fino alla prima notte da sposa. Allo stesso tempo, lo stupro e la violenza sulle donne è ancora un problema serissimo e le donne che denunciano o che raccontano niente sono praticamente pochissime mosche bianche.
Questi sono i motivi principali per cui l'India è una potenza economica ed è il paese più popoloso al mondo. Quando esistono valori forti come la famiglia, la società ha un futuro perché vivi tutto come obbligo morale ma naturale. Nella nostra cultura da primo mondo questo valore fondamentale si è perso e si vive per sé stessi e nessun altro. È vero, si è liberi, senza catene, ma questa libertà ha un costo psicologico e sociale che spesso non viene menzionato: la solitudine, la depressione, la difficoltà nell'instaurare nuove relazioni interpersonali e, finendo la catena, al calo demografico.
Molto probabilmente l'India affronterà lo stesso problema nei prossimi decenni, dato che, persino la Cina la sta attualmente affrontando. Chissà come diventerà.
#India#racconti di viaggio#pensieri#famiglia#valori#calo demografico#manca solo la Corea e poi ho finito
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