#cioè sta con i tossici
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AMO-- I RESPECT YOUR IDEA BUT I WAS TALKING ABOUT CENTRI SOCIALI OCCUPATI
Unfortunately it seems some edits i made were not taken by this site but i wanted to add to my post that:
The live bands are terrible at playing but rock and metal are his music so he enjoys those awful covers more anyway
Fully in the club blazed out of my jingles typing xs headcanons into the texpost box
#cioè sta con i tossici#nella mia testa#im gonna probably make a post about this but how to explain centri sociali to foreigners#i need to do an italiansplaining but it requires so much research
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Vi racconto una cosa di Twitter.
Almeno di quando ci lavoravo, anche se non penso che le cose siano cambiate. Non potrei farlo per via di una questione contrattuale, non potrei neanche dire che ho lavorato su twitter per contratto, comunque. C'è, o c'era ma vi ripeto certe cose non cambiano, una policy che si chiama 'gloryfication of violence' dove chi inneggia ad una qualsiasi violenza facendola passare come una cosa buona va punito, di solito cancellando il tweet ma se è a livello profilo anche il profilo va eliminato, per esempio se io scrivo che il baffetto stava facendo una cosa buona con gli ebrei cado in questa policy. Però mi capitò un caso dove la polizia, americana, uccise un tizio perché gli aveva tirato una molotov nella macchina e il tweet recitava tipo "hanno fatto bene ad ucciderlo sto tizio", levando il fatto che mi sono beccato un errore (ma questo è un altro discorso) e che l'analista mi fece rileggere a voce alta alcuni punti della policy, fastidio, tale policy non è applicabile "alle violenze che la polizia perpreta sui civili", al che ho fatto notare all'analista che non è una cosa buona perché così facendo, cioè lasciando le malefatte dei poliziotti sulla piattaforma si istiga all'odio verso la pula, l'analista era d'accordo con me ma siccome il lavoro era quello di seguire le policy mi sono beccato sto errore e sono dovuto stare zitto nonostante sia una cosa assurda. Questo perché come vi ho già detto in passato la piattaforma, come anche le altre made in usa, sono soggette al volere del governo americano, se il governo ti dice che devi seguire una linea tu lo fai se no ti fanno chiudere. Perché vi racconto sta cosa? Perché oggi ho letto un articolo su Ansa che parla di un assalto da parte di ragazzi ad una macchina della polizia, nel giornalino c'è scritto bene e diverse volte 'antagonisti', ma anche anarchici dei centri sociali, che c'azzecca?, perché nell'articolo si dice che non è tollerabile, perché manganellare dei ragazzi inermi è tollerabile? Poi c'è anche scritto che la dirigente di Pisa la spostano a Pescara, un pò come fa la chiesa con i preti pedofili invece di punirli li sospende per un pò e li sposta in un'altra chiesa, così si allarga il danno. Questa è una deriva regalataci dagli amici yankee? Oppure è solo emulazione da parte del governo attuale verso un sistema che fa gola per via del nazi/fascio che hanno intriso dentro? Sempre gli americani ah! Stiamo andando in quella direzione, o come negli stati uniti, dove poliziotti razzisti picchiano i ragazzini di colore malamente? Visto un video sempre su twitter per lavoro e ho dovuto lasciarlo perché non potevo cancellarlo grazie alla policy sopracitata, quindi le forze dell'ordine saranno usati sempre più per punire comportamenti che non piacciono al governo? Portandoli così ad essere odiati e di conseguenza quando succede qualcosa non li chiami perché potrebbero prendersela con te che in realtà ne hai bisogno. Sempre perché il governo attuale ha bisogno di cani rabbiosi, proprio come gli americani hanno bisogno che i sudditi siano cattivi e seguano una linea che porta al disordine e al caos.
Tutto questo accade dopo le dichiarazioni di ursula sul riarmo europeo, sulla guerra, sulle questioni spinose che in questo momento il vecchio continente sta affrontando, sempre grazie ai nostri alleati tossici. Qualcuno dice che sono mosse politiche pre elezioni, può essere, secondo me Ursula sta cercando di prendersi il posto dello stoltonberg a capo della NATO, quindi deve dimostrare di essere in linea con quegli psicopatici paranoici, perché io che sono europeo, come tutti voi, non la volevo questa guerra, non avrei mai voluto una guerra se pur per procura, non è la nostra guerra, se gli stati uniti vogliono distruggere la russia che vadano loro dalla parte dell'Alaska e non vengano qua a rompere i coglioni a noi che abbiamo già da doverci difendere da politici inutili che minano la nostra società. Nessuno vuole che l'Europa sia libera e indipendente per il fatto che una superpotenza con un grande passato e un futuro roseo potrebbe creare problemi a livello mondiale, quindi gli amichetti yankee non potrebbero fare le loro merdate in giro per il mondo, ma direi che è anche ora di levarci di torno sti adolescenti bulli che sanno solo roteare le loro pistole.
Mi fermo qua, perché potrei anche andare all'infinito e ho tante cose da fare oggi.
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by Jorge Molder
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ALEXANDR DUGIN, massimo filosofo russo, sulla guerra in Ucraina:
“…Questa non è una guerra con l’Ucraina. È un confronto con il globalismo come fenomeno planetario integrale. È un confronto a tutti i livelli – geopolitico e ideologico. La Russia rifiuta tutto nel globalismo – unipolarismo, atlantismo, da un lato, e liberalismo, anti-tradizione, tecnocrazia, Grande Reset in una parola, dall’altro. È chiaro che tutti i leader europei fanno parte dell’élite liberale atlantista.
E noi siamo in guerra esattamente con questo. Da qui la loro legittima reazione. La Russia viene ormai esclusa dalle reti globaliste. Non ha più una scelta: o costruire il suo mondo o scomparire. La Russia ha stabilito un percorso per costruire il suo mondo, la sua civiltà. E ora il primo passo è stato fatto. Ma sovrano di fronte al globalismo può essere solo un grande spazio, un continente-stato, una civiltà-stato. Nessun paese può resistere a lungo a una completa disconnessione.
La Russia sta creando un campo di resistenza globale. La sua vittoria sarebbe una vittoria per tutte le forze alternative, sia di destra che di sinistra, e per tutti i popoli. Stiamo, come sempre, iniziando i processi più difficili e pericolosi.
Ma quando vinciamo, tutti ne approfittano. È così che deve essere. Stiamo creando i presupposti per una vera multipolarità. E quelli che sono pronti ad ucciderci ora saranno i primi ad approfittare della nostra impresa domani. Scrivo quasi sempre cose che poi si avverano. Anche questo si avvererà”………….
E ancora: “ Cosa significa per la Russia rompere con l’Occidente? È la salvezza. L’Occidente moderno, dove trionfano i Rothschild, Soros, Schwab, Bill Gates e Zuckerberg, è la cosa più disgustosa della storia del mondo. Non è più l’Occidente della cultura mediterranea greco-romana, né il Medioevo cristiano, e nemmeno il ventesimo secolo violento e contraddittorio. È un cimitero di rifiuti tossici della civiltà, è anti-civilizzazione. E quanto prima e più completamente la Russia se ne stacca, tanto prima ritorna alle sue radici. A cosa? Cristiano, greco-romano, mediterraneo… – Europeo… Cioè, alle radici comuni al vero Occidente. Queste radici – le loro! – l’Occidente moderno le ha tagliati fuori. E sono rimaste in Russia.
Solo ora l’Eurasia sta alzando la testa. Solo ora il liberalismo in Russia sta perdendo il terreno sotto i piedi.
La Russia non è l’Europa occidentale. La Russia ha seguito i greci, Bisanzio e il cristianesimo orientale. E sta ancora seguendo questa strada. Sì, con zigzag e deviazioni. A volte in vicoli ciechi. Ma si sta muovendo.
La Russia è sorta per difendere i valori della Tradizione contro il mondo moderno. È proprio quella “rivolta contro il mondo moderno”. Non hai imparato?
E l’Europa deve rompere con l’Occidente, e anche gli Stati Uniti devono seguire coloro che rifiutano il globalismo. E allora tutti capiranno il significato della moderna guerra in Ucraina.
Molte persone in Ucraina lo capivano. Ma la terribile propaganda rabbiosa liberal-nazista non ha lasciato nulla di intentato nella mente degli ucraini. Torneranno in sé e combatteranno insieme a noi per il regno della luce, per la tradizione e una vera identità cristiana europea. Gli ucraini sono nostri fratelli. Lo erano, lo sono e lo saranno.
La rottura con l’Occidente non è una rottura con l’Europa. È una rottura con la morte, la degenerazione e il suicidio. È la chiave del recupero. E l’Europa stessa – i popoli europei – dovrebbero seguire il nostro esempio: rovesciare la giunta globalista antinazionale. E costruire una vera casa europea, un palazzo europeo, una cattedrale europea”.
- Alexandr Dugin -
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Pillola Ru-486 e disinformazione
Per favore segnalatelo!
Questo pericoloso individuo ed i suoi simili hanno avviato una campagna di disinformazione per contrastare l'utilizzo della pollola abortiva Mifegyne a base di mifepristone (nota ai più come RU-486).
La novità di questa campagna sta nel fatto che il controllo del corpo delle donne viene mascherato sotto una patina pseudo-femminista, sfruttando la violenza sulle donne per portare avanti la loro ideologia malata. Ricordiamoci che questi soggetti sono quelli del Family day: omofobi, cattolici conservatori, contrari al divorzio e all'educazione sentimentale e sessuale nelle scuole. Sono ipocriti che cercano di nascondere le loro stesse violenze puntando il dito contro uno dei diritti per cui le femministe si sono battute. Non lasciamoci prendere il giro, signori e signore.
Tra i presunti effetti collaterali elencati dal cialtrone di cui sopra, leggiamo:
- emorragie: ovvio è un farmaco abortivo, è così che viene espulso il feto;
- gravidanze extra uterine: la gravidanza extrauterina, inutile dirlo, avviene durante la fecondazione dell'ovulo al compiersi dell'atto sessuale, non può essere causata da un farmaco;
- infezioni: l'infezione è un processo caratterizzato dalla penetrazione e moltiplicazione nei tessuti viventi di microrganismi patogeni come batteri, miceti, protozoi o di virus. Di nuovo si accusa un farmaco che viene somministrato anche per facilitare gravidanze difficili di introdurre non meglio specificati batteri nell'organismo;
- setticemie: la sepsi o setticemia è una sindrome clinica caratterizzata da un'abnorme Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS), messa in atto dall'organismo in seguito al passaggio nel sangue di microrganismi patogeni provenienti da un focolaio sepsigeno. La sintomatologia clinica della sepsi è sostenuta dall'interazione tra i prodotti tossici dell'agente eziologico, cioè batteri, virus, miceti, e la risposta dell'ospite. In pratica sui accusa la pillola Ru-486 di diffondere batteri nel sangue;
- distruzione del sistema immunitario: che io sappia è l'HIV attacca e distrugge i linfociti CD4, un particolare tipo di globuli bianchi responsabili della risposta immunitaria dell'organismo;
- depressione: abortire è una scelta dolorosa e delicata, ma una pillola non può provacare la depressione;
- morte: depressione e morte sono rischi che comporta, guarda caso, anche il decidere di portare a termine la gravidanza.
In pratica ha azzeccato uno solo degli effetti collaterali del Mifegyne (RU-486): l'emorragia e il dolore che l'indurre chimicamente un aborto può causare (Cazzarola crede? Che sia come prendere un'aspirina?).
Inutile specificare che non c'è nessun travaglio e neppure alcun bambino completamente formato, infatti secondo le linee guida sull'uso della Ru-486, questa si può assumere:
- fino al 49° giorno di amenorrea: il mifepristone è assunto in un'unica dose orale da 600 mg (cioè 3 compresse da 200 mg ciascuna) seguita, a 36-48 ore di distanza, dalla somministrazione dell’analogo delle prostaglandine: misoprostolo 400 μg per via orale, oppure gemeprost, 1 mg per via vaginale.
All'inizio della settima settimana il feto misura tra i 4 e i 5 millimetri e pesa meno di un grammo.
- Tra il 50° e il 63° giorno di amenorrea: il mifepristone è assunto in un’unica dose orale da 600 mg (cioè 3 compresse da 200 mg ciascuna) seguita, a 36-48 ore di distanza, dalla somministrazione dell’analogo delle prostaglandine gemeprost 1 mg per via vaginale. Tale farmaco non presenta la controindicazione all’utilizzo oltre il 49° giorno di amenorrea.
All'inizio della nona settimana, il feto misura 2,3 cm e pesa 2 grammi.
Ecco dove scaricare il foglietto illustrativo del farmaco Mifegyne, noto come RU-486 e commercializzato da Exelgyn, dal sito ufficiale del governo italiano:
Ecco gli effetti indesiderati:
4. POSSIBILI EFFETTI INDESIDERATI
Come tutti i medicinali, questo medicinale può causare effetti indesiderati sebbene non tutte le persone li manifestino.
Effetti indesiderati gravi:
-Reazione allergica. Eruzione cutanea, gonfiore localizzato del viso e/o della laringe anche accompagnato da orticaria.
Altri effetti indesiderati gravi:
-Casi di shock tossico o settico gravi o fatali. Febbre con dolore muscolare, tachicardia, capogiri, diarrea, vomito o sensazione di debolezza. Questo effetto indesiderato può verificarsi se non prende il secondo medicinale, la compressa di misoprostolo, per via orale.
In presenza di uno qualsiasi di questi effetti indesiderati si rivolga IMMEDIATAMENTE al suo medico o si rechi presso il più vicino pronto soccorso.
Altri effetti indesiderati
Molto comuni (possono interessare più di 1 persona su 10):
- contrazioni o crampi dell’utero
- diarrea
- nausea o vomito
Comuni (possono interessare fino a 1 persona su 10):
- sanguinamento abbondante
- crampi gastrointestinali lievi o moderati
- infezione dell'utero (endometrite e malattia infiammatoria pelvica)
Non comuni (possono interessare fino a 1 persona su 100):
- abbassamento della pressione sanguigna
Rari (possono interessare fino a 1 persona su 1000):
- febbre
- mal di testa
- malessere generale o sensazione di stanchezza
- sintomi vagali (vampate di calore, capogiri, brividi)
- orticaria e reazioni cutanee che possono essere gravi
[- rottura dell'utero in seguito alla somministrazione di prostaglandina entro il secondo e terzo trimestre di gravidanza, in particolare in donne pluripare o in donne che avevano subito un taglio cesareo
Quest'ultima riguarda gli altri utilizzi della Ru-486, cioè: ammorbidire e dilatare la cervice prima dell’interruzione chirurgica della gravidanza durante il primo trimestre e per indurre il travaglio nei casi in cui il feto sia morto all’interno dell’utero e nei casi in cui non sia possibile utilizzare altri trattamenti medici (prostaglandina o ossitocina).]
Sulla questione dei presunti decessi attribuiti alla Ru-486 non c’è una letteratura attendibile. Si parla di 14 o 16 morti dal 1988, anche se un documento inviato dalla ditta produttrice al ministero parla di 29 vittime. Nel luglio 2005 la Food and Drug Administration statunitense ha comunicato la morte di 4 donne negli Usa (su 460 mila, lo 0,00087 per cento) successiva al trattamento con Ru-486 nei cinque anni precedenti, e successivamente, nel marzo 2006, di altre 2; per tutte la causa è stata una sepsi con sintomatologia atipica, causata senz’altro per le prime 4 da un’infezione batterica da «Clostridium sordellii», un batterio normalmente non pericoloso presente nella flora batterica intestinale.
Se questo disgustoso individuo ed i suoi compari fossero davvero essere dalla parte delle donne, delle famiglie e delle madri, nel loro programmo politico avrebbero dei veri sostegni alla maternità ed alle famiglie numerose, delle vere opportunità di conciliare maternità e lavoro. In questo paese per le giovani donne essere madri è un lusso.
Per favore, fate girare il più possibile!
#vavuskapakage#ru486#Ru-486#Mifegyne#disinformazione#family day#femminismo#politica italiana#fake news#aborto#Diritto di abortire#my body my rights#my body my choice#my body my rules#pro choice#pro life#non una di meno#Aborto farmacologico#Ru-486 foglietto illustrativo#Ru486 foglietto illustrativo#Mifegyne foglietto illustrativo#Ru486 controindicazioni#Essere madre è un lusso#Abortire è un diritto
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Generalmente non mi espongo su questi fatti, perché non sono informata a modo, ma questa cosa ve la devo troppo raccontare. Mi reco molto assonnata al congresso più inflazionato della mia carriera universitaria, conscia che probabilmente mi addormenterò nelle file alte dell’aula magna. Mi siedo, leggo la scaletta, la seconda voce è “sanità pubblica e immigrazione: il diritto fondamentale alla tutela della salute”. Inevitabilmente penso “e che do bali”. Accendo Pokémon Go, che sono sopra una palestra della squadra blu. Mi accingo a conquistarla per i rossi. Comincia a parlare il tale Dottor Pietro Bartolo, che io non so chi sia. Non me ne curo. Ero lì che tentavo di catturare un bulbasaur e sento la sua voce in sottofondo: non parla di epidemiologia, di eziologia, non si concentra sui dati statistici di chissà quale sindrome di *lallallà*. Parla di persone. Continua a dire “persone come noi”. Decido di ascoltare lui con un orecchio e bulbasaur con l’altro. Bartolo racconta che sta lì, a Lampedusa, ha curato 350mila persone, che c’è una cosa che odia, cioè fare il riconoscimento cadaverico. Che molti non hanno più le impronte digitali. E lui deve prelevare dita, coste, orecchie. Lo racconta:”Le donne? Sono tutte state violentate. TUTTE. Arrivano spesso incinte. Quelle che non sono incinte non lo sono non perché non sono state violentate, non lo sono perché i trafficanti hanno somministrato loro in dosi discutibili un cocktail antiprogestinico, così da essere violentate davanti a tutti, per umiliarle. Senza rischi, che le donne incinte sul mercato della prostituzione non fruttano”. Mi perplimo. Ma non era un congresso ad argomento clinico? Dove sono le terapie? Perché la voce di un internista non mi sta annoiando con la metanalisi sull’utilizzo della sticazzitina tetrasolfata? Decido di mollare bulbasaur, un secondino, poi torno Bulba, devo capire cosa sta dicendo questo qua. “Su questi barconi gli uomini si mettono tutti sul bordo, come una catena umana, per proteggere le donne, i bambini e gli anziani all’interno, dal freddo e dall’acqua. Sono famiglie. Famiglie come le nostre”. Mostra una foto, vista e rivista, ma lui non è retorico, non è formale. È fuori da ogni schema politically correct, fuori da ogni comfort zone. “Una notte mi hanno chiamato: erano sbarcati due gommoni, dovevo andare a prestare soccorso. Ho visitato tutti, non avevano le malattie che qualcuno dice essere portate qui da loro. Avevano le malattie che potrebbe avere chiunque. Che si curano con terapie banali. Innocue. Alcuni. Altri sono stati scuoiati vivi, per farli diventare bianchi. Questo ragazzo ad esempio”, mostra un’altra foto, tutt’altro che vista e rivista. Un giovane, che avrà avuto 15/16 anni, affettato dal ginocchio alla caviglia. Mi dimentico dei Pokémon. “Lui è sopravvissuto agli esperimenti immondi che gli hanno fatto. Suo fratello, invece, non ce l’ha fatta. Lui è morto per essere stato scuoiato vivo”. Metto il cellulare in tasca. ”Qualcuno mi dice di andare a guardare nella stiva, che non sarà un bello spettacolo. Così scendo, mi sembrava di camminare su dei cuscini. Accendo la torcia del mio telefono e mi trovo questo..” Mostra un’altra foto. Sembrava una fossa comune. Corpi ammassati come barattoli di uomini senza vita. “Questa foto non è finta. L’ho fatta io. Ma non ve la mostrano nei telegiornali. Sono morti li, di asfissia. Quando li abbiamo puliti ho trovato alcuni di loro con pezzi di legno conficcati nelle mani, con le dita rotte. Cercavano di uscire. Avevano detto loro che siccome erano giovani, forti e agili rispetto agli altri, avrebbero fatto il viaggio nella stiva e poi, con facilità, sarebbero usciti a prendere aria presto. E invece no. Quando l’aria ha cominciato a mancare, hanno provato ad uscire dalla botola sul ponte, ma sono stati spinti giù a calci, a colpi in testa. Sapeste quanti ne ho trovati con fratture del cranio, dei denti. Sono uscito a vomitare e a piangere. Sapeste quanto ho pianto in 28 anni di servizio, voi non potete immaginare”. Ora non c’è nessuno in aula magna che non trattenga il fiato, in silenzio. “Ma ci sono anche cose belle, cose che ti fanno andare avanti. Una ragazza. Era in ipotermia profonda, in arresto cardiocircolatorio. Era morta. Non avevamo niente. Ho cominciato a massaggiarla. Per molto tempo. E all’improvviso l’ho ripresa. Aveva edema, di tutto. È stata ricoverata 40 giorni. Kebrat era il suo nome. È il suo nome. Vive in Svezia. È venuta a trovarmi dopo anni. Era incinta” ci mostra la foto del loro abbraccio. “..Si perché la gente non capisce. C’è qualcuno che ha parlato di razza pura. Ma la razza pura è soggetta a più malattie. Noi contaminandoci diventiamo più forti, più resistenti. E l’economia? Queste persone, lavorando, hanno portato miliardi nelle casse dell’Europa. E io aggiungo che ci hanno arricchito con tante culture. A Lampedusa abbiamo tutti i cognomi del mondo e viviamo benissimo. Ci sono razze migliori di altre, dicono. Si, rispondo io. Loro sono migliori. Migliori di voi che asserite questo”. Fa partire un video e descrive:”Questo è un parto su una barca. La donna era in condizioni pietose, sdraiata per terra. Ho chiesto ai ragazzi un filo da pesca, per tagliare il cordone. Ma loro giustamente mi hanno risposto “non siamo pescatori”. Mi hanno dato un coltello da cucina. Quella donna non ha detto bau. Mi sono tolto il laccio delle scarpe per chiudere il cordone ombelicale, vedete? Lei mi ringraziava, era nera, nera come il carbone. Suo figlio invece era bianchissimo. Si perché loro sono bianchi quando nascono, poi si inscuriscono dopo una decina di giorni. E che problema c’è, dico io, se nascono bianchi e poi diventano neri? Ha chiamato suo figlio Pietro. Quanti Pietri ci sono in giro!”. Sorridiamo tutti. “Quest’altra donna, invece, è arrivata in condizioni vergognose, era stata violentata, paralizzata dalla vita in giù... Era incinta. Le si erano rotte le acque 48 ore prima. Ma sulla barca non aveva avuto lo spazio per aprire le gambe. Usciva liquido amniotico, verde, grande sofferenza fetale. Con lei una bambina, anche lei violentata, aveva 4 anni. Aveva un rotolo di soldi nascosto nella vagina. E si prendeva cura della sua mamma. Tanto che quando cercavo di mettere le flebo alla mamma lei mi aggrediva. Chissà cosa aveva visto. Le ho dato dei biscotti. Lei non li ha mangiati. Li ha sbriciolati e ci imboccava la mamma. Alla fine le ho dato un giocattolo. Perché ci arrivano una montagna di giocattoli, perché la gente buona c’è. Ma quella bimba non l’ha voluto. Non era più una bambina ormai.” Foto successiva. “Questa foto invece ha fatto il giro del mondo. Lei è Favour. Hanno chiamato da tutto il mondo per adottarla. Lei è arrivata sola. Ha perso tutti: il suo fratellino, il suo papà. La sua mamma prima di morire per quella che io chiamo la malattia dei gommoni, che ti uccide per le ustioni della benzina e degli agenti tossici, l’ha lasciata ad un’altra donna, che nemmeno conosceva, chiedendole di portarla in salvo. E questa donna, prima di morire della stessa sorte, me l’ha portata. Ma non immaginate quanti bambini, invece, non ce l’hanno fatta. Una volta mi sono trovato davanti a centinaia di sacchi di colori diversi, alcuni della Finanza, alcuni della polizia. Dovevo riconoscerli tutti. Speravo che nel primo non ci fosse un bambino. E invece c’era proprio un bambino. Era vestito a festa. Con un pantaloncino rosso, le scarpette. Perché le loro mamme fanno così. Vogliono farci vedere che i loro bambini sono come i nostri, uguali”. Ci mostra un altro video. Dei sommozzatori estraggono da una barca in fondo al mare dei corpi esanimi. “Non sono manichini” ci dice. Il video prosegue. Un uomo tira fuori dall’acqua un corpicino. Piccolo. Senza vita. Indossava un pantaloncino rosso. “Quel bambino è il mio incubo. Io non lo scorderò mai”. Non riesco più a trattenere le lacrime. E il rumore di tutti coloro che, alternadosi in aula, come me, hanno dovuto soffiarsi il naso. “E questo è il risultato” ci mostra l’ennesima foto. “368 morti. Ma 367 bare. Si. Perché in una c’è una mamma, arrivata morta, col suo bambino ancora attaccato al cordone ombelicale. Sono arrivati insieme. Non abbiamo voluto separarli, volevamo che rimanessero insieme, per l’eternità”. Penso che possa bastare così. E questo è un estratto. Si, perché il Dottor Bartolo ha parlato per un’ora. Gli altri relatori hanno lasciato a lui il loro tempo. Nessuno ha osato interromperlo. E quando ha finito tutti noi, studenti, medici e professori, ci siamo alzati in piedi e abbiamo applaudito, per lunghi minuti. E basta. Lui non ha bisogno di aiuto, “non venite a Lampedusa ad aiutarci, ce l’abbiamo sempre fatta da soli noi lampedusani. Se non siete medici, se non sapete fare nulla e volete aiutare, andate a raccontare quello che avete sentito qui, fate sapere cosa succede a coloro che dicono che c’è l’invasione. Ma che invasione!”. E io non mi espongo, perché non so le cose a modo. Ma una cosa la so. E cioè che questo è vergognoso, inumano, vomitevole. E non mi importa assolutamente nulla del perché sei venuto qui, se sei o no regolare, se scappi dalla guerra o se vieni a cercare fortuna: arrivare così, non è umano. E meriti le nostre cure. Meriti un abbraccio. Meriti rispetto. Come, e forse più, di ogni altro uomo.
Virginia Di Vivo
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Ho l’AIDS?
C'è questo mio amico, M, che per un po' di tempo lo abbiamo preso per il culo ripetendogli ogni dieci minuti "Oh figa, c'ho l'AIDS". Questo tormentone lo aveva tirato fuori Brunello una sera alle Erbe mentre eravamo tutti ubriachi marci. Per farla breve, ha cominciato a raccontare, imitando la pronuncia vagamente romagnola di M, di un suo ricovero per una specie di malore che aveva avuto un pomeriggio mentre studiava fisica. E quindi, mentre i medici gli facevano domande e gli infermieri prelevavano sangue ed effettuavano misurazioni, lui continuava a dire "cosa ho, cosa ho!" Fortunatamente non aveva un cazzo e il malore era dovuto a un calo di zuccheri, ma dopo un paio d'ore M aveva sbroccato, si era convinto che il silenzio dei sanitari fosse perché non avevano il coraggio di rivelargli la diagnosi. E allora, quando Brunello era andato a trovarlo in veste di ambasciatore di tutta la Facoltà, M non lo salutò nemmeno e disperato disse "Oh figa, c'ho l'AIDS" e poi si accese una Marlboro in mezzo a moribondi, tossici e altri disperati assortiti.
E insomma, racconto questo perché stamattina sono entrato in un baretto, un ritrovo popolato da gente che alle sette di mattina saluta l'imminente nuova rotazione del pianeta con un bicchiere di vino bianco, dicevo, sono entrato e ho chiesto un caffè. Poi ho preso una brioche, una roba riscaldata e ho cominciato a masticarla. E mentre masticavo l'eutettico di farina, ripieno e sa-la-Madonna di quale scarto della sintesi industriale, due tizi discutevano del meteo, però non nel senso tecnico, cioè non dicevano cose del tipo "c'è l'alta pressione" oppure "valuto positivamente il deflusso del nuovo scolmatore". No, no. Dicevano frasi tipo "tempo di merda" e "ieri sera il cazzo di cane voleva cagare e mi è toccato uscire". Ecco io non è che dica questo per elevarmi, ci mancherebbe, è solo per dire che l'ambiente era informale e non mi sembrava di essere a una conferenza sul clima.
«Quanto le devo?» dico al barista. «Un attimo» risponde. In realtà ringhia, proprio mi risponde male, mi mostra i denti. E mentre armeggio con la cerniera della giacca, cerniera che si incastra sempre nell'imbottitura, tendo l'orecchio verso il tizio che si è appena appoggiato al bancone e sta parlando al telefono emettendo un aerosol di saliva e cappuccino (poca schiuma, con un po' di cannella). Il barista gli sorride e con uno straccio ripulisce lo spazio intorno alla sua tazzina, poi mi guarda e mi ripete "un attimo". Io ritiro la mano che tendeva la banconota da cinque euro, il verde melograno, e così via. Il barista sgattaiola dietro a uno scaffale e torna con una mano avvolta in un guanto di plastica azzurro, uno di quelli che si usano per fare varie cose che vanno dal rabboccare l'olio alla macchina all'infilare un dito nel culo di qualche poveraccio a scopo diagnostico. Quindi prende il tovagliolo di carta che ho appallottolato e appoggiato al piattino che ospitava la tazzina di caffè. Getta la pallina di carta nella spazzatura e infine si toglie il guanto.
Guardo il barista e, proprio come M, dico "Oh figa, c'ho l'AIDS", poi acchiappo l'ombrello ed esco sotto la pioggia. Mi specchio nella vetrina del locale e penso che per quel tizio essere immerso nella sua clientela abituale è rassicurante, senza rischi, che alla fine la ripetizione ti fa abbassare la guardia. Tipo i bambini con le favole: vorrebbero sentirsele ripetere all'infinito, in continuazione, sempre le stesse parole, guai a cambiarle. Sposto l'ombrello per far passare una signora e dalla mia nuova posizione non vedo più il mio riflesso ma vedo il barista sorridente e intento ad ascoltare la sua favola personale fatta di habitué che sputano, straparlano e chiedono una chiave per andare al cesso e pisciare ovunque.
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Generalmente non mi espongo su questi fatti, perché non sono informata a modo, ma questa cosa ve la devo troppo raccontare.
#MoreMed2019
Mi reco molto assonnata al congresso più inflazionato della mia carriera universitaria, conscia che probabilmente mi addormenterò nelle file alte dell’aula magna. Mi siedo, leggo la scaletta, la seconda voce è “sanità pubblica e immigrazione: il diritto fondamentale alla tutela della salute”. Inevitabilmente penso “e che do bali”. Accendo Pokémon Go, che sono sopra una palestra della squadra blu. Mi accingo a conquistarla per i rossi. Comincia a parlare il tale Dottor Pietro Bartolo, che io non so chi sia. Non me ne curo. Ero lì che tentavo di catturare un bulbasaur e sento la sua voce in sottofondo: non parla di epidemiologia, di eziologia, non si concentra sui dati statistici di chissà quale sindrome di *lallallà*. Parla di persone. Continua a dire “persone come noi”. Decido di ascoltare lui con un orecchio e bulbasaur con l’altro. Bartolo racconta che sta lì, a Lampedusa, ha curato 350mila persone, che c’è una cosa che odia, cioè fare il riconoscimento cadaverico. Che molti non hanno più le impronte digitali. E lui deve prelevare dita, coste, orecchie. Lo racconta:”Le donne? Sono tutte state violentate. TUTTE. Arrivano spesso incinte. Quelle che non sono incinte non lo sono non perché non sono state violentate, non lo sono perché i trafficanti hanno somministrato loro in dosi discutibili un cocktail antiprogestinico, così da essere violentate davanti a tutti, per umiliarle. Senza rischi, che le donne incinte sul mercato della prostituzione non fruttano”. Mi perplimo.
Ma non era un congresso ad argomento clinico? Dove sono le terapie? Perché la voce di un internista non mi sta annoiando con la metanalisi sull’utilizzo della sticazzitina tetrasolfata? Decido di mollare bulbasaur, un secondino, poi torno Bulba, devo capire cosa sta dicendo questo qua.
“Su questi barconi gli uomini si mettono tutti sul bordo, come una catena umana, per proteggere le donne, i bambini e gli anziani all’interno, dal freddo e dall’acqua. Sono famiglie. Famiglie come le nostre”.
Mostra una foto, vista e rivista, ma lui non è retorico, non è formale. È fuori da ogni schema politically correct, fuori da ogni comfort zone.
“Una notte mi hanno chiamato: erano sbarcati due gommoni, dovevo andare a prestare soccorso. Ho visitato tutti, non avevano le malattie che qualcuno dice essere portate qui da loro. Avevano le malattie che potrebbe avere chiunque. Che si curano con terapie banali. Innocue. Alcuni. Altri sono stati scuoiati vivi, per farli diventare bianchi. Questo ragazzo ad esempio”, mostra un’altra foto, tutt’altro che vista e rivista. Un giovane, che avrà avuto 15/16 anni, affettato dal ginocchio alla caviglia.
Mi dimentico dei Pokémon.
“Lui è sopravvissuto agli esperimenti immondi che gli hanno fatto. Suo fratello, invece, non ce l’ha fatta. Lui è morto per essere stato scuoiato vivo”.
Metto il cellulare in tasca.
”Qualcuno mi dice di andare a guardare nella stiva, che non sarà un bello spettacolo. Così scendo, mi sembrava di camminare su dei cuscini. Accendo la torcia del mio telefono e mi trovo questo..”
Mostra un’altra foto.
Sembrava una fossa comune. Corpi ammassati come barattoli di uomini senza vita.
“Questa foto non è finta. L’ho fatta io. Ma non ve la mostrano nei telegiornali. Sono morti li, di asfissia. Quando li abbiamo puliti ho trovato alcuni di loro con pezzi di legno conficcati nelle mani, con le dita rotte. Cercavano di uscire. Avevano detto loro che siccome erano giovani, forti e agili rispetto agli altri, avrebbero fatto il viaggio nella stiva e poi, con facilità, sarebbero usciti a prendere aria presto. E invece no. Quando l’aria ha cominciato a mancare, hanno provato ad uscire dalla botola sul ponte, ma sono stati spinti giù a calci, a colpi in testa. Sapeste quanti ne ho trovati con fratture del cranio, dei denti. Sono uscito a vomitare e a piangere. Sapeste quanto ho pianto in 28 anni di servizio, voi non potete immaginare”.
Ora non c’è nessuno in aula magna che non trattenga il fiato, in silenzio.
“Ma ci sono anche cose belle, cose che ti fanno andare avanti. Una ragazza. Era in ipotermia profonda, in arresto cardiocircolatorio. Era morta. Non avevamo niente. Ho cominciato a massaggiarla. Per molto tempo. E all’improvviso l’ho ripresa. Aveva edema, di tutto. È stata ricoverata 40 giorni. Kebrat era il suo nome. È il suo nome. Vive in Svezia. È venuta a trovarmi dopo anni. Era incinta” ci mostra la foto del loro abbraccio.
“..Si perché la gente non capisce. C’è qualcuno che ha parlato di razza pura. Ma la razza pura è soggetta a più malattie. Noi contaminandoci diventiamo più forti, più resistenti. E l’economia? Queste persone, lavorando, hanno portato miliardi nelle casse dell’Europa. E io aggiungo che ci hanno arricchito con tante culture. A Lampedusa abbiamo tutti i cognomi del mondo e viviamo benissimo. Ci sono razze migliori di altre, dicono. Si, rispondo io. Loro sono migliori. Migliori di voi che asserite questo”.
Fa partire un video e descrive:”Questo è un parto su una barca. La donna era in condizioni pietose, sdraiata per terra. Ho chiesto ai ragazzi un filo da pesca, per tagliare il cordone. Ma loro giustamente mi hanno risposto “non siamo pescatori”. Mi hanno dato un coltello da cucina. Quella donna non ha detto bau. Mi sono tolto il laccio delle scarpe per chiudere il cordone ombelicale, vedete? Lei mi ringraziava, era nera, nera come il carbone. Suo figlio invece era bianchissimo. Si perché loro sono bianchi quando nascono, poi si inscuriscono dopo una decina di giorni. E che problema c’è, dico io, se nascono bianchi e poi diventano neri? Ha chiamato suo figlio Pietro. Quanti Pietri ci sono in giro!”.
Sorridiamo tutti.
“Quest’altra donna, invece, è arrivata in condizioni vergognose, era stata violentata, paralizzata dalla vita in giù... Era incinta. Le si erano rotte le acque 48 ore prima. Ma sulla barca non aveva avuto lo spazio per aprire le gambe. Usciva liquido amniotico, verde, grande sofferenza fetale. Con lei una bambina, anche lei violentata, aveva 4 anni. Aveva un rotolo di soldi nascosto nella vagina. E si prendeva cura della sua mamma. Tanto che quando cercavo di mettere le flebo alla mamma lei mi aggrediva. Chissà cosa aveva visto. Le ho dato dei biscotti. Lei non li ha mangiati. Li ha sbriciolati e ci imboccava la mamma. Alla fine le ho dato un giocattolo. Perché ci arrivano una montagna di giocattoli, perché la gente buona c’è. Ma quella bimba non l’ha voluto. Non era più una bambina ormai.”
Foto successiva.
“Questa foto invece ha fatto il giro del mondo. Lei è Favour. Hanno chiamato da tutto il mondo per adottarla. Lei è arrivata sola. Ha perso tutti: il suo fratellino, il suo papà. La sua mamma prima di morire per quella che io chiamo la malattia dei gommoni, che ti uccide per le ustioni della benzina e degli agenti tossici, l’ha lasciata ad un’altra donna, che nemmeno conosceva, chiedendole di portarla in salvo. E questa donna, prima di morire della stessa sorte, me l’ha portata. Ma non immaginate quanti bambini, invece, non ce l’hanno fatta. Una volta mi sono trovato davanti a centinaia di sacchi di colori diversi, alcuni della Finanza, alcuni della polizia. Dovevo riconoscerli tutti. Speravo che nel primo non ci fosse un bambino. E invece c’era proprio un bambino. Era vestito a festa. Con un pantaloncino rosso, le scarpette. Perché le loro mamme fanno così. Vogliono farci vedere che i loro bambini sono come i nostri, uguali”.
Ci mostra un altro video. Dei sommozzatori estraggono da una barca in fondo al mare dei corpi esanimi. “Non sono manichini” ci dice.
Il video prosegue.
Un uomo tira fuori dall’acqua un corpicino. Piccolo. Senza vita. Indossava un pantaloncino rosso. “Quel bambino è il mio incubo. Io non lo scorderò mai”.
Non riesco più a trattenere le lacrime. E il rumore di tutti coloro che, alternadosi in aula, come me, hanno dovuto soffiarsi il naso.
“E questo è il risultato” ci mostra l’ennesima foto. “368 morti. Ma 367 bare. Si. Perché in una c’è una mamma, arrivata morta, col suo bambino ancora attaccato al cordone ombelicale. Sono arrivati insieme. Non abbiamo voluto separarli, volevamo che rimanessero insieme, per l’eternità”.
Penso che possa bastare così. E questo è un estratto. Si, perché il Dottor Bartolo ha parlato per un’ora. Gli altri relatori hanno lasciato a lui il loro tempo. Nessuno ha osato interromperlo. E quando ha finito tutti noi, studenti, medici e professori, ci siamo alzati in piedi e abbiamo applaudito, per lunghi minuti. E basta. Lui non ha bisogno di aiuto, “non venite a Lampedusa ad aiutarci, ce l’abbiamo sempre fatta da soli noi lampedusani. Se non siete medici, se non sapete fare nulla e volete aiutare, andate a raccontare quello che avete sentito qui, fate sapere cosa succede a coloro che dicono che c’è l’invasione. Ma che invasione!”.
E io non mi espongo, perché non so le cose a modo. Ma una cosa la so. E cioè che questo è vergognoso, inumano, vomitevole. E non mi importa assolutamente nulla del perché sei venuto qui, se sei o no regolare, se scappi dalla guerra o se vieni a cercare fortuna: arrivare così, non è umano. E meriti le nostre cure. Meriti un abbraccio. Meriti rispetto. Come, e forse più, di ogni altro uomo.
#fuocoammare
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"Facevo il medico. Non bastava.
Facevo il medico e lo scrittore. Non bastava.
Facevo il medico, lo scrittore, il regista. Non bastava ancora.
Allora mi sono messo in viaggio per raccontare la verità ai ragazzi e son venuto qui".
Ha scelto il Congresso Studentesco MoReMED il Dott. Pietro Bartolo, Dirigente Medico del presidio Sanitario di Lampedusa , per raccontare la vita dei migranti sull'isola. Di tutta risposta, gli oltre 800 giovani spettatori presenti al MoReMED, primo Congresso in Italia organizzato e rivolto a studenti di medicina, ha ringraziato il Dott. Bartolo per la preziosa testimonianza, con una sentita standing ovation di diversi minuti, che ha commosso lo stesso Bartolo.
Il feedback di una studentessa che ha assistito all'evento:
Questo è un post di Virginia di Vivo. Studentessa di medicina.
#MoreMed2019
Mi reco molto assonnata al congresso più inflazionato della mia carriera universitaria, conscia che probabilmente mi addormenterò nelle file alte dell’aula magna. Mi siedo, leggo la scaletta, la seconda voce è “sanità pubblica e immigrazione: il diritto fondamentale alla tutela della salute”. Inevitabilmente penso “e che do bali”. Accendo Pokémon Go, che sono sopra una palestra della squadra blu. Mi accingo a conquistarla per i rossi. Comincia a parlare il tale Dottor Pietro Bartolo, che io non so chi sia. Non me ne curo. Ero lì che tentavo di catturare un bulbasaur e sento la sua voce in sottofondo: non parla di epidemiologia, di eziologia, non si concentra sui dati statistici di chissà quale sindrome di *lallallà*. Parla di persone. Continua a dire “persone come noi”. Decido di ascoltare lui con un orecchio e bulbasaur con l’altro. Bartolo racconta che sta lì, a Lampedusa, ha curato 350mila persone, che c’è una cosa che odia, cioè fare il riconoscimento cadaverico. Che molti non hanno più le impronte digitali. E lui deve prelevare dita, coste, orecchie. Lo racconta:”Le donne? Sono tutte state violentate. TUTTE. Arrivano spesso incinte. Quelle che non sono incinte non lo sono non perché non sono state violentate, non lo sono perché i trafficanti hanno somministrato loro in dosi discutibili un cocktail antiprogestinico, così da essere violentate davanti a tutti, per umiliarle. Senza rischi, che le donne incinte sul mercato della prostituzione non fruttano”. Mi perplimo.
Ma non era un congresso ad argomento clinico? Dove sono le terapie? Perché la voce di un internista non mi sta annoiando con la metanalisi sull’utilizzo della sticazzitina tetrasolfata? Decido di mollare bulbasaur, un secondino, poi torno Bulba, devo capire cosa sta dicendo questo qua.
“Su questi barconi gli uomini si mettono tutti sul bordo, come una catena umana, per proteggere le donne, i bambini e gli anziani all’interno, dal freddo e dall’acqua. Sono famiglie. Famiglie come le nostre”.
Mostra una foto, vista e rivista, ma lui non è retorico, non è formale. È fuori da ogni schema politically correct, fuori da ogni comfort zone.
“Una notte mi hanno chiamato: erano sbarcati due gommoni, dovevo andare a prestare soccorso. Ho visitato tutti, non avevano le malattie che qualcuno dice essere portate qui da loro. Avevano le malattie che potrebbe avere chiunque. Che si curano con terapie banali. Innocue. Alcuni. Altri sono stati scuoiati vivi, per farli diventare bianchi. Questo ragazzo ad esempio”, mostra un’altra foto, tutt’altro che vista e rivista. Un giovane, che avrà avuto 15/16 anni, affettato dal ginocchio alla caviglia.
Mi dimentico dei Pokémon.
“Lui è sopravvissuto agli esperimenti immondi che gli hanno fatto. Suo fratello, invece, non ce l’ha fatta. Lui è morto per essere stato scuoiato vivo”.
Metto il cellulare in tasca.
”Qualcuno mi dice di andare a guardare nella stiva, che non sarà un bello spettacolo. Così scendo, mi sembrava di camminare su dei cuscini. Accendo la torcia del mio telefono e mi trovo questo..”
Mostra un’altra foto.
Sembrava una fossa comune. Corpi ammassati come barattoli di uomini senza vita.
“Questa foto non è finta. L’ho fatta io. Ma non ve la mostrano nei telegiornali. Sono morti li, di asfissia. Quando li abbiamo puliti ho trovato alcuni di loro con pezzi di legno conficcati nelle mani, con le dita rotte. Cercavano di uscire. Avevano detto loro che siccome erano giovani, forti e agili rispetto agli altri, avrebbero fatto il viaggio nella stiva e poi, con facilità, sarebbero usciti a prendere aria presto. E invece no. Quando l’aria ha cominciato a mancare, hanno provato ad uscire dalla botola sul ponte, ma sono stati spinti giù a calci, a colpi in testa. Sapeste quanti ne ho trovati con fratture del cranio, dei denti. Sono uscito a vomitare e a piangere. Sapeste quanto ho pianto in 28 anni di servizio, voi non potete immaginare”.
Ora non c’è nessuno in aula magna che non trattenga il fiato, in silenzio.
“Ma ci sono anche cose belle, cose che ti fanno andare avanti. Una ragazza. Era in ipotermia profonda, in arresto cardiocircolatorio. Era morta. Non avevamo niente. Ho cominciato a massaggiarla. Per molto tempo. E all’improvviso l’ho ripresa. Aveva edema, di tutto. È stata ricoverata 40 giorni. Kebrat era il suo nome. È il suo nome. Vive in Svezia. È venuta a trovarmi dopo anni. Era incinta” ci mostra la foto del loro abbraccio.
“..Si perché la gente non capisce. C’è qualcuno che ha parlato di razza pura. Ma la razza pura è soggetta a più malattie. Noi contaminandoci diventiamo più forti, più resistenti. E l’economia? Queste persone, lavorando, hanno portato miliardi nelle casse dell’Europa. E io aggiungo che ci hanno arricchito con tante culture. A Lampedusa abbiamo tutti i cognomi del mondo e viviamo benissimo. Ci sono razze migliori di altre, dicono. Si, rispondo io. Loro sono migliori. Migliori di voi che asserite questo”.
Fa partire un video e descrive:”Questo è un parto su una barca. La donna era in condizioni pietose, sdraiata per terra. Ho chiesto ai ragazzi un filo da pesca, per tagliare il cordone. Ma loro giustamente mi hanno risposto “non siamo pescatori”. Mi hanno dato un coltello da cucina. Quella donna non ha detto bau. Mi sono tolto il laccio delle scarpe per chiudere il cordone ombelicale, vedete? Lei mi ringraziava, era nera, nera come il carbone. Suo figlio invece era bianchissimo. Si perché loro sono bianchi quando nascono, poi si inscuriscono dopo una decina di giorni. E che problema c’è, dico io, se nascono bianchi e poi diventano neri? Ha chiamato suo figlio Pietro. Quanti Pietri ci sono in giro!”.
Sorridiamo tutti.
“Quest’altra donna, invece, è arrivata in condizioni vergognose, era stata violentata, paralizzata dalla vita in giù... Era incinta. Le si erano rotte le acque 48 ore prima. Ma sulla barca non aveva avuto lo spazio per aprire le gambe. Usciva liquido amniotico, verde, grande sofferenza fetale. Con lei una bambina, anche lei violentata, aveva 4 anni. Aveva un rotolo di soldi nascosto nella vagina. E si prendeva cura della sua mamma. Tanto che quando cercavo di mettere le flebo alla mamma lei mi aggrediva. Chissà cosa aveva visto. Le ho dato dei biscotti. Lei non li ha mangiati. Li ha sbriciolati e ci imboccava la mamma. Alla fine le ho dato un giocattolo. Perché ci arrivano una montagna di giocattoli, perché la gente buona c’è. Ma quella bimba non l’ha voluto. Non era più una bambina ormai.”
Foto successiva.
“Questa foto invece ha fatto il giro del mondo. Lei è Favour. Hanno chiamato da tutto il mondo per adottarla. Lei è arrivata sola. Ha perso tutti: il suo fratellino, il suo papà. La sua mamma prima di morire per quella che io chiamo la malattia dei gommoni, che ti uccide per le ustioni della benzina e degli agenti tossici, l’ha lasciata ad un’altra donna, che nemmeno conosceva, chiedendole di portarla in salvo. E questa donna, prima di morire della stessa sorte, me l’ha portata. Ma non immaginate quanti bambini, invece, non ce l’hanno fatta. Una volta mi sono trovato davanti a centinaia di sacchi di colori diversi, alcuni della Finanza, alcuni della polizia. Dovevo riconoscerli tutti. Speravo che nel primo non ci fosse un bambino. E invece c’era proprio un bambino. Era vestito a festa. Con un pantaloncino rosso, le scarpette. Perché le loro mamme fanno così. Vogliono farci vedere che i loro bambini sono come i nostri, uguali”.
Ci mostra un altro video. Dei sommozzatori estraggono da una barca in fondo al mare dei corpi esanimi. “Non sono manichini” ci dice.
Il video prosegue.
Un uomo tira fuori dall’acqua un corpicino. Piccolo. Senza vita. Indossava un pantaloncino rosso. “Quel bambino è il mio incubo. Io non lo scorderò mai”.
Non riesco più a trattenere le lacrime. E il rumore di tutti coloro che, alternadosi in aula, come me, hanno dovuto soffiarsi il naso.
“E questo è il risultato” ci mostra l’ennesima foto. “368 morti. Ma 367 bare. Si. Perché in una c’è una mamma, arrivata morta, col suo bambino ancora attaccato al cordone ombelicale. Sono arrivati insieme. Non abbiamo voluto separarli, volevamo che rimanessero insieme, per l’eternità”.
Penso che possa bastare così. E questo è un estratto. Si, perché il Dottor Bartolo ha parlato per un’ora. Gli altri relatori hanno lasciato a lui il loro tempo. Nessuno ha osato interromperlo. E quando ha finito tutti noi, studenti, medici e professori, ci siamo alzati in piedi e abbiamo applaudito, per lunghi minuti. E basta. Lui non ha bisogno di aiuto, “non venite a Lampedusa ad aiutarci, ce l’abbiamo sempre fatta da soli noi lampedusani. Se non siete medici, se non sapete fare nulla e volete aiutare, andate a raccontare quello che avete sentito qui, fate sapere cosa succede a coloro che dicono che c’è l’invasione. Ma che invasione!”.
E io non mi espongo, perché non so le cose a modo. Ma una cosa la so. E cioè che questo è vergognoso, inumano, vomitevole. E non mi importa assolutamente nulla del perché sei venuto qui, se sei o no regolare, se scappi dalla guerra o se vieni a cercare fortuna: arrivare così, non è umano. E meriti le nostre cure. Meriti un abbraccio. Meriti rispetto. Come, e forse più, di ogni altro uomo.
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È esistita una civiltà industriale pre-umana sulla Terra?Una delle conclusioni più inquietanti tratte dagli scienziati che studiano l'Antropocene – l'epoca della storia geologica della Terra in cui le attività dell'umanità dominano il globo – è quanto strettamente il cambiamento climatico indotto attualmente dalle attività industriali assomigli a condizioni osservate in periodi passati di rapido aumento della temperatura.
"Questi 'ipertermali', eventi di picco della temperatura della preistoria, sono la genesi di questa ricerca", dice Gavin Schmidt, esperto di modelli climatici e direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA. "Non importa se il riscaldamento è stato causato dall'uomo o dalle forze naturali: le impronte digitali, i segnali chimici e le tracce che costituiscono le prove di ciò che è accaduto in quel periodo sono molto simili tra loro”.
L'esempio canonico di ipertermale è il Massimo Termico del Paleocene-Eocene (PETM), un periodo di 200.000 anni, situato temporalmente circa 55,5 milioni di anni fa, in cui le temperature medie globali aumentarono di 5-8 gradi Celsius.
Schmidt ha riflettuto sul PETM per tutta la sua carriera, ed era nei suoi pensieri anche quando un giorno dell'anno scorso l'astrofisico dell'Università di Rochester Adam Frank gli ha fatto visita nel suo ufficio. Frank era lì per discutere l'idea di studiare il riscaldamento globale da una "prospettiva astrobiologica", vale a dire indagare se l'ascesa di una civiltà industriale aliena su un esopianeta avrebbe necessariamente innescato cambiamenti climatici simili a quelli che vediamo durante il nostro Antropocene terrestre.
Ma appena prima che Frank potesse descrivere in che modo cercare gli effetti climatici delle "esociviltà" industriali sui pianeti scoperti di recente, Schmidt lo interruppe con una domanda sorprendente: "Come sai che questa è la prima civiltà sul nostro pianeta?”
Frank rifletté un momento, prima di rispondere a sua volta con una domanda: "Potremmo mai dire che è esistita una civiltà industriale molto prima di questa?"
Il loro successivo tentativo di rispondere a entrambe le domande ha prodotto
un articolo provocatorio
sulla possibilità che la Terra abbia ospitato più di una società tecnologica durante i suoi 4,5 miliardi di anni di storia.
E se davvero una tale cultura fosse sorta sulla Terra nelle oscure profondità del tempo geologico, come farebbero gli scienziati di oggi a individuare i segni di quell'incredibile sviluppo? Oppure, come dice l'articolo: "Se sulla Terra fosse esistita una civiltà industriale molti milioni di anni prima della nostra era, quali tracce sarebbero rimaste? E quali sarebbero rilevabili oggi?"
Schmidt e Frank sono partiti dalla previsione delle impronte geologiche che l'Antropocene probabilmente lascerà dietro di sé, come i segni lasciati sulle rocce sedimentarie dalle temperature altissime e dal sollevamento dei mari.
Queste caratteristiche, hanno sottolineato i due, sono molto simili ai segni geologici del PETM e di altri eventi ipertermali. Hanno quindi considerato quali test potrebbero plausibilmente distinguere una causa industriale da cambiamenti climatici naturali. "Questi problemi non sono mai stati affrontati in alcun modo", osserva Schmidt. E questo vale non solo per gli scienziati, ma evidentemente anche per gli scrittori di fantascienza, aggiunge: "Ho esaminato la letteratura di fantascienza per cercare una storia di una civiltà industriale non umana sulla Terra. La prima che ho trovato è in un episodio di Dottor Who".
Quell'episodio del 1970 della classica serie televisiva riguardava la scoperta dei Siluriani, un'antica razza di umanoidi rettiliani tecnologicamente avanzati che avrebbero preceduto l'avvento degli umani di centinaia di milioni di anni. Secondo la trama, questi sauri altamente civilizzati prosperarono per secoli finché l'atmosfera della Terra entrò in un periodo di cambiamento catastrofico che costrinse Homo reptilia a entrare in letargo sottoterra per scampare al pericolo. Schmidt e Frank hanno reso omaggio all'episodio intitolando il loro articolo: "L'ipotesi siluriana".
Persa negli strati geologici
Qualsiasi plausibilità dell'ipotesi siluriana deriva principalmente dalla vasta incompletezza delle registrazioni geologiche, che diventano sempre più rade più si va indietro nel tempo.
Oggi, meno dell'1 per cento della superficie terrestre è urbanizzata e la possibilità che una qualsiasi delle nostre grandi città rimanga per decine di milioni di anni è estremamente bassa, dice Jan Zalasiewicz, geologo dell'Università di Leicester. Il destino ultimo di una metropoli, osserva, dipende in gran parte dal fatto che la superficie circostante si abbassi (per essere sepolta nella roccia) o si sollevi (per essere erosa via dalla pioggia e dal vento). "New Orleans sta sprofondando; San Francisco si sta sollevando", spiega. Sembra perciò che il quartiere francese abbia molte più possibilità di Haight-Ashbury di entrare nelle registrazioni geologiche.
"Per stimare le probabilità di trovare artefatti", afferma Schmidt, "basta considerare che un calcolo approssimativo indica che emerge un fossile di dinosauro ogni 10.000 anni". Le impronte di dinosauri sono ancora più rare.
"Dopo un paio di milioni di anni", dice Frank, "è probabile che qualsiasi ricordo fisico della nostra civiltà sia svanito, quindi occorre cercare altri elementi, quali anomalie sedimentarie o rapporti isotopici". Le ombre di molte civiltà pre umane, in teoria, potrebbero nascondersi in questi dettagli.
Ma quello che dovremmo cercare esattamente dipende in una certa misura dal modo in cui una cultura tecnologica terrestre, ma aliena, avrebbe scelto di comportarsi.
Schmidt e Frank hanno deciso che l'ipotesi più sicura sarebbe stata che qualsiasi civiltà industriale attuale o di centinaia di milioni di anni fa dovesse essere affamata di energia. Il che significa che qualsiasi antica società industriale avrebbe sviluppato la capacità di sfruttare intensamente i combustibili fossili e altre fonti di energia, proprio come abbiamo fatto noi oggi. "Dovremmo andare alla ricerca di effetti globalizzati che avrebbero lasciato tracce in tutto il mondo", cioè tracce chimico-fisiche su scala planetaria dei processi industriali ad alta intensità energetica e dei loro rifiuti, dice Schmidt.
Segue la questione della longevità: più a lungo persiste e cresce il periodo ad alta intensità di energia di una civiltà, più evidente è la sua presenza nelle registrazione geologica.
Consideriamo la nostra stessa era industriale, che esiste solo da circa 300 anni, su milioni e milioni di anni di storia dell'umanità. Confrontiamo ora quel minuscolo arco temporale con il mezzo miliardo di anni in cui le creature hanno vissuto sulla terra.
L'attuale fase dell'umanità, caratterizzata da un uso smodato di combustibili fossili e dal degrado ambientale, dice Frank, è insostenibile per lunghi periodi. Col tempo finirà, o per scelta degli esseri umani o per la forza della natura, rendendo l'Antropocene meno un'epoca duratura e più un istante nelle registrazioni geologiche. "Forse una civiltà come la nostra c'è stata più volte, ma se ognuna è durata solo 300 anni, nessuno la vedrà mai", dice Frank.
Tenendo conto di tutto questo, ciò che rimane è una gamma di tracce diffusi e di lunga durata compresi i residui di combustione di combustibili fossili (carbonio, principalmente), prove di estinzioni di massa, inquinanti plastici, composti chimici sintetici non presenti in natura e persino isotopi transuranici da fissione nucleare. In altre parole, ciò che avremmo bisogno di cercare nelle registrazioni geologiche sono gli stessi segnali distintivi che gli esseri umani stanno lasciando ora dietro di loro.
Segni di civiltà
Trovare i segni di un ciclo del carbonio alterato sarebbe un grande indizio dei precedenti periodi industriali, afferma Schmidt. "Dalla metà del XVIII secolo, gli esseri umani hanno rilasciato circa 500 miliardi di tonnellate di carbonio fossile a tassi elevati. Tali cambiamenti sono rilevabili nei mutato rapporto isotopico tra carbonio biologico e carbonio inorganico, cioè tra il carbonio incorporato in oggetti come le conchiglie e ciò che si trova invece nella roccia vulcanica senza vita".
Un altro tracciante sarebbe uno specifico schema di deposizione dei sedimenti. I grandi delta costieri indicherebbero un aumento dei livelli di erosione e fiumi (o canali artificiali) ingrossati dall'aumento delle precipitazioni. Tracce rivelatrici di azoto nei sedimenti potrebbero suggerire l'uso diffuso di fertilizzanti, indicando come possibile responsabile l'agricoltura su scala industriale; picchi nei livelli di metalli nei sedimenti potrebbero invece indicare acque reflue di manifatture e altre industrie pesanti.
Tracce più uniche e specifiche sarebbero molecole sintetiche stabili, non naturali come steroidi e molti materiali plastici, insieme a inquinanti ben noti tra cui i PCB, i bifenili policlorurati tossici derivanti da dispositivi elettrici, e i CFC, i clorofluorocarburi che consumano ozono provenienti dai frigoriferi e dalle bambolette spray.
La strategia chiave per distinguere la presenza dell'industria dalla natura, osserva Schmidt, è sviluppare una firma multifattoriale. In mancanza di artefatti o marcatori chiari e convincenti, l'unicità di un evento può essere vista in molte impronte digitali relativamente indipendenti rispetto al coerente insieme di cambiamenti che sono considerati associati a una singola causa geofisica.
"Trovo incredibile che nessuno abbia mai lavorato prima a questo problema, e sono davvero felice che qualcuno abbia dato un'occhiata più da vicino", dice l'astronomo della Pennsylvania State University Jason Wright, che l'anno scorso ha
pubblicato un articolo
esplorando l'idea poco intuitiva che il miglior posto per trovare le prove di una delle presunte civiltà preumane della Terra potrebbe benissimo essere fuori dal mondo. Se, per esempio, i dinosauri avessero costruito razzi interplanetari, presumibilmente alcuni resti di quell'attività potrebbero rimanere preservati in orbite stabili o sulla superficie di corpi celesti geologicamente più inerti come la Luna.
"200 anni fa, la domanda se ci potesse essere una civiltà su Marte era legittima", dice Wright. "Ma una volta che sono arrivate le immagini dalle sonde interplanetarie, il problema è stato risolto per sempre. E questa idea si è radicata, al punto che questo non è un argomento valido per la ricerca scientifica; è considerato ridicolo. Ma nessuno ha mai posto realmente limiti scientifici su ciò che può essere successo molto tempo fa”.
Wright riconosce anche la possibilità che questo lavoro possa essere male interpretato. "Certamente, qualunque cosa dica, sarà interpretato come ‘Gli astronomi dicono che i Siluriani potrebbero essere esistiti", anche se la premessa di questo lavoro è che non ci sono prove del genere", dice. "Ancora una volta, l'assenza di prova non è prova di assenza".
(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su Scientific American il 23 aprile 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)
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Clienti tossici
In passato ho lavorato come webdesigner per un internet point, il capo parlava con i clienti e si occupava dei domini così io potevo concentrarmi sul lavoro da fare, così facendo abbiamo fatto in un anno circa una decina di siti. Il sistema che avevamo creato rendeva il lavoro più fluido e se qualche cliente voleva cambiare qualcosa lo comunicava a lui che lo diceva a me, perfetto. Ad un certo punto mi diede un lavoro facile, un fotografo voleva spostare il suo sito da un dominio ad un altro facendo solo delle piccole modifiche di colore e carattere delle scritte, perfetto. Una volta che il capo registrò il dominio aspettavo la conferma da parte del provider per iniziare a fare il lavoro, come facevo di solito mettendo online su una directory secondaria il sito in modo che il cliente potesse vederlo e dire se andava bene. In quel caso però il sito era fatto dovevo solo cambiare qualcosina, ma serviva il nulla osta del provider. In quei 5 giorni di attesa però sto fotografo iniziò a bombardare il capo di telefonate, una decina al giorno, e lui gli spiegava ogni singola volta che se non avevamo lo spazio non potevamo mettere il sito online, logico, ma lui insisteva premendo sul fatto che perdeva soldi, al che il capo gli ha detto che era meglio che per quella settimana si metteva il cuore in pace. Per un paio di giorni il tizio non chiamò, poi misi il sito online con le modifiche e lo comunicai al capo, il capo chiamò il tizio e poi mi richiamò quasi istantaneamente dicendomi: "Che cazzo hai fatto? Hai sbagliato i colori e i caratteri", risposi: "No, sono quelli che ci ha dato il tipo", perchè onde evitare altre perdite di tempo il tizio ci diede tutto in anticipo, poi andò così:
Capo : sicuro? Io : Al 100%. Capo : No perchè lui dice che non centrano un cavolo con quelli che aveva dato lui. Io : Non è che ci voglia molto a fare un copia/incolla da un file di testo ad un css, lo sai anche tu. Capo : Infatti, mi sembra strano. Ti faccio sapere. Richiama dopo 5 minuti. Capo : Senti sto qua ha rotto i coglioni, dice che non è come vuole lui, siccome ho altro da fare in sto momento gli ho dato il tuo numero e vi sentite voi. Porca troia, gli accordi non erano così, ero fatto come una zucchina e non avevo per niente voglia di sentire un coglione isterico, fatto sta che appena chiudo col capo, poso il telefono vado per dirigermi al cesso e inizia a squillare, cioè 10 secondi, vabè devo cagare poi caso mai gli chiamo. Nel tempo della cagata il telefono non ha mai smesso di squillare, quando finisco mi trovo 6 chiamate, al che penso che è meglio chiamare, ma lo fa lui con l'ennesima, e poi così: Tizio : Ah, adesso non rispondiamo neanche al telefono, che dilettante che sei. Premetto, non ho mai incontrato i clienti ne sentiti al telefono, questo era il primo. Io : Ero al cesso che cagavo (testuali parole). Tizio : AH...Senti tu, hai sbagliato i colori e i caratteri. Io : No, ho usato quelli che ci hai dato tu fedelmente. Tizio : Allora perché non è come lo voglio? Io : Boh, sarà che non hai il carattere installato nel pc e il tuo monitor non è calibrato bene. Tizio : Ahhhh quindi ora è colpa mia se non sai fare il tuo lavoro? Io : Guarda che il colore è questo #xxxxxx e il carattere è questo xxxx.font (ora non ricordo è successo più di 15 anni fa), quelli che hai dato tu. Tizio : Mi stai prendendo per il culo, guarda che ti denuncio..... Al che lo fermo. Io : Denunciami, posso provare che il mio lavoro è stato fatto, il sito è online come da accordo, se non vedi bene il risultato è colpa del tuo pc. Tizio : Ok, sentirai il mio avvocato. Chiude la chiamata mandandomi a fanculo, al che chiamo il capo e gli dico, il capo mi richiede se è tutto ok, si si tutto ok, allora siamo a posto, abbiamo fatto il nostro. Appena chiudo con il capo neanche poso il tel che subito richiama il tizio, rispondo subito. E.... Tizio : Senti coglioncello, ho quasi 60 anni e non mi faccio prendere per il culo da un ragazzetto nerd, se vengo la ti ficco il computer su per il culo ecc ecc. Dopo circa 2 minuti di insulti e imprecazioni. Io : Hai finito? Hai quasi 60 anni e non ne capisci niente di computer, sicuramente hai un rudere di 10 anni fa che va a manovella, io so il fatto mio, faccio sto lavoro da anni (cazzate) e tu sei il primo che si lamenta solo perché non sai come funziona, vai da un tuo amico che ha un pc più moderno e riguardati il sito. E chiudo. Richiama. Tizio: Allora non mi hai capito coglione io ti spacco il cul.....Chiudo. Squilla e non rispondo. Chiamo il capo e gli dico della situazione, la telefonata l'aveva ascoltata anche un mio coinquilino anche lui webdesigner, e mi disse, fammi vedere, al che ha constatato che avevo fatto giusto. Ho fatto un papello :D cmq la situazione si è risolta perché il tizio è andato dall'avvocato e il legale ha aperto il sito e lui è restato basito perché era in realtà come lo voleva lui, all'inizio pensava che lo stavamo prendendo in giro e che in quella ora scarsa avevamo cambiato tutto, ma poi si è reso conto che era come dicevamo noi, e si è scusato, vabè io non ho accettato le scuse, il capo si, fatto sta che dopo questo incidente abbiamo smesso di fare i siti. Tutto sto papello è per introdurre il problema dei clienti tossici, ora che mi occupo di stampa 3D, non full time, ho una tizia che vuole delle formine per plastilina ma non mi da le misure, come faccio a modellare degli oggetti che a te servono per fare degli altri oggetti se non so che misura devono avere, mi ha dato delle misure generiche in pollici, ma ieri le ho scritto che ho bisogno di tutte le misure, tutte, non solo la grandezza della formina. Penso che la mando a fanculo, per pochi pezzi e pochi euro non mi metto dietro a certi lavoretti e a farmi il sangue acqua con una che non capisce che la stampa 3D è
una scienza, se chiedi ad un architetto di farti una casa a forma di mela devi dargli almeno un'idea della dimensione, certo il paragone non calza, ma ci sta. Che poi sono formine che trovi online che cazzo mi vieni a chiedere, boh. Vabè, oggi ci penso e decido, ma sono più verso il no che il si, diciamo sull'80% no.
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«MILANO -La difesa dell'esclusività di un marchio, quindi della buona salute dell'azienda di lusso che lo produce, vale uno 'schiaffo alla miseria'? Per chi pensa che leggere un bilancio sia noioso, la storia di Burberry sta lì a dimostrare il contrario. Infatti è proprio nei documenti contabili dell'azienda di lusso inglese - ora guidata dall'italiano Marco Gobbetti - che si trova la rivelazione shock: l'anno passato la casa di moda ha mandato all'inceneritore capi e accessori per un valore di oltre 28 milioni di sterline, circa 31 milioni di euro. A conti fatti, la cifra si potrebbe tradurre in 20mila dei suoi iconici trench. Negli ultimi cinque anni sarebbero state distrutte merci per 100 milioni di euro, con un trend di netta crescita se si considera che nel 2013 i capi distrutti valevano soltanto 5 o 6 milioni. Una decisione che ha lasciato perplessi gli azionisti ed ha suscitato molte polemiche. La maison, famosa in tutto il mondo per il suo impermeabile (ma ultimamente un po' appannata e impegnata in una campagna di rilancio del marchio) ha risposto con una nota dicendo di esser impegnata a "minimizzare lo stock in eccesso" e quando proprio è costretta a distruggere capi "lo fa in modo responsabile". Sta di fatto che in questo modo si inceneriscono prodotti assolutamente in grado di essere indossati. Semplicemente, in quell'area del mondo o per quella determinata linea, non vengono più apprezzati dal consumatore. Accade che le grandi case del lusso - anche se finora è uscita allo scoperto solo Burberry - ritirino i loro abiti e accessori invenduti, piuttosto che farli finire negli outlet o peggio ancora in quello che viene definito "mercato grigio", cioè quei canali di vendita non autorizzati dalle case di moda, e in cui i prezzi sono ovviamente molto più bassi. Per difendere l'esclusività del marchio, insomma, per impedire vendite sottocosto e i pericoli di contraffazione. Ma anche semplicemente per impedire che un brand o un accessorio iconico diventi troppo comune.
Strategie aziendali che non hanno placato le proteste di ambientalisti e altri gruppi d'opinione, secondo cui la pratica di distruggere capi del tutto funzionali e non tossici è uno spreco inaccettabile e una minaccia in più per l'ambiente. In un mondo di economia condivisa e di riciclo dei materiali, oltre che di disuguaglianze crescenti e povertà difficile da ridurre, incenerire vestiti e borse nuove è complicato da accettare. Eppure da più parti si sente confermare che la "distruzione degli stock" è pratica sempre più diffusa nell'industria del lusso, una forma di protezione delle proprietà intellettuali e prevenzione dall'illegalità della contraffazione, dicono i retailer. Burberry si è difesa dicendo che ha distrutto solo capi con il suo marchio impresso e lavorando solo con società specializzate, in grado di controllare il processo di combustione ricavandone energia. Ha poi aggiunto che la pelle dal 2017 viene donata a Elvis&Kresse, un'azienda che si occupa di dare nuova vita ai prodotti scartati. Nei mesi scorsi anche H&M era stata protagonista di una vicenda analoga. Secondo la denuncia di una televisione danese avrebbe distrutto circa 60 tonnellate di abiti non venduti. In quell'occasione il gruppo di moda a basso prezzo si era difeso spiegando che si trattava di capi in cui erano state utilizzate sostanze chimiche non in linea con gli standard del gruppo, e che mai e poi mai avrebbe dato alle fiamme vestiti ancora indossabili.»
Ora, lo so bene che sono malmostoso per qualcosa, ma certe notizie mi ci fanno diventare ancor di più. Ma date ‘sti capi in eccesso alle associazioni di volontariato, alla chiesa, anglicana o simili (siamo in Gran Bretagna, anche se la proprietà è italiana), insomma a chi vi pare, e fateci su anche della pubblicità a gratis o quasi con la beneficenza, con video su YouTube, Instagram e servizi sui TG.
Così facendo fate irritare anche la vostra clientela affezionata, furbacchioni. Che, ve lo devo dire io? Se sì, fatemi un’offerta come consulente dell’immagine, che di sicuro non potrò fare più danni di quanti ve ne siete fatti da soli.
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6 gen 2021 20:02 PERCHÉ NELLA SERIE SU SAN PATRIGNANO NON SI PARLA DI JOVANOTTI, AMICO DI RED RONNIE, IL MEGAFONO DI MUCCIOLI, E DELLA SUA CANZONE-MANIFESTO UN PO’ FAZIESCA “PENSO POSITIVO”? NON VIENE NEANCHE SPIEGATO PERCHÉ LA FAMIGLIA MORATTI ABBIA DATO TUTTI QUEI SOLDI A MUCCIOLI. E I RAPPORTI CON I SOCIALISTI CRAXIANI? – UN ALTRO TEMA IMPORTANTE PER CAPIRE MUCCIOLI È QUELLO DELLA SUA POSSIBILE OMOSESSUALITÀ E DELLA POSSIBILE MORTE PER AIDS, MAI RICONOSCIUTA DALLA FAMIGLIA – LA FICTION RAI MAI REALIZZATA, I CONCERTI-MARATONA, I GIORNALI DELL'EPOCA E LA COPERTINA DI "CUORE" – VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
Torno su “SanPa”, la miniserie Netflix ideata da Gianluca Neri che da qualche giorno ci sta facendo riflettere su tutto quello che era sotto i nostri occhi negli anni ’80 e ’90 e che forse abbiamo visto e vissuto un bel po’ passivamente.Spesso trattandolo in un misto di snobismo e cinismo che significava poi un gran lavarsene le mani.
Però non capisco perché nella serie non si parli di Jovanotti, amico di Red Ronnie, il megafono di Muccioli, e della sua canzone-manifesto un po’ faziesca “Penso positivo perché son vivo, perché son vivo”, che seguita con “Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa, che passa da Che Guevara e arriva a Madre Teresa, passando da Malcom X attraversa Gandhi e San Patrignano…”.
Come non si parla della differenza di trattamento che doveva esserci a San Patrignano, se ne parla anche nelle cronache del tempo, tra tossici figli di ricchi milanesi e “tossici di sinistra e di merda”. Non viene neanche spiegato perché la potente famiglia Moratti abbia dato tutti questi soldi, si parla di 286 milioni di lire, a Muccioli.
E dei rapporti tra i socialisti craxiani e Muccioli, al punto che Rai Due funzionò spesso da canale di propaganda per San Patrignano, sparsa tra i “Fatti vostri” di Guardì con l’allora conduttore Alberto Castagna, i programmi di Piero Vigorelli ribattezzato Vampirelli, e il Mixer di Minoli.
In un articolo del Corriere del 1994 si parla anche di possibili soldi al PSI a San Patrignano. Muccioli nega, come nega i 4 miliardi dello Stato al suo centro di recupero. Magari sono solo 2, ma gliene servono 8 all’anno. Dice anche che Craxi andò solo due volte a San Patrignano, eppure leggo, in margine a un articolo sulla morte sospetta della povera Natalia Berla, sempre sul Corriere ma nel 1985, di una telefonata di Muccioli a Craxi per farsi togliere “dai piedi quel magistrato”, cioè Roberto Sapio, che indagava sull’accaduto.
Su l’infamissimo “Cuore” del tempo, che dedicò una sorta di cattivissimo speciale su Muccioli e San Patrignano, mentre Sabino Aquaviva sul “Corriere” anche di fronte all’omicidio di Maranzano seguitava a difendere il guru, Maria Grazia Zanni, una paziente, dichiarò di essere stata addirittura istruita da Muccioli per sedurre lo stesso magistrato.
Leggo anche di un’altra morte sospetta a SanPa, quella di Fioralba Petrucci. Una storia analoga a quella di Natalia Berla. Ma ce ne sono anche altre.
Solo scorrendo le pagine dei giornali del tempo. “Cuore” affronta anche un tema importante per capire Muccioli e il legame coi suoi ragazzi, quello della sua possibile omosessualità, un tema che, assieme alla possibile morte per Aids, mai riconosciuta dalla famiglia, “SanPa” affronta solo nella quinta puntata.
Anche per offrire un finale a effetto. Vera o falsa che sia, l’omosessualità di Muccioli mi pare una sorta di prolungamento dell’idea di padre-patriarca onnivoro, che tutti abbraccia e bacia in bocca, che aveva di sé Muccioli fin dall’inizio.
Una sorta di Kronos, che riempie gli spazi lasciati aperti dai cattivi genitori di sinistra rei di non dare schiaffi e pugni salvifici ai propri figli, come diceva Paolo Villaggio. Spazi vuoti riempiti dai buchi dell’eroina.
Ma ci sarebbe da dire, e questo magari è un altro film…, che questi padri di sinistra (e non) non erano carenti solo di schiaffi, ma anche di presenza e di esempio. I due padri famosi in questione, Enrico Maria Salerno e Paolo Villaggio, appunto, non mi sembrano proprio due campioni di padri da seguire come esempi.
Certo è che Muccioli padre-padrone con le sue catene e le sue prigioni offriva a questi figli abbandonati dai padri l’immagine giusta del maschio che compensa tutto queste mancanze, anche l’amore, e che ti punisce per salvarti. La morte, insomma, è un danno collaterale. Come sostiene Red Ronnie.
Capisco Indro Montanelli che ancora da vecchio sentiva il fascino del Duce, e al quale, leggo, Muccioli aveva regalato un cavallo da corsa battezzato IndroMo, ma non capisco come ci sia cascato un cattolico illuminato come Enzo Biagi, che, assieme al suo amico fraterno Monsignor Ersilio Tonini, difese sempre Muccioli. Anche nei momenti più bui.
Scrisse anche la prefazione a un libro autobiografico, “Io Muccioli”, a cura di Chiara Beria di Argentine, giornalista anche coraggiosa (ricordate la guerra contro Berlusconi su “L’Espresso”?), che finirà a dirigere addirittura il settimanale “San Patrignano”. E doveva presentare (ma poi non andò), con Sergio Zavoli, Indro Montanelli e Chiara Beria anche il libro di Davide Giacalone su Muccioli nel 1993.
Possibile che non avesse dei dubbi? Perfino Aldo Grasso, in quegli anni, sul Corriere percula il Mucciolismo-Jovanottismo di Red Ronnie col suo “Roxy Bar”, dicendo quello che un po’ tutti si pensava. Anche se il Pci/Pds non entrò mai davvero in polemica con Muccioli. Tra le poche voci discordanti, a parte il numero cattivissimo di “Cuore” che andrebbe recuperato, ricordiamo però quella di Gad Lerner, che in una coraggiosa puntata di “Milano, Italia” su Rai Tre durante l’ultimo processo, proprio da San Patrignano ospitò un durissimo intervento di Don Oreste Benzi, che fermamente disse “Non so quanti siano i desparecidos. So soltanto che c’è chi scappa e non torna più. Poi magari un giorno sotto terra si trovano i cadaveri”.
Oltre a quello di Don Benzi ci fu inatteso l’intervento di una ragazza, Laura Carpinelli, che parlò di essere stata oggetto e testimone di violenze. Subito però linciata sui giornali del tempo come tossica e poco attendibile.
Tutto quello che ho ricordato dovrebbe un po’ dare una risposta alla domanda, niente affatto banale, sul perché questo documentario non l’abbia fatto la Rai? Mi sembra chiaro che in Rai, San Patrignano e Muccioli, siano ancora un tabù. Magari anche un buco profondo di non detti e di ricordi imbarazzi dove è meglio non entrare.
E qui cito il mio amico Carlo Freccero, che vent’anni fa, da direttore di Rai Due propose una speciale su San Patrignano, credo condotto da Michele Santoro, che ovviamente non si fece. Come non si fece la fiction della Lux, che certo non sarebbe stata così critica. All’epoca, più o meno nel 1996, appena usciti dalla presidenza ultramuccioliana di Letizia Moratti, che solo un anno prima aveva prodotto su Rai Due sei ore di concerto maratona da San Patrignano in onore di Muccioli presentate da Red Ronnie (ancora…) e Vincenzo Mollica, “Tutti colori del cielo”, con tanto di Zero-Dalla-Alice-Vecchioni-Baudo e su Rai Uno uno specialone di Enzo Biagi, con l’avvento del primo governo Prodi le cose erano cambiate.
Non fecero il secondo concerto, e trasmisero in sordina il terzo, su Rai Tre, ideato da Renato Zero, che lo aveva proposto anche su Canale 5. Ma Prodi tolse il patrocinio anche al convegno sulle droghe di San Patrignano nel 1996. Vennero Letizia Moratti, Red Ronnie (ovvio…), Julio Velasco e Monsignor Tonini, ma scapparono Carlo Rossella, Mino Fuccillo e Vittorio Feltri. Segno che anche da destra iniziava un certo distacco.
Allora il Pd e quindi Prodi avevano il problema delle droghe leggere, che giustamente Livia Turco tendeva a staccare dalle droghe pesanti, mentre i seguaci di Muccioli vedevano pericolose come l’eroina. Detto questo, non ricordo in questi 25 anni che ci separano dalla morte di Muccioli un qualche interesse sull’argomento San Patrignano da parte della Rai. Meglio fare una bella fiction su Chiara Lubich, insomma.
Se la Rai Due morattiana e socialista fu allora la voce ufficiale di San Patrignano e le sue apparizioni in tv, sia sui canali Rai che su quelli Mediaset, stavo scordando Costanzo, furono davvero momenti di propaganda, la Rai di questi ultimi anni e di ora da una parte tende a dimenticare un passato in effetti poco glorioso, da un’altra a non affrontare un tema che potrebbe rivelare ancora una vicinanza al mondo della Rai muccioliana.
Per me, che al tempo facevo Blob, era tutto chiaro. Muccioli non era tanto dissimile dai tanti mostri che affollavano i canali nei talk show di Funari, di Magalli, di Costanzo. Il problema è che quel mondo, in Rai come a Mediaset, non è affatto finito. Certo, al posto di Biagi abbiamo Vespa. Che non è la stessa cosa.
Rimane Red Ronnie. Sembra che Freccero gli avesse rifiutato di portare un programma alla “Roxy Bar” su San Patrignano su Rai Due. Può dire quello che vuole, ma queste cinque puntate di “SanPa” nascono in gran parte dai suoi materiali pazzeschi girati al tempo con Muccioli, comprese le dirette dai processi. Come nascono dalle teche dei telegiornali di TMC oggi La7, che avevano una visione più laica, meno politicizzata rispetto ai telegiornali della Rai.
Ci sono perfino materiali di Tela Capodistria. E direi che proprio dal gran lavoro fatto sui materiali esterni, non Rai, fra Tmc e Red Ronnie files, viene fuori la parte più nuova e entusiasmante del documentario. Qualcosa che non si poteva fare solo coi materiali della Rai, che pure nascondono delle perle assolute. E che forse non si poteva fare neppure con la Rai, che non aveva l’indifferenza di Netflix riguardo al passato politico dell’azienda e del paese. Ma una telefonata a Jovanotti gliel'avranno fatta?
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"IL PROBLEMA NON E' IL COVID-19. IL PROBLEMA E' QUESTO PAESE"
Leeds, 25 anni dopo Con oltre 45mila vittime, la Gran Bretagna è il paese europeo con il più alto numero di morti da Covid-19. E tra l'altro, il numero vero è molto più alto. Ha anche il più alto eccesso di mortalità. Dire "Gran Bretagna", però, è fuorviante: tra i più poveri, i morti sono 55 ogni 100mila abitanti, tra i più ricchi 25. Tra i più poveri, i morti sono due volte di più. "Up north", dicono a Londra. Su al nord. Come se fosse un altro mondo. E in effetti, sta tutto qui. La città più povera, Nottingham, e a un'ora d'auto, Birmingham, la città più pericolosa. Con più crimini. Scunthorpe, la città più inquinata. E Blackpool, quella con più disoccupati. Rhyl, quella che più dipende dal welfare. O anche Bradford. Giudicata quella in cui si vive peggio. E Liverpool, naturalmente: la città che ha ora più casi di Covid-19. La prima a finire di nuovo sotto lockdown totale. E Lancaster, la seconda. E Manchester, la terza. Perché nel nord di Ken Loach, i morti sono quattro volte più che al sud. Leeds non ha nessun primato. Sta al centro, più o meno. Ed è significativa proprio perché è insignificante, è una città come tante: una città in cui un bambino su cinque è in povertà assoluta. Dei suoi 780mila abitanti, 320mila hanno un reddito inferiore al 40% del reddito medio nazionale. Ed è qui che venticinque anni fa è venuto Nick Davies, del Guardian, uno dei migliori giornalisti di inchiesta di sempre, quello senza cui Julian Assange sarebbe rimasto uno sconosciuto nerd australiano: è qui, in un piccolo quartiere che si chiama Hyde Park, un reticolo di case in mattoni rossi e finestre chiare, tutte uguali, che è ambientato Dark Heart, il suo libro sulla Gran Bretagna di Margaret Thatcher, e dell'idea che il ruolo dello stato non sia sostenere i poveri, ma i ricchi: perché i ricchi, poi, creano ricchezza per tutti. Quando diventò primo ministro, nel 1979, la povertà era al 13,4%. Quando si ritirò, nel 1990, era al 22,2%. Nel 1979, in Gran Bretagna l'1% più ricco della popolazione aveva il 6% della ricchezza. Oggi il 21%. E il 10% più ricco, il 53%. Venticinque anni fa, a Hyde Park era tutto normale, in apparenza: e però tutto precario. Tutto in bilico. Dietro queste porte come mille altre, in realtà, scriveva Nick Davies, sarebbe bastato niente per precipitare. Una malattia, un incidente, un furto. Un divorzio. Una bolletta più alta del solito. Un problema, un imprevisto qualsiasi. Per esempio, un'epidemia. In fondo a Hyde Park Road, la vecchia chiesa è ora una moschea, ma c'è ancora la posta, e ancora lo stesso barbiere. E davanti, HP Furniture ha un nuovo proprietario, e un nuovo nome, ma vende ancora mobili su misura. Più che un negozio, in realtà, è un magazzino. Stipato fino al soffitto di tavoli, armadi, divani imballati. Paul Beerth sta sul retro, in una stanza senza finestre, insieme a due altri operai. Fa l'imbianchino, ed è in dialisi da anni: ma si è fermato solo all'inizio del lockdown, il 23 marzo. E solo per un paio di settimane. "Ma che alternativa ho?", dice. "Lavoro in proprio. E se non lavoro, non ho reddito. Niente". In questi mesi, non ha avuto un centesimo dallo stato. "E onestamente, non mi importa se violo o non violo le regole. Sto attento, è ovvio. Ma qui lo stato, ormai, è sparito. Qui sei solo. E ogni giorno, ti ingegni per arrivare al giorno dopo. E quindi, decido io per me. Il virus, qui, è un lusso che nessuno può permettersi". Ma cosa pensi, dice, che il governo abbia idea di come sia la nostra vita? Nel 1979, gli operai erano il 16% dei deputati. Oggi il 4%. Nel governo di David Cameron, quello che ha avviato la Brexit, su 29 ministri, 23 erano miliardari. Venticinque anni dopo, piove, e a Hyde Park non c'è un rumore. Se non fosse per il filo di fumo di un riscaldamento acceso, l'acqua di un tubo che perde, sembrerebbe non esserci più nessuno. I negozi hanno chiuso. Uno a uno. Il campetto da calcio è il rettangolo di una porta disegnata con il gesso su un muro. Anche il pub Newlands, che un tempo era il ritrovo, e l'anima, di Hyde Park, ora è un appartamento. E nessuno sa più dirti dove fosse, e cosa fosse: perché venticinque anni dopo, qui ognuno sa a stento chi abita a fianco. Dall'esterno, è tutto ordinato, con queste case a due piani tutte identiche, e tutte in fila, come soldati in uniforme: poi, ti avvicini, e l'ingresso è un cancello malfermo, gradini malconci, il giardino arredato con poltroncine spaiate e sfondate. Per tende, fogli di carta fissati con lo scotch. E davanti, un'auto con il logo Uber. "There's no such thing as society", diceva Margaret Thatcher. Era solo un'opinione, all'epoca. Oggi è realtà. Venticinque anni dopo, l'unico luogo in cui incontri qualcuno, qui, è la Rainbow Junktion. Una food bank. In realtà, è un caffè. Un caffè senza prezzi, in cui tutto quello che viene servito, è riciclato, viene dagli scarti dei supermercati: e ognuno paga quello che può. L'idea è stata di padre Heston, della All Hallows Church. Perché a Hyde Park, si potesse di nuovo stare insieme. Ma via via, è diventato anche una food bank. E a marzo, è passato da 150 a 400 piatti al giorno. "A volte, la fila arrivava fino alla moschea", dice. Perché la fila di una food bank, oggi, arriva fino alla food bank successiva. La prima, come sempre, e con largo anticipo, è Lucy - forse: non ricorda esattamente il suo nome. Ha addosso vestiti un po' alla rinfusa, una felpa da sci sotto una giacca da sera, e dei sandali, e in una mano, come una gemma, stringe un penny. Per la cassetta delle offerte. Dice: Non voglio essere un peso. Oltre al penny, non ha niente e nessuno. Come quelli dopo. Tossici, alcolisti. Senzatetto. I soliti. Ma poi, dopo un'ora, iniziano a venire tutti gli altri. Quelli che non vogliono essere visti. Quelli che ancora non si sono abituati. Quelli del Covid-19. Un barista di un bar fallito, un tassista, due studenti fuorisede. Un fisioterapista. Quelli che ti dicono: Sono qui per un amico. Linda ha 52 anni, e con le sue Nike, gli short e la coda di cavallo, sembra stia andando a giocare a tennis. Fa l'elettricista. Perché si dice che la soluzione è creare lavoro: ma in Gran Bretagna, il 56% dei poveri ha un lavoro. "Mi hanno ridotto il contratto da otto a quattro ore, e ora, a gennaio non mi sarà rinnovato. Siamo in tre, e il mio è l'unico stipendio. E penso solo che lavoro da quando ho 16 anni, e ho sempre avuto abiti usati, mobili usati, televisori usati. Cose recuperate qui e lì. Tutta la vita: non mi sono mai potuta permettere altro. E ora, perdo anche questo", dice. Non ha avuto un centesimo dallo stato. Anzi. Le hanno chiesto indietro 500 sterline di errate detrazioni fiscali. E quando si è rivolta ai servizi sociali, l'unico consiglio è stato di trasferire la figlia, che è molto brava e frequenta un liceo molto rinomato, in una scuola più vicina. Per non pagare l'abbonamento ai mezzi. Fa paura. Sono uguali a te. Joe ha 34 anni, e sembra il frontman di una boyband. Fa lo chef, lo chef vero, da stella Michelin, ma è fermo da marzo, come anche la sua compagna: e hanno tre figli. "Un tempo, avresti resistito. Avresti avuto l'aiuto degli amici, dei genitori. Ma oggi, in banca nessuno ha più niente", dice. "Oggi è tutto all'osso". Durante il lockdown, 650mila lavoratori sono stati licenziati. E molti altri sono finiti in aspettativa all'80% dello stipendio. E parliamo spesso di contratti a salario minimo. Contratti da 8,72 sterline l'ora. In un anno, 8 ore al giorno per 365 giorni, fa 18.138 sterline: meno delle 19.200 che in Gran Bretagna sono il minimo per sopravvivere - soli e senza figli. E ora, quell'80% è stato ridotto al 63%. "Il problema non è il Covid-19. Se un paese si ritrova così nel giro di un mese, il problema è il paese", dice, mentre il figlio, che ha tre anni, gli gira intorno con la sua bici rossa e il maglioncino a righe, i pantaloni di velluto. Le New Balance blu. Biondo e perfetto come in una pubblicità. Come nella sua vita di prima. Shabana ha 42 anni, e sua figlia, come altri 1,4 milioni di bambini, non è alla fame solo perché resta a mensa a scuola. Da marzo, si sono avute altre 900mila richieste. "Quando ero piccola, a Natale inviavamo i pacchi per l'Africa. E ora l'Africa siamo noi. Non avrei mai immaginato una vita così", dice. "Non abbiamo mai avuto molto, qui. Ma non è questione di poco o molto: è che un tempo, avevamo diritti. Ora, una food bank". Non ha una mascherina. Usa una sciarpa. Una mascherina costa una sterlina. O come dicono qui: Costa due filoncini di pane. In realtà, qui anche il farmacista è senza mascherina. La Gran Bretagna è uno dei paesi più scettici sul virus. Molti pensano sia solo un'influenza. E che sia un rischio solo per chi ha altre patologie: che i morti, cioè, muoiano di altro. E probabilmente non ha aiutato che nei giorni più duri del lockdown Dominic Cummings, il consigliere capo di Boris Johnson, sia andato tranquillo con moglie e figlio a Durham, nella tenuta di famiglia, a 450 chilometri da Londra: tutti con la febbre. Tutti positivi. Hanno anche festeggiato il compleanno di lei al Barnard Castle. Altri 50 chilometri. Ha detto che stava testando la vista per capire se era in condizione di guidare indietro fino a Londra. Intanto Neil Ferguson, l'ideatore del lockdown, epidemiologo dell'Imperial College, andava regolarmente a trovare l'amante. Violando le sue stesse regole. Regole, certo, un po' confuse. Boris Johnson è stato a lungo uno dei teorici dell'immunità di gregge. Poi ha cambiato idea: in terapia intensiva. Ma ancora oggi la mascherina, qui, non è obbligatoria. E nonostante solo un decimo delle infezioni derivi da superfici contaminate, la raccomandazione di base è: Wash your hands. La regola comune è la regola del 6: è vietato stare insieme in più di 6 - anche se sei libero di variare gli altri cinque ogni cinque minuti. Ma per il resto, ogni città ha le sue norme. Con il risultato che da Leeds, che è classificata a massimo rischio, è possibile andare al mare in Galles: mentre dal Galles, no, perché in Galles vige l'ordine di rimanere nella propria contea. A Leeds è vietato incontrare amici in giardino: ma non al parco. E gli studenti sono tornati nei campus: ma le lezioni sono online. E al fondo, ognuno fa di testa sua. Sul banco della Hyde Park Pharmacy, dei foglietti molto dettagliati spiegano come proteggersi dal Covid-19. Il consiglio di quelli rossi è: Non fumare. Il consiglio di quelli verdi è: Non deprimerti. Secondo i dati del King's College, solo il 18% dei malati sta a casa. Gli altri, sono tutti in giro come se niente fosse. Secondo Boris Johnson, un lockdown così è l'unico modo per tutelare l'economia. Ma la Gran Bretagna non è solo il paese europeo con il più alto numero di morti: è anche quello in cui il PIL è crollato di più. Meno 20,4%, contro una media del 9,8%. Nella crisi del 2009, il calo più forte fu del 2,3%. Anche se come sempre: il PIL non è crollato per tutti. Anzi. La Boston Consulting, la società a cui è stato affidato il sistema di test e tracciamento, con l'equivalente della app Immuni, e che come la app Immuni, non funziona, è stata pagata 10 milioni di sterline: e ha pagato i suoi consulenti oltre 6mila sterline al giorno. Mentre qui, intanto, non resta che la Rainbow Junktion. Anche quando è chiusa: tanti si aggirano intorno come anime in pena. Un ragazzino con lo skate bussa. Non c'è nessuno. Bussa ancora. Aspetta oltre un'ora. Poi, quando tiro fuori un Twix, mi si avvicina, e mi fissa. Si allontana. Bussa, ancora. Poi torna, timido. Mi dice: Ho fame. Suo fratello è dietro l'angolo. Si dividono il Twix, e li guardo andare via, così, uno a fianco all'altro, nel buio. Due ragazzini, nell'Inghilterra del 2020. © Byline Times
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Vietato parlare contro il razzismo, almeno sui social come fb. E’ quanto accaduto allo scrittore Luca Delgado censurato su Facebook e il cui profilo è stato bloccato in queste ore. Quante volte avrete segnalato pagine e post che incitavano all’odio razziale, specialmente contro il Sud e contro Napoli? Noi abbiamo perso il conto e molto spesso abbiamo dovuto incassare il rifiuto da parte di Facebook persino dopo aver segnalato pagine come “Napoli fogna d’Italia” (ancora on line). La risposta la conoscete già: “pur avendo esaminato attentamente… bla bla bla… il post non viola i nostri standard della comunità”. Il post era questo: “Il razzista medio, quello cioè che ha bisogno di affermare che non è razzista ma, quello che chiama “cinesi” tutti gli asiatici, quello che si riferisce a qualsiasi migrante chiamandolo “africano” senza capire quanto ignorante suoni parlare di un continente come se fosse un paesello, (l’Africa è formata da 54 stati tra cui alcuni molto più ricchi di alcuni stati europei), senza avere nessuna competenza in materia né adeguata preparazione è diventato tutto a un tratto ministro dell’economia. Legge riviste specializzate di settore come Libero.it e 10motiviperaverpauradeimigranti.it, ascolta le puntuali riflessioni di esperti di economia politica come Maurizio Belpietro e Nina Moric e si preoccupa giustamente dei costi dei migranti: amo’ quanto ci costano un po’ sti negri? No, non ce li possiamo permettere, puntiamo sulle scatolette di tonno che quelle fanno sempre comodo. Vorrei capire quando questi bifolchi hanno cominciato a credere che sia responsabilità loro risolvere i problemi del Paese, quando hanno azzardato l’ipotesi di occuparsi della complessa situazione dei flussi migratori se fino a ieri si preoccupavano solo della minaccia di uscita di un’ospite da uno studio televisivo: “No Maria, io esco”. O al massimo condividevano catene di S. Antonio scrivendo “amen”. Nulla li ha smossi: stragi, corruzione, mafia, sversamento di rifiuti tossici, ruberie, banche salvate, giudici fatti saltare in aria, nulla li indigna di più di chi sta peggio di loro. Che sia anche questo il problema, l’aver portato nei salotti di quegli squallidi programmi televisivi una questione così seria e aver dato voce a chi dovrebbe occuparsi solo dei problemi della prima colazione di Gabriel Garko? Noto, ultimamente, che il razzista medio si è evoluto e sembra quasi essere diventato più accogliente di noi buonisti (eh a ’sto punto afammokk). Con la solita presunzione di essere più intelligente di tutti, il razzista medio gioca comportandosi come un ragazzino di terza media che mette piede in una scuola elementare. Con quell’atteggiamento di persona navigata, che conosce il mondo, che sa esattamente cosa accade in giro, dall’alto della sua preparazione da scuola media e dei suoi 13 anni, il nuovo razzista medio gioca d’astuzia, ti dice, come se tu fossi un totale sprovveduto: “ma guarda che io sono per l’accoglienza vera, mica sono razzista, ma è sbagliato accogliere tutti, questa è un’invasione… – e attenzione, qui arriva il colpo di genio – ti piace vederli soffrire, guarda bene che forse forse il vero razzista sei tu!”. Ecco, quando uno ti dice così è lì che bisogna stare attenti. Lasciate perdere per un attimo lo zoticone sgrammaticato prima repubblica e riflettete su questo nuovo esemplare. Questo finto ragionamento, imbeccato ad arte da qualche Sallusti di turno, è il preludio di altri ragionamenti che nascondono meno bene il razzismo. Che prima o poi viene fuori. Fanno finta di avere a cuore il destino di chi lascia il proprio Paese, ti dicono che qui abbiamo già troppi problemi, ti dicono che devi essere realista, che agli italiani tu non ci pensi. Una tattica patetica: perché chiunque abbia davvero a cuore le persone meno fortunate pretende dignità per tutti, non fa distinzione tra esseri umani. È gente che per gli italiani poveri non fa nulla, si indigna e basta. E non me la bevo la cazzata che i soldi non ci sono, non in un Paese che spende 64 milioni di Euro al giorno per missili e portaerei impiegati per andare a fare guerra proprio in quei territori. (E non apriamo il capitolo Eritrea, boccuccia mia stai zitta). Quindi io non vi credo, puzzate di razzismo lontano un miglio, siete razzisti, fatevene una ragione. Con loro è inutile dire che non c’è un’invasione in atto, che l’Italia ospita un numero di rifugiati pari ad altri Paesi europei. A nulla serve distinguere tra migranti, richiedenti asilo, rifugiati, il razzista medio dice, confermando la sua ignoranza: sì certo come no, e poi c’hanno l’phone 7. A nulla serve dire che i migranti producono ricchezza, il razzista medio ripete all’infinito: “portateli a casa tua, agli italiani non ci pensi? Bisogna imparare a rispondere che ce li portiamo a casa nostra solo quando loro ospiteranno nelle loro case dei senzatetto sconosciuti italiani*. E non ho capito, agli italiani non ci pensano? Interfacciarsi tutti i giorni con questi caproni potrebbe essere logorante, conoscono 5 parole (con qualche declinazione), fateci caso, usano sempre le stesse: 1) Gessetti colorati 2) Ruspa 3) Buonista, buonisti, buonismo 4) Boldrini 5) Pdiota, sinistri, zecche Senza queste parole sono perduti. Dobbiamo cominciare a usare pure noi parole semplici e immediate. Dobbiamo tutelarci, questa è gente che per anni si è allenata a parlare a cazzo, questa è gente che si è formata per anni su Dagospia e sulle lezioni di semiotica di Barbara D’Urso. Dobbiamo usare anche noi i troll, dobbiamo stancarli, dobbiamo semplificare, dobbiamo rieducare l’italiano medio, dobbiamo convincerlo che stava meglio quando pensava a questioni ben più importanti: per esempio lo sapete che Stefano Bettarini è pazzo di Nicoletta e adesso vuole un bambino da lei?” http://www.identitainsorgenti.com
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Il manifesto di domenica 29 ottobre ha pubblicato un articolo, riportato integralmente di seguito, sul progetto, annunciato dalla ministra Pinotti a marzo 2017, di creare a Roma nella zona di Centocelle una struttura che riunirà i vertici di tutte le Forze Armate italiane. Per il progetto sono necessari nuovi fondi pubblici che saranno ricavati dalla legge di stabilità e nel complesso del progetto saranno anche venduti a privati “immobili di pregio”. Il tutto all’ interno del Parco Archeologico di Centocelle che sarà tagliato da una nuova strada necessaria a collegare velocemente la zona interessata con la nuova linea Metro C. La nuova linea metropolitana è già operativa anche se non arriva ancora alle altre due linee romane e per il momento collega la periferia romana lungo la Casilina, anche oltre il raccordo anulare, solo fino alla stazione “Lodi”, nei pressi di Piazza San Giovanni. Ma tutta la zona toccata dalla Metro C avrà una enorme rivalutazione economica non appena saranno attivi i piccoli tratti che la dividono dalla Metro A e dalla Metro B, linee che attraversano Roma da una parte all’ altra della città incrociandosi alla Stazione Termini. Alcuni comitati locali seguono da tempo la vita difficile del Parco Archeologico di Centocelle, ma il progetto del Pentagono non ha ancora l’opposizione che si merita, realizzando nello stesso tempo una speculazione edilizia privata, effettuata con soldi e beni pubblici in una zona sotto tutela ambientale ed archeologica, e una nuova struttura finalizzata alle guerre e al controllo militare del pianeta da parte dei paesi dell’ Alleanza Atlantica. PS. In integrazione dell’articolo del manifesto che mette in evidenza solo l’atteggiamento della sindaca Raggi e del presidente del Municipio Boccuzzi, appartenente anche lui al M5S, riporto la replica del deputato Morassut alla risposta del governo alla sua interrogazione citata nell' articolo. La risposta viene definita dall’ esponente romano PD “rassicurante”. “Roberto MORASSUT (PD) ringrazia il rappresentante del Governo per la risposta rassicurante, che dimostra come la Difesa intenda tenere una posizione ragionevole. Sottolinea come la vicenda abbia suscitato grande attenzione tra i residenti, anche in considerazione del fatto che le realtà territoriali coinvolte hanno una limitata capacità di incidere sulle decisioni finali. Conclude rivolgendo una raccomandazione affinché sia salvaguardata l’unitarietà del complesso del parco di Centocelle. “ M.P. Raggi dà il via libera al «Pentagono italiano» Roma. Nel parco archeologico di Centocelle (zona sudorientale della capitale) la Difesa sta costruendo il comando per le missioni all’estero. Si allargherà anche l’aeroporto militare. A rischio ville romane ed ettari di verde che furono protetti da Veltroni. Manifestazione di cittadini e comitati contro «l’omertà» del comune e del municipio 5s Di Giuliano Santoro Il manifesto 29 ottobre 2017 Ci sono 126 ettari di verde nel quadrante di sudorientale di Roma, tra la via Casilina e la Tuscolana, pezzo di città in cui vive circa mezzo milione di persone. C’è un parco archeologico con tanto di ville romane da rafforzare e proteggere, che viene minacciato dalla minaccia di allargamento dell’aeroporto militare di Centocelle. È un progetto che il ministero della difesa sostiene di aver concordato con l’amministrazione comunale di Virginia Raggi. Solo che i cittadini fino a poco tempo fa ne erano completamente all’oscuro. IERI HANNO MANIFESTATO nel quartiere di Centocelle proprio per protestare contro l’atteggiamento che definiscono «quasi omertoso» e «ai limiti della truffa» della giunta grillina che pure in tempo di campagna elettorale aveva messo la voce «trasparenza» tra i primi punti programmatici. Qui, al pratone sulla Casilina, Pierpaolo Pasolini amava giocare a calcio. Di fronte all’ingresso del parco sulla Casilina ci sono i casali Falchetti e Garibaldi, spazi sociali in mezzo ai palazzoni. Sempre da queste parti è ambientato uno dei frammenti del romanzo incompiuto dello scrittore friulano, Petrolio. Del resto, recita uno dei versi di Uccellacci e Uccelllini: «Nei salotti / non si può fare l’amore, e neanche nei letti. / Occorre un prato di periferia». Ma al chiuso dei salotti del Campidoglio e di quelli del ministero pare essersi consumato ben altro inciucio. LA CONFERMA AI SOSPETTI dei comitati in difesa del parco arriva un mese fa, quando i deputati del Pd Antonino Moscatt e Roberto Morassut, già assessore all’urbanistica ai tempi in cui il sindaco era Walter Veltroni. I due chiedono delucidazioni sul progetto del «Pentagono italiano», che comporterebbe tra l’altro l’edificazione di una strada che dalla Casilina condurrebbe dall’altra parte del pratone, tagliando in due il parco al fine di collegare la base militare alla linea C della metropolitana. DAL MINISTERO confermano: il progetto, seppure in fase ancora «embrionale» è stato «condiviso fin dall’inizio con Roma Capitale e le municipalità interessate». Così almeno riferisce il sottosegretario alla difesa Gioacchino Alfano. Prima di lui, ormai sei mesi fa, era stata la ministra Roberta Pinotti in persona ad annunciare l’allargamento: «A Centocelle abbiamo già trasferito dal centro storico le 1.500 persone della Direzione generale degli armamenti e lì c’è il Coi, il comando operativo che gestisce tutte le missioni all’estero e in Italia. E lì si è pensato di costruire la struttura con i vertici di tutte le forze armate». Per la prima volta, insomma, l’Italia si vuole dotare di un luogo di raccordo e coordinamento tra i vertici di tutte le forze armate italiane. «Solo l’adeguamento della mensa sottoufficiali vedrà lo stanziamento di 4 milioni e 400 mila euro, ripartiti tra il 2017 e 2018», denunciano i comitati in difesa del Parco. Ne fanno le spese ettari di verde e qualità della vita in periferia, ma nelle stanze del ministero mentre istruiscono la pratica che serve a trovare i fondi dalla legge di stabilità dicono anche che ci sarà la possibilità di liberare e «mettere sul mercato» (cioè vendere ai privati) diversi «immobili di pregio». La quadratura del cerchio, anzi del Pentagono. NON È LA PRIMA VOLTA che il parco rischia. La strategia urbanistica nota come «Sistema direzionale orientale» prevedeva la costruzione di edifici anche in questa zona. Poi, negli anni Novanta, saltò fuori il vincolo archeologico. E dieci anni fa, con sapiente regia comunicativa durante una delle notti bianche veltroniane, venne inaugurato il Parco, o almeno una sua piccola porzione. POI PIÙ NULLA. I cittadini ieri si sono ritrovati a piazza dei Mirti per un’assemblea. Non erano tanti, ma la questione è concretissima e comincia a montare, in una porzione di Roma in cui la densità di verde per abitante va dai 3 ai 10 metri quadri, quando il minimo fissato dagli standard urbanistici è di 9 metri quadri. C’erano anche Stefano Fassina, deputato e consigliere comunale di Sinistra Per Roma, e Gianluca Peciola, già capogruppo di Sel in Campidoglio. Sotto accusa, oltre a sindaca e ministra, c’è anche Giovanni Boccuzzi, il presidente grillino del municipio V che da marzo a oggi ha avuto più occasioni pubbliche, ma non ha mai fatto chiarezza sugli impegni presi dall’amministrazione. L’ultima volta giusto un paio di settimane fa, in occasione di un convegno organizzato dal Wwf sulle sorti della grande distesa verde, già minacciata dalla presenza di autodemolitori oltre che dalla ciclica accensione di roghi tossici. «Nonostante si parlasse del futuro del Parco archeologico, il presidente Boccuzzi non ha fatto il benché minimo cenno alla militarizzazione, già in atto, dell’area», protestano Stefania Berrettoni e Luca Scarnati, i due portavoce del «Comitato Pac libero». A cura di M.P.
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“Mi reco molto assonnata al congresso più inflazionato della mia carriera universitaria, conscia che probabilmente mi addormenterò nelle file alte dell’aula magna. Mi siedo, leggo la scaletta, la seconda voce è “sanità pubblica e immigrazione: il diritto fondamentale alla tutela della salute”. Inevitabilmente penso “e che do bali”. Accendo Pokémon Go, che sono sopra una palestra della squadra blu. Mi accingo a conquistarla per i rossi. Comincia a parlare il tale Dottor Pietro Bartolo, che io non so chi sia. Non me ne curo. Ero lì che tentavo di catturare un bulbasaur e sento la sua voce in sottofondo: non parla di epidemiologia, di eziologia, non si concentra sui dati statistici di chissà quale sindrome di *lallallà*. Parla di persone. Continua a dire “persone come noi”. Decido di ascoltare lui con un orecchio e bulbasaur con l’altro. Bartolo racconta che sta lì, a Lampedusa, ha curato 350mila persone, che c’è una cosa che odia, cioè fare il riconoscimento cadaverico. Che molti non hanno più le impronte digitali. E lui deve prelevare dita, coste, orecchie. Lo racconta:”Le donne? Sono tutte state violentate. TUTTE. Arrivano spesso incinte. Quelle che non sono incinte non lo sono non perché non sono state violentate, non lo sono perché i trafficanti hanno somministrato loro in dosi discutibili un cocktail antiprogestinico, così da essere violentate davanti a tutti, per umiliarle. Senza rischi, che le donne incinte sul mercato della prostituzione non fruttano”. Mi perplimo.
Ma non era un congresso ad argomento clinico? Dove sono le terapie? Perché la voce di un internista non mi sta annoiando con la metanalisi sull’utilizzo della sticazzitina tetrasolfata? Decido di mollare bulbasaur, un secondino, poi torno Bulba, devo capire cosa sta dicendo questo qua.
“Su questi barconi gli uomini si mettono tutti sul bordo, come una catena umana, per proteggere le donne, i bambini e gli anziani all’interno, dal freddo e dall’acqua. Sono famiglie. Famiglie come le nostre”.
Mostra una foto, vista e rivista, ma lui non è retorico, non è formale. È fuori da ogni schema politically correct, fuori da ogni comfort zone.
“Una notte mi hanno chiamato: erano sbarcati due gommoni, dovevo andare a prestare soccorso. Ho visitato tutti, non avevano le malattie che qualcuno dice essere portate qui da loro. Avevano le malattie che potrebbe avere chiunque. Che si curano con terapie banali. Innocue. Alcuni. Altri sono stati scuoiati vivi, per farli diventare bianchi. Questo ragazzo ad esempio”, mostra un’altra foto, tutt’altro che vista e rivista. Un giovane, che avrà avuto 15/16 anni, affettato dal ginocchio alla caviglia.
Mi dimentico dei Pokémon.
“Lui è sopravvissuto agli esperimenti immondi che gli hanno fatto. Suo fratello, invece, non ce l’ha fatta. Lui è morto per essere stato scuoiato vivo”.
Metto il cellulare in tasca.
”Qualcuno mi dice di andare a guardare nella stiva, che non sarà un bello spettacolo. Così scendo, mi sembrava di camminare su dei cuscini. Accendo la torcia del mio telefono e mi trovo questo..”
Mostra un’altra foto.
Sembrava una fossa comune. Corpi ammassati come barattoli di uomini senza vita.
“Questa foto non è finta. L’ho fatta io. Ma non ve la mostrano nei telegiornali. Sono morti li, di asfissia. Quando li abbiamo puliti ho trovato alcuni di loro con pezzi di legno conficcati nelle mani, con le dita rotte. Cercavano di uscire. Avevano detto loro che siccome erano giovani, forti e agili rispetto agli altri, avrebbero fatto il viaggio nella stiva e poi, con facilità, sarebbero usciti a prendere aria presto. E invece no. Quando l’aria ha cominciato a mancare, hanno provato ad uscire dalla botola sul ponte, ma sono stati spinti giù a calci, a colpi in testa. Sapeste quanti ne ho trovati con fratture del cranio, dei denti.
Sono uscito a vomitare e a piangere. Sapeste quanto ho pianto in 28 anni di servizio, voi non potete immaginare”.
Ora non c’è nessuno in aula magna che non trattenga il fiato, in silenzio.
“Ma ci sono anche cose belle, cose che ti fanno andare avanti. Una ragazza. Era in ipotermia profonda, in arresto cardiocircolatorio. Era morta. Non avevamo niente. Ho cominciato a massaggiarla. Per molto tempo. E all’improvviso l’ho ripresa. Aveva edema, di tutto. È stata ricoverata 40 giorni. Kebrat era il suo nome. È il suo nome. Vive in Svezia. È venuta a trovarmi dopo anni. Era incinta” ci mostra la foto del loro abbraccio.
“..Si perché la gente non capisce. C’è qualcuno che ha parlato di razza pura. Ma la razza pura è soggetta a più malattie. Noi contaminandoci diventiamo più forti, più resistenti. E l’economia? Queste persone, lavorando, hanno portato miliardi nelle casse dell’Europa. E io aggiungo che ci hanno arricchito con tante culture. A Lampedusa abbiamo tutti i cognomi del mondo e viviamo benissimo. Ci sono razze migliori di altre, dicono. Si, rispondo io. Loro sono migliori. Migliori di voi che asserite questo”.
Fa partire un video e descrive:”Questo è un parto su una barca. La donna era in condizioni pietose, sdraiata per terra. Ho chiesto ai ragazzi un filo da pesca, per tagliare il cordone. Ma loro giustamente mi hanno risposto “non siamo pescatori”. Mi hanno dato un coltello da cucina. Quella donna non ha detto bau. Mi sono tolto il laccio delle scarpe per chiudere il cordone ombelicale, vedete? Lei mi ringraziava, era nera, nera come il carbone. Suo figlio invece era bianchissimo. Si perché loro sono bianchi quando nascono, poi si inscuriscono dopo una decina di giorni. E che problema c’è, dico io, se nascono bianchi e poi diventano neri? Ha chiamato suo figlio Pietro. Quanti Pietri ci sono in giro!”.
Sorridiamo tutti.
“Quest’altra donna, invece, è arrivata in condizioni vergognose, era stata violentata, paralizzata dalla vita in giù… Era incinta. Le si erano rotte le acque 48 ore prima. Ma sulla barca non aveva avuto lo spazio per aprire le gambe. Usciva liquido amniotico, verde, grande sofferenza fetale. Con lei una bambina, anche lei violentata, aveva 4 anni. Aveva un rotolo di soldi nascosto nella vagina. E si prendeva cura della sua mamma. Tanto che quando cercavo di mettere le flebo alla mamma lei mi aggrediva. Chissà cosa aveva visto. Le ho dato dei biscotti. Lei non li ha mangiati. Li ha sbriciolati e ci imboccava la mamma. Alla fine le ho dato un giocattolo. Perché ci arrivano una montagna di giocattoli, perché la gente buona c’è. Ma quella bimba non l’ha voluto. Non era più una bambina ormai.”
Foto successiva.
“Questa foto invece ha fatto il giro del mondo. Lei è Favour. Hanno chiamato da tutto il mondo per adottarla. Lei è arrivata sola. Ha perso tutti: il suo fratellino, il suo papà. La sua mamma prima di morire per quella che io chiamo la malattia dei gommoni, che ti uccide per le ustioni della benzina e degli agenti tossici, l’ha lasciata ad un’altra donna, che nemmeno conosceva, chiedendole di portarla in salvo. E questa donna, prima di morire della stessa sorte, me l’ha portata. Ma non immaginate quanti bambini, invece, non ce l’hanno fatta. Una volta mi sono trovato davanti a centinaia di sacchi di colori diversi, alcuni della Finanza, alcuni della polizia. Dovevo riconoscerli tutti. Speravo che nel primo non ci fosse un bambino. E invece c’era proprio un bambino. Era vestito a festa. Con un pantaloncino rosso, le scarpette. Perché le loro mamme fanno così. Vogliono farci vedere che i loro bambini sono come i nostri, uguali”.
Ci mostra un altro video. Dei sommozzatori estraggono da una barca in fondo al mare dei corpi esanimi. “Non sono manichini” ci dice.
Il video prosegue.
Un uomo tira fuori dall’acqua un corpicino. Piccolo. Senza vita. Indossava un pantaloncino rosso. “Quel bambino è il mio incubo. Io non lo scorderò mai”.
Non riesco più a trattenere le lacrime.
E il rumore di tutti coloro che, alternadosi in aula, come me, hanno dovuto soffiarsi il naso.
“E questo è il risultato” ci mostra l’ennesima foto. “368 morti. Ma 367 bare. Si. Perché in una c’è una mamma, arrivata morta, col suo bambino ancora attaccato al cordone ombelicale. Sono arrivati insieme. Non abbiamo voluto separarli, volevamo che rimanessero insieme, per l’eternità”.
Penso che possa bastare così. E questo è un estratto. Si, perché il Dottor Bartolo ha parlato per un’ora. Gli altri relatori hanno lasciato a lui il loro tempo. Nessuno ha osato interromperlo. E quando ha finito tutti noi, studenti, medici e professori, ci siamo alzati in piedi e abbiamo applaudito, per lunghi minuti. E basta. Lui non ha bisogno di aiuto, “non venite a Lampedusa ad aiutarci, ce l’abbiamo sempre fatta da soli noi lampedusani. Se non siete medici, se non sapete fare nulla e volete aiutare, andate a raccontare quello che avete sentito qui, fate sapere cosa succede a coloro che dicono che c’è l’invasione. Ma che invasione!”.
E io non mi espongo, perché non so le cose a modo. Ma una cosa la so. E cioè che questo è vergognoso, inumano, vomitevole. E non mi importa assolutamente nulla del perché sei venuto qui, se sei o no regolare, se scappi dalla guerra o se vieni a cercare fortuna: arrivare così, non è umano. E meriti le nostre cure. Meriti un abbraccio. Meriti rispetto. Come, e forse più, di ogni altro uomo.”
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