#crepitio di stelle
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gregor-samsung · 8 months ago
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“ La ragazzina con i capelli chiari sale sulla collina quasi tutti i giorni e il bisnonno racconta fiero che la figlia maggiore gioca con gli elfi. Dio aiuti quella povera bambina, dicono alcuni, allora lui si arrabbia oppure scoppia a ridere. Una volta la ragazzina torna a casa con un sasso dalla forma strana, sembra proprio un esserino, tutti intorno al tavolo lo studiano, se lo rigirano tra le dita, lei regala il sasso alla sorella più piccola, arriva la primavera e il cielo dissemina uccelli acquatici sulla penisola di Snæfellsnes. Vanno ad Arnarstapi, il bisnonno lo definisce «un giro di compere in città» anche se città è un termine esagerato per questo gruppetto di case sparse. Eppure qualche volta il significato delle parole può cambiare a seconda di come le guardi, il che è un bene, vuol dire che esiste ancora qualche differenza tra le persone, tra i luoghi, vuol dire che c’è ancora un po’ di vita e di movimento nel linguaggio.
Per mio nonno e per la sua sorellina Arnarstapi è una città, una quantità impressionante di edifici. Lui ha quasi sette anni, lei quasi cinque e quell’anno trascorso sulla Snæfellsnes ha avvolto Reykjavík nella nebbia dell’oblio. Quando sei così piccolo i ricordi dell’anno precedente possono confondersi con i sogni. La figlia più grande fa una smorfia quando vede le sparute case di Arnarstapi. Il bisnonno parla con la gente, si informa, si presenta, la bisnonna fa compere poi va a passeggio con i bambini. C’è una casa un po’ distante dalle altre, come se cercasse di sottrarsi da qualcosa; una piccola casa di legno dove abita il capitano dai capelli rossi. Volevo dirti che non c’è bisogno che veniate da noi nelle prossime sei settimane, ci siamo riforniti di tutto il necessario con questo giro. Il capitano dice: ah sì, siete venuti a fare acquisti. È piccola e carina la tua casa, dice la bisnonna, è un po’ in disparte dalle altre. Mi piace stare al margine. Ah, ecco, bene, dice lei; in effetti non c’è altro da aggiungere, e lo saluta. Ma lui guarda i bambini e dice: in casa da me c’è un uccello con un’ala rotta, voglio farlo andare un po’ fuori, dopo. Rimangono da lui per un’ora. A un certo punto la bisnonna e il capitano si ritrovano l’uno accanto all’altra, tanto vicini che le leggi perdono valore, tanto vicini che lei sente l’odore del pesce e del suo corpo caldo. “
Jón Kalman Stefánsson, Crepitio di stelle, traduzione dall'islandese di Silvia Cosimini, Iperborea (collana Gli Iperborei n° 330), Milano, 2021³, pp. 190-191.
 [1ª Edizione originale: Snarkið í stjörnunum, Bjartur, Reykjavík, 2003]
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chi-va-piano-arriva-dopo · 2 years ago
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“Bella parola, «intenzione», e fa bene pronunciarla a voce alta mentre la terra sfreccia senza sosta per tutto l’universo. E’ la parola più bella di una lingua, tranne forse «vieni». Intenzione, dice uno tra sé, vieni, ed è come se qualcuno ti lanciasse una corda. Mi aggrappo al suo capo immaginario e la terra continua a girare. Il cielo si fa scuro intorno a noi, è sera; s’illumina e poi diventa azzurro, è arrivato il giorno. Ma questo cielo, dimora di Dio e tetto sopra le nostre vite, non esiste da nessuna parte, se non nelle nostre teste. Il cielo è solo il termine con cui indichiamo una distanza incomprensibile – ed è lì che siamo diretti. Le stelle brillano, i cani abbaiano, io racconto questa storia; non c’è nessuna differenza. Cerchi il principio e intanto racconti una storia, forse per non pensare che non esiste nessun cielo. Nessun inizio, nessuna fine, solo un moto incessante, una distanza infinita e nient’altro”.
—  Jón Kalman Stefánsson, “Crepitio di stelle”.
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ma-pi-ma · 1 year ago
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Se lei potesse venire qui da me
ora che la violenza della falce
ha disegnato sentieri nel sole
e le rondini già fendono l'aria
al tramonto! Se venisse da me!
Se lei potesse venire ora da me
prima che le campanule sfioriscano falciate,
mentre le vecce si infiammano, prima
che cercando freschezza i pipistrelli
cadano nella notte; oh se venisse!
Staccati i cavalli, il crepitio della macchina
tace. Se lei venisse raccoglieremmo il fieno
sulla collina e tranquilli giacere
davvero potremmo fin quando il cielo verde
non avesse più brividi nel lucore fremente.
Vorrei lasciarmi andare sopra il fieno
con la mia testa sulle sue ginocchia,
disteso, abbandonato, mentre lei
quietamente respira su di me
e silenziose crescono le stelle.
Vorrei giacere, immobile
come se fossi morto, ma sentendo
che la sua mano furtiva accarezza
la mia testa, il mio viso,
fino a quando si sciolga il mio dolore.
David Herbert Lawrence, Stremato, Poesie d’amore e altre, 1913
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alsa49 · 4 months ago
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Se lei potesse venire qui da me
ora che la violenza della falce
ha disegnato sentieri nel sole
e le rondini già fendono l'aria
al tramonto! Se venisse da me!
Se lei potesse venire ora da me
prima che le campanule sfioriscano falciate,
mentre le vecce si infiammano, prima
che cercando freschezza i pipistrelli
cadano nella notte; oh se venisse!
Staccati i cavalli, il crepitio della macchina
tace. Se lei venisse raccoglieremmo il fieno
sulla collina e tranquilli giacere
davvero potremmo fin quando il cielo verde
non avesse più brividi nel lucore fremente.
Vorrei lasciarmi andare sopra il fieno
con la mia testa sulle sue ginocchia,
disteso, abbandonato, mentre lei
quietamente respira su di me
e silenziose crescono le stelle.
Vorrei giacere, immobile
come se fossi morto, ma sentendo
che la sua mano furtiva accarezza
la mia testa, il mio viso,
fino a quando si sciolga il mio dolore.
- DAVID HERBERT LAWRENCE
🎨 DIPINTO DI VOLODYMYR MYRIYEVSKYY
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scritturacreativa-85 · 6 months ago
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Un'avventura sotto le stelle
Il sole tramontava lentamente dietro le cime degli alberi, tingendo il cielo di sfumature di rosa e arancio. Emma e Ben erano seduti accanto al fuoco, il crepitio delle fiamme e il profumo di legna bruciata a riempire l’aria fresca della foresta. Avevano condiviso la tenda per tre notti consecutive, sotto il falso pretesto di essere una coppia, eppure non sembrava più un inganno. Era stato un…
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fuoridalcloro · 3 years ago
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“Di che cosa sono fatti i legami che uniscono due persone, e che nel disorientamento generale sono stati definiti amore? È una domanda importante perché a volte sembra proprio che niente riesca a separare due persone, né l’implacabile inerzia della quotidianità né la forza esplosiva di un singolo istante. E lo dico da disorientato, perché sospetto che questa parolina, amore, sia sinonimo di talmente tante cose che non mi basterebbe un giorno intero per spiegarle tutte”.
Jón Kalman Stefánsson - Crepitio di stelle
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vefa321 · 4 years ago
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Fuoco alle fiamme...
Ogni tramonto accende la notte in un crepitio di stelle.
@vefa321
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clacclo · 4 years ago
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ONE MINUTE YOU'RE HERE
Big black train coming down the track
Blow your whistle long and long
One minute you're here
Next minute you're gone
I lay my penny down on the rails
As the summer wind sings its last song
One minute you're here
Next minute you're gone
Baby baby baby
I'm so alone
Baby baby baby
I'm coming home
Autumn carnival on the edge of town
We walk down the midway arm-in-arm
One minute you're here
Next minute you're gone
I thought I knew just who I was
And what I'd do but I was wrong
One minute you're here
Next minute you're gone
Red river running along the edge of town
On the muddy banks
I lay my body down
This body down
Footsteps crackling on a gravel road
Stars vanish in a sky as black as stone
One minute you're here
Next minute you're gone
One minute you're here
Next minute you're gone
One minute you're here
UN MINUTO SEI QUI
Grande treno nero che arrivi lungo i binari
Fischia a lungo e a lungo
Un minuto sei qui
Il minuto dopo non ci sei più
Lascio il mio penny sui binari
Mentre il vento estivo canta la sua ultima canzone
Un minuto sei qui
Il minuto dopo non ci sei più
Baby baby baby
Sono così solo
Baby baby baby
Sto tornando a casa
Luna park d’autunno ai margini della città
Camminiamo in mezzo alla strada a braccetto
Un minuto sei qui
Il minuto dopo non ci sei più
Pensavo di sapere chi ero
E cosa avrei fatto ma mi sbagliavo
Un minuto sei qui
Il minuto dopo non ci sei più
Il fiume rosso che corre ai margini della città
Sulle rive fangose
Mi stendo a terra
Con questo corpo a terra
Il crepitio dei passi su una strada sterrata
Le stelle svaniscono in un cielo nero come la pietra
Un minuto sei qui
Il minuto dopo non ci sei più
Un minuto sei qui
Il minuto dopo non ci sei più
Un minuto sei qui.
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ilarywilson · 5 years ago
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E dire che avevi giurato di non saper scrivere poesie senza inserire battute irripetibili. Ho i polmoni che bruciano adesso, parecchio. E sai cos'è veramente bizzarro? Che vorrei tanto saperle le cose che scoprivi di te mentre creavi una casa per me, ma so già che non accadrà e sai perché? Non è solo che sei la persona con più problemi di comunicazione che conosca, è che... you know, you just disappeared into thin air. That's what your crup damn book says. E vuoi saperla un'altra cosa bizzarra? Non sono mai riuscita a castare un Riddikulus nella mia vita. Immagino che sia anche per questo che il mio matrimonio è andato a morgane. Ad un certo punto ho anche pensato di chiederti ripetizioni e sai qual è stata l'altra cosa bizzarra? Ho pensato che non era andata esattamente bene l'ultima volta che avevo chiesto ripetizioni a qualcuno, così ho lasciato perdere. E invece è successo un pasticcio lo stesso, Spoon. Non sono servite le ripetizioni per farti abitare la mia testa.
Vuoi sapere che aspetto ha? È nera. 
Come lo smalto che porto in questo momento, come il mio nuovo vestito a stelle, come i tuoi ricci, il tuo caffè e il cupcake al cioccolato che abbiamo diviso in infermeria. È tutto nero finché il crepitio del fuoco di un camino non inizia a riscaldare l'ambiente e a rischiarare la stanza. C'è un divano verde scuro, una poltrona color pece e un pouf giallo. Tu te ne stai seduto sulla poltrona, ovviamente, con aria tronfia e placida; hai addosso una terribile felpa dei Bats e porti calzini spaiati. Ho cercato di ricordare per un sacco di tempo se me li fossi immaginati o se fossero davvero così e non avrei mai pensato di poter avere un rimpianto più stupido di questo. Porti davvero i calzini spaiati o eri solo distratto? Comunque... Sorseggi caffè dalla mia tazza del wwffb e hai appena finito di nascondere un sorriso dietro il bordo perché hai sentito girare la chiave nella toppa e te lo aspettavi. Lo sapevi. Mi stavi aspettando. C'è un mantello nero appeso all'ingresso e non cambia colore nemmeno sotto convercoloris. Un po' come la mia camicia da notte e la vestaglia di peluche, che non sono mai tornate gialle. Fuori nevica e all'improvviso tutto quel buio mi è chiaro. Hai spento le luci solo per sfoggiare al meglio i giochi di quelle dell'albero di Natale che hai addobbato accanto alla finestra. Da fuori arriva una luce abbagliante, ora la vedo. È quasi fastidiosa, eppure non hai tirato le tende. Ovviamente dici che l'hai fatto solo per te e per creare la giusta atmosfera che accompagni la tua pigra contemplazione della nevicata, e mi dici di non montarmi troppo la testa solo perché ogni tanto ti degni di gironzolare per i miei spazi mentali. Ma io lo so che menti. Perché l'albero è colorato, c'è una seconda tazza di caffè sul tavolino e l'aria profuma di zucca e cioccolato. E ora so cosa c'è nella tua testa oltre che fuori.
Quando entro in casa la prima cosa che faccio è togliere le scarpe, quindi ci troveresti anche quelle all'ingresso. Sarebbero rosse. E poi sentiresti una risata, la mia, nel momento in cui ti vedrei intento a giocherellare con un babbanissimo yo-yo. Chissà dove lo hai trovato. Da piccola ne andavo matta e l'ho appena ricordato. 
Io ho scoperto un sacco di cose di me, da quando ti ho fatto entrare, e avevo una bolidettissima paura di dirtelo finché non mi sono accorta che non dirlo non mi faceva avere meno paura. Mi sto chiedendo tante cose, compreso se ho più voglia di schiantarti o ricordarti il posto speciale delle mie labbra e dei miei sorrisi, ma poi mi sento troppo in colpa e allora mando a morgane tutto. E mi incastro su un pensiero fisso: è un addio, un arrivederci o un "Wilson, ho solo avuto da fare"? No perchè, volevo dirti che nessuna delle tre opzioni mi sta bene.
Grazie. Adesso ti odio un po' meglio di prima.
Ilary
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gregor-samsung · 2 years ago
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Tienilo a mente
 È una sera di gennaio del 2002. Attraverso la finestra sento scorrere l’unico fiume che oggi conosco, il fiume di automobili sulla Vesturlandsvegur. È tardi, e il cielo si distende sopra la mia testa con una moltitudine di stelle. Lo so che vogliono dirmi qualcosa di importante, e non mi riferisco alla bellezza, alla distanza o al tempo, perché le stelle devono indicarmi la strada, mostrarmi il cammino da seguire, devono salvarmi se mi smarrisco. Ecco là l’Orsa Maggiore, e se da lì tiro una riga raggiungo la Stella Polare, è la stella che i miei antenati navigatori hanno seguito per raggiungere l’isola sulla quale mi trovo. E guarda, le Sette Sorelle. Così sai dov’è il nord, dov’è il sud-est. Tienilo a mente, se ti perdi. Ma a cosa serve se dei puntini luminosi in un cielo d’inchiostro ti sanno indicare la strada, loro mostrano il cammino solo alle tue gambe. È un bene avere una bussola in tasca, meglio ancora se la sai usare, ma che cosa te ne fai di una bussola se non ci sono più i punti cardinali?
Jón Kalman Stefánsson, Crepitio di stelle, traduzione dall'islandese di Silvia Cosimini, Iperborea (collana Gli Iperborei n° 330), Milano, 2021³; pp. 58-59.
[1ª Edizione originale: Snarkið í stjörnunum, Bjartur, Reykjavík, 2003]
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chi-va-piano-arriva-dopo · 3 years ago
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“Di che cosa sono fatti i legami che uniscono due persone, e che nel disorientamento generale sono stati definiti amore? È una domanda importante perché a volte sembra proprio che niente riesca a separare due persone, né l’implacabile inerzia della quotidianità né la forza esplosiva di un singolo istante. E lo dico da disorientato, perché sospetto che questa parolina, amore, sia sinonimo di talmente tante cose che non mi basterebbe un giorno intero per spiegarle tutte.”
— Jón Kalman Stefánsson , “Crepitio di stelle”.
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sogniricordi · 4 years ago
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Tramonto
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Ora. Tramonto. Fine di un giorno, inizio di una nuova alba.
Quando le ombre si allungano, fino a sparire, 
quando le tenebre ricoprono ogni cosa.
Nell'attesa di uno splendido cielo stellato, lassù la mia stella già brilla.
E siamo qui.
​Ora. Noi.
La città è ai nostri piedi.
I rumori delle auto ormai ovattati, lontani.
Il mondo intero è ai nostri piedi.
Noi siamo il cielo.
Siamo l'arancione ed il blu che si fondono nel verde e nel giallo.
Siamo due colori distinti, ma che diventano uno pur restando due.
Siamo come quella stella lassù che ora è tutta sola... O forse no.
Lei lo sa che, per quanto freddo e spaventoso possa essere il buio della notte, non sarà mai sola. 
Ora. L'oscurità si espande.
Ora. La luce aumenta. 
Come piccole lucciole, come delicate fiammelle tremolanti, arrivano le sue sorelle, arriva la sua grande Famiglia.
La notte arriverà sempre e comunque, ogni giorno.
Così come ogni giorno, sempre e comunque ci sarà una nuova alba.
La notte farà sempre paura, ma il cielo non sarà mai nero.​
Ferro. Stridore di rotaie. Buio. Ombre che avanzano. Buio. Colori che sbiascono. Stelle. Luce di speranza. Fuoco. Calore prorompente. Fuoco. Scoppiettante crepitio di vita.​
E lei è sempre lì. Imperterrita, aspetta il suo esercito di luce. Attraverso la notte, aspettando il nuovo sole. Più scura viene la notte, maggiore sarà la mia luce. 
E io sono sempre qui. Imperterrita, oltre ogni spazio. Attraverso ogni notte, insieme al mio splendente sole. Più scura viene la notte, maggiore sarà la mia luce.
S.R.
03/04/2018
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d-a-r-e-d-a-r-e · 7 years ago
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Regali di compleanno
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Bruciore che artiglia i muscoli tesi quando ogni respiro è uno strappo di fatica mortale e necessaria, ora il passo misurato di stivali che riconquistano la stabilità improvvisa della terra mentre il freddo s'infrange impietoso sul velo umido che riveste il collo brunito, un palpitare della gola che sospinge in avanti il pomo d'adamo. Increspature scure sui lati degli occhi, fessurizzati a difesa del vento prima impercepibile,  che ispezionano i dintorni desolati e bui del fatiscente Santuario, mura preziose scheggiate da un tempo infinito, senza inizio né fine, o forse solo da una furia di venti gelidi. E' un crepitio rumoroso sotto gli stivali, di rami secchi e bacchette rubate. Ma non c'è la ladra, solo l'evidenza femminile di tale perfidia nella provocazione della seta scivolosa sull'altare vuoto.
 `Se osi toccare Zara o Evanna-` che vuol essere il verso per cui litigarono tempo fa, mentre proverebbe ad arrampicarsi su quelle pieghe e tessuti e strati della sua maglia, per sollevarsi le sue punte per cercare le sue labbra in un bacio rapido, tentando di precedere il suo bacio sulla guancia. Traditrice.
 Nessuna, se non una luce fioca che illumina lontano il viso purissimo d'una ragazza - non una bambina- china sui riflessi d'un Pensatoio, la superficie distesa solcata da lacrime d'aria e d'argento che lei non produce e osserva con distacco e chissà quali altri misteri tra le ciglia. 
Il suo è tutto un guardarsi intorno un po` spaesata, almeno finché l`arrivo di Aconite e David non le fa distogliere l`attenzione dai preparativi per la festa. L`espressione rimane più o meno impassibile, nonostante sul viso riesca a scappare un piccolo sorriso che le viene difficile trattenere.
Gielo chiede, però, quel tocco. Alla ricerca della mano scura di lui e successivamente del mignolo del ragazzo. La mano sinistra intanto corre fra le ciocche corvine nel liberarle dal nastrino azzurro che le tiene serrate in una coda. E, solo nel caso lui accettasse la sua promessa, è proprio quel piccolo nastrino che andrebbe a legare intorno al dito del ragazzo nella tacita conferma di quella stessa condizione.
Poi un piccolissimo singulto divertito, una scia dorata e il sorriso di denti grandi e labbra sottili morbidissime, d'una bambina che gli trascina via lo sguardo verso il cortile retrostante: prato bruciato e arbusti spogli che sembrano inghiottirla.
«Vivi la tua vita da solo come il randagio che sei, Villegas!»
Sopraggiungono piuttosto i passi nudi e bruni d'una danza femminile che ha le stesse sinuosità della fiamma che pare avvolgerla. Alza le mani a ritmi serpeggianti sul capino volto al cielo, ma non alza mai gli occhi, sorridendo in maniera bella ma minacciosa.  Non ha tempo di dirle nulla 
Un bracciale runico formato da un osso ricurvo con dei laccetti di cuoio agli estremi che si possono legare attorno al polso o alla caviglia. Tra le rune a vista sull'osso ci sono Dagaz, Algiz e Inguz. Ed è legato magicamente ad un altro che ha lei.
prima dello Schiantesimo che gli piomba sul petto, fracassandogli di dolore ogni terminazione nervosa e costringendolo in ginocchio. La vista offuscata gli lascia cogliere solo le stelle tra i lacci degli stivali femminili prima che perda i sensi 
un libricino di non più di cinquanta pagine, rilegate da finissimi fili di lana blu. La copertina beige reca alcuni ghirigori grigi e, nello stesso colore, il titolo. "Ontologia del conflitto: clima politico-economico pre Prima Guerra Magica" Sul retro, in basso a destra e in grafia molto piccola "Prossimo numero: l'ascesa di Grindelwald". Si tratta di una collana di saggi a uscita trisettimanale , redatta dagli studiosi di Storia della Magia.
e apra di scatto di occhi, svegliandosi sulla terrificante visione della bacchetta di Emma pronta a infilzargli il naso. 
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roxanejosephine · 7 years ago
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...Ma alle sette di sera quando tutti corrono a tavola c'è una specie di crepitio elettrico nell'aria e i capelli ti si rizzano come antenne, e se sai essere ricettivo prendi non solo ogni colpo, ogni guizzo, ma prendi anche il prurito extoplasmatico dei corpi che si agitano nello spazio come le stelle a comporre la Via Lattea, solo che questa è la Gaia Via Bianca, la cima del mondo senza tetto sopra e nemmeno una crepa o un buco sotto i piedi da caderci e dire " è una bugia ". Questa assoluta impersonalità ci reca un pizzico di caldo delirio umano che ti fa correre avanti come un cieco ronzino e ti arronza le orecchie deliranti. Ognuno è così totalmente, confusamente non sè, che tu automaticamente diventi la personificazione di tutta la razza umana, stringi migliaia di mani umane, chiaccheri con mille diverse lingue umane, bestemmi, applaudi, fischi, canti, soliloquizzi, preghi, gesticoli, orini, fecondi, carezzi, coccoli, frigni, baratti, ruffianeggi, miagoli e così via di seguito.
H.Miller, Tropico del Capricorno
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culturaoltre · 6 years ago
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"La spiaggia di Bristol" di Valentina De Filippo
“La spiaggia di Bristol” di Valentina De Filippo
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Un attimo di struggente magia catturato in una notte di mezza estate è il leit motiv di una lirica ardita e originale. L’autrice, con metafore incastonate in versi fluidi e inarrestabili, cerca di fermare il ricordo di un attimo che fugge, eternandolo con la poesia. [M.R.Teni]
Piovevano stelle di mezzaestate in quel crepitio di respiri che non sanno placarsi era la luna eclissata dal tuo bagliore…
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pangeanews · 4 years ago
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“Trattenne un conato esistenziale”. Sul romanzo di Andrea Scanzi, noto personaggio televisivo
«Mi offrono un viaggio sulla macchina del tempo. Ho a disposizione un solo biglietto, posso scegliere se andare nella Braunau am Inn del 1889 e impedire la nascita di Adolf Hitler o nella Arezzo del 1974 e impedire la nascita di Andrea Scanzi. Che fare» (Guido Vitiello su facebook, 25 febbraio 2014)
*
Questo fulminante quadretto satirico può essere utile per introdurre il personaggio del pubblicista Andrea Scanzi, definito da Wikipedia “giornalista, attore teatrale, saggista e conduttore televisivo”, in forza a Il Fatto Quotidiano, ultra-noto nei media italiani, dai giornali alle televisioni fino ai social network, dove imperversa quotidianamente. Recentissima la sua sguaiata esternazione lanciata fra Twitter e Instagram sull’ultimo libro: «Conosco colleghi che venderebbero la madre per essere ventesimi (ventesimi: non primi) nella classifica di saggistica della Lettura del Corriere della Sera. Io sono primo da due mesi. Potete immaginare il rosicamento (e le critiche) che ne derivino. Ma chi se ne frega: solo gioia e riconoscenza».
*
Ecco l’euforia tipica che esplode a danno degli avversari: un impulso che più di una volta l’ha portato a deragliare in un macchiettismo trash e infantile, indegno di un giornalista di prima fascia, come quando festeggiò la sconfitta di Matteo Renzi al famoso referendum del 2016 inscenando davanti alla webcam di casa un balletto frenetico in cui simulava un orgasmo. Tutti sanno che Andrea Scanzi, oltre che una persona, ama essere un personaggio che ogni giorno si esibisce sul palcoscenico del Paese, assicurandosi che tutti lo guardino – con ammirazione o con riprovazione o con ostilità, l’importante è che si occupino di lui – e impegnandosi per suscitare reazioni, polemiche, indignazione, rabbia, recriminazioni, scontri. Molti lo definiscono più che egocentrico, cucendogli addosso definizioni iperboliche come turbonarcisismo alimentato da iperegolatria, per il suo bisogno quasi irrefrenabile di sentirsi superiore, di esibire disprezzo e imporsi su chiunque in ogni contesto.
*
Non intendiamo affatto occuparci dell’aspetto politico della sua attività giornalistica, talmente connotato da essere chiaro a tutti e non richiedere precisazioni. Sia sufficiente la frase apodittica che pronunciò nella trasmissione televisiva de La7 “Otto e mezzo” il 14 giugno 2018: «Se l’elettorato Cinque Stelle comincia a dubitare della superiorità morale della propria classe dirigente, è la fine del movimento Cinque Stelle». Nemmeno vogliamo occuparci dell’immagine estetica che ama curare nelle sue costanti presenze pubbliche e televisive, con i capelli finto-spettinati per sembrare ragazzo, la barba tenuta a sei millimetri fissi per sembrare incolta, i giubbini e le catenine in vista che rasentano il coattismo, lo sguardo spavaldo di chi può mettere in ginocchio chiunque, la malcelata esibizione di machismo da sciupafemmine, da uomo-che-non-deve-chiedere-mai, con lo sguardo che sembra sempre dire io sono il meglio, io sono il meglio, io sono il meglio.
*
Tralasciando tutto questo, ciò che porta a occuparci di Andrea Scanzi è la scoperta che nel 2015 ha pubblicato con l’editore Rizzoli un romanzo di cui non si ha memoria, al punto che oggi la voce wikipedia, definendolo “giornalista, attore teatrale, saggista e conduttore televisivo”, tace sulla qualifica di romanziere. Nel domandarci il perché, è arrivata subito la risposta: il suo La vita è un ballo fuori tempo risulta fra i libri acquistabili a metà prezzo nei magazzini remainders, dunque è rimasto in buona parte invenduto. Cosa può non aver funzionato in un’operazione che s’è certamente avvantaggiata del massimo sostegno, della massima visibilità, del robusto martellamento dei media, essendo l’autore uno dei personaggi più in vista del parterre giornalistico italiano?
*
Così inizia la presentazione editoriale: “Per Stevie le cose non potrebbero andare peggio. In redazione, dove ogni mattina la scure di Zagor gli ricorda lo squallore filogovernativo del suo tronfio direttore; a casa, dove ad accoglierlo c’è solo la labrador Clarabelle, ghiotta di crocchette all’alchermes; e persino al bar, perché la ragazza bellissima e misteriosa che gli prepara il caffè, Layla, ormai da sei anni lo tormenta con la sua indifferenza”. Stevie vive col nonno in una casa che amano chiamare “palazzo Vaughan”; il nonno, tuttavia, si chiama Obdulio Vaiana, e la cosa sembra quanto meno bizzarra. Nelle prime pagine si legge: “Obdulio Vaiana sbuffò con vigore, espellendo decenni di Marlboro orgogliosamente fumate con buona pace di chi gli aveva sempre consigliato il contrario. Lui, a ottantasette anni, ci era arrivato. Si diede il tempo di riprendere fiato, o quel che ne rimaneva, e affrontò la quinta rampa di scale. Si massaggiò la gamba, regalandosi un crepitio di artrite, e si chiese perché Sandro non avesse mai neanche ipotizzato la presenza di un ascensore. In fondo quel palazzo a tre piani era suo. Suo e di suo nipote. Suo, di suo nipote Stevie e di Clarabelle”.
*
Dunque, cerchiamo di capirci qualcosa. Innanzitutto, visto che questo protagonista – ovvio alter ego – si chiama Stevie (in onore di Stevie Ray Vaughan, dotta citazione musicale), forse all’autore non dispiacerebbe essere chiamato Scanzie: la frequenza con cui indossa giubbotti neri alla Fonzie sembra confermarlo. Il protagonista Stevie, ovviamente, lavora in un giornale: “Scriveva di calcio su «La Patria», l’unico quotidiano di Lupinia. Oltretutto era lunedì, e di lunedì la squadra locale, la Dinamo Brodo, non si allenava. Il giorno prima, in trasferta, aveva perso 7-0 con la Cicerchia Regna. Stevie aveva scritto il resoconto e le pagelle, stando bene attento a non dare insufficienze per non scontentare il direttore, casualmente presidente della Dinamo Brodo, nonché suocero dell’allenatore e padre del portiere”.
*
Che ridere, che umorismo: un talentaccio, questo Scanzie. “I suoi migliori amici sono un playboy cinico e misogino, un tennista fallito, un cassiere di night vessato dalla moglie e una cavia di prodotti drenanti; e poi c’è Violet dagli occhi tristi, la sua ex, che in qualche modo ce l’ha fatta mentre lui è rimasto in panchina”, dice la presentazione editoriale. Che alla fine raggiunge il climax: “Un romanzo amaro e poetico, con qualche vino e tanto blues, costruito sull’intreccio di voci e storie che fanno da sfondo alla rivolta tutta privata di un eroe molto moderno mentre fuori la realtà morde, e fa male, sotto il velo consolatorio della commedia. La satira esilarante di un Paese inventato, le cui vicende sono fin troppo riconoscibili”.
*
Qualche vino? Che può significare? Ma non perdiamo tempo e proseguiamo. Le vicende “fin troppo riconoscibili” sono presto dette: lungo la narrazione sono inserite piccole digressioni, staccate dal contesto e addirittura stampate in un carattere diverso, che ridicolizzano alcuni personaggi politici dell’epoca in un modo tanto becero e improbabile da non far capire nemmeno di cosa si stia parlando. Matteo Renzi è il premier Tullio Stelvio Bacarozzi e l’odiatissima Maria Elena Boschi è il ministro Elena Pia Bozzo: inserti che vorrebbero essere esilaranti, ma lasciano davvero interdetti per lo scollamento, l’insensatezza e la scoordinazione.
*
La storia inizia col protagonista Stevie-Scanzie che si sveglia nel suo letto dopo troppi drink, e scopre di essere in compagnia di una donna di cui non ricorda nulla, nemmeno il nome: situazione tipica del femminiere incallito e irrecuperabile, che deve trombare senza sosta per alimentare il proprio ego. La prosa scanziana è talmente spigolosa da far quasi rimpiangere i walteromanzi veltroniani.
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“Soltanto a quel punto Stevie capì. E quello che capì non lo rassicurò. 1) «Il cane» non era un invito a riflettere sull’evoluzione della specie canina e sul suo ruolo nella società, ma un più prosaico riferimento a Clarabelle; 2) Clarabelle, cioè «il cane», non stava sbattendo sulla porta come un ariete, ma semplicemente tergicristallizzando la coda nel tentativo di attirare l’attenzione del padrone di casa; 3) la coda, sbattendo contro la porta del bagno, generava un effetto «assolo di batteria dei Led Zeppelin» che aveva appunto svegliato la voce; 4) la voce apparteneva a una donna. Stevie non ricordava benissimo chi fosse, né come l’avesse conosciuta, ma evidentemente ci aveva appena dormito”.
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Grande, lo Scanzie: che prova di machismo. A questo punto Stevie va in bagno e scimmiotta pari pari il famoso Fabio Volo che urina per terra e ‘fa la scarpetta’ con la carta igienica: “Pisciò tentando di centrare il water, riuscendoci in parte. Provò imbarazzo per se stesso e ripulì come poté”. Proviamo imbarazzo anche noi, pensando a quante volte deve essergli successo. Ma a un certo punto, ecco l’inserto politico in carattere arial: “Con il sorriso sulle labbra, giusto mentre Stevie ascoltava John Hiatt e Clarabelle si chiedeva quando diavolo le avrebbero dato da mangiare, il governo presieduto dal giovane Tullio Stelvio Bacarozzi depenalizzò centotrentaquattro reati. La decisione, votata all’unanimità anche da dissidenti e opposizione, fu motivata dall’urgenza di combattere la criminalità dilagante. Il Premier disse che, per contrastare le forze del male, bastava cancellare il concetto di male. La stampa, tutta, ne plaudì l’ardire da statista visionario e certo illuminato”.
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Che dire? Dobbiamo prenderne atto, pur non capendoci nulla. Poi arriva il nonno – che, udite udite, fa l’hacker – a sbirciare nella stanza: “Esercitò un’impercettibile pressione sulla porta, come sempre socchiusa, quel tanto che bastava perché la sua silhouette curva ma ancora severa ci si incuneasse dentro. Da sotto, ora ne era certo, arrivava una musica: Stevie aveva davvero trapanato con qualcuna, e adesso mandava il suo codice Morse al nonno e alla banda. Si trattava solo di interpretarlo”.
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Magnifico: Stevie-Scanzie ha trapanato con qualcuna, che ovviamente è sempre diversa. L’ha schidionata, com’è nella filosofia machista che permea la storia fin dall’inizio: “«Però almeno lui ha trapanato». «Sempre elegante, Vaiana». «Nel sesso non c’è eleganza. O si trapana, o non si trapana. L’uomo si divide in due macrocategorie: quelli che possono trapanare e quelli che non più. Stevie fa ancora parte dei primi, o così è lecito sperare per lui. Noi siamo ampiamente oltre la glaciazione. E non ci salverebbe neanche un plotone di Cialis in servizio permanente»”.
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Ma sono gli attacchi a Maria Elena Boschi – inseriti a casaccio in carattere arial – a essere insensati, demenziali, terribilmente imbarazzanti: “Elena Pia Bozzo, ministro delle Riforme Buone, si guardò allo specchio e sorrise. Lo specchio riflesse con un entusiasmo reputato non sufficiente dai Probiviri dell’ottimismo. Lo specchio fu condannato a morte”.
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Lo specchio riflesse? Abbiamo capito bene? Sì, riflesse: una coniugazione che non esiste, e che forse Stevie-Scanzie neanche immagina cosa sia. E l’editore Rizzoli – ormai fuso con Mondadori, al costante inseguimento del mercato e depauperato di risorse e competenze interne – sembra non avere più redattori capaci di lavorare in modo decente. Appena il tempo di riprendersi dallo choc, che dopo altri passaggi imbarazzanti (“Miriam se n’era già andata, senza neanche aspettare una risposta. A Stevie capitava sempre più spesso. Parlava e all’inizio non era solo, però poi sì”) arriva un altro attacco all’ex-ministro: “Elena Pia Bozzo si fece portare un altro specchio. Ci guardò dentro. Vide fianchi larghi, gengive enormi e un’ambizione stanca. Indispettita, telefonò a Paride Rozzi, lodatissimo ministro della Guerra, e chiese in prestito un drone. Rozzi, da sempre sensibile al fascino di donne e gengive, acconsentì. Il ministro Bozzo prese possesso del drone. Il drone si chiamava Eclipse. Il drone puntò allo specchio. Quando colpendolo lo mandò in mille pezzi, Eclipse si sentì felice. Anche il ministro Bozzo, però lei un po’ meno”.
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Vi assicuriamo che è difficile proseguire. Andrea Scanzi odia a tal punto una donna politica che la ficca in un romanzo piazzandole i fianchi larghi e le gengive enormi – mentre in altre sedi, dichiarandosi un “esperto di piedi femminili”, glieli definisce fra i più brutti perché “cicciotti”. E la prosa di questo pasticcio, che si ha la sfrontatezza di chiamare romanzo, diventa talmente balorda che ci si domanda seriamente se in Rizzoli ci siano ancora editor o correttori all’altezza. La costruzione della frase “Anche il ministro Bozzo, però lei un po’ meno” risulta inaccettabile per chiunque sappia fare editoria. Ma passando alla costruzione pratica del romanzo, il ricorso continuo alle citazioni fighe non fa che scimmiottare i terribili walteromanzi veltroniani: “Si vestì di tutto punto e indossò il suo cappello da sicario preferito: «È uguale a quello di Lee Van Cleef ne Il buono, il brutto e il cattivo» si ripeteva orgoglioso”. A cui si aggiungono le trite analogie alla Enrico Vanzina: “Agile come Fred Astaire, Sandro guizzava da un reparto all’altro”. Va da sé che la prima recensione, apparsa su Il Fatto Quotidiano a firma di Antonio Padellaro, il suo direttore, iniziava così: “Ho sempre pensato che avesse ragione Italo Calvino nel sostenere che, anzitutto nella letteratura, la salvezza vada cercata nell’ironia e nel sorriso”.
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Non sappiamo che altro dire. Qui non si sorride per niente, l’insieme risulta così scoordinato, scriteriato, pretestuoso, dilettantesco, inefficace, vergognosamente insensato da renderne difficile una qualunque disamina. Un romanzo schifato anche dai lettori, che non sempre riescono a bere qualunque cosa. Dunque, ci limitiamo a riportarne qualche riga, perché ci siamo dilungati anche troppo.
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“Dal calcolo dei dischi ascoltati, dovevano essere più o meno le venti. Le sue orecchie avevano appena beneficiato di Dave Alvin e Rolling Stones, Stevie Ray Vaughan e Allman Brothers band, Eric Clapton e Daniel Lanois”.
“«La speranza non muore».
Stevie trattenne un conato esistenziale.
«Uhm. Buono, ma non abbastanza. Zegatti, prova tu».
Zegatti non esisteva. Il ragazzo, un altro stagista, si chiamava Seganti. Apparteneva alla specie in via d’estinzione degli idealisti. Abbassò lo sguardo e disse: «La speranza è una trappola».
Stevie sobbalzò, anche se fece di tutto per dissimulare lo stupore. Un tempo era stata una delle sue frasi preferite. Una frase di Mario Monicelli”.
“Tutti annuirono. J.J. Cernia si spostò il ciuffo con la mano destra, che lambì un po’ di pece e si colorò di nero petrolio. Stevie, osservando la scena, ebbe il primo conato. «Se io fossi un uomo banale, vi direi di titolare: La speranza non è pura baldanza».
Stevie ebbe il secondo conato.
«Se fossi inutilmente originale e un po’ volgare, vi direi di titolare: La speranza non riempie la panza, ah ah ah»”.
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E terminiamo qui, per non rischiare che i conati arrivino a noi.
Paolo Ferrucci
*In copertina: Andrea Scanzi in una fotografia di Giancarlo Restuccia
L'articolo “Trattenne un conato esistenziale”. Sul romanzo di Andrea Scanzi, noto personaggio televisivo proviene da Pangea.
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