#confronto produttivo
Explore tagged Tumblr posts
Text
Crisi del lavoro a Casale e Monferrato: un appello per una strategia di rilancio economico.
Il Partito Democratico e i sindacati uniti per affrontare la crisi occupazionale e pianificare gli stati generali del lavoro nel 2025.
Il Partito Democratico e i sindacati uniti per affrontare la crisi occupazionale e pianificare gli stati generali del lavoro nel 2025. La situazione attuale.Nella serata di lunedì 16 dicembre, il Partito Democratico di Casale e del Monferrato, rappresentato dal segretario Cesare Chiesa e dalla vice segretaria Gabriella Bozzo, ha incontrato la delegazione sindacale CGIL, CISL e UIL dopo un…
#Alessandria today#aziende in crisi#BOBST San Giorgio Monferrato#Casale Monferrato#Cassa Integrazione#Cesare Chiesa#Confindustria Alessandria#confronto produttivo#confronto sindacati#crescita occupazionale#crescita territoriale#crisi aziendale#crisi del lavoro#Crisi Occupazionale#disoccupazione Monferrato#economia locale#forza lavoro Monferrato#Gabriella Bozzo#Google News#italianewsmedia.com#lavoro sostenibile#Monferrato#monitoraggio crisi#Opportunità Economiche#Partito Democratico#PD Casale#Piano di rilancio#piccole imprese Monferrato#Pier Carlo Lava#politiche del lavoro
0 notes
Text
Carla Lonzi
“Il femminismo mi si è presentato come lo sbocco possibile tra le alternative simboliche della condizione femminile, la prostituzione e la clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo”.
Carla Lonzi è stata critica d’arte, editrice, scrittrice, poeta e, sopra ogni cosa, femminista.
Teorica e iniziatrice dell’autocoscienza e del femminismo della differenza ha portato un cambio di prospettiva, il gesto imprevisto di porsi fuori dalla cultura e dalle istituzioni, come ella stessa ha scritto è stato: uno sconquasso e anche una festa.
Nata a Firenze il 6 marzo 1931 da una famiglia della media borghesia fiorentina, madre insegnante e padre industriale con cui è stata sempre in conflitto, il suo desiderio di autonomia, di allontanamento dalla famiglia, l’ha portata a decidere di andare a studiare, a soli nove anni, in collegio. Dopo il liceo classico si è trasferita a Parigi, ma è rientrata presto per problemi di salute. Si è laureata con lode in Storia dell’arte con la tesi su Rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell’Ottocento, pubblicata molti anni più tardi.
Come critica d’arte, piena di talento, creatività e intelligenza, ha curato mostre prestigiose e viaggiato tanto.
Con il passare degli anni è stata sempre più attratta dalle dinamiche relazioni e di potere uomo-donna che dall’arte come elemento slegato dalla contemporaneità. Ha denunciato apertamente ingiustizie, prevaricazioni e comportamenti retrogradi ai danni delle donne, ritrovandosi isolata dall’entourage a cui apparteneva.
L’attività di critica si è conclusa nel 1969, col suo libro Autoritratto, che riporta i colloqui registrati, assoluta novità per i tempi, con tredici artisti e artiste, con particolare rilievo al dialogo con Carla Accardi, da cui ha cominciato a maturare la presa di coscienza femminista e l’attenzione alla soggettività femminile. Ha concluso negando il ruolo della critica, in quanto potere e ideologia sull’arte e sugli artisti.
Dell’arte le interessava non l’opera, il prodotto, ma il manifestarsi dell’autenticità dell’artista. È questo il filo comune al suo lavoro di critica, alla scrittura poetica, al femminismo.
Mettendo in discussione il ruolo della critica ha provato a sottrarre l’arte al ‘mito culturale’ per permettere alla creatività di entrare in rapporto con l’autenticità.
Con Elvira Banotti e Carla Accardi, nel 1970 ha fondato il gruppo Rivolta Femminile che è stato anche una casa editrice per cui ha redatto il Manifesto di Rivolta Femminile. Il testo, redatto in sessantacinque frasi brevi e lapidarie, contiene tutti gli argomenti d’analisi che il femminismo ha fatto propri: l’attestazione e l’orgoglio della differenza contro la rivendicazione dell’uguaglianza, il rifiuto della complementarità delle donne in qualsiasi ambito della vita, la critica verso il matrimonio, il riconoscimento del lavoro delle donne come produttivo e la centralità del corpo e la rivendicazione di una sessualità soggettiva e svincolata dalle richieste maschili.
A partire dal primo gruppo romano ne vennero fondati altri in diverse città. Tutti nati attorno alle pratiche, del separatismo e dell’autocoscienza: del partire dalle relazioni tra donne, del partire da sé e del fare pensiero di questa esperienza.
Sempre nel 1970 ha scritto e pubblicato Sputiamo su Hegel, in cui critica l’impostazione patriarcale della politica marxista e comunista invitando le donne a prendere posizione nella società patriarcale.
L’anno seguente è uscito La donna clitoridea e la donna vaginale, in cui, attraverso un confronto con fonti che vanno dalla psicanalisi alla paleoantropologia fino ai testi indiani del Kamasutra, sostiene che il mito dell’orgasmo vaginale è funzionale al modello patriarcale della complementarità della donna all’uomo. Se nel momento procreativo tale complementarità tra donna e uomo è ammessa, non lo è invece nel momento erotico-sessuale.
Con quest’opera ha posto il piacere come uno degli aspetti centrali della formazione dell’identità, individuando il ruolo della donna rispetto all’aggressività primitiva dell’uomo. Lo scritto, suscitando varie discussioni all’interno dei gruppi femministi, aveva portato ad approfondire la necessità di mettere in questione il desiderio e la possibilità di essere un soggetto che può identificarsi nella donna senza negare la differenza sostanziale con l’uomo.
Nel 1973 ha lasciato il gruppo della Rivolta Femminile e l’anno successivo è uscita la collana Libretti verdi, che comprende la ristampa dei suoi scritti, tra cui i testi firmati da Rivolta Femminile.
Nel 1978 ha pubblicato Taci, anzi parla. Diario di una femminista, con un approccio autobiografico di nudismo esistenziale in cui vengono messe in luce le tappe della sua vita facendo emergere il suo impegno politico femminista. Prendendo il via dalla fine dell’amicizia con Carla Accardi e dal suo distacco dal mondo dell’arte, in questo libro cambia la sua concezione dell’artista, che dapprima aveva esaltato come autentico e libero e che invece parteciperebbe alla marginalizzazione e all’esclusione delle donne, incitando ad abbandonare la strada della creatività di tipo patriarcale e imboccare quella dell’autocoscienza femminista.
Nel 1980 ha inaugurato la nuova collana Prototipi con Vai pure, che riporta i dialoghi più significativi avvenuti tra lei e il suo compagno, l’artista Pietro Consagra.
È morta il 2 agosto 1982 a Milano in seguito a un cancro.
Il suo contributo è stato cruciale nel dibattito italiano. L’intelligenza della realtà, la profondità delle analisi, la dote di saper cogliere nel reale ciò che limita la libertà femminile e ciò che invece è in grado di realizzarla, la capacità di mettere al mondo ciò che l’ordine dato non ha previsto, sono la sostanza della sua riflessione.
Per anni le sue opere sono circolate solo attraverso fotocopie, pdf, fotografie scattate male, frasi copiate a penna e passate di mano in mano, di donna in donna, di generazione in generazione. Con la loro forza prorompente e il valore sociopolitico, hanno delineato un punto di partenza, un modello di riferimento e fonte di ispirazione per moltissime attiviste.
Dopo essere rimasti a lungo assenti dagli scaffali, sono recentemente tornati in libreria grazie a Claudia Durastanti, direttrice della casa editrice La Tartaruga, creata nel 1975 da Laura Lepetit che oggi fa parte del gruppo editoriale La Nave di Teseo.
Carla Lonzi, con la sua esistenza e con i suoi scritti, che della sua vita sono il frutto, ha mostrato che la libertà femminile è l’imprevisto che apre ad altri imprevisti.
Guidata dal suo grande amore della libertà, ha mostrato la via di accesso a un mondo nuovo possibile, facendoci vedere che amore del mondo e amore di sé non divergono.
Nel 2017, suo figlio, Battista Lena, ha donato tutto il suo archivio, scritti, note, appunti, diari, a quello che è diventato il Fondo Carla Lonzi ospitato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Questo grande patrimonio storico e archivistico che rappresenta ancora oggi un atto politico, generativo e di lavoro radicale della memoria, minaccia di sparire dalla pubblica fruibilità perché la nuova direzione del museo ha deciso di non rinnovare il comodato d’uso.
Un ulteriore attentato alla cultura e alla storia di un’Italia che naviga sempre più ostinatamente verso una deriva reazionaria.
0 notes
Video
youtube
Meritocrazia nell'arte. Clubhouse speec.
L'arte è meritocratica? Rispondo a questa domanda in un confronto pubblico su Clubhouse, partendo dall'origine distopica del concetto stesso di meritocrazia: un governo meritocratico, per poter assegnare i ruoli in base al merito, definisce anche i canoni di quel che è merito. Li definisce in modo tale che il merito sia funzionale al potere politico, economico, religioso, quindi una società meritocratica è semplicemente una società che seleziona i suoi dirigenti in base ai canoni che i dirigenti stessi hanno determinato. Il concetto di meritocrazia dunque non è un concetto di giustizia ed equità sociale, ma il suo esatto opposto. L'arte è meritocratica? Per avere successo nell'arte si deve essere per forza figli o amici di qualcuno? La risposta a questa domanda è più complessa: dipende dagli obiettivi che ci si vuol porre. Chi vuole aver successo in un'arte funzionale al potere, deve affiliarsi e farsi amico il potere, in quel caso la collaborazione richiede una macchina sociale del lavoro molto complessa e articolata, che può offrire maggiori risorse ma toglie necessariamente all'artista una parte significativa della sua libertà di ricerca e composizione. Questo perché le sue produzioni dovranno dar 'da mangiare' a molte persone, e quindi richiederanno una distribuzione imponente. Questo è possibile? In una società fondata sul libero mercato e sulla mobilità tra le classi sociali, questo è possibile. L'istruzione obbligatoria e la lotta all'analfabetismo, aveva proprio questa finalità, di rendere tutti in grado di portare avanti una propria maturità intellettuale, offrire a tutti la preparazione per poter attraversare il sistema delle classi costruendo una propria rete di conoscenze e affiliazioni. Il mito del 'self made man' nasce proprio in questo modo, ed è un prodotto tipico della società capitalista. Chi invece vuole portare avanti un'arte antagonista rispetto al potere, che si diffonda nel sottobosco, tra realtà culturali di nicchia, per portare la propria influenza ad altri artisti e compositori, non ha bisogno di un sistema produttivo tanto complesso e articolato, non cerca la produzione 'industriale' e quindi non necessita di particolari affiliazioni o conoscenze. Può costruire un proprio sistema di microeditoria e portarlo avanti senza bisogno di risorse particolari. Molti grandi artisti hanno lasciato un segno nella storia dell'arte proprio in questo modo.
0 notes
Text
Slitta a venerdì il confronto degli ambasciatori sulla legge sulla natura
BRUXELLES – Di nuovo appesa a un filo la legge sul Ripristino della natura, l’iniziativa Ue per ripristinare il potenziale naturale e produttivo di terreni e ambienti e non solo tutelarli nelle aree protette. Slitta a venerdì la discussione, inizialmente prevista oggi, tra gli ambasciatori dei 27 Stati membri Ue al Coreper per decidere se inserire il via libera definitivo alla legge nell’agenda…
View On WordPress
0 notes
Text
Non sempre è produttivo e possibile sottrarsi al confronto con chi ti delude - in questo momento devo confrontarmi e in modo determinato perché non può essere che vengo di nuovo obbligata all'indifferenza, ci sono dei problemi interni e vanno affrontati.
Non ho sempre torto solo perché sono scomoda, a volte sono davvero semplicemente l'avvocatessa del diavolo
1 note
·
View note
Text
Recensione Samsung Galaxy Z Fold 5 - il foldable più completo
Sono trascorsi ormai 5 anni dal lancio della prima versione del foldable secondo Samsung, sono stati compiuti nel frattempo enormi passi in avanti, che hanno certificato il forte impegno dell'azienda verso tale tipologia di prodotto, ed allo stesso tempo la certezza che possa davvero rappresentare il futuro della telefonia mobile. Ma come si comporta il più recente Samsung Galaxy Z Fold 5? scopriamolo assieme nella recensione completa. Estetica e Design Da un punto di vista puramente estetico il dispositivo potrebbe sembrare identico al suo predecessore, ma allo stesso tempo presenta una differenza fondamentale, la cerniera è stata rivisitata completamente, con l'adozione della Flex Hinge, riuscendo a permettere la totale chiusura del device (non resterà più leggermente alzato come in passato). L'attenzione di Samsung si è posta anche sulle dimensioni, il prodotto raggiunge 154,9 x 129,9 x 6,1 millimetri, quando aperto, per fermarsi a 67,1 x 154,9 x 13,4 millimetri, quando chiuso. La cosa che balza maggiormente all'occhio è sicuramente il peso, ridotto di circa 10 grammi in confronto al predecessore, capace così di raggiungere 243 grammi complessivi. La scocca si presenta in alluminio rinforzato, per un'ottima robustezza ed affidabilità quotidiana, grazie anche alla presenza della certificazione IPX8 (per resistenza a schizzi d'acqua e polvere, compresa l'immersione), e protezione del vetro con Gorilla Glass Victus 2. I materiali utilizzati sono di grandissima qualità, la cerniera funziona alla perfezione senza mai dare la sensazione di potersi rompere da un momento all'altro. La disposizione della pulsantistica, nonché dei vari connettori segue lo standard a cui siamo solitamente abituati. Hardware e Specifiche Samsung Galaxy Z Fold 5 presenta due display, uno esterno da 6,1 pollici, AMOLED con refresh rate che può oscillare tra 48 e 120Hz, e risoluzione 900 x 2316 pixel, sempre in formato 23:9. L'unico difetto può essere legato all'essere lungo e sottile, molti di noi preferiscono un pannello forse più corto e largo, anche per avere più spazio ad esempio per la tastiera virtuale. Aprendo la cerniera viene mostrato un ampio pannello da 7,6 pollici, con un rapporto schermo/scocca del 90%, un Dynamic AMOLED 2X a 120Hz (con supporto al refresh rate variabile da 1Hz), risoluzione 1812 x 2176 pixel (e supporto HDR10+), per finire con 373 ppi di densità per pixel. La piega non è stata rimossa completamente, anche se la si nota molto meno; per il resto qualitativamente è bellissimo, e forse uno dei migliori in circolazione. Sotto il cofano troviamo il processore top di gamma del momento, Qualcomm Snapdragon 8 Gen 2, con refresh rate a 3,36GHz, processo produttivo a 4 nanometri, affiancato dalla GPU Adreno 740. La configurazione si completa con 12GB di RAM ed una memoria interna UFS 4.0 che può variare da un minimo di 256GB, fino ad un massimo di 1TB. Prestazioni al top per uno smartphone che non sembra avere assolutamente rivali. Lo sblocco può avvenire con i soliti modi, con la sola differenza che il sensore delle impronte è posizionato sul tasto di accensione/spegnimento, mantenendo comunque velocità incredibili. Samsung Galaxy Z Fold 5 è uno smartphone 5G con il carrellino delle SIM che ospita due slot per la nanoSIM, a cui se ne aggiunge uno virtuale per la eSIM. La connettività è rappresentata dal WiFi 6E dual-band, GPS, bluetooth 5.3, USB-C 3.2 (con uscita video) e chip NFC per i pagamenti mobile. Eccellente il comparto audio con il doppio altoparlante fisico, capace di raggiungere un volume molto elevato, senza perdita di qualità. Fotocamera, sistema operativo e batteria Il comparto fotografico si concentra in un modulo composto da 3 sensori, che esteticamente ricordano molto i classici Galaxy S23/S24 e non presentano differenze sostanziali rispetto al modello precedente. Nello specifico parliamo di una fotocamera principale da 50 megapixel, con apertura F1.8 e stabilizzatore ottico integrato, uno zoom ottico 3X da 10 megapixel con apertura F2.4, per finire con la grandangolare da 12 megapixel e apertura F2.2. Gli scatti sono più che discreti nella maggior parte delle condizioni luminose, sia all'aperto che al chiuso, la definizione è eccellente, come anche il dettaglio e la nitidezza complessive. Non assistiamo allo spiacevole micromosso, data la presenza dello stabilizzatore ottico integrato, oltretutto il rumore digitale tarda ad arrivare, così da potersi spingere anche verso ISO più alti. I video vengono realizzati in 4K a 60fps, la messa a fuoco è ottima, come anche la stabilizzazione, che risulta essere perfettamente in grado di registrare un filmato non particolarmente mosso (anche se avete la mano traballante). I sensori secondari sono sia nella parte esterna del device, dove si trova un obiettivo da 10 megapixel con apertura F2.2, ed uno sotto il display più grande, da 4 megapixel con apertura F1.8. In termini pratici ne consigliamo l'utilizzo solo ed esclusivamente per le eventuali videochiamate, per tutto il resto potete senza problemi utilizzare le altre fotocamere. Il sistema operativo è Android 13 con personalizzazione grafica One UI 5.1.1. L'ìnterfaccia ricorda molto quanto visto lo scorso anno, nella parte bassa troviamo una barra con le app più utilizzate dagli utenti, sfruttare l'ampio schermo per aprire più app in contemporanea (fino ad un massimo di 3), oppure optare per un'apertura in finestra. Non manca all'appello il menù laterale, la suddivisione dello schermo andando a piegarlo, così da visualizzare su entrambi le metà due soluzioni differenti, ovviamente Samsung DeX, e tutto ciò che contraddistingue i foldable di casa Samsung. La batteria è un componente da 44000mAh, con supporto alla ricarica rapida a 25W, nonché wireless a 15W e inversa. L'autonomia dipende direttamente dall'utilizzo che ne fate, considerate comunque che in media si arriva senza problemi al termine della giornata, anche con un utilizzo stressante del device stesso. Samsung Galaxy Z Fold 5 - conclusioni In conclusione Samsung Galaxy Z Fold 5 è il foldable perfetto per riuscire ad incrementare la produttività, puntando fortissimo sul meglio del meglio, in termini di specifiche tecniche e di un software perfettamente a fuoco, nonché comunque capace di valorizzare una determinata tipologia di prodotto. Piccoli miglioramenti qua e là lo fanno apprezzare ancora di più dal pubblico, come ad esempio la presenza di una cerniera che lo chiude completamente. https://www.youtube.com/watch?v=5Yp1vqiAXYk Dall'altro lato della medaglia troviamo un prezzo sempre più alto, oggi si parte da 1999 euro, e con una totale assenza di miglioramenti nel campo fotografico. Read the full article
0 notes
Text
L'azienda Cesare Fiorucci sta vivendo un periodo di crisi ed ha annunciato un elevato numero di esuberi
Fiorucci annuncia un licenziamento collettivo che minaccia di lasciare a casa molti lavoratori con 50 anni e più, appartenenti cioè a una fascia d’età che trova con estrema difficoltà una ricollocazione. La decisione, spiegano i vertici del gruppo, è stata presa “a causa delle drammatiche difficoltà finanziarie“. Fiorucci annuncia oltre 200 esuberi L’azienda ha annunciato un piano di oltre 220 esuberi nella sede di Parma e soprattutto nello stabilimento di Pomezia Santa Palomba (Roma). Secondo Alessandro Vona, segretario generale della Flai Cgil Roma Sud Pomezia Castelli, si tratterebbe di 226 o 227 lavoratori. Una decisione che rientra in un più ampio progetto di ristrutturazione aziendale e che prevede il taglio delle produzioni e l’esternalizzazione di alcuni processi. Nel comunicare l’avvio formale della procedura di licenziamento collettivo, avvenuto lunedì 27 novembre, la Fiorucci ha dichiarato che “le informazioni richieste verranno fornite nell’ambito del confronto che dovrà essere inaugurato”. L’obiettivo dichiarato del gruppo è quello di garantire la permanenza in Italia della produzione, la continuità aziendale e una crescita del fatturato di oltre il 20% nei prossimi sei anni. Un piano di rilancio del marchio “a tappe”, giunto pochi mesi dopo l’acquisizione da parte di due fondi esteri, Navigator Group e White Park Capital, del 100% della società. In precedenza l’azienda era passata da una multinazionale straniera all’altra. Nello stabilimento di Pomezia lavorano circa 400 persone. Tra 75 giorni, se non si troverà una soluzione condivisa, la metà degli addetti si ritroverà in disoccupazione. Da parte sua, l’azienda ha promesso di risolvere tutte le posizioni entro marzo 2024. Ma il tempo stringe. Il piano per rilanciare l’azienda Il piano ideato dal board di Fiorucci, e approvato dai nuovi investitori, prevede azioni volte alla crescita sul mercato sia italiano sia internazionale, con un particolare focus su Paesi chiave come Germania, Austria, Francia e Regno Unito. “Grazie ai nuovi finanziamenti, l’azienda ora non ha posizioni debitorie e dispone di liquidità sufficienteper garantire continuità operativa e di pagamenti”, ha dichiarato l’amministratore delegato Claudio Rustioni. Gli oltre 30 milioni di euro di investimenti previsti dal progetto di rilancio “saranno fondamentalmente indirizzati a rendere competitiva l’azienda e ad acquisire nuove quote di mercato. Ci concentreremo sull’automazione e modernizzazione degli impianti, sull’acquisizione di distributori e catene retail nel nord Italia e all’estero e sulla sicurezza sul lavoro e l’igiene per tutelare sia i nostri dipendenti che i clienti finali”. La mobilitazione dei sindacati Già il 23 novembre ha avuto luogo un incontro tra la Fiorucci, le Segreterie nazionali e territoriali di Fai, Flai, Uila e le RSU degli stabilimenti di Pomezia e Parma. Nel corso della riunione, l’azienda ha illustrato il proprio piano per invertire una tendenza negativa che si protrae da oltre un decennio. Aprendo un tavolo di lavoro con i sindacati, la Fiorucci ha affermato di voler ridurre, “nel limite del possibile e coerentemente alla situazione di mercato”, l’impatto sociale della riorganizzazione. Dall’altro lato le sigle sindacali si sono opposti fermamente al piano della società, dichiarando l’immediata apertura dello stato di agitazione sindacale nel sito produttivo di Pomezia e convocando d’urgenza le assemblee con le lavoratrici e i lavoratori per decidere le azioni di lotta da mettere in campo. I lavoratori hanno anche bloccato la strada di accesso allo stabilimento. L’obiettivo dei sindacati è portare la questione all’attenzione del Governo, per scongiurare l’ennesimo dramma sociale. Read the full article
0 notes
Text
Flipped classroom, cos'è? Può essere una soluzione?
Per spiegare al meglio in maniera chiara cos'è la flipped classroom utilizzerò le parole presenti nel mio testo di riferimento di studio: "Fondamenti di didattica" di Bonaiuti, Calvani, Ranieri. Letteralmente traducibile come "classe ribaltata", indica una modalità di insegnamento in cui le tradizionali sequenze di lavoro sono capovolte. Invece che la successione di spiegazione in classe e studio individuale a casa, in questo caso si inizia con lo studio autonomo a casa e si prosegue con attività di approfondimento in classe. Lo studio a casa è affidato a video o altri materiali multimediali nella convinzione che quello che l'insegnante illustra nel corso di una lezione frontale possa tranquillamente essere registrato (o predisposto in anticipo) e fruito in tempi e spazi diversi. L'insegnamento capovolto mira a rendere il tempo-scuola più produttivo e funzionale affermando che, mentre si può tranquillamente demandare ai media il compito di veicolare la parte formale dei contenuti di conoscenza, l'aula ha l'irrinunciabile prerogativa di essere spazio di confronto, approfondimento, applicazione e verifica. -Bonaiuti, Calvani, Ranieri Questa la definizione da glossario di Flipped classroom, ma ora pensiamo bene a cosa può significare di questi tempi l'utilizzo di questa modalità Può essere utile? Prima di tutto pensiamo come la scansione dei tempi nelle istituzioni dopo l'arrivo dei media sia cambiata fino ad arrivare appunto a proporre un capovolgimento della lezione, in cui lo studio ha il permesso di avvenire prima, a casa. Ciò porta principalmente a una mia osservazione personale: quanto può giovare questa modalità nel nostro sistema? Secondo me tanto e lo dice specialmente la mia esperienza fornita nell'aiuto compiti. Quanto spesso vediamo famiglie che sono costrette a chiedere un aiuto da fuori per dare assistenza ai propri bambini durante i quotidiani compiti? Senza parlare di tutti quei genitori che si ritrovano ad essere un insegnante secondario durante moltissimi pomeriggi insieme ai propri figli. Quanti pomeriggi vengono trascorsi così rinunciando ad altro? Non sarebbe molto più utile limitare l'attività pomeridiana ad un semplicissimo video di 15 minuti che di sicuro alleggerirebbe le giornate di moltissimi bambini e dei propri genitori. In mia opinione i risultati arriverebbero lo stesso, tenendo conto della molta più quantità di tempo garantita così a scuola che si potrebbe dedicare ad esercitarsi di più insieme (momento più importante nell'apprendimento infantile) e a sciogliere ogni tipo di video sulla lezione vista il giorno prima a casa. Questa è la mia idea, la vostra qual è? Grazie per l'attenzione, vi lascio qua sotto il link per acquistare il libro davvero ottimo ed esaustivo citato sopra: https://amzn.to/3nXJ55Q Fondamenti di didattica, Calvani-Bonaiuti-Ranieri. Per altri articoli riguardanti la didattica: https://www.archiviodelmaestro.it/category/strategie-didattiche/ Read the full article
0 notes
Note
Cosa ne pensi di chi nel 2022 gira con i fuoristrada che inquinano, delle babygang che rubano per i vestiti firmati, delle tasse sulla plastica e delle campagne ambientaliste delle influencer, della Cina che è una dittatura però capitalista quindi va bene, della gente che muore di fame e di malattie allora parte per la ricca Europa, di chi scommette in borsa e fa i miliardi così, dei bitcoin, della fibra ottica in Europa che serve per creare la prima rete informatica quantistica? Cosa ne pensi di tutto ciò?
Scherzavo, continuiamo pure a parlare di no vax come se fossero il male nel mondo, la causa di tutti i problemi, dei mutanti usciti dalle fogne per inquinare la nostra utopia moderna
Sarebbe bello se chi ha visibilità la usasse per aprire la mente delle persone e farle ragionare sul fatto che le cose sono un tantino più complesse di come le spiega il tg5
Se vuoi rispondo a tutte le tue domande ma una per volta, però devi usare la punteggiatura se no non riesco a leggere senza prendere fiato.
Sì comunque ovviamente continuo a parlare di ogni argomento che voglio sul mio blog, sempre con la mente aperta e soprattutto, aperto al confronto.
A tal proposito ti invito a scrivermi in chat così possiamo parlare più approfonditamente e confrontare i nostri pensieri in modo libero e produttivo, che ne dici?
13 notes
·
View notes
Text
Lady Hamilton (moglie dell'ambasciatore di Gran Bretagna a Napoli, Lord William Hamilton ).
Ritratto del 1791 di
Elisabeth Vigée Le Brun (1755-1842), la pittrice diffamata per sesso, politica e arte
Che Elisabeth Vigée Le Brun (1755-1842) sia stata una delle donne più affascinanti e talentuose del suo tempo, nonché una delle principali interpreti di un’epoca tanto contraddittoria quanto turbolenta, è cosa nota. Ma per riuscire a capire al meglio chi fosse questa pittrice francese è senz’altro indispensabile immergersi nella lettura di “Viaggio in Italia di una donna artista. I ‘Souvenirs’ di Elisabeth Vigée Le Brun 1789-1792”, edito da Electa a cura di Fernando Mazzocca. Questi “Souvenirs” sono il memoriale che l’artista puntualmente pubblicò in diversi volumi, su sollecitazione degli amici fidati e dei parenti, i quali promossero la pubblicazione, basandosi su appunti, diari e lettere della pittrice stessa.
Uno degli indubbi obiettivi di queste memorie era quello di arrestare una volta per tutte le numerosissime calunnie che da tempo ormai, ancora prima della Rivoluzione francese, circolavano sul conto della donna, troppo bella, libera, ambiziosa, testarda, sicura di sé e soprattutto abile nell’arte della pittura per non animare cattive lingue. Oltre ad attribuirle numerosi amanti, in molti la accusarono di non saper creare opere pittoriche e, per questa ragione, di far dipingere un uomo, per la precisione Ménageot, al suo posto. Per l’occasione, anche il marito prese le sue difese pubblicamente con queste parole: “Ma è un’ingiustizia comune agli uomini e alle donne far finta di credere che una donna sia incapace di occuparsi d’altro che di cose frivole, e non perdonarle di voler penetrare nel sacro tempio delle arti e delle scienze”. Per quanto riguarda la sua unione con uno dei maggiori mercanti d’arte del tempo, Jean Baptiste Pierre Le Brun, la pittrice stessa sottolineò che fu un matrimonio senza amore, tormentato, che terminò con il divorzio solamente nel 1794, benché di fatto la coppia fosse separata già dal 1789.La sua sfrenata passione per le donne di dubbi costumi, unita a quella del gioco, causò la rovina delle sue sostanze e delle mie”: queste le parole di Elisabeth Vigée Le Brun, confermate dal fatto che la donna non solo giunse in Italia senza denari, ma si vide costretta, cosa ben anomala al tempo, ad inviare in più occasioni al marito ciò che riusciva a guadagnare grazie ai suoi ritratti. Se dunque si può parlare di amore, è certamente quello per la pittura che risulta oggetto delle sue passioni, inclinazione in lei innata, in parte trasmessale dal padre, Louis Vigée mediocre ritrattista del tempo; in breve, grazie a un precoce talento e a una genialità che seppero dar vita ad un intenso stile personale, frutto di una sintesi personalissima della tradizione pittorica italiana e di quella fiamminga, la pittrice fu oggetto dell’attenzione delle classi dominanti. Fu così che divenne una delle ritrattiste più ricercate del suo tempo, anche al di fuori dei confini francesi: alla sua morte lasciò ben seicento ritratti e duecento paesaggi.
Forte fu il legame della giovane pittrice con la corte di Versailles: nel 1777 incontrò per la prima volta la regina Maria Antonietta e ne diventò immediatamente amica, confidente e pittrice prediletta, tanto che nel decennio dal 1778 al 1788 realizzò una trentina di ritratti della sovrana. Questo rapporto con la corte le permise di avere accesso alle regge di tutta Europa nonché di ricevere grandi riconoscimenti, tra i quali quello, inusuale per una donna del tempo, di essere membro dell’Académie Royale de Peinture et de Sculpture. Ma molti furono anche i problemi derivanti dall’amicizia con la regina: il 6 ottobre 1789 (ovvero il giorno dopo che Luigi XVI e Maria Antonietta vennero condotti da Versailles a Parigi) Elisabeth, per sfuggire alla Rivoluzione, scappò precipitosamente dalla Francia alla volta dell’Italia con la figlia Julie e la badante. In cuor suo la donna sperava di poter far ritorno presto in patria, ma così non fu.
Dodici furono gli anni di esilio, in Italia, a Vienna e in Russia. Rientrò in Francia solo nel 1802, ormai incapace di ritrovarsi in una società profondamente mutata, nella quale non le rimaneva che rimpiangere l’ormai scomparso Ancien Régime. E questo le provocò diversi problemi.. Proprio per sfuggire a queste ire, Elisabeth riparò in Italia. Il suo esilio rivive puntualmente (anche se a dire il vero non sempre le date coincidono con la realtà dei fatti) nelle pagine dei suoi “Souvenirs”: da Torino, a Parma, Modena, Bologna, Firenze, fino a giungere Roma negli ultimi giorni del novembre 1789.
Da qui, successivamente, si recò più volte a Napoli. Ma fu la città eterna ad incantare la pittrice ed in particolar modo i resti di epoca romana, nonché le numerosissime creazioni artistiche che ebbe modo di conoscere. Primo fra tutti, l’artista provava un’ammirazione incondizionata nei confronti di Raffaello, le cui opere poté ammirare non solo a Roma ma anche in altre città italiane ed europee da lei visitate. E così accanto all’influenza dei grandi maestri del nord, quali Vermeer, Van Dyck, Rubens e Rembrandt, diventò sempre più forte l’influsso dei pittori italiani: oltre all’urbinate, incisero sulla sua pittura i dipinti della scuola veneziana e quelli di Leonardo e di Giulio Romano, solo per citare alcuni esempi.
I tre anni trascorsi in Italia si rivelarono per l’artista molto fruttuosi, non solo per gli splendidi paesaggi e scenari che la donna ebbe modo di conoscere – e che vennero con passione ricordati nelle pagine dei “Souvenirs” – ma anche per le numerosissime commissioni che ricevette dalle più importanti personalità dell’epoca e che fecero di Elisabeth la ritrattista più richiesta e pagata del tempo. In questo modo riuscì quindi, da un lato a ricostruire il patrimonio che il marito aveva dilapidato e dall’altro ad avere la meglio sull’altra nota pittrice, sua antagonista da sempre: Adélaïde Labille-Guiard. Tra i dipinti di maggiore importanza realizzati durante il soggiorno italiano va senz’altro ricordato l’“Autoritratto” realizzato nel 1789 e donato agli Uffizi: opera emblematica perché non solo perché riprende un tema caro e particolarmente sentito dall’artista, lo scandaglio dell’anima, ma per il confronto produttivo, in questa particolare versione, con l’opera che Elisabeth sta creando, ovvero il ritratto della tanto amata Maria Antonietta.
Una pagina del diario – “Solo quattro opere delle tante che ho dipinto mi danno soddisfazione”
Salutai lo splendido mare napoletano, l’incantevole collina di Posillipo, il terribile Vesuvio, e partii per Roma: avrei rivisto per la terza volta la mia cara città, avrei ammirato ancora una volta Raffaello in tutta la sua gloria. Come giunsi a Roma, mi misi nuovamente all’opera con i miei ritratti, a dire il vero senza troppa soddisfazione. Durante i miei soggiorni napoletani, e ancor più durante quelli romani, rimpiangevo molto di non potere impiegare il mio tempo in qualche quadro il cui soggetto m’ispirasse. Ero stata nominata membro di tutte le accademie italiane, e questo fatto mi spingeva a cercare di essere sempre più all’altezza di onorificenze così lusinghiere; viceversa non avrei lasciato nulla in quel bel paese che potesse accrescere di molto la mia reputazione. Idee simili mi ronzavano spesso per la testa; ho più di uno schizzo nel mio portafoglio, che potrebbe fornirne la prova; ma, sia la necessità di guadagnare del denaro – giacché non mi rimaneva più un soldo di tutto quello che avevo guadagnato in Francia -, sia la mia debolezza di carattere, facevano sì che assumessi continui impegni, con la conseguenza che mi inaridivo limitandomi alla ritrattistica.
E con il risultato che dopo aver dedicato la mia giovinezza al lavoro, con una costanza, un’assiduità piuttosto rare in una donna, amando io la mia arte quanto la mia stessa vita, oggi posso contare su non più di quattro opere (ivi compresi i ritratti) di cui sia realmente contenta. Ciononostante, non pochi dei ritratti che feci durante il mio ultimo soggiorno romano mi procurarono qualche soddisfazione: tra le altre quella di rivedere Mesdames de France, le zie di Luigi XVI, che appena giunte in quella città, mi fecero chiamare e mi pregarono di ritrarle. Non ignoravo che un’artista donna, che si era sempre dimostrata mia nemica [Adélaïde Labille-Guiard, ndr], non so per quale motivo, aveva tentato, con ogni mezzo immaginabile, di oscurarmi nella considerazione di queste principesse; ma l’estrema bontà con la quale mi trattarono, mi fece presto capire il poco effetto che avevano prodotto queste vili calunnie. Cominciai a fare il ritratto di Madame Adélaïde; feci in seguito quello di Madame Victoire."
5 notes
·
View notes
Text
A me sto governissimo Draghi comincia proprio a piacermi. Sono tutti arroccati li dentro, finta maggioranza e finta opposizione, tutti più europeisti che mai, fedeli all'unica ideologia che ha consentito loro di vivere di rendita per decenni, un sistema infallibile capace di creare una barriera insormontabile fra governanti e governati. Il voto è inutile, la democrazia è assente, la Costituzione è solo carta straccia. Una vera pacchia. Per loro.Hai perso il lavoro? O il tuo salario è troppo basso? Non è colpa nostra. C'è la globalizzazione. La Cina. E oggi pure la pandemia.Paghi troppe tasse e non riesci più a stare dietro alle bollette? Non è colpa nostra. C'è il debito pubblico. Avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità.I servizi pubblici non funzionano più? La Sanità è allo sbando? La Scuola è alla deriva? Le strade crollano? Non è colpa nostra. Dobbiamo fare tagli, ce lo chiede l'Europa. Non avete più un euro in tasca? I vostri risparmi scarseggiano? Non è colpa nostra. I soldi non li stampiamo noi, ma la BCE. E poi l'inflazione. Che paura l'inflazione.Vorresti spaccare tutto e mandare tutto all'aria? Non puoi farlo. Salirebbe troppo lo spread. I mercati ci osservano e ci giudicano. La politica non è finita con Draghi, ma era già finita da un pezzo. Ma ora ve ne state accorgendo tutti. I partiti non esistono più. Esiste solo una propaganda assordante che vaneggia di un fantomatico scontro fra destra e sinistra. Favoleggia di un movimento che accoglie tutte le spinte populiste dal basso. Falso. Sono tutti un'unica casta. Fanno finta di scontrarsi in duelli all'ultimo sangue, mozzafiato, per dividervi in tante tifoserie e distrarvi con le loro pagliacciate, mentre ridono di voi e si godono lo spettacolo della nostra perenne guerra fra poveri.L'unica vera domanda che dovreste porvi è perché Draghi adesso? Perché Mattarella, con l'aiuto di Renzi e il tacito consenso di tutti gli altri finti partiti, si sta giocando la carta Draghi proprio adesso? Per i quattro spiccioli del Recovery Fund? Naaaa. Acqua. Pensateci bene. La pandemia che inizialmente era stata presa a pretesto per aumentare il controllo e la repressione, favorendo la distruzione del tessuto produttivo delle piccole e medie aziende, stava facendo saltare una dopo l'altra tutte le maglie della catena. Niente più filiera lunga, troppo fragile, soprattutto in caso di crisi esogena e simmetrica. Molto meglio la supply chain corta, più sicura e affidabile. Al diavolo la globalizzazione. Al diavolo pure il patto di stabilità e il debito pubblico perché ogni Stato rischiava di fallire. Al diavolo la finta solidarietà e cooperazione europea, ogni paese ha dovuto affrontare l'emergenza sanitaria da solo. Ognuno per sé e Dio per tutti. Al diavolo pure la libera circolazione delle persone. Chiudiamo i confini. Facciamo i controlli alle frontiere. Tutto il sistema stava andando gambe all'aria.Quindi perché Draghi??? Perché gradualmente, con il supporto di tutti i finti partiti, deve riportarci dentro il sistema. Ripristinare il patto di stabilità e la paura del debito pubblico, lo spread e i mercati. Accompagnare la distruzione selettiva delle piccole e medie aziende in favore delle grandi multinazionali. Scrivere stringenti clausole di condizionalita' per accedere ai prestiti del Recovery Fund. Sostenere il sistema bancario con l'eliminazione definitiva del contante. Draghi deve stringere di nuovo le maglie della catena che lui stesso ha contribuito a costruire fin dal 1980. Conosce benissimo com'è fatta la catena. Conte al confronto era un dilettante. Ora vedrete plasticamente come agisce un professionista del sistema. Capirete che l'unica opposizione al sistema è fuori dal parlamento. E siete voi, ognuno di voi. Nessuno vi ha mai rappresentato. Ognuno di voi è un sovranista, ma ancora non lo sa. Per questo motivo sobbalzano e si indignano ad ogni accenno di sovranismo. Il loro vero nemico è quel maledetto comma dell'articolo 1 della Costituzione che dice "la Sovranità appartiene al Popolo". Vorrebbero distruggere questo legame ancestrale fra voi e la vostra stessa Sovranità. Ogni volta che voi rivendicate un diritto o avanzate anche una timida obiezione al sistema siete sovranisti. Ma non lo sapete ancora. Nessuno vi salverà se non voi stessi e la vostra indistruttibile Sovranità. Quando capirete che senza una mobilitazione dal basso, implacabile, compatta, scevra da tutte le decrepite ideologie del passato, ancorata ai principi sacrosanti ed eterni della Costituzione, non abbiamo scampo. Ci prenderanno uno per uno, categoria per categoria. Nessun Draghi, Trump, Grillo, Salvini, Meloni ci salverà. Il salto nel vuoto che dovete fare è proprio questo. La loro presunta competenza tecnica è nulla contro un intero popolo che è consapevole del suo potere, dei suoi diritti e della sua Sovranità. La guerra è appena cominciata. Loro sono tutti arroccati nei Palazzi e negli studi televisivi. Noi siamo sparpagliati. Ognuno nella propria trincea quotidiana e personale. Uscite allo scoperto e combattete. Innanzitutto contro voi stessi e le vostre false credenze. Abbiate il coraggio di affrontare corpo a corpo i vostri mostri e i loro Draghi. Perché è vero che vi odiano, ma è ancora più certo che vi temono. Altroché se vi temono.Piero Valerio
1 note
·
View note
Photo
Nuovo post su https://is.gd/XKRrS4
Biodiversità nell’oliveto del Salento, agli inizi del XX secolo
di Gianpiero Colomba
In Terra d’Otranto, tra la fine del XVIII° e per tutto il XIX° secolo, come conseguenza dei continui dissodamenti dovuti alla nascita di nuovi impianti con piante che per la prima volta colonizzavano il territorio (olivo, gelso, fichi, tabacco, ecc.), c’era poca disponibilità di nuovi terreni coltivabili. Una chiave per l’equilibrio produttivo fu l’intensificazione del livello di coltivazione nei terreni in genere ma soprattutto negli oliveti, con cereali e legumi spesso in rotazione tra loro. La parcellizzazione del territorio salentino e la coesistenza di colture diverse nello stesso fondo è stata una caratteristica delle comunità tradizionali che ha garantito nel tempo l’autosussistenza delle famiglie.
L’olivo quasi sempre era all’interno di possedimenti nei quali condivideva lo spazio con coltivazioni come i cereali, la vite, gli ortaggi e altre colture arboree come il gelso, il mandorlo o il fico. La distanza tra le piante di olivo permetteva di intercalare colture che consentivano al contadino di avere un reddito diversificato e quindi pressoché costante nel tempo.
Alla fine del XVIII° secolo il medico e agronomo salentino Giovanni Presta, indicava una distanza conveniente tra le piante di olivo di circa 65 «palmi», il che corrispondeva a poco meno di 50 piante per ettaro, la stessa densità indicata un secolo dopo dal cavaliere Gennaro Pacces, il quale si riferiva al dato medio dell’intera provincia di Terra d’Otranto. Intorno agli anni trenta del XX secolo si stima con maggior precisione una densità media di 62 piante per ettaro. Per fare un confronto: in Andalusia, regione leader nel mondo in quanto a produzioni di olio, nello stesso periodo potevano esserci tra le 90 e le 100 piante per ettaro. Per inciso, attualmente nella provincia di Lecce si stimano 112 piante per ettaro e un minimo livello di consociazione.
Per avere un riscontro rispetto alla reale condizione delle colture intercalate nell’oliveto in epoca preindustriale, prendiamo come rappresentativo il classico lavoro del professore Attilio Biasco di inizio XX secolo:
Gli oliveti specializzati, se non mancano del tutto, sono sicuramente molto rari. La consociazione arborea è abitualmente con la vite, la mandorla e il fico. La consociazione è talmente rilevante che l’olivo si considera la coltivazione secondaria.
Esiste dovunque una rotazione in cui spesso figurano le cereali e scarseggiano le leguminose: le prime sono rappresentate dal frumento, dall’avena, dall’orzo; le seconde dal lupino, dalla fava e il trifoglio incarnato.
Ma quali colture erano intervallate nell’oliveto e in quale proporzione? I dati che permettono un’analisi più precisa sono quelli in calce al Catasto Agrario del 1929. Per la prima volta in Italia nel su indicato Catasto, si descrivevano le aree coltivate differenziandole tra superficie cosiddetta «integrante» ovvero specializzata e superficie «ripetuta» ovvero associata ad altre coltivazioni prevalenti. L’oliveto integrante, a sua volta, era definito «esclusivo» laddove non vi era alcuna promiscuità con altre coltivazioni, o «prevalente» laddove la coltivazione associata occupava non oltre il 50% della superficie dell’oliveto.
Secondo la definizione data nel Catasto Agrario quindi, all’interno della categoria integrante potevano ricadere oliveti con all’interno fino al 49% della superficie occupata da altre colture. Per semplificare, poteva esserci un ettaro di oliveto con intercalati 3 mila metri quadri di mandorlo. Quindi, non solo esisteva una quota parte di olivi associati in altre coltivazioni, ma, vi era anche un certo livello di promiscuità colturale all’interno dell’oliveto definito integrante.
L’analisi dei dati permette un’interessante ed inedita valutazione: poco più del 33% dell’oliveto specializzato (50.591 ettari su 149.947 ettari nel 1930) aveva al suo interno coltivazioni in rotazione (principalmente, grano duro, avena, orzo, fave e lupini). Questo significa che esisteva ben un terzo dell’oliveto specializzato al cui interno vi era un certo livello di promiscuità, ed era quello che si definiva come oliveto prevalente. Di queste colture, il 44% erano cereali, il 21% piante da foraggio (trifoglio, veccia, …), il 13% fave, il 7% lupini e il 13% altri legumi. Si avverte che questa è una fotografia sul territorio in un dato momento storico e che, secondo quanto enunciato nel catasto, queste rilevazioni erano dati medi riferiti al sessennio 1923/28. Data inoltre la ciclicità annuale delle coltivazioni, l’analisi che ne può derivare riveste un significato di sola tendenza.
A questo punto se consideriamo la totalità della superficie dell’oliveto, cioè sia la superficie di associato che di specializzato, osserviamo che in percentuale l’oliveto esclusivo «puro» senza alcuna associazione, rappresentava in Provincia una quota poco più alta della metà di tutto l’oliveto ossia il 54%. Per altro verso, era pari al 18% la superficie occupata dagli olivi in associazione ma, se includiamo la categoria prevalente, non indicata nelle statistiche ufficiali ma qui calcolata, vediamo che la percentuale sale al restante 46%. Quindi, in poco meno della metà della superficie totale dell’oliveto (associato + specializzato), esisteva una qualche forma di associazione colturale. Riassumiamo il tutto nella figura sotto.
Tipologia dell’oliveto in Terra d’Otranto nel 1930. (Ettari). Fonte: propria elaborazione.
Alcune riflessioni. In alcune zone d’Italia e in particolar modo nel Salento, c’era poca disponibilità di territorio supplementare per le nuove colture. Infatti, già nel 1929 la quota di terra forestale (pascoli permanenti e boschi) si era progressivamente ridotta a poco meno del 10% su tutto il territorio della provincia di Lecce. Inoltre, l’alta densità di abitanti obbligava a rendere altamente efficienti tutti i terreni disponibili. Una chiave per l’equilibrio produttivo per tutto il XIX secolo e anche nei primi decenni del XX, fu l’intensificazione del livello di coltivazione nella stessa area con cereali e legumi, a dimostrazione di una più compiuta razionalità ed efficienza contadina, e rappresentando quindi un esempio di land-saving strategy. Le consuete rotazioni tra fave o lupini da un lato e avena, grano duro o orzo dall’altro, consentivano il soddisfacimento dei bisogni familiari in condizioni di sostenibilità per l’oliveto. L’associazione tra colture è uno dei segnali che rafforza l’idea di una strategia agraria basata sull’autoconsumo.
Questa tendenza si sarebbe poi evoluta nel giro di alcuni decenni in direzione della monocoltura e della specializzazione. Nel 1980 l’Istat riportava circa 1 milione di ettari d’olivo in consociazione su tutto il territorio italiano, circa 1,4 milioni di ettari nel 1950 e a circa 1,7 milioni nel 1910. Secondo stime più recenti del progetto europeo di agro-selvicoltura Agforward (2014-17), in Italia circa 200.000 ha di olivo sono attualmente gestiti in consociazione. Il trend quindi è in calo. Assistiamo a una lenta evoluzione in direzione della specializzazione colturale.
Sebbene quindi intorno al 1930, abbiamo calcolato un consistente livello di diversità colturale negli oliveti, verosimilmente questa quota era in diminuzione e con esso diminuiva progressivamente la biodiversità al loro interno. Ed è altrettanto plausibile che per l’oliveto, il quale per chi scrive ha rappresentato il classico esempio di coltura promiscua in epoca contemporanea, l’uscita dalla crisi produttiva iniziata alla fine del XIX° secolo fu rappresentata proprio dal percorso di avvicinamento alla specializzazione. Tutto ciò coincise anche con la globalizzazione dei prodotti e il conseguente ingresso di cereali a basso costo provenienti da altre parti del mondo. Tutta questa complessa e simultanea concomitanza di eventi, condizionò l’abbandono delle tradizionali strategie contadine, le quali consideravano l’associazione tra le colture come sistemi agronomici efficienti e in ultima analisi, forzò il percorso di semplificazione degli agro-ecosistemi. Negli ultimi decenni, l’utilizzo massivo di agro-chimici negli oliveti si sta realizzando senza controllo, contaminando il suolo e le acque, e originando, da un lato una forte perdita di sostanza organica e dall’altro una minaccia alla biodiversità.
Bibliografia
Biasco A., L’olivicoltura nel basso leccese, Napoli 1907.
Casella O., L’Ulivo e l’olio: manuale pratico ad uso degli agricoltori e dei proprietari, Napoli 1883.
Cimato A., Il germoplasma olivicolo in provincia di Lecce: recupero, conservazione, selezione e caratterizzazione delle varietà autoctone, Matino (LE) 2001.
COLOMBA G., Transición socio-ecológica del olivar en el largo plazo. Un estudio comparado entre el sur de Italia y el sur de España (1750-2010), Tesi di dottorato, Siviglia 2017.
Pacces G., Inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola in Italia, Monografia circa lo stato di fatto dell’agricoltura e della classe agricola dei singoli circondari della provincia di Terra d’Otranto, Lecce 1880.
Presta G., Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio, Napoli 1794.
Tombesi A. et al., Recommendations of the working group on olive farming production techniques and productivity, «Olivae», 63, Madrid 1996.
Colomba Gianpiero, indirizzo mail: [email protected]
2 notes
·
View notes
Text
Piccole memorie della mia vita parte 5
Ci sono periodi dell nostra vita in cui spesso ci sentiamo soli, abbandonati, infelici e tante altre cose tutte in sieme.
A me capito nel 2017 quando presi la mia prima casa da solo, all'epoca avevo 20 anni e non mi sarei mai immaginato sinceramente di trovarmi con un sacco di pensieri per la testa, il lavoro, la ragazza, la famiglia e un sacco di altre cose.
Durante quel periodo decisi di disntossicarmi dai social e non mettere internet in casa(scelta sbagliatissima) , così restai senza social né tv per 10 / 11 mesi , comunquesia togliere i social mi rese molto più produttivo nei primi mesi.
Giornata tipo:
Finivo di lavorare alle 15/15.30 andavo a casa e solitamente leggevo o ascoltavo della musica mentre mangiavo qualcosina ( mi ero persino fatto un menu settimanale su una lavagnetta, assurdo) poi alle 18.00 uscivo di casa per tornare al lavoro fino alle 24.00 circa. Tornavo dritto a casa, mi preparavo la cena, mi lavavo e mettevo su un DVD al PC.
Sembrava davvero una favola, almeno per i primi mesi, poi finirono i film/DVD e allora tornando a casa la sera solitamente rimanevo a cenare in camera da solo e a pensare... (dio mio)
Spesso pensavo al lavoro e a ciò che capitava al locale, al mio capo e i suoi commenti acidi, a ciò che sentivo in giro su di me (ma anche spesso su gli altri) , ma soprattutto pensavo a cosa volessi davvero dalla vita.
Chi ero? perché ero lì?
Passavano i mesi e nel mentre per non pensare guardai più volte i dvd che mi ero portato con me:" mi ricordo infatti che harry potter lo guardai minimo 6 volte nel giro ti qualche mese" .
Arrivatti ad agosto il periodo più frenetico e ricco di lavoro di tutto l'anno arrivo anche lo stress dei mie colleghi che spesso si scaricavano su di me... Ed eccola lì, proprio come un piccolo amico che mi diceva di aprirgli la porta... Molti la chiamano depressione io all'epoca pensai fosse solo noia, pianto, urla e silenzio perché spesso mi capitava ciò, sopratutto il silenzio, mi ricordo infatti che non parlai per più di un mese al lavoro e il mio capo mi lascio a casa di punto in bianco, io però esplosi quel giorno, piansi e gridai dentro di me e tornai a casa, non lo dissi a nessuno. Qualche giorno dopo presi un aereo è andai in Francia per un weekend da una mia amica non che ragazza parlai con lei dopo circa 2 mesi.
Comunquesia sia ne uscii e da allora non ebbi più momenti del genere e mi promisi di essere più felice, ancora adesso mi viene difficile essere sempre felice ma o un trucco, quando sono triste guardo i documentari, quelli che fanno vedere la povertà, lo so che non è giusto ma vederli mi fa capire sempre che i miei problemi in confronto ai loro non sono un cazzo e che dovrei essere felice, per ciò ogni tanto li guardo, mi sento in colpa e cerco nel mio piccolo di aiutare il prossimo, dono qualche soldo a una associazione o ente, do una mano a chi mi sta intorno e sorrido, si sorrido perché la vita è bella e sono fortunato a vivere in un mondo che è tutto sommato un paradiso.
#Pensieri#Frasi mie#Citazione#Frasi tumble#Pensieri personali#Diario#Tumbler ita#frasi#citazioni#frasi belle#frasi tumblr#citazione#frasi e citazioni#frase#youtube
1 note
·
View note
Text
Urso, 'ultimo confronto su ex Ilva, commissari pronti'
Bisogna “anche attendere il confronto con gli azionisti, che è tutt’ora in corso, e che potrebbe portare eventualmente a una soluzione che deve in ogni caso garantire il rilancio produttivo, occupazionale e la riconversione ambientale. Ma la strada per l’amministrazione straordinaria è stata aperta. Ove non ci fossero nel frattempo altre soluzioni, altrettanto significative per le garanzie…
View On WordPress
0 notes
Link
Il job act di Renzi aveva già stabilito il controllo a distanza dei lavoratori senza l'accordo con i sindacati. Per la "sicurezza" è prevista anche nello statuto dei lavoratori. Sono solo i padroni a stabilirlo: il capitale, forzando la scienza a servirlo, costringe sempre alla docilità la mano ribelle del lavoro. Karl Marx, Il capitale: "All'interno del processo produttivo di produzione il capitale si è sviluppato in comando sul lavoro, cioè sulla forza lavoro in attività, ossia sull'operaio stesso. Il capitale personificato, il capitalista, vigila affinché l'operaio compia il suo lavoro regolarmente e con il dovuto grado d'intensità". corriere della sera IL PROGETTO Bracciale elettronico in cantiere: «Così proteggiamo gli operai» Sforzi, gas, aree vietate: rileverà i pericoli. Sperimentazione al via. Il nodo privacy di Giampiero Rossi Un bracciale elettronico per monitorare la salute dei muratori al lavoro in cantiere e sensori per fermare le macchine automaticamente in caso di pericolo. Non è soltanto la teorizzazione di possibili applicazioni future delle tecnologie ma è una realtà che parte oggi in forma sperimentale in due cantieri bresciani. E con la benedizione (e il finanziamento) della Regione e della Camera di commercio di Brescia. Il progetto è il punto più avanzato di una delibera dedicata proprio alla sicurezza sul lavoro presentata dall’assessore regionale allo Sviluppo Economico Alessandro Mattinzoli e approvata ieri dalla giunta di Palazzo Lombardia. Alla base c’è un confronto durato un paio di mesi al tavolo sull’edilizia. «Avevo chiesto concretezza — racconta Mattinzoli — cioè idee in grado di contribuire davvero al miglioramento delle condizioni di sicurezza che, soprattutto nel settore delle costruzioni continuano a essere motivo di allarme». E nel giro di qualche settimana è arrivato il progetto per monitorare la salute e la sicurezza dei lavoratori con strumenti e metodi digitali elaborato dalla Camera di Commercio di Brescia e in particolare dall’Ente Sistema edilizia Brescia (Eseb) in collaborazione con l’Università degli studi di Brescia e l’Università di Verona. L’operazione — finanziata con centomila euro, suddivisi equamente tra Regione e Camera di commercio — parte oggi in un paio di cantieri edili del Bresciano e proseguirà fino al 30 giugno 2020. È basata sull’utilizzo di «un dispositivo indossabile sensorizzato» in grado di raccogliere alcuni parametri individuali e ambientali durante l’attività del lavoratore e di trasmetterli in tempo reale. Il passaggio successivo è lo «sviluppo di un set di indicatori che permetta di monitorare i dati rilevati dai sensori in termini di salute e sicurezza del lavoratore e di gestione del cantiere». In sostanza, spiegano i tecnici che hanno elaborato il progetto, le tecnologie permetteranno di raccogliere parametri fisiologici dei lavoratori come il ritmo cardiaco, la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria, la pressione arteriosa, l’ossigeno e il glucosio nel sangue, la temperatura corporea, il livello di stress, la qualità del sonno, le calorie bruciate, le scale salite/scese e altri ancora. E al tempo stesso saranno rilevati anche parametri ambientali come la qualità dell’aria, la pressione barometrica, le perdite di gas, l’umidità, la temperatura, l’illuminazione. Il terzo livello sarà «il rilevamento di prossimità e la geolocalizzazione, tramite dispositivi di protezione individuale o altri dispositivi controllabili da remoto». Perché in un cantiere edile — spiegano i tecnici — molto spesso gli incidenti si verificano per la presenza dell’operatore in zone in cui già operano altri macchinari o attrezzature, o in zone a rischio di caduta o interdette, o ancora per la mancanza di dispositivi di protezione sull’operatore o sui macchinari utilizzati. La connessione di uomini e macchine attraverso sensori, quindi, può «tenere sotto controllo il macchinario stesso e fermarlo o rallentarlo in caso di pericolo». Non solo: i chip elettronici potranno anche «individuare chi stia salendo a bordo della macchina e se sia stato abilitato» e in caso contrario impedirne addirittura l’avviamento. «La stessa cosa potrà succedere quando un lavoratore si avvicina a zone interdette o di pericolo». Oppure «nel caso in cui una macchina si avvicini a un operatore che non si è accorto della sua presenza, o non è stato visto dal guidatore. Se la distanza diminuisce provvede a una frenata di emergenza o a spegnere la macchina». Nonostante la mole di dati in gioco gli ideatori della sperimentazione assicurano che la privacy sarà garantita e protetta. «Comunque — aggiunge l’assessore Mattinzoli — al tavolo c’erano anche i sindacati, ma in ogni caso siamo pronti a intervenire con tutte le modifiche che la sperimentazione dovesse suggerire. La cosa più importante — sottolinea — è che la prima voce sulla quale ci si è concentrati anche dal punto di vista tecnologico è la tutela della vita e della salute umana.».
4 notes
·
View notes