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Augsburg: La Città della Storia e dell'Innovazione tra Tradizione e Futuro. Scopri la città bavarese di Augsburg, un gioiello di storia e cultura che si fonde con il dinamismo moderno, rendendola una destinazione imperdibile in Germania
Augsburg, situata nel cuore della Baviera, è una delle città più antiche della Germania, fondata dai Romani nel 15 a.C. Questa affascinante città ha visto prosperare diverse epoche storiche e oggi rappresenta un perfetto equilibrio tra tradizione e innova
Augsburg, situata nel cuore della Baviera, è una delle città più antiche della Germania, fondata dai Romani nel 15 a.C. Questa affascinante città ha visto prosperare diverse epoche storiche e oggi rappresenta un perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione. Dalla sua straordinaria architettura rinascimentale al fervente sviluppo tecnologico, Augsburg è un centro culturale e industriale che…
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La Ceramica Ernestine
Forma, colore ed innovazione 1948-1968 Catalogo Ragionato
Maria Grazia Gargiulo, Laura Conforti
Edizioni Fioranna, Napoli 2009, 191 pagine, 21 x 20 cm, ISBN: 9788890349126
euro 35,00
email if you want to buy [email protected]
Catalogo ragionato della mostra tenutasi a Salerno presso il Museo Città Creativa di Ogliara - Salerno sulla ceramica Ernestine che ha rappresentato una delle più significative ed importanti esperienze di design industriale del secondo dopoguerra in Campania. Il tentativo della grande retrospettiva sulla produzione Ernestine non è quello di essere completamente esaustivo ma di mettere in luce l'equilibrato connubio tra innovazione tecnologica di processo, qualità della produzione esperimentalismo cromatico che hanno caratterizzato questa breve ma incisiva esperienza di creatività e di arte difficilmente ripetibile tanto da raggiugere ampi riconoscimenti anche a livello internazionale. Questa vicenda ceramica ha inizio nei primi anni '50 grazie all'incontro tra l'americana Ernestine Cannon, l'industriale salernitano Matteo D'Agostino e il keramic - ingegnere Horst Simonis.
05/05/23
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Illudersi che si possa integrare pacificamente un'ampia comunità musulmana, fedele a un monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da quello religioso, con la società occidentale democratica, su questo equivoco si è scatenata la guerra in cui siamo.
Perché l'Islam che negli ultimi venti-trent'anni si è risvegliato in forma acuta - infiammato, pronto a farsi esplodere e assistito da nuove tecnologie sempre più pericolose - è un Islam incapace di evolversi. È un monoteismo teocratico fermo al nostro Medioevo. Ed è un Islam incompatibile con il monoteismo occidentale. Per molto tempo, dalla battaglia di Vienna in poi, queste due realtà si sono ignorate. Ora si scontrano di nuovo.
Perché le società libere, come l'Occidente, sono fondate sulla democrazia, cioè sulla sovranità popolare. L'Islam invece si fonda sulla sovranità di Allah. E se i musulmani pretendono di applicare tale principio nei Paesi occidentali il conflitto è inevitabile.
Dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda casi in cui l'integrazione di islamici all'interno di società non-islamiche sia riuscita. Pensi all'India o all'Indonesia. Se invece l'immigrato arriva da noi e continua ad accettare tale principio e a rifiutare i nostri valori etico-politici significa che non potrà mai integrarsi. Infatti in Inghilterra e Francia ci ritroviamo una terza generazione di giovani islamici più fanatici e incattiviti che mai.
Cos'è il multiculturalismo? Cosa significa? Il multiculturalismo non esiste. La sinistra che brandisce la parola multiculturalismo non sa cosa sia l'Islam, fa discorsi da ignoranti. I cinesi continuano a essere cinesi anche dopo duemila anni, e convivono tranquillamente con le loro tradizioni e usanze nelle nostre città. Così gli ebrei. Ma i musulmani no. Nel privato possono e devono continuare a professare la propria religione, ma politicamente devono accettare la nostra regola della sovranità popolare.
Lo so anch'io che l'Inquisizione è stata un orrore. Ma quella fase di fanatismo l'Occidente l'ha superata da secoli. L'Islam no. L'Islam non ha capacità di evoluzione. È, e sarà sempre, ciò che era dieci secoli fa. È un mondo immobile, che non è mai entrato nella società industriale. Neppure i Paesi più ricchi, come l'Arabia Saudita. Hanno il petrolio e tantissimi soldi, ma non fabbricano nulla, acquistano da fuori qualsiasi prodotto finito. Il simbolo della loro civiltà, infatti, non è l'industria, ma il mercato, il suq.
Giovanni Sartori (intervistato da Luigi Mascheroni de Il Giornale)

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E' di oggi la notizia della morte di Jack Vettriano, è stato trovato morto nella sua villa nei pressi di Nizza, ma la morte risale a sabato 1 marzo.
Non era solo un artista straordinario ma anche un uomo molto riservato e umile, era infinitamente grato per il sostegno e l'ammirazione di chi amava il suo lavoro.
Di nome faceva Jack Hoggan.
Nasce in Scozia, nel 1951 nella città industriale di Methil.
La sua è una famiglia povera: "Dovevo dividere un unico letto con mio fratello maggiore" racconta; così, presto, comincia a lavorare e non può che diventare apprendista minerario in quelle stesse miniere di carbone dove lavorano un po' tutti,
e dove, prima di lui, aveva faticato il nonno, Vettriano di cognome, che era emigrato da Belmonte Castello nella valle di Comino, Frosinone.
Per festeggiare il ventunesimo compleanno gli regalano un set di acquerelli e Jack impara a dipingere e dipinge così bene che dopo pochi anni nel 1989 decide di presentare due lavori alla Royal Scottish Academy, e entrambi vengono accettati e venduti, l'anno successivo stesso favorevole esito, a quel punto decide che vuole fare il pittore a tempo pieno .
Negli anni l'interesse per Vettriano cresce a dismisura, ed è cresciuto anche il valore delle sue opere.
Ci sono state mostre personali da tutto esaurito, il successo è raggiunto, nel 2004 il quadro " Il maggiordomo cantante" fu venduto da Sotheby's per 750.000 euro.
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primis quella che garantisce il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Nessuna nazione intervenne, nonostante le Cancellerie ne fossero informate, questo fa capire che vi fossero accordi e una rete di relazioni segrete. L’unificazione italiana fu la distruzione voluta,
programmata e sistematica, che ridusse il più florido Stato della penisola nella miseria e nel degrado. Le fabbriche furono chiuse, in alcuni casi distrutte, i giovani coscritti o deportati, furono inviati i soldati piemontesi a reprimere il dissenso e compiute stragi indescrivibili. È ora di smontare il “falso storico” che ha generato il luogo comune più deleterio che il Paese abbia conosciuto: il Nord industriale ed evoluto, il Sud agricolo e arretrato. In realtà questo è stato l’obiettivo di casa Savoia e del suo padrone Cavour.
Scorrettamente chiamata dalla storiografia “questione meridionale”, essa emerse dopo l’unità, non prima. Quando l’opera di distruzione del tessuto sociale e produttivo del Sud, diede i suoi amarissimi frutti. Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato più industrializzato d'Italia e il terzo in Europa, dopo Inghilterra e Francia, così risultò dalla Esposizione Internazionale di Parigi del 1856. I settori principali erano: cantieristica navale, industria siderurgica, tessile, cartiera, estrattiva e chimica, conciaria, del corallo, vetraria, alimentare.
Nel periodo borbonico (1734-1860) la popolazione si era triplicata, determinando lo Stato preunitario più esteso e popolato. Per la sua politica di sviluppo Ferdinando II formò grandi aziende statali, e incentivò anche il sorgere di aziende con capitale suddiviso in azioni di piccolo taglio, per attrarre nella proprietà anche i ceti medi. Nel 1851 fu istituita la "Commissione di Statistica generale pe' reali domini continentali" con lo scopo di guidare la politica economica del Paese, cui si affiancavano le Giunte Statistiche costituite in ogni provincia e circondario. Molti imprenditori nazionali ed esteri accorsero nel Regno. L’economia ferdinandea privilegiava lo sviluppo occupazionale senza spostare masse dai luoghi di origine. Fu uno sviluppo guidato dallo Stato. La propaganda liberale si scagliò con tutte le sue forze contro tale modello e mise in moto una macchina da guerra che distrusse tutte le industrie del Sud e rubò tutto persino i beni personali dei Borbone: con un decreto del 23 ottobre vennero confiscati alla Casa reale 6 milioni di ducati, anche i depositi che Francesco II
aveva lasciato a Napoli, dopo averli ripresi dal Banco d’Inghilterra, a dimostrazione di quanto fosse legato al suo popolo, lui che napoletano lo era per davvero. Cominciò così, dopo il saccheggio del 31 maggio 1860 del Banco di Sicilia da parte di Garibaldi (80 milioni di euro, 150 miliardi di vecchie lire, quasi la metà delle spese per la guerra franco-piemontese contro l’Austria dell’anno precedente), la corsa alla spogliazione e all’arricchimento. Il Regno delle Due Sicilie, nel settore dell’industria, contava 2 milioni di occupati a fronte dei 400.000 della Lombardia, possedendo 443 milioni di moneta in oro, ovvero l’85% delle riserve auree di tutte le province. Oltre 80 milioni furono prelevati, in una anno, da Torino dalle casse dell’ex Regno delle Due Sicilie. Pochissimi investimenti al Sud ma tante ruberie. La boria e lo sprezzo verso le città del Sud, caratterizzava chiunque arrivasse da Torino. Il luogotenente Farini (in seguito Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia tra il 1862 e il 1863), il dittatore che entrò a Modena il 19 giugno come vincitore di un guerra che non aveva combattuto (gli Estensi fuggirono prima dell’arrivo delle truppe francesi e piemontesi), così si espresse riferendosi a Napoli: “Altro che Italia! Questa è Africa, i beduini a riscontro di questi caffoni, son fior di virtù civile”. Va da sé che il controllo delle ex Due Sicilie fu difficile, regnò la precarietà e l’insicurezza, così cominciò l’atroce guerra civile del brigantaggio. Uno Stato così imposto non poté che generare solo ingiustizie e latrocini. Fu messo in opera un preciso disegno della politica vessatoria di Torino: il Nord
si sviluppò ai danni del Sud. Il primo doveva avere il monopolio dell’industria italiana, al secondo invece fu destinato un ruolo agricolo e di fornitore di mano d’opera per l’industria del Settentrione. “Il dissidio tra la Lombardia e molta altra parte d’Italia ha origini in una serie di fatti: soprattutto il sacrificio continuo che si è fatto degli interessi meridionali”(dalla lettera di Nitti del 5 luglio 1898 a Giuseppe Colombo, direttore del Politecnico di Milano). Carlo Bombrini (banchiere, imprenditore, fondatore della banca di Genova) uomo di fiducia di Cavour e redattore del piano di “riequilibrio” economico post-Unità, disse: “Il Sud Italia non dovrà essere più in grado di intraprendere”. A questo punto riporto uno dei casi più eclatanti di distruzione industriale: l’Officina di Pietrarsa. A Pietrarsa, località posta nella zona orientale della città di Napoli, era attiva la più grande industria metalmeccanica d'Italia, estesa su una superficie di oltre tre ettari. Era l'unica fabbrica italiana in grado di costruire motrici a vapore per uso navale. A Pietrarsa fu istituita anche la
[continua su X]
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Lo ricordiamo a tutti, in modo che tutti possano di nuovo far finta di dimenticarselo.
-Castrese
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Le Discografiche sono NERE:
Una battaglia a colpi di carte bollate a cui si aggiunge il Ceo della Fimi, la Federazione Industriale Musicale Italiana: “Il Comune di Sanremo, nell’avviso pubblicato in cui prevede impegni per il partner, non considera assolutamente il ruolo della discografia che con investimenti e contenuti consente al festival di prosperare e generare ricavi”. “La prossima edizione del festival dovrà prevedere un consistente rimborso economico per le imprese partecipanti. Senza la discografia sul palco di Sanremo ci sarebbero giusto i fiori“, sottolinea Mazza che chiede maggiore considerazione per il mondo della discografia. La federazione che riunisce le major discografiche (Sony, Universal, Warner per intenderci) non sta a guardare. “Sa cosa hanno chiesto mercoledì quelli del comune di Sanremo come requisito per affidare il Festival a un broadcaster tv? Mica dicono di voler fare investimenti. Chiedono cose del tipo che il 20 per cento dei posti all’Ariston sia riservato gratis agli ospiti del Comune. E poi inseriscono righe e clausole impegnando l’emittente televisiva, dunque la Rai, a trasmettere su reti nazionali una specie di sagra paesana chiamata ‘Sanremo in fiore’. Questo gli interessa. Non capiscono nemmeno cos’è il Festival che porta il nome della città che amministrano”, si sfoga Mazza in un’intervista al quotidiano “Il Foglio“. [...] “In questo bando, per dire, non si tiene in nessun modo conto dell’industria discografica. Della musica, che è poi la materia prima del Festival. Sanremo, senza la musica, sarebbe una scatola vuota. Eppure, in questo bando del comune, nemmeno si fa cenno al teatro Ariston, per esempio. Che è un luogo troppo piccolo, stretto ormai per uno spettacolo come quello. Non ci si muove nemmeno dietro le quinte. È palesemente inadatto”.
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MITRAGLIATA






Probabilmente questa foto non la ricorda nessuno, ma ritrae le jeep della celere entrare in piazza Saffi per bloccare il camion della "carovana della solidarietà" organizzato dai lavoratori di Ravenna, giunti a Forlì per sostenere i compagni della fabbrica Mangelli in sciopero. La Mangelli fu il primo sito italiano a produrre cellophane e fibre artificiali e dagli anni ‘30 il principale complesso industriale forlivese. La sua storia è attraversata da scioperi, occupazioni e tumulti anche durante il fascismo, quando ospitava i comitati clandestini di fabbrica e organizzava scioperi contro il regime. Uno di questi, unito alle maestranze delle altre fabbriche di Forlì, in maggioranza donne, si tramutò in corteo che nel marzo del ’44 forzò i cordoni dei militi della caserma in via della Ripa, salvando così 9 giovani dalla fucilazione. Dagli anni ’70 le lotte operaie coinvolsero tutta la città, che scese a fianco dei lavoratori e della loro salute, sempre a contatto con agenti chimici nocivi. Nel ’72 ci fa una grande manifestazione contro il licenziamento di 847 lavoratori. A guidare la protesta erano gli oltre 200 militanti del PCI iscritti alla sezione aziendale “Quattro Martiri.” Già nel giugno del ‘49, 218 operai erano stati licenziati in blocco. Il fatto aveva scatenato la rottura con i sindacati e la decisione di occupare la fabbrica a oltranza. Un gruppo di crumiri aveva consentito però di non fermare la produzione, così gli operai e i cittadini si erano organizzati per bloccare e presidiare gli ingressi. La polizia era intervenuta con grande violenza, caricando i dimostranti e aprendo il fuoco sui lavoratori. Il bracciante Antonio Magrini era stato colpito a un braccio e l’operaia Jolanda Bertaccini era caduta a terra in gravissime condizioni, mitragliata dalla celere. Molti giornali dell’epoca la diedero per morta, ma pare sia sopravvissuta. Alla fine degli scontri, gli arresti furono oltre 120. Nel '77 la chiusura definitiva. Oggi al suo posto c’è un centro commerciale. Resta la vecchia ciminiera in mattoni rossi, una specie di monumento che ricorda un tempo che non c’è più.
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AMALIA
Nel centro della Città Vecchia, a Riga - meno sette gradi sotto lo zero - troviamo un bar per riposarci dal freddo e riprendere fiato. Il bar si chiama Libertà. Esiste. Potete cercarlo sulle mappe, se volete: Kungu iela (il nome della via) o giù di lì.
Per pagare le poltrone e il tepore, ordiniamo due bicchierini del loro balsamo liquoroso, prodotto tipico della città, che odorano di manicomio ed hanno il sapore del metano. Beviamo, e alla radio passano - esperanto della Terra - un pezzo classico del rock anni ’80 e che ai tempi in cui il pezzo è stato scritto, qui lo si poteva ascoltare solo se qualche eroe, in odore di martirio, riusciva a passarti sottobanco la sua cassetta registrata intercettando una radio della Germania Ovest, oppure se eri uno psicopatico al soldo di altri psicopatici che ti avevano assunto nel KGB per mantenere un ordine, che nelle regole dell’universo e nelle fantasie del dio che avevano ammazzato non sarebbe mai potuto esistere. Se avevi questa attitudine per la macelleria industriale, oltre al disco di Under Pressure, ti era concesso anche un hamburger e un pacchetto di Lucky Strike per digerirlo meglio.
Le nostre mani, comunque, al bar Libertà, possono permettersi il lusso di muoversi a inseguire il mistero delle note intrecciate che colano dalla bocca di Bowie e di Mercury quando raggiungono il picco del sublime.
Poi, senza accorgercene, le mani continuano a muoversi e tutti lì dentro capiscono: siamo italiani. I gesti, però, non sono sguaiati. In tono calmo, rilassato, riflessivo, mettono delle linee e pongono degli accenti melodici sotto le nostre parole. Parole sottili, che si raccontano le brutture, le banalità e le meraviglie di un’amicizia pluridecennale.
Le nostre voci, in qualche strano modo, diventano come un caminetto acceso nel pallido pomeriggio di Riga.
E qualcuno sente freddo.
La ragazza che ci ha servito pochi minuti prima i bicchieri di Riga Balzam - un donna che in Italia avrebbe tappeti rossi stesi davanti ad ogni bettola, o casa, o raccapricciante postribolo dove il potere si mesce in carte intestate con lo stemma della Repubblica, e che qui, dove la bellezza sui visi delle donne abbonda, come se a dio fosse scappata la mano, è solo una tra le tante - questa donna di vent’anni, che De Gregori avrebbe descritto come una ragazza la cui espressione del viso somiglia alla frana di una diga, si avvicina.
Inizia con il parlare del liquore che ci ha servito. Dice che ne esiste una versione migliore, benché la ricetta non sia quella della tradizione, che ha un sapore fruttato, più aromatico, più bevibile e che ti trita il cervello allo stesso modo dell’originale. Dice anche che è quello che beve quando stacca dal lavoro.
Lei è rilassata e accogliente, e noi le chiediamo della Lettonia. Le chiediamo come mai alle undici della sera le strade diventano un deserto. E lei risponde che il motivo risiede nel fatto che qui si inizia a uscire e a far baldoria alle due di notte. Poi è lei a chiederci dell’Italia. E noi rispondiamo alla sua domanda. Finisce che passiamo due ore - mentre lei ogni tanto si allontana per lavorare - a conversare, in inglese - esperanto del potere - su Dante, la perestrojka, i russi, di come io sia diventato maggiorenne e del perché lei voglia diventare un medico e come mai, invece, io non ho voluto.
D’un tratto le sorge un dubbio. Ci fa - lei, la donna per cui gli Achei avrebbero spostato le loro navi fino alla cima del monte Olimpo per muovere guerra a Zeus in persona se solo avesse osato violarla, come aveva già fatto con Europa e Aracne - ci fa: non è che forse sono di troppo? Che magari sto violando i vostri spazi e il vostro tempo?
E mentre lo dice, arrossisce; le sue mani bianche e grandi davanti al petto come a volere farsi già lontana. E a noi pare ancora più bella, ed estranea, forestiera, straniera, in una maniera ormai irreparabile, in un mondo di ombre e panini al salmone del baltico e kvas, venduti solo per fottere i turisti. Straniera in Italia, e in Lettonia e sulla Terra e, forse, anche in cielo.
Ma il balsamo finisce.
E’ ora di pagare, ché Riga domani tramonta, e anche Amālija - questo il suo nome - dietro agli uffici, alle maschere e ai sogni americani.
Non ero mai andato all’estero, prima d’adesso. Mi faceva paura volare, mi faceva paura il mondo. Ma, aprendo finalmente la scatola cranica del pianeta, come prima figura, ci ho trovato dentro questa Elena di Troia che invece di spargere guerre, semina i campi di domande e di risposte feconde.
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C'ERA UNA VOLTA LA GERMANIA, UNA POTENZA ECONOMICA, INDUSTRIALE E DI INNOVAZIONE SOCIALE. UNA VOLTA, PERO', PERCHE' I VERDI E LE SINISTRE DEMOCRATICO-PROGRESSISTE AL POTERE HANNO DISTRUTTO IL SOGNO DI MILIONI DI GIOVANI, CHE OGGI SI RIBELLANO, ANCHE A GRETA...
La popolarità dei Verdi e dei Socialisti tedeschi è al collasso, così come le infrastrutture della Germania.
Una parte di un importante nella città sassone di Dresda, un ponte, è misteriosamente crollato. L'incidente evidenzia la negligenza della Germania nei confronti delle proprie infrastrutture, mentre incanala decine di miliardi di euro in progetti verdi dubbi in patria e all'estero. Il crollo del ponte di Dresda è una metafora dell'attuale situazione della Germania.
"Parte del successo di AfD può essere attribuito alla sua politica economica. I tedeschi chiedono la fine dei sussidi governativi che distorcono il mercato dell'energia elettrica e rendono costosa l'energia, quindi la fine della costosa transizione energetica verde del paese e, soprattutto, un'inversione dell'attuale deindustrializzazione. Se questa politica economica moderata viene abbandonata dai centristi al potere, allora gli elettori guarderanno altrove".
Una volta votati i Verdi, i giovani sotto i 18 anni si sono spostati in massa a destra. Lo scorso mese di agosto, in Turingia, in un sondaggio è stato chiesto a 9000 giovani di età inferiore ai 18 anni per chi avrebbero votato. Il vincitore con un ampio margine è stato il partito di destra AfD, che ha ottenuto il 37,4% dei voti, più del doppio rispetto al 16,5% ottenuto nel 2019. I Verdi, d'altra parte, hanno perso un'enorme quota, circa l'83% dei loro sostenitori.
I giorni di Fridays for Future, guidati da Greta Thunberg, sono scomparsi più velocemente di una palla di neve in una calda giornata estiva. In effetti, i giovani hanno mantenuto la loro promessa "vi terremo d'occhio" e, ironicamente, odiano ciò che stanno vedendo ora: uno sgretolamento del loro paese e del loro futuro.
Ora stanno guidando una ribellione silenziosa ma potente. Le bugie sul Covid e sui vaccini, le bugie sulla guerra contro la Russia e il sabotaggio palese del gasdotto North Stream 2 che ha reso l'energia elettrica ed il gas in Germania costosissimi, ma i giovani si stanno rendendo conto di come l'Occidente sia tutto tranne che libero e democratico.
I dissidenti sono stati messi a tacere mentre la censura si diffondeva sulle principali piattaforme di social media. In Germania, e altrove in Europa, le persone che esprimevano opinioni diverse si sono trovate calunniate e criminalizzate. I leader dissidenti sono stati persino arrestati e imprigionati. Migliaia di account di social media sono stati sospesi.
Nel luglio 2024, la rivista tedesca di "estrema destra" Compact è stata perquisita dalle forze speciali tedesche e chiusa dall'eccessivamente zelante ministro dell'Interno socialista, Nancy Faeser.
Il fondatore del servizio di messaggistica istantanea Telegram, Pavel Durov, è stato arrestato dalle autorità francesi. Il suo crimine: fornire libertà di parola. I giovani ora si rendono conto di come la "libertà di parola" in Occidente sia solo uno scherzo.
L'uccisione di tre persone (e molte altre ferite) da parte di un rifugiato siriano durante un festival ha evidenziato una lunga serie di crescenti violenze da parte degli immigranti. L'opinione pubblica ha reagito mettendo in discussione a gran voce le politiche europee sulle frontiere. Nonostante una serie di grandi promesse, i politici non hanno intrapreso alcuna azione concreta per arginare l'ondata di migranti dal Medio Oriente e dall'Africa, provocando l'indignazione di tutti, soprattutto proprio dei giovani.
Il crimine e la violenza hanno reso insicure molte parti della Germania, e i giovani si stanno rendendo conto che il loro paese sta potenzialmente andando all'inferno; in nome dell'accoglienza, in nome della guerra, in nome dell'energia verde e di false promesse, ormai palesemente bugie di Stato.
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Nel medioevo l'uomo era abitante di due città: quella terrena e quella celeste. Quella terrena non era perfetta, quella celeste sì. Era inutile cercare la realizzazione di se stessi, la felicità nella città terrena, poiché questa completa realizzazione l'uomo poteva trovarla, dopo una vita proba, nella città celeste.
La Raison, la civiltà industriale che ne derivò, abolirono la città celeste. All'uomo ora restava di realizzarsi nella città terrena: trovare cioè in vita quella felicità che gli era stata promessa dopo la vita. Da qui la filosofia del successo, del libero amore, del perseguimento della felicità e del benessere.
L'uomo non vuole più soffrire in questa sua città terrena, né rinunciare a nulla. Ma la civiltà del benessere porta con sé proprio l'infelicità, poiché propone all'uomo i simboli del suo stato, da raggiungere, e riduce ogni conquista in termine materiali, quindi deperibili.
Ennio Flaiano, dal "Diario degli errori"
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A Vicenza il progetto del Treno Alta Velocità, all’interno del tracciato Brescia-Padova, oltre che ad impattare fortemente sulla città e sulla salute della cittadinanza, rischia di distruggere 11 mila metri quadrati di bosco, che si trovano all’interno di un’ex area industriale abbandonata di quasi 60 mila metri quadrati. Si trova a ridosso del quartiere Ferrovieri, a un paio di chilometri dal centro storico e confina con l’esistente ferrovia Milano-Venezia. Nei pressi dell’area si trova anche il Centro Sociale Bocciodromo, che verrebbe anch’esso divorato da una strada che dovrebbe essere costruita a lato del mega cantiere della grande opera inutile e dannosa. L’area appartenne all’industria tessile Pettinatura Lanerossi tra il 1925 e il 1994, anno nel quale lo stabilimento fu chiuso. Da allora ha passato diverse proprietà, senza che venisse effettuata alcuna bonifica e senza che mai si arrivasse a una proposta di recupero. Nel frattempo la natura ha preso il sopravvento: in trent’anni di abbandono, si è creato spontaneamente un ecosistema proprio abitato da diversi elementi tra flora e fauna. Animali quali cerbiatti e tassi abitano ora il bosco selvaggio e un censimento vegetale ha registrato la presenza di almeno 75 specie vegetali appartenenti a 50 famiglie diverse. Il polmone verde è a rischio distruzione. Attualmente il futuro dell’area prevederebbe la costruzione del campo base e dell’area del cantiere a servizio della costruzione del TAV. Per questo verrebbero distrutti 11 mila metri quadrati di parco, senza toccare invece l’ex fabbrica da bonificare. Diverse organizzazioni della città di Vicenza si stanno mobilitando per difendere l’area verde. Lo scorso fine settimana si sono svolte numerose iniziative per far conoscere il luogo alla cittadinanza, tra le quali attività per bambini e non, performance, proiezioni e momenti di condivisione collettiva. Sono anche state costruite delle casette in legno sopra agli alberi “con l’idea di difenderli”.
Vicenza: il Tav vuole travolgere il bosco Lanerossi, rischia anche il CS Bocciodromo - Infoaut
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Casale Monferrato: mostra e commemorazione per le donne simbolo della lotta contro l’amianto
📅 Sabato 15 marzo 2025📍 Piazza Mazzini, Casale Monferrato🕙 Esposizione dalle 10:00 alle 19:00 | Commemorazione alle 11:00 Un filo rosso che lega passato e presente Nell’ambito del mercato mensile “Il Paniere”, il collettivo DONNE INSIEME, in collaborazione con AFeVA, organizza un evento speciale per ricordare due figure femminili emblematiche della lotta contro l’amianto: Nellie…
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Sono stato solo per duemila anni - il tempo dell’infanzia. Nessuno è responsabile di questa solitudine. Bevevo silenzi, mangiavo cieli blu. Aspettavo. Tra il mondo e me si ergeva un bastione davanti al quale un angelo montava la guardia, stringendo nella sua mano sinistra un fiore di ortensia, come una palla di neve blu. In quei duemila anni di prigionia ho interrogato molti libri. Leggevo, così come all’estero si apre una cartina per identificare il punto dove ci si trova, prima di cercare quello dove si vuole andare. Non sapevo dov’ero.
Le Creusot non era il nome di una città, ma di un’attesa. Il tempo mi ficcava il suo pugno in gola, e mi soffocava lentamente. La mia astuzia consisteva nel lasciarmi morire, senza fare altro che guardare dalla finestra il blu delle catastrofi. Ancora oggi ricordo la luce sfilacciata di quei giorni, più degli eventi della mia stessa vita.
da ‘Prigioniero in culla’ di Christian Bobin
da oggi nelle librerie e sul sito della casa editrice AnimaMundi
IL LIBRO
La poetica di Christian Bobin nasce in una città, Le Creusot, dall’anima metallica.
È in uno spazio greve, una capitale industriale, che lo sguardo del poeta si allena alla contemplazione: “È proprio perché non c’è niente da vedere che gli occhi cominciano ad aprirsi”, scrive.
Prigioniero in culla è un vertiginoso viaggio nell’infanzia dell’autore che genera una profonda eco nell’infanzia di tutti noi. Christian Bobin ci racconta in modo minuzioso come ha vissuto fin dai suoi primi anni di vita, dove è sorta la sua urgenza di scrivere: “Era nello scintillio delle parole vere che scoprivo un’altra possibile vita, nascosta dentro questa”.
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LA CITTÀ CON PIÙ ALBERI CHE PERSONE

La città di Sheffield, nello Yorkshire inglese, si è sviluppata su un’area collinare alla confluenza di cinque fiumi. Fin dal 12° secolo le sue acque azionavano ruote idrauliche che davano energia a centinaia di mulini, tanto che la nascente cittadina divenne un rinomato centro per la produzione di manufatti metallici come posate e lame per coltelli. Più avanti, con l’avvento della Rivoluzione industriale, Sheffield consolidò la sua fama di “città del ferro” e vide crescere in modo considerevole altiforni e industrie siderurgiche.
Oggi tuttavia, quella che un tempo era una città a vocazione industriale, si è trasformata nel più verde centro urbano d’Inghilterra con una superficie pari al 61% del suo bacino urbano coperta da parchi, boschi e giardini. La svolta è iniziata nel 2012 quando, a seguito di una campagna per proteggere alcuni alberi cittadini abbattuti dalla municipalità, i residenti hanno stretto un patto con l’amministrazione che ha portato alla nascita della Sheffield Street Tree Partnership, un piano d’azione condiviso per tutelare e promuovere la piantumazione di alberi urbani e la loro fruizione da parte della cittadinanza.
I 4,5 milioni alberi in città superano ora di gran lunga la popolazione residente di 550.000 persone, un primato rispetto a qualsiasi altra città europea. Abitanti e visitatori possono goderne consultando la mappa della “verde-politana” poiché la vera differenza, ha affermato il responsabile del comune Mark Mobbs, “sta nel come gli spazi verdi collegano diverse parti della città e sono fruibili nella vita di tutti i giorni”.
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Fonte: Sheffield Street Tree Partnership; Città di Sheffield.
foto di Benjamin Elliott
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I gatti hanno sempre avuto un posto speciale nel cuore dei giapponesi.
Ma il capostazione Tama, una gatta tricolore, è riuscita a catturare il cuore di un'intera città e contribuire con 1,1 miliardi di yen all'economia locale.
La stazione di Kishi a Kinokawa, nella prefettura di Wakayama, in Giappone, fa parte della linea ferroviaria elettrica di Wakayama.
Nel 2004, la stazione rischiava la chiusura e venne salvata solo dalla protesta della gente del posto.
Tuttavia, due anni dopo, la compagnia ferroviaria decise di togliere il personale a tutte le stazioni sulla linea Kishigawa per risparmiare sui costi.
A quel tempo, il direttore della stazione era Toshiko Koyama, un uomo che aveva iniziato a nutrire un gruppo di gatti randagi che vivevano vicino alla stazione.
Una gatta di razza calico di nome Tama era particolarmente apprezzata dai pendolari, essendo sia mite che amichevole.
La si trovava spesso a prendere il sole alla stazione, felice di essere accarezzata e coccolata dai passanti.
Quando giunse il momento per il signor Koyama di procedere, chiese che la linea ferroviaria continuasse a prendersi cura di Tama.
Il presidente dell'epoca, Mitsunobu Kojima, era così preso dal gatto che non solo ne fece ufficialmente il capostazione nel 2007, ma le fece anche fare un cappellino.
Lo stipendio del gatto era pari a un anno di cibo per gatti e le fu dato un cartellino d'oro con il suo nome e la sua posizione impressi su di esso.
In qualità di capostazione, il ruolo di Tama non era solo quello di salutare i passeggeri e il personale ferroviario, ma anche quello di promuovere la ferrovia.
In effetti, la pubblicità aumentò il numero di passeggeri in visita a Kishi del 17% solo in quel mese.
A marzo 2007, le statistiche indicavano che il 10% in più di persone viaggiava sui treni solo per vedere Tama.
Il capostazione Tama guadagnò rapidamente fans...
Nel marzo 2008, Tama fu promossa a "capostazione super", un titolo che le valse addirittura un "ufficio" - vale a dire una biglietteria convertita con una lettiera e un letto.
Tama dimostrò di essere così popolare che il negozio di articoli da regalo iniziò a creare dei souvenir di Tama, come badge, portachiavi e caramelle.
I riconoscimenti continuavano e nell'ottobre 2008 Tama fu nominata cavaliere.
Per questo, un vestitino blu con volant al collo di pizzo bianco venne realizzato appositamente per il gatto.
Quando giunse la stagione dei bonus, Tama ricevette uno speciale giocattolo per gatti e una fetta di polpa di granchio, che le servì lo stesso presidente della compagnia.
Un suo ritratto speciale fu commissionato per essere appeso nella stazione.
Nel 2009, il pluripremiato designer industriale Eiji Mitooka fu assunto per progettare un "treno Tama" con raffigurazioni a fumetti del famoso gatto.
La parte anteriore del treno venne dotata di baffi, e all'interno le carrozze avevano pavimenti in legno e scaffali di libri per bambini.
Le porte si aprivano al suono preregistrato del miagolio di Tama.
Anche l'edificio della stazione venne ristrutturato da Mitooka nel 2010.
Il nuovo design assomigliava alla faccia di un gatto, incorporando le orecchie sul tetto.
Ci sono persino finestre stilizzate che sporgono dal tetto di paglia che imitano gli occhi di un gatto, specialmente la sera in cui le luci all'interno le fanno brillare di giallo.
Nel suo quarto anno come capostazione nel 2011, Tama fu promossa a Managing Executive Officer, la terza posizione più alta, appena sotto il presidente della società e l'amministratore delegato.
A quel punto, aveva già due assistenti capostazione: sua sorella Chibi e sua madre Miiko.
Dopo aver ricoperto il suo ruolo per sei anni, fu elevata al grado di presidente onorario della Wakayama Electric Rail.
Tuttavia, a questo punto, Tama aveva 14 anni e venne deciso che invece di essere visibile in ufficio dal lunedì al sabato, Tama sarebbe stata lì solo dal martedì al venerdì.
La sua morte avvenne il 22 giugno 2015 in un ospedale veterinario. Alcuni giorni dopo la scomparsa fu celebrato un funerale shintoista e Tama fu dichiarata "Onorevole Capostazione per l'Eternità".
Viene oggi onorata in un tempio vicino come divinità.
(Annalisa Susini)
(assemblato da Simone Chiarelli pag FB il piacere della scoperta)

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Del resto, Fratelli d’Italia nasce esattamente per sfruttare questa finestra di opportunità. Prendiamo i suoi tre fondatori ufficiali: Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni. Il primo rappresenta (in modo perfino caricaturale) la fedeltà al fascismo storico, e la militanza nel torbido e sanguinario neofascismo del dopoguerra. Il secondo rappresenta la garanzia di totale organicità ai dogmi del liberismo economico e alle esigenze del sistema militare-industriale e dunque della guerra. La terza rappresenta l’apertura all’ideologia dell’estrema destra internazionale (da Orban a Bolsonaro a Trump). Quest’ultimo punto merita qualche parola in più. Nonostante l’affettuosa deferenza per Giorgio Almirante e alcune giovanili dichiarazioni di entusiasmo per Mussolini, Meloni è attenta a smarcarsi dal fascismo nostalgico alla La Russa. La ragione è la volontà di essere, e apparire, in sintonia con un nuovo fascismo che – pur nella sostanziale continuità ideologica con le idee di Hitler o di Evola – non ha bisogno di un apparato simbolico storico, e costruisce nuovi simboli e nuovi miti. In questo 25 aprile, prendetevi un momento per guardare un terribile video del 2013 (in francese, con sottotitoli in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=XA5S5Qrg6CU). È la ‘dichiarazione di guerra’ alle democrazie lanciata da Génération Identitaire, un movimento politico nato in Francia (e lì sciolto dal governo nel 2017) che fa della ‘questione etnica’ il fulcro di una politica fondata sulla paura e sull’odio. La linea è quella del suprematismo bianco: e in concreto quel movimento ha organizzato una serie di attacchi anche fisici contro le Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo. I simboli non sono le svastiche: ma, come si spiega nell video, i ‘lambda’, cioè le lettere greche che figuravano tra gli emblemi degli Spartani (‘lambda’ è la lettera iniziale di Lacedemoni, altro nome degli Spartani). La scelta cade sulla grande antagonista della democratica Atene: una città governata da una minoranza (gli Spartiati) che dominava attraverso la violenza e il terrore su una maggioranza (gli Iloti) etnicamente diversa. Un modello atroce, fatto proprio dall’organizzazione studentesca di Fratelli d’Italia. Un esempio eloquente: il percorso formativo di Azione studentesca si chiama ‘agoghé’, come quello dei giovani spartiati, che in esso si formavano alla resistenza fisica, e alla violenza (anche attraverso uccisioni rituali e impunite degli Iloti). Una ricca documentazione iconografica mostra come i ragazzi italiani che crescono all’ombra della Presidente del Consiglio non ricorrano ai fasci o alle svastiche (anche se la croce celtica rimane il simbolo ufficiale di Azione studentesca), ma ai simboli dell’antica Sparta: un mimetismo formale che mette i giovani di estrema destra italiana al riparo dalle accuse di fascismo nostalgico, e in connessione con i loro camerati di tutta Europa, consentendo una perfetta, e indisturbata, continuità con gli ‘ideali’ fascisti e nazisti. Vale la pena di ricordare che è stata proprio Azione studentesca la responsabile, nel febbraio scorso, del pestaggio dei ragazzi del Liceo Michelangiolo, a Firenze: e che nello stesso palazzo fiorentino hanno sede Fratelli d’Italia, Casaggì (nome locale di Azione studentesca) e la casa editrice “Passaggio al bosco” (etichetta esplicitamente jüngeriana che allude alla ribellione contro la democrazia), il cui catalogo è ricco di testi su Sparta, e sulla sua mistica del razzismo violento. È in questo quadro che si deve leggere l’uscita sulla ‘sostituzione etnica’ del ministro Lollobrigida, cognato di Meloni. Lungi dall’essere frutto di “ignoranza”, come penosamente asserito dall’interessato, si tratta della maldestra esibizione della parola d’ordine chiave per questa nuova-vecchia destra europea che fa della questione razziale e migratoria il centro di un intero sistema di pensiero e azione. Negli ultimi decenni si possono documentare decine e decine di uscite di Salvini, Meloni e molti altri leader della destra italiana sulla sostituzione etnica: e ora la tragedia di Cutro mostra come proprio quell’ideologia ispiri le azioni e le omissioni dell’attuale governo della Repubblica. Un nuovo fascismo, dunque: che non ha necessariamente bisogno dei labari del Ventennio. Ma che quel progetto comunque resuscita e persegue: soprattutto in una mistica della violenza e della morte che ha nei neri, nei musulmani, nei diversi i propri eterni obiettivi. Lo dimostra il fatto che la politica di questo governo fascista attacca frontalmente alcuni principi fondamentali della Costituzione antifascista
Il 25 aprile con un partito fascista al governo
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