#chissà che fine farò nella vita
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Ieri è stato il mio primo giorno in smartworking in questa azienda. Fortunatamente tutto è andato bene e siamo riusciti a connetterci alla intranet aziendale come previsto. Meno piacevole è stato il controllo assillante dei superiori: dal 2 Agosto per adeguarci al resto del mondo, hanno cambiato il sistema telefonico - non più il normale telefono, ma un software che guida chi telefona a chiamare il dipartimento giusto e fa girare le chiamate inbound automaticamente. Peccato che non funziona per niente come una telefonata normale e tu non hai nemmeno il diritto di accettare la telefonata; ad un certo punto senti "tu-tu" e sei direttamente al telefono con qualcuno dall'altra parte. A parte questo, ieri poiché tutto l'ufficio era in smart e poiché si vede che qualche chiamata è andata persa per qualche motivo (riescono a controllare pure questo), ci hanno buttato tutti in un gruppo su Teams e ogni volta che qualcuno si metteva "off" per troppo tempo, veniva taggato e ripreso chiedendosi di rimettersi in "disponibile". Alla fine si è capito che si cambiava lo stato dal semplice "off" a tipo "in pausa pranzo" o "in pausa" non venivi taggato e che il problema maggiore era mettersi su "off" (che non è off ma non so come tradurlo - è tipo "in preparazione").
A proposito di questo, non avete idea di quante lamentele ci sono stata e ci sono (ancora) su sto nuovo sistema di gestione delle telefonate. Tutti hanno l'idea dei giapponesi che non si lamentano mai, sono sempre composti ecc... o cazz. Questi si lamentano h24 su delle stronzate colossali, tipo ieri la mia tutor fa:"Quindi a pranzo devi mettere 'in pausa pranzo', quando vai al bagno 'in pausa'... che palle ogni volta dover mettere uno stato diverso".... aoh?!?!? Ma veramente fai?!? Vabbè che ancora non l'ho inquadrata lei come tipo e non so se e quanto sia 'falsa'... so solo che nun fa nu cazz ed è quella che lavora di meno di tutti. Ieri fa pure:"Grazie a Rossella e a Mochizuki le mail non aperte si sono ridotte tantissimo"... e grazie o cazz e tu che cazz e combinat? Boh, però a quanto pare fa pure gli straordinari quindi non so e non capisco (non ancora, almeno).
Alla fine il tifone di grado 7 di ieri non è stata poi chissà che cosa pericolosamente sensazionale: solo pioggia, pioggia, pioggia tutto il giorno e vento abbastanza forte. Come sempre in questo paese: tanto rumore per nulla. Ma capisco che è meglio prevenire che curare.
Alla fine tra le feste e il tifone questa settimana mi sono svegliata alle 6:40 solo giovedì ed è stata praticamente una settimana intera di dormite bellissime e rigeneranti. Come farò dal prossimo lunedì a vivere di nuovo con i soliti ritmi, non lo so. A cui aggiungiamo pure il caldo assassino che sta facendo (temperature percepite fino a 44°C e umidità sempre su 70/80%) - in pratica ci si scioglie, letteralmente.
Ultimamente sono veramente in dubbio se trasferirmi oppure no. Più che altro perché, dopo che il periodo di prova sarà finito, potendo utilizzare lo smarworking ogni tanto e l'orario flessibile non so se il tutto potrà diventare più vivibile. Ci penserò ancora, anche perché sta cosa delle spese iniziali esorbitanti prima di entrare in una casa nuova non mi vanno troppo giù (cioè in Europa sta cosa non mi pare si faccia manco per il cazzo... non parliamo delle spese per arredarla perché già solo per letto frigorifero lavatrice fornelli e microonde chissà quanto se ne va).
Detto ciò ho ricominciato a leggere un po'. Ridendo e scherzando, sono passati mesi su mesi dall'ultima volta e questa cosa mi mette una depressione assurda, oltre alla rabbia, perché fino a che sono arrivata qui un anno fa avevo preso la bella abitudine di leggere qualche pagina prima di dormire e invece adesso non faccio che perdere ore del mio tempo su quella piattaforma del demonio che è IG. Già il lavoro che occupa tutte le mie giornate mi fa sentire 'spenta' intellettualmente, se perdo quel poco di tempo che mi rimane col telefono in mano, la cosa non può che peggiorare. Ma il fatto è che per me la lettura è un momento molto intimo e non riesco per esempio a leggere nel treno come fanno alcuni giapponesi, mi da proprio fastidio essere circondata dalle persone mentre leggo, preferisco ascoltare musica o non fare niente. Invece loro non riescono proprio a stare sui mezzi senza fare niente per cui il 90% di loro si schiaffa letteralmente il telefono in faccia e guardano di tutto: la TV, gli anime, i drama oppure giocano ai giochi di ruolo, ai pokèmon... se li osservi sembrano tutti una massa di lotobotizzati. Non sanno vivere senza telefono e mi domando quanto sia il loro "screen time", io quando arrivo fino a 5h mi bestemmio e quando quelle poche volte nel weekend sono arrivata a 8h mi è venuto il mal di testa.
Tutto sto preambolo perché volevo dire che sto leggendo Byung-Chul Han e che le sue citazioni di Foucault e Heidegger mi sta facendo troppo venire in mente i tempi dell'università quando i loro concetti erano all'ordine del giorno... che bello che era dover usare il cervello tutti i giorni e studiare cose nuove.
Ci dicono dall'infanzia che quando saremo grandi e avremo un lavoro, saremo liberi di fare quello che vogliamo. Col cazzo, è l'esatto contrario: sarai forzato a chiuderti in uno spazio a spendere il tuo tempo facendo cavolate come fossi schiavo del nulla, anzi schiavo dei soldi che ti vengono addebitati e che ti fanno credere di essere libero.
Anche se mi sembrava insopportabile, avrei dovuto sfruttare di più il mio periodo di disoccupazione... ci si lamenta che si esce di casa sempre più tardi ma fossi io incoraggerei a non lasciare casa finché non muore chi ti mantiene, altroché. Prima o poi morirà chiunque e rimarrai solo, quindi dovrai lavorare per forza quindi perché non sfruttare chi ti ha messo al mondo fino alla fine? E se non gli sta bene mandateli a fanculo. Nessuno ha chiesto a nessuno di mettere al mondo altra gente e se pensavano di farlo perché così 'durante la vecchiaia non rimaniamo da soli' la prossima volta si fanno due conti in tasca prima di pensare a sfornare badanti a gratis. Certe volte più che ai sugardaddy penso che fare la badante a qualche coppia di vecchietti (non troppo burberi) possa essere una valida alternativa a sta vita d'ufficio di merda... e non sto scherzando.
#chissà che fine farò nella vita#perché io così fino alla pensione non ce la faccio#già lo so#pensieri#pensieri diurni#lavoro#my life in tokyo
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𝗜𝗹 𝘀𝗮𝗯𝗮𝘁𝗼 𝗺𝗮𝘁𝘁𝗶𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝘃𝗶𝗹𝗹𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 - 𝟮𝟬𝟮𝟯 𝗲𝗱𝗶𝘁𝗶𝗼𝗻
Il donzelletto vien dalla casa,
In sul sorger del sole,
Con la sua borsa della spesa; e reca in mano
Lo comunicatore digitale.
Così alle otto in punto, all'apertura del supermercato, mi reco a prendere cibarie et pozioni alcoliche per lo sabato caloroso.
La prole chiede che cucini io questa sera, ci sarà anche il cuore di figlio 2 a passare il fine settimana da noi.
Dovrò accendere il forno, se dovessimo trasportare questo sabato sera in un film io sarei il macchinista, quello tutto sporco e sudato, che fa l'impossibile per far si che il motore della nave, o del treno, non si fermi. Mentre gli attori protagonisti dalla cabina di comando si prendono gli onori di aver salvato la situazione.
Alla fine non ci saranno inquadrature per me, ridotto a una pezza mi farò una doccia.
Però come gli eroi che si immolano per la compagnia al barbecue sotto un sol leone, verrò ricompensato dalla birra ghiacciata che avrò nel frigorifero.
Con questi pensieri giro tra le corsie cercando di ricordarmi cosa manca tra gli ingredienti che dovrò utilizzare.
Passo per una corsia, dopo pochi minuti ci ripasso, sembro perso. Invece no, il mio disordine cerebrale da neuro divergente mi fa fare percorsi alternativi e panoramici.
Incontro una signora che vedendomi mi sorride, alza il dito nell'atteggiamento tenero che hanno alcune persone prima di farti una domanda. Percepisco questa cosa e comincio a entrare in modalità ansia.
Solo io so quante persone che mi hanno chiesto indicazioni stradali sono finite a "Chi l'ha visto?".
Una volta una coppia in auto si fermò e mi chiese "Scusi sa dov'è Via Roma?"; "Non lo so, mi dispiace" - risposi repentinamente.
Mentre si allontanavano mi chiedevo dove fosse Via Roma, l'avevo già sentito il nome di quella Via.
Poi mi ricordai che in Via Roma ci abitavo, oltre al fatto che ero appena uscito da casa.
La signora si avvicina e mi chiede se io fossi (nome di mio cugino).
Mio cugino. Un anno meno di me, le nostre madri sono sorelle e i nostri padri erano fratelli tra loro. Madre natura si è divertita molto con i cromosomi e geni. Così spesso mi chiedono o mi chiamano con il suo nome. Però questa cosa non capitava da decenni.
La signora si ricorda di me e di mio cugino, abitavamo anche nello stesso condominio da piccoli, perché abitava appunto nella nostra stessa Via.
Le rispondo che non sono cugino ma Rino, lei mi dice che mi segue qui su Facebook.
Poi mi guarda, nota che non sono come quello nella foto.
Le dico che generalmente uso da ventordici a trentanta filtri per essere decente. Lei mi fissa e mi dice: "Se posso, lei è meglio dal vivo. Con i suoi capelli e quel viso da buono".
Il "viso da buono", me lo dicono spesso. Si tratta dell'eredità più forte che mi ha lasciato mio padre. Un buono, che fu paraculato dalla vita e dal sangue del suo sangue. Ma per lo meno è morto credendo in una vita migliore. Secondo me fu per questo motivo che sorrise esalando l'ultimo respiro.
Arrivo alla cassa, oltre le cibarie metto sul nastro il bottino di guerra: birre. Diverse tra di loro.
La cassiera mi guarda, le dico - "Sono per la mia colazione"; "Se questa è la colazione non voglio sapere cosa si beve a pranzo e cena" - risponde lei.
"Però accompagno la birra con biscotti integrali e senza glutine" - aggiungo, ma credo di aver peggiorato la mia posizione nei suoi confronti. A far lo spiritoso puoi anche essere frainteso.
Esco di corsa, sulla strada di ritorno mi fermo in un altro negozio per le bombolette di ricarica per un gasatore di acqua. Consegno quelle vuote e prelevo quelle piene, a una delle mie due bombolette vuote manca il tappo di protezione di plastica.
Lo faccio notare alla commessa: - "È stato il gatto, si è preso il tappo e chissà dove lo ha portato. Se vuole glielo porto dopo".
"Ma no si figuri" - mi risponde gentile - "Ci mancherebbe, per un tappo".
"Io intendevo il gatto" - le dico serio.
Mi guarda, la guardo, si gira dandomi le spalle, la guardo, lei scoppia a ridere e si rigira verso di me, io già ero pronto con il telefonino aperto su una foto "coccolosa" di Alvin.
"Ma è lui il colpevole?" - Mi chiede.
"Si" - le rispondo.
I suoi occhi diventano dolci - "Se me lo porta poi lo terrò con me però, io l'avviso".
Rientro a casa con due convinzioni: la faccia da buono va bene solo con le signore d'antan, per il resto se ne approfittano in molti.
I gatti domineranno il mondo, dato che riescono a dominare i cuori delle donne.
Altro dirvi non vo’; ma la mia testa
Cincischia fino a tardi, speriam che a pensar troppo non sia grave.
ps ai due richiedenti informazioni sulla Via Roma, poi, corsi appresso. Lui mi vide dallo specchietto retrovisore e si fermò.
Mi avvicinai ansimando per la corsa: - "Anf anf, s-so dov'è Via anf anf Roma. Me lo sono ricordato"; E la lei della coppia: - "Bene! Dov'è?". La guardai fissa negli occhi "È questa!" - risposi trionfante.
So che non riuscirono a salutarmi dalle risate che si fecero, solo lei riuscì a farmi "ciao ciao" con la mano, mentre lui ripartì con l'auto.
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11.17 giovedì 16 febbraio
A volte capita che la vita riservì sorprese, già ma non quelle degne di chiamarsi tali anzi.. a volte sono talmente sorprese che sembra ti crolli il mondo addosso, ti continui a dire che non doveva andare così, che la vita è lunga ma continui a non darti pace coi soliti pensieri. Ti odi, ti incazzi con te stesso, ti aggrappi al nulla più totale nella speranza che sia solo un brutto sogno perché non hai buttato via il tempo con qualcuno ma sapevi che era speso bene perche quella persona per te è davvero tutto allora ti incazzi ancora di più perché d’ora in avanti non ci sarà più in nessun modo, ho giocato male le mie carte e basta, mi mancherà sempre più dell’aria che respiro, mi mancherà tutto, penso durerà in eterno credo un eterno che non è ben comparabile ma sarà comunque troppo tempo e starò sempre peggio, il male d’amore con la friend zone sono una brutta accoppiata me sa.. io celho messa tutta e va bene così, farò questo crogiolo di dolore parte presente della mia vita è basta che devo fa, non avrei mai creduto potesse succedere.. invece è successo, saranno solo tanti bei ricordi, litigate epiche e niente alti e bassi come tutto ma quando si ha prospettive diverse purtroppo è quello che fotte, non incontrarsi e separarsi per forza di cose nonostante tutto il bene. Giuro sono bloccato sul letto a scrivere e sto sbadigliando da ore, non penso nelle prossime ore avrò più voglia di far nulla, ho perso qualsiasi tipo di estro potesse venirmi e Tumblr sarà nuovamente il mio compagno di avventure per un po’ credo. C’è il sole, un sacco e ho un caldo allucinante come spesso accade, devo poi chiamare mia zia per chiederle due cose dato che domani tornerò nella mia città natale per un paio di giorni giusto per andarla a trovare, fare un giro con mio cugino e chissà che altro poi il giorno dopo penso andrò a trovare mia mamma che nn sta nulla bene, ma questa è un’altra storia e nulla per la sera poi credo tornerò a casa mia.
Sento solo che sto di merda in questo momento e vorrei che le cose in generale fossero andate diversamente, mi dispiace per tutto ma non posso nascondere i miei sentimenti al mondo, non riuscirò mai a farlo, in questi casi c’è spesso che si fa aiutare ma alt i miei amici più cari sono meno di tre e più di uno e uno di loro è mancato quindi.. è il rimanente è lontano e lavora, bello schifo che sono: solo soletto mazziato e cazziato, giuro ora non sento più incentivi come prima, nessuno..lo so è difficile e brutto credere in un rapporto con una persona che c’è la possibilità che si trasformi un casino un giorno ma ho fatto il solito errore di crederci troppo perché avevo davanti una delle persone più belle mei conosciute in mia vita e voillà le merd son fé.. siinizia sempre con le amicizie più belle e poi uno si innamora(spoiler stavolta io), e la cosa brutta è che l’altra persona crede solo nella stessa bella amicizia che c’era un tempo e che tu man mano hai però da parte tua fatto diventare altro.
Non so quanto durerà sto monologo senza fine perché non voglio nemmeno fermarmi a pensare, non so che fare a parte deprimermi e ripensare al tempo passato mentre sto in lacrime, non riesco nemmeno a giocare ai videogiochi o ascoltare musica, ne disegnare.. non mi viene nulla se non stare sul latto a piangere ancora, spero solo non mi ricomincino le crisi di qualsiasi cosa, se sono solo mentre ho crisi ho una fifa boia che possano crescere a tal punto dal farmi del male..spoiler sono da solo e sto tremando, chissà come andrà a finire se in una tachicardia o attacco di panico boh lo scopriremo in questa favola..
Ps anche se poi dopo il tutto non riuscissi più ad alzarmi se finisco a terra non sarebbe poi così male dato il periodo, vedremo chi ci sarà a raccogliermi col cucchiaino e a sbattermi in faccia che la vita può essere meglio di così. SPOILERONE nessuno perché nessuno ci tiene a me a tal punto anzi si forse lo farebbe mia madre ma è convalescente operata di tumore a 60 km da me quindi ciccia si vedrà .
Buon periodo di merda,spero ce lo abbiate almeno un minimo migliore del mio dai alla prossima se ci sarà
Leo
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5 MAGGIO 2023
Ora sto un po’ tremando. Stanotte non ho sentito il mal di pancia del ciclo ma stamattina stavo già un po’ strana. Non ho manco mangiato tutto il pranzo. Poi mi ero un po’ ripresa ma adesso mi sento proprio debole. Almeno sto bevendo tè freddo quindi un po’ di zuccheri mi arrivano nel corpo.
Sto facendo la prima tavola della filiera corta e per fortuna sto trovando cose da scrivere e mi sto incartando sui grafici perché adesso che ho usato un colore più chiaro stanno meglio ma ancora non mi convincono e per una volta voglio proporre qualcosa di carino che ho pensato io, senza riciclare idee vecchie.
Ho mandato una foto ad ile dei grafici che sto facendo sia a Daniele che a Ile, ma nessuno capirà la battuta. Con lui mi sto sentendo spesso, principalmente per la questione della missione (che adesso sarà fuori dai suoi piani) ma anche per altro. L’ultima volta che ci siamo chiamati ha cercato di fissare una data per vederci e finalmente fare combo sushi+cinema dato che c’è il film anime nuovo che chiunque ha già visto ma di cui mi scordo il nome, ma poi dice che forse non ci sarà e io lo prendo in giro dicendo che già lo so. Oggi per lo meno mi ha avvisato in anticipo e mi ha anche detto perché non ci sarà e anche che possiamo riprovare settimana prossima (ora scrive pure ya). Vabbè sta migliorando leggermente il ragazzo. Da un lato sono contenta che sta impegnato in tante cose anche se non riusciamo a vederci e dall’altro non voglio che lo prendono a Roma dopo questo colloquio che ha fatto perché mi sono rotta di gente che va a Roma e sparisce dalla mia vita. Ma questo è un altro fatto. E poi almeno è Roma rispetto a che ne so, Bologna. 6 ore di treno.
Gli devo dire che ho iniziato a vedere Dante’s inferno con tutti i dejavu che mi stanno venendo del 4 anno di scuola. A quel periodo dovrei proprio smettere di pensare. Almeno forse questo weekend riesco a finire i sottotitoli e glieli posso inviare. Un regalo di compleanno leggermente in ritardo.
Ad ile devo scrivere dopo, quando esco dallo studio, per vedere quando e come ci becchiamo nel weekend, mi deve raccontare i fatti del prof relatore e di come sta andando al suo studio e potremmo organizzarci per l’esame di stato (io ancora non ho ricevuto nessuna chiamata dalla vicepresidentessa dell’ordine, magari nella settimana prossima, intanto ho sempre il Bluetooth acceso e sono pronta a mettermi gli auricolari per parlare di chissà cosa con lei bho). Mio padre ha saputo che entro il 15 si saprà qualcosa, speriamo.
Intanto mi sto divertendo un mondo a pensare alla missione. Non sarà più a Samos ma a Mitilene (il comeback delle frittate ai peperoni la mattina!!). Cate ha già prenotato la casa, io sarò in stanza con lei e ci saranno questa Giorgia in stanza con Francesca e poi Benedetto nella singola. Questi sono quelli del suo gruppo di tesi più un altro ragazzo del 2000 che già odiano perché li ha costretti ad un cambiamento di tesi facendo tutto da solo. Io ho il virus di immischiarmi nei problemi altrui, questa situazione è troppo bella. Farò dei blog e mi divertirò. Certo se viene Daniele davvero alla fine sarei ancora più contenta ma va bene così, probabilmente le date si spostano facendo rientrare il mio compleanno quindi top. Mia sorella sparirà pure lei una settimana in estate per la scuola estiva di non so cosa che deve fare per il dottorato.
Se non mi sentissi male adesso mi divertirei di più qui nello studio, oggi sto proprio stordita.
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F i n e 26-03-23
Il mio cuore non batte più per te. Non sento più farfalle nello stomaco. Non provo più agitazione nel vederti. Prima di tornare ad infossarmi ho riflettuto molto.
E così decido oggi di chiudere una porta o anzi un portone. Di porre fine a qualsiasi mia speranza di un ritorno di qualcosa perché non sarebbe giusto ne da parte mia ne da parte tua. Se due diventano ex un motivo c’è sempre e forse alla fine semplicemente non era destino.
Decido quindi di lasciarci con questo ricordo di una serata ad un evento in Olanda e niente più. Non ti cercherò più, non proverò a vedere in che evento potrei trovarti per caso, in che posizione o con chi sei in discoteca. Semplicemente ti lascio andare.
Il mio cuore anche un po’ l’ha capito che era questa la sorte perché non mi batteva più all’impazzata come un tempo. Certo il pensiero del “ma quanto ti posso amare” c’è stato soprattutto quando te ne sei uscito con <alla fine abbiamo trovato un modo per venire ad Amsterdam insieme più o meno, hai visto?> cosa a cui io non avevo minimamente pensato e che tu ti sei ricordato. O mentre dormivi. Perché si sei bello e si di certo non mi sei indifferente anche se non ti amo più come prima.
Ora però decido fermamente che ti lascio libero, ti lascio volare, e ti prego vola forte e alto perché puoi e sai farlo devi solo crederci un po’ di più. Davvero con il cuore in mano vorrei dirti che ti voglio bene e che ci sarò sempre, ma esserci come vorresti tu ovvero come semplice amica ad oggi mi è impossibile e a questo punto preferisco mettere un punto e basta. Sapendo cosa c’è stato, sapendo cosa non tornerà o cosa non ci sarà più. Sapendo che in fin dei conti nulla ha avuto un senso ma che ti ho dato l’anima anche se non è bastata.
Mi son “accontentata” del mio amore nonostante da subito avessi capito che poi in fondo non siamo mai stati così compatibili finendo a mettermi in sentimenti più grandi di me, finendo a perdere la testa per te.
Ci son stata anche molto male per te. Per me. Per noi. Per i quali per alcuni momenti ho davvero pensato che avremmo potuto durare nonostante tutto per sempre.
Beh mi sbagliavo. E dopo due anni ci siamo. Metto me per prima. E quindi grazie davvero. Grazie per questo viaggio incredibile nella mia vita, grazie per la compagnia, i bei momenti, le batoste.
Ora però è l’ora che tu scenda dal treno della mia vita. E chissà se mai ci si rivedrà o ritroverà. Io voglio promettere a me stessa che non ti cercherò più perché non ha più alcun senso, e magari tu farai lo stesso.
Poi si sa nella vita mai dire mai, ma per ora buona vita fiore, ti ho amato e ti vorrò sempre bene senza scriverti, senza sapere nulla di te, semplicemente a distanza.
Vivi, sogna, ama. Vai oltre a ciò che credi. Azzarda. La vita è una non te la tornano indietro. Goditela un po’ di più, cerca di non dimenticarti di me mai, tienimi sempre un po’ nel cuore come io farò con te. Vai alla ricerca di ciò che ti fa sentire vivo, trova amici sinceri che ti supportino, cerca di vedere il sole anche durante le tempeste. La vita è bella sempre non solo il weekend. Cerca di capirlo presto e così potrai risplendere più che mai.
Prenditi cura di te stesso e stammi bene.
Addio.
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06:45 del 25 dicembre 2022.
Mamma mia, quanto tempo é trascorso. Non è facile descrivere alcune sensazioni. Oggi ho davvero rivalutato tante cose della mia vita. Mi sono resa conto di aver investito nelle persone sbagliate. É come se stessi guardando me stessa dall’esterno e riuscissi a vedere bene, chiaramente ogni cosa. Tirare le somme a fine anno è sempre difficile perché le cose cambiano e non sempre in positivo. Sicuramente una cosa l’ho accettata: la mia solitudine. Non mi dispiace questa sensazione, è come se ormai mi ci fossi abituata. Io non voglio finire in bancarotta di emozioni già alla mia età però quando vieni delusa inevitabilmente maturi e apri gli occhi. Realizzi e ti rassegni. Io mi sento così. Rassegnata. Forse semplicemente l’amore non fa per me. Magari esiste nella mia vita, sotto altre forme, non nella forma che più desidero. Forse semplicemente non è il mio momento. Non so dirmi che arriverà perchè mi sembra di prendermi in giro, é passato davvero troppo tempo e nessuno riesce più a farmi innamorare. Sono diventata apatica nei sentimenti. Sono sicuramente meno coraggiosa e spaventata di soffrire ancora. Davvero sono stremata, non ne posso più. Pensare al nuovo anno, significa pensare a quello che devo affrontare e so di doverlo fare da sola. Qualche volta piango perché penso di non farcela poi mi ripeto che devo essere forte e che riuscirò… E così cerco di tranquillizzarmi. Dopo tutto veniamo al mondo da soli e ce ne andiamo da soli, non ho realmente bisogno di qualcuno per vivere anche se sono convinta che in due sia tutto più bello. Non mi ricordo più l’ultima volta che sono stata davvero felice. Tutti i bei ricordi che ho sono stati macchiati dagli sbagli successivi. Ogni uomo che ho incontrato, alla fine, mi ha delusa così tanto da riuscire a farmi ricordare solo le cose più dolorose. Sono stata sfortunata? É probabile. Non riesco a non incolpare anche me stessa, per aver creduto alle loro parole, per essermi lasciata andare, per aver ignorato i segnali di pericolo grandi quanti una casa. In fin dei conti, io volevo solo essere felice. Quanto costa a volte la felicità. Per averla faremmo di tutto, anche credere ad una Bella bugia. Questo anno è stato strano. Non so definirlo realmente. Sono cresciuta tanto e ho sofferto ancora di più degli anni precedenti. Il motivo? Perchè ho amato. Mi sono innamorata di nuovo e mi sono rimessa in gioco. Fallendo, alla fine. Credo sia un po’ il cerchio della vita: amare, mettersi in gioco e soffrire. Mi dispiace sentirmi un fallimento in amore. Mi dispiace non riuscire mai a realizzare il desiderio di amare ed essere amata. Vorrei potermi abbracciare. Dentro di me, la sento. La vedo chiaramente. C’è una bambina che sta lì tutta triste. Io vorrei solo poterle dire che non deve piangere, che non ha sbagliato nulla. Sono cose che capitano e se non capitano non si cresce. Non si cambia. Chissà se tutti gli amori sbagliati mi stanno preparando a quello giusto. Come farò a riconoscerlo? E soprattutto riuscirò a nascondergli quanto ho sofferto prima che arrivasse? Non voglio partire col piede sbagliato. Spero solo di non essere troppo provata, troppo compromessa per essere amata. Le delusioni sono state davvero tante e ogni volta è sempre più difficile ricucire il cuore. Non so nemmeno se ci sono mai riuscita veramente o se sono ancora intenta a rattoppare il primo squarcio di tanti anni fa. Quanto buio ancora devo affrontare prima di poter finalmente vedere la luce? Lo so che le stelle brillano nel buio ma se devo brillare solo al buio, allora non voglio più essere una stella. Io voglio essere un girasole. Voglio essere io quella illuminata dai raggi solari e voglio girarmi dove vedo la luce. Anche se mi accecherà, io voglio solo vedere la luce.
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E alla fine rieccomi, in questo posto dimenticato da Dio. Sono le 04:35 e non so per quale desiderio masochista mi ritrovo qui. Il solo vedere questi colori mi fa venire i conati, provo disagio, l'istinto sarebbe quello di premere la X per uscire immediatamente dalla pagina. Mi chiedo se davvero l'idea di sponsorizzare il mio OF su altre piattaforme fosse un alibi. Dovevo per forza trovare, alla fine di questa giornata, uno scossone. Qualsiasi cosa mi sarebbe bastata, di ogni forma o natura, pur di provare un'emozione. Ho aperto il sito, ho sentito una stretta allo stomaco ed ho infierito. Ho messo su Bavarian Fruit Bread di Hope Sandoval and The Warm Inventions, col tepore della stufa, da sola rintanata nelle mie crepe ed elemosinando un modo per non annaspare in questa vita. Neanche a dirlo che lo scossone mi pervade. Dicembre 2011. Stesso identico stato, condizione, vuoto, assenza. Stessa identica voglia di sentire, di riempire, di reagire. Ricordo tutto. Da quel periodo per quattro anni e più, questo spazio è stato la dimora di ogni mio sentire con post, foto e ricondivisioni compulsive fino al limite massimo giornaliero. Dovevo comunicare il mondo visto dalla mia prospettiva per poi sbirciare in quella altrui. Sono affezionata a quegli anni, a queste lande, ma non è stato semplice. La playlist va avanti: tra poco arriverà "Clear Day" e ho quasi l'ansia a pensare di doverla ascoltare. E' la mia traccia preferita ed è legata esattamente al ricordo del momento in cui mi ritrovavo nella stessa situazione di ora. La traccia è la numero 8. "L'8 rovesciato, coricato, crea un infinito". [Ed io pensavo "Si riposa, tanto ha tempo"]. Mi rendo conto che ho appena citato nel virgolettato la frase di un mio ex. Anzi no, mi rendo conto che di quel mio ex, verso cui provo un bene incondizionato, qui c'è ogni cosa. Tumblr, l'album, l'aneddoto sull'8 coricato, i miei devasti interiori, la ricerca della chiave per sbloccare questa situazione, la necessità di dover dire in qualche modo che non ho spazi per esprimermi e che molto probabilmente mai ci riuscirò perchè non posso comunicare esattamente ciò che sento. Le persone dovrebbero essere me e questo non è possibile. Eccola. A distanza di anni ancora mi dice come uno sputo in faccia che "Fuori è uno giorno limpido", nonostante tutto. Ed io incastrata fra quattro mura, sia reali che mentali, mi dispiaccio da morire per non aver dato modo, alla fine, all'Anna di 11 anni fa di continuare a mantenere vivi quei sogni in cui credeva. [E già l'Anna di quell'epoca aveva il cuore tramortito, lasciandosi morire di fame perchè non provava più nulla]. "Troverò i tuoi guai, li manderò via, ti farò sentire felice", continua. Trovo confortante sapere che al mondo ci sia qualcuno che vive quello che ormai penso di non poter più provare, nella fase più estrema della mia disillusione. Anzi, che ci sia non lo metto in dubbio, ma è molto difficile ora come ora pensare di poter affidare anche solo una minima parte di ciò che sono a qualcun altro. Ho il cuore inaridito. Questa è la verità. Non vivo più la vita come una volta, come nel 2011 o come un anno fa. Sono cambiata in maniera irreversibile e purtroppo non c'è modo di recuperare quei pezzi persi o distrutti nel tragitto. Scusa Anna, ti guardo nel mio passato e mi fai tanta tenerezza nel sapere com'è andata. Non ho avuto cura dei tuoi sogni. La playlist è finita da un po'. Non mi andava di sentire altro e quindi ho fermato la riproduzione. Forse ero qui davvero solo per sponsorizzare OF. Forse avevo bisogno di un momento di sfogo e ho creato questo post invece che pubblicare semplicemente delle mie foto seminuda ed amen [in un periodo in cui il sesso rientra poco e niente nella mia vita]. Sono le 05:50 ed è passata più di un'ora da quando ho iniziato a scrivere questo post. Chissà in quanto tempo si legge.
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Andiamo a rubare con Papero - Lezione 2 (parte 1) - Come diventare anonimi
A mio parere, questa è una delle lezioni che dovrebbe insegnare di più, a tutti, buoni e cattivi. La divido in due o anche in tre, per evitare di farla diventare troppo lunga. Se riesco, con i miei limitati mezzi, a trasmettervi a pieno il contenuto di questa lezione, Internet per voi non avrà più segreti, indipendentemente dal fatto che vogliate usarla come risorsa per aiutare il prossimo o per danneggiarlo. E lo farò utilizzando la storia di
Lapo Folletto e Joe Farina Doppio Zero
Come abbiamo visto nella scorsa lezione, usare il software giusto è importante, per rendere quanto più piccola possibile la nostra impronta, mentre gironzoliamo in giro per il webbe ed essere così immuni dal Traffico Scajola.
Facciamo finta che siamo diventati bravi ed esperti e siamo certi che, a fronte di una connessione che intendiamo creare, ne esiste davvero una e una sola.
Prima di iniziare, un piccolo glossario per la nostra storia.
Il casolare => il vostro PC
Lapo Folletto => voi utenti di Internet
Joe Farina Doppio Zero => il servizio al quale volete accedere (FB, il vostro pusher, quello che vi pare)
il postino Infamone Soffia, dipendente Telecómme => il vostro provider, che in gergo tecnico fa, in questo caso, da gateway
Mamma Santissima Inc. => azienda che fornisce servizi VPN
il postino Bellazio, dipendente della Raccomandami s.r.l. => provider della azienda che fornisce servizi VPN, il suo gateway
La nostra storia inizia con il signor Lapo Folletto, che abita nel casolare in via Garibaldi, 1000, Rispettabilandia (= indirizzo IP del signor Lapo), e ha bisogno di bamba da pippare, disponibile presso l’unico fornitore al mondo, il signor Joe Farina Doppio Zero, che vive in via Unatirata 22, Comecazzoveparistan (= indirizzo IP del signor Joe).
A Rispettabilandia sono tutte brave persone ed è vietato per legge vendere e/o pippare droga, mentre in Comecazzoveparistan, beh, lo dice il nome del paese stesso. L’unico modo che ha Lapo per comunicare con Joe è scrivere dei messaggi su un foglio, che consegna al postino Infamone Soffia, il quale poi provvede a consegnarli a Joe, che prepara il sacchettino e lo consegna al postino, che recapita il prezioso carico a Lapo. Cosa molto importante, il postino può leggere il contenuto del messaggio, sempre, e Lapo può solo parlare col proprio postino. L’obiettivo di Lapo è avere regolarmente la sua bamba ed evitare i perfidi sbibbi, che anche in questa storia fantastica sanno farsi voler bene.
Immaginate il casolare di Lapo come una casa con tantiiiissime finestre. E’ la prima volta che Lapo acquista la merce da Joe, quindi fa quello che faremmo tutti, ovvero scrivere il seguente messaggio (che a volte avete sentito chiamare col termine trasmissione in chiaro, ad esempio quando visitate un sito con l’indirizzo HTTP):
A: Joe - Via Unatirata, 22 - Comecazzoveparistan
Da: Lapo - Via Garibaldi, 1000 - Rispettabilandia
Caro Joe,
ti prego di mandarmi 2 gr. di bamba quella buona, non quella tagliata a cazzo di cane. Ho bisogno di tirarmi su e fatturare al TOP, con le pippate giuste andrà tutto alla grande!
A presto, Lapo
A questo punto, Lapo si affaccia da una finestra a caso e urla “AAAAA ‘NFAMONEEEE” (si chiama così, non lo sta insultando), “TIE’, RECAPITA QUESTO!”.
Il postino Infamone Soffia, un nome una garanzia, fa quello che prevede il suo lavoro, ma fa pure una soffiata alle Autorità di Rispettabilandia, che si presentano alla porta del povero signor Lapo.
Il nostro rispettabilissimo sig. Lapo finisce dentro, purtroppo.
E mentre è in cella riflette ... ma come cazzo hanno fatto a beccarmi? mmm ... Joe sta a Comecazzoveparistan, non gliene frega niente ... mumble ... è stata quella merda dell’Infamone!!! 🤬 Ha letto che volevo la bamba e mi ha cantato agli sbibbi! Quel figlio di puttana! ... Ho capito come fare! La prossima volta scriverò un messaggio in codice, così col cazzo che mi becca!
Motivato a tentare di nuovo, prova ad uscire dopo qualche mese, mettendo in scena un sequestro di persona per ottenere dei soldi e pagarsi la cauzione. Se fossimo in un mondo normale qualcuno gli risponderebbe col gesto dell’ombrello facendogli fare una figura di merda, ma siamo a Rispettabilandia e tutto è possibile, quindi Lapo torna a vedere la luce del sole.
Nel frattempo gli sbibbi gli hanno pure incul ... ehm ... sequestrato la bamba, quindi è costretto a comprarsene altra. Scrive un nuovo messaggio, stavolta più ambiguo (che a volte avete sentito chiamare col termine trasmissione criptata, ad esempio quando visitate un sito con l’indirizzo HTTPS):
A: Joe - Via Unatirata, 22 - Comecazzoveparistan
Da: Lapo - Via Garibaldi, 1000 - Rispettabilandia
Caro Joe,
scusa se non ti ho scritto di recente, sono stato fuori città, avevo bisogno di stare un po’ al fresco. Ho voglia di fare un dolce di quelli che vendono bene, e per la guarnizione ti prego di mandarmi 2 gr. di zucchero a velo, il migliore che hai. Con lo zucchero giusto, farò affari d’oro!
A presto, Lapo
e chiama, sempre da una finestra a caso, l'Infamone.
Il postino, che essere infami è più di un nome, è una scelta di vita, trasmette il messaggio e recapita un pacco con su scritto ZUCCHERO A VELO, e fa di nuovo la soffiata. Tanto per cambiare, fuori la casa di Lapo ...
Il nostro Rispettabilissimo finisce di nuovo dentro, aripurtroppo.
E mentre è in cella riflette ... ma come porcaputtanaetroiamaiala hanno fatto a beccarmi? mmm ... Joe sta a Comecazzoveparistan, e continua a non fregargliene ... mumble ... è stata quella merda secca e lurida dell’Infamone!!! 😡🤬💣🔪 Ha visto l’indirizzo di Joe, e non ci è cascato!!! Maledetto, già alle elementari faceva il soffia con le maestre, bastardo infame!!!
Ritornato a casa dopo un anno (saremo pure a Rispettabilandia, ma fessi per due volte di fila anche no), Lapo è disperato, sa che come appena ci prova, all’Infamone basta guardare l’indirizzo di destinazione e fare la soffiata agli sbibbi con il suo indirizzo sorgente, anche se sul messaggio scrivesse soltanto salutem ‘a soret, tanto basta per metterlo dentro. E poi gli sbibbi gli hanno di nuovo incul ... ehm ... sequestrato la bamba.
Un bel giorno, tra la pubblicità nella cassetta della posta, trova un volantino della Mamma Santissima Inc.:
Problemi con l’Infamone? Tranquillo, garantiamo noi anonimità e sicurezza! Chiamaci! Con pochi euro al mese, potrai scrivere a chi vuoi, senza preoccuparti di essere cantato!
Lapo fa i salti di gioia, finalmente potrà tornare a pippare, in culo all’Infamone e agli sbibbi!
Chiama il Call Center della Mamma Santissima Inc., risponde stranamente una persona con uno strano accento siculo.
MS: Non se preoccupi, ci pensiamo noi a vossiiiia. Scriva pure il suo messaggio, ma lo chiuda con questo lucchetto e lo spedisca a noi. Ci occupiamo poi noi di quel fetuso! Baciamo le mani!
Lapo: Ma è legale da voi comprare la bamba?
MS: Minchia, legale é ... più o meno ... fidarsi deve, picciotto, ga-ran-ti-to!
Lapo è al settimo cielo, anche solo per la goduria di metterlo a quel posto al postino (scusate il gioco di parole). Sottoscrive felice un contratto con la MS e riceve lucchetto e chiave.
Prepara un nuovo messaggio, usando quella che, comunemente, viene indicata come trasmissione tramite VPN:
A: Mamma Santissima Inc. - Via Arancin*, 70 - Paaalemmmo
Da: Lapo - Via Garibaldi, 1000 - Rispettabilandia
**** SE NON HAI LA CHIAVE *****
schemo chi legge
***** SE HAI LA CHIAVE *****
A: Joe - Via Unatirata, 22 - Comecazzoveparistan
Caro Joe,
finalmente mi son levato dalle palle quel pezzo di merda dell’Infamone, quel figlio di una grande bagascia mi ha messo al gabbio, e come cazzo facevo a scriverti? Mandami subito, e dico SUBITO, 4 gr. di bamba come cazzo è è, perché è un anno e un mese che non pippo, e sto andando fuori di testa. MUOVITI!
A presto, Lapo
********************************************
Trionfo del fatto di farla franca, urla da una finestra a caso
MUUUAAAHAHAHAHA AAAA ‘NFAMONEEEEE, TIE’, CONSEGNA STO’ MESSAGGIO!!!
Il sig. Soffia stavolta è sorpreso, Lapo scrive alla Mamma Santissima Inc., una azienda nota a livello mondiale per la sua correttezza, trasparenza e professionalità. Nel messaggio, non avendo la chiave che apre il lucchetto, riesce solo a vedere un criptico scemo chi legge. Altro non può fare che consegnare il messaggio alla reception della MS, dove trova un signore poco cordiale che gli fa:
CHE MINCHIA VUOI, AAAHH?? FATTE LI CAZZI TUA, SE CI TIENI ALLA FAMIGGHIA!
La Mamma Santissima Inc. riscrive il messaggio:
A: Joe - Via Unatirata, 22 - Comecazzoveparistan
Da: Mamma Santissima Inc. - Via Arancin*, 70 - Paaalemmmo
Caro Joe,
finalmente mi son levato dalle palle quel pezzo di merda dell’Infamone, quel figlio di una grande bagascia mi ha messo al gabbio, e come cazzo facevo a scriverti? Mandami subito, e dico SUBITO, 4 gr. di bamba come cazzo è è, perché è un anno e un mese che non pippo, e sto andando fuori di testa. MUOVITI!
A presto, Lapo
Un dipendente milanese, assunto dalla sera alla mattina chissà come, chiama il postino da una finestra dell’azienda a caso
ooooohhhhh Bellazio! C’è da consegnare un messaggio, figa!
Il postino Bellazio, che lavora esattamente come l'Infamone, ma gliene fotte solo del 27 del mese, si fa i cazzi suoi e fa le sue consegne.
Joe è un po’ perplesso, scrive un certo Lapo che gli ricorda qualcuno, ma il messaggio arriva da questi tizi di cui non ha mai sentito parlare. Ma sa che tanto basta che lo pagano, sticazzi di chi scrive, e fa il suo lavoro. MS, una volta ricevuta la merce, la rilucchetta, ci scrive sopra coglione chi annusa, e la riconsegna all’Infamone, che altro non potrà fare che consegnarla a Lapo, visto che è un pacchetto che arriva nientepopodimenoche dalla rispettabilissima e onorata MS, conosciuta anche presso gli sbibbi come onestissima e integerrima, e non gli va di leggere l'etichetta senza lucchetto, per evitare di fare la fine di scemo chi legge. Lapo ha la chiave per aprire il lucchetto, e finalmente si BAMBA! 🥳
Lapo è una persona felice. Per mesi parla con Joe tramite la VPN ... ehm ... tramite la MS, pigliando per il culo l'Infamone e pippando con regolarità.
Però, un brutto giorno ...
#alla prossima puntata#per chi vuole provare ad indovinare gli ask sono bene accetti#non rovinate il divertimento#che è il cugino dell'apprendimento#andiamo a rubare con Papero
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“他才华横溢, 真是浪费!”
Si tratta sempre di riiniziare da qualche parte, anche quando non pensavi. Do la notizia al telefono a mio fratello, che finirà disoccupato a fine mese, e mi risponde “vabbè che ti aspettavi, tutti stanno perdendo il lavoro, non so se hai capito che sta succedendo”. Certo che l’ho capito per questo mi scazza perdere il lavoro non per quello che accade sul pianeta, ma per qualche cazzata, errore di calcolo, fatta in precedenza nel mio ufficio. Mi piaceva il mio lavoro. Non era il lavoro della vita, ovviamente, ma io cosa volessi fare nella vita non l’ho mai capito. Quindi ci stava anche affrontare cose casuali. Mi piaceva l’essermelo costruito attorno ai miei bisogni. Guardavo le serie tv quando non c’era nessuno in ufficio. Ho guardato così tanta merda e così tanti capolavori da non avere più memoria, quasi, da non riuscire più scindere tra giusto e sbagliato. Mi manca tantissimo Louis C.K. Mi manca la persona che ero prima che lo scandalo lo colpisse e che tutto quello che gli ruotava attorno cambiasse. Sono anni che cerco di formare un’opinione decente riguardo l’argomento arte/artista e non ci sono ancora riuscito. Una delle serie che più mi ha impressionato era proprio Horace and Pete. La sto guardando nuovamente quattro anni dopo, forse perché quattro anni fa era l’apice della mia carriera in quell’ufficio, quando mi sentivo invincibile e avevo tutto quello che volevo. Era domenica, una riunione speciale solo io e il mio capo, sentivo nell’aria che qualcosa non andava perché non sono idiota totalmente ma non mi aspettavo la notizia che stavo per ricevere. Sette anni là dentro e scoprire di essere una spesa che non si può più sostenere. Una spesa. Mi è stato anche detto quanto costo sul bilancio. Non me la prendo, ho superato le varie fasi del lutto. È solo questa piccola rabbia mista delusione quando ti ritrovi ad aprire il file curriculum che non aprivi dal 2014. E adesso che cazzo faccio? La cosa che mi infastidisce di più e sentirmi ripetere “ma stai tranquillo hai così tanto talento che troverai subito qualcosa” ma di preciso cosa? Non l’ho mai saputo cosa cazzo volevo fare. Mai. Ho sempre iniziato a lavorare casualmente da qualche parte e poi imparavo e miglioravo e crescevo e cresceva tutto l’ambiente e usavo le mie capacità per creare e assestarmi e poi puff. Fine. Questa volta non è come col museo, lì volevo cambiare, volevo lasciare l’Italia. Questa volta sono più stanco. Molti anni più stanco. Giovane abbastanza per sentirmi costretto a non gettare la spugna, perché ho così tanto talento da investire in direzioni inutili e sconosciute che chissà cosa potrei farci. Odio i cambiamenti. Sarei potuto andare avanti per secoli a convivere con la mia ex dopo che era finita solo per non dovermi cercare un altro appartamento. Sicuro è per questo che ci sono ancora dentro, completamente solo. Perché non mi piace cambiare. Esistono gli adblocker per le pubblicità su youtube ma io non li installo perché non voglio cambiare, ho paura youtube si offenda. Continuo ad andare nello stesso bar dove nessuna delle bariste alla fine me l’ha data perché non voglio cambiare. Mi manca Louis C.K. Non ci posso fare nulla. Di recente ho scoperto questo canale di interviste girate negli anni 70 in America da un certo Dick Cavett e in una partecipa Salvador Dalì. Era il mio eroe quando frequentavo il liceo. Beh non l’avessi mai guardata. Mi diceva la prof dell’epoca che era un coglione ma non volevo crederle e invece aveva ragione alla grande. Era davvero un immenso coglione. Voglio appaia sul mio nuovo curriculum, sotto i titoli di studio: immenso coglione. Tributo ai miei idoli di infanzia e a quelli contemporanei. Questa volta è diverso e devo cambiare sul serio, andare avanti per inerzia come ho sempre fatto non credo funzionerà. La persona che ero prima dello scandalo Louis C.K. (eccomi ancora qua, un uomo che parla di quello che ha fatto un altro uomo senza preoccuparsi di quello che hanno passato le vittime, ogni volta che apro un pensiero vengo inscatolato in un altro pensiero dove cerco di comprendere le sensazioni contenute e le conseguenze di tutto ed è un circolo infinito, ragiono su i sensi di colpa, miei e degli altri, sulle colpe vere, su quello che potevo fare e che avrei dovuto fare e su come dovrei comportarmi in futuro per non commettere ancora gli stessi errori e penso anche alle vittime delle mie indecisioni e poi sento una voce fuori da tutte queste scatole che mi urla MA SMETTILA DI CREDERTI COSÌ IMPORTANTE NON VALI UN CAZZO però so che non è così, so quanto valgo, me l’ha detto in faccia il mio capo prima di licenziarmi conosco la cifra esatta del mio valore sul mercato) (mi sono perso, volevo solo dire che è un circolo infinito e cerco sempre di lasciare spazio a tutte le voci possibili dentro la mia testa e finisco a non capire un cazzo e rinchiudermi in una scatola ancora più piccola lontano da tutto) era una persona che riusciva a vedere del buono in se stessa, forse per arroganza, o per sentito dire. Lo sento molto dire negli ultimi tempi, il “non sei una persona orribile” e sono felice gli altri la pensino così. Nel curriculum metterò le valutazioni di chi mi conosce. Mamma: 5 stelle, ragazzo pulito e ordinato mi aiuta sempre a sistemare gli armadi e spostare le cose. Fratello: 4 stelle e mezzo, inaspettatamente si è rivelato un ottimo zio. Condivide sempre i videogiochi. Padre: 5 stelle, perché mi somiglia ma ha più capelli. Qualche ex: 3 stelle e mezzo, pene modesto ma di aspetto grazioso, prepara sempre la colazione, una volta finita ti lascia in pace ma continuerà a scrivere canzoni e post lunghissimi su di te. Barista di fiducia: 4 stelle, ottimo cliente, non beve più come una volta ma porta allegria nell’ambiente, non dategliela se volete più mance. Ospedale di Vienna: 3 stelle, buon paziente, impegnato in diversi reparti, arriva sempre puntuale, non si è ancora capito cosa abbia di sbagliato, enigmatico ma sorridente. Avrò molto tempo per pensare. Per provare a crescere una volta per tutte. O forse no. Una grandissima parte di me vuole calcolare il minimo necessario per sopravvivere mentre resta stesa sul divano a sfondarsi di videogiochi e dimenticarsi come si parla. Un passo avanti sarebbe smettere di credere a tutte quelle cose che mi dicevano da piccolo, che devi sistemarti, mettere su famiglia, trovare lavoro, trovare una mansione in cui eccelli e portarla con te fino a che non ne sarai esausto e prossimo alla morte e allora ti daremo un piccolo stipendio con il quale potrai fare la spesa una volta in settimana e dividerla con la persona che hai scelto per farti compagnia fino al giorno in cui uno dei due non proporrà il rewatch di qualche vecchia serie tv di cui ti eri quasi completamente dimenticato e allora ti ricorderai come era bello avere speranze e un internet veloce. C’è del buono in me. In una qualche scatola nascosta nel mio cervello. Ci sono molte scatole più grandi ricolme di merda e forse è per questo che è difficile trovare la scatola con scritto a penna “del buono”, ma c’è, ne sono sicuro. Mi immagino la lettura di questo post al mio prossimo colloquio. - E insomma, questo sono io! - Ehm, ok. Non capisco perché ci abbia detto tutto questo ma se è interessato il lavoro come scopettino del cesso umano può essere suo a partire da lunedì. - Yupiiiiiiii Non è vero. Farò qualcosa di grandioso. Me lo sento. Probabilmente mummificarmi sul divano con la console ancora accesa e una visita guidata in stile Pompei mi indicherà, un cumulo di turisti cinesi scatterà foto e qualcuno dirà “他才华横溢, 真是浪费!” (“Aveva così tanto talento, che spreco!”) e allora mi alzerò e nelle urla generali ammazzerò tutti.
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Vaccino? E io che ne so!!
Buonasera Doc!!
La mia ragazza, chiacchierando, mi chiedeva se fosse ok fidarsi di un vaccino “con così pochi mesi di test”.
E lamentava la frustrazione di non avere la conoscenza sufficiente in materia per capire di quale fonte online fidarsi per provare a documentarsi un minimo.
Niente negazionismi eh… Solo “umani” dubbi e preoccupazioni su un tema sia socialmente importante che personale ma anche complesso da capire.
In caso avessi già scritto qualche riflessione sul tema, posso chiederti di riproporre il link del post? Le domande sono le solite… Come funzionano e quanto sono sicuri questi tre vaccini (for dummies)? Quali sono le procedure di sicurezza nel progettare un vaccino?
La butto li: #vaccinofordumies
Immagino che nei prossimo tempi il tema “vaccino” sarà (purtroppo? per fortuna?) di grande attualità.. Se i vien voglia di mettere in fila i tanti spunti che tu ed altri proponete sul tema… credo che molti li leggerebbero con attenzione e fiducia!!
Grazie mille per tutti gli sbatti che ti fai! :)
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Gli sbatti che mi sono fatto e che mi sto facendo (peraltro in modo volontario, come il protagonista de L’Entrangèr di Camus) mi stanno facendo arrivare a una conclusione che non vi piacerebbe ma parlarvene o meno in questo post dipenderà da come mi si svilupperà in testa.
Intanto adesso vi spiego come funziona il vaccino anti-Sars-CoV2.
Anzi, no, non ve lo spiego... avete presente Morpheus che fa il pippone a Neo con la pila in mano? Vi pare che gli abbia spiegato Matrix com’è nato? Come si è sviluppato? Quali sono le sue infrastrutture, dove sono i server, da dove trae il nutrimento per gli umani e mille altri tecnicismi che potrebbero far costruire alle sorelle Wachowski un grattacielo di mazzette di dollari con dieci stagioni di Matrix 3.0 re-reloaded?
No.
Siete pile, Matrix è cattivo, distruggetelo.
Idem i vaccini.
Potrei iniziare a informarmi nel dettaglio adesso, finire tra qualche mese e sapere poco più del nome del magico piccione viaggiatore che vi porta l’internet dentro il vostro computer o il vostro smartphone.
Voi potete fare un’unica cosa: FIDARVI CIECAMENTE OPPURE NON FIDARVI.
Ed entrambe le opzioni sono parimenti valide, facilmente difendibili con i pochi strumenti che avete a disposizione e, come ogni argomento fuori dalla vostra specifica sfera di competenze, plasmabile e adattabile al vostro modo di vedere e interagire con la realtà.
Se siete degli odiatori a prescindere il vaccino vi fornirà un motivo per disprezzare chi ne promuove l’efficacia o chi la nega, se siete dei pessimisti finirà male nonostante il vaccino o proprio a causa di questo, se avete paura della Morte questa cambierà vestito e continuerà a farvi visita per tutta la vita, prima mascherata da sintomo cercato su Google, ora da Covid e poi chissà cosa pescherà da suo guardaroba.
Quindi, lo dico adesso e poi cercherò di non dirlo più.
Tra poco è Natale e gli antivaxxer stanno ricevendo in regalo una confezione da mille di compresse di Viagra e un vibratore Mandingo Deluxe Bisex per sollazzarsi e se volete difendere uno dei nuovi vaccini in arrivo vi avverto che lo dovrete fare credendoci fideisticamente per contrapposizione e capendone una cagatina di cimice poco più di loro.
Io, se volete, posso anche SEMPLIFICARVI alcuni meccanismi di farmacocinetica e di farmacodinamica (e lo farò volentieri) ma sarà poco più che dirvi che tipo di becchime spargere attorno al vostro computer e al vostro telefono affinché il magico piccione dell′internet vi faccia visita.
P.S.
Ah, già... la conclusione.
Morirete tutti.
Soli o circondati da persone che vi amano. Nel vostro letto o in un fosso, tra lamiere accartocciate e in fiamme, in una terapia intensiva o in un campo di grano senza rosa o tulipano. Stanchi di essere stanchi o col sogno di una vita a un passo dal realizzarsi... come tutti e 108 i miliardi di Homini sapientes che dal 50.000 a.C. hanno creduto di essere singolarmente speciali e che il loro momento storico fosse il più importante.
Avete creduto che vi sareste meritati per sempre il meglio della vita solo perché avete avuto la fortuna di nascere nella parte privilegiata del mondo e ribadisco FORTUNA... non merito, premio, medaglia, eredità o conquista. CAZZO DI FORTUNA.
Siete il cugino emigrato a Milano che a Natale vi sbatte in faccia quanto sia difficile avere a che fare con dei dipendenti che non hanno voglia di lavorare e sottolinea la cosa facendo tintinnare le chiavi del suo Maserati.
I vecchi moriranno e i giovani sopravviveranno loro, come da ben più di 50.000 anni a questa parte.
E non c’è una sola vostra argomentazione, conclusione o affermazione che mi tolga dal cuore la logorante impressione che alla fine, se voi siete in salvo, l’unica cosa che conta è che gli altri muoiano lontano dalla vostra vista senza incadaverarvi il giardino.
Badate invece di decidere bene cosa fare con il tempo che vi è stato concesso, di enumerare due volte le vostre fortune e di condividerne il doppio con il doppio delle persone di ieri.
Certo così non prolungherete la vostra data di scadenza ma perlomeno non morirete nella paura in cui ora state vivendo.
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Piastrellato ROSA
Fine ottobre, forse già Novembre. Sono per le strade intorno al mio quartiere, a Milano, che cammino con una giacca troppo leggera, i pantaloni della tuta e sotto solo una magliettina, per farmi sbollire l’incazzatura. E’ sera, inizia a fare freddo, e io parto da isola e inizio a camminare, cammina cammina, spingendomi sempre più in là, fino a quando la città diventa diversa, i palazzi si allontanano tra loro e in giro ci sono solo persone come me, pazze e sole. In Viale Valtellina a un certo punto riconosco l’Alcatraz, mi fermo pensando a tempi migliori in cui mi ci ero divertito un sacco, poi proseguo incuriosito dalle stranezze della via, tipo un palazzo piastrellato in ROSA, o alcune voragini aperte tra gli edifici in vista di nuove costruzioni che con sto covid chissà quando verranno terminate. Mi sento un po’ umarell.
A pochi passi da questo palazzo rosa, davanti a un palazzotto in vetro e acciaio, c’è una costruzione molto più anonima con davanti una di quelle postazioni comunali con le bici. E appoggiato alla postazione scorgo un ragazzo; sembra giovane, ha il telefono in mano e dà l’idea di essere un “bullo”. Sembra stia aspettando la ragazza sotto casa per farci un giro, tipo quando sei adolescente e ti infratti per un pompino o cose così. Ha una giacca di pile troppo leggera e pantaloni della tuta, pure lui, che sembrano fatti apposta per tirare giù l’elastico e far scavallare il cazzo teso.
Lo guardo, perchè purtroppo quando uno mi piace non riesco a fare a meno di mangiarmelo con gli occhi, e pure lui mi guarda con fare interrogativo. Decido di proseguire, e di nuvo mi perdo in mille vie, viali e viuzze, senza mai sapere bene dove mi trovo perchè la geografia di Milano non mi entra in testa, non è un bel reticolo come Barcellona, non è a cerchi concentrici come Amsterdam, o meglio lo è ma i cerchi sono inframmezzati da troppi viottoli casinari. Miei unici punti di riferimento sono i luoghi che vedo camminando: una banca, un palazzo, una casa che avevo visitato quando ancora ero alla ricerca... cose così.
Dopo una mezz’ora buona passo vicino a un’Intesa San Paolo (credo) con tanto di fontana, mi giro e mi rendo conto di essere a 100-150m dal punto in cui ho visto quel bel ragazzo. Inizialmente scrollo le spalle e proseguo, ma poi come una forza invisibile mi fa girare e tornare verso quel posto, senza nessun intento preciso, sicuro di non trovarci più nessuno. E invece eccolo lì, che mi vede ripassare nella direzione opposta, di nuovo guardandolo, con ancora più insistenza.
Anche lui mi sta guardando, sempre con una espressione stupita/divertita negli occhi, sempre con il telefono in mano. Come ho già fatto mille altre volte nella vita decido di essere sfrontato, lo supero e mi giro di continuo a guardare. Lui mi sta ancora fissando, io proseguo per una ventina di metri, sempre girato all’indietro verso di lui che mi guarda interrogativo. Poi mi fermo, mezzo coperto dal tronco enorme di un albero del viale. Non c’è quasi nessuno in giro, poche macchine che passano; mi metto in modo che lui mi veda parzialmente, quando lo decido io, e che nel frattempo mi vedano anche le auto in marcia, nel caso la situazione si facesse rischiosa. Per ora è solo eccitante.
Ora ci fissiamo a distanza, lui sta iniziando a fare gesti con viso e mani tipo “cazzo vuoi?”, io lo guardo insistentemente, e con la testa gli faccio segno di avvicinarsi. Ho paura in quel momento, ma sono in un posto abbastanza aperto, posso scappare, farmi vedere... chi lo sa. Lui non se lo fa ripetere due volte, e io faccio un passo verso la carreggiata delle auto, per non restare nella mezz’ombra. Quando è vicino mi dice “COSA VOI?” con un forte accento straniero. Visto in azione forse non è bello come mi pareva, ha un po’ di panciotta da adolescente, e è un po’ più basso di me. Però ha questa faccia un po’ balcanica, ipotizzo potrebbe essere Rom, e un’espressione strafottente.
Gli dico che non voglio niente, ma lui non ci crede: “SE VOI QUALCOSA DIMMI”
- tipo cosa?
-QUELO CHE VOI!
-...tipo potrei farti una sega
- SI VA BENE ANDIAMO!
E così iniziamo a passeggiare senza meta, con lui che mi dice di essere etero ma di andare per soldi con uomini e mi chiede se ho qualcosa per lui. Io sono sinceramente convinto di essere uscito senza soldi, e gli dico che ho solo qualche monetina, ma lui non se ne va, anzi mi cammina sempre più vicino. Nell’imbarazzo generale ricordo di aver messo nella tasca interna un 20euro che mi han dato di resto, e per rompere il ghiaccio (non ho mai pagato nè contrattato nulla di tutto ciò, non so come si faccia nè sono interessato a farlo) glielo sventolo davanti e gli dico che ho solo quello. Lui tutto contento mi dice che va bene, che ci possiamo divertire, e continuiamo a camminare in cerca di un posto.
Io in realtà sono un po’ preoccupato, nel mondo dei sogni avrei fatto di tutto in mezzo alla strada con un ragazzotto etero ed eccitato, nella vita reale sono ipocondriaco e voglio vederci chiaro, quindi sto all’erta e mi dico da subito che al massimo gli farò una sega. E poi mi fa strano la cosa del pagare, è come se mi trovassi in un sogno e volessi vedere dove si va a finire, qualsiasi cosa è meglio della prostrazione psicologica e fisica che mi ah portato ad uscire di casa senza soldi, senza telefono, poco vestito.
Lui comunque è simpatico, parla abbastanza bene l’italiano, dice di avere 18anni, di essere turco, di essere arrivato in italia da un annetto con genitori e nonni. Non studia ma durante il giorno fa il dogsitter, e la sera verso le nove si mette in strada e vede di arrotondare. Sei gay? Bisex? NO, ETERO, MA NON HO RAGAZZA. Usi il preservativo? NO, e alza le spalle.
Per un po’ giriamo nelle vie intorno a Viale Valtellina, ma c’è sempre qualcuno, magari qualche sbandato seduto per terra, o luci accese nelle case di fronte. A un certo punto mi tocca il culo, mi si avvicina da dietro e mi sussurra entusiasta “MI PIACE SCOPARE”. Però se gli tocco il pacco non sento granchè duro. Alla fine gli viene in mente un parcheggio isolato, proprio dietro a quel palazzo di vetro e acciaio, dove tra l’altro ero già passato prima. Ci mettiamo sotto a un albero, in piedi. Gli apro la zip della felpa di pile e mi scaldo contro il suo panciotto. Lui tira fuori il pisello che ora è ben duro: nulla di che, saranno 12-13cm. Non voglio baciarlo, gli lecco solo un po’ il collo e sento un odore che non capisco se è il suo, di maschio poco lavato, o se è il mio, di sudore, lacrime, moccio colato ovunque mentre ero in casa e urlavo come un pazzo al telefono. Non è sgradevole, ma non voglio troppo contatto. Lui cerca di mettermi le mani nelle mutande ma glielo impedisco, prendo in mano il suo pisello e lo sego lentamente, mentre lui si lamenta, dice che mi vuole scopare, e mi stringe a sè.
Sego per un po’ ma oggettivamente sopno già stufo del giochino, già appagato di aver trovato un per strada e avergli visto il cazzo, senza app di mezzo, così per un colpo di fortuna. Lui mi prega di inginocchiarmi e succhiarlo, almeno di bagnarglielo un po’, perchè è tutto secco, e io mi inumidisco la mano e lo lubrifico con la mia saliva segandolo. Lui apprezza molto, è duro come non mai, mi dice che una volta verrà a casa mia e mi scoperà duro, e io annuisco distrattamente, in realtà a casa vorrei già esserci, non ho più voglia di stare lì, mi fa fatica anche l’idea di dover camminare indietro.
A un certo punto ritiro fuori i 20 euro dalla tasca, glieli dò:
-Dai grazie, per me stasera è abbastanza, ci si vede
Me ne vado, lui mi dice di dargli il numero, ma non esiste proprio allora mi dice di ripassare dilì, perchè lui tutte le sere sta in quel posto, ma io mi sono già girato con un cenno di saluto.
Lì per lì non mi ha fatto nè piacere nè dispiacere questa esperienza: ero molto triste, lo ero da tempo e lo sono stato ancora per giorni, ma almeno per una mezzoretta avevo pensato ad altro. Oggi se ci ripenso ho sentimenti contrastanti, per lo più mi eccito, ma non credo lo rivedrei.
#storie
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Un’avventura e una nuova famiglia
Un’avventura e una nuova famiglia
Era una mattinata gelida ad Arbora, e in una cavità di un albero nel fitto del bosco, un piccolo Pichu si stava svegliando. Aprì gli occhietti ancora cisposi e stanchi. Per lui dormire era diventato sempre più difficile da alcuni mesi. "Pichu" disse, che significava: "Buongiorno a me." Era un saluto triste, ma l'unico che poteva darsi. Non c'era nessuno, lì intorno, a parte tantissimi insetti che facevano sentire i loro versi. Pichu vide una farfalla e prese a inseguirla, ma questa fu veloce e non si fece prendere. Uffa, non poteva nemmeno giocare. Tornò nella sua tana e scoprì, come sempre, che la mamma non c'era. Era morta. Il Pichu guardò se aveva qualcosa da mangiare, ma non possedeva più nulla. Le scorte di cibo che si era fatto per l'inverno erano finite e ora doveva andare a cercare qualcosa. Nonostante il freddo, ad Arbora crescevano molti frutti, ma prima c'era una cosa che doveva fare. Si avvicinò a una pietra. Lì sotto giaceva sua madre. Mamma Dragonair, un'amica della mamma di Pichu, l'aveva seppellita e lui e Dratini, il cucciolo di Dragonair, giocavano spesso insieme. "Buongiorno, Pichu. Come stai?" gli chiese mamma Dragonair nella loro lingua. Diversa per ogni Pokèmon, chiaro, ma fondamentalmente fatta di ripetizioni dei loro nomi, a volte spezzati, e altri versi, che nel caso di Dragonair e del suo piccolo non erano che mormorii. Lui abbassò lo sguardo e lei gli si avvicinò. "Lo so che ti manca la tua mamma" gli disse con dolcezza. "Ma lei vorrebbe che tu fossi felice." "Non lo sono. È passato poco tempo. Non ho nemmeno un allenatore" disse il piccolo, triste. "Hai bisogno di qualcosa? Hai mangiato?" "No, ma me la caverò. Dov'è Dratini?" "Sta dormendo. Se non hai bisogno di me, io torno da lui." "Vai tranquilla, a dopo." Il piccolo camminò nella neve fresca, caduta quella notte. Gli piaceva correrci in mezzo, perché adorava il suo rumore ovattato. Arrivò davanti a un melo e, deciso a cogliere uno di quei succosi frutti, provò ad arrampicarvisi. Fu difficile, doveva stare attento a dove metteva i piedi, ma ci stava riuscendo, finché… boom, cadde giù dall'albero finendo con il sedere, e per fortuna non la testa, per terra. Rise di se stesso e riprovò, ma prima di salire sbatté la testa contro l'albero. Si mise una zampa nel punto che gli faceva male e andò nel ruscello lì accanto a rinfrescarsi la testa. La mamma gli aveva insegnato a fare così quando prendeva una botta, in quel modo non si sarebbe formato un bernoccolo. Il pensiero della mamma lo turbò talmente tanto che non volle nemmeno giocare con Dratini, che intanto si era svegliato e, senza aver mangiato niente, si ritirò nella sua tana. Se avesse trovato quel maledetto Skunkay, non sapeva cosa gli avrebbe fatto. Anzi sì, gli avrebbe tirato una scossa talmente forte da scioccarlo e così sarebbe stato libero da lui e dal suo veleno. Ma no. No, lui era solo un cucciolo, non era vendicativo né forte come uno Skunkay adulto e non voleva nemmeno vendicarsi. La vendetta non serviva a niente, avvelenava soltanto l'anima, gli aveva detto sua madre una volta. Lui non aveva capito cosa intendesse, e ancora non comprendeva, ma se la mamma gli aveva insegnato a non odiare e a non portare rancore, lui l'avrebbe fatto. Uscì dalla sua tana quando, per la fame, non ne poté più, e rinunciando alla mela si nutrì di alcune fragole che, stranamente, ad Arbora crescevano tutto l'anno, poi tornò indietro. Se non ci fosse stata mamma Dragonair, sicuramente il piccolo si sarebbe lasciato morire. Non aveva più la mamma, che senso aveva vivere? Certo ora non stava vivendo, sopravviveva, ma era abbastanza. Trascorsero alcuni giorni e Pichu conduceva la sua vita come sempre. Giocava con Dratini, anche se non era allegro come un tempo, e aspettava. Aspettava che un allenatore lo trovasse. Lui lo cercava, girava per la foresta, ma quelli che incontrava avevano già tanti pokémon o, a detta loro, non erano interessati a prenderne uno così piccolo. Durante una delle sue passeggiate, Pichu si affacciò alla cavità di un albero. Era vuota, forse la tana di qualche animale. Era stanco per il troppo camminare e decise di entrarci per fare un sonnellino e riscaldarsi, ma quando si svegliò non riuscì più a uscire. Era incastrato. Gridò e gridò, ma non venne nessuno. Mamma Dragonair era troppo lontana per sentirlo. Da un'altra parte della foresta, una ragazza stava mettendo in ordine le sue sfere Poké in uno zaino. Si sistemò i capelli castani dietro le orecchie. Adorava lasciarli sciolti, ma a volte le davano fastidio. Era non vedente e per questo aveva affinato le sue abilità di tipo psico. Con il suo udito fine riusciva a catturare i Pokémon e con il bastone bianco si muoveva per la foresta, rendendosi conto degli ostacoli. All'inizio i suoi pokémon avevano avuto paura del bastone, ma poi ci si erano abituati. "Andiamo" disse Julie, mettendosi lo zaino sulle spalle dopo averlo chiuso. Era un'allenatrice molto brava. Vinceva spesso le battaglie e aveva catturato già ben quarantacinque pokémon. Voleva bene a tutti come fossero stati suoi figli. "Pichu! Pichu!" sentì gridare in lontananza. Forse un pokémon era in difficoltà e lei, pronta a dare sempre una mano tanto alle persone, quanto agli animali, quanto ai pokémon, prese a correre, per quanto il terreno accidentato e il bastrone glielo permettessero. "Pichu! Pichu pi!" Era anche una capo palestra, e battendo lei un allenatore otteneva una medaglia, di nome Idea, a forma di lampadina accesa. Ma tutto questo ora non le interessava. Corse e corse, passando a pochi centimetri da uno stormo di uccelli che volava basso. Attraversò un ruscello che, purtroppo, non aveva un ponte e si infangò le scarpe e le calze. Poco importava , si sarebbe cambiata una volta tornata alla sua palestra. Era sempre più vicina al pianto. "Pichu! Pi!" Poi quel grido si fermò. "E adesso che faccio?" chiese Julie. Ascoltò. Sentiva solo insetti e uccelli, nient'altro. Avanzò lentamente, cauta, ma scivolò su un sasso e rischiò di cadere. Il pianto riprese, più forte e straziante che mai, e alla fine anche arrabbiato. All'inizio Julie pensò che si trovasse su un albero, ma ben presto trovò la cavità dov'era incastrato. "Aspetta piccolo, ti aiuto io" gli disse, tirando più forte che poteva. Riuscì a farlo uscire. "Pi?" chiese il cucciolo. Quell'umana - almeno credeva si trattasse di una specie del genere, non avendone mai vista una – lo incuriosiva e lo confondeva al contempo. Non sapeva come muoversi, né come fare per ringraziarla per l'aiuto. "Ciao, piccolo!" esclamò la capo palestra con la voce più dolce che poté. Il cucciolo indietreggiò alla vista del bastone. La ragazza se ne accorse dal suo movimento e lo chiuse subito. "Non voglio farti del male, solo giocare con te, se lo vuoi." Il Pichu si avvicinò a passi lenti e lei lo accarezzò. Il suo pelo era corto ma morbido. Doveva farci amicizia prima di catturarlo. Lei amava e rispettava i Pokémon, e non c'era stata nemmeno una volta in cui avesse mancato di rispetto ai suoi. Prima li conosceva, poi, con il loro permesso e grazie alle sue abilità telepatiche, li catturava. "Come stai?" gli chiese. Come se avesse capito, lui disse un: "Pichu..." dal suono molto triste. "Che succede, piccolo? Hai fame?" Estrasse dalla tasca dei pantaloni alcune more e gliele offrì dalla sua mano. Lui mangiò, ma continuò a mantenere quell'espressione. "Che cosa ti è successo?" si chiese Julie fra sé e sé. Gli mise una mano sulla fronte e tutto le fu chiaro. Quella sera pioveva e Pichu e la sua mamma uscirono per cercare qualcosa da mangiare. A loro non piaceva bagnarsi, ma purtroppo il tempo era quello. Trovarono dei lamponi e dei mirtilli e tornarono alla loro tana sazi e con un ricco bottino. Ma ad aspettarli c'era uno Skunkay, che attendeva nell'ombra. Uscì solo quando li vide arrivare e attaccò la mamma di Pichu, che gli disse di correre nella tana. Lui lo fece e vi si rifugiò in fondo, ma riusciva comunque a vedere ciò che stava accadendo e a sentire il tanfo dello Skunkay, che nessun Pokémon sopportava. La mamma tornò indietro e si accoccolò vicino a lui. "Va tutto bene, se n'è andato. Dormiamo, ora" gli disse. Lei fece finta di dormire, perché il giorno dopo il cucciolo provò a svegliarla in tutti i modi: le fece il solletico, parlò a voce alta, pianse, ma a nulla servì tutto questo. La mamma non respirava più e ciò significava una cosa sola: era morta. Julie tolse la mano dalla fronte fresca del Pichu. "Mi dispiace così tanto per la tua mamma, piccolo" mormorò, mentre lui si avvicinava di più e si lasciava accarezzare. "Se vuoi, da ora potrò essere io la tua mamma. Non sarò come quella che hai perso, ma sono molto brava con i Pokémon." Gli rimise una mano sulla fronte e udì un timido: "Sì." Quando usava i suoi poteri di telepatia riusciva anche a capire la lingua dei Pokemon e questo la aiutava a comprendere se avevano qualche problema, come nel caso di Pichu. Il cucciolo alzò le zampe anteriori e la ragazza capì che voleva essere preso in braccio. Lo sollevò e se lo mise sulle gambe. Aveva freddo a causa del ruscello che aveva attraversato e se non avesse fatto presto si sarebbe ammalata, ma poteva restare ancora un po' lì. Poi cambiò idea e decise di andare nella sua palestra. Chissà se qualche altro allenatore l'avrebbe sfidata... "Vieni in un posto con me? Non è pericoloso" gli disse. Gli mostrò una sfera Poké. "Questa serve per catturare i Pokémon, per tenerli al sicuro. Posso catturarti? Non ti farò del male, te lo prometto." Lui rimase immobile e lei gli mostrò la sfera. Ancora incerto, il piccolo si avvicinò di qualche passo, e sfiorato con la zampa il bottoncino al centro della capsula, lasciò che una luce rossastra lo avvolgesse. Poco dopo, il pulsante prese a brillare di una più fioca, ma stranamente, la sfera non si agitò. A volte le succedeva, ricordava ancora gli sforzi che aveva dovuto fare per catturare Eevee, tanto piccolo quanto veloce e in tutto simile a un incrocio fra una volpe e un cagnolino. Cavolo, se correva, quel giorno. Testarda, lei non si era data per vinta, e dopo vari tentativi, c'era riuscita. E così ora era stato anche con quel piccolo orfanello, che aveva catturato quasi all'istante. Non volendo metterla subito con tutte le altre, per non spaventarlo, tenne in mano la sfera. "Andiamo." Riattraversò il ruscello e, dopo una mezz'ora di camminata, uscì dal bosco e arrivò alla sua palestra. Andò nelle sue stanze al piano di sopra e lì si lavò e cambiò, poi disse: "Pichu, tesoro, vieni fuori." Non era come tanti allenatori, che gridavano ai loro pokémon di uscire o che intimavano loro di farlo. Lei era sempre gentile con loro. Pichu uscì subito. "Ma ciao!" Julie gli fece il solletico al pancino e lui rilasciò un verso simile alla risata di un bambino, poi le saltò in braccio e cominciò a sfiorarle il viso con le zampine. "Ho capito, mi vuoi tanto bene, non servono tutte queste dimostrazioni." "Sì, te ne voglio. Posso stare con mamma Dragonair e Dratini qualche volta? Sono miei amici" capì la ragazza, usando sempre lo stesso potere. "Ma certo che puoi. Ti ci porto domani. Ora ti va di conoscere i Pokémon che ho già? Così fate amicizia.” "Sì" mormorò il cucciolo, intimorito e tremò. "Non ti faranno niente, te lo assicuro." Glieli presentò uno per uno: C'era Espeon, il primo vero compagno della ragazza in tutto simile a un gatto a due code dal pelo viola, con una sorta di gemma energetica incastonata sulla fronte, ottenuto dopo Misquit, lo starter regionale di tipo Erba con le fattezze di uno scoiattolo, non uno ma ben due Meowstic, un maschio e una femmina, il primo azzurro e l'altro bianco, entrambi simili a gatti capaci di stare in piedi su due zampe, Espurr, un altro con le stesse fattezze ma dal pelo grigio e con gli occhi grandi, il cui nome ricordava alla ragazza il costante mormorio delle fusa di un vero felino, Munna, creatura a metà fra una sfera e un acchiappasogni, Solosis, piccolo, verdastro e gelatinoso, letteralmente il nucleo di una cellula, Glameow il gatto dagli artigli affilati e la coda arricciata, e molti altri. Esitante ma felice, Pichu giocò con tutti, correndo con gioia sull'erba gelata da quel periodo dell'anno. E allora ne fu sicuro: in mamma Julie e nei suoi altri Pokémon aveva trovato una nuova famiglia.
Credits to the original author, crazy lion
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2. Costantin. Luci notturne.
Pensieri di Costantin D’Orsay.
Sono al massimo dell’euforia. Vorrei ridere, vorrei gridare di gioia, vorrei cantare, vorrei... Mi sento come se potessi TOCCARE IL DANNATO CIELO!
Io, Costantin D’Orsay: lo stupido, l’incapace, il fallito, quello che non avrebbe mai concluso nulla nella vita, sono ad un passo dal diventare il nuovo governatore di Teer Fradee. Ed il merito è tutto tuo padre e di quell’ordine che hai dato, probabilmente nella sola speranza di eliminare per sempre il mio volto dalla tua vista e la mia voce dalle tue orecchie. Ma non sparirò, io farò davvero la differenza in questo Nuovo Mondo: sarò un governatore eccellente, farò in modo che tu abbia di che ricrederti padre e… forse..
...magari allora chissà... riuscirai a volermi bene, certo non quanto ne hai voluto a mio fratello, ma almeno ad accettare la mia esistenza, ad accettare il fatto che anche io sono tuo figlio…
Mi manca sai? Ogni volta che chiudo gli occhi vedo ancora il suo volto devastato dalla sofferenza ed il suo sguardo vuoto, incapace di cogliere la nostra presenza, tra i deliri e la febbre di quelle ferite per me troppo difficili da capire. Rivedo tutto, compreso il tuo dolore e poi quella rabbia che mi riversavi addosso, una rabbia che è presto diventata odio.
“Perchè non sei morto tu al suo posto?” Non lo so padre, non lo so.
Non ho mai desiderato la morte di Simon, ma non voglio morire. Sento di poter dare qualcosa a questo mondo, DESIDERO davvero fare la mia parte.
Può apparire improbabile, ma ti assicuro che è così.
Amo la vita, ed anche se non mi lasciavi avvicinare al suo capezzale, ho promesso a Simon che avrei vissuto appieno ogni giorno, che lo avrei fatto anche per lui.
Luci notturne
Sembrava una notte come tante a Sérène, un cielo nero ricoperto dalle solite nubi scure sembrava voler cancellare per sempre il chiarore delle stelle.
Ma per strada sopravvivevano sparuti fuochi: i fuochi solitari delle vie, minuti, di gruppi di poveracci sfrattati via da una casa appestata, o semplicemente troppo poveri per permettersi un tetto, ed i grandi roghi comuni nella Piazza dei Principi, cataste di corpi senza più un’identità e spesso senza neanche più un parente o un conoscente ancora in vita che potesse piangere per loro. La chiamavano Malicore: un male che da oltre quindici anni devastava il Continente, lasciando uomini e donne senza un rimedio, senza una cura e senza speranza, in preda a dolore e follia, in un viaggio lento e terribile verso una morte atroce.
Il degrado di Sérène sapeva stimolare tutti i sensi: la sporcizia e l’odore di urina si mischiavano ai rivoletti fangosi che costeggiavano le vie ed i vicoli. Pochi dettagli distinguevano gli ambienti sicuri da quelli più malfamati, a riconferma che Sérène non era un luogo per stranieri, in cui girare tranquillamente.
Ad un tiro di sasso dall’iperattivo porto, brillavano altre luci, quelle della taverna in festa, nonostante tutto. Un gentile rampollo figlio del signore locale, il Principe D’Orsay, aveva sperperato una mezza fortuna per assicurarsi che il taverniere offrisse da bere alla sua salute a chiunque mettesse piede in taverna quella sera. Tre ore dopo, la stanza era un miscuglio di odore di alcool e sudore, nel locale sovraffollato erano radunati uomini e donne di ogni estrazione sociale. Qualcuno cantava, altri ballavano, alcuni amoreggiavano con prostitute a basso costo ed altri si limitavano a bere, il motivo di tali festeggiamenti, però, si era perso di vista da oltre due ore per buona parte dei presenti.
Seduta su una panca dirimpetta alle scale che conducevano al piano interrato, Célie De Sardet osservò la bolgia mischiarsi in un turbinio di colori. Il sorriso d’occasione stampato sul volto arguto, si era ormai trasformato in una sequenza di smorfie e sbadigli, nel tentativo di rilassare la mascella e fingersi impegnata quando il tizio accanto a lei, un borghesotto, tornò alla carica con domande a cui avrebbe risposto più volentieri con un’arma da fuoco, piuttosto che con la propria voce.
<Dunque…> no, per favore, non un’altra domanda... La testa sembrò voler esplodere, aveva esagerato con il vino, ma per quello persino Kurt si era messo in pace l’anima. L’indomani sarebbero partiti, lei e suo cugino Costantin, l’indomani avrebbero fatto il primo passo verso la cura. Come se fosse stato evocato magicamente, il capitano della Guardia del Conio le si sedette accanto proprio in quel momento. Nonostante sostenesse l’esatto opposto, il capitano si era sempre impegnato parecchio per proteggere i due principini, e con una notevole inventiva tra l’altro, a discapito degli sfregi sul volto, che gli conferivano sicuramente un’aria più truce, l’ex-mercenario possedeva un cervello sveglio e creativo.
Mise un braccio attorno alle spalle della sua giovane protetta e puntò gli occhi azzurri sulla figura del borghesotto, sfidandolo con una spocchia aristocratica che non gli era mai appartenuta e che spinse De Sardet a roteare al cielo gli occhi, divertita ed oltraggiata al tempo stesso.
<Mia cara, gli hai già spiegato che fine fanno quelli che puntano ai gioielli della corona?>
Ovviamente De Sardet decise di stare al gioco <Kurt, ti prego… non davanti a tutti…>
Dopo una breve occhiata al volto di Kurt, l’uomo percepì che non valeva la pena mettersi contro ad una guardia del conio. L’ex-mercenario ritirò il braccio e passò una tazza a De Sardet, una brodaglia calda e fumante, l’ideale per sperare di affrontare un’emicrania da sbronza.
<Ho perso il conto di questi buffoni. Intendi restare qui a lungo Sangue Verde?>
<Mi odieresti se ti dicessi di si?> lo provocò lei occhieggiando da dietro la tazza. Kurt non rispose ma il suo sguardo fu sufficientemente minaccioso da indurre un sorriso nella giovane donna.
<Cerchiamo Costantin, dubito che voglia venire con noi ma dobbiamo almeno provarci.> De Sardet si mise in piedi, Kurt la anticipò per aprirle un varco nel mucchio di gente, mentre scendevano le scale verso il piano inferiore. Costantin fu… relativamente facile da trovare, si era improvvisato una sorta di harem, con una prostituta seduta a cavalcioni di ogni gamba ed una terza in piedi accanto a lui, che tra moine e sussurri maliziosi, insinuava impunemente una mano nella sua camicia slacciata per convincerlo ad appartarsi con lei. Un tentativo che, a giudicare dalle attenzioni che il ragazzo concentrava su di lei, sembrava stesse andando a buon fine.
De Sardet mise le mani sui fianchi e rivolse alle donne uno sguardo di puro biasimo, qualcosa che solo lei sarebbe riuscita a fare, protettiva com’era nei confronti del cugino. Il principino D’Orsay in fondo era un bel giovane, con grandi occhi azzurri, capelli biondi ed una buona fisicità, frutto dei severi allenamenti di Kurt.
<Mia adorata cugina!> anche sepolto vivo da quelle signore del peccato, Costantin riuscì a percepire la presenza di De Sardet e ad allargare le braccia per accoglierla in una sorta di abbraccio a distanza. Avrebbe sempre trovato un posto per lei, il suo affetto era sincero, e non si sarebbe mai fatto alcun problema a manifestarlo. Cercò persino di ottenere un po’ di tregua dalle tre donne, con scarsi risultati, lo sguardo di rimprovero di De Sardet sembrò infiammare il loro spirito di competizione. <Ti stai… divertendo?> chiese Costantin. <Io torno a casa cugino, è molto tardi, vieni con noi?>
Costantin provò a sollevarsi dalla sedia, ma quelle tre, ormai alleate, non gli lasciarono molto spazio di manovra. Il ragazzo ridacchiò, poggiando una mano su un fianco della rossa seduta sulla sua gamba sinistra. L’altra, la mancina, la sollevò per fare un cenno, indice alzato e dritto, per cercare di sancire una tregua con la donna. Tornò in breve a rivolgersi alla cugina <Finisco di conversare con queste damigelle e rientro anche io cugina. Kurt…>
<...non ti preoccupare eccellenza, la riporto a casa sana e salva.> Concluse per lui l’ex-mercenario.
Costantin non fece in tempo a vederli andare via, le prostitute tornarono alla carica, più audaci e sfrontate di prima. Il giovane principe cercò di respingerne un paio, ma lo fece con la grazia di uno dei suoi sorrisi gioviali e le braccia allargate in segno di resa.
<Mie signore, fosse per me vi sposerei tutte e tre ma temo di essere dannatamente a corto di denari questa sera…> prese a tastare lungo la camicia e poi i lati dei pantaloni in corrispondenza dei fianchi, alla ricerca di un tintinnio metallico che non sarebbe mai arrivato. Come se avesse pronunciato una formula magica le tre si allontanarono come se gli avessero appena visto cambiare colore e forma, ridacchiando cercò di trattenerne almeno una, afferrandole il polso con dolcezza <...magari a credito?>
Sospirò nel vederla andare via, certo di averle strappato almeno una risata. Si rimise in piedi, immaginando con ottimismo la faccia sorpresa di sua cugina quando l’avrebbe raggiunta lungo la strada per casa. Si era promesso di non esagerare troppo questa sera, ed anche se barcollava come se fosse sul ponte di una nave in piena tempesta sapeva di essersi ridotto in stati ben peggiori negli anni passati.
Trovò un cappello e lo incalzò in testa, non era certo fosse il suo ma la misura sembrava corretta, almeno finchè non mosse la testa e quello scivolò lungo la fronte sino a coprirgli gli occhi, il farsetto ricamato invece sembrava calzargli decisamente meglio, lo abbottonò sbagliando un paio di asole e dunque si incamminò su per le scale verso il piano principale e l’uscita. Non arrivò alla porta.
Quello che Costantin non poteva sapere, era che quel farsetto apparteneva a Ignace Richard, un giovane nobilotto dai capelli biondastri che, giusto la sera precedente, aveva perduto diversi soldi al gioco. La prima cosa che vide fu proprio il pugno che lo colpì in pieno volto, ancora prima di capire che cosa stesse succedendo era già impegnato in una rissa che dilagò a macchia d’olio nel salone principale.
Uno degli assalitori lo afferrò per il bavero, Costantin gli afferrò i polsi per trattenerlo e gli assestò un calcio frontale. Un secondo gli prese il braccio e lo colpì al costato, il dolore fu lancinante, tuttavia la parte peggiore fu quando il terzo lo scaraventò con la schiena su uno dei tavoli: lo caricò a testa bassa e fece in tempo a prendersi un paio di gomitate sui reni prima di riuscire a scaraventarlo sul ripiano, fracassando legno e stoviglie con un frastuono allucinante.
A dispetto di quanto il suo carattere facesse pensare, Costantin era stato allenato da Kurt molto più a lungo di sua cugina, e dunque risultò più complicato del previsto, per i suoi assalitori, metterlo ko.
Il più tarchiato se lo caricò su una spalla, per poi spingerlo contro la porta, le ante cedettero facilmente all’irruenza ed un attimo dopo Costantin si trovò riverso a terra in strada, dolorante, con il naso pieno dell’odore nauseabondo delle strade di Sérène e con quei tizi attorno a lui come lupi feroci a prenderlo a calci, poi il buio.
Riaprire gli occhi fu qualcosa di terribile, il sole, per quanto offuscato dalle solite nuvole grigie di Sérène e dalle assi che sigillavano la finestra, fu come uno schiaffo in faccia. La testa, pulsante, faticò a rimettere insieme pezzi e ricordi della sera precedente, ma quando finalmente riuscì a comprendere in che genere di guaio si fosse cacciato, il suo primo pensiero fu per sua cugina e per la marea che ormai sarebbe dovuta essere prossima, sperò che non fosse troppo tardi.
Quei tizi lo avevano spogliato del cappello e della giacca, ed ovviamente anche di ogni singola moneta ed oggetto di vago valore che potesse avere avuto indosso, stivali compresi, ma almeno non lo avevano legato. Si erano limitati a chiuderlo dentro ad una stanza senza apparenti vie d’uscita, nonostante i suoi tentativi nè la porta nè la serratura sembravano voler cedere, nemmeno a spallate.
<Signori! Sono sicuro che si tratta di un malinteso!> non importava quanto le sue stesse parole gli rimbombassero in testa, continuò quella nenia come un gatto in calore, camminando avanti ed indietro per quello sputo di stanza, continuando ad alzare la voce <Sono Costantin D’Orsay, figlio del principe Claude D’Orsay! So di per certo che si tratta di un equivoco e sono disposto a perdonarvi, ho troppi affari urgenti da sbrigare!!!>
Andò avanti per ore e non si fermò neanche quando gli si seccò la gola, poi sentì alcuni rumori all’esterno, forse venivano a consegnargli il pranzo o forse, decisamente più probabile vista la situazione, era riuscito a indurli a salire ad annerirgli l’altra metà della faccia, almeno avrebbero aperto la porta.
Ebbe pochi secondi per agire, e si impegnò per non sprecarne nemmeno uno, fu probabilmente per questo che non si accorse immediatamente che la persona che aveva appena aperto la porta, e che lui aveva scaraventato contro al muro violentemente trattenendola per il collo, non era altri che De Sardet. Se la trovò davanti con gli occhi sgranati, la voce strozzata a chiamarlo per nome.
<Costantin! Costantin sono io!>
<La mia adorata cugina!> La perplessità lasciò il posto ad una risata sollevata. L’abbracciò, la strinse con forza, in qualche modo doveva mostrare al mondo quanto fosse sinceramente felice di vederla, ma il tempo stringeva. Célie gli mise sulla testa il cappello ed il farsetto sulle spalle, ed arricciò il naso.
<Puzzi, sei pesto ed hai un aspetto orribile, ma stai bene! Vieni adesso, la nave sta per salpare!>
lo tirò per un polso, e lui non fece altro che rendersi la sua bambola di pezza e lasciarsi tirare, adorava quella sensazione: il calore dell’affetto, di quel legame che per anni li aveva tenuti insieme, come fratelli o, se possibile, molto di più. Non riusciva ad immaginarsi senza di lei e trovava assurdo come anche lei sembrasse condividere lo stesso pensiero.
Rimase indietro di un paio di passi, se non altro per chinarsi ed avanzare a saltelli mentre si infilava gli stivali che Kurt gli passava.
<Dobbiamo sbrigarci> continuò lei, con l’animo del condottiero <tuo padre ci ha mandato a cercarti, era preoccupato per te.>
Costantin avvertì l’aria scomparire dai suoi polmoni, di colpo. Rimase immobile, incapace anche solo di camminare, un lungo respiro fece da anticamera ad un tono lontano, distante, melanconico. <Mio padre…> non ce l’aveva con lei <...quando mai si è preoccupato per me?>.
Una domanda a cui nemmeno Célie sembrò riuscire a trovare risposta.
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Sacrifice, Chapter 9
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Quindi quello che hai perso è solo uno dei millemila libri che hai letto?"
"Beh si...non è come un grande classico, tipo il ritratto di Dorian Gray, ma si può considerare come un vero e proprio bestseller"
"Sento puzza della professoressa Potts"disse lui e lei rise.
"Guarda che non è colpa sua, da quando sono piccola leggo molto. Ho iniziato con le avventure dei Dei Norreni, Thor, Odino e quella roba cosi e poi man mano sono passata ai grandi classici...non sono mica mio fratello"
"Lui è più grande?"
"No, è più piccolo ed è completamente immerso con la testa nei videogiochi"
Erano passati solo venti minuti da quando la campanella di fine lezioni era suonata e tutti gli studenti erano usciti per poter tornare a casa. Wanda e James stavano percorrendo insieme il percorso per tornare a casa e stavano ammazzando il tempo conoscendosi di più, cosa che lei stava apprezzando. Era la sua occasione per conoscerlo meglio.
"Come ti capisco, anche se la mia non è immersa completamente con la testa nei videogiochi"
"Hai una sorellina?"chiese lei con un leggero entusiamo.
"Si...e a volte giocare con lei e i suoi mille accessori di Barbie può essere una distrazione"
"Almeno hai il vantaggio che lei ti chiede di giocare con te, se chiedo a mio fratello di giocare mi liquida subito"
"Si, hai ragione, ho il vantaggio che me lo chiede ma dopo mi ritrovo la stanza piena di vestiti e scarpe rosa. Ed io, purtroppo, sono costretto a riportargliele indietro...vuole che il loro armadio sia perfetto"
"Beata lei, mi ricordo che quando ci giocavo io non avevo la minima idea di dove andavano a finire, le portavo da una parte all'altra della casa e spesso perdevo pezzi durante il tragitto. Poi vedendo che non riuscivo a tenerle perfette, mia madre iniziò a comprarmi quelle di pezza,che ora saranno piene di polvere su quella mensola"
"Una ragazza dai gusti molto semplici"disse lui.
"Si, non sono mai stata una tipa appariscente, suonavo la chitarra ma facevo anche danza però le cose sono cambiate..."
"E cosa è successo?"chiese lui.
E a quella domanda lei rimase interdetta. Non poteva certamente dirgli tutto, ora che si stavano conoscendo e poi cosa sarebbe successo se gliel'avrebbe detto? Ci avrebbe creduto? Sarebbe rimasto scioccato? L'avrebbe aiutata? Che cosa avrebbe pensato di lei? Non sapeva cosa fare, certamente quello che gli stava per dire era solo una piccola barriera che divideva la finzione da quella che era la realtà vera e propria. E cosa sarebbe successo se quella barriera si fosse rotta?
"Beh...quando hai i due pali più importanti della tua vita, ovvero i tuoi genitori, che non si amano più e ovvio che poi, di conseguenza, non riesci più a fare nulla e...ti cadono le braccia, non sai quello che devi fare e ti senti morire"
"Mi dispiace, non volevo procurarti un tuffo doloroso nel passato..."
"Tranquillo, ormai crescendo impari a farci l'abitudine e non riesci neanche più a coglierne la differenza"disse lei facendo un respiro profondo e allargando le braccia ma un mucchio di fogli cadde sul marciapiede.
La stessa scena di questa mattina con Natasha si stava ripetendo, in quello stesso istante però c'era James che non perse un secondo a raccoglierli tutti. Lei provo ad abbassarsi ma il dolore alla schiena la fermò.
"Non ho fatto nessun tipo di sforzo che potesse permettermi di avere un mal di schiena del genere,quindi per favore che ne dici se te ne vai e mi lasci in pace?"chiese lei, nella sua mente, rivolgendosi al suo caro e unico amico tumore.
"Scusami, ero...ero distratta"
"Tranquilla, va tutto bene...credo che ne usufruirò molto spesso"disse lui riferendosi agli schemi lavorati della professoressa di storia che Wanda aveva preparato.
"Vuoi che ti ricambi il favore? Non ti basta pensare di aiutare il signor Lang con chissà quale idea malsana?"
"No, no ma ci studierei volentieri...e poi gli sto dando solo una mano"
"Chissà come...beh, io dovrei essere arrivata"disse lei indicando una casa sulla destra.
"Oh, si...ehm, ci vediamo in giro?"chiese lui e lei annuì.
Iniziarono a prendere due strade diverse, lei verso il portico di casa sua e lui proseguendo dritto verso casa. Ma in quello stesso istante c'era qualcosa che Wanda non aveva ancora fatto. Prima ancora di mettere la chiave nella toppa e girarla, si voltò e vide il castano proseguire il suo cammino e presa da una felicità improvvisa scese di nuovo le scale e si trovò di nuovo sul marciapiede.
"James..."lo chiamò e lui si girò subito percorrendo quella poca distanza che lo divideva da lei.
"Hai ancora bisogno di qualcosa?"
"Oh! Ma che carino!"pensò lei ma subito tornò con i pensieri su quello che gli voleva dire.
"Io...io volevo solo dirti grazie...per questa mattina intendo"disse lei e gli occhi di James si spalancarono.
"Si, lo so forse...non sono una tipa a cui escono facilmente dalla bocca parole di questo tipo ma stavolta è perché lo sento davvero"disse lei abbassando la testa.
"Non c'è di che Wanda...mi sono davvero preoccupato per te"
"Ti ringrazio, sul serio..."disse lei alzando definitivamente lo sguardo dalle scarpe.
"Per quanto riguarda le tue ripetizioni? Ecco non ci siamo visti da giovedì scorso..."
"Oh, beh...questa settimana ho alcuni impegni e non credo che.."
"Potresti darmi il tuo numero di telefono, cosicché puoi informarmi e dirmi quando sei libera..."le propose lui.
Non aspettò risposta da parte della castana che subito James tirò da fuori la tasca destra del suo jeans il suo cellulare.
"Tieni..."
"Beh, se proprio dobbiamo fare le cose per bene..."disse lei iniziando a prendere il suo cellulare nella sua tracolla.
Se li scambiarono ed entrambi segnarono il loro numero sul telefono dell'altro.
"Mi scrivi tu?"
"Si, ti farò sapere io..."
E ognuno prese la sua strada, Wanda salì una seconda volta le scale del portico e infilò le chiavi nella toppa entrando finalmente in casa dove regnava un buon profumo di pasta.
"Ehi...sei tornata, non ti avevo sentito"disse sua madre appena la vide apparire sulla soglia della cucina.
"Non ho bussato, mi sono portata dietro le chiavi"
"Come è andata la giornata? Tutto okay?"
Si sedette e provò a pensarci su. Certo non era iniziata col piede sbagliato, perché se fosse stato così sarebbe stata sicuramente colpa del signor Stark. Ma oltre a quello che era successo durante l'intervallo tutto era andato per il meglio.
"Bene, oserei dire quasi benissimo..."disse lei addentando una fetta di pane messa nel cesto in mezzo alla tavola.
"Addirittura benissimo? Cosa ti succede?"
"Nulla, perché?"
"Sembri felice..."
"Colpa di Barnes"disse lei nella sua testa ma provò a zittire i suoi pensieri.
"Ho solo incontrato una nuova amica"disse lei riferendosi alla bionda Natasha.
"Davvero? E chi sarebbe?"
"Natasha Romanoff, una mia alunna" disse la voce di Clint alle loro spalle ed entrambe si girarono.
"Da come ne parli, sembra davvero una persona carina"
"Lo è..."disse lei sorridendo mentre stava masticando con la bocca chiusa.
"Ho assegnato loro un lavoro sull'età Vittoriana, spero che farete un bel lavoro"
A quella affermazione lei sorrise, non avrebbe mai pensato di trovare una persona come Natasha che dal primo momento si prende cura di te. E questo la rendeva molto felice.
Dall'altra parte della città...
Prese le chiavi per poter aprire la porta, una volta chiusa alle sue spalle notò che dentro casa non c'era nessuno. Si diresse nella cucina, cercando qualcosa da mettere sotto i denti, aprendo il frigo per quasi quattro volte ma nulla faceva al caso suo.
"Grazie mamma che vieni incontro alle mie esigenze di cuoco perfetto"disse lui ad alta voce.
Ma chi lo conosceva, sapeva benissimo che non era per niente un cuoco perfetto. Si arrese e fece il giro della penisola prendendo dalla dispensa la busta di panini del giorno prima. Si fece un panino veloce che mangiò seduto sullo sgabello, sua madre non voleva che le briciole si spargessero per tutta la casa sennò avrebbe dovuto pulire e sarebbe stata solo una fatica in più, oltre alla sua ordinaria fatica da infermiera. Una volta finito si lavò le mani mettendo tutto ciò che aveva usato, al solito posto. Fu quando chiuse il cassetto che si accorse che la porta di casa fu sbattuta e da lontano vide la figura robusta di suo padre.
La stessa persona che non vedeva da giorni, ma stavolta era accompagnato da un'altra persona. Doveva essere una ragazza, poco più bassa di lui, non riusciva a raggiungerlo neanche con le scarpe alte che aveva, con i capelli biondi legati in una coda alta. Si mosse lentamente, posando il canovaccio sulla penisola e uscendo dalla porta che dava sulla cucina. La porta del ufficio di suo padre era socchiusa e vide, dal piccolo spazio rimanente che la ragazza bionda era seduta sulle sue gambe.
Non reagì come se fosse impazzito da un momento all'altro. Piuttosto si allontanò dalla porta e da quella scena con una faccia schifata e con un leggero ghigno ironico sulle sue labbra.
"Me lo sarei dovuto aspettare..."disse lui sottovoce prendendo lo zaino da sopra il divano e salendo le scale.
Aprì la porta di camera sua, la chiuse alle sue spalle e si buttò sul letto dove da lì non si sarebbe alzato fino all'ora di cena.
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𝐓𝐇𝐄𝐎 & 𝐉𝐀𝐒𝐌𝐈𝐍𝐄
﹙Mini Role﹚⋆ Circle Eight
#𝐫𝐚𝐯𝐞𝐧𝐟𝐢𝐫𝐞𝐫𝐩𝐠
« Allora, quando poserai per me? Vestita, s’intende. »
Sa bene di dover tenere a riposo il braccio e la mano, ma ormai scalpita per riprendere a disegnare. Non sopporta più la vista di tutti i progetti non finiti che occupano il suo studio da quasi due mesi, vuole terminare ciò che ha cominciato e dare vita a nuove idee che gli frullano nella testa ormai da un po’, tra cui un dipinto di Jasmine. Approfittando della serata libera ha deciso di invitarla per una birra al Circle Eight, così da passare qualche ora in sua compagnia e, con un po’ di fortuna, convincerla ad un supplizio come quello di restare immobile in una posa scomoda mentre lui la disegna.
« Giuro che non ti farò tenere in mano un frutto o altre cose strane, promesso. »
Jasmine Persephone A. Harrison
Capelli neri come la notte incorniciavano il volto della dea che ora sembrava nascondere un sorriso sulle labbra carnose. Divertita era l'espressione che aleggiava su una persona che, nonostante la situazione, viveva per quelle attenzioni che il giovane le stava riservando. Aveva accettato immediatamente l'invito dell'amico, non per chissà quale secondo fine, ma solamente con il desiderio di trascorrere una serata all'insegna di quella quiete che ormai andava ricercando. « Ancora non hai finito il disegno? Pensavo che mi sognassi perfino la notte, Hèbert. » Con fare estremamente femminile, Jasmine gli strizzò l'occhiolino approfittando del momento per bere un sorso del liquido ambrato che scaldava più di quanto non volesse ammettere. « Immaginavo una proposta indecente, e invece... Andiamo, non dirmi che hai bisogno ancora di me. Potrei accettare, e dico potrei, solamente se posso decidere che cosa indossare. Non mi alletta il fatto di dover rimanere ferma chissà quante ore... Ah, condizione necessaria affinché accetti è terminarlo per davvero questa volta. »
Theodor Hèbert
« Lo dici come se fosse una mia abitudine quella di accantonare i disegni, non potevo muovere il braccio! Come lo finivo, con i piedi? Mi mettevo la matita nel naso? » Così dicendo porta la cannuccia del suo drink all’altezza del naso e comincia a muovere il capo fingendo di disegnare arabeschi invisibili, incurante degli sguardi che può attirare su di sé. È vero che ha lasciato molti progetti inconclusi e in effetti alcuni non ha più intenzione di riprenderli; preferisce lavorare su nuove idee, almeno per ora, ma questo non significa che sia solito abbandonare le tele iniziate. Uno sbuffo dal naso segue le parole della bruna, specialmente per quella “proposta indecente” che Theo non sarebbe mai in grado di fare, benché il fascino dell’amica sia innegabile. « Solo nei miei incubi, Jas. » Strofina il volto mentre ragiona se accettare o meno quella clausola. Ha già ritratto modelli con abiti moderni, specialmente per lavori su commissione, e non si sente in grado di intraprendere progetti importanti dato che la mano sembra ancora dargli problemi. Non può fare lo schizzinoso, specialmente con dei modelli che nemmeno paga. « Va bene, porta allo studio almeno tre o quattro vestiti che pensi possano andare e ne sceglierò uno. »
Jasmine Persephone A. Harrison
Stuzzicare ecco cosa piaceva realmente alla veggente, vedere nel prossimo la reazione che scatenavano le di lei parole era un qualcosa di irresistibile per lei, e la reazione di Theo non tardò ad arrivare. Ella si ritrovò così a ridacchiare, un ghigno sardonico che impreziosiva il sorriso della venere nera che ora osservava con interesse le movenze dell'amico. « Ehi, potrebbe essere un'idea... » Commentò ridacchiando prima di prendere un sorso del proprio drink. Era una serata come tutte le altre, e l'intenzione era quella solamente di rilassarsi. Certo, chiunque altro avrebbe scelto un locale più tranquillo, ma Jasmine sapeva apprezzare quel locale dedicato solamente agli esseri sovrannaturali. Sapeva di poter essere se stessa, di non dover nascondere la propria natura, ma soprattutto sentiva di non doversi nascondere. « Oh, è dannatamente divertente stuzzicarti, lo sai? E comunque sarebbero incubi bellissimi. E vada per i vestiti, non ti deluderanno. Ma a parte questo, come stai? Il braccio? »
Theodor Hèbert
« Sì, ho intuito che la cosa ti diverte parecchio... » Non è per nulla offeso dai modi di Jas e quella sua naturale propensione che ha di giocare con lui come un gatto gioca con un topo; sa che non c’è alcuna cattiveria dietro, sono solo scherzi innocenti fra due amici di vecchia data. Prende tempo concedendosi un lungo sorso del suo drink fino ad arrivare al fondo del bicchiere, che aspira rumorosamente con la cannuccia senza troppo curarsi del galateo. Non sa bene come rispondere alla veggente senza mentirle spudoratamente, non vuole ammettere di essere ancora lontano dalla guarigione completa ma nemmeno sembrare uno a cui sta per staccarsi il braccio dalla spalla... certo avrebbe profondamente gradito se la folla non avesse deciso di passarci sopra, torcendolo e fratturandolo. Una cosa è sicura, ricorderà quell’ultima festa di halloween per sempre. « Sto meglio, seguo la fisioterapia due volte a settimana ma la dottoressa ha detto che presto potremo ridurre le sedute. Faccio gli esercizi a casa, mi comporto abbastanza bene... ma ho ripreso a dipingere. Solo dipingere, non ho ancora preso lo scalpello in mano, sto cercando di fare il bravo. » Inutile dedicarsi alla scultura quando perfino un pennello sembra pesare troppo nelle giornate no, tanto da far tremare la mano e rendendo impossibile qualsiasi tratto. Non lo dice, Theo, ma è terrorizzato all’idea di non riuscire a recuperare la precisione di un tempo... sarebbe la fine di un sogno e molto di più. « Tu piuttosto, che racconti? Cosa si dice nel mondo di Jasmine? »
Jasmine Persephone A. Harrison
Un sorriso più simile ad un ghigno divertito piegò le labbra della venere nera che ora osservava l'amico bere il suo cocktail. Sapeva che Theodor non se la sarebbe presa per quello stuzzicarsi che ormai era diventato all'ordine del giorno, ma sapeva anche quando era il momento di fermarsi. Mai in alcun caso la veggente avrebbe voluto mettere a disagio l'amico, e mai si sarebbe spinta a tanto. Le conseguenze della festa di Halloween erano ancora ben visibili in molti dei suoi amici, e solamente per una fortuna del caso lei stessa non era rimasta coinvolta in quello che era stato definito un semplice incidente. Osservò con più attenzione l'Hèbert prima di inclinare il capo, assumendo quella posa che usava quando aveva necessità di comprendere appieno ciò che le stava di fronte. « E questa è la versione ufficiale o ufficiosa? Devi semplicemente darti del tempo... Un passo alla volta. Dipingere è già un buon passo, no? » Sapeva quando la scultura fosse importante per Theodor, ma la veggente era anche convinta che tutto avesse bisogno del proprio tempo. Solamente dopo qualche istante, Jasmine prese un sorso del proprio drink e socchiuse gli occhi cercando il punto da cui cominciare. « Il mondo di Jasmine, eh? Potrebbe essere un'idea per il titolo di un libro... Io, le mie avventure, e la straordinaria sensazione che qualcosa di brutto debba capitare da un momento all'altro... Ma a parte questo mi divido tra le lezioni e gli allenamenti. »
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Pensavo di odiarti, finalmente, ne ero proprio convinta e la cosa mi dava una certa soddisfazione. Me lo sono scritta persino nelle note del telefono, per ricordarmelo, perché se ti odio, sto andando avanti, se ti odio allora smetterò di aspettarti, se ti odio allora starò meglio. Ma non è vero che ti odio, o meglio non lo faccio sempre. Forse l'idea di odiarti per davvero, per intero, mi terrorizza perché quando inizio non mi fermo e porto rancore per un bel po' (cosa che ti meriteresti).
Anche se pensandoci bene ho capito una cosa: provo qualcosa per te, è vero, ma non mi piace più quello che sei o che sei diventato, non so. Io me lo ricordo il ragazzo dolce e sensibile che eri con me e non corrisponde per nulla a quello che vedo ora. E ti sembrerà strano ma una notte mi sono ritrovata a ringraziare il cielo di non dover stare dietro ai tuoi sbalzi d'umore perché una persona come quella che sei ora non la vorrei.
Qualcuno un giorno mi ha detto che non ti dimenticherò mai per davvero, che andrò avanti e farò la mia vita ma tu mi mancherai sempre un po'. Credo abbia ragione, perché nonostante tutto e tutti, nonostante la situazione attuale (che è una vera merda), ogni tanto tu ancora mi manchi. Mi torni in mente in momenti strani della giornata. Mentre sto svuotando la lavastoviglie al lavoro, mentre guardo una puntata di una serie tv, mentre sono fuori con amici che di te non conosco neanche l'esistenza.
Sto cercando di allargare le mie conoscenze, esco con altre persone che non sono i nostri amici e mi fa dannatamente bene perché loro non sanno niente e per questo motivo non mi guardano con compassione.
Il sabato, però, è per la compagnia e ci siamo ritrovati al solito pub a bere una birra. Mi prendevano in giro perché quella tua amica, quella che non mi piace, aveva casa libera e voi vi siete ritrovati tutti da lei. I nostri amici, scherzando dicevano che volevano raggiungervi, che tanto tu saresti stato ubriaco e messo male, non avresti neanche fatto caso a me. Allora mi sono arrabbiata, li ho trattati male e li ho insultati e loro ridevano ancora di più e, ovviamente io li seguivo perché alla fine mi divertono sempre. Poi uno di loro si è fatto serio e mi ha guardato negli occhi: "non capisco perché si stia comportando così" mi ha detto "va bene quello che è successo ma perché evitarti? Che senso ha?". Per qualche secondo sono stata zitta. Sono le stesse domande che mi faccio io praticamente tutti i giorni. Non lo so che senso ha, non l'ho ancora capito e forse non avrò neanche mai una risposta, ma poco importa.
Tu ci sei anche se non ti sento, ci sei nella strada che facevamo sempre insieme, ci sei in un bacio sulla fronte che ancora rifiuto da chiunque non sia tu, ci sei nella frase di un libro o di una canzone, ci sei nella playlist che non riesco più ad ascoltare. Ci sei e chissà per quanto ci sarai, perché la notte è ancora difficile sapendo che il giorno dopo non ci sarai.
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