#chissà che fine farò nella vita
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ross-nekochan · 4 months ago
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Ieri è stato il mio primo giorno in smartworking in questa azienda. Fortunatamente tutto è andato bene e siamo riusciti a connetterci alla intranet aziendale come previsto. Meno piacevole è stato il controllo assillante dei superiori: dal 2 Agosto per adeguarci al resto del mondo, hanno cambiato il sistema telefonico - non più il normale telefono, ma un software che guida chi telefona a chiamare il dipartimento giusto e fa girare le chiamate inbound automaticamente. Peccato che non funziona per niente come una telefonata normale e tu non hai nemmeno il diritto di accettare la telefonata; ad un certo punto senti "tu-tu" e sei direttamente al telefono con qualcuno dall'altra parte. A parte questo, ieri poiché tutto l'ufficio era in smart e poiché si vede che qualche chiamata è andata persa per qualche motivo (riescono a controllare pure questo), ci hanno buttato tutti in un gruppo su Teams e ogni volta che qualcuno si metteva "off" per troppo tempo, veniva taggato e ripreso chiedendosi di rimettersi in "disponibile". Alla fine si è capito che si cambiava lo stato dal semplice "off" a tipo "in pausa pranzo" o "in pausa" non venivi taggato e che il problema maggiore era mettersi su "off" (che non è off ma non so come tradurlo - è tipo "in preparazione").
A proposito di questo, non avete idea di quante lamentele ci sono stata e ci sono (ancora) su sto nuovo sistema di gestione delle telefonate. Tutti hanno l'idea dei giapponesi che non si lamentano mai, sono sempre composti ecc... o cazz. Questi si lamentano h24 su delle stronzate colossali, tipo ieri la mia tutor fa:"Quindi a pranzo devi mettere 'in pausa pranzo', quando vai al bagno 'in pausa'... che palle ogni volta dover mettere uno stato diverso".... aoh?!?!? Ma veramente fai?!? Vabbè che ancora non l'ho inquadrata lei come tipo e non so se e quanto sia 'falsa'... so solo che nun fa nu cazz ed è quella che lavora di meno di tutti. Ieri fa pure:"Grazie a Rossella e a Mochizuki le mail non aperte si sono ridotte tantissimo"... e grazie o cazz e tu che cazz e combinat? Boh, però a quanto pare fa pure gli straordinari quindi non so e non capisco (non ancora, almeno).
Alla fine il tifone di grado 7 di ieri non è stata poi chissà che cosa pericolosamente sensazionale: solo pioggia, pioggia, pioggia tutto il giorno e vento abbastanza forte. Come sempre in questo paese: tanto rumore per nulla. Ma capisco che è meglio prevenire che curare.
Alla fine tra le feste e il tifone questa settimana mi sono svegliata alle 6:40 solo giovedì ed è stata praticamente una settimana intera di dormite bellissime e rigeneranti. Come farò dal prossimo lunedì a vivere di nuovo con i soliti ritmi, non lo so. A cui aggiungiamo pure il caldo assassino che sta facendo (temperature percepite fino a 44°C e umidità sempre su 70/80%) - in pratica ci si scioglie, letteralmente.
Ultimamente sono veramente in dubbio se trasferirmi oppure no. Più che altro perché, dopo che il periodo di prova sarà finito, potendo utilizzare lo smarworking ogni tanto e l'orario flessibile non so se il tutto potrà diventare più vivibile. Ci penserò ancora, anche perché sta cosa delle spese iniziali esorbitanti prima di entrare in una casa nuova non mi vanno troppo giù (cioè in Europa sta cosa non mi pare si faccia manco per il cazzo... non parliamo delle spese per arredarla perché già solo per letto frigorifero lavatrice fornelli e microonde chissà quanto se ne va).
Detto ciò ho ricominciato a leggere un po'. Ridendo e scherzando, sono passati mesi su mesi dall'ultima volta e questa cosa mi mette una depressione assurda, oltre alla rabbia, perché fino a che sono arrivata qui un anno fa avevo preso la bella abitudine di leggere qualche pagina prima di dormire e invece adesso non faccio che perdere ore del mio tempo su quella piattaforma del demonio che è IG. Già il lavoro che occupa tutte le mie giornate mi fa sentire 'spenta' intellettualmente, se perdo quel poco di tempo che mi rimane col telefono in mano, la cosa non può che peggiorare. Ma il fatto è che per me la lettura è un momento molto intimo e non riesco per esempio a leggere nel treno come fanno alcuni giapponesi, mi da proprio fastidio essere circondata dalle persone mentre leggo, preferisco ascoltare musica o non fare niente. Invece loro non riescono proprio a stare sui mezzi senza fare niente per cui il 90% di loro si schiaffa letteralmente il telefono in faccia e guardano di tutto: la TV, gli anime, i drama oppure giocano ai giochi di ruolo, ai pokèmon... se li osservi sembrano tutti una massa di lotobotizzati. Non sanno vivere senza telefono e mi domando quanto sia il loro "screen time", io quando arrivo fino a 5h mi bestemmio e quando quelle poche volte nel weekend sono arrivata a 8h mi è venuto il mal di testa.
Tutto sto preambolo perché volevo dire che sto leggendo Byung-Chul Han e che le sue citazioni di Foucault e Heidegger mi sta facendo troppo venire in mente i tempi dell'università quando i loro concetti erano all'ordine del giorno... che bello che era dover usare il cervello tutti i giorni e studiare cose nuove.
Ci dicono dall'infanzia che quando saremo grandi e avremo un lavoro, saremo liberi di fare quello che vogliamo. Col cazzo, è l'esatto contrario: sarai forzato a chiuderti in uno spazio a spendere il tuo tempo facendo cavolate come fossi schiavo del nulla, anzi schiavo dei soldi che ti vengono addebitati e che ti fanno credere di essere libero.
Anche se mi sembrava insopportabile, avrei dovuto sfruttare di più il mio periodo di disoccupazione... ci si lamenta che si esce di casa sempre più tardi ma fossi io incoraggerei a non lasciare casa finché non muore chi ti mantiene, altroché. Prima o poi morirà chiunque e rimarrai solo, quindi dovrai lavorare per forza quindi perché non sfruttare chi ti ha messo al mondo fino alla fine? E se non gli sta bene mandateli a fanculo. Nessuno ha chiesto a nessuno di mettere al mondo altra gente e se pensavano di farlo perché così 'durante la vecchiaia non rimaniamo da soli' la prossima volta si fanno due conti in tasca prima di pensare a sfornare badanti a gratis. Certe volte più che ai sugardaddy penso che fare la badante a qualche coppia di vecchietti (non troppo burberi) possa essere una valida alternativa a sta vita d'ufficio di merda... e non sto scherzando.
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libero-de-mente · 1 year ago
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𝗜𝗹 𝘀𝗮𝗯𝗮𝘁𝗼 𝗺𝗮𝘁𝘁𝗶𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝘃𝗶𝗹𝗹𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 - 𝟮𝟬𝟮𝟯 𝗲𝗱𝗶𝘁𝗶𝗼𝗻
Il donzelletto vien dalla casa,
In sul sorger del sole,
Con la sua borsa della spesa; e reca in mano
Lo comunicatore digitale.
Così alle otto in punto, all'apertura del supermercato, mi reco a prendere cibarie et pozioni alcoliche per lo sabato caloroso.
La prole chiede che cucini io questa sera, ci sarà anche il cuore di figlio 2 a passare il fine settimana da noi.
Dovrò accendere il forno, se dovessimo trasportare questo sabato sera in un film io sarei il macchinista, quello tutto sporco e sudato, che fa l'impossibile per far si che il motore della nave, o del treno, non si fermi. Mentre gli attori protagonisti dalla cabina di comando si prendono gli onori di aver salvato la situazione.
Alla fine non ci saranno inquadrature per me, ridotto a una pezza mi farò una doccia.
Però come gli eroi che si immolano per la compagnia al barbecue sotto un sol leone, verrò ricompensato dalla birra ghiacciata che avrò nel frigorifero.
Con questi pensieri giro tra le corsie cercando di ricordarmi cosa manca tra gli ingredienti che dovrò utilizzare.
Passo per una corsia, dopo pochi minuti ci ripasso, sembro perso. Invece no, il mio disordine cerebrale da neuro divergente mi fa fare percorsi alternativi e panoramici.
Incontro una signora che vedendomi mi sorride, alza il dito nell'atteggiamento tenero che hanno alcune persone prima di farti una domanda. Percepisco questa cosa e comincio a entrare in modalità ansia.
Solo io so quante persone che mi hanno chiesto indicazioni stradali sono finite a "Chi l'ha visto?".
Una volta una coppia in auto si fermò e mi chiese "Scusi sa dov'è Via Roma?"; "Non lo so, mi dispiace" - risposi repentinamente.
Mentre si allontanavano mi chiedevo dove fosse Via Roma, l'avevo già sentito il nome di quella Via.
Poi mi ricordai che in Via Roma ci abitavo, oltre al fatto che ero appena uscito da casa.
La signora si avvicina e mi chiede se io fossi (nome di mio cugino).
Mio cugino. Un anno meno di me, le nostre madri sono sorelle e i nostri padri erano fratelli tra loro. Madre natura si è divertita molto con i cromosomi e geni. Così spesso mi chiedono o mi chiamano con il suo nome. Però questa cosa non capitava da decenni.
La signora si ricorda di me e di mio cugino, abitavamo anche nello stesso condominio da piccoli, perché abitava appunto nella nostra stessa Via.
Le rispondo che non sono cugino ma Rino, lei mi dice che mi segue qui su Facebook.
Poi mi guarda, nota che non sono come quello nella foto.
Le dico che generalmente uso da ventordici a trentanta filtri per essere decente. Lei mi fissa e mi dice: "Se posso, lei è meglio dal vivo. Con i suoi capelli e quel viso da buono".
Il "viso da buono", me lo dicono spesso. Si tratta dell'eredità più forte che mi ha lasciato mio padre. Un buono, che fu paraculato dalla vita e dal sangue del suo sangue. Ma per lo meno è morto credendo in una vita migliore. Secondo me fu per questo motivo che sorrise esalando l'ultimo respiro.
Arrivo alla cassa, oltre le cibarie metto sul nastro il bottino di guerra: birre. Diverse tra di loro.
La cassiera mi guarda, le dico - "Sono per la mia colazione"; "Se questa è la colazione non voglio sapere cosa si beve a pranzo e cena" - risponde lei.
"Però accompagno la birra con biscotti integrali e senza glutine" - aggiungo, ma credo di aver peggiorato la mia posizione nei suoi confronti. A far lo spiritoso puoi anche essere frainteso.
Esco di corsa, sulla strada di ritorno mi fermo in un altro negozio per le bombolette di ricarica per un gasatore di acqua. Consegno quelle vuote e prelevo quelle piene, a una delle mie due bombolette vuote manca il tappo di protezione di plastica.
Lo faccio notare alla commessa: - "È stato il gatto, si è preso il tappo e chissà dove lo ha portato. Se vuole glielo porto dopo".
"Ma no si figuri" - mi risponde gentile - "Ci mancherebbe, per un tappo".
"Io intendevo il gatto" - le dico serio.
Mi guarda, la guardo, si gira dandomi le spalle, la guardo, lei scoppia a ridere e si rigira verso di me, io già ero pronto con il telefonino aperto su una foto "coccolosa" di Alvin.
"Ma è lui il colpevole?" - Mi chiede.
"Si" - le rispondo.
I suoi occhi diventano dolci - "Se me lo porta poi lo terrò con me però, io l'avviso".
Rientro a casa con due convinzioni: la faccia da buono va bene solo con le signore d'antan, per il resto se ne approfittano in molti.
I gatti domineranno il mondo, dato che riescono a dominare i cuori delle donne.
Altro dirvi non vo’; ma la mia testa
Cincischia fino a tardi, speriam che a pensar troppo non sia grave.
ps ai due richiedenti informazioni sulla Via Roma, poi, corsi appresso. Lui mi vide dallo specchietto retrovisore e si fermò.
Mi avvicinai ansimando per la corsa: - "Anf anf, s-so dov'è Via anf anf Roma. Me lo sono ricordato"; E la lei della coppia: - "Bene! Dov'è?". La guardai fissa negli occhi "È questa!" - risposi trionfante.
So che non riuscirono a salutarmi dalle risate che si fecero, solo lei riuscì a farmi "ciao ciao" con la mano, mentre lui ripartì con l'auto.
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sudokulife · 2 years ago
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11.17 giovedì 16 febbraio
A volte capita che la vita riservì sorprese, già ma non quelle degne di chiamarsi tali anzi.. a volte sono talmente sorprese che sembra ti crolli il mondo addosso, ti continui a dire che non doveva andare così, che la vita è lunga ma continui a non darti pace coi soliti pensieri. Ti odi, ti incazzi con te stesso, ti aggrappi al nulla più totale nella speranza che sia solo un brutto sogno perché non hai buttato via il tempo con qualcuno ma sapevi che era speso bene perche quella persona per te è davvero tutto allora ti incazzi ancora di più perché d’ora in avanti non ci sarà più in nessun modo, ho giocato male le mie carte e basta, mi mancherà sempre più dell’aria che respiro, mi mancherà tutto, penso durerà in eterno credo un eterno che non è ben comparabile ma sarà comunque troppo tempo e starò sempre peggio, il male d’amore con la friend zone sono una brutta accoppiata me sa.. io celho messa tutta e va bene così, farò questo crogiolo di dolore parte presente della mia vita è basta che devo fa, non avrei mai creduto potesse succedere.. invece è successo, saranno solo tanti bei ricordi, litigate epiche e niente alti e bassi come tutto ma quando si ha prospettive diverse purtroppo è quello che fotte, non incontrarsi e separarsi per forza di cose nonostante tutto il bene. Giuro sono bloccato sul letto a scrivere e sto sbadigliando da ore, non penso nelle prossime ore avrò più voglia di far nulla, ho perso qualsiasi tipo di estro potesse venirmi e Tumblr sarà nuovamente il mio compagno di avventure per un po’ credo. C’è il sole, un sacco e ho un caldo allucinante come spesso accade, devo poi chiamare mia zia per chiederle due cose dato che domani tornerò nella mia città natale per un paio di giorni giusto per andarla a trovare, fare un giro con mio cugino e chissà che altro poi il giorno dopo penso andrò a trovare mia mamma che nn sta nulla bene, ma questa è un’altra storia e nulla per la sera poi credo tornerò a casa mia.
Sento solo che sto di merda in questo momento e vorrei che le cose in generale fossero andate diversamente, mi dispiace per tutto ma non posso nascondere i miei sentimenti al mondo, non riuscirò mai a farlo, in questi casi c’è spesso che si fa aiutare ma alt i miei amici più cari sono meno di tre e più di uno e uno di loro è mancato quindi.. è il rimanente è lontano e lavora, bello schifo che sono: solo soletto mazziato e cazziato, giuro ora non sento più incentivi come prima, nessuno..lo so è difficile e brutto credere in un rapporto con una persona che c’è la possibilità che si trasformi un casino un giorno ma ho fatto il solito errore di crederci troppo perché avevo davanti una delle persone più belle mei conosciute in mia vita e voillà le merd son fé.. siinizia sempre con le amicizie più belle e poi uno si innamora(spoiler stavolta io), e la cosa brutta è che l’altra persona crede solo nella stessa bella amicizia che c’era un tempo e che tu man mano hai però da parte tua fatto diventare altro.
Non so quanto durerà sto monologo senza fine perché non voglio nemmeno fermarmi a pensare, non so che fare a parte deprimermi e ripensare al tempo passato mentre sto in lacrime, non riesco nemmeno a giocare ai videogiochi o ascoltare musica, ne disegnare.. non mi viene nulla se non stare sul latto a piangere ancora, spero solo non mi ricomincino le crisi di qualsiasi cosa, se sono solo mentre ho crisi ho una fifa boia che possano crescere a tal punto dal farmi del male..spoiler sono da solo e sto tremando, chissà come andrà a finire se in una tachicardia o attacco di panico boh lo scopriremo in questa favola..
Ps anche se poi dopo il tutto non riuscissi più ad alzarmi se finisco a terra non sarebbe poi così male dato il periodo, vedremo chi ci sarà a raccogliermi col cucchiaino e a sbattermi in faccia che la vita può essere meglio di così. SPOILERONE nessuno perché nessuno ci tiene a me a tal punto anzi si forse lo farebbe mia madre ma è convalescente operata di tumore a 60 km da me quindi ciccia si vedrà .
Buon periodo di merda,spero ce lo abbiate almeno un minimo migliore del mio dai alla prossima se ci sarà
Leo
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onlinediarykindathing · 2 years ago
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5 MAGGIO 2023
Ora sto un po’ tremando. Stanotte non ho sentito il mal di pancia del ciclo ma stamattina stavo già un po’ strana. Non ho manco mangiato tutto il pranzo. Poi mi ero un po’ ripresa ma adesso mi sento proprio debole. Almeno sto bevendo tè freddo quindi un po’ di zuccheri mi arrivano nel corpo.
Sto facendo la prima tavola della filiera corta e per fortuna sto trovando cose da scrivere e mi sto incartando sui grafici perché adesso che ho usato un colore più chiaro stanno meglio ma ancora non mi convincono e per una volta voglio proporre qualcosa di carino che ho pensato io, senza riciclare idee vecchie.
Ho mandato una foto ad ile dei grafici che sto facendo sia a Daniele che a Ile, ma nessuno capirà la battuta. Con lui mi sto sentendo spesso, principalmente per la questione della missione (che adesso sarà fuori dai suoi piani) ma anche per altro. L’ultima volta che ci siamo chiamati ha cercato di fissare una data per vederci e finalmente fare combo sushi+cinema dato che c’è il film anime nuovo che chiunque ha già visto ma di cui mi scordo il nome, ma poi dice che forse non ci sarà e io lo prendo in giro dicendo che già lo so. Oggi per lo meno mi ha avvisato in anticipo e mi ha anche detto perché non ci sarà e anche che possiamo riprovare settimana prossima (ora scrive pure ya). Vabbè sta migliorando leggermente il ragazzo. Da un lato sono contenta che sta impegnato in tante cose anche se non riusciamo a vederci e dall’altro non voglio che lo prendono a Roma dopo questo colloquio che ha fatto perché mi sono rotta di gente che va a Roma e sparisce dalla mia vita. Ma questo è un altro fatto. E poi almeno è Roma rispetto a che ne so, Bologna. 6 ore di treno.
Gli devo dire che ho iniziato a vedere Dante’s inferno con tutti i dejavu che mi stanno venendo del 4 anno di scuola. A quel periodo dovrei proprio smettere di pensare. Almeno forse questo weekend riesco a finire i sottotitoli e glieli posso inviare. Un regalo di compleanno leggermente in ritardo.
Ad ile devo scrivere dopo, quando esco dallo studio, per vedere quando e come ci becchiamo nel weekend, mi deve raccontare i fatti del prof relatore e di come sta andando al suo studio e potremmo organizzarci per l’esame di stato (io ancora non ho ricevuto nessuna chiamata dalla vicepresidentessa dell’ordine, magari nella settimana prossima, intanto ho sempre il Bluetooth acceso e sono pronta a mettermi gli auricolari per parlare di chissà cosa con lei bho). Mio padre ha saputo che entro il 15 si saprà qualcosa, speriamo.
Intanto mi sto divertendo un mondo a pensare alla missione. Non sarà più a Samos ma a Mitilene (il comeback delle frittate ai peperoni la mattina!!). Cate ha già prenotato la casa, io sarò in stanza con lei e ci saranno questa Giorgia in stanza con Francesca e poi Benedetto nella singola. Questi sono quelli del suo gruppo di tesi più un altro ragazzo del 2000 che già odiano perché li ha costretti ad un cambiamento di tesi facendo tutto da solo. Io ho il virus di immischiarmi nei problemi altrui, questa situazione è troppo bella. Farò dei blog e mi divertirò. Certo se viene Daniele davvero alla fine sarei ancora più contenta ma va bene così, probabilmente le date si spostano facendo rientrare il mio compleanno quindi top. Mia sorella sparirà pure lei una settimana in estate per la scuola estiva di non so cosa che deve fare per il dottorato.
Se non mi sentissi male adesso mi divertirei di più qui nello studio, oggi sto proprio stordita.
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nonhofantasiaa · 2 years ago
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F i n e 26-03-23
Il mio cuore non batte più per te. Non sento più farfalle nello stomaco. Non provo più agitazione nel vederti. Prima di tornare ad infossarmi ho riflettuto molto.
E così decido oggi di chiudere una porta o anzi un portone. Di porre fine a qualsiasi mia speranza di un ritorno di qualcosa perché non sarebbe giusto ne da parte mia ne da parte tua. Se due diventano ex un motivo c’è sempre e forse alla fine semplicemente non era destino.
Decido quindi di lasciarci con questo ricordo di una serata ad un evento in Olanda e niente più. Non ti cercherò più, non proverò a vedere in che evento potrei trovarti per caso, in che posizione o con chi sei in discoteca. Semplicemente ti lascio andare.
Il mio cuore anche un po’ l’ha capito che era questa la sorte perché non mi batteva più all’impazzata come un tempo. Certo il pensiero del “ma quanto ti posso amare” c’è stato soprattutto quando te ne sei uscito con <alla fine abbiamo trovato un modo per venire ad Amsterdam insieme più o meno, hai visto?> cosa a cui io non avevo minimamente pensato e che tu ti sei ricordato. O mentre dormivi. Perché si sei bello e si di certo non mi sei indifferente anche se non ti amo più come prima.
Ora però decido fermamente che ti lascio libero, ti lascio volare, e ti prego vola forte e alto perché puoi e sai farlo devi solo crederci un po’ di più. Davvero con il cuore in mano vorrei dirti che ti voglio bene e che ci sarò sempre, ma esserci come vorresti tu ovvero come semplice amica ad oggi mi è impossibile e a questo punto preferisco mettere un punto e basta. Sapendo cosa c’è stato, sapendo cosa non tornerà o cosa non ci sarà più. Sapendo che in fin dei conti nulla ha avuto un senso ma che ti ho dato l’anima anche se non è bastata.
Mi son “accontentata” del mio amore nonostante da subito avessi capito che poi in fondo non siamo mai stati così compatibili finendo a mettermi in sentimenti più grandi di me, finendo a perdere la testa per te.
Ci son stata anche molto male per te. Per me. Per noi. Per i quali per alcuni momenti ho davvero pensato che avremmo potuto durare nonostante tutto per sempre.
Beh mi sbagliavo. E dopo due anni ci siamo. Metto me per prima. E quindi grazie davvero. Grazie per questo viaggio incredibile nella mia vita, grazie per la compagnia, i bei momenti, le batoste.
Ora però è l’ora che tu scenda dal treno della mia vita. E chissà se mai ci si rivedrà o ritroverà. Io voglio promettere a me stessa che non ti cercherò più perché non ha più alcun senso, e magari tu farai lo stesso.
Poi si sa nella vita mai dire mai, ma per ora buona vita fiore, ti ho amato e ti vorrò sempre bene senza scriverti, senza sapere nulla di te, semplicemente a distanza.
Vivi, sogna, ama. Vai oltre a ciò che credi. Azzarda. La vita è una non te la tornano indietro. Goditela un po’ di più, cerca di non dimenticarti di me mai, tienimi sempre un po’ nel cuore come io farò con te. Vai alla ricerca di ciò che ti fa sentire vivo, trova amici sinceri che ti supportino, cerca di vedere il sole anche durante le tempeste. La vita è bella sempre non solo il weekend. Cerca di capirlo presto e così potrai risplendere più che mai.
Prenditi cura di te stesso e stammi bene.
Addio.
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kon-igi · 4 years ago
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Vaccino? E io che ne so!!
Buonasera Doc!!
La mia ragazza, chiacchierando, mi chiedeva se fosse ok fidarsi di un vaccino “con così pochi mesi di test”.
E lamentava la frustrazione di non avere la conoscenza sufficiente in materia per capire di quale fonte online fidarsi per provare a documentarsi un minimo.
Niente negazionismi eh… Solo “umani” dubbi e preoccupazioni su un tema sia socialmente importante che personale ma anche complesso da capire.
In caso avessi già scritto qualche riflessione sul tema, posso chiederti di riproporre il link del post? Le domande sono le solite… Come funzionano e quanto sono sicuri questi tre vaccini (for dummies)? Quali sono le procedure di sicurezza nel progettare un vaccino?
La butto li: #vaccinofordumies
Immagino che nei prossimo tempi il tema “vaccino” sarà (purtroppo? per fortuna?) di grande attualità.. Se i vien voglia di mettere in fila i tanti spunti che tu ed altri proponete sul tema… credo che molti li leggerebbero con attenzione e fiducia!!
Grazie mille per tutti gli sbatti che ti fai! :)
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Gli sbatti che mi sono fatto e che mi sto facendo (peraltro in modo volontario, come il protagonista de L’Entrangèr di Camus) mi stanno facendo arrivare a una conclusione che non vi piacerebbe ma parlarvene o meno in questo post dipenderà da come mi si svilupperà in testa.
Intanto adesso vi spiego come funziona il vaccino anti-Sars-CoV2.
Anzi, no, non ve lo spiego... avete presente Morpheus che fa il pippone a Neo con la pila in mano? Vi pare che gli abbia spiegato Matrix com’è nato? Come si è sviluppato? Quali sono le sue infrastrutture, dove sono i server, da dove trae il nutrimento per gli umani e mille altri tecnicismi che potrebbero far costruire alle sorelle Wachowski un grattacielo di mazzette di dollari con dieci stagioni di Matrix 3.0 re-reloaded?
No.
Siete pile, Matrix è cattivo, distruggetelo.
Idem i vaccini.
Potrei iniziare a informarmi nel dettaglio adesso, finire tra qualche mese e sapere poco più del nome del magico piccione viaggiatore che vi porta l’internet dentro il vostro computer o il vostro smartphone.
Voi potete fare un’unica cosa: FIDARVI CIECAMENTE OPPURE NON FIDARVI.
Ed entrambe le opzioni sono parimenti valide, facilmente difendibili con i pochi strumenti che avete a disposizione e, come ogni argomento fuori dalla vostra specifica sfera di competenze, plasmabile e adattabile al vostro modo di vedere e interagire con la realtà.
Se siete degli odiatori a prescindere il vaccino vi fornirà un motivo per disprezzare chi ne promuove l’efficacia o chi la nega, se siete dei pessimisti finirà male nonostante il vaccino o proprio a causa di questo, se avete paura della Morte questa cambierà vestito e continuerà a farvi visita per tutta la vita, prima mascherata da sintomo cercato su Google, ora da Covid e poi chissà cosa pescherà da suo guardaroba.
Quindi, lo dico adesso e poi cercherò di non dirlo più.
Tra poco è Natale e gli antivaxxer stanno ricevendo in regalo una confezione da mille di compresse di Viagra e un vibratore Mandingo Deluxe Bisex per sollazzarsi e se volete difendere uno dei nuovi vaccini in arrivo vi avverto che lo dovrete fare credendoci fideisticamente per contrapposizione e capendone una cagatina di cimice poco più di loro.
Io, se volete, posso anche SEMPLIFICARVI alcuni meccanismi di farmacocinetica e di farmacodinamica (e lo farò volentieri) ma sarà poco più che dirvi che tipo di becchime spargere attorno al vostro computer e al vostro telefono affinché il magico piccione dell′internet vi faccia visita.
P.S.
Ah, già... la conclusione.
Morirete tutti. 
Soli o circondati da persone che vi amano. Nel vostro letto o in un fosso, tra lamiere accartocciate e in fiamme, in una terapia intensiva o in un campo di grano senza rosa o tulipano. Stanchi di essere stanchi o col sogno di una vita a un passo dal realizzarsi... come tutti e 108 i miliardi di Homini sapientes che dal 50.000 a.C. hanno creduto di essere singolarmente speciali e che il loro momento storico fosse il più importante.
Avete creduto che vi sareste meritati per sempre il meglio della vita solo perché avete avuto la fortuna di nascere nella parte privilegiata del mondo e ribadisco FORTUNA... non merito, premio, medaglia, eredità o conquista. CAZZO DI FORTUNA.
Siete il cugino emigrato a Milano che a Natale vi sbatte in faccia quanto sia difficile avere a che fare con dei dipendenti che non hanno voglia di lavorare e sottolinea la cosa facendo tintinnare le chiavi del suo Maserati.
I vecchi moriranno e i giovani sopravviveranno loro, come da ben più di 50.000 anni a questa parte.
E non c’è una sola vostra argomentazione, conclusione o affermazione che mi tolga dal cuore la logorante impressione che alla fine, se voi siete in salvo, l’unica cosa che conta è che gli altri muoiano lontano dalla vostra vista senza incadaverarvi il giardino.
Badate invece di decidere bene cosa fare con il tempo che vi è stato concesso, di enumerare due volte le vostre fortune e di condividerne il doppio con il doppio delle persone di ieri.
Certo così non prolungherete la vostra data di scadenza ma perlomeno non morirete nella paura in cui ora state vivendo.
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perimmagini · 4 years ago
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Piastrellato ROSA
Fine ottobre, forse già Novembre. Sono per le strade intorno al mio quartiere, a Milano, che cammino con una giacca troppo leggera, i pantaloni della tuta e sotto solo una magliettina, per farmi sbollire l’incazzatura. E’ sera, inizia a fare freddo, e io parto da isola e inizio a camminare, cammina cammina, spingendomi sempre più in là, fino a quando la città diventa diversa, i palazzi si allontanano tra loro e in giro ci sono solo persone come me, pazze e sole. In Viale Valtellina a un certo punto riconosco l’Alcatraz, mi fermo pensando a tempi migliori in cui mi ci ero divertito un sacco, poi proseguo incuriosito dalle stranezze della via, tipo un palazzo piastrellato in ROSA, o alcune voragini aperte tra gli edifici in vista di nuove costruzioni che con sto covid chissà quando verranno terminate. Mi sento un po’ umarell.
A pochi passi da questo palazzo rosa, davanti a un palazzotto in vetro e acciaio, c’è una costruzione molto più anonima con davanti una di quelle postazioni comunali con le bici. E appoggiato alla postazione scorgo un ragazzo; sembra giovane, ha il telefono in mano e dà l’idea di essere un “bullo”. Sembra stia aspettando la ragazza sotto casa per farci un giro, tipo quando sei adolescente e ti infratti per un pompino o cose così. Ha una giacca di pile troppo leggera e pantaloni della tuta, pure lui, che sembrano fatti apposta per tirare giù l’elastico e far scavallare il cazzo teso.
Lo guardo, perchè purtroppo quando uno mi piace non riesco a fare a meno di mangiarmelo con gli occhi, e pure lui mi guarda con fare interrogativo. Decido di proseguire, e di nuvo mi perdo in mille vie, viali e viuzze, senza mai sapere bene dove mi trovo perchè la geografia di Milano non mi entra in testa, non è un bel reticolo come Barcellona, non è a cerchi concentrici come Amsterdam, o meglio lo è ma i cerchi sono inframmezzati da troppi viottoli casinari. Miei unici punti di riferimento sono i luoghi che vedo camminando: una banca, un palazzo, una casa che avevo visitato quando ancora ero alla ricerca... cose così.
Dopo una mezz’ora buona passo vicino a un’Intesa San Paolo (credo) con tanto di fontana, mi giro e mi rendo conto di essere a 100-150m dal punto in cui ho visto quel bel ragazzo. Inizialmente scrollo le spalle e proseguo, ma poi come una forza invisibile mi fa girare e tornare verso quel posto, senza nessun intento preciso, sicuro di non trovarci più nessuno. E invece eccolo lì, che mi vede ripassare nella direzione opposta, di nuovo guardandolo, con ancora più insistenza.
Anche lui mi sta guardando, sempre con una espressione stupita/divertita negli occhi, sempre con il telefono in mano. Come ho già fatto mille altre volte nella vita decido di essere sfrontato, lo supero e mi giro di continuo a guardare. Lui mi sta ancora fissando, io proseguo per una ventina di metri, sempre girato all’indietro verso di lui che mi guarda interrogativo. Poi mi fermo, mezzo coperto dal tronco enorme di un albero del viale. Non c’è quasi nessuno in giro, poche macchine che passano; mi metto in modo che lui mi veda parzialmente, quando lo decido io, e che nel frattempo mi vedano anche le auto in marcia, nel caso la situazione si facesse rischiosa. Per ora è solo eccitante.
Ora ci fissiamo a distanza, lui sta iniziando a fare gesti con viso e mani tipo “cazzo vuoi?”, io lo guardo insistentemente, e con la testa gli faccio segno di avvicinarsi. Ho paura in quel momento, ma sono in un posto abbastanza aperto, posso scappare, farmi vedere... chi lo sa. Lui non se lo fa ripetere due volte, e io faccio un passo verso la carreggiata delle auto, per non restare nella mezz’ombra. Quando è vicino mi dice “COSA VOI?” con un forte accento straniero. Visto in azione forse non è bello come mi pareva, ha un po’ di panciotta da adolescente, e è un po’ più basso di me. Però ha questa faccia un po’ balcanica, ipotizzo potrebbe essere Rom, e un’espressione strafottente.
Gli dico che non voglio niente, ma lui non ci crede: “SE VOI QUALCOSA DIMMI”
- tipo cosa?
-QUELO CHE VOI!
-...tipo potrei farti una sega
- SI VA BENE ANDIAMO!
E così iniziamo a passeggiare senza meta, con lui che mi dice di essere etero ma di andare per soldi con uomini e mi chiede se ho qualcosa per lui. Io sono sinceramente convinto di essere uscito senza soldi, e gli dico che ho solo qualche monetina, ma lui non se ne va, anzi mi cammina sempre più vicino. Nell’imbarazzo generale ricordo di aver messo nella tasca interna un 20euro che mi han dato di resto, e per rompere il ghiaccio (non ho mai pagato nè contrattato nulla di tutto ciò, non so come si faccia nè sono interessato a farlo) glielo sventolo davanti e gli dico che ho solo quello. Lui tutto contento mi dice che va bene, che ci possiamo divertire, e continuiamo a camminare in cerca di un posto.
Io in realtà sono un po’ preoccupato, nel mondo dei sogni avrei fatto di tutto in mezzo alla strada con un ragazzotto etero ed eccitato, nella vita reale sono ipocondriaco e voglio vederci chiaro, quindi sto all’erta e mi dico da subito che al massimo gli farò una sega. E poi mi fa strano la cosa del pagare, è come se mi trovassi in un sogno e volessi vedere dove si va a finire, qualsiasi cosa è meglio della prostrazione psicologica e fisica che mi ah portato ad uscire di casa senza soldi, senza telefono, poco vestito.
Lui comunque è simpatico, parla abbastanza bene l’italiano, dice di avere 18anni, di essere turco, di essere arrivato in italia da un annetto con genitori e nonni. Non studia ma durante il giorno fa il dogsitter, e la sera verso le nove si mette in strada e vede di arrotondare. Sei gay? Bisex? NO, ETERO, MA NON HO RAGAZZA. Usi il preservativo? NO, e alza le spalle. 
Per un po’ giriamo nelle vie intorno a Viale Valtellina, ma c’è sempre qualcuno, magari qualche sbandato seduto per terra, o luci accese nelle case di fronte. A un certo punto mi tocca il culo, mi si avvicina da dietro e mi sussurra entusiasta “MI PIACE SCOPARE”. Però se gli tocco il pacco non sento granchè duro. Alla fine gli viene in mente un parcheggio isolato, proprio dietro a quel palazzo di vetro e acciaio, dove tra l’altro ero già passato prima. Ci mettiamo sotto a un albero, in piedi. Gli apro la zip della felpa di pile e mi scaldo contro il suo panciotto. Lui tira fuori il pisello che ora è ben duro: nulla di che, saranno 12-13cm. Non voglio baciarlo, gli lecco solo un po’ il collo e sento un odore che non capisco se è il suo, di maschio poco lavato, o se è il mio, di sudore, lacrime, moccio colato ovunque mentre ero in casa e urlavo come un pazzo al telefono. Non è sgradevole, ma non voglio troppo contatto. Lui cerca di mettermi le mani nelle mutande ma glielo impedisco, prendo in mano il suo pisello e lo sego lentamente, mentre lui si lamenta, dice che mi vuole scopare, e mi stringe a sè.
Sego per un po’ ma oggettivamente sopno già stufo del giochino, già appagato di aver trovato un per strada e avergli visto il cazzo, senza app di mezzo, così per un colpo di fortuna. Lui mi prega di inginocchiarmi e succhiarlo, almeno di bagnarglielo un po’, perchè è tutto secco, e io mi inumidisco la mano e lo lubrifico con la mia saliva segandolo. Lui apprezza molto, è duro come non mai, mi dice che una volta verrà a casa mia e mi scoperà duro, e io annuisco distrattamente, in realtà a casa vorrei già esserci, non ho più voglia di stare lì, mi fa fatica anche l’idea di dover camminare indietro.
A un certo punto ritiro fuori i 20 euro dalla tasca, glieli dò:
-Dai grazie, per me stasera è abbastanza, ci si vede
Me ne vado, lui mi dice di dargli il numero, ma non esiste proprio allora mi dice di ripassare dilì, perchè lui tutte le sere sta in quel posto, ma io mi sono già girato con un cenno di saluto.
Lì per lì non mi ha fatto nè piacere nè dispiacere questa esperienza: ero molto triste, lo ero da tempo e lo sono stato ancora per giorni, ma almeno per una mezzoretta avevo pensato ad altro. Oggi se ci ripenso ho sentimenti contrastanti, per lo più mi eccito, ma non credo lo rivedrei.
#storie 
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emmalynthewriter · 3 years ago
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Un’avventura e una nuova famiglia
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                               Un’avventura e una nuova famiglia
Era una mattinata gelida ad Arbora, e in una cavità di un albero nel fitto del bosco, un piccolo Pichu si stava svegliando. Aprì gli occhietti ancora cisposi e stanchi. Per lui dormire era diventato sempre più difficile da alcuni mesi. "Pichu" disse, che significava: "Buongiorno a me." Era un saluto triste, ma l'unico che poteva darsi. Non c'era nessuno, lì intorno, a parte tantissimi insetti che facevano sentire i loro versi. Pichu  vide una farfalla e prese a inseguirla, ma questa fu veloce e non si fece prendere. Uffa, non poteva nemmeno giocare. Tornò nella sua tana e scoprì, come sempre, che la mamma non c'era. Era morta. Il Pichu guardò se aveva qualcosa da mangiare, ma non possedeva più nulla. Le scorte di cibo che si era fatto per l'inverno erano finite e ora doveva andare a cercare qualcosa. Nonostante il freddo, ad Arbora crescevano molti frutti, ma prima c'era una cosa che doveva fare. Si avvicinò a una pietra. Lì sotto giaceva sua madre. Mamma Dragonair, un'amica della mamma di Pichu, l'aveva seppellita e lui e Dratini, il cucciolo di Dragonair, giocavano spesso insieme. "Buongiorno, Pichu. Come stai?" gli chiese mamma Dragonair nella loro lingua. Diversa per ogni Pokèmon, chiaro, ma fondamentalmente fatta di ripetizioni dei loro nomi, a volte spezzati, e altri versi, che nel caso di Dragonair e del suo piccolo non erano che mormorii. Lui abbassò lo sguardo e lei gli si avvicinò. "Lo so che ti manca la tua mamma" gli disse con dolcezza. "Ma lei vorrebbe che tu fossi felice." "Non lo sono. È passato poco tempo. Non ho nemmeno un allenatore" disse il piccolo, triste. "Hai bisogno di qualcosa? Hai mangiato?" "No, ma me la caverò. Dov'è Dratini?" "Sta dormendo. Se non hai bisogno di me, io torno da lui." "Vai tranquilla, a dopo." Il piccolo camminò nella neve fresca, caduta  quella notte. Gli piaceva correrci in mezzo, perché adorava il suo rumore ovattato. Arrivò davanti a un melo e, deciso a cogliere uno di quei succosi frutti, provò ad arrampicarvisi. Fu difficile, doveva stare attento a dove metteva i piedi, ma ci stava riuscendo, finché… boom, cadde giù dall'albero finendo con il sedere, e per fortuna non la testa, per terra. Rise di se stesso e riprovò, ma prima di salire sbatté la testa contro l'albero. Si mise una zampa nel punto che gli faceva male e andò nel ruscello lì accanto a rinfrescarsi la testa. La mamma gli aveva insegnato a fare così quando prendeva una botta, in quel modo non si sarebbe formato un bernoccolo. Il pensiero della mamma lo turbò talmente tanto che non volle nemmeno giocare con Dratini, che intanto si era svegliato e, senza aver mangiato niente, si ritirò nella sua tana. Se avesse trovato quel maledetto Skunkay, non sapeva cosa gli avrebbe fatto. Anzi sì, gli avrebbe tirato una scossa talmente forte da scioccarlo e così sarebbe stato libero da lui e dal suo veleno. Ma no. No, lui era solo un cucciolo, non era vendicativo né forte come uno Skunkay adulto e non voleva nemmeno vendicarsi. La vendetta non serviva a niente, avvelenava soltanto l'anima, gli aveva detto sua madre una volta. Lui non aveva capito cosa intendesse, e ancora non comprendeva, ma se la mamma gli aveva insegnato a non odiare e a non portare rancore, lui l'avrebbe fatto. Uscì dalla sua tana quando, per la fame, non ne poté più, e rinunciando alla mela si nutrì di alcune fragole che, stranamente, ad Arbora crescevano tutto l'anno, poi tornò indietro. Se non ci  fosse stata mamma Dragonair, sicuramente  il piccolo si sarebbe lasciato morire. Non aveva più la mamma, che senso aveva vivere? Certo ora non stava vivendo, sopravviveva, ma era abbastanza. Trascorsero alcuni giorni e Pichu conduceva la sua vita come sempre. Giocava con Dratini, anche se non era allegro come un tempo, e aspettava. Aspettava che un allenatore lo trovasse. Lui lo cercava, girava per la foresta, ma quelli che incontrava avevano già tanti pokémon o, a detta loro, non erano interessati a prenderne uno così piccolo. Durante una delle sue passeggiate, Pichu si affacciò alla cavità di un albero. Era vuota, forse  la tana di qualche animale. Era stanco per il troppo camminare e decise di entrarci per fare un sonnellino e riscaldarsi, ma quando si svegliò non riuscì più a uscire. Era incastrato. Gridò e gridò, ma non venne nessuno. Mamma Dragonair era troppo lontana per sentirlo. Da un'altra parte della foresta, una ragazza stava mettendo in ordine le sue sfere Poké in uno zaino. Si sistemò i capelli castani dietro le orecchie. Adorava lasciarli sciolti, ma a volte le davano fastidio. Era non vedente e per questo aveva affinato le sue abilità di tipo psico. Con il suo udito fine riusciva a catturare i Pokémon e con il bastone bianco si muoveva per la foresta, rendendosi conto degli ostacoli. All'inizio i suoi pokémon avevano avuto paura del bastone, ma poi ci si erano abituati. "Andiamo" disse Julie, mettendosi lo zaino sulle spalle dopo averlo chiuso. Era un'allenatrice molto brava. Vinceva spesso le battaglie e aveva catturato già ben quarantacinque pokémon. Voleva bene a tutti come fossero stati suoi figli. "Pichu! Pichu!" sentì gridare in lontananza. Forse un pokémon era in difficoltà e lei, pronta a dare sempre una mano tanto alle persone, quanto agli animali, quanto ai pokémon, prese a correre, per quanto il terreno accidentato e il bastrone glielo permettessero. "Pichu! Pichu pi!" Era anche una capo palestra, e battendo lei un allenatore otteneva una medaglia, di nome Idea, a forma di lampadina accesa. Ma tutto questo ora non le interessava. Corse e corse, passando a pochi centimetri da uno stormo di uccelli che volava basso. Attraversò un ruscello che, purtroppo, non aveva un ponte e si infangò le scarpe e le calze. Poco importava , si sarebbe cambiata una volta tornata alla sua palestra. Era sempre più vicina al pianto. "Pichu! Pi!" Poi quel grido si fermò. "E adesso che faccio?" chiese Julie. Ascoltò. Sentiva solo insetti e uccelli, nient'altro. Avanzò lentamente, cauta, ma scivolò su un sasso e rischiò di cadere. Il pianto riprese, più forte e straziante che mai, e alla fine anche arrabbiato. All'inizio Julie pensò che si trovasse su un albero, ma ben presto trovò la cavità dov'era incastrato. "Aspetta piccolo, ti aiuto io" gli disse, tirando più forte che poteva. Riuscì a farlo uscire. "Pi?" chiese il cucciolo. Quell'umana  - almeno credeva si trattasse di una specie del genere, non avendone mai vista una – lo incuriosiva e lo confondeva al contempo. Non sapeva come muoversi, né come fare per ringraziarla per l'aiuto. "Ciao, piccolo!" esclamò la capo palestra con la voce più dolce che poté. Il cucciolo indietreggiò alla vista del bastone. La ragazza se ne accorse dal suo movimento e lo chiuse subito. "Non voglio farti del male, solo giocare con te, se lo vuoi." Il Pichu si avvicinò a passi lenti e lei lo accarezzò. Il suo pelo era corto ma morbido. Doveva farci amicizia prima di catturarlo. Lei amava e rispettava i Pokémon, e non c'era stata nemmeno una volta in cui avesse  mancato di rispetto ai suoi. Prima li conosceva, poi, con il loro permesso e grazie alle sue abilità telepatiche, li catturava. "Come stai?" gli chiese. Come se avesse capito, lui disse un: "Pichu..." dal suono molto triste. "Che succede, piccolo? Hai fame?" Estrasse dalla tasca dei pantaloni alcune more e gliele offrì dalla sua mano. Lui mangiò, ma continuò a mantenere quell'espressione. "Che cosa ti è successo?" si chiese Julie fra sé e sé. Gli mise una mano sulla fronte e tutto le fu chiaro. Quella sera pioveva e Pichu e la sua mamma uscirono per cercare qualcosa da mangiare. A loro non piaceva bagnarsi, ma purtroppo il tempo era quello. Trovarono dei lamponi e dei mirtilli e tornarono alla loro tana sazi e con un ricco bottino. Ma ad aspettarli c'era uno Skunkay, che attendeva nell'ombra. Uscì solo quando li vide arrivare e attaccò la mamma di Pichu, che gli disse di correre nella tana. Lui lo fece e vi  si rifugiò in fondo, ma riusciva comunque a vedere ciò che stava accadendo e a sentire il tanfo dello Skunkay, che nessun  Pokémon sopportava. La mamma tornò indietro  e si accoccolò vicino a lui. "Va tutto bene, se n'è andato. Dormiamo, ora" gli disse. Lei fece finta di dormire, perché il giorno dopo il cucciolo provò a svegliarla in tutti i modi: le fece il solletico, parlò a voce alta, pianse, ma a nulla servì tutto questo. La mamma non respirava più e ciò significava una cosa sola: era morta. Julie tolse la mano dalla fronte fresca del Pichu. "Mi dispiace così tanto per la tua mamma, piccolo" mormorò, mentre lui si avvicinava di più e si lasciava accarezzare. "Se vuoi, da ora potrò essere io la tua mamma. Non sarò come quella che hai perso, ma sono  molto brava con i Pokémon." Gli rimise una mano sulla fronte e udì un timido: "Sì." Quando usava i suoi poteri di telepatia riusciva anche a capire la lingua dei Pokemon e questo la aiutava a comprendere se avevano qualche problema, come nel caso di Pichu. Il cucciolo alzò le zampe anteriori e la ragazza capì che voleva essere preso in braccio. Lo sollevò e se lo mise sulle gambe. Aveva freddo a causa del ruscello che aveva attraversato e se non avesse fatto presto si sarebbe ammalata, ma poteva restare ancora un po' lì. Poi cambiò idea e decise di andare nella sua palestra. Chissà se qualche altro allenatore l'avrebbe sfidata... "Vieni in un posto con me? Non è pericoloso" gli disse. Gli mostrò una sfera Poké. "Questa serve per catturare i Pokémon, per tenerli al sicuro. Posso catturarti? Non ti farò del male, te lo prometto." Lui rimase immobile e lei gli mostrò la sfera. Ancora incerto, il piccolo si avvicinò di qualche passo, e sfiorato con la zampa il bottoncino al centro della capsula, lasciò che una luce rossastra lo avvolgesse. Poco dopo, il pulsante prese a brillare di una più fioca, ma stranamente, la sfera non si agitò. A volte le succedeva, ricordava ancora gli sforzi che aveva dovuto fare per catturare Eevee, tanto piccolo quanto veloce e in tutto simile a un incrocio fra una volpe e un cagnolino. Cavolo, se correva, quel giorno. Testarda, lei non si era data per vinta, e dopo vari tentativi, c'era riuscita. E così ora era stato anche con quel piccolo orfanello, che aveva catturato quasi all'istante. Non volendo metterla subito con tutte le altre, per non spaventarlo, tenne in mano la sfera. "Andiamo." Riattraversò il ruscello e, dopo una mezz'ora di camminata, uscì dal bosco e arrivò alla sua palestra. Andò nelle sue stanze al piano di sopra e lì si lavò e cambiò, poi disse: "Pichu, tesoro, vieni fuori." Non era come tanti allenatori, che gridavano ai loro pokémon di uscire o che intimavano loro di farlo. Lei era sempre gentile con loro. Pichu uscì subito. "Ma ciao!" Julie gli fece il solletico al pancino e lui rilasciò un verso simile alla risata di un bambino, poi le saltò in braccio e cominciò a sfiorarle il viso con le zampine. "Ho capito, mi vuoi tanto bene, non servono tutte queste dimostrazioni." "Sì, te ne voglio. Posso stare con mamma Dragonair e Dratini qualche volta? Sono miei amici" capì la ragazza, usando sempre lo stesso potere. "Ma certo che puoi. Ti ci porto domani. Ora ti va di conoscere i Pokémon che ho già? Così fate amicizia.” "Sì" mormorò il cucciolo, intimorito e tremò. "Non ti faranno niente, te lo assicuro." Glieli presentò uno per uno: C'era Espeon, il primo vero compagno della ragazza in tutto simile a un gatto a due code dal pelo viola, con una sorta di gemma energetica incastonata sulla fronte, ottenuto dopo Misquit, lo starter regionale di tipo Erba con le fattezze di uno scoiattolo, non uno ma ben due Meowstic, un maschio e una femmina, il primo azzurro e l'altro bianco, entrambi simili a gatti capaci di stare in piedi su due zampe, Espurr, un altro con le stesse fattezze ma dal pelo grigio e con gli occhi grandi, il cui nome ricordava alla ragazza il costante mormorio delle fusa di un vero felino, Munna, creatura a metà fra una sfera e un acchiappasogni, Solosis, piccolo, verdastro e gelatinoso, letteralmente il nucleo di una cellula, Glameow il gatto dagli artigli affilati e la coda arricciata, e molti altri. Esitante ma felice, Pichu giocò con tutti, correndo con gioia sull'erba gelata da quel periodo dell'anno. E allora ne fu sicuro: in mamma Julie e nei suoi altri Pokémon aveva trovato una nuova famiglia.
Credits to the original author, crazy lion
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3987558&i=1
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shipisnotaboat · 4 years ago
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2. Costantin. Luci notturne.
Pensieri di Costantin D’Orsay.
Sono al massimo dell’euforia. Vorrei ridere, vorrei gridare di gioia, vorrei cantare, vorrei... Mi sento come se potessi TOCCARE IL DANNATO CIELO!
Io, Costantin D’Orsay: lo stupido, l’incapace, il fallito, quello che non avrebbe mai concluso nulla nella vita, sono ad un passo dal diventare il nuovo governatore di Teer Fradee. Ed il merito è tutto tuo padre e di quell’ordine che hai dato, probabilmente nella sola speranza di eliminare per sempre il mio volto dalla tua vista e la mia voce dalle tue orecchie. Ma non sparirò, io farò davvero la differenza in questo Nuovo Mondo: sarò un governatore eccellente, farò in modo che tu abbia di che ricrederti padre e… forse..
...magari allora chissà... riuscirai a volermi bene, certo non quanto ne hai voluto a mio fratello, ma almeno ad accettare la mia esistenza, ad accettare il fatto che anche io sono tuo figlio…
Mi manca sai? Ogni volta che chiudo gli occhi vedo ancora il suo volto devastato dalla sofferenza ed il suo sguardo vuoto, incapace di cogliere la nostra presenza, tra i deliri e la febbre di quelle ferite per me troppo difficili da capire. Rivedo tutto, compreso il tuo dolore e poi quella rabbia che mi riversavi addosso, una rabbia che è presto diventata odio.
“Perchè non sei morto tu al suo posto?” Non lo so padre, non lo so. 
Non ho mai desiderato la morte di Simon, ma non voglio morire. Sento di poter dare qualcosa a questo mondo, DESIDERO davvero fare la mia parte.
Può apparire improbabile, ma ti assicuro che è così.
Amo la vita, ed anche se non mi lasciavi avvicinare al suo capezzale, ho promesso a Simon che avrei vissuto appieno ogni giorno, che lo avrei fatto anche per lui.
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Luci notturne
Sembrava una notte come tante a Sérène, un cielo nero ricoperto dalle solite nubi scure sembrava voler cancellare per sempre il chiarore delle stelle.
Ma per strada sopravvivevano sparuti fuochi: i fuochi solitari delle vie, minuti, di gruppi di poveracci sfrattati via da una casa appestata, o semplicemente troppo poveri per permettersi un tetto, ed i grandi roghi comuni nella Piazza dei Principi, cataste di corpi senza più un’identità e spesso senza neanche più un parente o un conoscente ancora in vita che potesse piangere per loro. La chiamavano Malicore: un male che da oltre quindici anni devastava il Continente, lasciando uomini e donne senza un rimedio, senza una cura e senza speranza, in preda a dolore e follia, in un viaggio lento e terribile verso una morte atroce.
Il degrado di Sérène sapeva stimolare tutti i sensi: la sporcizia e l’odore di urina  si mischiavano ai rivoletti fangosi che costeggiavano le vie ed i vicoli. Pochi dettagli distinguevano gli ambienti sicuri da quelli più malfamati, a riconferma che Sérène non era un luogo per stranieri, in cui girare tranquillamente.
Ad un tiro di sasso dall’iperattivo porto, brillavano altre luci, quelle della taverna in festa, nonostante tutto. Un gentile rampollo figlio del signore locale, il Principe D’Orsay, aveva sperperato una mezza fortuna per assicurarsi che il taverniere offrisse da bere alla sua salute a chiunque mettesse piede in taverna quella sera. Tre ore dopo, la stanza era un miscuglio di odore di alcool e sudore, nel locale sovraffollato erano radunati uomini e donne di ogni estrazione sociale. Qualcuno cantava, altri ballavano, alcuni amoreggiavano con prostitute a basso costo ed altri si limitavano a bere, il motivo di tali festeggiamenti, però, si era perso di vista da oltre due ore per buona parte dei presenti.
Seduta su una panca dirimpetta alle scale che conducevano al piano interrato, Célie De Sardet osservò la bolgia mischiarsi in un turbinio di colori. Il sorriso d’occasione stampato sul volto arguto, si era ormai trasformato in una sequenza di smorfie e sbadigli, nel tentativo di rilassare la mascella e fingersi impegnata quando il tizio accanto a lei, un borghesotto, tornò alla carica con domande a cui avrebbe risposto più volentieri con un’arma da fuoco, piuttosto che con la propria voce.
<Dunque…> no, per favore, non un’altra domanda... La testa sembrò voler esplodere, aveva esagerato con il vino, ma per quello persino Kurt si era messo in pace l’anima. L’indomani sarebbero partiti, lei e suo cugino Costantin, l’indomani avrebbero fatto il primo passo verso la cura. Come se fosse stato evocato magicamente, il capitano della Guardia del Conio le si sedette accanto proprio in quel momento. Nonostante sostenesse l’esatto opposto, il capitano si era sempre impegnato parecchio per proteggere i due principini, e con una notevole inventiva tra l’altro, a discapito degli sfregi sul volto, che gli conferivano sicuramente un’aria più truce, l’ex-mercenario possedeva un cervello sveglio e creativo.
Mise un braccio attorno alle spalle della sua giovane protetta e puntò gli occhi azzurri sulla figura del borghesotto, sfidandolo con una spocchia aristocratica che non gli era mai appartenuta e che spinse De Sardet a roteare al cielo gli occhi, divertita ed oltraggiata al tempo stesso.
<Mia cara, gli hai già spiegato che fine fanno quelli che puntano ai gioielli della corona?>
Ovviamente De Sardet decise di stare al gioco <Kurt, ti prego… non davanti a tutti…>
Dopo una breve occhiata al volto di Kurt, l’uomo percepì che non valeva la pena mettersi contro ad una guardia del conio. L’ex-mercenario ritirò il braccio e passò una tazza a De Sardet, una brodaglia calda e fumante, l’ideale per sperare di affrontare un’emicrania da sbronza.
<Ho perso il conto di questi buffoni. Intendi restare qui a lungo Sangue Verde?>
<Mi odieresti se ti dicessi di si?> lo provocò lei occhieggiando da dietro la tazza. Kurt non rispose ma il suo sguardo fu sufficientemente minaccioso da indurre un sorriso nella giovane donna.
<Cerchiamo Costantin, dubito che voglia venire con noi ma dobbiamo almeno provarci.> De Sardet si mise in piedi, Kurt la anticipò per aprirle un varco nel mucchio di gente, mentre scendevano le scale verso il piano inferiore. Costantin fu… relativamente facile da trovare, si era improvvisato una sorta di harem, con una prostituta seduta a cavalcioni di ogni gamba ed una terza in piedi accanto a lui, che tra moine e sussurri maliziosi, insinuava impunemente una mano nella sua camicia slacciata per convincerlo ad appartarsi con lei. Un tentativo che, a giudicare dalle attenzioni che il ragazzo concentrava su di lei, sembrava stesse andando a buon fine.
De Sardet mise le mani sui fianchi e rivolse alle donne uno sguardo di puro biasimo, qualcosa che solo lei sarebbe riuscita a fare, protettiva com’era nei confronti del cugino. Il principino D’Orsay in fondo era un bel giovane, con grandi occhi azzurri, capelli biondi ed una buona fisicità, frutto dei severi allenamenti di Kurt.
<Mia adorata cugina!> anche sepolto vivo da quelle signore del peccato, Costantin riuscì a percepire la presenza di De Sardet e ad allargare le braccia per accoglierla in una sorta di abbraccio a distanza. Avrebbe sempre trovato un posto per lei, il suo affetto era sincero, e non si sarebbe mai fatto alcun problema a manifestarlo. Cercò persino di ottenere un po’ di tregua dalle tre donne, con scarsi risultati, lo sguardo di rimprovero di De Sardet sembrò infiammare il loro spirito di competizione. <Ti stai… divertendo?> chiese Costantin. <Io torno a casa cugino, è molto tardi, vieni con noi?>
Costantin provò a sollevarsi dalla sedia, ma quelle tre, ormai alleate, non gli lasciarono molto spazio di manovra. Il ragazzo ridacchiò, poggiando una mano su un fianco della rossa seduta sulla sua gamba sinistra. L’altra, la mancina, la sollevò per fare un cenno, indice alzato e dritto, per cercare di sancire una tregua con la donna. Tornò in breve a rivolgersi alla cugina <Finisco di conversare con queste damigelle e rientro anche io cugina. Kurt…>
<...non ti preoccupare eccellenza, la riporto a casa sana e salva.> Concluse per lui l’ex-mercenario.
Costantin non fece in tempo a vederli andare via, le prostitute tornarono alla carica, più audaci e sfrontate di prima. Il giovane principe cercò di respingerne un paio, ma lo fece con la grazia di uno dei suoi sorrisi gioviali e le braccia allargate in segno di resa.
<Mie signore, fosse per me vi sposerei tutte e tre ma temo di essere dannatamente a corto di denari questa sera…> prese a tastare lungo la camicia e poi i lati dei pantaloni in corrispondenza dei fianchi, alla ricerca di un tintinnio metallico che non sarebbe mai arrivato. Come se avesse pronunciato una formula magica le tre si allontanarono come se gli avessero appena visto cambiare colore e forma, ridacchiando cercò di trattenerne almeno una, afferrandole il polso con dolcezza <...magari a credito?>
Sospirò nel vederla andare via, certo di averle strappato almeno una risata. Si rimise in piedi, immaginando con ottimismo la faccia sorpresa di sua cugina quando l’avrebbe raggiunta lungo la strada per casa. Si era promesso di non esagerare troppo questa sera, ed anche se barcollava come se fosse sul ponte di una nave in piena tempesta sapeva di essersi ridotto in stati ben peggiori negli anni passati.
Trovò un cappello e lo incalzò in testa, non era certo fosse il suo ma la misura sembrava corretta, almeno  finchè non mosse la testa e quello scivolò lungo la fronte sino a coprirgli gli occhi, il farsetto ricamato invece sembrava calzargli decisamente meglio, lo abbottonò sbagliando un paio di asole e dunque si incamminò su per le scale verso il piano principale e l’uscita. Non arrivò alla porta.
Quello che Costantin non poteva sapere, era che quel farsetto apparteneva a Ignace Richard, un giovane nobilotto dai capelli biondastri che, giusto la sera precedente, aveva perduto diversi soldi al gioco. La prima cosa che vide fu proprio il pugno che lo colpì in pieno volto, ancora prima di capire che cosa stesse succedendo era già impegnato in una rissa che dilagò a macchia d’olio nel salone principale.
Uno degli assalitori lo afferrò per il bavero, Costantin gli afferrò i polsi per trattenerlo e gli assestò un calcio frontale. Un secondo gli prese il braccio e lo colpì al costato, il dolore fu lancinante, tuttavia la parte peggiore fu quando il terzo lo scaraventò con la schiena su uno dei tavoli: lo caricò a testa bassa e fece in tempo a prendersi un paio di gomitate sui reni prima di riuscire a scaraventarlo sul ripiano, fracassando legno e stoviglie con un frastuono allucinante.
A dispetto di quanto il suo carattere facesse pensare, Costantin era stato allenato da Kurt molto più a lungo di sua cugina, e dunque risultò più complicato del previsto, per i suoi assalitori, metterlo ko.
Il più tarchiato se lo caricò su una spalla, per poi spingerlo contro la porta, le ante cedettero facilmente all’irruenza ed un attimo dopo Costantin si trovò riverso a terra in strada, dolorante, con il naso pieno dell’odore nauseabondo delle strade di Sérène e con quei tizi attorno a lui come lupi feroci a prenderlo a calci, poi il buio.
Riaprire gli occhi fu qualcosa di terribile, il sole, per quanto offuscato dalle solite nuvole grigie di Sérène e dalle assi che sigillavano la finestra, fu come uno schiaffo in faccia. La testa, pulsante, faticò a rimettere insieme pezzi e ricordi della sera precedente, ma quando finalmente riuscì a comprendere in che genere di guaio si fosse cacciato, il suo primo pensiero fu per sua cugina e per la marea che ormai sarebbe dovuta essere prossima, sperò che non fosse troppo tardi.
Quei tizi lo avevano spogliato del cappello e della giacca, ed ovviamente anche di ogni singola moneta ed oggetto di vago valore che potesse avere avuto indosso, stivali compresi, ma almeno non lo avevano legato. Si erano limitati a chiuderlo dentro ad una stanza senza apparenti vie d’uscita, nonostante i suoi tentativi nè la porta nè la serratura sembravano voler cedere, nemmeno a spallate.
<Signori! Sono sicuro che si tratta di un malinteso!> non importava quanto le sue stesse parole gli rimbombassero in testa, continuò quella nenia come un gatto in calore, camminando avanti ed indietro per quello sputo di stanza, continuando ad alzare la voce <Sono Costantin D’Orsay, figlio del principe Claude D’Orsay! So di per certo che si tratta di un equivoco e sono disposto a perdonarvi, ho troppi affari urgenti da sbrigare!!!>
Andò avanti per ore e non si fermò neanche quando gli si seccò la gola, poi sentì alcuni rumori all’esterno, forse venivano a consegnargli il pranzo o forse, decisamente più probabile vista la situazione, era riuscito a indurli a salire ad annerirgli l’altra metà della faccia, almeno avrebbero aperto la porta.
Ebbe pochi secondi per agire, e si impegnò per non sprecarne nemmeno uno, fu probabilmente per questo che non si accorse immediatamente che la persona che aveva appena aperto la porta, e che lui aveva scaraventato contro al muro violentemente trattenendola per il collo, non era altri che De Sardet. Se la trovò davanti con gli occhi sgranati, la voce strozzata a chiamarlo per nome.
<Costantin! Costantin sono io!>
<La mia adorata cugina!> La perplessità lasciò il posto ad una risata sollevata. L’abbracciò, la strinse con forza, in qualche modo doveva mostrare al mondo quanto fosse sinceramente felice di vederla, ma il tempo stringeva. Célie gli mise sulla testa il cappello ed il farsetto sulle spalle, ed arricciò il naso.
<Puzzi, sei pesto ed hai un aspetto orribile, ma stai bene! Vieni adesso, la nave sta per salpare!>
lo tirò per un polso, e lui non fece altro che rendersi la sua bambola di pezza e lasciarsi tirare, adorava quella sensazione: il calore dell’affetto, di quel legame che per anni li aveva tenuti insieme, come fratelli o, se possibile, molto di più. Non riusciva ad immaginarsi senza di lei e trovava assurdo come anche lei sembrasse condividere lo stesso pensiero.
Rimase indietro di un paio di passi, se non altro per chinarsi ed avanzare a saltelli mentre si infilava gli stivali che Kurt gli passava.
<Dobbiamo sbrigarci> continuò lei, con l’animo del condottiero <tuo padre ci ha mandato a cercarti, era preoccupato per te.>
Costantin avvertì l’aria scomparire dai suoi polmoni, di colpo. Rimase immobile, incapace anche solo di camminare, un lungo respiro fece da anticamera ad un tono lontano, distante, melanconico. <Mio padre…> non ce l’aveva con lei <...quando mai si è preoccupato per me?>.
Una domanda a cui nemmeno Célie sembrò riuscire a trovare risposta.
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olstansoul · 4 years ago
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Sacrifice, Chapter 9
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Quindi quello che hai perso è solo uno dei millemila libri che hai letto?"
"Beh si...non è come un grande classico, tipo il ritratto di Dorian Gray, ma si può considerare come un vero e proprio bestseller"
"Sento puzza della professoressa Potts"disse lui e lei rise.
"Guarda che non è colpa sua, da quando sono piccola leggo molto. Ho iniziato con le avventure dei Dei Norreni, Thor, Odino e quella roba cosi e poi man mano sono passata ai grandi classici...non sono mica mio fratello"
"Lui è più grande?"
"No, è più piccolo ed è completamente immerso con la testa nei videogiochi"
Erano passati solo venti minuti da quando la campanella di fine lezioni era suonata e tutti gli studenti erano usciti per poter tornare a casa. Wanda e James stavano percorrendo insieme il percorso per tornare a casa e stavano ammazzando il tempo conoscendosi di più, cosa che lei stava apprezzando. Era la sua occasione per conoscerlo meglio.
"Come ti capisco, anche se la mia non è immersa completamente con la testa nei videogiochi"
"Hai una sorellina?"chiese lei con un leggero entusiamo.
"Si...e a volte giocare con lei e i suoi mille accessori di Barbie può essere una distrazione"
"Almeno hai il vantaggio che lei ti chiede di giocare con te, se chiedo a mio fratello di giocare mi liquida subito"
"Si, hai ragione, ho il vantaggio che me lo chiede ma dopo mi ritrovo la stanza piena di  vestiti e scarpe rosa. Ed io, purtroppo, sono costretto a riportargliele indietro...vuole che il loro armadio sia perfetto"
"Beata lei, mi ricordo che quando ci giocavo io non avevo la minima idea di dove andavano a finire, le portavo da una parte all'altra della casa e spesso perdevo pezzi durante il tragitto. Poi vedendo che non riuscivo a tenerle perfette, mia madre iniziò a comprarmi quelle di pezza,che ora saranno piene di polvere su quella mensola"
"Una ragazza dai gusti molto semplici"disse lui.
"Si, non sono mai stata una tipa appariscente, suonavo la chitarra ma facevo anche danza però le cose sono cambiate..."
"E cosa è successo?"chiese lui.
E a quella domanda lei rimase interdetta. Non poteva certamente dirgli tutto, ora che si stavano conoscendo e poi cosa sarebbe successo se gliel'avrebbe detto? Ci avrebbe creduto? Sarebbe rimasto scioccato? L'avrebbe aiutata? Che cosa avrebbe pensato di lei? Non sapeva cosa fare, certamente quello che gli stava per dire era solo una piccola barriera che divideva la finzione da quella che era la realtà vera e propria. E cosa sarebbe successo se quella barriera si fosse rotta?
"Beh...quando hai i due pali più importanti della tua vita, ovvero i tuoi genitori, che non si amano più e ovvio che poi, di conseguenza, non riesci più a fare nulla e...ti cadono le braccia, non sai quello che devi fare e ti senti morire"
"Mi dispiace, non volevo procurarti un tuffo doloroso nel passato..."
"Tranquillo, ormai crescendo impari a farci l'abitudine e non riesci neanche più a coglierne la differenza"disse lei facendo un respiro profondo e allargando le braccia ma un mucchio di fogli cadde sul marciapiede.
La stessa scena di questa mattina con Natasha si stava ripetendo, in quello stesso istante però c'era James che non perse un secondo a raccoglierli tutti. Lei provo ad abbassarsi ma il dolore alla schiena la fermò.
"Non ho fatto nessun tipo di sforzo che potesse permettermi di avere un mal di schiena del genere,quindi per favore che ne dici se te ne vai e mi lasci in pace?"chiese lei, nella sua mente, rivolgendosi al suo caro e unico amico tumore.
"Scusami, ero...ero distratta"
"Tranquilla, va tutto bene...credo che ne usufruirò molto spesso"disse lui riferendosi agli schemi lavorati della professoressa di storia che Wanda aveva preparato.
"Vuoi che ti ricambi il favore? Non ti basta pensare di aiutare il signor Lang con chissà quale idea malsana?"
"No, no ma ci studierei volentieri...e poi gli sto dando solo una mano"
"Chissà come...beh, io dovrei essere arrivata"disse lei indicando una casa sulla destra.
"Oh, si...ehm, ci vediamo in giro?"chiese lui e lei annuì.
Iniziarono a prendere due strade diverse, lei verso il portico di casa sua e lui proseguendo dritto verso casa. Ma in quello stesso istante c'era qualcosa che Wanda non aveva ancora fatto. Prima ancora di mettere la chiave nella toppa e girarla, si voltò e vide il castano proseguire il suo cammino e presa da una felicità improvvisa scese di nuovo le scale e si trovò di nuovo sul marciapiede.
"James..."lo chiamò e lui si girò subito percorrendo quella poca distanza che lo divideva da lei.
"Hai ancora bisogno di qualcosa?"
"Oh! Ma che carino!"pensò lei ma subito tornò con i pensieri su quello che gli voleva dire.
"Io...io volevo solo dirti grazie...per questa mattina intendo"disse lei e gli occhi di James si spalancarono.
"Si, lo so forse...non sono una tipa a cui escono facilmente dalla bocca parole di questo tipo ma stavolta è perché lo sento davvero"disse lei abbassando la testa.
"Non c'è di che Wanda...mi sono davvero preoccupato per te"
"Ti ringrazio, sul serio..."disse lei alzando definitivamente lo sguardo dalle scarpe.
"Per quanto riguarda le tue ripetizioni? Ecco non ci siamo visti da giovedì scorso..."
"Oh, beh...questa settimana ho alcuni impegni e non credo che.."
"Potresti darmi il tuo numero di telefono, cosicché puoi informarmi e dirmi quando sei libera..."le propose lui.
Non aspettò risposta da parte della castana che subito James tirò da fuori la tasca destra del suo jeans il suo cellulare.
"Tieni..."
"Beh, se proprio dobbiamo fare le cose per bene..."disse lei iniziando a prendere il suo cellulare nella sua tracolla.
Se li scambiarono ed entrambi segnarono il loro numero sul telefono dell'altro.
"Mi scrivi tu?"
"Si, ti farò sapere io..."
E ognuno prese la sua strada, Wanda salì una seconda volta le scale del portico e infilò le chiavi nella toppa entrando finalmente in casa dove regnava un buon profumo di pasta.
"Ehi...sei tornata, non ti avevo sentito"disse sua madre appena la vide apparire sulla soglia della cucina.
"Non ho bussato, mi sono portata dietro le chiavi"
"Come è andata la giornata? Tutto okay?"
Si sedette e provò a pensarci su. Certo non era iniziata col piede sbagliato, perché se fosse stato così sarebbe stata sicuramente colpa del signor Stark. Ma oltre a quello che era successo durante l'intervallo tutto era andato per il meglio.
"Bene, oserei dire quasi benissimo..."disse lei addentando una fetta di pane messa nel cesto in mezzo alla tavola.
"Addirittura benissimo? Cosa ti succede?"
"Nulla, perché?"
"Sembri felice..."
"Colpa di Barnes"disse lei nella sua testa ma provò a zittire i suoi pensieri.
"Ho solo incontrato una nuova amica"disse lei riferendosi alla bionda Natasha.
"Davvero? E chi sarebbe?"
"Natasha Romanoff, una mia alunna" disse la voce di Clint alle loro spalle ed entrambe si girarono.
"Da come ne parli, sembra davvero una persona carina"
"Lo è..."disse lei sorridendo mentre stava masticando con la bocca chiusa.
"Ho assegnato loro un lavoro sull'età Vittoriana, spero che farete un bel lavoro"
A quella affermazione lei sorrise, non avrebbe mai pensato di trovare una persona come Natasha che dal primo momento si prende cura di te. E questo la rendeva molto felice.
Dall'altra parte della città...
Prese le chiavi per poter aprire la porta, una volta chiusa alle sue spalle notò che dentro casa non c'era nessuno. Si diresse nella cucina, cercando qualcosa da mettere sotto i denti, aprendo il frigo per quasi quattro volte ma nulla faceva al caso suo.
"Grazie mamma che vieni incontro alle mie esigenze di cuoco perfetto"disse lui ad alta voce.
Ma chi lo conosceva, sapeva benissimo che non era per niente un cuoco perfetto. Si arrese e fece il giro della penisola prendendo dalla dispensa la busta di panini del giorno prima. Si fece un panino veloce che mangiò seduto sullo sgabello, sua madre non voleva che le briciole si spargessero per tutta la casa sennò avrebbe dovuto pulire e sarebbe stata solo una fatica in più, oltre alla sua ordinaria fatica da infermiera. Una volta finito si lavò le mani mettendo tutto ciò che aveva usato, al solito posto. Fu quando chiuse il cassetto che si accorse che la porta di casa fu sbattuta e da lontano vide la figura robusta di suo padre.
La stessa persona che non vedeva da giorni, ma stavolta era accompagnato da un'altra persona. Doveva essere una ragazza, poco più bassa di lui, non riusciva a raggiungerlo neanche con le scarpe alte che aveva, con i capelli biondi legati in una coda alta. Si mosse lentamente, posando il canovaccio sulla penisola e uscendo dalla porta che dava sulla cucina. La porta del ufficio di suo padre era socchiusa e vide, dal piccolo spazio rimanente che la ragazza bionda era seduta sulle sue gambe.
Non reagì come se fosse impazzito da un momento all'altro. Piuttosto si allontanò dalla porta e da quella scena con una faccia schifata e con un leggero ghigno ironico sulle sue labbra.
"Me lo sarei dovuto aspettare..."disse lui sottovoce prendendo lo zaino da sopra il divano e salendo le scale.
Aprì la porta di camera sua, la chiuse alle sue spalle e si buttò sul letto dove da lì non si sarebbe alzato fino all'ora di cena.
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jasminepersephone · 4 years ago
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           𝐓𝐇𝐄𝐎 & 𝐉𝐀𝐒𝐌𝐈𝐍𝐄
       ﹙Mini Role﹚⋆ Circle Eight
        #𝐫𝐚𝐯𝐞𝐧𝐟𝐢𝐫𝐞𝐫𝐩𝐠
« Allora, quando poserai per me? Vestita, s’intende. »
Sa bene di dover tenere a riposo il braccio e la mano, ma ormai scalpita per riprendere a disegnare. Non sopporta più la vista di tutti i progetti non finiti che occupano il suo studio da quasi due mesi, vuole terminare ciò che ha cominciato e dare vita a nuove idee che gli frullano nella testa ormai da un po’, tra cui un dipinto di Jasmine. Approfittando della serata libera ha deciso di invitarla per una birra al Circle Eight, così da passare qualche ora in sua compagnia e, con un po’ di fortuna, convincerla ad un supplizio come quello di restare immobile in una posa scomoda mentre lui la disegna.
« Giuro che non ti farò tenere in mano un frutto o altre cose strane, promesso. »
Jasmine Persephone A. Harrison
Capelli neri come la notte incorniciavano il volto della dea che ora sembrava nascondere un sorriso sulle labbra carnose. Divertita era l'espressione che aleggiava su una persona che, nonostante la situazione, viveva per quelle attenzioni che il giovane le stava riservando. Aveva accettato immediatamente l'invito dell'amico, non per chissà quale secondo fine, ma solamente con il desiderio di trascorrere una serata all'insegna di quella quiete che ormai andava ricercando. « Ancora non hai finito il disegno? Pensavo che mi sognassi perfino la notte, Hèbert. » Con fare estremamente femminile, Jasmine gli strizzò l'occhiolino approfittando del momento per bere un sorso del liquido ambrato che scaldava più di quanto non volesse ammettere. « Immaginavo una proposta indecente, e invece... Andiamo, non dirmi che hai bisogno ancora di me. Potrei accettare, e dico potrei, solamente se posso decidere che cosa indossare. Non mi alletta il fatto di dover rimanere ferma chissà quante ore... Ah, condizione necessaria affinché accetti è terminarlo per davvero questa volta. »
Theodor Hèbert
« Lo dici come se fosse una mia abitudine quella di accantonare i disegni, non potevo muovere il braccio! Come lo finivo, con i piedi? Mi mettevo la matita nel naso? » Così dicendo porta la cannuccia del suo drink all’altezza del naso e comincia a muovere il capo fingendo di disegnare arabeschi invisibili, incurante degli sguardi che può attirare su di sé. È vero che ha lasciato molti progetti inconclusi e in effetti alcuni non ha più intenzione di riprenderli; preferisce lavorare su nuove idee, almeno per ora, ma questo non significa che sia solito abbandonare le tele iniziate. Uno sbuffo dal naso segue le parole della bruna, specialmente per quella “proposta indecente” che Theo non sarebbe mai in grado di fare, benché il fascino dell’amica sia innegabile. « Solo nei miei incubi, Jas. » Strofina il volto mentre ragiona se accettare o meno quella clausola. Ha già ritratto modelli con abiti moderni, specialmente per lavori su commissione, e non si sente in grado di intraprendere progetti importanti dato che la mano sembra ancora dargli problemi. Non può fare lo schizzinoso, specialmente con dei modelli che nemmeno paga. « Va bene, porta allo studio almeno tre o quattro vestiti che pensi possano andare e ne sceglierò uno. »
Jasmine Persephone A. Harrison
Stuzzicare ecco cosa piaceva realmente alla veggente, vedere nel prossimo la reazione che scatenavano le di lei parole era un qualcosa di irresistibile per lei, e la reazione di Theo non tardò ad arrivare. Ella si ritrovò così a ridacchiare, un ghigno sardonico che impreziosiva il sorriso della venere nera che ora osservava con interesse le movenze dell'amico. « Ehi, potrebbe essere un'idea... » Commentò ridacchiando prima di prendere un sorso del proprio drink. Era una serata come tutte le altre, e l'intenzione era quella solamente di rilassarsi. Certo, chiunque altro avrebbe scelto un locale più tranquillo, ma Jasmine sapeva apprezzare quel locale dedicato solamente agli esseri sovrannaturali. Sapeva di poter essere se stessa, di non dover nascondere la propria natura, ma soprattutto sentiva di non doversi nascondere. « Oh, è dannatamente divertente stuzzicarti, lo sai? E comunque sarebbero incubi bellissimi. E vada per i vestiti, non ti deluderanno. Ma a parte questo, come stai? Il braccio? »
Theodor Hèbert
« Sì, ho intuito che la cosa ti diverte parecchio... » Non è per nulla offeso dai modi di Jas e quella sua naturale propensione che ha di giocare con lui come un gatto gioca con un topo; sa che non c’è alcuna cattiveria dietro, sono solo scherzi innocenti fra due amici di vecchia data. Prende tempo concedendosi un lungo sorso del suo drink fino ad arrivare al fondo del bicchiere, che aspira rumorosamente con la cannuccia senza troppo curarsi del galateo. Non sa bene come rispondere alla veggente senza mentirle spudoratamente, non vuole ammettere di essere ancora lontano dalla guarigione completa ma nemmeno sembrare uno a cui sta per staccarsi il braccio dalla spalla... certo avrebbe profondamente gradito se la folla non avesse deciso di passarci sopra, torcendolo e fratturandolo. Una cosa è sicura, ricorderà quell’ultima festa di halloween per sempre. « Sto meglio, seguo la fisioterapia due volte a settimana ma la dottoressa ha detto che presto potremo ridurre le sedute. Faccio gli esercizi a casa, mi comporto abbastanza bene... ma ho ripreso a dipingere. Solo dipingere, non ho ancora preso lo scalpello in mano, sto cercando di fare il bravo. » Inutile dedicarsi alla scultura quando perfino un pennello sembra pesare troppo nelle giornate no, tanto da far tremare la mano e rendendo impossibile qualsiasi tratto. Non lo dice, Theo, ma è terrorizzato all’idea di non riuscire a recuperare la precisione di un tempo... sarebbe la fine di un sogno e molto di più. « Tu piuttosto, che racconti? Cosa si dice nel mondo di Jasmine? »
Jasmine Persephone A. Harrison
Un sorriso più simile ad un ghigno divertito piegò le labbra della venere nera che ora osservava l'amico bere il suo cocktail. Sapeva che Theodor non se la sarebbe presa per quello stuzzicarsi che ormai era diventato all'ordine del giorno, ma sapeva anche quando era il momento di fermarsi. Mai in alcun caso la veggente avrebbe voluto mettere a disagio l'amico, e mai si sarebbe spinta a tanto. Le conseguenze della festa di Halloween erano ancora ben visibili in molti dei suoi amici, e solamente per una fortuna del caso lei stessa non era rimasta coinvolta in quello che era stato definito un semplice incidente. Osservò con più attenzione l'Hèbert prima di inclinare il capo, assumendo quella posa che usava quando aveva necessità di comprendere appieno ciò che le stava di fronte. « E questa è la versione ufficiale o ufficiosa? Devi semplicemente darti del tempo... Un passo alla volta. Dipingere è già un buon passo, no? » Sapeva quando la scultura fosse importante per Theodor, ma la veggente era anche convinta che tutto avesse bisogno del proprio tempo. Solamente dopo qualche istante, Jasmine prese un sorso del proprio drink e socchiuse gli occhi cercando il punto da cui cominciare. « Il mondo di Jasmine, eh? Potrebbe essere un'idea per il titolo di un libro... Io, le mie avventure, e la straordinaria sensazione che qualcosa di brutto debba capitare da un momento all'altro... Ma a parte questo mi divido tra le lezioni e gli allenamenti. »
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percomemiguardavi · 5 years ago
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Pensavo di odiarti, finalmente, ne ero proprio convinta e la cosa mi dava una certa soddisfazione. Me lo sono scritta persino nelle note del telefono, per ricordarmelo, perché se ti odio, sto andando avanti, se ti odio allora smetterò di aspettarti, se ti odio allora starò meglio. Ma non è vero che ti odio, o meglio non lo faccio sempre. Forse l'idea di odiarti per davvero, per intero, mi terrorizza perché quando inizio non mi fermo e porto rancore per un bel po' (cosa che ti meriteresti).
Anche se pensandoci bene ho capito una cosa: provo qualcosa per te, è vero, ma non mi piace più quello che sei o che sei diventato, non so. Io me lo ricordo il ragazzo dolce e sensibile che eri con me e non corrisponde per nulla a quello che vedo ora. E ti sembrerà strano ma una notte mi sono ritrovata a ringraziare il cielo di non dover stare dietro ai tuoi sbalzi d'umore perché una persona come quella che sei ora non la vorrei.
Qualcuno un giorno mi ha detto che non ti dimenticherò mai per davvero, che andrò avanti e farò la mia vita ma tu mi mancherai sempre un po'. Credo abbia ragione, perché nonostante tutto e tutti, nonostante la situazione attuale (che è una vera merda), ogni tanto tu ancora mi manchi. Mi torni in mente in momenti strani della giornata. Mentre sto svuotando la lavastoviglie al lavoro, mentre guardo una puntata di una serie tv, mentre sono fuori con amici che di te non conosco neanche l'esistenza.
Sto cercando di allargare le mie conoscenze, esco con altre persone che non sono i nostri amici e mi fa dannatamente bene perché loro non sanno niente e per questo motivo non mi guardano con compassione.
Il sabato, però, è per la compagnia e ci siamo ritrovati al solito pub a bere una birra. Mi prendevano in giro perché quella tua amica, quella che non mi piace, aveva casa libera e voi vi siete ritrovati tutti da lei. I nostri amici, scherzando dicevano che volevano raggiungervi, che tanto tu saresti stato ubriaco e messo male, non avresti neanche fatto caso a me. Allora mi sono arrabbiata, li ho trattati male e li ho insultati e loro ridevano ancora di più e, ovviamente io li seguivo perché alla fine mi divertono sempre. Poi uno di loro si è fatto serio e mi ha guardato negli occhi: "non capisco perché si stia comportando così" mi ha detto "va bene quello che è successo ma perché evitarti? Che senso ha?". Per qualche secondo sono stata zitta. Sono le stesse domande che mi faccio io praticamente tutti i giorni. Non lo so che senso ha, non l'ho ancora capito e forse non avrò neanche mai una risposta, ma poco importa.
Tu ci sei anche se non ti sento, ci sei nella strada che facevamo sempre insieme, ci sei in un bacio sulla fronte che ancora rifiuto da chiunque non sia tu, ci sei nella frase di un libro o di una canzone, ci sei nella playlist che non riesco più ad ascoltare. Ci sei e chissà per quanto ci sarai, perché la notte è ancora difficile sapendo che il giorno dopo non ci sarai.
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interiorizzo · 4 years ago
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Caro Tumblr ti scrivo, in realtà non ti scrivo da un pò, si certo, ma ho appena visto su youtube un video in cui il tipo parlava di quanto sia importante tenere un diario e mi sei venuto subito in mente tu. Nel video poi si ponevano 4 punti utili che possono portare questa attività che, ahimè, compio sempre raramente. Questi punti sono: 1)Produttività (ormai andata a fanculo dalla fine della sessione, sto diventando sempre più un vegetale in pratica o, in alternativa, un pezzo dell’arredamento-più simile a un cuscino che ad un vero e proprio mobile d’arredo- Tuttavia non è per questo che ti scrivo mio caro Diario) 2)scrivere idee (Neanche questo punto mi interessa al momento, ma in futuro chissà) 3)sfogarsi (ecco, ci siamo quasi..) 4)razionalizzare Ed è per quest’ultimo punto che sono qui: scrivere i miei  pensieri per poi rileggerli e capire cosa diamine c’è che non va nella mia vita. Ora direi che potrei cominciare con il vero e proprio discorso caro Tumblr. Mettiti pure comodo e prendi- Okay, imprevisto, è tipo andato in corto un interruttore di sotto e la puzza di fumo è arrivata fin su ahahaha (okay non dovrei ridere sarei potuto morire arrostito ma vabbè) In ogni caso ho perso il filo del discorso, vedrò di riprendere dal ultimo capoverso..
Ora direi che potrei cominciare con il vero e proprio discorso caro Tumblr. Mettiti pure comodo e prendi i pop corn, perchè non sarà affatto una storia breve. Allora, da dove potrei mai incominciare. No dai, sai cosa? Non voglio star qui a raccontare la storia della mia vita. Sarebbe troppo deprimente e ancor peggio noiosa. In più uscirei fuori tema perchè in realtà oggi ho solo bisogno sfogarmi sugli ultimi eventi, non sulla mia intera vita. Magari questa storia un’altra volta eh? Prima però ho necessità di un piccolo preludio, altrimenti non capiresti. Tutto iniziò in una notte buia e tempestosa! Nah non va bene come inizio, troppo banale, e poi non so il meteo del giorno in cui nacqui.. Allora dai, seriamente ora.
Tu, grande T, ne hai conosciuta di gente strana, magari anche più di me. Però ultimamente inizio a considerarmi solo, nel mio genere. Dio mio, a volte nemmeno io riesco a comprendermi. Sto iniziando anche a credere di non essere tagliato per le relazioni, di nessun genere(nè amorose, di amicizia o familiari). Non riesco a gestirle e finisco sempre col ritrovarmi solo, in questo limbo infinito fino alla prossima persona con cui rovinare tutto. Credimi quando ti dico che è un ciclo davvero infinito. è capitato e ricapitato di continuo: trovo una persona con cui sto bene e stranamente la cosa è reciproca, abbandono chiunque altro per dedicarmi solamente a quella persona, passo da 1 a 6 mesi fantastici con questa persona per poi annoiarmi io o l’altra persona e il separarsi definitivamente tornando puntualmente ad una sostanziale solitudine. Di solito, amico mio, arrivato in questa fase cerco compagnia di altre persone che conoscevo prima fino alla prossima relazione da rovinare. Ma questa volta è diverso. Non c’è davvero più nessuno. Sono realmente solo. E la cosa peggiore è che questo non mi spaventa. Sono solo e mi sento bene. Mi sento solo, ma non sono triste. Sento solo un grande vuoto, non lasciato dalla persona che se ne è andata, ormai sono così abituato agli addii che non ci faccio neanche più caso, anzi, ad un certo punto del comportamento dell’altro so già come evolve, per cui spingo anche sul acceleratore affinché finisca prima. Potrei essere sociopatico? Forse. Mi vergognerei di esserlo? No di certo. Come dicevo, non sento assolutamente nulla. Ed è questo che mi spaventa. Per esperienza so che, nel momento in cui senti di non provare più nulla, è perché in realtà reprimi quelle emozioni, che si tratterranno fino ad esplodere più forti che mai. La psicologia è una delle mie passioni, ma di fatto la maggior parte delle mie conoscenze in materia sono frutto di pure e semplici osservazioni (si esatto, come si faceva nel XIX secolo durante l’era del positivismo e della nascita di molte materie umanistiche, so che anche tu ci stavi pensando). Il punto però è che, a tutti questi timori, se ne  aggiunge anche un’altra, e cioè la paura del domani, del futuro. Non metto in dubbio che sia una paura molto condivisa questa, di non riuscire a trovare una relazione stabile e fissa, a molti piace anche questa condizione se dobbiamo dirla tutta-questi ultimi la cercano addirittura, la bramano- ma io no. Io ho 20 anni Tumblr, lo sai, e di relazioni intime ne ho affrontate tante ormai, le conosci, e Dio solo sa quanto io ci abbia provato a creare qualcosa che potesse durare, dalla prima fino ad ora, eppure tutti i miei sforzi non sono valsi A UN CAZZO. Se solo ripenso a quante ne abbiamo passate, mi fa incazzare il fatto di ritrovarmi sempre qui nello stesso fottutissimo posto. è come non avere una memory card e rigiocare sempre lo stesso livello, a l’infinito. Può essere divertente la prima volta, stai scoprendo, anche la seconda e la terza, stai facendo esperienza, ma quando arrivi a tante volte da aver perso il conto ti accorgi che sta diventando frustante continuare a muovere sempre e solo i primi passi, senza mai arrivare al livello successivo; ritrovarsi sempre con un mattoncino da porre, alla base di una casa che progetti da anni e non riesci nemmeno a sapere se mai la porterai a termine; a costruire sempre da zero, per poi ritornare a non aver nulla. Tumblr, sono stanco davvero di essere solo. So che in tanti ti scrivono le stesse cose, ma non riesco a credere che tutti coloro che si sfogano con te per il medesimo motivo vivono ciò che vivo io, o abbiano vissuto ciò che ho vissuto io. Io che non so nemmeno cosa sia uscire a mezzanotte, o andare a fare una serata con amici, io che non ho mai conosciuto la libertà di “uscire con la comitiva”, io che ti scrivo da questa stanza da anni, e non ho mai cambiato posto, pur avendone le facoltà, nascondendomi sempre dietro la mia svogliatezza e diffidenza verso il prossimo, lottando ogni giorno contro la mia misantropia e asocialità, o meglio, incapacità di gestire più di una relazione alla volta. Mio caro Diario,  ora sono le 2:43, e solo quando ci siamo salutati era un’ora fa, sono un pò stanco di scrivere e ho a malapena completato il preludio, magari concluderò il discorso domani sera, o magari non lo farò mai. sempre tuo, G.
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themetamorosnsquadtwins · 6 years ago
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Heroes - pt 2
PROMPT: So che non accetti più prompt però io provo comunque a lasciartene uno, non si sa mai. Incrocio le dita! Pensavo a una scena in cui qualcuno tenta di far del male a Ermal (magari un tentativo di aggressione fisica o sessuale), ma Fabrizio in versione BAMF lo salva (Fabrizio protettivo e supereroe fa qualcosa ai miei ormoni…) (possiamo prenderci due minuti per sbavare su Fabrizio versione eroe?) (Che caldo che fa!!). Loro due possono già stare insieme oppure no, come vuoi. Incrocio le dita!!
Trovate la parte uno qui.
Finalmente, con l’idoneità sulle spalle, posso riprendere a scrivere senza dannarmi l’anima. Lo so che è tardi, ma hey. Enjoy! 
La strada verso casa di Fabrizio era stata davvero lunga, decisamente più del previsto, per Ermal.
Tra la testa che gli girava vorticosamente, le gambe molli, la nausea che gli attanagliava lo stomaco e le fitte ad ogni respiro, non era stata di certo una passeggiata piacevole quella che gli era toccata.
Oltretutto, aveva freddo. La pioggia continuava a cadere più fitta e fredda di prima e lui era zuppo, intirizzito fin nelle ossa già doloranti per le percosse.
Si era fermato più di una volta, cercando di riprendere fiato, ma le occhiate preoccupate che Fabrizio lanciava attorno a sé ad ogni sosta non erano rassicuranti: probabilmente si aspettava di veder apparire, da un buio vicolo qualsiasi, i ragazzi dal quale l’aveva salvato o, in ogni caso, qualche malintenzionato
Non era un tipo di molte parole, Fabrizio
Per la maggior parte del tempo era rimasto in silenzio, lanciandogli solo qualche beve occhiata inquisitrice ogni qualvolta sentisse il bisogno di controllare il suo stato di salute.
Solo quando l’aveva visto impallidire ancor di più aveva chiesto “stai bene?” in un roco sussurro a cui Ermal aveva avuto la forza di rispondere di no solo scuotendo appena la testa dolorante. Temeva che, aprendo bocca, si sarebbe rigurgitato sui piedi altro sangue
“Devi vomitare?” gli aveva chiesto l’altro e al suo cenno d’assenso l’aveva preso e aiutato a sporgersi in avanti, perché non lo facesse sulle proprie scarpe, accarezzandogli la schiena mentre il suo corpo veniva scosso dai conati, per calmare la nausea.
Per tutto il tempo l’aveva guardato con preoccupazione e quando l’aveva aiutato a rimettersi dritto aveva fatto una smorfia “Nun me piace molto sta cosa. T’hanno preso alla testa e anche sul ventre, forse hanno fatto più danni del previsto” aveva osservato, continuando però a trascinarlo verso casa
Ermal era rabbrividito a quelle parole, pensando a quello che avrebbero potuto significare
Forse stava morendo e nemmeno lo sapeva
Forse si sarebbe accasciato lì, sui vicoletti umidi e sporchi, senza vita, semplicemente, come un burattino a cui hanno tagliato i fili
Quando si ritrova davanti a un palazzone dal portone sgangherato di cui Fabrizio ha le chiavi, un po’ si consola: almeno è sicuro di essere arrivato vivo a casa sua
Fare le scale è una tortura ancor peggiore che camminare. Per farne due soli piani, Ermal impiega anche fin troppo minuti e quando giunge al secondo pianerottolo è sudato fradicio, oltre che zuppo di pioggia, tremante e ansimante e con le orecchie che fischiano.
Fabrizio lo guarda, mordendosi il labbro inferiore, in cerca di una soluzione che non sia quella di fargli salire altre tre rampe da solo
“Forse è meglio se ti porto in braccio” osserva infine dopo un attimo di silenzio, cosa che fa arrossire Ermal “prima che tu svenga”
“non c’è bisogno” risponde lui, intestardito: non si farò portare in braccio solo perché sta iniziando a vedere tutto nero, nossignore. Che vergogna. 
“ora mi riprendo un attimo e ce la faccio” lo rassicura, ma Fabrizio, da come lo guarda, non sembra molto convinto di questa cosa.
Alla fine, dopo qualche attimo di discussione, Ermal riconosce e acconsente al fatto che quella sia la cosa migliore e si lascia sollevare dall’altro, anche se non senza una certa vergogna. Fabrizio si premura di avvicinarsi a lui e di passargli un braccio dietro la schiena lentamente. “Dimmi se ti faccio male” gli dice, prima di tirarlo su. Ermal sussulta per il dolore che gli attraversa il petto a quel gesto, ma non è niente in confronto a quanto si sente sollevato dal non dover più sorreggere il peso del proprio corpo.
In fondo, era davvero la soluzione migliore.
Per fortuna, il viaggio è breve. 
Un altro paio di piani e poi entrano nell'appartamento di Fabrizio, più simile a un buco con le pareti che a una casa da tanto è piccolo, ma Ermal non se ne lamenterebbe mai, anche perché lui di certo non vive in una reggia e in quel momento quel minuscolo spazio vitale è la cosa più calda e sicura dove stare, anche se non c’è propriamente caldo lì
Fa freddo, anzi, e non appena Fabrizio lo posa sul divano inizia a tremare ancor più forte, battendo i denti, stringendosi su se stesso
Fabrizio lo osserva, preoccupato, chinandosi davanti a lui per mettergli una mano sulla fronte, cosa che lo fa sussultare appena e poi rabbrividire visto che il palmo di Fabrizio sembra al contempo caldo e fresco contro la sua pelle
“Mi sa che ti sta a venire la febbre” dice, scuotendo appena il capo “Mo’ ti faccio lavare, così poi ti dò dei vestiti puliti, va bene? Però prima dobbiamo sistemare questa” dice indicandogli la ferita sull’occhio “Perché qua ti ci vogliono dei punti”
Ermal annuisce, sentendo però la testa girare al gesto, tanto che si accascia appena sul divano sfondato e impolverato, cosa che lo fa starnutire appena e fa posare le mani altrui sulle sue spalle
“Piano” mormora Fabrizio, aiutandolo a mettersi giù “Stenditi un attimo se ti va, mh? Ti vado a prendere i vestiti e i punti, forse è meglio se non ti muovi troppo” gli dice, scappando poi via lungo uno stretto corridoio, non senza prima avergli rivolto un’occhiata preoccupata 
Ermal chiude gli occhi, deglutendo, sentendo la testa pulsare e in bocca ancora il sapore amaro e acre della bile. E’ solo quando Fabrizio torna che osa mormorare un “posso avere dell’acqua?” che l’altro si premura di dargli subito
Fabrizio lo aiuta a bere, sostenendolo piano mentre accompagna il suo capo pesante e le sue labbra secche verso il bicchiere d’acqua che svuota anche abbastanza in fretta
“Ecco qua” mormora l’altro, lentamente, prima di dire “senti... io non mi fido a farti andare di là quindi... famo che ti medico, ti spogli qui, ti pulisco un po’ il sangue di dosso e poi ti lavi domani eh? così ti cambi”
Ad Ermal non sembra una delle migliori idee nella vita ma, rendendosi conto dello stato in cui versa, annuisce, lentamente tirandosi su meglio con un gemito, le mani calde e ruvide di fabrizio, grandi ma non troppo, che corrono sulla sua schiena e davanti a lui, per aiutarlo a non ricadere indietro e per bloccarlo se dovesse sbilanciarsi in avanti.
Quando si trova così, Ermal impiega un attimo a riprendere fiato, il petto che ancora gli fa male e sembra dargli una stilettata ad ogni respiro, gli occhi chiusi nella concentrazione
Avverte la presenza di Fabrizio accanto a sé e normalmente guarderebbe lui e i dintorni ma non ha la forza di farlo, tremando appena mentre cerca di reggersi stabilmente
“Ci sei?” chiede l’altro dopo un istante e al suo cenno di assenso che arriva dopo qualche secondo annuisce, schiarendosi appena la gola 
“Bene” mormora Fabrizio piano “allora” dice, prendendo una garza che ha imbevuto di disinfettante e avvicinandosi a lui “questo potrebbe fare un po’ male” dice, premendogliela delicatamente sul sopracciglio ferito
“Scusa” mormora quando lo sente sibilare dal dolore ma ermal scuote appena la testa “non fa niente. Vai pure avanti” mormora, gli occhi chiusi, pallido e tremante.
Dopo un istante che ha pulito la ferita, Fabrizio tira via la garza, prendendo i punti “Mo io non è che so’ bravo eh” mormora “però un po’ ho imparato quindi... dovrei riuscire a fare abbastanza bene” 
“Chissà perché questo non mi rassicura molto” replica Ermal, rivolgendogli un’occhiata preoccupata e insomma poverino già si vede orbo da un occhio 
“Non ti preoccupare, davvero” insiste Fabrizio
“Invece sì che mi preoccupo, è il mio occhio quello” ribatte lui
“Si si” mormora fabrizio concentrato, sedendosi sul divano e posizionandosi meglio “però mo stai fermo o faccio un casino” 
Fa male
Per tutto il breve tempo che ci vuole, Ermal stringe i denti e le mani al bordo del lacerto divano, sibilando per il dolore e cercando di rimanere immobile anche se qualche sussulto lo coglie
Per fortuna che, dopo qualche minuto di agonia, fabrizio si tira indietro, soddisfatto 
“Llllà. Aggiustato!” dice contento, soddisfatto, come se avesse fatto il lavoro migliore della sua vita “e pensare che avevo ricucito solo Andrea dopo che quel cazzo di poliziotto fascista gli aveva sparato”
Ermal lo osserva, incredulo, sbattendo le palpebre
“Ti rendi conto che eri a POCHI MILLIMETRI dal mio occhio, vero?” dice, anche se non ha la forza per arrabbiarsi davvero “Se lo perdo, ti vengo a cercare”
“E mo’ se lo perdo... non fare il melodrammatico dai, t’ho sistemato. E comunque è sempre meglio di quello che avresti fatto da solo” replica l’altro, mettendo via il tutto
“allora... adesso  ti aiuto a levarti i vestiti di dosso va bene?”aggiunge poi
Quelle parole fanno tornare un vago colore sul volto di Ermal, perché nonostante sappia di averne bisogno, è così strano pensare di farsi spogliare da un estraneo in quella situazione.
Non da meno, annuisce di nuovo, conscio che la stoffa bagnata gli sta solo facendo sentire ancor più freddo 
“Va bene” ripete Fabrizio, annuendo, mentre lo guarda e porta piano le mani sulla sua giacca che, lentamente, gli sfila. Poi, passa delicatamente alla camicia, che gli slaccia, osservandolo perplesso
“Ma non c’hai freddo a star fuori vestito così?” gli chiede, ignorando il rossore che sempre di più si spande sul suo viso all’idea che stia venendo spogliato da fabrizio
Fabrizio che pure coperto dai vestiti si vede avere un bel fisico e si chiede cosa ne pensi di lui, rachitico com’è
Lentamente, allunga le braccia indietro con un sospiro sofferente per lasciargli sfilare la stoffa bagnata di dosso ed è quando si ritrova a torso nudo che fabrizio fa un sibilo che sembra dire “accidenti”
Abbassa lo sguardo, osservando il proprio petto e il proprio ventre, ricoperti di lividi scuri che si stanno formando e da altri invece giallastri e verdognoli che sono chiaramente più vecchi e in via di guarigione
Rabbrividisce appena quando Fabrizio vi passa la mano, girando il capo dall’altro lato per non guardarlo
“Certo che t’hanno bastonato per bene quei bastardi... però questi so vecchi” dice dopo un istante di silenzio, indicando le macchie gialle sulle sue braccia e sul lato del tronco, cosa a cui Ermal risponde solo con una scrollata leggerissima di spalle perché non sa cosa dire 
E anche se lo sapesse, come potrebbe farselo uscire di bocca?
Fabrizio sembra valutare per un secondo i danni
“Mo’ fai una cosa” gli dice “Espira e Inspira e poi trattieni il respiro. Se ci riesci dovresti sta a posto”
Ermal lo guarda un attimo, deglutendo, mentre respira e borbotta un flebile “Mi.. Fa male” cosa a cui Fabrizio risponde annuendo piano, grevemente “lo so. Però ti devi sforzare”
E insomma, come puo’ controbattere? Per cui fa come gli ha detto nonostante il dolore, trattenendo il respiro e quando lo rilascia lo guarda, l’altro che lo studia più criticamente di prima.
“Allora?” chiede ermal un po’ in ansia “Verdetto?”
E Fabrizio poverino vuole fare il simpatico per cui dice “Niente, sei già morto” 
Solo che ermal poverino ora come ora si sta riprendendo e oltre al dolore gli sta salendo lo spavento che ha preso e la consapevolezza che poteva esserlo davvero, morto, per cui sente gli occhi farsi sempre più lucidi mentre tira su con il naso che pure gli fa un male boia, e sente le lacrime iniziare a scorrere lungo le guance
E si vergogna, di piangere davanti a lui, ma che ci deve fare?
Al che Fabrizio un po’ si softa
Perché Ermal sembra tanto piccolo e smunto e spaventato che non riesce a non fargli una carezza leggera sulla schiena e a dire “scherzo, va tutto bene. Sei un po’ pesto, ma niente che non si possa sistemare, te lo garantisco”
Ermal tira su con il naso, annuendo appena
“Non... non mi era mai successo prima” ammette, con un filo di voce, perché è vero, gli insulti sono sempre piovuti, ma mai gli era capitato di essere pestato a quel modo. Non da degli sconosciuti almeno.
Al che fabrizio annuisce, continuando a consolarlo e per scherzare dice piano “Ecco, ora sei un vero comunista, hai visto?” cosa che fa ridere ermal tra le lacrime mentre mormora un “Che stupidaggine”
Allora fabrizio gli prende piano il viso tra le mani, asciugandogli le lacrime “Dai, mo basta piangere, che se ti si riapre la ferita devo ricucirti di nuovo” dice, lasciando andare solo quando si calma un attimo e sorridendogli appena prima di aiutarlo a infilarsi una maglia pulita che ha posto accanto a sé con uno sbuffo “Non sei sporco lì quindi ti faccio rivestire almeno ti scaldi” gli spiega
Per poi aiutarlo a spogliarsi anche i pantaloni, gesto al quale il viso di Ermal va in fiamme.
Fabrizio osserva le sue ginocchia livide per l’impatto, appena graffiate, sfiorandole delicatamente “Ghiaccio” borbotta tra sé e sé “ti servirebbe del ghiaccio”
Ermal intanto cerca di non fare pensieri impuri che, data la situazione, non sono né necessari né voluti dal suo cervello. Ma dopotutto, una parte di lui non riesce a restare del tutto indifferente a Fabrizio che gli sfiora le gambe in quel modo gentile mentre lo aiuta a mettersi i pantaloni puliti che gli ha portato, troppo grandi per lui, che gli vanno morbidi e che avvolgono le sue gambe gelide piacevolmente
Dopo aver fatto quello, Fabrizio prende una vecchia coperta posata sul divano, buttandogliela sulle gambe doppia, tirandogliela su fin sul petto, annuendo
“Sei gelido” osserva, alzandosi per andare a recuperare un catino pieno d’acqua tiepida e un asciugamano pulito. Si porta accanto a lui, sedendosi sul pavimento accanto al divano ed inumidisce la stoffa nella ciotola prima di iniziare delicatamente a passargliene un lembo sul viso, pulendo via il sangue e la sporcizia con perizia e pazienza.
“E quindi” dice Fabrizio dopo un attimo “Tu sei uno di quelli dei volantini” e Ermal si chiede se la leggera nota di presa in giro nella sua voce sia reale o se se la stia immaginando 
“Si” risponde, osservandolo “perché?” pigola, mentre l’altro continua a pulirlo
E Fabrizio sospira, scrollando appena le spalle “Chiedevo”
Al che Ermal è troppo stanco per non farsi uscire un acido “Fammi indovinare, tu sei uno di quelli di cui si legge sull’Unità vero? Uno di quelli che spara agli imprenditori o rapisce i politici e pensa che quello sia il metodo giusto per cambiare le cose” e c’è amarezza nella sua voce mentre parla tanto che Fabrizio alza lo sguardo su di lui 
“Perché, tu hai soluzioni migliori?” gli domanda, osservandolo “Se ne hai altre che non siano dare in giro pezzi di carta che la gente butterà appena voltato l’angolo o pensare che basti solo un’idea a cambiare il mondo, so tutto orecchi” 
Ermal sospira, troppo stanco per pensare, la testa che gli scoppia e la stanchezza che gli pesa addosso
“E tu non lo conosci, un metodo migliore del rapire e uccidere?” chiede stancamente, guardandolo 
Per un istante, Fabrizio lo fissa, imperscrutabile ed Ermal pensa che lo getterà fuori da casa sua ma, pochi istanti dopo, lo vede scrollare le spalle di rimando, come se la domanda non avesse importanza
“adesso non è il momento di fare questi discorsi” dice Fabrizio, coprendolo meglio e buttando l’asciugamano intriso di sangue nel catino dall’acqua ormai fredda “sei troppo stanco e devi riposare. Ne parleremo quando ti sentirai meglio” replica, scostandogli un ricciolo dal viso
“Il mio divano fa un po’ schifo” ammette poi “Ma è meglio di niente, no? E puoi restare quanto vuoi. In fondo, anche se abbiamo idee diverse, sempre uno contro al fascismo rimani” gli dice, sorridendogli appena “Quindi... riposa, ora” mormora “Ti metto un po’ di musica, vuoi?” dice poi alzandosi e andando vicino a un giradischi
Ermal si contorce appena, annuendo, ascoltando la musica che si spande in sottofondo qualche istante dopo e cercando una posizione comoda sul divano sfondato
“Mi fa male tutto” borbotta, lamentandosi quando Fabrizio si riavvicina, guardandolo annuire
“Lo immagino. Ma passerà anche quello. Dormi un po’ ora, chiudi gli occhi” lo rassicura
Pochi minuti dopo, Ermal, senza nemmeno accorgersene, sprofonda nel sonno, ancora ostinatamente pensando che sì, dovranno proprio farlo un bel discorsetto politico loro due.
Anche se, il suo ultimo pensiero è che Fabrizio, in fondo, è stato davvero gentile con lui e quindi, sotto sotto, non può davvero essere una così cattiva persona
(Si ringrazia @camilleisback per l’aiuto storico in questa cosa, diversi dialoghi e cose sono presi da un nostro vecchio plot. Tvb mi manchi piccina)
E niente, spero che vi sia piaciuto! Fatemi sapere se volete il seguito o meno!
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ideedicorsa · 5 years ago
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un passo, un pensiero
oggi mentre correvo pensavo a quello che avrei ricordato alla fine della corsa dei miei pensieri. mi chiedevo quali sarebbero rimasti nella corsa e quali avrei conservato anche una volta fermata. dopo il frullato, dopo la doccia. devo fare come dice di fare Murakami, ho pensato, devo mettermi a scrivere e trascrivere quando arrivo, appena finito. ma non prima del frullato, non ce la posso fare.
alla fine sono qui, dopo il frullato, banane e prugne, dopo aver annaffiato le piante, dopo aver messo via le cose dentro e fuori dalla lavastoviglie. le piante avevano bisogno e poi non riesco a stare subito ferma in casa, quando finisco di correre, mi manca l’aria, almeno in balcone mi sono riacclimatata.
pensavo a Murakami, che me l’ha consigliato un altro tumblero, “l’arte di correre”, che in realtà ha un altro titolo più interessante, in originale, ma non me lo ricordo. pensavo che si sente che l’ha scritto uno scrittore, rispetto agli altri libri sulla corsa che ho letto finora. pensavo a @giovaneanziano, che me l’ha consigliato, che in questi giorni ha detto che è tornato a correre, dopo l’operazione che ha fatto poco tempo fa. chissà come è andata, la sua corsa, pensavo. spero bene, si merita di stare bene, di avere delle soddisfazioni, pensavo. non ho mai imparato a gestire il mio tempo, a tenere i contatti, a mostrare e dimostrare che le persone ce le ho in mente più spesso di quanto riesca poi a sentirle o vederle. pensavo alle mie amiche, a Gloria, che ha fatto un altro esame, e le ho scritto, ma non l’ho chiamata, all’Anto, che dovevamo sentirci lunedì, a Barbara, che è una vita che non ci sentiamo io e lei sole. pensavo alle donne e agli uomini della mia vita, che non sono mica molti. eppure non sono brava in queste cose, mi sa. anche chi mi conosce bene lo sa, credo.
oggi sono uscita un’ora prima di ieri e si notava la differenza nella quantità di gente che correva. ieri ho incrociato solo bici e gente coi cani, oggi invece un sacco di gente che correva. uno aveva le maniche lunghe, come il mio vicino che ho incrociato prima, quando sono tornata dall’ufficio. il mio vicino era zuppo di sudore e io avrei voluto dirgli qualcosa, ma invece mi sono morsa la lingua. io sono in canotta ultraleggera e pantaloncini. se non fosse per le cosce che sfregano sarebbe perfetto. chissà se perderò prima o poi quel centimetro che fa la differenza, altrimenti mi farò prestare il gel da G. per vedere se va meglio. però non ho segni alla fine, forse è più una sensazione che un effettivo problema. i pantaloncini da uomo forse sono più lunghi, devo verificare, oggi un signore che ho incrociato li aveva sicuramente più lunghi dei miei. in primavera quando uso quelli di G. con la parte aderente sto molto comoda, ma fanno un gran caldo. meno roba ho addosso, meglio è, per ora. anche il marsupio ancora mi dà fastidio. però non credo di voler tornare alla fascia al braccio.
ho pensato al mio progetto, alle cose da scrivere in vista dell’appuntamento che ho rimandato a fine settembre. a come impostare una scaletta di pensieri, di chiavi di lettura, a quali domande potrei fare, a quando trovare il tempo per leggere e per scrivere.
per fortuna sono riuscita a non pensare al lavoro. non più che di sfuggita, dai.
ho pensato a una cosa che mi ha detto G l’altro giorno, a quanto si sta bene a correre quando cala la temperatura a fine estate, che ti ricordi che è bello correre, dopo che hai sofferto il caldo e sei comunque andato ad allenarti e invece ora vai e dici “ah, ecco perchè mi piace”
ho pensato alle strade condivise, con i pedoni, i ciclisti e anche le auto e oggi un’auto mi ha dato la precedenza sulle strisce, si è proprio fermata frenando assai, anche se io ero ferma ad aspettare, anzi forse proprio perchè mi ha visto ferma, forse, ha deciso di frenare e farmi attraversare.
e sicuramente sotto la doccia penserò ancora, magari arriveranno anche quei pensieri che nel frattempo non mi sono ancora tornati in mente. sicuramente qualcuno rimarrà là per strada.
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weirdesplinder · 6 years ago
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Buffy la dodicesima stagione
Questo post è dedicato a tutti i fan del telefilm i Buffy the vampire slayer.
Se siete Millenials e non lo conoscete, mi spiace veramente tanto per voi, perchè è un vero cult, ma fortunatamente potete rimediare a questa mancanza perchè ne stanno dando le repliche sul canale Spike.
Lasciate stare il reboot che intendono fare della serie, non guardatelo, ignoratelo, non ne varrà mai la pena qualsiasi cosa si inventino.
Fatta questa premessa, veniamo a noi, perchè questo post ora, dopo anni in cui non vi avevo più parlato di questo telefilm da me tanto amato? Per le repliche? Per la reunion dei cast sia di Buffy che di Angel (telefilm spin off di Buffy)? No.
Vene parlo perchè Joss Whedon ha ufficialmente concluso la serie alla sua dodicesima stagione.
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Lo so, lo so, starete pensando che io sia impazzita, la serie è finita alla settima stagione nel 2003 (in Italia nel 2005, una volta da noi i telefilm arrivavano anni dopo, non come ora che possiamo goderceli quasi in contemporanea con l’America), ma come vi ho detto già in diversi post di molto tempo fa, Whedon ha continuato la serie tramite i fumetti. Anzi ha continuato così entrambe le serie sia Buffy che Angel.
Buffy perciò ha avuto un’ottava, nona, deicima, undecesima e dodicesima stagione, l’ultima. Poichè dopo di questa i diritti della serie sono stati venduti per il famoso reboot che stanno per fare e che io mi rifiuto di vedere. Per lanciare questo maledetto reboot hanno creato perfino un reboot a fumetti, che fa ricominciare la storia dall’inizio con gli stessi personaggi ma accadimenti diversi...no comment. Ignorerò entrambi i reboot.
Perchè lo farò? Perchè ho amato troppo l’oroginale ecco perchè. Buffy è stata il motivo per cui ho scoperto e iniziato ad amare il genere urban fantasy e paranormal romance e ho iniziato a leggere in inglese. Per me esiste un solo telefilm di Buffy, e una sola coppia Buffy e Angel ho cancellato tutto il resto. Evviva la memoria selettiva e le fanfiction.
Detto questo arriviamo finalmente al punto di questo post che è rivelarvi come Whedon ha concluso la serie. Perciò SPOILER ALERT.
Se volete i fumetti sono disponibili anche in italiano perciò se preferite legere da voi cosa accade non andate oltre.
Iniziamo col portavi alla pari su quanto è accaduto a Buffy nelle stagioni dalla 8 alla undici. Molte cose. Per farla in breve, ma mooolto in breve ha passato parecchi problemi tra cui un mondo senza magia, con zombie da combattere, con nuovi mostri da combattere, con Angel che è diventato di nuovo quasi cattivo e girava come un superoe mascherato, ma in realtè era solo posseduto da un’entità di un’altra dimensione, Dawn è morta e poi è tornata, Giles è morto ma poi è tornato...insomma sono stati anni intensi dove tra le altre cose ha avuto un’intensa relazione con Spike e ha anche scoperto di essere bisessuale, ma ama ancora anche Angel....insomma anche sul privato ha avuto diversi problemi.
Nella dodicesima stagione il nemico di turno è un vampiro che viene dal futro dove è fratello gemello della cacciatrice di quell’epoca e perciò oltre al potere di vampiro ha anche quelli di una cacciatrice e le sue memorie. Questo cattivone uole rubare la forza di tutte le cacciatrice (e qui citazione dalla settima stagione di Buffy) uccidendo Buffy e Faith e torna nel passato grazie ai cattivoni della serie Angel , Wolfram and Hart.
Buffy e la gang al completo con l’aiuto anche di Spike, Angel, Giles, Illyria e Faith dovranno fermarlo e non sarà facile.
Volete sapere come va a finire? SPOILER
Ce la fanno. Salvano il mondo ancora una volta e il loro stesso futuro, anche grazie alla gemella di Hart tornata anche lei nel passato per fermarlo.
Tutto è bene ciò che finisce bene. La cacciatrice futura torna in un futuro migliore e la scoobie gang va avanti con la sua vita. Dawn e Xander hanno una bambina che chiamano Joyce. Buffy e Faith si iscrivono all’accademia di polizia perchè vogliono entrare a far parte in modo regolare e legale del nuovo dipartimento dedicato ai problemi soprannaturali. Spike rimane a vivere con Buffy (prima era andato a stare a Londra con Angel per un po’) e lei gli dice che vuole riprovare a mettersi insieme con lui e lui accetta. E anche Angel hiede a Buffy di fermrasi con lei per un po’ per capire bene cosa fare della sua vita e aspettare se magari Illyria ece dal portale dove è stata risucchiata, e Buffy gli dice che può restare perchè fa parte di tutte le persone che lei ama.
Fine
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Soddisfatti?
Io direi di sì, avrei preferito Buffy e Angel si rimettessero insieme, certo che sì, ma ormai erano anni che erano divisi...però in futuro magari romperà ancora con Spike...chissà, si può sempre sperare.
La serie è ufficialmente conclusa, cosa ne pensate, fatemelo sapere con i vostri commenti.
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