#col pensiero ad amici e nemici
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Ciao 2024.
Ben arrivato.
Tu sai cosa desidero per me.
Ma oggi voglio chiederti qualcosa per gli altri.
Porta loro un bel po' d'amore, perché vedendo l'odio, la cattiveria, l'intolleranza che traspare da ogni post, credo che debbano essere davvero poco amati, nella vita.
Porta anche qualche neurone in più ai tanti coglioni... ops! Eh beh, ma tali sono... che infestano i social e che continuano a sputare veleno ogni santo giorno. Ai 'tifosi' di ogni area politica che non accettano le altrui idee, che sono sempre pronti, nella migliore delle ipotesi, a giudicare, nella peggiore a insultare.
Porta alle persone perfide che ho incontrato sul mio cammino la consapevolezza che essersi comportate da stronze - nei modi ma anche nelle parole, per le cose che hanno avuto la premura di riferirmi, riguardo situazioni personali - mi avrà sì ferito, ma soprattutto ha fatto di loro delle persone davvero di merda, dei miserabili - dei poracci, come se dice a Roma!
Caro 2024, spero davvero che sarà un anno migliore.
Anche per chi lo merita di meno.
P.S. oh nel caso... quei famosi auguri che non arriveranno mai... vabbè. Fai tu!
Barbara
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Gruvia week 2021 ~ April 4th ~ Tears.
Allerta spoiler per chi non è al passo con le scan on-line (attualmente al capitolo 78) della 100YQ (anche se un po' di avvenimenti le ho modellate un po' a mio piacimento) buona lettura, e buona Gruvia week <3
Qualche dedica perché sì:
Questa one shot è dedicata alle Gruvia shippers che ho conosciuto da quando, nell'ormai lontano 2019, entrai ufficialmente nel mondo delle fanfiction come scrittrice ("scrittrice" insomma...) e che mi hanno fatto sclerare in tutti i modi possibili, facendomi un po' "virtualmente compagnìa" con l'amore per le opere d'animazione giapponese. L'aver conosciuto, anche se solo attraverso uno schermo, così tante persone, in quasi due anni che sono in giro per i siti di fanfiction, mi rende davvero felice. Grazie a questo ho iniziato a fare cose di cui nemmeno mi credevo capace, come migliorarmi nel disegno, scrivere nel rating rosso o anche solo scrivere e far leggere le mie fic a qualcuno che non fossero solo amici e parenti stretti, "esponendomi" un po' di più attraverso internet. Davvero, grazie a tutti voi, che non elenco solo perché siete davvero così tanti che non voglio rischiare di dimenticare qualcuno. E anche perché se no le note diventano un papiro assai più lungo della fanfiction stessa. Quindi solo una cosa: GRAZIE A TUTTI QUANTI!
Bene! Ora lascio la scena ai nostri Gruvia, ci rivediamo alla fine❤️
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Se avesse dovuto descrivere la sua vita in una parola, quella più giusta sarebbe stata lacrime...
Lacrime versate per tutto: Per quei bambini che non volevano mai stare con lei, perché ogni giorno con la piccola Juvia significava pioggia.
Per quel ragazzo che, stanco di non poter mai godere di un giorno di sole in compagnia della sua ragazza -o forse semplicemente stanco di lei- l'aveva lasciata, incurante dell'ennesimo macigno che posava sul suo cuore, già abbondantemente appesantito dal senso di colpa per via di quel potere tanto grande quanto fuori controllo.
Ma in quel momento era proprio quello stesso sole che le si stava posando sulla pelle, riscaldandola e guarendo ferite vecchie di anni...
Guardava la propria mano, tenuta stretta da quella di quel moretto senza maglietta -eppure le era sembrato che l'avesse fino a pochissimi istanti prima- e col marchio della propria gilda sul petto scolpito. Attraverso i raggi che gli arrivavano dalle spalle, coprendo in parte la vista dei suoi lineamenti, la ragazza riuscì a vedere l'espressione seria e determinata del mago. La teneva stretta, senza accennare a lasciarla andare, rischiando di cadere con lei nel vuoto. La teneva stretta come se la sua vita fosse la cosa più importante di tutto, come se lei fosse più importante di tutto.
E sì, lo era eccome, più importante di tutto.
Quasi non sembrava che fossero due nemici intenti a lottare, come invece era stato fino a poco prima...
"Non vincerai!" urlava il moro, completamente zuppo dalla testa ai piedi, sotto la pioggia incessante che si chiedeva da dove diavolo arrivasse.
"Shin shin do..." ripeteva invece, quasi fosse uno strano mantra di cui lui ignorava l'esistenza, la padrona delle acque che aveva di fronte. "Juvia ha già vinto, gli Element Four dovevano solo catturare Lucy Heartphilia, ma la gilda di Fairy Tail non accetta la sconfitta..." continuava, mentre tornava quell'espressione così fastidiosa sul volto pallido. Ogni tanto usciva fuori uno strano sorriso, che gli fece seriamente chiedere se avesse davanti la stessa persona o se fosse sotto il controllo di qualcuno che si divertiva a darle quegli sbalzi d'umore.
Però, doveva dire che, a parte tutto, era forte... accidenti se lo era!
Non che ne dubitasse, faceva parte del gruppo di maghi più forte di Phantom Lord e il suo potere magico, da quel che sentiva, era molto alto. Sapeva di avere un'avversaria temibile davanti.
Lo aveva messo davvero in difficoltà e poche volte gli era accaduto. Era una sua avversaria eppure non riusciva a trovarle un solo difetto -forse uno sì, l'espressione impassibile, come se niente le interessasse, che le albergava la maggior parte del tempo sul volto e che, non sapeva perché, lo infastidiva non poco, facendogli preferire di gran lunga il sorriso che la sostituiva ogni tanto in quegli strani sbalzi d'umore- che potesse fargliela odiare. Non che quella fosse la definizione giusta dei suoi sentimenti verso i propri avversari, ma di solito, o almeno il più delle volte, gli era indifferente il motivo per cui qualcuno agisse in un modo o in un altro. Poche erano le occasioni in cui si interessava davvero a qualcosa oltre che sconfiggere chi voleva fare del male alla sua famiglia, e quella ragazzina dai grandi occhioni azzurri rappresentava decisamente una di quelle eccezioni...
Schivò, appena in tempo e non senza difficoltà, un attacco della ragazza -la donna della pioggia, così la chiamavano, ma lui vedeva solo una ragazzina alla mercé di qualcuno troppo codardo per combattere in prima persona, spinta da chissà quale motivo o, più probabilmente, da nessuno in particolare- e riuscì ad evitare un'onda d'acqua che lo avrebbe spinto giù da quel tetto se lo avesse preso. La pioggia continuava a cadere sulle loro teste, innervosendolo più di quanto non facesse già l'intera situazione.
Phantom Lord aveva distrutto la loro casa, e non voleva lasciar andare Lucy, progettando di riportarla da suo padre. E così, mentre Natsu si occupava del Dragon Slayer del metallo, Elfman del tizio che controllava la terra -non ricordava come si chiamasse e non gli importava nemmeno- a lui era toccata quella ragazzina, che in verità gli sembrava una di quelle bamboline di porcellana. Di quelle imbacuccate con abiti eleganti, carine con quei boccoli, ma con l'espressione vuota, troppo vuota...
"Shin shin do..." fu l'ultima cosa che Gray sentì uscire dalle labbra appena un po' rosee dell'azzurra, poco prima di essere travolto da un altro attacco, che stavolta lo prese in pieno, spingendolo davvero quasi giù dal tetto. Quasi, perché sembrava che quella massa d'acqua puntasse a farlo indieteggiare o, al massimo, lasciarlo a terra senza sensi.
Almeno da quello che sentiva: Il potere magico di quell'attacco era di molto inferiore a quello emanato dalla ragazza.
Al limite della pazienza e sinceramente stanco di quello scontro che non portava a nulla -se non il nervoso che gli prendeva nel vederla così impassibile- il ragazzo ghiacciò in un sol colpo tutta l'acqua attorno a loro. Persino la pioggia si era congelata, e questo smosse, finalmente, qualcosa nel volto di Juvia, che si corrugò in un'espressione di stupore, facendo ghignare interiormente il mago del ghiaccio. Almeno non era più così vuota adesso...
In poche mosse -non affatto facili, e ancora una volta il ragazzo convenne col fatto che fosse davvero forte- riuscì a sconfiggere la ragazza, che però rischiò di cadere lei dal tetto, evitandolo solo perché il moro era stato abbastanza lesto da afferrarle la mano in tempo.
"Lascia cadere Juvia... hai vinto... lei è una nemica della tua gilda..." era quello il suo destino ormai. A Phantom Lord una degli Element Four che veniva battuta da una fatina era una vergogna, e quella stessa gilda che le aveva dato una casa tempo addietro l'avrebbe adesso ripudiata. Tanto valeva morire no?
Gray cosa stesse farneticando quella ragazzina non lo capiva, ma una cosa gli era chiara: Non sapeva distinguere un avversario da un nemico...
"Abbiamo combattuto e ti ho sconfitto, questo non fa più di noi due avversari..." le disse prima di tirarla su e, quando la vide al sicuro, inginocchiata sulle tegole rossastre e senza più il rischio di cadere di sotto, si concesse un sospiro di sollievo. "Il mio obbiettivo è un po' come il tuo, non avevi motivo per combattermi perché il tuo interesse era obbedire agli ordini..." allo sguardo sorpreso dell'altra rispose con un mezzo ghigno che -lui non lo sapeva- causò l'ennesimo scompenso all'altezza del petto di Juvia...
"Dovevi catturare una mia compagna e nient'altro... allo stesso modo io devo riportarla a casa nostra, nient'altro... meno ancora lasciar morire qualcuno..." spalancò gli occhioni color oceano e solo in quel momento si rese conto di avere il viso sì bagnato, ma non dalla sua stessa pioggia...
Guardando in alto si accorse che il sole -no, non se l'era immaginato, non era una specie di miraggio che le si era presentato negli ultimi attimi di vita- non era più coperto dai nuvoloni grigi, e ora splendeva in modo quasi accecante...
Era così che splendeva di solito? Juvia non lo sapeva, non perché non lo avesse mai visto o non avesse mai provato il calore di quella enorme e lucente stella, ma perché era passato così tanto tempo da quando aveva vissuto quella sensazione sulla pelle, che ormai l'aveva completamente dimenticata, arrivando quasi a pensare che non esistesse più. Non per lei almeno...
Era passato tanto di quel tempo dall'ultima volta che il cielo era stato sereno in sua presenza, tanto di quel tempo da quando quel calore che sembrava penetrarle fin dentro le ossa, rimarginando tutte le ferite del suo animo, le aveva sfiorato la pelle diafana l'ultima volta...
Perché hai salvato Juvia?
Quelle parole premevano per uscire, erano proprio lì, sulla punta della lingua, pronte a lasciare le labbra carnose dell'azzurra. Ma si arrese all'incredibile sensazione di benessere che sentiva in tutto il corpo. Era stanca, stremata, eppure si sentiva bene. E che c'era di male, dunque, nel lasciarsi cadere distesa, chiudere gli occhi e riposare un po', godendosi quella bellissima sensazione appena ritrovata?
"Sai, Juvia stava davvero male..." gli aveva detto Lucy, ancora con quell'uniforme addosso, mentre tornavano in quella che era stata la casa che i due avevano condiviso per quei sei mesi. Il cuore gli tremava al solo pensiero che avrebbe rivisto la bluetta. Era andato via da solo perché sapeva che, se lo avesse seguito, si sarebbe messa in pericolo, e non poteva, non doveva permetterlo.
Non lei, che in quegli anni, così come in quei sei mesi, gli era stata accanto accettando tutto, anche la sua indifferenza...
Se ci fosse stata Ur lo avrebbe riempito di scappellotti fino a renderlo ancora più idiota di quanto già non fosse, e avrebbe fatto bene. "Ha pianto tanto per te..." continuò la ragazza, che non nascose una punta di rabbia, forse la stessa che aveva messo in quello schiaffo. Probabilmente non era stato solo il pensiero che avesse tradito la gilda o le sue parole di finto disprezzo a spingerla a quel gesto, e una piccola parte di lui sapeva che quel dolore, ancora un po' persistente, alla guancia sinistra era nulla in confronto a quello che aveva inferto all'azzurra. "Era stremata... quando l'abbiamo incontrata è svenuta... se non fosse stato per Natsu si sarebbe fatta male..." aveva evitato di dirlo, ma lui glielo aveva letto negli occhi che quel più di quanto non gliene abbia già fatto tu era sulla rimasto sulla lingua, pronto ad uscire, ma consapevole di quanto già lui stesso sentisse il peso della colpa che albergava nel petto, per nulla intenzionato a lasciarlo in pace.
Lo aveva capito da solo, quando se li era ritrovati davanti, che se non fosse stato per il rosato nemmeno Lucy si sarebbe trovata lì, e nessuno di loro sarebbe stato sulla strada di casa, pronto a far rinascere Fairy Tail. "Spero solo che si riprenda..." concluse la bionda, e lo sapevano entrambi -forse anche il fiammifero, che cavalcava pochi passi più avanti- che non si riferiva solo alla salute fisica della ragazza...
Era un idiota!
Pensava di agire per il meglio e tenerla al sicuro ma le aveva causato solo altra sofferenza...
"Siamo arrivati!" disse il rosato quando giunsero alla dimora che lui conosceva fin troppo bene. Il timore gli attanagliava le viscere, eppure uno strano fremito dentro lo spingeva sempre di più a voler entrare...
E così mentre Wendy li accoglieva alla soglia, pregando loro di non fare rumore, poiché che la maga dell'acqua si era appena addormentata, il moro non poteva evitare di rimirare quella casa che sì, gli era mancata da morire, così come la bluetta, che riposava tranquilla sotto le coperte marroncine. Aveva le gote arrossate e il candido panno sulla fronte gli indicava che avesse la febbre. "Juvia-san ha bisogno di riposo, non dovete assolutamente svegliarla..." sussurrò loro la ragazzina dai codini blu-violetti. "Io ho finito alcune erbe che potrebbero servirmi nel caso la febbre dovesse risalire, vado a fare un po' di scorte..." continuò, senza che il moro l'ascoltasse molto in realtà, assorto com'era a guardare la ragazza addormentata. "Ti accompagno io Wendy! In due faremo prima." intervenne la bionda. Il bosco lì vicino poteva nascondere molte insidie e non poteva permettere che la piccola vi si addentrasse da sola. Inoltre, tra non molto sarebbe subentrata la sera ed era meglio che rientrassero il prima possibile. Presero due cestini di vimini, uscendo dalla porta e, poco prima di chiuderla, la testolina della piccola Dragon Slayer si affacciò per salutare. "A dopo ragazzi, e Gray-san ..." non attendendo che si voltasse, non lo avrebbe fatto, troppo preso dalla bluetta. "Sono felice che tu sia tornato..." sorrise sincera, chiudendo definitivamente la porta e lasciando la maga dell'acqua alle cure dei due nakama.
Il moro prese posto sulla sedia accanto al letto senza spiccicare parola, mentre il rosato osservò il cielo, appena un po' rossastro per l'imminente tramonto, dalla finestra e, dopo qualche minuto di silenzio, si decise a dirgli ciò che gli più premeva in quel momento...
"Non puoi restituirle i mesi che ha passato da sola..." non parlava solo per lui, ma anche per sé stesso, lo aveva capito il moro. Anche lui aveva lasciato qualcuno pensando di fare la cosa giusta, finendo però col ferire ulteriormente chi voleva proteggere. Lo ascoltò in silenzio, era certo che lo dicesse per il bene di entrambi. Era uno di quei momenti in cui frecciatine e rivalità erano bandite dalla conversazione. "Ma puoi fare in modo che quello che passerà insieme a te sia così bello da oscurare almeno in parte il dolore di questi mesi..." era un consiglio che aveva intenzione di seguire, e giurò a sé stesso -insieme al rosato. Lo sapevano entrambi, e mai si sarebbero derisi a vicenda per ciò- in quello stesso istante, che avrebbe reso ogni momento con lei indimenticabile. Serviva anche a lui, dopo così tanto tempo lontani...
"Vado a cercare Lucy e Wendy, non svegliarla..." annunciò Natsu dopo un po', notando il tramonto sempre più vicino. "E rivestiti ghiacciolo!" sbuffò in un finto rimprovero, non voltandosi nemmeno, perché lo sapeva benissimo che si era già tolto il mantello nero -ne aveva sentito il fruscìo mentre scendeva, carezzando la pelle nuda del moro- che l'altro indossò di nuovo mugugnando uno dei suoi coloriti insulti al suo indirizzo, decretando, in parte, un ritorno alla quotidianità della loro famiglia, facendo ghignare il Dragon Slayer. Quello rappresentava un altro passo in avanti sulla strada della ricostruzione della gilda, la cui fine sarebbe stata sancita solo dal sorriso di Luce...
Uscì, seguendo col suo olfatto il profumo fruttato della maga celeste, mentre Juvia si agitava appena sotto le coperte, facendo scivolare sul cuscino il panno, ormai quasi asciutto, che lui raccolse e raffreddò un poco coi propri poteri, rimettendolo al suo posto e risistemando meglio le coperte perché stesse più comoda e non prendesse freddo. Quella di poco prima era una promessa che avrebbe iniziato a mantenere sin da subito...
Le lacrime a bagnarle il volto, e la bionda che, munita di fazzoletti, gliele asciugava cercando di non far colare il mascara sul candido abito a sirena, con la scollatura a cuore ad incorniciare il prosperoso seno, completato dal lungo strascico e dal velo che scendevano sinuosi verso il pavimento, ripiegandosi ai piedini della bluetta, avvolti nelle bianche décolleté tacco dieci. "Calmati, cerca di respirare. Pensa che tra poco sarai sposata con l'uomo che ami e che ti ama e non puoi farti vedere col trucco sbavato. È il tuo giorno, il vostro giorno, e devi essere perfetta!" cercava di tranquillizzarla, non riuscendo molto bene nell'intento. "L-Lucy-san parla facile, lei ha g-già passato questo momento, o-ormai è solo un ricordo..." era vero, almeno in parte. Erano passati sette anni da quando avevano ricostruito la gilda, e appena cinque da quando Natsu aveva preso coraggio e, una volta conclusasi la missione dei cento anni, le aveva detto ciò che tra loro era rimasto un po' in sospeso con quel staremo insieme per sempre giusto? prima di partire per quell'avventura, conclusasi con la sconfitta dei draghi sacri. Ma non era lontano quel ricordo. Era ancora vivido e, ogni volta che ci ripensava, lo stomaco le si attorcigliava come quel ventisei Luglio di ormai un lustro fa...
"E-E se Gray-sama si accorgesse che ha fatto un errore? S-Se vedendomi così si r-rendesse conto di... d-di non voler passare l-la vita c-con Juvia?" continuava tra i singhiozzi, non riuscendo a fermare il petto dal suo muoversi a scatti nel seguire il pianto della bluetta. "Luce tra poco inizia la marcia nuziale!" si affacciò alla porta il Dragon Slayer del fuoco, con un piccolo bambino biondo in braccio, vestito di tutto punto come il padre, con uno smoking nero identico a quello del rosato, che se ne stava zitto e buono, mezzo addormentato e con la testa placidamente posata sulla spalla del padre, a sonnecchiare del dolce dormi-veglia che lo aveva catturato nei suoi appena tre anni...
"Natsu!" non urlò eccessivamente per non svegliare il piccolo. "Potevamo essere nude! Avviati, tra poco arriviamo!" gli avrebbe tirato volentieri una delle sue décolleté rosse dal letale tacco dodici, abbinate al monomanica lungo fino alle caviglie e col profondo spacco lungo la coscia destra, se solo non ci fosse stato il piccolo Igneel di mezzo...
Il ragazzo sparì dietro la porta di legno che portava alla sala della gilda -dove si sarebbe tenuta la cerimonia- per non rischiare di avere a che fare con una Lucy furiosa. Corse ad avvertire il moro, certo che lui avrebbe potuto aiutare. Era stato ottuso per troppo tempo, e non che lui potesse fargli la predica certo, ma almeno si era sbrigato prima, mentre il moro si era dichiarato appena pochi mesi dopo di lui con Lucy. Non avrebbe mai smesso di ridere per quella scena: Sembrava avesse il suo stesso ghiaccio nelle mutande -l'unica cosa rimastagli miracolosamente addosso- e il rosato aveva immortalato il tutto col Lacryma. Adesso si stava per sposare, e lui non poteva che essere più felice per l'amico...
"Allarme crisi pre-matrimoniale polaretto! Mi sa che devi intervenire se non vuoi restare come un baccalà ad aspettare all'altare!" il moro s'irrigidì, cominciando a marciare come un soldatino verso la porta di legno massello dietro la quale c'erano la sposa e la sua damigella d'onore. "Non entrare però! Io ho evitato una scarpa killer solo grazie a questo ometto qui!" carezzò la testolina bionda di suo figlio, che mugugnava di tanto in tanto qualcosa nel leggero sonno che andava e veniva. "E no! Non te lo presto! Fatti il tuo se ci tieni ghihahah!" se ne andò ridacchiando a sedere accanto a Levy e Gajeel, in attesa che la cerimonia iniziasse per affidare loro Igneel prima di andare all'altare al posto dedicato al testimone dello sposo...
"Così va meglio!" batteva le mani, soddisfatta per l'essere riuscita a far cessare le cascate dai grandi occhi blu che, ancora un po' lucidi, si facevano truccare di nuovo, riaggiustando col mascara il distastro scampato per un pelo, quando... "Juvia... ascolta io-" "Gray, tu provaci solo ad entrare e giuro che ti tiro il beauty dietro! Intesi?" la voce della bionda lo interruppe. Che avevano tutti quanti quel giorno? Era abbastanza certa che il colpevole fosse quella testa rosa, con cui poi avrebbe fatto i conti a fine giornata...
"Non entro, ma devo dirti una cosa Juvia! Ti chiedo solo di ascoltarmi..." quando aveva sentito il rosato dirgli della classica crisi pre-matrimoniale aveva sentito le gambe cedere, ma si era fatto forza, avanzando verso quella porta. Ci aveva già pensato lui, e in abbondanza, ad allungare il brodo, e capiva bene che i dubbi della sua sposa potessero dipendere soprattutto da questo. Ma vi avrebbe porto rimedio e subito...
Ottenuto il permesso di parlare dalla voce della bluetta, iniziò con quel discorso per nulla previsto.
"Juvia... senti io non sono bravo con le parole, e credo si sia capito... anche quando mi sono deciso a parlare chiaro..." lo ricordò con un dolce sorriso la ragazza: Balbettava e per questo, poco prima, l'aveva portata in un posto appartato -salvo poi scoprire, pochi minuti dopo, grazie alle battutine del rosato e del metallaro, che l'udito dei Dragon Slayer era molto più sviluppato di quanto credessero- e le aveva dedicato parole così dolci che la ragazza pianse -per la prima volta di felicità- di fronte a quel di Gray così inaspettato, così suo. Come suo era il cuore della bluetta, ormai arresasi all'idea di dimenticarsi di lui dopo tanto tempo passato a cercare di farsi notare.
Ma quel giorno il moro le aveva invece consegnato ufficialmente il proprio di cuore...
"Non ho idea di che dirti Juvia..." era vero. Non sapeva cosa dire, sebbene il cuore traboccasse di parole e sentimenti da poter esprimere, lui era sprovvisto delle prime. Dei secondi però, ne aveva in abbondanza, tutti dedicati a quella dolce ragazzina dagli occhioni color mare. "Potrei dirti che ti amo, ma la verità è che non sarebbe vero!" sussultò, facendosi aria con le mani -che aveva appena coperto coi candidi guanti lunghi fino a poco sopra i gomiti- per evitarsi di piangere. Glielo aveva detto anche quella volta, e facendola spaventare così tanto che per poco non svenne. Per fortuna non successe, perché le parole successive le fecero lacrimare gli occhi e sorridere a trentadue denti. "Juvia io per te ho pianto! E solo il cielo sa quanto preferirei farmi battere dal fiammifero spento anziché piangere!" ricordava poche volte di aver pianto e poteva contarle senza difficoltà sulle dita di una sola mano.
Quando Deliora aveva distrutto la sua vita insieme al suo villaggio. Quando Ur si era sacrificata per permettergli di vivere la sua vita senza il peso del rancore e della sete di vendetta. Quando, dopo aver ritrovato suo padre, lo aveva perso subito, e proprio per mano di quella bellissima donna che gli stava per concedere l'onore di divenire sua moglie -era certo che Silver, ovunque fosse, era libero, non più schiavo di quella forza maligna che lo aveva reso nemico del suo stesso figlio- e che era arrivata addirittura a sacrificare la sua vita più volte.
Aveva pianto quando l'aveva stretta tra le braccia, inerme e ricoperta di sangue e ferite. Aveva pianto sì, e per Gray Fullbuster era tutto dire...
Ogni lacrima che aveva versato nella vita corrispondeva ad una ferita incisa per sempre in quel muscolo in mezzo al petto. Lo stesso che, negli anni, si era imposto sul suo carattere glaciale, sciogliendo il freddo e invisibile scudo con cui proprio il suo cuore era stato ricoperto negli anni. E solo grazie a quella ragazzina che si era sacrificata più volte, per Cana durante la battaglia di Fairy Tail, e anche per lui, arrivando ad attentare alla propria vita per salvare quella di uno stupido ghiacciolo nudista...
"Il fatto è... il fatto è che se ti perdo un'altra volta sento che non ce la posso fare! Non di nuovo. Solo il pensiero che possa succedere, anche nel peggiore degli incubi, mi fa star male da morire!" aveva il fiatone, lo si sentiva benissimo nella sua voce. Aveva poggiato la fronte alla porta, allentandosi la cravatta nera abbinata allo smoking gessato. Più pensava che lei potesse decidere di non sposarlo più -se lo sarebbe meritato, aveva passato troppi anni a tenerla lontana, era naturale che si stancasse di lui- e più sentiva il petto cedere.
"Gray-sama... Juvia ti ama da... da neanche lei sa bene quanto tempo..." si era avvicinata alla porta, posandovi una mano guantata, mentre l'altra -la sinistra, che sotto la candida stoffa di seta nascondeva il piccolo diamante dell'anello con cui l'aveva chiesta in sposa- se ne stava sul petto, all'altezza del cuore. La voglia di abbassare la maniglia e togliere quell'ostacolo per abbracciarlo era tanta, ma una Lucy, che definire furiosa era un eufemismo -di lì a poco avrebbe commesso un omicidio, e che rimanesse lei vedova o uno di loro due ancora prima di pronunciare il fatidico sì, poco importava- le faceva segno di non aprire per nessun motivo. La catenina della sua borsetta rosso fuoco era perfetta per strangolare qualcuno...
"Anche Juvia ha pianto... ha pianto tanto... talmente tanto che le sue lacrime cadevano persino dal cielo..." era vero, e non doveva permettere loro di affacciarsi ai suoi occhi, non adesso!
"Ma Juvia ha smesso quel giorno in cui tu le afferrasti la mano, tenendola stretta e salvandola da un vuoto ben più grande di quello a cui Juvia sarebbe stata destinata a cadere se non ti fossi sporto per prenderla..." il nodo in gola si sentiva distintamente, e il ragazzo fece una fatica enorme per non spalancare quella porta e farle affondare il viso nel proprio petto per raccogliere le sue lacrime...
"Tu facesti vedere il sole a Juvia... in tutti i sensi... la facesti sentire una persona e non qualcosa che porta solamente pioggia e tristezza... e nemmeno qualcuno di completamente inutile se avesse fallito..." ora il trucco stava per colare a Lucy, ma resisteva valorosamente facendosi aria come aveva fatto poco prima la bluetta. E nemmeno la rabbia e la successiva emozione le avevano impedito di registrare il momento col suo Lacryma. Un Gray così romantico non era certo roba di tutti i giorni...
"Quel giorno tu hai insegnato a Juvia che anche lei poteva provare sulla sua pelle la felicità..." quel dieci Settembre rappresentava la sua rinascita, e lei avrebbe conservato quella data segnata sul più affidabile dei calendari, il suo cuore. "Gray... Juvia ti ama!"
Era tornato a respirare regolarmente, bevendo ogni parola come un assetato beveva l'acqua dopo giorni e giorni nel deserto. Un balsamo di vita, indescrivibilmente benefico, che aveva avuto il potere di calmarlo in poco tempo...
Sorrise e... "Allora, Juvia Loxar, mi vuoi sposare?" ridacchiò, ma la risposta l'aspettava davvero. Impaziente come la prima volta che glielo aveva chiesto, a casa sua, dove la ragazza era venuta per una cena intima, e lo aveva visto d'improvviso alzarsi e andare in camera sua, frugare in un cassetto del comodino, e tirare fuori una scatolina di velluto blu. Gliel'aveva porta non riuscendo a spiccicare parola. La ragazza, una volta realizzato il tutto, lo aveva abbracciato di slancio, posando la scatolina sul comò e, beh, poi erano finiti a perdersi tra ansiti e gemiti. Un sì sussurrato -ma non per questo non convinto, anzi!- mentre si incamminavano insieme, ancora una volta, sulla via della passione, gli aveva fatto apparire un sorriso dolce. Di quei pochi che dedicava solo a lei, perdendosi nel mare dei suoi meravigliosi occhi...
"Gray-sama... Juvia... sì... sì Gray, voglio sposarti!" ridacchiò, rispondendo convinta. Con il suo Gray lo sarebbe stata sempre...
Un altro sorriso -come se avesse fatto altro oltre a quello per tutto il tempo che lei gli aveva parlato. Aveva riso tutto il tempo come un bambino in un negozio di caramelle, a cui avevano detto di mangiare quanto volesse- gli comparve sulle labbra, prima di trasformarsi in una smorfia di dolore per via della presa di Erza, che lo aveva raggiunto e afferrato per la cravatta, quasi strangolandolo nel risistemargliela e trascinarlo via, dopo aver informato le due donne che la marcia nuziale sarebbe partita dopo poco.
"Ci vediamo tra cinque minuti ragazze. Tu vieni con me!" e andò via, avvolta nel suo abito color ametista, riuscendo a non scomporre lo scarlatto chignon nel tenere fermo il moro, intento a dimenarsi, smettendo di farlo solo quando fu sull'altare che era stato allestito per la cerimonia. La rossa fece segno a Gajeel di avviarsi. Avrebbe accompagnato la sposa all'altare, il vecchio Master aveva insistito per farlo lui, ma avevano preferito farlo stare tranquillo a godersi la cerimonia, con suo nipote Laxus -l'attuale Master- da officiante, e Gajeel a percorrere la navata con la sposa.
Chi meglio di lui?
Avevano iniziato insieme a conoscere il significato della parola famiglia, era giusto che vivessero insieme anche quel passo così importante. D'altra parte, Juvia era stata la sua prima -e unica per tanto tempo- amica. L'unica con cui aveva abbandonato -di poco ovviamente- la sua aria da duro. L'unica che aveva trattato decentemente nella gilda di Phantom Lord. L'unica che aveva pensato a lui quando aveva trovato una nuova, vera, famiglia...
La sposa uscì a braccetto dell'energumeno -Lucy si era già posizionata sull'altare, sorridendo dolce al sei bellissima mimato dalle labbra del Dragon Slayer del fuoco- e seguita dalle altre damigelle, oltre che dagli sguardi dei loro cari. Da Natsu, in piedi accanto a Gray, e Igneel, seduto vicino alla maga del Solid Script, che non toglievano gli occhi di dosso a Lucy -il primo con pensieri decisamente meno casti e innocenti del secondo, ormai ben sveglio e praticamente in adorazione per la sua mamma, ma entrambi con un pensiero comune: Bellissima- a Levy e i due gemelli Redfox -fieri che il loro papà ricoprisse quel ruolo così importante- e la marcia nuziale partì, fermandosi pochi istanti dopo, quando la bluetta raggiunse il moro, sorridendogli con amore, e ampiamente ricambiata.
Se quella era la ricompensa a tutte le lacrime versate in passato, beh, valeva ogni singola goccia...
"Vedrai come piangerai quando ti batterò polaretto ghihahah!" ridacchiò il rosato, prima di beccarsi uno scappellotto dal biondo Master, prima che egli iniziasse la cerimonia...
[4694 parole]
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Angolo autrice.
Buonasera a tutti! (Da me, in Italia sono ancora le 23:45 del 4 Aprile, quindi penso vada bene, ma non lo so)
Non sono riuscita a tradurla in tempo (e forse è meglio così, non sono brava in inglese😳)
Bene, come ho detto, questa è la prima volta che partecipo alla Gruvia week, e spero sia solo l'inizio di una lunga serie di edizioni. Beh, che dire? Spero che la fic sia stata di vostro gradimento, e grazie per averla letta.
Alla prossima!🖤💙
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Talk show
- E le foibe dei cari partigiani? Sa quanti italiani sono morti?
+ Il CLN, coordinatore dei gruppi partigiani, in quei giorni aveva condannato a morte Mussolini. Tito col suo gruppetto ha deciso di colpire la popolazione locale come risposta al precedente sterminio degli sloveni da parte dei fascisti.
- MA SONO STATI SOSTENUTI DAL PCI! PERTINI È ANDATO AL FUNERALE DI TITO! FASCISTI E PARTIGIANI SONO STATI ENTRAMBI VIOLENTI!
+ Quindi i fascisti, quelli che difendono dio, patria e famiglia con la violenza e profanano le tombe degli ebrei, sono gli stessi dei partigiani, che hanno menato quelli che difendono dio, patria e famiglia con la violenza e profanano le tombe degli ebrei?
- Certo, un partigiano che violenta una fascista è come un fascista. Un partigiano che fa attentati ai fascisti è un fascista!
+ Ma sa cosa vuol dire dio, patria e famiglia? Significa imporre con la violenza certi canoni. Sa cosa vuol dire il saluto fascista? Significa inculcare la propria idea con la violenza. In alcuni momenti della loro vita alcune persone hanno dovuto prendere una decisione tra queste 4: scappare, restare con la speranza di non subire il regime, entrare a far parte del regime per sopravvivere, oppure combattere e affrontare il problema di avere un regime che opprime sé stessi, la propria famiglia e il proprio popolo. Abbiamo il dovere di difendere tutti i cittadini che hanno preso ognuna di queste scelte, e dobbiamo essere capaci di distinguere un atto di sopravvivenza da uno stronzo.
- Quindi i partigiani non stupravano? Non uccidevano?
+ Ma non facevano solo questo.
- QUINDI LEI DIFENDE DEGLI STUPRATORI??? DEGLI ASSASSINI???
+ No, io difendo i partigiani, ma io so distinguere perfettamente chi ha violentato da chi ha ucciso per propria sopravvivenza. Lei saprebbe distinguere, avrebbe il coraggio di distinguere un fascista che ha violentato da un fascista che ha ucciso per sopravvivenza? Da cosa dovevano sopravvivere i fascisti? Chi è che ha menato, torturato per un semplice orientamento politico o sessuale? Chi è che ha imposto con la violenza alla donna un ruolo subordinato all'uomo?
- Guardi, non tutti i fascisti hanno fatto quello che dice lei. Molti innocenti sono morti, tipo quelli delle foibe.
+ Lei si deve decidere però, chi è morto nelle foibe? Fascisti? Italiani? Usurpatori? Liberi pensatori? Non può considerare le stesse persone "italiani" in un discorso e "fascisti" in un altro. O sono vittime italiane civili o sono fascisti, dovremmo essere in grado di distinguerli.
- L'Italia era fascista, quindi erano fascisti. Dei fascisti che potevano restare vivi.
+ Ho dei dubbi. C'è chi ha preso la tessera solo per sopravvivere, le vittime civili ci sono in ogni guerra. Ecco perché non dovrebbero esserci guerre.
- Ma da questo punto di vista allora o uno è comunista o è italiano.
+ No, il comunismo non implica una repressione di idee. In passato 1 italiano su 3 ha votato PCI con un programma democratico basato sulla tutela del lavoro e lavoratori, senza nessuna repressione di idee. E i restanti 2 italiani hanno votato politici liberali, cristiani, repubblicani, socialisti... Uno o è fascista o ha quest'ampia scelta. Io sono in quest'ampia scelta.
- Nemmeno il fascismo implica una repressione di idee. Oggi 1 italiano su 100 vota partiti di estrema destra con un programma democratico basato sull'abbassamento delle tasse, sulla tutela dei confini e sull'ordine delle città. Perché dovremmo distinguere i "fascisti" dagli italiani?
+ Non credo che tutti quelli che votano un fascista sappiano cosa voglia dire "essere fascista", cosa gli aspetti nel futuro. C'è chi è stato bene durante il regime, ma alcuni sono stati male, sono stati perseguitati. Se abbiamo qualche dubbio sulla definizione "fascista", chiediamoci se chi ha goduto sulle disgrazie di altri italiani abbia fatto bene all'Italia, agli italiani. Definirsi fascista significa "Qualsiasi cosa avrai io dovrò saperlo per perseguitarti e costringerti a farti pagare tutte le tasse, ma per farlo avrò così tanta discrezionalità che ad alcuni le farò pagare e ad altri no. E tu non potrai lamentarti o scegliere alternative". Definirsi fascista significa "Dovrò controllare sempre più persone per mantenere l’ordine, e per farlo avrò un potere tale che potrò controllare sempre quelli con la pelle più scura, potrò dare una punizione esemplare ai miei nemici e tralasciare i miei amici".
- Ma funziona già così. Lo Stato fa quello che vuole, e anzi, ci vuole qualcuno che metta ordine.
+ Ho descritto degli atteggiamenti tipici di un regime. Persecuzioni, minacce... E non ho parlato di diritti sociali, tutela del lavoro, qualità dell’istruzione. Non si chiede perché?
- No, il programma è abbastanza completo, parla di servizi pubblici gratuiti, maggior ordine e sicurezza, e posti di lavoro per tutti!
+ Quindi le interessa di più l'accesso a quei servizi e non la qualità della vita? Cioè lei non riesce a giustificare i partigiani per aver ucciso durante una guerra per sopravvivenza, non riesce a giustificare l’odio che hanno covato contro i fascisti, ma se ne fotte bellamente se un giorno verranno aboliti diritti civili, sociali e lavorativi?
["Ehi dai su, niente brutte parole" compare dal nulla un conduttore]
- Ecco bravo.
+ Cioè lui sta infangando la storia d'Italia e sono io quello che dice brutte parole? Cioè lui non riesce a giustificare la violenza in risposta ad altra violenza, ma giustifica chi pensa a limitare le libertà altrui solo per vedere in città meno barboni o stranieri o un posto di lavoro senza tutele.
[Compare dal nulla un pubblico che ridacchia, fischia, buu]
- No no, senta... Io...
+ Basta. È impossibile discutere con chi non sa distinguere questi eventi, le persone, gli stronzi, con chi non riesce a calarsi nella storia, con...
- DICE BASTA A ME! MA COME SI PERMETTE! SIETE I SOLITI COMUNISTI CHE NON ACCETTATE IL LIBERO PENSIERO! CHE VOLETE LA CENSURA!
[Applausi, tutti si alzano commossi in piedi, compare dal nulla un blocco pubblicitario]
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APOCALYPSE NOW: Un viaggio nel dilemma morale attraverso la guerra del vietnam
Alla fine degli anni ’60 John Milius scrive una sceneggiatura su un gruppo di soldati americani che a bordo di una barca raggiungono la giungla cambogiana durante la guerra del Vietnam e la affida al regista Francis Ford Coppola, il quale decide di riscriverla unendola al romanzo di Conrad, Heart of Darkness. Nel 1979 verrà rilasciato il film con il titolo di Apocalypse Now.
Considerato il film di guerra più celebre di sempre, Apocalypse Now non presenta la Guerra del Vietnam attraverso una raffigurazione realistica dei combattimenti, ma la carica di significati ben più profondi. Ciò che mostra è l’ipocrisia che caratterizza la morale e la cultura occidentale, che nasconde dietro a motivazioni nobili i motivi dell’interesse e del potere, oltre che l’inutilità di una guerra combattuta in nome di principi quali democrazia e libertà ma nella quale il senso etico viene meno. Sorge il dilemma morale che ogni conflitto porta con sé, la lotta eterna tra bene e male.
Coppola è in grado di tracciare un’eccellente interpretazione del proprio tempo, proponendo un atto di accusa verso la Guerra del Vietnam e ciò che tale conflitto comporta. Allo stesso tempo, la storia può essere considerata come la rappresentazione di un viaggio psicologico nei meandri dell’animo umano e di quella contraddizione morale che caratterizza la cultura occidentale.
Vede, Willard, in questa guerra, là fuori, le cose si confondono. Il potere, gli ideali, i vecchi codici morali, le concrete necessità militari. [...] Perché in ogni cuore umano c’è un conflitto fra il razionale e l’irrazionale, fra il bene e il male. E il bene non sempre trionfa.
Ciò che maggiormente mi ha colpito è la validità universale della riflessione proposta dal film: l’uomo è in grado di conferire liceità ad ogni sorta di nefandezza, che siano guerre, genocidi, colonizzazioni. La barbarie umana è il prodotto della civiltà stessa, che perde i propri ideali e la propria umanità.
Coppola ambienta Apocalypse Now nel 1969, anno nel quale la Guerra del Vietnam è al suo culmine. Il film si pone l’obiettivo di evidenziare l’ipocrisia di una guerra condotta dalle autorità americane in nome di principi quali democrazia e libertà, ma che risulta essere ben altro.
La Guerra del Vietnam è, infatti, fin dalle prime scene descritta come una tragica buffonata.
La guerra veniva combattuta agli ordini di un gruppo di clown a quattro stelle che avrebbero finito per dar via tutto il circo.
La missione stessa che viene affidata a Willard al principio del film è un chiaro esempio di ipocrisia: in uno scenario di guerra, dove morte e distruzione sono all’ordine del giorno, la priorità del governo statunitense è ricercare Kurtz, condannato a morte per aver ucciso due persone che lavoravano contro gli Stati Uniti.
Accusare qualcuno di omicidio in quel posto era come fare multe per eccesso di velocità alla 500 miglia di Indianapolis.
Il colonnello Kilgore che obbliga i soldati a praticare surf nel bel mezzo di una battaglia, la troupe televisiva (con lo stesso Coppola alla regia) presente sul campo, lo spettacolo per i soldati sponsorizzato dalla rivista Playboy: la critica di Coppola sta in questa impostazione ipocrita di una guerra-vacanza, tra surf, Playboy e finta compassione. Una guerra-vacanza, tuttavia, che si rivela un massacro per decine di migliaia di americani e non solo.
Ma a Willard e compagni non resta che andare avanti, perché quello che rimane è il viaggio nel profondo delle tenebre per toccare il fondo e sperare di ritornare alla superficie della coscienza.
Apocalypse Now accompagna Willard nella sua risalita lungo il fiume Nung: il viaggio mostra la graduale trasformazione del protagonista, che con il procedere della storia si espone sempre più all’oscurità morale che lo circonda. Già dall’inizio del film, Willard si mostra allo spettatore come un uomo abituato all’orrore attorno a lui. La sequenza iniziale della pellicola rivela il capitano in una camera d’hotel di Saigon: è la sua stessa voce fuori campo, in un primo piano che mostra il suo volto coperto da una barba corta e ispida, ad anticipare quello che accadrà poi nella giungla.
Saigon...sono ancora soltanto a Saigon. Ogni volta penso di svegliarmi nella giungla [...] Tutto quello a cui riesco a pensare è di tornare nella giungla.
Più avanti nella narrazione Coppola presenta, in una sequenza di fotogrammi, Willard in preda alle urla e al pianto, mentre frantuma in mille pezzi uno specchio di fronte a lui. La lotta di Willard contro lo specchio rappresenta la lotta contro il doppio, contro l’altro se stesso, contro l’ambiguità costitutiva dell’uomo sospeso tra bene e male.
Il rapporto con il male, tuttavia, è in particolar modo incarnato dalla figura ambivalente e demoniaca di Kurtz: ciò che in lui a prima vista disgusta, in realtà affascina e attrae profondamente Willard. Costretto ad allinearsi con la burocrazia militare ipocrita o con Kurtz apertamente malevolo, diventa sempre più evidente che scegliere un’alternativa è complicato. Gli americani non riescono a spiegarsi il comportamento di Kurtz e lo tacciano di follia, come se avesse perso la razionalità regredendo alla barbarie, motivo per cui deve essere ucciso. La sua persona, posta alla fine del viaggio di Willard, dimostra che in fondo all’uomo c’è solo una cosa: the horror, l’orrore, il disumano. Emblematico è il discorso finale di Kurtz:
Ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei. Ma non avete il diritto di chiamarmi assassino, avete il diritto di uccidermi, questo sì. Avete il diritto di farlo, ma non avete il diritto di giudicarmi. Non esistono parole per descrivere lo stretto necessario, a coloro che non sanno cosa significhi l’ orrore. L’ orrore. L’ orrore ha un volto e bisogna essere amici dell’ orrore. L’orrore e il terrore morale ci sono amici, in caso contrario allora diventano nemici da temere. Sono i veri nemici. Ricordo quando ero nelle forze speciali, sembra siano passati mille secoli. Siamo andati in un accampamento per vaccinare dei bambini; andati via dal campo, dopo averli vaccinati tutti contro la polio, un vecchio in lacrime ci raggiunge correndo, non riusciva a parlare. Allora tornammo al campo, quegli uomini erano tornati e avevano mutilato a tutti quei bambini il braccio vaccinato. Stavano lì ammucchiate, un mucchio di piccole braccia, e, mi ricordo che ho pianto, io…ho pianto come… come una povera nonna. Avrei voluto cavarmi tutti i denti. Non sapevo nemmeno io cosa volevo fare, ma voglio ricordarmelo, non voglio dimenticarlo mai, non voglio dimenticarlo mai. E a un certo punto ho capito, come se mi avessero sparato, mi avessero sparato un diamante, e un diamante mi si fosse conficcato nella fronte, e mi sono detto: oddio, che genio c’era in quell’atto, che genio, la volontà di compiere quel gesto. Perfetto, genuino, completo, cristallino, puro. Allora ho realizzato che loro erano più forti di noi perchè riuscivano a sopportarlo. Non erano mostri, erano uomini, squadre addestrate; questi uomini avevano un cuore, avevano famiglia, avevano bambini: erano colmi d’amore ma avevano avuto la forza… la forza di farlo. Se avessi avuto 10 divisioni di uomini così, i nostri problemi sarebbero finiti da tempo. C’è bisogno di uomini con un senso morale e allo stesso tempo capaci di utilizzare il loro primordiale istinto di uccidere senza sentimenti, senza passione, senza giudizio…Senza giudizio! Perché è il giudizio che ci indebolisce
Kurtz parla degli orrori che ha visto pressi i nativi, gli incivili. Eppure lungo tutto il film abbiamo potuto osservare gli orrori americani. Coppola smentisce il suo personaggio: l’orrore è comune a tutti.
Emblematica è anche la colonna sonora del film. In apertura dell’opera risuonano le note della canzone The End dei The Doors, introdotta dal suono rallentato e riverberato delle pale di un elicottero. Il brano fa riferimento alla filosofia di Friedrich Nietzsche, ed esplicita quello che è il reale messaggio di Coppola.
Il pensiero di Nietzsche risulta caratterizzato dalla messa in discussione della civiltà e del sistema valoriale sul quale si è costruito l’Occidente. La critica di Coppola colpisce la cultura occidentale moderna nella sua pretesa insensata di onnipotenza, volta a incatenare l’uomo in regole e principi etici e morali. E’ un processo che conduce alla delineazione di un nuovo tipo di umanità, tratteggiata nell’immagine dell’übermensch. Il personaggio di Kurtz rappresenta colui che è andato al di là del bene e del male, ha lasciato l’ipocrita morale occidentale per fondare e incarnare una sua personale etica. Kurtz diserta, abbandona il proprio ruolo nell’esercito americano, e si pone a capo di una legione di insubordinati nella foresta della Cambogia. Ma questo avrebbe fatto di lui, comunque, una divinità, un nuovo Dio, dal momento in cui come tale viene considerato dagli insorti. Come dirà il generale che affida a Willard la sua missione,
Può capitare che, in determinate circostanze, un uomo finisca col credersi Dio.
L’immagine di Dio racchiude tutte le credenze metafisiche e religiose elaborate dall’uomo attraverso i millenni per dare un senso e un ordine alla vita. Secondo il filosofo, l’immagine di un cosmo ordinato e benefico è soltanto una costruzione della nostra mente, realizzata ai fini di sopportare la durezza dell’esistenza. Metafisiche e religioni si palesano quindi per ciò che realmente sono, ovvero bugie di sopravvivenza. La morte di Dio è il venir meno delle certezze e dei punti di riferimento assoluti sui quali l’Occidente ha costruito la propria morale. Segue un senso di vertigine, di smarrimento, uno spazio vuoto. Per reggere la morte di Dio l’uomo, quindi, deve farsi oltreuomo, divenire egli stesso un Dio, rendersi consapevole del tramontare di un senso ultimo e assoluto. La morte di Dio coincide dunque con l’atto di nascita dell’oltreuomo, così come il rifiuto della vita occidentale da parte di Kurtz segna la nascita di una nuova morale. Kurtz è colui che è in grado di accettare la dimensione tragica dell’esistenza, di reggere la morte di Dio e la perdita delle certezze assolute e di emanciparsi dalla morale, ponendosi come volontà di potenza. Ma la volontà di potenza, in quanto affermazione e potenziamento del proprio essere, implica offesa, sopraffazione, imposizioni di propri valori a discapito di altri e quindi subordinazione. Così come dimostra Kurtz, che esercita un dominio, rispetto agli insubordinati, basato sul culto della propria persona.
Il film si conclude sulle note in crescendo della canzone The End come sottofondo alla scena, forse, più emblematica dell’intera pellicola: la morte di Kurtz. Uno dei temi fondamentali della canzone dei The Doors è il mito di Edipo: nel lungo pezzo parlato Jim Morrison afferma:
Father? / Yes son? / I want kill you ./ Mother, I want to...
La morte di Kurtz avviene per mano di Willard e rappresenta, in un certo senso, la tragedia edipica, l’uccisione di Laio da parte di Edipo. Willard compie la volontà di Kurtz e lo uccide, e da quel momento viene venerato dagli indigeni diventando lui stesso un nuovo Dio, senza, però, accettare la sua nuova condizione.
Willard non fa altro che rivelare che la vera “tenebra” è quella del mondo occidentale che si nasconde dietro la falsa morale del portare progresso e civiltà per distruggere e sfruttare le altre culture. Ponendo fine all’esistenza di Kurtz, ormai superuomo, la cultura occidentale può finalmente liberarsi dalle proprie preoccupazioni: il figlio ribelle è morto e la coscienza può tornare pulita.
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SAO Alicization: War of Underworld - Ep 11 - Una scelta crudele
IN ITALIA L’ANIME E’ DISPONIBILE GRATUITAMENTE SULLA PIATTAFORMA VVVVID! SUPPORTIAMOLA! ----> https://www.vvvvid.it/show/892/sword-art-online-alicization-war-of-underworld/1005/541409/una-scelta-crudele
Avanti tutta in attesa di vedere quel vigliacco farabutto di Miller morire malissimo. E Scheta, mia diletta, spero di vedere presto il rilascio della tua arma! L'episodio di oggi inizia con un ricordo di Bercoulli, di un qualche happy hour fatto con la Somma. Vabbe ma questi passavano il loro tempo a bere, ci credo che Eugeo e Kirito hanno sbaragliato tutta la Central Cathedral in 5 puntate o poco più. La Somma aveva chiesto al cavalierone se sapeva cosa significasse avere un presagio di morte. Perchè lei sentiva la morte incombere ogni momento di ogni giorno, perfino quando dormiva, sapeva con certezza che i suoi nemici erano vivi e che l'avrebbero soppiantata. Ed ora, nel presente, in attesa di scendere in battaglia, Bercoulli capisce esattamente il senso di quelle parole. Ma di che stai parlando che basta un colpo ben assestato della tua spada e ci lascia mezzo esercito oscuro?? E comunque non mi stanno bene tutti questi flashback e memorie della Somma, vogliamo dipingerla come una saggia governatrice? Ci siamo scordati che usava bambini per fare esperimenti sulla resurrezione? Che il suo piano per respingere l'esercito oscuro era quello di trasformare tutti gli umani in armi? Io non lo scordo. Fine del discorso.
Nella tenda di Kirito va avanti lo Sleepover Club, con Asuna che accetta di buon grado l'harem del fidanzato. Mi manca la gelosia di Asuna, questa pare lobotomizzata, se le proponessero una cosa a 5 con Kirito in mezzo accetterebbe senza problemi (🤦🏻♀️). Sorride pure quando Ronye dice che il senpai sembra più colorito, aggiungendo che forse è perchè ha dormito con delle belle ragazze. Io voglio morire, portatemi via da questa situazione assurda.
L'episodio mi ascolta, ed infatti tutti i cavalieri vengono richiamati dalle vedette, poichè lì dove Asuna ha creato il crepaccio per distanziare l'esercito oscuro hanno messo delle corde fissate ai due lati, riuscendo così, a poco a poco, a raggiungere l'altro lato. Molti muoiono nell'impresa, si erano arruolati per la guerra, non per il parco avventura. Ma a Vecta non frega una mazza, non importa quanti moriranno, con la sua solita aria annoiata comanda di tendere delle corde e di cominciare ad avanzare, a prescindere dai morti. Imperatore dell'anno. I cavalieri dunque, dato che la guerra è guerra e non stiamo qui a contare le macchie alle giraffe, arrivano in men che non si dica e fanno a fettine quei pochi che erano riusciti ad attraversare il crepaccio, e per buona misura Renly mette a frutto le sue lame e taglia la corde. Dall'altra parte il capo pugilista se la prende coi cavalieri e dice che questa non è una battaglia ma un massacro. Buongiorno stellina, quelli stanno facendo il lavoro loro, è con Vecta che dovresti prendertela.
E torniamo appunto dall'imperatore, che da lontano vede i cavalieri distruggere gli sforzi dei nemici senza una goccia di sudore, dopotutto si aspettava che le intelligenze umane sarebbero state al di sopra di quelle delle creature oscure. Dunque pensa che Critter dovrebbe sbrigarsi. Perchè, che sta combinando Critter? Lo vediamo subito, ha azzerato la differenza tra lo scorrere del tempo reale e quello di Underworld, ed ha reso accessibile l'Underworld a tutta l’America. E gli americani ci cascano scambiandolo per un beta test. Il problema dell'intelligenza, dunque, sarà risolto perchè gli account delle creature oscure avranno un'intelligenza umana, quella dei videogiocatori, convinti di stare giocando ad un videogioco, non ad una realtà esistente in un'altra dimensione. Ma Hige come cacchio fai a non accorgerti che l'Underworld adesso è accessibile a tutti?? Come fai a non vedere che il tempo scorre esattamente con la stessa velocità del mondo terrestre?? Dovresti fare attenzione solo a questo! Questi lasciano gli account più pericolosi e oscuri senza password, non monitorano una ceppa della realtà che dovrebbe essere il loro UNICO pensiero, essendo pure in una situazione d'emergenza visto che, sai com'è, al piano di sopra ci sta gente che sta tentando di far saltare tutto il loro lavoro per aria, e se ne fregano pure, dormono, giocano a briscola, si chiedono se non è il caso di ordinare d'asporto che con la pandemia è tutto chiuso. Ma veramente?? Viene da chiedersi come abbiano resistito finora senza essere stati hackerati male da qualche quindicenne, che tanto ce l'avrebbe fatta senza nemmeno sforzarsi.
Come al solito ci salvano le donne. Yui, dovunque lei sia, vede tutti i dive che dall'America stanno convergendo in Giappone, ed avverte subito Shinon e Leafa, dicendo loro di prendere il primo taxi e precipitarsi alla sede della Rath a Roppongi, chiedere di contattare la Ocean Turtle e dare una bella svegliata a Hige. E così quei decerebrati si rendono conto del casino in corso. Ci spostiamo nella nuova Aincrad, dove i personaggi più o meno secondari delle scorse stagioni sono soliti incontrarsi per bere il tè e guardare i programmi di Alberto Angela. Yui li ha riuniti tutti lì ed ha fatto un megafotonico spiegone delle puntate precedenti, ed ora anche loro sanno la situazione. Ma Yui ha in serbo una rivelazione che scuote le fondamenta di tutto Sword art online: vogliono tutti mettere le mani su questa entità nominata Alice perchè lei è il frutto di ogni singolo test ed esperimento portato avanti attraverso il primo Sword art online, poi Alfheim online, poi Gun Gale Online, insomma tutti i giochi creati da The Seed ed a cui hanno partecipato tutti i videogiocatori del mondo. Tutti i loro comportamenti, i loro modi di reagire alle situazioni, le lacrime, la gioia, la felicità, la paura, la voglia di combattere, insomma le loro anime, hanno con il tempo creato ciò che adesso è Alice, un'entità con l'unico scopo di costituire una super intelligenza artificiale da mandare in guerra contro le altre nazioni senza mettere a rischio vite "umane". Non so se l'ho spiegato bene.
Mi piace molto questo passaggio, mi piace che ci sia un fortissimo collegamento che mette insieme tutte le stagioni precedenti e che risponde al perchè Alice fosse così importante; sì, okay è la sacerdotessa di luce, ma perchè? Adesso lo sappiamo finalmente, non ci speravo proprio ed invece mi hanno stupita, chapeau. Ma parliamo dell'emergenza attuale, ora che siamo in questo guaio, come rispondere a tutti questi dive americani? Come spiegare soprattutto che non è un mero beta test ma una realtà concreta dove la gente muore sul serio? Annunciamo tutto ai governi rischiando guerre civili a destra e a manca? Meglio di no, conviene combattere il fuoco col fuoco, ma c'è il minuscolo problema che non hanno neanche lontanamente il tempo di accumulare l'esperienza necessaria per fare avanzare account underworldiani basici dato che ora il tempo tra le due realtà scorre alla stessa velocità, senza contare che adesso in America è mezzogiorno e sono tutti collegati mentre in Giappone siamo in piena notte e non troverebbero lo stesso numero di utenti connessi nemmeno a pagarlo. L'unica cosa che si può fare, dice Yui, è trasferire i loro account di Alfheim, pieni di esperienza, in Underworld. Ma anche qui i problemi non mancano. Questi problemi, come Lisbeth spiega poi a tutti gli utenti di Aincrad che sono stati svegliati per partecipare ad un'assemblea totale, consistono nell'impossibilità di fare logout (ci risiamo!), il dolore è intenso come nella realtà, e non c'è la certezza di riavere indietro il proprio personaggio una volta che verrà convertito ed usato in Underworld. Naturalmente tutti obiettano, col cavolo che rischiano così tanto per chissà quale faccenda tra America, Giappone, anime ed intelligenze artificiali, perchè non lo fate voi altri sopravvissuti di SAO che siete convinti di essere migliori di tutti gli altri giocatori di VRMMO?? Lisbeth dopo un momento di disperazione risponde, e il discorso devo metterlo tutto perchè mi ha fatto vedere i brividi.
〰️ E' vero, sto parlando di faccende del mondo reale.
E come avete detto voi, forse per noi che siamo sopravvissuti a SAO è facile confondere mondo reale e virtuale! Però di certo non abbiamo mai considerato noi stessi come degli eroi o persone speciali! Io e questa ragazza frequentiamo una scuola apposita per sopravvissuti a SAO. I suoi studenti, una volta ogni mese ricevono sessioni obbligatorie di terapia. Ci fanno un sacco di domande sgradevoli, e ci sono anche molti studenti costretti ad assumere farmaci che non vorrebbero. Per il governo siamo un esercito di criminali latenti da monitorare costantemente! Ma a essere trattati così non siamo solo noi studenti della scuola per sopravvissuti. Tutti i giocatori di VRMMO vengono considerati in quei termini, chi più e chi meno! C'è chi ci addita come un inutile fardello della società, chi come degli escapisti che non pagano tasse e contributi...C'è chi vorrebbe reintrodurre la leva obbligatoria e sostiene che dovremmo essere costretti a servire la patria... Però io lo so! Io ci credo! Anche questo posto è realtà! Sia questo mondo che tutti gli altri mondi virtuali collegati a questo. Non sono assolutamente luoghi immaginari in cui rifugiarsi! Per quanto mi riguarda, questa è una realtà dove esistono vere vite, veri amici, veri incontri e veri addii, veri sorrisi e vere lacrime! [...] Questi molteplici mondi creati da tutti noi si sono fatti una cosa sola, proprio come il nostro Yggdrasil, e sono cresciuti. E ora che il fiore chiamato Underworld è finalmente sbocciato, io voglio proteggerlo! Vi prego...concedetemi la vostra forza. 〰️
E okay, so benissimo che pare il solito discorso volemosebbè l'amicizia il cuore delle carte e tutte ste cose che nella vita reale se per risolvere un problema te ne esci così ti pigliano subito a calci, ma il richiamo alla società odierna che li vorrebbe come soldatini addestrati invece che liberi di essere se stessi in altre realtà, oppure il discorso che non è tutto rose e fiori per loro che hanno vissuto il trauma Sword art online, per anni attaccati a delle macchine senza poter uscire dal gioco, ed ora sono in riabilitazione ed alcuni pigliano addirittura farmaci per lo stress post traumatico...insomma è un discorso che fa pensare, io l'ho amato, ha i connotati giusti per far smuovere i videogiocatori e dar loro la giusta motivazione contro chi in queste realtà ci vede solo un'arma per fare guerra al proprio simile. Torniamo infine nell'Underworld, i cavalieri continuano a tagliare le corde sul crepaccio, ma all'orizzonte cominciano a spuntare tante luci. Eccoli arrivati, i videogiocatori americani del mondo reale, pronti a dare battaglia senza capire in che situazione siano. Appuntamento quindi al prossimo episodio, in attesa che arrivino le forze di Aincrad (e chi era quel figuro in viola accompagnato da Yui all'assemblea di Aincrad? Eugeo? La Somma? un personaggio nuovo? Chissà). Sono elettrizzata, devo ammetterlo. Alla prossima! -sand-
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durante la nottata, forse vicino all'alba –– @ sala grande, #EPIDEMICHOGWARTS.
Sophia non ha paura di morire. Perché dovrebbe? È il ciclo della vita, e non importa se succeda prima o dopo; se per casualità, o per mano di qualcuno. Si chiede cosa vi sia dopo, questo sì, ma è un pensiero troppo astratto o filosofico, e nella sua mente ( poco reattiva? poco razionale? ) non attecchisce. Sapete di cosa ha paura, invece? Di lasciare indietro le persone che ama, o che le persone che ama lascino indietro lei; di lasciare questioni in sospeso. Perché lo vede, Valentyne come trema in preda ai deliri febbricitanti, e la lettera di sua madre la tiene ben stretta in una mano. E lei... lei invece sta bene, sta meglio. Riesce a ragionare, seppur con difficoltà, riesce a far cadere qualche lacrima ai lati degli occhi al sol pensiero d’addormentarsi e risvegliarsi col corpo di suo fratello freddo, privo di vita, gli occhi azzurri che non s’aprono più. Perché lei lo detesta, fino in fondo al cuore, e lo evita da quando / è successo / — ma il labbro inferiore trema lo stesso, inconsapevolmente, perché quella malattia è contagiosa e lei la sente che le striscia sotto le pelle, lo sa che la sua testa è divenuta nient’altro che il covo di pensieri ossessivi e morbosi, che un molliccio a confronto impallidirebbe!, eppure vaga, e vaga, e vaga. Pensa a Diane Urquhart, alle loro continue discussioni, al fatto che sotto tutto quell’odio apparente lei le voglia un bene viscerale: è l’unica mamma che abbia mai avuto. Pensa a suo padre, al fatto che forse al binario avrebbe dovuto stringerlo più forte. Pensa ad Ezra, che è stata la prima persona a volerle del bene o a non farle del male. Pensa a Noora, a quel sorriso un po’ sghembo, malizioso, che la conosce fin dentro le ossa, e si chiede come stia, cosa stia facendo, se le abbia mai detto che le vuole così bene da sentire una morsa allo stomaco. E pensa anche a qualcun altro, questo sì, a qualche letto più in là — perché Sophia è fuoco, fiamme e passione, sì, ma ha il cuore tenero, una pietra luccicante in fondo all’oceano in tempesta, e s’affeziona. Però è lui, il centro del suo mondo. Sempre lui. Solo lui. Come dieci anni prima, ancora oggi.
Ricorda com’erano simili, quand’eran piccini; ricorda come lei cercasse di imitarlo in ogni cosa, restando sempre composta, rigida, mettendo a tacere il suo animo selvaggio. Ricorda come abbiano sempre scherzato sul netto contrasto dei loro colori, perché non v’è niente di simile nel loro aspetto fisico, e ricorda, soprattutto, il dolore atroce di quando han scoperto la verità. Ricorda i pianti, e le urla, e il desiderio di scappare. Lui, la sua roccia, le mani sulle braccia. “ A me non importa che sangue ti scorre nelle vene, Sophia. Tu sei una Urquhart. “; lui, la sua pace ed il suo tormento. Così diversi e così uguali, due lati della stessa medaglia — un disco spezzato che si completa; distorto, ma melodioso. Non c’è Valentyne senza Sophia, e non c’è Sophia senza Valentyne. E sì, lei sente ancora le sue labbra sulla pelle, ma questo non è importante. È secondario, per quanto sbagliato, perché quel desiderio viscerale non è altro che una mera conseguenza del loro essere se stessi. Due peccatori, due martiri. Due amanti, due fratelli; amici, nemici, e non c’è amore od odio che tenga. Lo sa che non v’è nessun Dio pronto a perdonare ed assolvere i suoi peccati; sa che non v’è nessun Cristo benevolo. Ed anche se fosse, lei appartiene all’Inferno. Un angelo caduto, ecco cos’è; le ali immacolate perché prive di scelta. Non esiste Paradiso che tenga al suo animo irrequieto, non esiste girone per il suo cuore d’oro. Un angolo di terra arida e deserta, dove può inginocchiarsi a capo calato e pensare alla sua vita. Il Purgatorio. O il nulla, forse: un buco nero che l’inghiotte e la fa sparire nel cosmo, rendendola nient’altro che cenere. E allora il suo amore sconfinato per suo fratello forse avrà senso.
‹ Valentyne? › un sussurro, nessuna risposta. Aprire gli occhi adesso fa male. ‹ Valentyne... › ed è strano, come un singolo nome possa avere in sé così tanti intrinsechi significati. Ed il suo tono di voce, e quel lamento sottile—— Sophia sta soffrendo, e non perché senta dolore. Non per la febbre più alta, o per il sudore che le cola lungo le tempie e le bagna i capelli, ma perché non riesce a pensare ad un mondo senza di lui. Il suo cuore. Ha sempre detto di voler essere la prima a morire: lui è forte, riuscirebbe a vivere un’esistenza senza di lei. Ma lei? Lei no. Lei è debole, spezzata, e la sua anima morirebbe con lui. ‹ Valentyne, io ti amo tanto. › un mormorio confuso, prima che l’oscurità abbia la meglio.
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“Perché l’uomo preferisce obbedire, si fa schiavizzare senza ribellarsi?”. Sul libro rivoluzionario di Étienne de La Boétie
Al principio fu un quiproquo bibliografico. Dietro lo specchio di Étienne de La Boétie, geniale giurista al Parlamento di Bordeaux e paladino della riconciliazione religiosa presso Caterina de’ Medici, autore del perfetto Discorso sulla servitù volontaria, alcuni hanno creduto di scorgere Montaigne, l’uomo che ci ha insegnato a non essere servi che del libero vagare e indagare del nostro pensiero. Fu Montaigne, infatti, nel 1572, a pubblicare le opere di La Boétie, morto troppo giovane, a 33 anni, essendo «erede della sua biblioteca e delle sue carte». In quel «libretto che ho fatto pubblicare», Montaigne aveva raccolto le traduzioni da Senofonte e da Plutarco e i versi latini dell’amico, celando il fatidico trattato scritto «nella sua prima giovinezza, in onore della libertà, contro i tiranni», riconosciuto «fine e succoso quant’è possibile». Il quale circolava in forma di primordiale samizdat, con il titolo di Le Contre Un, incollato a un fascio di altri testi sfacciatamente antimonarchici, redatti da mano sediziosa. Il pavido Montaigne si era forse forgiato uno spavaldo pseudonimo?
*
Il fatto è che il libello, prima di tutto, è il sigillo di una amicizia, «così perfetta e completa che certo non si legge ne sia esistita un’altra simile», tale da giustificare la compenetrazione tra l’uno e l’altro, il mio e il tuo, la glaciale ragionevolezza di Montaigne incarnata nella gracile ferocia di La Boétie. Perciò, in qualche modo, La Boétie è davvero l’emanazione di Montaigne, come gli Essais di Montaigne sono un modo, immane e magnifico, di dimenticare – o riscattare – la morte dell’amico, che gli spirò tra le braccia, «e sono tanto più legato a quest’opera in quanto servì di tramite al nostro primo conoscerci». Ecco perciò perché Montaigne la celava, allora: l’amicizia si santifica nel pudore. Che gli agitati esaltassero il trattato di quell’uomo che «per ciò che riguarda i doni naturali, non conosco nessuno che possa stargli a confronto», istigando rivoluzioni, doveva apparire odioso, un insulto alla sapienza, a Montaigne, per cui la scrittura non evoca «né il tuo vantaggio né la mia gloria».
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Aveva ragione lui, comunque: il Discorso di La Boétie, che di volta in volta riappare nella storia, sventolato dai rivoluzionari di ogni colore, dai regicidi, dai ghigliottinatori, non è una variante su un tema tipico (il tirannicidio è già tematizzato da Aristotele, Platone, Seneca, San Tommaso d’Aquino), la cui espressione più estrema si trova nel quasi contemporaneo De rege et regis institutione del gesuita Juan de Mariana. Nella sua opera, redatta, secondo Montaigne, «nella prima giovinezza», La Boétie affoga in domande capitali (perché l’uomo preferisce obbedire più che sapere? Perché sente la necessità di un padrone? Perché migliaia, milioni di uomini si fanno schiavizzare al posto di ribellarsi, subendo l’impero di un solo uomo, che potrebbero detronizzare da un momento all’altro?), trovando la soluzione. Un tiranno riesce a dominare solo tessendo una rete intricata di relazioni, che ne implica altre e ne complica altre ancora. In questo labirinto di nepotismo, di favoritismo e di doni eccezionali, tutti gli uomini legati al tiranno preferiscono cedere la propria libertà in cambio del favore, del potere.
*
Delazione e rapporti privilegiati: questa è la matrice della mafia, come di ogni totalitarismo. Così La Boétie squalifica l’opera di quelli che inneggiando al suo Discorso uccidevano un re forgiandone un altro, abbattevano un governo terribile fondando un terrore più grande, indorandosi le labbra con la parola “giustizia”. La vera libertà è la rinuncia ad ogni potere, il ritirarsi nel cuneo del pensiero. Che denuda tutte le false, astute libertà elargiteci da un governo per meglio dominarci. (d.b.)
***
Questi miserabili vedendo luccicare i tesori del tiranno rimangono abbagliati dalla sua magnificenza e attratti da questo splendore si avvicinano, senza accorgersi che si stanno buttando in una fiamma che non mancherà di divorarli, allo stesso modo di quel satiro curioso che secondo un’antica favola vedendo brillare il fuoco trovato da Prometeo ne fu talmente impressionato che si accostò per baciarlo e si bruciò. O come la farfalla, di cui ci parla il poeta toscano, che credendo di trarre chissà quale piacere si avvicina troppo alla fiamma, attratta dal suo chiarore, e ne prova invece l’altra qualità, quella del bruciore. Ma anche supponendo che questi adulatori riescano a sfuggire alle mani del loro padrone, in ogni caso non si salvano mai dal re che viene dopo: se è un buon sovrano devono rendergli conto di tutto e comportarsi secondo ragione; se invece è malvagio come il precedente avrà anch’egli i suoi favoriti che solitamente non si accontentano di prendere a loro volta il posto degli altri ma vogliono anche ottenerne i beni e in molti casi la vita stessa. Com’è dunque possibile che ci sia qualcuno che in mezzo a tanti rischi e con ben poche garanzie voglia prendere questo sciagurato posto e servire un padrone così pericoloso? Che tormento, che martirio è mai questo, buon Dio? Essere occupato giorno e notte a compiacere uno e tuttavia avere più timore di lui che non di qualsiasi altro uomo, stare sempre all’erta con l’occhio e l’orecchio tesi a spiare da dove verrà l’attacco, a scoprire gli agguati, leggere nel cuore dei compagni, denunciare chi sta per tradire, sorridere a tutti e fidarsi di nessuno, non avere né nemici dichiarati né amici sinceri, col sorriso sulle labbra e il gelo nel cuore, non riuscire ad essere lieto e non poter mostrarsi scontento. Ma è ancor più interessante considerare quel che ricavano da questo grande tormento e quale bene possano aspettarsi da tutti questi loro affanni e dalla loro vita miserabile.
Solitamente il popolo non accusa il tiranno per il male che gli tocca sopportare bensì coloro che sono messi a governare. Di costoro i popoli, le nazioni, tutti gli abitanti senza alcuna eccezione, dai contadini agli artigiani, sanno i nomi, contano i vizi e su di loro riversano un’infinità di oltraggi, villanie e maledizioni: tutti i discorsi e le imprecazioni della gente sono contro di loro, ritenuti colpevoli di ogni sventura, della peste come della carestia; e se qualche volta per salvare le apparenze questo stesso popolo li onora, dentro di sé li maledice dal profondo del cuore e li ha in orrore più che le bestie feroci. Ecco la gloria e l’onore che ricevono per i servizi che compiono verso la gente, la quale anche se potesse ridurre il loro corpo a brandelli probabilmente sarebbe ancora insoddisfatta e ben poco alleggerita delle proprie sofferenze. E anche quando sono scomparsi dalla faccia della terra moltissimi scrittori negli anni seguenti non mancano certo di denigrare la memoria di questi mangiapopoli; la loro fama viene completamente distrutta in migliaia di libri e le loro stesse ossa vengono per così dire trascinate e disperse dai posteri come punizione per la loro vita malvagia, anche dopo morte. Impariamo dunque finalmente a comportarci bene; ad onore nostro o per l’amore che portiamo alla virtù, o meglio ancora per l’amore e l’onore di Dio onnipotente che è testimone sicuro delle nostre azioni e giudice delle nostre mancanze, teniamo lo sguardo rivolto al cielo.
Per parte mia penso, e non credo di sbagliarmi, che non ci sia niente di più contrario a Dio, infinita bontà e libertà, della tirannia e che Egli riservi laggiù delle pene particolari per tutti i tiranni e i loro complici.
Étienne de La Boétie
Traduzione di Luigi Geninazzi
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“Rivoluzionari contro noi stessi”: l’epopea di Guido Keller, il Kurtz di Fiume, l’eroe situazionista che gettò un pitale sopra Montecitorio
Il tramonto ha un fascino meridiano, immediato. Fiume è finita, l’esplosivo estetico, l’epicentro rivoluzionario, la supernova politica, ormai è cenere, ornamento letterario, liberazione abortita. Gabriele d’Annunzio, sopraffatto dalla fine, austero alla dissipazione, scrive a Guido Keller, è il 12 settembre 1921, la lettera è vertiginosa. “Sono tanto scontroso che stasera non mi piace di stare nemmeno con un compagno notturno come te. Non so se tu sia il Guido Keller di quella notte. Tutti cambiano intorno a me. E io sono stanco di fare da pietra di paragone. (…) Voglio andare a trovare nuovi compagni nel deserto: compagni trasparenti, con una testa di cristallo di rocca, come quei busti medicei di pietre dure. (…) La mia febbre di Ronchi mi torna con immenso brivido lirico. Te lo comunico a distanza. Una bella donna mi disse una sera: ‘Se volete essere più vicino a me, andatevene’. E vorrei stasera per unico nutrimento quel grappolo d’uva che in quella casupola di Ronchi fu messo accanto alla mia branda bruciante. Te ne ricordi? Non ne mangiai neppure un acino. Tu che sei mago, va, ritrovalo e portamelo. Il tuo Gabriele d’Annunzio”. Andarsene, per rendere tutto indimenticabile. Assegnare alle ceneri nitore di marmo.
*
Milanese, Acquario (nasce il 6 febbraio 1892), Guido Keller von Kellerer è barone, figlio di industriali della seta, scapigliato, direbbe l’allegro cinico – e geniale – conte Alberto Carlo Felice Pisani Dossi, con una maniaca passione per il volo. Icaro che s’inarca sul labirinto bellico, Keller è eroico durante la Prima guerra, il Lancillotto di Baracca – di cui reggerà la salma – “tre medaglie d’argento, 116 voli di scorta e caccia, 137 voli di crociera, 40 battaglie ingaggiate, 7 avversari abbattuti, infinite missioni per colpire o fotografare le trincee della prima linea nemica”. In volo, si dice, nei momenti di quiete, preferendo le nuvole all’uomo, cinto d’azzurro, legge L’Orlando furioso e la Vita del Cellini. Trae ispirazione dalla cavalleria magica, dall’ardore dell’arte. Lo chiamano l’Asso di Cuori. Sarà il solo a dare del tu al Comandante, a D’Annunzio, lì, nel fulgore di Fiume.
*
Ripeto. Ardo del tramonto, preferisco la luce obliqua, il corrusco che corrode le medaglie. Dopo Fiume Guido Keller, Achille dadaista, cocainomane perso, svanisce tra imprese folli, al limite dell’onirico. Nel 1923 è a Bengasi. Chissà se ha letto Conrad, fatto è che si tramuta in una specie di Kurtz dei deserti. “Come casa, sceglie un veliero in disuso dove accoglie la aristocrazia coloniale ma anche quella locale. In Africa scopre il fascino degli indigeni e trascorre molto tempo con loro nel deserto, fino a destare scandalo. Negligente, refrattario alla disciplina, affascinato dall’individualismo dei popoli ‘primitivi’, vola di oasi in oasi”. Un aneddoto ne coglie l’indole alla sfida: Keller è in ricognizione punitiva contro i ribelli al governo coloniale italiano. Il suo velivolo declina, abbattuto. I nemici si avventano contro il mezzo. “I ribelli accorrono per fargli la festa ma restano perplessi quando dalla fusoliera esce un uomo barbuto dalla pelle scura, vestito alla maniera araba. Keller conquista il capo dei ribelli col quale riesce a intendersi grazie a un interprete occasionale. Quando ormai è creduto morto, l’aviatore torna alla base a cavallo di uno splendido sauro bianco, scortato dalla tribù nemica in armi. Si potrebbe credere a un’invenzione dei biografi modellata sulla vicenda analoga accaduta sul finire della Prima guerra mondiale. Ma nell’Archivio del Vittoriale è conservata una fotografia che ritrae Keller e i suoi singolari accompagnatori”. Così scrive Alessandro Gnocchi, in un libro straordinario, Guido Keller. Ala-Pensiero-Azione (Giubilei Regnani, 2019), costruito con materiali sconosciuti tratti da una lunga speleologia negli archivi del Vittoriale, che finalmente rende chiaro il ritratto di un uomo anomalo, certamente anormale, su cui dovrebbe avventarsi un romanziere.
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Il libro è tesoro per beati bibliomani, per altro: Gnocchi allinea alcuni testi di Keller pubblicati su La testa di ferro, testata fiumana diretta dal futurista Mario Carli e su Yoga, foglio ideato da Keller insieme a Giovanni Comisso, che dilaga l’impresa di Fiume come avventura dello spirito, d’allucinata consapevolezza (si dicono “Rivoluzionari non contro un partito o per un partito ma rivoluzionari contro quello che siamo. Rivoluzionari contro noi stessi onde si abbia a perdere le nostre false arroganze, le nostre vili menzogne le nostre tardive e appassite bellezze”).
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Fotografia autografa di Guido Keller inviata a Margherita Sarfatti
Torno al gorgo dei deliri, alla rassegnazione che sboccia in urlo, all’uomo impossibilitato alla vita perché immerso nella fatalità dell’eroico. Nel 1926 Keller è in Sudamerica. Cerca l’oro, ordisce rivolte, ambisce al grido. Kurtz si trasforma in Fitzcarraldo. “Perù e Cile sono le tappe più lunghe. Ma riesce a visitare il Brasile, il Venezuela e ad affacciarsi sul mare dei Caraibi. In Venezuela proverà a commerciare oro. La cosa non va in porto, anche se qualche piccola pepita gli rimane in tasca. A Lima è delegato al servizio dei fasci locali. Riprende a sniffare troppo… Keller sogna la fusione delle nazioni sudamericane in un unico blocco che in nome della latinità privilegi il commercio con l’Italia e si opponga al colonialismo economico degli Stati Uniti. Incontra politici, industriali, commercianti, aspiranti rivoluzionari. Non è solo il delirio di un cocainomane che a Lima prova tutte le qualità della magica polvere. L’ambasciata lo rimpatria per motivi poco chiari (sospetto traffico di oro, briciole racimolate lungo il corso del fiume Orinoco)”.
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Nel 1929, in una specie di previsione della morte, che accade il 9 novembre, a 37 anni – incidente stradale, nei dintorni di Magliano Sabina, circonfuso dall’enigma – Keller scrive con ossessione a D’Annunzio. Il 10 agosto: “Pronti ad un tuo cenno con un gruppo d’arditi di confine piombiamo oltre Fiume nel sonno della mezza estate per annientare il trattato di Rapallo. Così sapremo dare una realtà virile a questa barocca coreografia burocratica Imperiale… Se non vuoi essere il Nostro Condottiero sii il Compagno che ci aiuta ad uscire da questa morta gora in cui le qualità individuali nulla valgono”. Ma D’Annunzio è altro, altrove, ora. Keller gli destina il tradimento. “Il tuo letargo metafisico non ha vita. Invano ti illudi artefice di sogni col cesello della parola. La passione è nel sangue che anima la lama mortale. L’Uccidere è l’Arte più perfetta di Vita ch’io conosco”, gli scrive.
*
Sembra aver vissuto la vita da romanzo funambolico che non sapremmo più neanche desiderare, Keller. Di un gesto almeno gli siamo grati. Il 14 novembre 1920 su un biplano Ansaldo SVA sorvola la Capitale. Scorge Montecitorio. Sul regno dei parlamentari scaglia un pitale pieno di rape e carote. Con dedica: “Guido Keller, Ala: azione nello splendore, dona al Parlamento e al Governo che si reggono da tempo con la menzogna e con la paura, la tangibilità allegorica del loro valore”.
***
La riforma scolastica secondo Guido Keller. Per gentile concessione si pubblica un documento di Keller tratto dal libro, curato da Alessandro Gnocchi, “Guido Keller. Ala-Pensiero-Azione” (Giubilei Regnani, 2019).
La nuova scuola
AMORE
A proposito di scuola, il nostro grande amico Keller, l’asso famoso e una delle menti più elette che siano oggi a Fiume, come ebbe a dire lo stesso Comandante, ci invia questo abbozzo di programma scolastico. Lo pubblichiamo con grande piacere, e lo facciamo nostro:
I.
La scuola classica (teorica) deve riuscire pratica.
La scuola tecnica (pratica) deve riuscire utile.
La differenza tra le due scuole deve essere abolita, inquantochè la Vita non tollera che l’una sia spirito senza corpo e l’altra corpo senza spirito.
Colui che ha intenzione di non costruire troverà nella costruzione la ragione d’una maggiore contemplazione e il capitano di lungo corso mirando le stelle scoprirà per esse la rotta e la eternità dell’anima.
II.
Ogni grado di cultura è riuscito sinora soltanto che simmetrico volume, da oggi nella scuola deve essere valutato come termine asimmetrico per una continua reazione generatrice di vita. Centro della reazione è l’AMORE. L’abbandono della coltura verso l’amore ci fu imposto colla guerra sul nostro terreno dai nostri nuovi amici: coloro che furono foggiati prima di noi da vergini elementi in un quotidiano lavoro.
III.
L’amore è tanto più bello quanto più s’avvicina all’istinto (base divina) e quanto più s’allontana dalla ragione (base di misura d’ambiente irreale).
IV.
La gioventù avanti d’entrare nella scuola si trova nello stato di grazia. La scuola dovrà essere la ripetizione delle forze e degli avvenimenti che generarono il nostro abbandono. Procurerà l’avvicinamento alla terra senza interposizioni di pressanti speculazioni umane, ma mediante la libera intuizione del divino che porta al convincimento danzante della superiorità ed eternità dello spirito e della inconsistenza della materia.
V.
Il popolo senza la scuola; ma l’argomento III ha ottenuto tale grado di sapere da sorpassare chi fuori del suo ambiente, educato alla vecchia scuola sta come albero a cui siano state tagliate le radici. Così sussiste lo stesso raffronto tra la nostra razza occidentale e tutte quelle poste ad oriente, sfoggiate dalla terra. La nostra superiorità su di loro non poggia che sulla forza, mentre da esse a noi non venne che luce.
VI.
L’allodola alta nella luce del cielo canta a chi passa di mattina presto pei campi ancora intatti di rugiada.
(“La testa di ferro”, 13 giugno 1920)
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