#che poi non mi sarebbe andato niente di tuo ma questa è un'altra storia
Explore tagged Tumblr posts
givemeanorigami · 3 months ago
Text
Stavo cercando una foto di quando ero piccola, ovviamente non si trova, chissà dove sarà finita tra le mie foto sparse tra i vari parenti, ma ho trovato l'ennesima riprova che mia nonna, nei miei ricordi di ultima nipote arrivata tardi che la vedeva vestirsi bene per andare a fare la spesa e in poche altre occasioni di cui ho memoria prima che l'Alzheimer la colpisse, aveva un grandissimo stile nel vestire. A parte l'abito da sposa, che stupendo e meraviglioso, ma ho appena (ri)scoperto un vestito a tuta pezzo unico marrone con cintura dalla fibia in color oro abbinata ai bottoni sulle spalle che, io che frugavo ovunque in casa sua, non ho mai visto dal vivo e non esiste in nessun'altra foto neanche per portarla a una sarta e farmela fare che ora sognerò per tutta la vita.
1 note · View note
intotheclash · 4 years ago
Text
Un coro di emozioni mi stava cantando negli orecchi. Tante voci confuse insieme, con il risultato di confondermi ancora di più. Ero deluso da me stesso, ero triste, arrabbiato, confuso, affamato. Si, tra le tante cose, mi era arrivata anche la fame. Ma soprattutto sentivo il bisogno di parlare con Pietro. Volevo scusarmi, spiegare le mie ragioni, volevo che capisse, doveva capire! Con fare incerto, mi avvicinai, eravamo rimasti soli. Antonio era uscito, non so per dove, ma non era più lì e la madre era salita al piano superiore, forse per preparare i letti.
Avevo un groppo in gola, ma non mi avrebbe fermato. "Io non volevo...Scusami, Pietro, avrei dovuto tacere, non dire nulla, ma mio padre mi ha costretto. mi avrebbe ammazzato di botte!" Che figura di merda! Lui aveva preso una sventola paurosa senza fare un fiato ed io mi ero cagato addosso solo per la promessa di prenderle. Proprio una gran bella figura di merda. Poi mi ricordai che non era solo per quello, che avevo parlato anche perché, al mio vecchio, avevano raccontato delle falsità. "Poi Alberto Maria aveva raccontato un mucchio di stronzate, per non dire al padre che le aveva buscate da uno più piccolo, così ho dovuto dire la verità! Io..."
"Chi è Alberto Maria?" Mi chiese, come se fosse appena arrivato. Come se in tutto il casino che era scoppiato lui non c'entrasse affatto.
"Come chi è? Quello che se ne è tornato a casa con il naso spappolato!" Risposi tutto d'un fiato. Poi feci una cosa di cui mi vergognai immediatamente. E di cui mi vergogno ancora. Scoppiai a piangere come un poppante cui hanno rubato il ciuccio. Saranno state le troppe emozioni accumulate, non saprei, il fatto è che un fiume di lacrime mi sgorgò dagli occhi e non riuscii a trattenerne neanche una.
Pietro rimase immobile e immobile la sua espressione distante, poi si voltò, mi guardò serio, mi cinse le spalle in un abbraccio e disse: " Non stare lì a preoccuparti, amico mio. Hai fatto la cosa giusta. Tanto, prima o poi, i miei lo avrebbero saputo lo stesso. Al tuo posto, avrei fatto la stessa cosa."
Non era vero, lo sapevo. lui era un duro, un duro vero, non gli avrebbero cavato una parola, neanche con le pinze. Però gli credetti lo stesso. Avevo bisogno di crederci e lo feci. Mi sentii subito meglio. Eravamo ancora amici. Era proprio forte il Maremmano, sapeva sempre cosa dire e fare. Era un grande. Più grande degli adulti.
"Chissà cosa si staranno dicendo lì fuori, è già un bel pezzo che sono usciti." Dissi, rinfrancato nel corpo e nello spirito.
"Mio padre starà raccontando al tuo di mio fratello."
"Tuo fratello? Che cazzo c'entra tuo fratello con noi?"
"Quando abitavamo a Tuscania, vivevamo in paese, come te, un pomeriggio di un paio di anni fa, stavo giocando al pallone con i miei amici, in una piazzetta del centro. Non ci crederai, ma quel giorno mi avevano messo in porta. Non avevo voglia di correre ed ero il più piccolo della banda. Successe che uno degli avversari tira in porta una cannonata spaventosa ed io in porta sono una pippa. Naturalmente segna, neanche lo vidi il tiro, ma, purtroppo, centra in pieno lo specchietto retrovisore di un'auto parcheggiata lì vicino. Era una centododici abarth, così c'era scritto su quella macchina, non me lo dimenticherò mai. E quando dice male, dice male, esattamente in quel momento, stava arrivando il proprietario in compagnia di un amico. E vuoi sapere un'altra cosa?"
"E me lo chiedi? Certo che la voglio sapere!"
"Erano tutti e due vestiti da carabinieri!"
"Una jella nera!"
"E già, proprio una jella nera. tutti i miei amici se la filano gambe in spalla, lasciandomi lì da solo, come un coglione."
"Ma che cazzo! Perché non te la sei squagliata anche tu?" Era la cosa più logica da fare.
"Perché il pallone finito sotto quell'auto era il mio pallone. Non volevo perderlo. Uno dei carabinieri, quando vide lo specchietto rotto, si incazzò come un picchio, mi chiamò, mi fece avvicinare e quando gli fui a tiro, mi mollò una sberla in faccia. Non piansi, non ho mai pianto per le botte ricevute. Questo lo fece incazzare ancora di più, aprì lo sportello della macchina, ricordo che pensai: ora mette in moto e se ne va, così recupero il pallone. Ma non lo fece, non subito, prese un cacciavite e con quello bucò il mio pallone."
"Brutto figlio di puttana!" Dissi accalorato dal racconto, poi mi guardai subito intorno, preoccupandomi che nessuno mi avesse ascoltato, "Solo, non capisco: cosa c'entra tuo fratello?"
"Dammi tempo, ci sono quasi. I due carabinieri salirono in macchina e partirono, io raccolsi il pallone sperando che, in qualche modo, si potesse riaggiustare, mi avviai verso casa, quando, da un vicolo, sbucò fuori Marchetto, il mio migliore amico di allora. Era scappato, ma si era pentito ed era tornato ad aspettarmi, e decise di accompagnarmi a casa. Sotto le scale di casa mia, incrociammo mio fratello che stava tornando dal lavoro. Hai visto come è fatto, no? Ci si fece incontro sorridendo, ma quando mi fu vicino, si accorse che qualcosa non andava. Poi notò il pallone sventrato e il segno rosso delle cinque dita che quel verme mi aveva stampato sulla faccia. Mi chiese spiegazioni, io non volevo dire nulla, ma la rabbia mi fece scoppiare in lacrime. Fu Marchetto a spifferare tutto. Ho pure pensato che fosse stata colpa sua di quello che successe dopo; ma so che non è vero."
"Cosa è successo dopo?" non volevo sembrare troppo curioso, ma era più forte di me. Il Maremmano era un narratore favoloso e quella storia sembrava un film.
"E' successo che Antonio, invece di rientrare a casa, è andato a cercare quei due, portandosi dietro me e Marchetto, visto che, da solo, non avrebbe potuto riconoscerli."
"E l'avete trovati?"
"Eccome se l'abbiamo trovati! Anche se, a conti fatti, sarebbe stato meglio di no. Erano seduti ad un tavolo, fuori da uno dei bar del centro, che ridevano e scherzavano beati. Mio fratello ha detto a Marchetto di aspettarci sul marciapiede, mi ha preso per la mano e si è avvicinato a loro. Era calmo. Almeno lo sembrava. "Quale di voi due coglioni ha messo le mani addosso a mio fratello?" Ha detto quando stavamo ad un passo da loro.
"Ha dato del coglione ad un carabiniere? Un carabiniere in divisa?" Domandai stupito. Era da pazzi. Almeno secondo il mio modo di vedere. Era come scavarsi la fossa con le proprie mani.
"Magari si fosse limitato a quello. I due, che non si erano resi conto del nostro arrivo, si voltarono di scatto con le facce truci, credo non fosse loro capitato spesso di essere stati insultati sotto al muso, e davanti ad altre persone, scattarono in piedi come molle, le loro facce da ebeti dimostrarono tutta la loro sorpresa. Poi quello che mi aveva picchiato mi notò e riuscì a collegare i fili. Sorrise cattivo e disse:" Ora capisco, lui è lo stronzetto che mi ha rotto lo specchietto, ha avuto quello che si meritava. Tu invece chi sei? Attento che..." non si seppe mai a cosa doveva stare attento. Non riuscì a terminare la frase. Antonio lo colpì a mano aperta, uno schiaffo, non un pugno, me lo ricordo come se fosse adesso. Uno schiaffo, ma lo fece volare in aria come un fantoccio. Come se non pesasse un cazzo di niente. Andò a schiantarsi su un altro tavolo, fracassandolo. Non si alzò più. Dormiva che era un piacere guardarlo. L'altro sbirro, vista la mal parata, cercò di mettere mano alla pistola, anche se, negli occhi, si leggeva la paura. Mio fratello fu, ancora una volta, più lesto dell'avversario. Lo piegò in due con un pugno allo stomaco, lo sollevò in aria come un fuscello e lo scaraventò in strada; lui e la sua cazzo di pistola."
Mi ero sbagliato, non sembrava un film, era un film! Meglio di un film! Antonio aveva due mani come due prosciutti e pensai che quelli avevano avuto un bel culo a non finire dritti al creatore. Che scena doveva essere stata! Avrei anche pagato non so cosa per poter dire: c'ero anch'io. Ecco il Maremmano da chi aveva preso!
"E non finì lì. Nessuno dei due era in grado di rialzarsi. Pensai: ora ce ne andiamo, ora è meglio se ce ne andiamo, Antonio sembrò leggermi nel pensiero, mi prese nuovamente per mano e scendemmo in strada. Fatti pochi passi, si accorse della loro macchina parcheggiata. Era facile da riconoscere, gliela avevo descritta ed era l'unica cui mancava lo specchietto. Mio fratello lasciò la mia mano, si appoggiò all'auto da una fiancata e la ribaltò completamente. Uno spettacolo da non credere. Nessuno dei presenti osò emettere un solo fiato. E' stata la cosa più incredibile che abbia mai visto."
"Poi? Poi come è andata finire?" Pendevo dalle sue labbra.
"Poi niente. Stavolta era finita davvero. Mi mise un braccio intorno alle spalle e disse: Chissà forse la prossima volta ci penserà due volte prima di picchiare un bambino." Concluse fissandomi. Io me ne accorsi che era triste.
"Cazzo, aveva ragione! E anche tu avevi ragione!"
"Anch'io la penso così, ma, forse ci sbagliamo. Forse non è così. Perché Antonio lo arrestarono la sera stessa e lo rinchiusero nel carcere di Viterbo. Hai capito ora perché mio padre me le ha suonate così forte?"
"Brutti figli di puttana!" Fu l'unica cosa che fui capace di dire.
"E già. Siamo venuti via da Tuscania per questo motivo. Mio padre dice che lo abbiamo fatto per lavoro. Perché comprare questa casa e questa terra è stato un ottimo affare, ma io lo so che non è vero. Era stato per via di mio fratello. Si vergognava che fosse finito in carcere. Ecco il vero motivo. Ora ha paura che la stessa cosa possa succedere a me."
"Ma a te non succederà mai! Io, Bomba, Tonino, Sergetto, Schizzo, il Tasso, i nostri genitori, stiamo tutti con te! Ti difenderemo! Gliela facciamo vedere noi a quella testa di cazzo dell'avvocato Terenzi!" Urlai. Ero diventato tutto rosso per la rabbia. Ero pronto a dar battaglia.
6 notes · View notes
Text
Capitolo 57 - Numeri di telefono e vacanze di primavera
Nel capitolo precedente: Eddie e Angie si appartano in un posto isolato e romantico in riva al mare, ma vengono sorpresi da due poliziotti, che li sottopongono a un fuoco incrociato di domande, a metà tra l'interrogatorio e il gossip. Durante questa conversazione Angie riesce inaspettatamente ad aprirsi e a rivelare che non vuole rendere partecipi gli amici della sua storia con Eddie anche per paura di perderli se le cose dovessero andare male. Angie fa pace con le sue insicurezze e, riaccompagnando Eddie a casa, gli propone di dire tutto ai loro amici in occasione del prossimo concerto dei Pearl Jam all'Ok Hotel. I due hanno anche una piccola scaramuccia causata dalla gelosia di Eddie nell'apprendere che Angie era stata nello stesso posto romantico e appartato anche con Jerry. Eddie scopre, grazie al poliziotto che leggeva la patente di Angie ad alta voce, che la sua ragazza ha un secondo nome che inizia per W, ma lei non ha la minima intenzione di dirgli qual è. Nel frattempo Stone e Grace sono di ritorno dal loro ennesimo appuntamento eccentrico, lei ha portato una cassetta con dei pezzi che le piacciono da ascoltare e lui critica la selezione e l'accostamento dei brani. Una volta a casa di lei, dopo una parentesi di passione, Stone è deciso ad affrontare di petto Grace e la sua difficoltà a condividere il letto e l'intimità con un'altra persona, sapendo benissimo che c'è qualcos'altro sotto. Tuttavia resta scioccato quando scopre la vera origine delle insicurezze di Grace: anni prima, a causa di una forma aggressiva di tumore alle ossa, la ragazza ha subito l'amputazione di un piede. La reazione di Stone alla notizia e di totale confusione, non sa che fare o che dire e, pur rassicurando Grace, se ne va dicendo di dover metabolizzare la notizia.
**
Io giuro che non l'ho fatto apposta. Cioè, non so se sia il caso di giurare, perché comunque se non l'ho fatto volutamente sarà pur sempre stato il mio inconscio a metterci lo zampino. Oppure uno di quegli automatismi mentali del cazzo, come quando sei abituato a fare sempre la stessa strada e arrivato all'incrocio sotto casa giri a sinistra come sempre, ma invece dovevi andare da tutta un'altra parte e te ne accorgi quando sei già arrivato alla meta sbagliata. Che poi a me non era mai successo, ma è una cosa che capita a tutti, cioè, se ne sente parlare spesso. Beh, stavolta deve essere capitato anche a me perché sono uscito dalla Music Bank, mi sono messo al volante e, non so come, mi ritrovato nel fottuto parcheggio di Roxy. Rimango fermo senza fare un cazzo per chissà quanto, indeciso sul da farsi. Che ci faccio qui? Che dovrei fare? Passo dentro per un saluto? Certo, la prima cosa che vuoi vedere dopo una giornata di lavoro è la faccia di merda del tuo ex che ti viene a trovare, no? Beh, in fondo, magari non se lo ricorda neanche più che sono il suo ex, basta vedere come mi tratta, come mi ha trattato a San Diego. Come un amico qualunque. Non è nemmeno più incazzata con me, anzi, ci sta che mi sia anche grata. Dopotutto se non avessi sabotato la nostra relazione lei non starebbe con Eddie adesso. Perché è ovvio che stanno insieme. Non lo so, ma me lo immagino. Lui ci avrà provato e lei ci sarà stata. C'è stata con me che sono uno stronzo. Chiunque venga dopo di me in confronto sembrerà il Principe Azzurro. In tutto questo, la macchina ha ancora il motore acceso. La spengo quando vedo Angie assieme a Brian e a un'altra ragazza uscire dal locale, precedendo di pochi secondi Roxy stessa, che li saluta e chiude la saracinesca. Angie ha un sacco della spazzatura in mano e si dirige verso i bidoni al lato del ristorante, mentre gli altri si allontanano a piedi o in macchina. Scendo dall'auto e corro dall'altra parte del ristorante, nascondendomi, non so perché, e affacciandomi di tanto in tanto aspettando la prossima mossa di Angie. La vedo spuntare dopo qualche minuto, ha ancora la divisa, entrambe le mani infilate nella tasca della sua giacca di pelle, il viso nascosto per metà da una sciarpa voluminosa, la sua solita borsa colorata a tracolla. Attraversa il parcheggio e raggiunge la strada, seguita a debita distanza da me. Mi guardo attorno per vedere se qualcuno mi ha notato perché a un osservatore esterno potrei sembrare un malintenzionato che sta seguendo una ragazza indifesa. Ma io non sono un malintenzionato, onestamente non so neanche che intenzioni ho, non so nemmeno perché cazzo la sto seguendo. Un paio di volte rischio di farmi sgamare, quando si ferma a guardare delle vetrine e, a sorpresa, si gira. La prima volta mi sono salvato infilandomi in una cabina del telefono, la seconda ho fatto dietro front al volo unendomi a un piccolo pubblico di un busker. Continuo a seguirla e vorrei tanto sapere dove cazzo sta andando, visto che abbiamo già superato due fermate dell'autobus. Siamo alla terza quando si ferma e si guarda attorno, mentre io mi tuffo nel primo vicolo per non farmi notare. Ma poi perché non mi faccio notare? Non posso semplicemente andare lì a dirle ciao? Mi sporgo e la vedo accendersi una sigaretta, iniziando a camminare avanti e indietro e io mi nascondo ogni volta che viene verso di me. Mi affaccio di nuovo e non la vedo più. Esco dal nascondiglio e presumo sia andata alla fermata più in là, forse è presto e non vuole aspettare ferma al freddo. Oppure qualcuno è venuto a prenderla, magari il suo ragazzo... No, sta ancora camminando per la strada, tutta sola, letteralmente, perché man mano che ci allontaniamo dai negozi la via si fa più deserta. Cammino muro muro, praticamente in punta di piedi perché ho paura che possa sentire il rumore delle mie scarpe. Ed è a questo punto che capisco che non ha un cazzo di senso quello che sto facendo. Mi do del coglione da solo e faccio una corsetta per raggiungere Angie, le metto una mano sulla spalla e sento uno dei dolori più forti che un uomo possa provare nella sua vita nel momento in cui lei si gira di scatto e mi molla un'epica ginocchiata nelle palle.
“CRISTO, ANGIE!” urlo non so se più per il dolore o per chiamarla, visto che accenna a scappare.
“Jerry??” si blocca e mi guarda incredula mentre mi contorco, prima di riavvicinarsi “Ma eri tu che mi seguivi?”
“Sì”
“Ma sei scemo? Perché?”
“Volevo... beh, volevo farti uno scherzo” non ho perso il mio talento nell'improvvisazione.
“Bello scherzo del cazzo, mi hai fatto prendere un colpo!”
“Scusa”
“Beh, scusami tu. Ti ho fatto male?”
“Noooo sto una favola” commento quando torno a vedere ciò che mi circonda e non più le stelle.
“Anche tu però... mi hai spaventata”
“E sono stato punito direi”
“Pensavo fossi uno che mi voleva aggredire”
“Eheh e invece sono stato aggredito io.” a quanto pare è destino, mi devo fare male ogni volta che ci vediamo, fisicamente o no. Noto la sua mano e la indico “E quelle?”
“E' un trucco che mi ha insegnato Meg” risponde rimettendo in borsa le chiavi che aveva piazzato tra le dita nel pugno chiuso.
“Sai che ti puoi fare male se non le tieni bene quando colpisci? E' un trucco pericoloso”
“Cos'è, ti offri volontario per allenarmi?” riprende le chiavi e le fa tintinnare mentre mi sorride diabolica e io mi rassegno al fatto che amerò sempre questa ragazza. A modo mio, sbagliatissimo, senza senso. Ma non posso farne a meno.
“No, grazie. Non che non me lo meriti, ma avrei altri programmi per la serata”
“Del tipo?”
“Del tipo... riascoltare i demo che ho appena registrato e capire perché cazzo non funzionano”
“Demo? Dell'album nuovo?” Angie passa dallo scherzo a essere interessatissima e io non aspettavo altro che soddisfare la sua curiosità. Forse è proprio per questo che sono venuto fin qui.
“Sì... ma è roba mia, cioè, che ho buttato giù da solo, non l'ho ancora fatta sentire agli altri”
“Beh, magari devi lavorarci un po' sopra, anche assieme al gruppo. E poi Layne può cantare qualsiasi cosa e renderlo perfetto, perciò non ti preoccupare” Angie alza le spalle e mi sorride e io penso di stare impazzendo perché mi prenderei un altro calcio nei coglioni pur di farmi toccare da lei.
“Ti va di sentirle?”
“Magari! Hai una copia da passarmi?”
“No, però ho il nastro in macchina... potremmo ascoltarlo lì, che dici?”
“Beh, non lo so, è un po' tardi” anche se dura un secondo, la sento tutta l'esitazione nella sua risposta. E' ovvio che l'idea non le vada tanto a genio, però non sa nemmeno come dirmi di no senza levarsi quella maschera di totale indifferenza nei miei confronti dalla faccia. Ammettere di essere a disagio da sola con me sarebbe come ammettere che ci siano ancora sentimenti in sospeso tra noi e questo lei non lo farebbe mai.
“Sono tre pezzi di numero. Li ascolti, mi dai il tuo parere e io in cambio ti do un passaggio a casa. Ti va?”
“E va bene, andiamo!” fa di nuovo spallucce e mi segue come niente fosse.
“Allora?” le chiedo dopo il primo brano.
“Jerry è... cosa credi che non funzioni esattamente in questa canzone? E' spettacolare”
“Lo credi davvero?”
“Sì”
“Non lo dici solo perché non vuoi tornare a casa in autobus?”
“Ovviamente no, non scherzare!”
“Con la voce di Layne guadagnerebbe qualche punto sicuramente”
“Nel ritornello sicuramente, ma mi piace la tua voce nella strofa” far ascoltare le mie canzoni nuove ad Angie non è solo una scusa per passare del tempo con lei, mi piace perché è sincera, le sue opinioni sono oneste, non ti dice che un pezzo è una figata solo per farti contento.
“Grazie”
“Ha un titolo?”
“Would. Un gioco di parole, con Wood”
“Andy?”
“Sì, è per lui. Ho pensato tanto a lui in questo periodo. Beh, non ho mai smesso di pensarci. Ma ultimamente ci penso sempre più spesso. Il nostro primo album è andato bene, suoniamo in giro, Stone e Jeff ce la stanno facendo, tante altre band stanno venendo fuori e-”
“E lui non è qui”
“Esatto. Lui non c'è. E mi manca. Andy era un amico, ma non uno con cui fai discorsi seri sul senso della vita o cose del genere. Era solo divertimento, ci divertivamo un sacco, io, Andy, Xana e Chris. Era una persona eccezionale, piena di energia e di vita”
“Le scelte che ha fatto raccontano una storia diversa però...”
“Ha fatto delle scelte del cazzo, ma non significa che fosse una cattiva persona. Ha sbagliato. Io non lo giudico però. Quelli che giudicano mi fanno solo incazzare”
“Scusa, non era mia intenzione”
“Nah, tu che c'entri, non mi riferivo a te. Tu non sei così” Angie non ha bisogno di giudicarti, le basta parlarti sinceramente o guardarti negli occhi per farti sentire una merda per tutte le cazzate che combini.
“Meg mi ha detto che è morto in questo periodo l'anno scorso, giusto?”
“Sì, tra poco sarà un anno. E mi sembra passato un decennio”
“Mi fai sentire un'altra canzone?” Angie sa quando cambiare argomento, ma non sa che il tono della conversazione non si alzerà nemmeno col secondo pezzo.
“Rooster era il soprannome che mio nonno aveva dato a mio padre quando era piccolo,” precedo la sua domanda prima di premere stop sull'autoradio “perché faceva il galletto. E perché aveva i capelli che gli sparavano in aria, come una cresta”
“Hai scritto una canzone su tuo padre?” Angie sa benissimo tutta la storia incasinata della mia famiglia e sa anche quanto sia difficile per me parlarne, anche se con lei è stato molto meno difficile.
“Ho scritto una canzone cercando di immedesimarmi in lui, provando a immaginare cosa potesse pensare o provare in quei momenti un soldato americano in Vietnam. Come sai, lui non ci ha mai raccontato niente”
“Dovresti fargliela sentire”
“Vedremo. Se ne verrà fuori una canzone vera e propria, potrebbe succedere, chissà”
“Potrebbe essere un modo per riavvicinarvi”
“Non l'ho scritta per questo”
“Lo so”
“Non l'ho scritta per nessun motivo in particolare”
“Ok”
“E' venuta fuori così e basta”
“Si vede che doveva venire fuori”
“Ti piace?”
“Sì, mi piace anche questa. Mi fai sentire l'ultima?”
“Era questa l'ultima” mento sfacciatamente.
“Ma se hai detto che erano tre canzoni...”
“Sì beh, era per dire. Sono tre tracce, ma due canzoni complete. La terza è solo una roba strumentale” dire cazzate ad Angie mi riesce ancora facile, come ai vecchi tempi, però bisogna vedere se anche lei è ancora brava a crederci.
“Voglio sentire anche quella” incrocia le braccia e mi guarda storto.
“Ti porto a casa, va” faccio finta di niente e accendo la macchina, ma Angie ha un'altra idea e allunga la mano per premere di nuovo play sull'autoradio.
Partono i primi accordi di un pezzo troppo lento e troppo moscio che non entrerà mai nemmeno in un lato B di un singolo del cazzo della band e che non farei ascoltare agli altri nemmeno sotto tortura, anche perché è talmente personale che mi prenderebbero per il culo per decenni e mi sembra che di motivi per farlo ne abbiano già parecchi. Per fortuna, nella prima parte della canzone, mi è venuta la brillante idea di intonare la melodia con un po' di 'mmm mmm', così posso cavalcare la balla del pezzo strumentale.
“Vedi? E' solo un abbozzo. Solo un coglione che strimpella e mugugna una melodia improvvisata” alzo le spalle e stoppo il nastro, per poi tirarlo fuori e farmelo scivolare nella tasca della giacca. Perché sono così stronzo? Io non ci dovevo nemmeno andare da Angie. Poi quando l'ho vista e le ho proposto di venire a sentire il demo ho cercato di raccontarmela come una mossa per poter passare del tempo con lei. Invece è chiaro che volevo farle sentire anche questo pezzo. Beh, soprattutto questo. E adesso? Me la faccio sotto oppure ho capito che era un'idea di merda in partenza? Cosa volevo ottenere? Farle sapere che mentre lei va avanti con la sua vita io sono ancora impantanato nelle mie stronzate?
“Beh mi sembrava un bell'abbozzo”
“Troppo lenta, troppo deprimente, non lo so”
“Jerry?”
“Sì?”
“Va tutto bene?”
“Certo, perché?”
“Non lo so, chiedo” perché chiedo io. E' ovvio che si faccia delle domande, spunto così dal nulla, mi presento dove lavora, la convinco ad ascoltare dei pezzi, poi il tutto si trasforma in una cazzo di seduta di psicoterapia sotto mentite spoglie.
“E' tutto ok, sono... sono solo le solite cose, ecco”
“Le solite cose continueranno ad essere sempre le stesse se non le affronti, Jerry”
“Lo so. Infatti le sto affrontando. La musica è pefetta per questo, non l'hai detto anche tu?”
“Sì, ma non basta”
“Già. Oh e scusa se sono venuto a romperti le palle, non era programmato, insomma, mi sono trovato lì. Cioè, non è che sono capitato da Roxy per caso, diciamo, che fino a un certo punto non avevo idea che stavo venendo da te, poi, diciamo, l'ultimo kilometro...”
“Ok, Jerry, ho capito”
“Scusa”
“Non ti scusare, non ce n'è motivo”
“E' solo che, beh, è più facile con te. Mi viene più facile parlare con te, nonostante tutto. Assurdo, vero?” Angie sa già tutto, a lei non devo spiegazioni, e ora che non stiamo più insieme, non le devo nulla. Però, allo stesso tempo, lei non deve nulla a me. Non è tenuta ad ascoltarmi.
“Beh, un po' sì, ma non troppo strano. La gente ama confidarsi con me, si vede che ispiro fiducia. O che sembro innocua” Angie scuote la testa e io penso che non è innocua per niente dato che il (troppo) poco tempo in cui le nostre strade si sono incrociate mi hanno lasciato un segno bello grosso e profondo.
“Innocua? Con le chiavi tirapugni? No, non direi proprio”
Il viaggio fino a casa di Angie dura più del dovuto, perché scelgo deliberatamente il percorso più lento e trafficato, ma lei è così gentile da non farmelo notare. Oppure neanche se n'è accorta.
“Allora buona notte. E grazie per il passaggio” mi dice con la mano sulla portiera già mezza aperta.
“Grazie a te per aver accettato di farmi da cavia. E grazie per i pareri”
“Figurati. E comunque quando vuoi parlare o farmi ascoltare altre cose... sappi che io ci sono, ok?”
“Davvero?” le chiedo non perché io sia incredulo, ma perché so perfettamente che sta dicendo sul serio, che è davvero sincera e pronta a sorbirsi le pare di uno che non riesce ad aprirsi emotivamente se non con la sua ex, che sta pure con un altro.
“Certo. Solo perché sei stato una merda non significa che, boh, non ti salverei da un incendio o non ti darei una mano mentre dondoli in bilico sull'orlo di un precipizio per tirarti su. Per le cose serie, se posso, una mano te la darò sempre” Angie fa spallucce mentre mi dice una cosa stupenda e invece di soffermarmi ad ammirare la bontà e l'altruismo di lei, di farmi ispirare dal suo concetto di amicizia, di imparare qualcosa dalla sua totale mancanza di rancore... io vado in fissa sui suoi occhi prima e sulle sue labbra poi e stavolta non credo proprio che non si sia accorta che ho tutta l'intenzione di baciarla. Infatti nel giro di due secondi mi da di nuovo la buona notte e schizza fuori dalla macchina, alla volta del portone di casa.
“Notte!” le urlo dal finestrino guadagnando un suo frettoloso ciao-ciao con la mano.
Si può sapere che cazzo mi sono messo in testa?
***********************************************************************************************************************************
Si può sapere che cazzo mi sono messa in testa? Che faccio, prometto cose che non sono sicura di poter mantenere? Certo, le mie sono state delle gran belle parole, non c'è che dire, suonavano benissimo, ma sarò poi in grado di farle seguire dalle azioni? Ci sarò davvero sempre per Jerry, anche se è stato uno stronzo? E' bello aspirare ad essere persone migliori, ma credo che nel mio caso spesso sia più una sorta di autocompiacimento masochistico. Insomma, c'è che a me piace un sacco essere buona, comportarmi da tale e far sì che tutti mi vedano così, come una ragazza gentile e comprensiva. Tutti, anche quelli che non si meriterebbero nessun riguardo, anzi, specialmente quelli. Tu hai fatto il bastardo con me? E ora ti aspetteresti che, come minimo, cambiassi strada quando ti vedo, giusto? Invece no, io sono qui ad ascoltare i tuoi sfoghi emotivi, a tenerti la mano e a incoraggiarti, dicendoti che andrà tutto bene. Tiè, beccati questa! Non voglio dire che lo faccio proprio apposta, però non posso negare che esista questa componente di soddisfazione nell'essere quella che fa la cosa giusta, o meglio, che fa la cosa buona che nessuno farebbe. Ora lo so che quando racconterò a Meg cosa è successo, lei scuoterà la testa e mi dirà che sono stupida e che avrei dovuto semplicemente mandare Jerry a fare in culo come si meriterebbe, ma il suo vero pensiero sarà che sono troppo buona o una cosa del genere. Ecco, io adoro essere troppo buona, mi fa stare bene, in pace con me stessa e con gli altri, perché è uno dei pochi ruoli sociali esistenti a risultarmi facili da ricoprire e in cui mi sento a mio agio. Almeno per un po'. Perché il problema è che, se ti comporti da buona, poi lo devi essere fino in fondo, senza dubbi, ripensamenti o scazzi vari. Cioè, se io ho appena detto a Jerry che per lui ci sarò sempre come amica, la prossima volta che lo vedo non posso prenderlo a calci in culo perché mi sono improvvisamente ricordata che mi ha tradita e mi ha mancato totalmente di rispetto, non solo come ragazza, ma prima di tutto come persona. Funziona così con Jerry: ci parlo e mi sembra di interagire con una persona del tutto diversa da quella con cui sono stata, ma non per modo di dire, è proprio come se fosse un altro tizio, non mi suscita nessun turbamento, non c'è nessuna tensione. Almeno finché non succede qualcosa, un rumore, una parola, una cazzo di battuta, che mi fa tornare in mente chi diavolo ho di fronte, e lì giuro che lo prenderei a sassate, così, dal nulla. Però no, non si può. Perché se hai la Sindrome di Gesù devi essere Cristo fino in fondo, col porgere l'altra guancia e tutto il resto. Non puoi solo goderti la fama di messia, devi anche farti crocifiggere o, più spesso, metterti in croce da sola.
Il mio rimuginare prende una piega mistica proprio quando entro in casa, forse il tutto è collegato al fatto che appena sono dentro mi levo le scarpe e alle sensazioni di estasi provate dalle mie estremità dopo una giornata in piedi. Agguanto il telefono senza neanche accendere la luce, noto qualcosa scritto sul blocchetto lì accanto, ma non lo prendo neanche in considerazione perché immagino sia un appunto di Meg che mi dice che Eddie mi ha cercata. Dopotutto avevamo un appuntamento telefonico circa... beh, un'oretta fa. Mi lascio cadere sul divano, anche se so che non è la cosa ideale da fare e sarebbe meglio raggiungere il letto, e compongo il numero a memoria sul tastierino, praticamente alla cieca.
“Pronto”
“Ciao Eddie, stavi dormendo?”
“Ovviamente no mia cara... Wallflower?”
“Eheh acqua, mi spiace!”
“Cazzo”
“Tanto non te lo dico”
“Tanto lo scoprirò lo stesso”
“Ah sì, e come?”
“Ho i miei metodi di convincimento, non lo sai?” sì, lo so eccome, ecco perché cambio argomento.
“Comunque stai diventando più imprevedibile, ero convinta che avresti risposto con 'E' già venerdì?' invece del pronto”
“Mi piace sorprenderti, micetta. A proposito, per caso è già venerdì?” domanda ridendo sotto i baffi, mentre io faccio per alzarmi di scatto dal divano e finisco invece per rotolare giù, sul tappeto.
“COME CA- AHI!”
“Tutto ok? Cosa è stato?”
“Niente niente. Scusa Eddie, come stracazzo mi hai chiamata?” gli chiedo mentre mi raddrizzo sul fianco, tenendomi la chiappa dolorante.
“Micetta, perché?”
“Perché, dice lui!”
“Stai parlando con qualcuno o è sempre il tuo solito pubblico immaginario?”
“Non farlo mai più”
“Dai, è carino”
“Questo lo dici tu”
“E poi a te piacciono i gatti”
“Mi piacciono tante cose, mi piacciono anche gli horror, ma non per questo mi farei chiamare Poltergeist... Anche se, pensandoci...”
“Non è male, ma preferisco micetta”
“Io preferirei qualsiasi cosa rispetto a micetta”
“Attenta a ciò che desideri”
“Ugh vuoi dire che potresti venirtene fuori con qualcosa di peggio?”
“Mettimi alla prova”
“Ma poi micetta non ha senso”
“Sì che ne ha”
“Perché mi piacciono i gatti?”
“Perché hai gli occhioni da gatta, sei dolce e tenera, ma sai tirare fuori le unghie quando serve... anche letteralmente. La mia schiena ringrazia eheh” è mezzanotte passata, io sono ancora stesa sul tappeto di casa mia e sto arrossendo.
“E' che non mi piacciono i nomignoli in generale” il meccanismo diversivo di difesa si inserisce da solo mentre cerco di rialzarmi.
“Regina ti piace però”
“Che c'entra, quello non è un nomignolo di coppia”
“Che cazzo dici, è il nomignolo di coppia per eccellenza!”
“Sì, ma nel nostro caso era una cosa tra amici” finalmente mi risiedo sul divano e d'istinto mi avvinghio a uno dei cuscini.
“Ahah amici un cazzo, fosse stato solo per amicizia il nomignolo sarebbe nato e morto quella sera”
“Ok, ma tecnicamente è nato in amicizia, quindi va bene” mi concentro sull'aspetto tecnico perché faccio ancora fatica a realizzare che Eddie abbia avuto questa... cotta (?) per me già da tempo. Cioè, razionalmente capisco che non ha ricevuto un'improvvisa illuminazione quella mattina alla stazione dei pullman di San Diego e che doveva per forza averci pensato anche prima. Ma la mia parte irrazionale ancora non si capacita del fatto che Eddie stia con la sottoscritta, figuriamoci concepire che possa aver covato il suo interesse per me per mesi.  
“Va beh, va beh, cosa c'è che non va in micetta?”
“E' troppo... è troppo zuccheroso”
“E' un nomignolo, deve essere dolce, o meglio, tendenzialmente è così”
“E' stupido”
“Che ti aspettavi da uno stupido come me, micetta?”
“Uff ti sei proprio fissato eh?” alzo gli occhi al cielo e so già che questa non la vincerò neanche per sbaglio.
“Secondo me non è che non ti piace, è solo che ti imbarazza, per non so quale strano motivo a me sconosciuto”
“Non è vero” ribatto strizzando il cuscino.
“Invece sì”
“Invece no”
“Lo sai che ti cambia il tono della voce quando colpisco nel segno?”
“Ahah cosa... di che diavolo stai parlando?”
“Niente. Se mi lasci usare micetta, ti permetto di chiamarmi come vuoi”
“Ahahah cioè, vuoi introdurlo proprio come vezzeggiativo ufficiale! Dì la verità, ci stavi lavorando già da tempo, ammettilo”
“No, mi è uscito così senza pensarci. E magari me ne sarei dimenticato un secondo dopo, se tu non avessi avuto quella reazione stupenda”
“In pratica, è colpa mia”
“Come sempre, mia regina”
“Regina o micetta, deciditi”
“E perché mai? Puoi essere tutt'e due. Anzi, lo sei”
“Se per sbaglio quella parola esce dalla tua bocca in presenza di uno dei nostri amici sei-”
“HA! Allora è quello che ti terrorizza? Che possa arrivare alle orecchie dei ragazzi?”
“Se succede una cosa del genere sei morto, sappilo”
“Sei troppo preoccupata dell'opinione degli altri, lasciatelo dire”
“Ma non morto nel senso che ti faccio il culo, ti meno o ti uccido letteralmente. Semplicemente da quel momento in poi cesserai di esistere per me, celebrerò mentalmente il tuo funerale, piangerò un pochino, dopodiché non ti rivolgerò mai più la parola né riconoscerò più la tua presenza in alcun modo”
“Ti ho mai detto che ti adoro quando sei così teatrale?”
“Ti ho mai detto che le mie minacce sono sempre reali?”
“Ok, ok, prometto che non userò mai quel nome se non quando siamo soli soletti. Così va meglio?”
“Sì” lo dicevo che questa non l'avrei vinta.
“Grazie, micetta. Tu come mi vuoi chiamare invece?”
“Io ti chiamo Eddie, punto”
“Guarda che mi va bene anche un nomignolo non zuccheroso”
“Ed?” ebbene sì, è il massimo che riesco a fare.
“Ahahahahah”
“Che cazzo ridi?” in realtà adoro quando ride, specialmente quando mi prende per il culo, ma non è necessario che lui lo sappia.
“Wow, non sarà troppo intimo? Non so se me la sento di permetterti di chiamarmi Ed”
“Vaffanculo, Ed”
“Specialmente davanti agli altri”
“Non è una cosa che puoi decidere a tavolino, ti viene spontaneo chiamare una persona in un altro modo, anche tu l'hai detto, no? Quando mi verrà di chiamarti con un vezzeggiativo idiota, lo saprai”
“Va bene. Allora, è già venerdì?”
“No, mancano ancora due giorni”
“Tecnicamente uno, la mezzanotte è passata da un pezzo”
“Allora se lo sai già, perché me lo chiedi?”
“Volevo vedere se eri attenta”
“Comunque vedi che succede a furia di sparare cazzate al telefono? Finisce che il tempo passa in fretta”
“Era il mio obiettivo fin dall'inizio. Comunque avremmo potuto spararne anche di più se non te la fossi presa comoda, io ero qui ad aspettarti dalle undici e mezza”
“Non me la sono presa comoda, sono arrivata a casa adesso. Cioè, neanche un minuto prima di chiamarti”
“Roxy ti fa fare gli straordinari? Questa cosa che ti fa fare sempre la chiusura però non la capisco, si chiamano turni per un motivo, no?”
“Non la faccio sempre. E questi orari li ho chiesti io perché per me sono più comodi per una serie di motivi. Comunque stavolta sono uscita quasi puntuale, ho perso tempo dopo, anche se non lo definirei tempo perso, visto che ho avuto un'anteprima esclusiva!”
“Ah sì? Che hai fatto?”
“Ho ascoltato un paio di demo degli Alice che andranno nel prossimo disco. Cioè, questo lo dico io, perché sono una bomba, anche se Jerry non è del tutto convinto. Ma quello è normale, perché lui non capisce un cazzo” altro autore perfezionista del cavolo come Eddie, tra di loro dovrebbero intendersi in questo senso.
“Jerry? L'hai visto? E' venuto alla tavola calda?” in barba all'intesa da me supposta, l'adorabile e giocoso Eddie scompare all'istante e nel momento stesso in cui pronuncia il nome di Jerry capisco che sta per incazzarsi esattamente come l'altra sera.
“No, l'ho beccato dopo il lavoro”
“Beccato dove? Sei andata da qualche parte dopo il lavoro e-”
“Oh no, l'ho incontrato per strada”
“Per strada?”
“Sì”
“Per strada davanti a Roxy's alle undici di sera di un mercoledì?”
“Sì” la conversazione sta lentamente scivolando nell'interrogatorio.
“E che ci faceva lì?”
“Non lo so, era in giro, non gliel'ho chiesto”
“Chiedilo a me”
“Eheh cosa?” non sono scema, non è che mi metto a ridere sapendo che Eddie avrà il fumo che gli esce dalle orecchie a questo punto. E' più un ghigno nervoso che non riesco a trattenere.
“Chiedilo pure a me, te la do io la risposta”
“Eddie io-”
“Chiedimelo” Eddie sa convincermi, anche se preferisco gli altri suoi metodi, quelli più piacevoli.
“Ok, che ci faceva lì Jerry?”
“E' venuto apposta per vederti, mi pare ovvio”
“Non è venuto apposta” sì che è venuto apposta, ma quello che voglio dire è che non è venuto apposta con l'idea di riconquistarmi, come crede Eddie. E' solo venuto a cercarmi perchè non sapeva da chi altro andare.
“Va beh, e poi?”
“E poi cosa?”
“E poi cosa è successo, che avete fatto, dove siete andati? Dove te l'ha fatto sentire QUESTO CAZZO DI DEMO?” le grida di Eddie attraverso la cornetta mi fanno sobbalzare sul divano.
“Sì, ma stai calmo, perché alzi la voce?”
“PERCHE' MI VA”
“Eddie”
“Perché io ero qui ad aspettare di parlare almeno al telefono con la mia ragazza, visto che non potevamo vederci di persona, mentre lei era in giro col suo ex”
“Non ero in giro”
“Sei andata direttamente a casa sua?”
“No”
“E' venuto lui da te? Magari gli hai fatto anche il caffè”
“Siamo stati in macchina il tempo di sentire due canzoni di numero e poi mi ha portata a casa” ignoro il suo sarcasmo perché se non lo facessi finirei per rispondere col mio e non ne usciremmo vivi.
“In macchina”
“Sì, dove me la faceva sentire la cassetta secondo te? Nessuno è andato a casa di nessuno e Jerry non va mica in giro con il boombox sulla spalla” eccolo, il mio sarcasmo non ha resistito, questa discussione non può finire bene.
“In macchina” ripete con lo stesso tono sprezzante.
“Sì, in macchina”
“E dove vi siete imboscati? Visto che il vecchio parcheggio è off limits...”
“Non ci siamo imboscati da nessuna parte, eravamo lì, sulla strada. E' finito l'interrogatorio?”
“No. Vi siete baciati?”
“MA FIGURATI, SECONDO TE??” mi viene da urlare, ma allo stesso tempo non voglio reagire con troppa veemenza e dargli l'impressione di essere stata punta nel vivo e che sia successo davvero qualcosa con Jerry.
“Non lo so, se no non te l'avrei chiesto”
“Davvero non lo sai? Cioè, tu seriamente pensi che io potrei baciare Jerry? E che soprattutto, dopo averlo fatto, ti chiamerei e mi metterei a parlare di gatti, poltergeist, nomi e nomignoli come se niente fosse?”
“Non lo so, Angie, so solo che il tuo ex si è fatto vivo con la scusa del demo e tu non hai resistito. E a giudicare dalle tempistiche, non penso proprio che tu abbia ascoltato due canzoni e poi sia filata dritta a casa, a meno che gli Alice in Chains non si siano dati a pezzi prog da 15 minuti l'uno”
“Abbiamo parlato”
“Di cosa?”
“Di cose personali”
“Ah beh allora! Perfetto, non ho assolutamente motivo di arrabbiarmi! Hai visto il tuo ex e avete parlato dei vostri segreti, ora sì che sono tranquillo!”
“Cose personali sue, che non riguardano me”
“Oh perché ora tu sei la confidente preferita di Jerry, giusto. Perché non va a raccontare i cazzi suoi alle tipe che si scopava alle tue spalle?” beh, wow, complimenti per il tatto, Eddie... Resto interdetta per alcuni secondi prima di rispondere.
“E io che ne so? Magari lo fa già, magari no. Perché lo chiedi a me, io cosa c'entro, scusa?”
“C'entri perché sei la mia ragazza, non la sua, se te lo fossi dimenticato”
“Non me lo sono dimenticato, ma forse tu sì, visto come mi stai trattando” va bene mantenere la calma, ma io non ho fatto niente, perché dovrei stare sulla difensiva? Non mi piace per niente quando fa così.
“Vero, sono io che faccio lo stronzo, dopotutto ti sei solo vista da sola con Jerry, mica mi dovrei incazzare”
“Senti, te l'ho detto io che ho visto Jerry, di mia iniziativa, senza che tu sapessi un cazzo. Se non ti avessi detto niente non l'avresti mai saputo. E invece io te l'ho detto, perché non ho niente da nascondere e non ho fatto niente di male” litigare è una delle cose che odio di più e che rifuggo come la peste. Non mi piace litigare, mi mette ansia, anche quando ho ragione, ed è per questo che spesso faccio finta di niente e chiudo gli occhi e le orecchie anche quando non dovrei, anche quando avrei qualcosa da ribattere, perché semplicemente non ho voglia di casini e voglio stare tranquilla. In questo caso, però, non riesco proprio a stare zitta, quindi cerco di farlo ragionare.
“Ok, ascolta, io ci credo che non hai fatto niente, che non è successo niente, mi fido di te. Ma non mi fido di lui? Non lo capisci che lo fa apposta? Era un pretesto del cazzo per vederti” Eddie smette di trattarmi di merda per un attimo, ma questo non è che mi faccia sentire poi tanto meglio.
“Non era assolutamente così, ma anche se lo fosse, io non c'entro nulla. Mi ha chiesto di ascoltare un paio di pezzi e dargli un parere, morta lì”
“Potevi dirgli di no. Potevi dirgli che dovevi andare a casa, che avevi un impegno. Che poi ce l'avevi davvero l'impegno, con me”
“Onestamente non ci vedo nulla di male nell'ascoltare due canzoni e un mezzo sfogo di un amico, quindi non vedo perché avrei dovuto dirgli di no” l'impegno che avevo con te era una telefonata, non casca certo il mondo se ti chiamo un po' più tardi, no?
“Forse perché non è un amico, ma è il tuo fottuto ex?”
“Proprio perché è il mio ex, non vedo perché devi essere geloso. E' acqua passata, una storia chiusa con un sacco di pietre messe sopra. Se sei geloso, il problema è tuo” se c'è una cosa che non sopporto è la gelosia, non la tollero, è stupida, è-
“Se non vedi qual è il problema, sei tu il problema. Buona notte” c'è bisogno che il segnale di occupato vada avanti per un po' prima che io capisca che Eddie mi ha letteralmente attaccato il telefono in faccia. Sono incredula, non solo per questo gesto, ma per tutta la situazione. Che cazzo è successo? Come siamo passati da una tranquilla telefonata a una lite accesa nel giro di un minuto? Perché si è arrabbiato così tanto? Non so cosa fare, aspetto qualche minuto, poi provo a richiamarlo, ma il telefono squilla a vuoto, senza risposta.
“CHE CAZZO! Angie, che diavolo ci fai lì?” la luce della sala si accende di colpo e l'improvvisa vista della mia sagoma sul divano terrorizza la mia amica.
“Ciao, Meg, scusa”
“Scusa un cazzo! Ok, dichiaro ufficialmente terminato il campionato di Spaventa a morte la tua coinquilina. Hai vinto tu e stop, mi arrendo” si avvicina tenendosi una mano sul cuore e io so già che ora si siederà con me, capirà in un nanosecondo che c'è qualcosa che non va, io inizialmente non le dirò un cazzo, poi, inevitabilmente, le spiattellerò tutto, lei mi consolerà, insulterà Eddie, poi Jerry, poi mi dirà che non è niente di irreparabile, mi darà dei consigli che mi sembreranno senza senso, ma che alla fine risulteranno azzeccati e tutto si sistemerà. Forse.
“Scusami, stavo telefonando”
“Ah, hai richiamato la tua amica, allora?” mi chiede Meg, disorientandomi totalmente. Come se non fossi già abbastanza confusa.
“La mia amica?”
“Sì, Jane, la tua ex compagna di scuola. Ti avevo lasciato un appunto...” Meg si allontana saltellando e torna da me con il blocchetto che avevo notato accanto alla base del cordless. Mi basta quel nome, prima pronunciato da lei e poi scritto a chiare lettere sul foglio giallo, per tornare immediatamente padrona di me stessa.
“Sì sì, infatti, l'ho appena richiamata, grazie” mi alzo dal divano e prendo il blocco delicatamente, ma con fermezza, dalle mani di Meg, prima di staccare la pagina incriminata.
“E' tutto ok? Mi sembrava una cosa urgente”
“Ahahah per Jane è sempre tutto urgente! Nah, voleva solo darmi la notizia che finalmente ha trovato lavoro. E darmi il suo nuovo numero, ora che si è sistemata” prendo la borsa e infilo il foglio di carta nella mia agenda, per non perderlo. O almeno, questa è l'idea che voglio dare a Meg. Io questo numero ce l'ho già, ma sotto sotto, mi piacerebbe tanto perderlo.
“718... uhm... che prefisso è, Texas?”
“New York”
“Hai un'amica nella Grande Mela? Che figata! E che fa di bello?”
“Fa la modella. Il suo sogno è fare l'attrice” sarebbe più corretto dire che il suo sogno è essere famosa, anzi, essere adorata. Da tutti, possibilmente. Ma non mi sembra necessario aggiungere questo dettaglio, non so neanche perché ne sto parlando con Meg.
“Un giorno sarai tu a dirigerla allora? Un'attrice e una regista: la squadra perfetta!” la mia coinquilina manifesta un entusiasmo che cozza un po' col mio umore, ma non posso darlo a vedere.
“A parte che preferirei scrivere e non dirigere, tranquilla che ne ho di panini da servire ancora prima di arrivare a quel punto” chiudo la borsa, me la rimetto a tracolla.
“Come mai non mi hai mai parlato di questa Jane? E' la prima volta che la sento nominare, pensavo avessi solo tre amici in croce” non demorde e mi segue fino in corridoio.
“Infatti, confermo i mitici tre. Jane non è proprio un'amica, è più... è una conoscenza più superficiale”
“Però è carina a mantenere i contatti, dai” sì, certo, carinissima.
“Sì, è una brava ragazza” credo che vomiterebbe se mi sentisse dire questo di lei.
“Che fai? Esci?” Meg mi blocca quando, anziché andare verso la mia camera, come si aspettava, faccio per aprire la porta di casa.
“Sì, ho finito le sigarette. Me ne ero dimenticata, cazzo. Mi tocca uscire di nuovo, ma ci metto un attimo”
“E non puoi stare senza fumare?”
“No, decisamente no, Meg, fidati”
Esco invitandola a tornare a dormire, dicendole che ho con me le chiavi e che non serve aspettarmi. Scendo le scale in un lampo e quando sono fuori dal condominio, do un'occhiata alle finestre del quarto piano. Le luci sono di nuovo tutte spente. Meglio così, non è necessario fare il giro dell'isolato. Mi infilo nella cabina sotto casa, inserisco una ad una le monete nel telefono a gettoni come se pesassero una tonnellata ciascuna e compongo il numero che è chiuso nella mia agenda, ma che non mi serve tirare fuori, perché lo so a memoria da anni ormai.
“Pronto”
“Che ti serve?”
*******************************************************************************************************************************************
“E' ancora presto, cazzo” dico tra me e me guardando l'orologio, che segna le otto meno un quarto. Che poi, dovrei buttarlo questo cazzo di orologio. O rivenderlo. L'avevo detto anche ad Angie, chiedendole se le dava fastidio, ma lei mi aveva guardato come se fossi matto e mi aveva chiesto perché. Non le importa che io abbia al polso ogni santo giorno l'orologio che mi ha regalato una che aveva una cotta per me, una ragazza che ho persino baciato. Angie non sa cosa sia la gelosia, quell'angoscia che nasce dalla pancia e ti arriva subito alla testa, che ti fa vedere tutto nero, che ti toglie il respiro, come un mostro marino che emerge dall'oceano e ti sorprende mentre stai nuotando, ti avvolge e ti immobilizza con i suoi tentacoli, che ti convince che ormai è tutto perduto. Angie non ci pensa nemmeno, non ci ha pensato ieri sera, quando ha incontrato Jerry, e neanche quando me l'ha detto, candidamente, come se fosse una cosa normale. Perché per lei è normale. Perché è probabile che sia normale per tutti tranne che per me, lo stronzo instabile, che è qui sotto casa della sua ragazza dalle sei del mattino, in attesa che venga fuori per poterle chiedere scusa e salvare la situazione. Non avevo intenzione di svegliarla così presto e sapevo che non sarebbe uscita a quell'ora, ma non ce la facevo più a stare a casa, dopo una nottata insonne in cui sono passato, anche piuttosto velocemente, dalla rabbia alla realizzazione della cazzata appena fatta. Esco di nuovo dal pick up. Sarò sceso e salito cinque o sei volte in un paio d'ore e ci saranno i mozziconi di un intero pacchetto di sigarette su questa merda di marciapiede. Non piove, ma l'aria è fresca, io però sto sudando. Allungo la mano attraverso il finestrino lasciato aperto per metà, recupero il mio cappellino dal sedile e lo indosso. Mentre sono impegnato a raccogliere tutti i capelli alla bene e meglio sotto il berretto, sento il portone aprirsi e la vedo uscire, intenta a sistemarsi la sciarpa voluminosa attorno al collo per proteggersi dal vento. Non mi guarda, ma viene verso di me, e io non mi devo neanche impegnare a fare la faccia contrita, perché solo rivederla per me è un tuffo al cuore e sono sicuro che la mia espressione naturale sia già quella giusta. Sto quasi per chiamarla per nome quando, anziché proseguire dritta nella mia direzione, gira alla sua destra e se ne va chissà dove. Non mi ha visto? Mi ha visto e mi ha ignorato apposta, poco importa. Butto l'ennesima cicca a terra e la seguo.
“Angie” si inchioda di colpo, segno che no, forse non mi aveva visto. Si volta verso di me e letteralmente mi squadra da capo a piedi, prima di fermarsi sui miei occhi e rispondere con un cenno.
“Ciao Eddie” si volta di nuovo e riprende a camminare, stavolta più lentamente.
“Lo so che sei arrabbiata, hai tutte le ragioni per esserlo” la raggiungo e cammino accanto a lei, che affonda la faccia nella sciarpa, quasi a volersi nascondere.
“Io non sono arrabbiata. Eri tu quello incazzato, mi pare”
“Mi sono incazzato per niente, Angie, scusami. Ti chiedo perdono”
“Eri una furia”
“Lo so, lo so, sono stato uno stronzo”
“Mi hai attaccato il telefono in faccia e non mi hai neanche risposto quando ti ho richiamato”
“Meglio così! Credimi! Ero fuori di me, chissà cosa avrei potuto dire” ecco forse questo era meglio non dirlo.
“Ok, allora meglio così” Angie alza le spalle e accelera impercettibilmente il passo.
“Angie, possiamo fermarci un secondo, ho bisogno di parlarti per bene, non così, mentre camminiamo”
“Ho delle cose da fare, devo passare in banca e fare altre commissioni prima di andare in facoltà”
“Ci vorranno solo due minuti, Angie, per favore. Fammi parlare, non ci ho dormito tutta la notte” le circondo le spalle con un braccio, delicatamente, indirizzandola verso la prima panchina che mi capita a tiro.
“E dov'è la novità?” mi chiede con un sorriso un po' spento. Mi sa che non ha dormito neanche lei granché.
“La novità è che stavolta è colpa mia.” faccio un cenno verso la panchina “Ti prego”
“Ok, solo due minuti però” alza gli occhi al cielo e si arrende, sedendosi con me.
“Allora... beh, come avrai intuito, ho un piccolo problema con la gelosia” inizio a confessare.
“No! Davvero?” mi rivolge il suo solito sorrisetto sarcastico e mi sento un pochino meglio perché forse c'è la possibilità che io non abbia mandato tutto a puttane.
“Sono geloso. Ed è un mio problema, come hai detto tu ieri, avevi ragione, hai ragione. Nel senso che tu non hai fatto niente, tu non fai mai niente, è una cosa mia, non c'entrano le cose che fai o come ti comporti o cazzate del genere. Potresti non uscire mai di casa e io sarei geloso del fattorino che ti porta la pizza perché, che cazzo ne so, ti sorride un po' troppo quando gli lasci il resto di mancia”
“Beh, sì, visti i guadagni da fame, qualcuno potrebbe anche innamorarsi per una mancia, ci posso credere” Angie continua a prendermi per il culo e ammetto che la cosa mi fa sentire sempre più a mio agio.
“Il fatto è che nove volte su dieci il pensiero arriva, mi genera fastidio per quei due secondi, e poi se ne va e non ci penso più. Insomma, il più delle volte lo tengo a bada, ignoro le voci nella mia testa, e continuo con la mia vita come se niente fosse”
“Non stiamo parlando di vere voci, giusto?”
“Eheh no, voci della coscienza”
“Ah ok. E invece che capita nell'unica volta su dieci?”
“Capita che perdo la testa e dico cose che non penso”
“Sicuro che non le pensi?”
“Angie, no, non le penso. Perdonami, non succederà più, te lo prometto” provo a prenderle le mani, un po' timidamente, ma lei mi lascia fare e non si allontana da me.
“Come fai a prometterlo? Se perdi il controllo, come dici, come puoi evitarlo?”
“Posso evitarlo perché voglio evitarlo, perché tu sei più importante, di tutto”
“Eddie, ascoltami,” Angie si gira un po' di più verso di me, sempre tenendo le mani nelle mie “posso capire la tua gelosia. Cioè, non la accetto, non la giustifico, ma posso capire come funziona, ne intuisco il meccanismo e i motivi scatenanti. So che devi sentirti insicuro, anche se non ho la più pallida idea di come sia possibile, visto che sei un ragazzo eccezionale e che non ti lascerei mai”
“Magari c'è qualcuno più eccezionale di me...”
“Chi? Jerry Cantrell?” Angie non perde tempo e va dritta al punto.
“Deve pur avere qualcosa di buono se ti ci sei messa assieme. E se gli sei ancora amica, dopo che... beh, dopo il male che ti ha fatto”
“Certo che c'è del buono in lui, ma nulla di un potenziale fidanzato. Non più. E non so più come dirtelo per fartelo capire”
“E allora perché ci parli ancora? Non voglio dire che non devi parlargli, non sono quel tipo di ragazzo, che ti proibisce cose o ti dice chi devi frequentare o dove puoi andare o stronzate del genere. Solo, non capisco davvero come tu possa farlo, cioè, se Beth saltasse fuori dal nulla e mi cercasse dicendomi che ha bisogno di parlare con qualcuno, le risponderei con un bel dito medio”
“Io non sono te” la risposta è tanto immediata quanto semplice.
“Eheh lo so. E meno male, aggiungerei”
“Non so che altra spiegazione darti, per me è così. Prima di provarci era un amico e quello che è successo tra noi come coppia non ha cambiato le cose. Cioè, detto onestamente, io pensavo di sì, che le avrebbe cambiate, ma poi col passare del tempo mi sono resa conto che per me Jerry è tornato ad essere né più né meno quello che era prima: un amico”
“Mi sembra incredibile, è come se scindessi le due cose”
“Non è come se, è esattamente così. Io divido le due cose, i due rapporti, i due Jerry. C'è Jerry il mio ex e Jerry l'amico, il primo non c'è più, è rimasto l'altro” Angie fa spallucce come se spiegasse la cosa più ovvia del mondo, io non ci provo neanche a capire e non so se crederci o meno. Ma devo sforzarmi se voglio che questa cosa funzioni e non naufraghi quando è praticamente appena cominciata.
“E' un concetto molto lontano dal mio modo di vedere, ma... posso capirlo”
“Stessa cosa per me con la tua gelosia. E' un concetto molto, molto lontano da me, ma lo capisco. Quello che non ammetto è il modo in cui mi hai trattata perché eri geloso”
“Lo so, Angie, scusami”
“Mi hai detto delle cose bruttissime. E con un tono... il tono era davvero cattivo, come se cercassi di farmi male il più possibile”
“Te l'ho detto, sono scattato per una cazzata”
“Secondo me il tuo problema non è la gelosia, ma la rabbia. Appena tii senti in pericolo attacchi, alla cieca. Non è la prima volta che lo fai, ma a questi livelli no, non era mai successo” colpito e affondato. Angie mi conosce da nemmeno sei mesi, sta con me da qualche settimana e mi ha già inquadrato in tutto e per tutto.
“Lo so, è un casino. Io sono un casino.” mi lascio andare, appoggiando la testa sul suo grembo, senza mollarle le mani “Speravo non vedessi mai questo lato del mio carattere” illuso, era ovvio che saltasse fuori subito, con una maggiore intimità.
“Anch'io sono un casino, tutti lo siamo. Ma quando si tratta di ferire deliberatamente una persona, con cattiveria beh, io lì tiro una riga e segno il mio limite. Cosa me ne faccio dei nomignoli zuccherosi se poi sfoghi le tue frustrazioni su di me?” lo sapevo, mi sta lasciando. Mi ha sopportato anche troppo in fondo.
“E' finita, vero?”
“COSA? Di che stai parlando?” Angie libera le sue mani dalle mie e mi prende la testa, girandola e obbligandomi a guardarla.
“Non vuoi mollarmi?”
“Eheheh chi è quello teatrale adesso?” mi spinge di nuovo la testa in basso, mi leva il cappello, se lo mette in testa e inizia a spettinarmi per gioco.
“Hai detto che quello è il tuo limite...”
“Secondo te ti mollo per una lite del cazzo?”
“No?” sono salvo?
“La prossima volta, quando ti incazzi per qualcosa, prima di insultarmi, fai un bel respiro profondo e parlane francamente, dimmi cosa non va, di cosa hai paura e come posso aiutarti. Oppure insultami, ma solo se me lo merito o se pensi ci sia una valida ragione. Insomma, ci sta discutere, cazzo, ci sta anche litigare, anche se io detesto litigare e farei qualsiasi cosa pur di evitarlo, ma ammetto che ci sta, se c'è un motivo. Ecco, io voglio avere la libertà di litigare con te senza rischiare un crollo emotivo ogni volta, ok? Perché, come ti ho già detto, anch'io sono un casino, proprio come te, anch'io ho i miei problemi, che credi. Non vedi quanto ci metto a esternare un cazzo di sentimento che sia uno? Da un lato ti invidio, sai?” quello che dice mi lascia inizialmente senza parole perché è così... maturo. Io sono qui a piagnucolare, mentre lei ha analizzato la situazione razionalmente e sta semplicemente dicendo le cose come stanno.
“Mi invidi? Pensi che essere schiavo delle proprie emozioni sia meglio? Ogni volta è come lanciare in aria una cazzo di monetina, fai un tiro e non sai che cosa verrà fuori: come sto oggi? Sto bene? Sto male? Sono felice? Sono incazzato? Jeff e Stone potrebbero scommetterci su” mi rimetto a sedere come una persona normale e mi accorgo di avere una stringa semi-slacciata.
“Beh, le mie monetine non vengono mai lanciate, le infilo nel salvadanaio, una dopo l'altra, e lì rimangono. Almeno finché non arriva Natale e bisogna rompere il salvadanaio e allora BAM! Escono fuori tutte assieme” faccio per allacciarmi la scarpa, quando Angie si intromette, le allaccia per me mentre parla, e poi mi riprende le mani nelle sue.
“Mi presti il tuo salvadanaio?” le chiedo prima di ricevere quel bacio che temevo di non avere più.
“Sì, solo se mi fai lanciare le tue monetine ogni tanto” mi sorride e ora ne ho la certezza: sono salvo.
“Scusami, Angie, davvero”
“Non mi serve che ti scusi, mi serve che non fai più lo stronzo”
“Va bene”
“E che se qualcosa non va me lo dici e ne parliamo, come due persone adulte”
“Ok”
“Perché non sono il tuo pungiball”
“No, sei la mia...” aspetto che capisca cosa voglio dire e risponda alla provocazione. Finalmente si gira di scatto e mi guarda malissimo, proprio come piace a me.
“Non ci provare”
“Perché? Hai detto che potevo”
“Non in pubblico”
“Ma se non c'è nessuno” mi guardo attorno e c'è giusto qualche passante che non ci calcola minimamente.
“Pensi che se non ti ho mollato per la piazzata di ieri non ti mollerò se mi chiami micetta? Potrei stupirti”
“HA! L'hai detto tu. Dicendolo l'hai automaticamente accettato come nomignolo ufficiale”
“E chi lo dice?”
“Io, micetta” le rispondo nell'orecchio, perché va beh rischiare, ma non voglio neanche tirare troppo la corda.
“In cosa mi sono andata a cacciare” Angie alza gli occhi al cielo per l'ennesima volta e credo che con me diventerà un'abitudine.
“Non ne hai idea, credimi”
“Non voglio più litigare con te”
“Io invece non vedo l'ora”
“Ahah che?”
“Solo con te un litigio può trasformarsi in un confronto a cuore aperto sulle emozioni, i sentimenti e la maniera di gestirli. Mi piace parlare di queste cose con te, mi piace parlare con te, mi piaci tu”
“Anche tu mi piaci,” Angie mi stampa un bacio sul naso e poi si alza “però adesso devo proprio andare”
“Ah allora non era una scusa per evitarmi? Hai da fare sul serio?” mi alzo anch'io e scherzo, facendo finta di non badare al fatto che mi ha appena detto che le piaccio, senza imbarazzarsi, senza che glielo abbia chiesto o che abbia cercato di estorcerle questa confessione con la tortura.
“Sì e mi devo muovere”
“Ma quando finiscono le lezioni?” sbuffo recuperando il mio cappello dalla sua testa e rimettendolo sulla mia.
“Domani è l'ultimo giorno”
“Finalmente! Cos'hai di vacanza, una settimana?”
“Dieci giorni”
“Ancora meglio... senti, stavo pensando... cioè, in realtà non ci avevo pensato prima, ci sto pensando adesso. Che ne dici se andassimo via qualche giorno, io e te?” le prendo di nuovo le mani, o meglio, i polsi, e ne accarezzo l'interno. Lo so che le piace.
“Via dove?”
“Dove vuoi tu. Per staccare e stare un po' da soli, ti andrebbe?”
“Non so, non sarai preso col film e la registrazione dell'album?”
“Appunto, potremmo fare questo weekend, che ne dici? Mi girano le palle che sarò impegnato proprio quando tu sarai a casa e potremmo vederci di più”
“Non lo so, Eddie. In realtà avevo già dato la disponibilità sia a Roxy che ad Hannigan per fare qualche ora in più sia nel weekend che in settimana, sai, per mettere da parte qualcosa” il suo sguardo si abbassa troppo spesso perché non ci sia qualcosa che non va.
“Oh ok... ma va tutto bene?” la scuoto un po' invitandola a guardarmi, oltre che a parlare sinceramente.
“Certo, perché?”
“Non so, non è che hai bisogno di soldi?”
“Ahahah e chi non ne ha bisogno?” Angie si stacca da me e mi fa cenno di riavviarmi assieme a lei.
“Eheh no, intendo, che magari hai qualche problema e ti servono i soldi”
“Il mio problema è il solito: pagare le bollette, l'affitto, il college e i libri. O le fotocopie dei libri, anche quelle costano” camminiamo vicini mentre Angie conta le sue spese sulle dita della mano.
“Beh, ma ti aiutano i tuoi, no? Tuo padre non mi da l'idea di essere il tipo che s'incazza se non gli mandi la tua parte all'inizio del semestre, ma un po' più tardi”
“Non c'entra, è una questione di principio, se prendo un impegno lo mantengo”
“Certo e questo è bellissimo. Ma non c'è niente di male nel chiedere aiuto quando si ha bisogno” proseguo e non mi accorgo subito che Angie si è fermata poco più indietro.
“Ecco, questo me lo dovrei tatuare, così magari inizierei anche a farlo prima o poi” mi giro e la vedo ferma sul primo gradino della scalinata della banca.
“Tutti vengono da te quando hanno bisogno, tu invece?” la raggiungo e l'abbraccio.
“Io invece chiamo te se ho un ragno in casa”
“Puoi chiamarmi anche per il resto, lo sai vero?”
“Grazie.” mi bacia ancora e stavolta non può fare a meno di guardarsi attorno per controllare che non ci sia nessuno di nostra conoscenza nei paraggi “Comunque è tutto ok, solo necessità di tutti i giorni, non ti fare strane idee, davvero”
“Ok”
“Ora devo andare sul serio però. Ti posso chiamare a pranzo?”
“Non me lo devi chiedere”
“Correggo la mia domanda: ti trovo a casa a pranzo?”
“Sì”
“Ci sentiamo dopo allora, buona giornata” mi stampa un altro bacio troppo veloce e se ne va troppo in fretta.
“A dopo... Whirpool??”
“Acqua!”
'Se qualcosa non va me lo dici e ne parliamo' così mi hai detto. Spero tu lo sappia che vale anche per te.
9 notes · View notes
olstansoul · 4 years ago
Text
Sacrifice, Chapter 9
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Quindi quello che hai perso è solo uno dei millemila libri che hai letto?"
"Beh si...non è come un grande classico, tipo il ritratto di Dorian Gray, ma si può considerare come un vero e proprio bestseller"
"Sento puzza della professoressa Potts"disse lui e lei rise.
"Guarda che non è colpa sua, da quando sono piccola leggo molto. Ho iniziato con le avventure dei Dei Norreni, Thor, Odino e quella roba cosi e poi man mano sono passata ai grandi classici...non sono mica mio fratello"
"Lui è più grande?"
"No, è più piccolo ed è completamente immerso con la testa nei videogiochi"
Erano passati solo venti minuti da quando la campanella di fine lezioni era suonata e tutti gli studenti erano usciti per poter tornare a casa. Wanda e James stavano percorrendo insieme il percorso per tornare a casa e stavano ammazzando il tempo conoscendosi di più, cosa che lei stava apprezzando. Era la sua occasione per conoscerlo meglio.
"Come ti capisco, anche se la mia non è immersa completamente con la testa nei videogiochi"
"Hai una sorellina?"chiese lei con un leggero entusiamo.
"Si...e a volte giocare con lei e i suoi mille accessori di Barbie può essere una distrazione"
"Almeno hai il vantaggio che lei ti chiede di giocare con te, se chiedo a mio fratello di giocare mi liquida subito"
"Si, hai ragione, ho il vantaggio che me lo chiede ma dopo mi ritrovo la stanza piena di  vestiti e scarpe rosa. Ed io, purtroppo, sono costretto a riportargliele indietro...vuole che il loro armadio sia perfetto"
"Beata lei, mi ricordo che quando ci giocavo io non avevo la minima idea di dove andavano a finire, le portavo da una parte all'altra della casa e spesso perdevo pezzi durante il tragitto. Poi vedendo che non riuscivo a tenerle perfette, mia madre iniziò a comprarmi quelle di pezza,che ora saranno piene di polvere su quella mensola"
"Una ragazza dai gusti molto semplici"disse lui.
"Si, non sono mai stata una tipa appariscente, suonavo la chitarra ma facevo anche danza però le cose sono cambiate..."
"E cosa è successo?"chiese lui.
E a quella domanda lei rimase interdetta. Non poteva certamente dirgli tutto, ora che si stavano conoscendo e poi cosa sarebbe successo se gliel'avrebbe detto? Ci avrebbe creduto? Sarebbe rimasto scioccato? L'avrebbe aiutata? Che cosa avrebbe pensato di lei? Non sapeva cosa fare, certamente quello che gli stava per dire era solo una piccola barriera che divideva la finzione da quella che era la realtà vera e propria. E cosa sarebbe successo se quella barriera si fosse rotta?
"Beh...quando hai i due pali più importanti della tua vita, ovvero i tuoi genitori, che non si amano più e ovvio che poi, di conseguenza, non riesci più a fare nulla e...ti cadono le braccia, non sai quello che devi fare e ti senti morire"
"Mi dispiace, non volevo procurarti un tuffo doloroso nel passato..."
"Tranquillo, ormai crescendo impari a farci l'abitudine e non riesci neanche più a coglierne la differenza"disse lei facendo un respiro profondo e allargando le braccia ma un mucchio di fogli cadde sul marciapiede.
La stessa scena di questa mattina con Natasha si stava ripetendo, in quello stesso istante però c'era James che non perse un secondo a raccoglierli tutti. Lei provo ad abbassarsi ma il dolore alla schiena la fermò.
"Non ho fatto nessun tipo di sforzo che potesse permettermi di avere un mal di schiena del genere,quindi per favore che ne dici se te ne vai e mi lasci in pace?"chiese lei, nella sua mente, rivolgendosi al suo caro e unico amico tumore.
"Scusami, ero...ero distratta"
"Tranquilla, va tutto bene...credo che ne usufruirò molto spesso"disse lui riferendosi agli schemi lavorati della professoressa di storia che Wanda aveva preparato.
"Vuoi che ti ricambi il favore? Non ti basta pensare di aiutare il signor Lang con chissà quale idea malsana?"
"No, no ma ci studierei volentieri...e poi gli sto dando solo una mano"
"Chissà come...beh, io dovrei essere arrivata"disse lei indicando una casa sulla destra.
"Oh, si...ehm, ci vediamo in giro?"chiese lui e lei annuì.
Iniziarono a prendere due strade diverse, lei verso il portico di casa sua e lui proseguendo dritto verso casa. Ma in quello stesso istante c'era qualcosa che Wanda non aveva ancora fatto. Prima ancora di mettere la chiave nella toppa e girarla, si voltò e vide il castano proseguire il suo cammino e presa da una felicità improvvisa scese di nuovo le scale e si trovò di nuovo sul marciapiede.
"James..."lo chiamò e lui si girò subito percorrendo quella poca distanza che lo divideva da lei.
"Hai ancora bisogno di qualcosa?"
"Oh! Ma che carino!"pensò lei ma subito tornò con i pensieri su quello che gli voleva dire.
"Io...io volevo solo dirti grazie...per questa mattina intendo"disse lei e gli occhi di James si spalancarono.
"Si, lo so forse...non sono una tipa a cui escono facilmente dalla bocca parole di questo tipo ma stavolta è perché lo sento davvero"disse lei abbassando la testa.
"Non c'è di che Wanda...mi sono davvero preoccupato per te"
"Ti ringrazio, sul serio..."disse lei alzando definitivamente lo sguardo dalle scarpe.
"Per quanto riguarda le tue ripetizioni? Ecco non ci siamo visti da giovedì scorso..."
"Oh, beh...questa settimana ho alcuni impegni e non credo che.."
"Potresti darmi il tuo numero di telefono, cosicché puoi informarmi e dirmi quando sei libera..."le propose lui.
Non aspettò risposta da parte della castana che subito James tirò da fuori la tasca destra del suo jeans il suo cellulare.
"Tieni..."
"Beh, se proprio dobbiamo fare le cose per bene..."disse lei iniziando a prendere il suo cellulare nella sua tracolla.
Se li scambiarono ed entrambi segnarono il loro numero sul telefono dell'altro.
"Mi scrivi tu?"
"Si, ti farò sapere io..."
E ognuno prese la sua strada, Wanda salì una seconda volta le scale del portico e infilò le chiavi nella toppa entrando finalmente in casa dove regnava un buon profumo di pasta.
"Ehi...sei tornata, non ti avevo sentito"disse sua madre appena la vide apparire sulla soglia della cucina.
"Non ho bussato, mi sono portata dietro le chiavi"
"Come è andata la giornata? Tutto okay?"
Si sedette e provò a pensarci su. Certo non era iniziata col piede sbagliato, perché se fosse stato così sarebbe stata sicuramente colpa del signor Stark. Ma oltre a quello che era successo durante l'intervallo tutto era andato per il meglio.
"Bene, oserei dire quasi benissimo..."disse lei addentando una fetta di pane messa nel cesto in mezzo alla tavola.
"Addirittura benissimo? Cosa ti succede?"
"Nulla, perché?"
"Sembri felice..."
"Colpa di Barnes"disse lei nella sua testa ma provò a zittire i suoi pensieri.
"Ho solo incontrato una nuova amica"disse lei riferendosi alla bionda Natasha.
"Davvero? E chi sarebbe?"
"Natasha Romanoff, una mia alunna" disse la voce di Clint alle loro spalle ed entrambe si girarono.
"Da come ne parli, sembra davvero una persona carina"
"Lo è..."disse lei sorridendo mentre stava masticando con la bocca chiusa.
"Ho assegnato loro un lavoro sull'età Vittoriana, spero che farete un bel lavoro"
A quella affermazione lei sorrise, non avrebbe mai pensato di trovare una persona come Natasha che dal primo momento si prende cura di te. E questo la rendeva molto felice.
Dall'altra parte della città...
Prese le chiavi per poter aprire la porta, una volta chiusa alle sue spalle notò che dentro casa non c'era nessuno. Si diresse nella cucina, cercando qualcosa da mettere sotto i denti, aprendo il frigo per quasi quattro volte ma nulla faceva al caso suo.
"Grazie mamma che vieni incontro alle mie esigenze di cuoco perfetto"disse lui ad alta voce.
Ma chi lo conosceva, sapeva benissimo che non era per niente un cuoco perfetto. Si arrese e fece il giro della penisola prendendo dalla dispensa la busta di panini del giorno prima. Si fece un panino veloce che mangiò seduto sullo sgabello, sua madre non voleva che le briciole si spargessero per tutta la casa sennò avrebbe dovuto pulire e sarebbe stata solo una fatica in più, oltre alla sua ordinaria fatica da infermiera. Una volta finito si lavò le mani mettendo tutto ciò che aveva usato, al solito posto. Fu quando chiuse il cassetto che si accorse che la porta di casa fu sbattuta e da lontano vide la figura robusta di suo padre.
La stessa persona che non vedeva da giorni, ma stavolta era accompagnato da un'altra persona. Doveva essere una ragazza, poco più bassa di lui, non riusciva a raggiungerlo neanche con le scarpe alte che aveva, con i capelli biondi legati in una coda alta. Si mosse lentamente, posando il canovaccio sulla penisola e uscendo dalla porta che dava sulla cucina. La porta del ufficio di suo padre era socchiusa e vide, dal piccolo spazio rimanente che la ragazza bionda era seduta sulle sue gambe.
Non reagì come se fosse impazzito da un momento all'altro. Piuttosto si allontanò dalla porta e da quella scena con una faccia schifata e con un leggero ghigno ironico sulle sue labbra.
"Me lo sarei dovuto aspettare..."disse lui sottovoce prendendo lo zaino da sopra il divano e salendo le scale.
Aprì la porta di camera sua, la chiuse alle sue spalle e si buttò sul letto dove da lì non si sarebbe alzato fino all'ora di cena.
Tumblr media
2 notes · View notes
gloriabourne · 6 years ago
Text
The one where Ermal is a father
Ermal parcheggiò in doppia fila, davanti alla scuola di Libero. Probabilmente avrebbe trovato una multa al suo ritorno, ma in quel momento era l'ultimo dei suoi problemi.
Quando Fabrizio l'aveva chiamato, circa venti minuti prima, chiedendogli di andare a prendere Libero a scuola, Ermal aveva subito capito dal suo tono di voce che c'era qualcosa che non andava.
"Non lo so" aveva risposto Fabrizio sospirando. Poi aveva aggiunto: "M'ha chiamato la maestra. Dice che è successa una cosa oggi a scuola ma non mi ha spiegato niente di più. Io sono bloccato in studio, Giada sta accompagnando Anita al compleanno di una sua amichetta..."
Ermal aveva fermato il suo fiume di parole dicendogli di stare tranquillo, che ci sarebbe andato lui da Libero.
In fondo, Fabrizio era stato così gentile da ospitarlo a casa sua mentre si trovava a Roma per un evento. Il minimo che poteva fare era ricambiare il favore andando a prendere suo figlio a scuola.
Entrò all'interno dell'edificio ignorando le occhiate curiose degli altri genitori e si diresse a passo spedito lungo il corridoio, cercando la classe di Libero.
Rimase fermo sulla porta a guardare qualche secondo Libero, che se ne stava seduto al primo banco con lo sguardo basso, e la sua maestra, seduta alla cattedra davanti a lui.
"Salve" disse Ermal, entrando nell'aula timidamente.
Sembravano passati secoli dall'ultima volta in cui era stato in una scuola per qualcosa che non riguardasse il suo lavoro.
La maestra, una donna sulla cinquantina, alzò lo sguardo e sorrise. "Salve. Il padre di Libero mi ha avvertito che avrebbe mandato lei a prenderlo."
"È successo qualcosa?" chiese Ermal curioso, mentre Libero sbuffava continuando a tenere lo sguardo rivolto verso il basso.
La maestra sospirò gettando un'occhiata a Libero, poi rivolse l'attenzione a Ermal e disse: "Avrei preferito parlarne con i genitori. Anzi, sicuramente li contatterò per un colloquio. Ma, per farla breve, oggi c'è stato un litigio piuttosto intenso tra Libero e un suo compagno di classe."
"Che significa intenso?" chiese Ermal.
"Si sono spintonati durante l'ora di ginnastica e Libero ha detto delle parole che non mi sarei aspettata di sentire da un bambino della sua età" spiegò l'insegnante.
"Cioè?" disse Ermal guardando Libero, incerto se in quella situazione fosse più corretto continuare a parlare con l'insegnante o rivolgersi direttamente al bambino.
"Le parole precise sono state: brutto stronzo."
Ermal si passò una mano tra i capelli sospirando.
Non aveva la minima idea di come comportarsi, di cosa dire.
"Senta, so che non è suo figlio, ma non potevo chiudere un occhio questa volta. E visto che i genitori di Libero l'hanno autorizzata ad occuparsi di lui in loro assenza..." iniziò la maestra.
"Questa volta?"
"Non è la prima volta che succede."
  Se c'era una cosa che Ermal non era mai stato in grado di fare, era guidare in silenzio.
Era sempre stato abituato a chiacchierare con chi c'era in macchina con lui o semplicemente a canticchiare una canzone alla radio.
Ecco perché rimanere in totale silenzio, mentre Libero accanto a lui fissava il finestrino, lo stava rendendo nervoso.
Il fatto era che proprio non sapeva come comportarsi.
Avrebbe dovuto sgridarlo? Chiedergli perché l'aveva fatto? Fargli un discorso ispirato sul perché si era comportato male?
Nessuno di quei compiti spettava a lui.
Lui era semplicemente il fidanzato di suo padre - anzi agli occhi di Libero era un semplice un amico, visto che Fabrizio non gli aveva ancora detto di avere una relazione con Ermal - che era andato a prenderlo a scuola.
"Lo dirai a papà?" chiese Libero a un certo punto.
Ermal sospirò. "Sì. Tanto lo saprà dalla maestra prima o poi. E io non me la sento di nascondere le cose a tuo padre."
Libero rimase in silenzio per qualche secondo, mentre Ermal si fermava a un semaforo e gli rivolgeva un'occhiata curiosa.
C'era qualcosa che Libero non stava dicendo, qualcosa che stava tenendo nascosto su quella storia.
"Ti va di raccontarmi cos'è successo?" chiese Ermal mentre il semaforo diventava verde.
"Te l'ha già detto la maestra."
"Sì, ma io vorrei saperlo da te" rispose Ermal, probabilmente con un tono più brusco di quanto avrebbe voluto perché sentì Libero sbuffare.
"Libero..."
"Senti, tu non sei mio padre!" sbottò il bambino, cercando di chiudere la conversazione.
Ermal si ammutolì. In fondo, Libero aveva ragione.
Non era suo padre, non poteva permettersi di sgridarlo o di dire qualsiasi cosa su quella faccenda.
Quando arrivarono a casa, pochi minuti più tardi, Fabrizio non era ancora rientrato.
Ermal sospirò mentre lasciava le chiavi sul mobile dell'ingresso, consapevole che in mancanza di Fabrizio spettasse a lui dire qualcosa a Libero. Se non sgridarlo, almeno cercare di capire per quale motivo avesse agito in quel modo.
Libero, da parte sua, non aveva nessuna intenzione di parlare di ciò che era successo a scuola, tanto meno con Ermal.
Non aveva nulla contro di lui, anzi gli stava simpatico e vedeva quanto suo padre fosse felice ogni volta che erano insieme. Però se c'era qualcuno che doveva dire qualcosa su quella storia, dovevano essere suo padre o sua madre. Non Ermal.
"Hai ragione" disse Ermal a un certo punto, mentre si sedeva accanto a Libero sul divano.
"Su cosa?"
"Sul fatto che non sono tuo padre. Anzi, io non so nemmeno come si fa a fare il padre. Non ho avuto un buon esempio."
Libero si voltò verso di lui. "Non vai d'accordo con lui?"
"Diciamo che non si è comportato bene" rispose Ermal cercando di addolcire la situazione. Poi aggiunse: "Insomma, io non so come si fa il padre e non voglio cercare di farlo con te. Voglio solo capire che succede."
Libero si strinse nelle spalle. "Niente. Abbiamo litigato, stop."
"Vi siete spintonati. Hai detto delle cose che non avresti dovuto dire. I gesti e le parole, a volte fanno più male di quanto credi" disse Ermal.
Quella situazione lo stava facendo inevitabilmente ripensare alla sua infanzia.
Aveva riportato a galla i ricordi degli anni passati in Albania, con un padre che non l'aveva amato, un padre che era quasi riuscito a convincerlo che la violenza fosse una cosa normale.
Era stato fortunato a saper leggere lo sguardo di sua madre, a vedere oltre il sorriso che cercava di stamparsi in faccia nonostante tutto. Era stato bravo a leggerle dentro e a rendersi conto, anche se era solo un bambino, che c'era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quello.
E quando l'aveva capito, quando con l'ingenuità tipica di un bambino aveva affrontato suo padre sperando che le parole avrebbero potuto cambiare le cose, le botte erano arrivate anche per lui.
C'erano stati schiaffi, c'erano stati segni sulla pelle che aveva faticato a nascondere, c'erano state le parole di suo padre che lo avevano ferito più delle sue mani.
Sua madre lo aveva truccato un paio di volte - mettendogli il suo fondotinta per cercare di coprire i lividi - ma non aveva potuto fare nulla per le altre ferite, quelle che Ermal si portava nel cuore, quelle causate da un uomo che lo definiva nullità e che cercava di denigrarlo in qualsiasi modo.
Aveva impiegato anni per disfarsi degli incubi su suo padre, per avere una vita normale. Ma ciò che aveva vissuto lo aveva segnato e lo aveva portato a provare repulsione per qualsiasi tipo di violenza, mettendolo in difficoltà dovendo affrontare una discussione simile proprio con un bambino che mai avrebbe creduto potesse avere quei problemi.
"C'è una bambina nella mia classe che ha problemi a camminare" disse Libero improvvisamente.
Ermal aggrottò la fronte - domandandosi cosa c'entrasse con il loro discorso - ma non disse nulla.
"I nostri compagni la prendono in giro, ridono di lei... Oggi a ginnastica hanno iniziato a ridere perché lei non riusciva a fare un esercizio. Un mio compagno rideva più degli altri, così me la sono presa con lui" spiegò Libero tenendo lo sguardo basso.
"E l'hai spintonato e chiamato con quelle parole?"
Libero annuì senza alzare lo sguardo.
Si vergognava per quello che era successo, anche se era ancora convinto di averlo fatto per un buon motivo. Ripensandoci però forse avrebbe potuto evitare di alzare le mani o di insultare il suo compagno di classe. Forse avrebbe potuto semplicemente dire alla maestra cosa stava succedendo e non ci sarebbero stati problemi.
Ma in quel momento, aveva agito di istinto e proprio non ci aveva pensato.
Ermal gli strinse affettuosamente una spalla, tirandolo verso di sé in un goffo abbraccio.
"Va tutto bene, è tutto ok. Volevi solo difendere una tua compagna" cercò di rassicurarlo Ermal.
"Ma l'ho fatto nel modo sbagliato" mormorò Libero.
"Questo è vero" disse Ermal, cercando di nascondere gli occhi lucidi.
Le prime volte in cui era stato picchiato da suo padre, avevano tutte un'unica costante: suo padre che andava da lui e gli diceva che aveva solo cercato di dargli una lezione, anche se nel modo sbagliato.
Prometteva di non rifarlo più, diceva che se avesse dovuto dargli un'altra lezione non avrebbe più alzato le mani, ma poi lo faceva comunque.
Si scusava - a modo suo - e ammetteva di avere sbagliato, solo per poi comportarsi nello stesso modo appena qualche giorno più tardi.
Ermal avrebbe mentito se avesse detto che le parole di Libero non gli avevano ricordato quelle di suo padre. Ma sapeva anche che, per quanto quella situazione fosse simile a qualcosa che aveva vissuto, Libero non sarebbe mai stato come suo padre.
Lo strinse a sé ricacciando indietro le lacrime, mentre il bambino sollevava lo sguardo e lo fissava curioso.
"Perché piangi?"
Ermal si asciugò in fretta gli occhi e rispose: "Non sto piangendo."
"Non si dicono le bugie."
Ermal si lasciò scappare una risata di fronte a quella frase. "E va bene, sto piangendo. Ma è solo perché ho ripensato a una cosa triste che mi è successa quando avevo più o meno la tua età."
Erano ancora stretti in un abbraccio - con Libero che teneva il viso affondato nel petto di Ermal e il più grande che gli accarezzava i capelli - quando Fabrizio entrò in casa.
"Allora, che succede?" chiese entrando in salotto, per poi bloccarsi di fronte alla visione di Ermal con gli occhi lucidi abbracciato a Libero.
"Libero, potresti andare un po' in camera tua? Ci parlo io con papà" disse Ermal.
Il bambino annuì e uscì dal salotto mentre Fabrizio si sedeva accanto a Ermal.
"Che ha combinato?" chiese Fabrizio sospirando.
"La maestra l'ha visto mentre spintonava un compagno e lo chiamava brutto stronzo."
Fabrizio sgranò gli occhi. "Stai scherzando?"
Ermal scosse la testa. "No. La maestra ha detto che è successo altre volte. Non che alzasse le mani, ma che dicesse cose che non avrebbe dovuto dire."
"Ora mi sente..." iniziò a dire Fabrizio alzandosi dal divano.
Ermal lo fermò prendendogli il polso e costringendolo a sedersi nuovamente.
"Bizio, aspetta. L'ha fatto per difendere una sua compagna. Non voglio giustificarlo, ha fatto una cosa che non avrebbe dovuto fare. Però sa di avere sbagliato e si sente in colpa per quello che ha fatto."
Fabrizio si passò una mano sul volto, cercando di trascinare via la stanchezza accumulata nel corso della giornata e pensare in maniera più lucida, ma senza successo.
Come poteva pensare in modo lucido, sapendo che suo figlio aveva spintonato e insultato un coetaneo? Come poteva pensare in modo lucido, sentendosi in colpa per aver coinvolto Ermal in quella storia?
Proprio Ermal, che non tollerava la violenza in nessuna circostanza. Proprio Ermal, che la violenza l'aveva vissuta.
Da quando si conoscevano - e ancora di più da quando avevano iniziato a frequentarsi come più che amici - Fabrizio aveva sempre sentito un fortissimo senso di protezione verso Ermal.
Si sentiva responsabile per lui, sentiva il bisogno di dargli quella sicurezza che non aveva mai avuto da bambino, sentiva la necessità di fargli capire che con lui e con la sua famiglia sarebbe sempre stato al sicuro.
E poi però, era proprio la sua famiglia a far vacillare quell'equilibrio.
Improvvisamente, lo sguardo di Ermal mentre stringeva Libero, gli occhi lucidi e il leggero tremore che continuava ad avere alle mani acquistarono un senso.
"Stai bene?" chiese Fabrizio. Il tono di voce era basso e un po' incerto, ma arrivò forte e chiaro alle orecchie di Ermal.
Ermal annuì.
Fabrizio si avvicinò ulteriormente a Ermal, stringendolo a sé. "Non devi fare il duro. Puoi permetterti di essere debole quando sei con me."
"Lo so. Ma sto bene, davvero. Ho parlato con Libero, l'ho guardato mentre mi spiegava cos'era successo. È davvero pentito per avere reagito così, anche se l'ha fatto per un motivo."
"Non avrebbe dovuto farlo. Non è così che io e Giada l'abbiamo cresciuto."
Ermal gli accarezzò delicatamente una guancia sorridendo. "Sempre ad addossarti il peso del mondo, eh."
"Che vuoi dire?" chiese Fabrizio confuso.
"Ti stai prendendo colpe che non hai. Tu e Giada avete fatto un lavoro splendido con Libero e Anita. Sono due bambini svegli, educati, socievoli... E ok, magari a volte fanno delle cose che non dovrebbero fare. Ma chi non lo fa? Tutti sbagliano, Bizio. L'importante è rendersene conto" disse Ermal.
Fabrizio sorrise.
Ancora non capiva cosa avesse fatto per meritarsi una persona come Ermal al suo fianco.
"T'ho mai detto che ti amo? T'ho mai detto che non so come farei senza di te?" disse Fabrizio con lo sguardo fisso negli occhi di Ermal.
"Tutti i giorni. Ma non mi offendo se lo dici ancora."
  Quando Giada aveva riaccompagnato Anita a casa di Fabrizio e aveva saputo cos'era successo, Libero si era beccato l'ennesima ramanzina della giornata e una punizione non da poco.
Ma, a differenza di tutte le altre volte in cui i genitori lo sgridavano per qualcosa e lui cercava di ribattere, era rimasto in silenzio.
"Sicuro che va bene se resta qui? So che i bambini dovrebbero stare con te in questi giorni, ma magari preferisci..." iniziò a dire Giada, ma Fabrizio la bloccò quasi subito.
"Giadì, i bambini restano. Non ti preoccupare."
Ermal non poté fare a meno di notare lo sguardo preoccupato che Giada gli aveva rivolto.
Certo, era felice che in quella famiglia si preoccupassero tutti così tanto per lui, ma non c'era bisogno di trattarlo con i guanti di velluto ogni volta che c'era di mezzo quell'argomento.
"D'accordo. Se ci sono problemi chiamami" disse lei prima di uscire di casa.
Quando Fabrizio richiuse la porta e tornò in salotto, Ermal era accasciato sul divano e stava passando velocemente da un canale all'altro senza soffermarsi davvero su niente.
Si sedette accanto a lui e abbandonò la testa sulla sua spalla, mentre sentiva il corpo di Ermal rilassarsi accanto al suo.
"Andiamo a dormire?" disse Fabrizio dopo qualche minuto.
Ermal annuì e spese il televisore, mentre Fabrizio si alzava dal divano.
Ermal era ancora seduto quando si accorse che Libero era entrato nella stanza.
"Tutto bene, Lì?" chiese Fabrizio, sorpreso di vederlo ancora sveglio.
Libero annuì e poi si diresse a passo svelto verso Ermal, buttandosi letteralmente tra le sue braccia.
Ermal lo strinse a sé mentre lanciava uno sguardo sorpreso a Fabrizio, senza capire per quale motivo Libero si stesse comportando in quel modo.
"Stai bene?" chiese Ermal abbassando lo sguardo verso Libero.
Il bambino annuì, poi sollevò lo sguardo e disse: "Non è vero che non sei capace a fare il padre. Con me sei bravo."
Poi, senza aggiungere altro, sciolse l'abbraccio e corse in camera sua.
Ermal rimase seduto sul divano, gli occhi lucidi per la seconda volta in quella giornata - sempre a causa di Libero - e lo sguardo di Fabrizio puntato su di sé.
"Hai detto a Libero che non sei in grado di fare il padre?" chiese Fabrizio curioso.
Non sapeva se sentirsi più stupito perché Ermal - la persona che più di ogni altro si inteneriva di fronte ai bambini - fosse convinto di non saper fare il padre, oppure se sentirsi leggermente geloso perché il suo fidanzato aveva scelto di confessare una cosa così intima e personale a suo figlio piuttosto che a lui.
Ermal si strinse nelle spalle. "Non ho figli, quindi è ovvio che io non sappia fare il padre. E non ho avuto un grande esempio, quindi..."
"Quando Anita si è beccata l'influenza, sei stato vicino a lei tutta la notte per assicurarti che non le salisse troppo la febbre. Oggi, quando Libero aveva bisogno di qualcuno che gli spiegasse i suoi errori, tu eri lì. Sei un padre anche se geneticamente non sono figli tuoi. Lo sai, vero?"
Sì, lo sapeva anche se prima di quel momento non se n'era mai reso conto davvero.
Quando lui e Silvia si erano lasciati - e ancora di più quando si era reso conto di essere innamorato di Fabrizio - la prospettiva di diventare padre era svanita.
Non che per Ermal fosse davvero un problema.
Si era autoconvinto di non essere pronto a fare il padre, di non esserne in grado. E poi, avere Fabrizio era più che sufficiente. Non aveva bisogno di altro.
E invece in quel momento, seduto sul divano e con le parole di Libero ancora nelle orecchie, Ermal si rese conto che Fabrizio gli aveva dato qualcosa che nemmeno lui pensava di desiderare così tanto.
Gli aveva dato una famiglia. Gli aveva dato due figli, che pur non essendo davvero suoi erano diventati parte di lui. Gli aveva dato l'amore, la gioia, i regali scartati tutti insieme la mattina di Natale, i pranzi in famiglia. E poi gli aveva dato anche la responsabilità di andare a prendere i suoi figli a scuola, l'autorità di sgridarli se facevano qualcosa di sbagliato e il permesso di metterli in punizione, anche se Ermal non l'aveva mai fatto.
Gli aveva lasciato abbastanza spazio per ritagliarsi dei momenti con i bambini, degli attimi solo per loro, come leggere la favola della buonanotte ad Anita o guardare i film dei supereroi con Libero.
Ed Ermal non ci aveva mai fatto caso. In tutto quel tempo, non si era mai reso conto di essere entrato così tanto nella vita di Fabrizio e di quei due bambini al punto da comportarsi come si sarebbe effettivamente comportato un padre.
Sollevò lo sguardo osservando Fabrizio - che tendeva una mano verso di lui mentre gli chiedeva di andare a dormire - e sorrise.
Era solo grazie a Fabrizio se la sua vita era diventata improvvisamente perfetta.
Afferrò la sua mano e si alzò dal divano, sentendo un familiare brivido lungo la schiena mentre le dita di Fabrizio si intrecciavano con le sue.
"Grazie" mormorò mentre seguiva il più grande in camera da letto.
"Per cosa?"
"Per tutto. Per la nostra canzone, Sanremo, l'Eurovision... Ma soprattutto grazie per i baci, le carezze, le nottate passate al telefono. E grazie per avermi reso un padre."
Fabrizio sorrise avvicinandosi a Ermal e sfiorandogli le labbra in un bacio appena accennato. "Grazie a te per essere il padre che i miei figli meritano."
64 notes · View notes
tommasinolacellula · 5 years ago
Text
E niente Tommasì, me sa che ce semo.
Nel senso che lo zio Alby prima di andare in ferie c'ha detto che sei in posizione. Pronto a testa in giù. E che quindi tocca solo di aspettare un po'. Sereni. Che ogni giorno potrebbe essere quello buono.
La valigia è bella e fatta, quanto che si chiude. La macchina strana è pulita. L'ovetto in bestia. Siamo tutti fiduciosi. In attesa di un tuo cenno lampante (per ora solo calci e cazzotti, e tanti). Ma vai tranquillo. Non c'è fretta. Soltanto voglia di presentarci.
Prima di proseguire con altri discorsi però ci terrei innanzitutto a ringraziarti. Perché poi alla fine sei stato di parola, al concerto di Vinicio mi ci hai mandato. Non con la mamma, che sennò ce rimaneva (Vinicio non è uno per le cose toccata e fuga), ma col Pesciaro. Si, il Pesciaro. Il babbo di Bruschettone. Che ora si sposa con la Simona Tiger Goletti e a me mi tocca pure di fargli da testimone. Ma questa è un'altra storia. Te la racconteremo con calma.
Dicevo che al concerto insomma ci sono andato. E che è stato pure bello parecchio. Pensavo che Capossela stava lì lì, quasi per chiudere baracca e burattini. E invece c'ha ancora voglia. È fresco e pimpante. Quindi volendo se non proprio al prossimo, ma magari a quello dopo, ci si torna tutti e tre insieme. Ma solo se ti va. Che ne pensi? Per conferma batti il solito colpo sottocostola. Fatto. Bene.
Di strano invece Tommasì c'è che tipo il giorno dopo del concerto a Perugia ha giocato l'Athletic contro la Roma. Un'amichevole eh, niente di eclatante. Però io saranno tipo quindici anni che spero che l'Athletic prima o poi capiti in Italia, per riuscire finalmente a vederlo. E stavolta stava qua, a un'ora da casa. E io manco lo sapevo. Quindi segnati anche questa. Anzi, fatti una lista.
- Concerto Capossela
- Partita Athletic
- Varie ed eventuali
Su "Varie ed eventuali" sei libero di metterci un po' quello che vuoi. Fai tu. Io prenoterei solo due cosine tipo tra ottobre e novembre. Vediamo poi il giorno preciso in base al frantoio e agli zii würstel (a breve li conoscerai, si fermano qua sotto a dormire, fanno sempre così). Ci sarebbe da piantare qualche alberello che via via è scappato fuori negli ultimi tempi e adesso sta in vaso. Che casa sarebbe già una discreta giungla così. Ma poi vedi e rimedi certe cose belle quando sei a zonzo, che gira gira un buchetto glielo trovi sempre.
E così abbiamo preso, anzi, te l'ha regalata il nonno Darietto, un'albizia. Che sarebbe poi l'albero di Tommasino. Il tuo. Oh, te la mettiamo in pompa magna davanti casa. Posto d'onore. A fare ombra sulla veranda, sull'entrata e sul barbecue.
Per sicurezza poi vorremmo pure piazzare di là una Paulonia e una catalpa viola. Così se magari quando cresci l'albizia ti sta antipatica puoi sempre dire che gli alberi tuoi sono gli altri due. O uno solo. Libero di scegliere in democrazia.
Di sotto infine, dove c'è la tua capanna (che poi sarebbe la nostra serra) toccherà di fare il famoso vialetto con le amelie nate dai semi della Clara. Anche questa è una bella storia. Anche questa merita un capitolo a parte in futuro. Se ti sbrighi a uscire ti ci porto da Clara, promesso.
E infine ci stanno tutti quei vasi di poveri orfanelli che adesso vivono in veranda ma che aspettano dimora. Scapperà fuori un bel mazzo vedrai per interrarli tutti. E non di fiori.
Insomma Tommasì, come potrai ben notare qua da fare non manca mai. In questo momento però i cantieri sono in pausa, si sogna e si progetta e niente più.
E tu sei al centro di ogni pensata.
Sia chiaro però, non ti sentire il peso del mondo sulle spalle, il nostro è amore e basta. E vorremmo solamente che tu possa essere il più sereno possibile. Felice quanto basta. Realizzato in ciò che vorrai. Tutto il resto viene dopo. O non viene per niente. Poco importa.
Ci si vede quindi presto Omino di pietra (soprannome della settimana). Fammi sapere come sei messo a impegni. Per me domani sarebbe perfetto. Ma magari se preferisci un altro giorno sposto due cosette...
Carmine Quirico
0 notes
deletefeelingsforever · 7 years ago
Text
“«Ma lei lo ama sul serio?» «Certo che lo amo, che razza di domande mi fa?» «E adesso lui dov'è?» «Non qui..» «Lei non lo ama» «Si sbaglia!» «Se l'amava come dice, adesso lui non sarebbe chissà dove, ma qua con lei» «Vede, lei non capisce, se ne è andato» «E lei cosa ha fatto?» «Non ho potuto fare niente, ho sempre avuto le mani legate» «Mia cara, le ripeto, lei non lo ama» «Ma perché continua ad insinuarlo?» «Perché se davvero lo amava, adesso noi non saremmo qua a parlare di questo argomento.» «Le ho già detto che non ho mai potuto fare niente» «Stupidaggini.» «Cosa avrei dovuto fare? Se mi ha lasciata andare significa che non vuole più saperne niente di me» «Adesso voglio raccontarle una storia» «L'ascolto» «Ai tempi del liceo ero fidanzata con un ragazzo da ben 3 anni. Un giorno, mi chiese di vederci dicendomi che dovevamo parlare di una cosa importante.» «E che le disse?» «Abbia pazienza» «Scusi, continui» «Dicevo, io ero molto contenta perché pensavo che si fosse deciso a portarmi in vacanza insieme alla sua famiglia.» «Invece cosa accadde?» «Accadde che decise di finirla dicendomi testuali parole, pensi, me le ricordo ancora oggi: “È cambiato qualcosa nella nostra relazione, meglio che le nostre strade adesso si dividano.”» «E lei cosa fece?» «Cosa feci? Feci ciò che avrebbe fatto qualsiasi ragazza di 17 anni. Scappai. Lo lasciai da solo sulla panchina e tornai a casa. Ero delusa, avvilita, triste, piansi per dei mesi interi. Ero veramente innamorata. Senza di lui mi sentivo piccola, insicura, smarrita.» «La capisco..» «Si ma non è questo il punto, io a differenza sua reagì» «La prego vada avanti» «Mi resi conto che lui era tutto ciò di cui avevo bisogno per essere felice. Così mi feci una promessa, mi promisi che a qualsiasi costo me lo sarei andato a riprendere e lui sarebbe tornato mio.» «E..?» «E ne combinai veramente tante. Parlai con i suoi amici, con sua madre, suo fratello a cui ero molto affezionata, gli feci uno striscione sotto casa, gli scrissi “ti amo” con il pennarello indelebile sul motorino, nell'ora di educazione fisica gli rubai la felpa solo per potermi addormentare con il suo profumo..» «E lui?» «Impassibile» «Aveva un'altra?» «Un'altra? Più di una mia cara! Erano però storielle, niente di impegnativo, ma ne cambiò molte in quel periodo » «Capisco» «Ciò che voglio dirle è che nonostante fossi stremata, gelosa e perennemente triste non mollai, fino a che un giorno decisi che non avrei fatto più nulla per lui. Iniziai così ad evitarlo, sperando che così fosse lui a tornare da me » «Racconti» «Non tornò mai,ovvio ! Allora decisi di mettermi di nuovo in gioco. Un giorno sentivo talmente la sua mancanza che decisi di fare qualcosa di davvero eclatante, avevo bisogno di agire.» «Spieghi» «Rubai dei soldi a mia madre, andai al molo e comprai un biglietto, presi il primo traghetto disponibile della giornata e lo raggiunsi in Sardegna, dove stava in vacanza.» «Lei è pazza» «Mi lasci finire. Mi presentai alla porta della camera dell'hotel, caso volle che mi aprì proprio lui. Non feci molte storie. Lo presi per mano e gli dissi di seguirmi senza fare domande» «E lui?» «Lui stette ai miei ordini senza dire una parola. Lo portai in riva al mare, era il tramonto, la spiaggia era deserta, il panorama era magnifico. Iniziai a parlare. Era passato un anno. Ero diventata forte. Decisi che era arrivato il momento di chiedergli le spiegazioni che non avevo mai avuto il coraggio di ascoltare. Non ero più vulnerabile. Mi disse che mi lasciò perché non riusciva a portare avanti una relazione così seria ed aveva bisogno di divertirsi.» «Gli uomini sono tutti uguali.. Comunque mi ha incuriosita vada avanti.» «Io risposi semplicemente “Rispondi a questa domanda: ti sono mancata?“ Lui non fiatò. Il suo sguardo però parlò chiaro. Gli ero mancata. Così aggiunsi “Voglio dirti queste semplici parole e poi potrei anche andarmene per sempre dalla tua vita. Però prima ascoltale: Vedi, tu hai avuto molte ragazze in questo anno. Adesso dimmi, ce n'è mai stata una che ti guardava come ti guardo io? Una che quando tu sorridi si mordeva il labbro? Ne hai mai chiamata una alle 3 di notte quando avevi un problema? Sei mai stato completamente te stesso con una di loro? Ci hai mai riso, ed intendo ridere di felicità, veramente? Mentre le baciavi, non ti sono mai passata per la testa? Quando ti accadeva qualcosa, non ti mancava qualcuno con cui condividerla? Qualcuna di loro sa che hai il terrore delle cavallette e adori talmente tanto le olive che ne mangeresti quantità industriali? Avevi dato loro un nomignolo come hai fatto con me? Siete mai stati a guardare il derby insieme e tifando due squadre diverse a litigare per ogni fallo o fuorigioco? Pensa a ciò che ti ho detto. Non sei stupido. La risposta la troverai da solo. Sai benissimo cosa è meglio per te.”» «Sono senza parole, la ascolto, continui continui» «Mentre mi stavo alzando per andarmene lo sa lui cosa fece?» «Ovviamente no» «Mi prese per un braccio e mi disse: “Siediti. Adesso tu ascolti me: Ho capito che ti amavo più di qualsiasi altra cosa al mondo proprio quando ti ho lasciata. Però ero determinato, volevo spassarmela. Cercavo di evitare ogni tuo gesto, far finta che i tuoi sforzi non servissero a niente, riuscivo anche a convincermi di ciò; ma tu hai azzeccato il punto. Nessuna mi ha mai guardato come lo facevi tu, e, tantomeno si mordeva il labbro quando sorridevo, non ho mai chiamato nessuna alle 3 di notte e non riuscivo mai ad essere completamente me stesso. Non ci ho mai riso, al massimo potevo sorridere e convincermi che tu non mi mancassi, ma mentre le baciavo avevo la tua immagine impressa nella mente. Non condividevo con loro ciò che di positivo e/o negativo mi accadesse, perché solo tu mi avresti potuto capire e riguardo alle cavallette e alle olive, beh non lo sapevano. Niente nomignoli e solo una volta ho guardato la partita con una di loro, ma lei è del Milan, come me, e fidati, avrei preferito mille volte litigare per quel rigore ingiusto con te che gioire della vittoria insieme a lei. Il fatto é che è da quando tu hai iniziato a evitarmi che mi sono reso conto che mi manchi, ma per orgoglio e per testardaggine non sono mai tornato a riprenderti. Ho capito che non voglio che te, nient'altro che te al mio fianco. Tu sei la mia persona. Fanculo al divertimento e alla bella vita. La mia felicità sei tu. Adesso ti prego, dammi la mano.» «La bació?» «No. Mi alzó. Mi prese in braccio e correndo mi buttò in acqua. Io per vendetta lo schizzai e così iniziammo a scherzare. Si era fatto buio, nel mare c'era solamente la luce della luna. Mi guardò negli occhi e mi disse "Ti amo”. Risposi “Ti amo anche io.” A quel punto mi baciò. Fu il bacio più bello della mia vita. Durò delle ore. Dovevamo recuperare l'anno che avevo perso. Stammo tutta la notte in spiaggia a parlare. Dio quanto ci eravamo mancati.» «Che storia meravigliosa.. Ma, adesso lui che fine ha fatto?» «È mio marito cara, ciò che volevo dirle è che se io non avessi agito noi non ci saremmo mai ritrovati e sa perché?» «Perché?» «Perché all'alba, prima di ritornare in hotel mi disse queste parole : “Ho sempre saputo che la felpa me la avevi rubata tu. Ma te l'ho sempre lasciata e sai perché? Perché sapevo che un giorno saresti venuta a riprendermi.»”
5 notes · View notes
infinitamente-fragile · 8 years ago
Quote
Io persi la mia forza, il mio migliore amico. Tutto il resto lo ricordo come un flash, forse perché ho sempre cercato di dimenticare, come quando hai davanti una scena orribile e per non vederla ti metti le mani davanti agli occhi e inizi ad urlare "la la la". È inutile far finta di non vedere quando l'unico modo per affrontare la situazione è avere il coraggio di guardare. Io sono fatta così, cerco di andare avanti facendo finta di niente. Io le situazioni non le affronto mai per poi ritrovarmici davanti dopo un po' di tempo, dopo che la vita mi avete che non è così che si vive. Ecco perché io perdono, ma non dimentico. Se avessi il coraggio di guardare i problemi in faccia, conoscerli e affrontarli, penso che dimenticherò senza perdonare. Lo vidi un'ultima volta. Dopo quella sera non si fece più sentire, lo riportai a casa e un ultimo bacio. Tutto qui, nessuna parola, nessun gesto. Quella sera il suo silenzio parlò e il mio pianto rispose. Il mio esame di maturità andò benissimo, e volevo farglielo sapere, anche se le mie chiamate le rifiutava e ai miei messaggi non rispondeva. Volevo solo capire il motivo di questo allontanamento improvviso, e pure che nonostante quella notte io riuscii a dare l'esame senza tanti problemi. Era un sabato sera e io sapevo bene dove trovarlo. Andai con tutto l'orgoglio e con tutto il coraggio del mondo, mi armai del mio vestito più bello. Quella sera avrei voluto chiedergli di stare insieme. Ma diciamo che lui aveva altri programmi. Quella sera arrivai nel parcheggio del Club che frequentava con quella compagnia. Lo trovai, è vero. Lo vidi quella sera, ma lo vidi con un'altra. Mi si distrusse un altro pezzo di cuore, come quando avevo visto papà in macchina con una donna diversa dalla sua. In quella macchina vidi una donna che non era sua, sicuramente più bella di me, ma non ero io. Iniziai a piangere e dalla rabbia avrei voluto prendergli la faccia e riempirla di pugni. Non lo feci, ma una seconda volta stavo assistendo a un tradimento senza far nulla per impedirlo. Non mi stava tradendo, non siamo mai stati insieme, ma a lui avevo dato tutto, lo avrei potuto salvare se solo mi avesse dato la possibilità. "Urla Ale, almeno oggi, almeno questa volta, almeno per questo tradimento, urla." Per una volta diedi ragione alla mia testa e a quello che mi stava dicendo. Iniziai ad urlare, sfogandomi di tutta la rabbia che avevo provato un anno intero per lui. È inevitabile dirti che mi sentirono, che scesero dalla macchina e mi trovai Leo con un'altra faccia, con altri occhi, che mi stava guardando indifeso e dispiaciuto. Io continuai ad urlare e ad urlare piangendo, mi stavo strangolando con i miei stessi singhiozzi. Lui cercò di calmarmi vendendomi incontro e abbracciandomi, ma fu peggio perché iniziai a dimenarmi da lui, non avrei più voluto vederlo ne che mi toccasse ancora una volta. "Non provare a toccarmi Leo, non ti toccherai mai più, mi fai schifo, e io che ti stavo dando tutto, guarda come mi ringrazi." "Ale ti posso spiegare..." "Tieni le tue scuse di merda per te e per la tua nuova trovatella, io non ti voglio ascoltare, né ora né mai più. Tu per un anno e più mi hai solamente usata, mi hai illusa. Io ti amavo e stavo facendo di tutto per salvarti, ma tu hai sempre preferito tutti gli altri. Beh ti dico una novità, ora preferisco me a te. Non hai nemmeno le palle di rispondermi solo perché non hai il coraggio di dirmi che dopo che ti droghi preferisci fartela con un'altra piuttosto che con me. Ma hai fatto la scelta giusta, io non ti avrei più permesso di usarmi nonostante questa scena. Lo sapevi che una cosa che non avrei voluto da te era il tradimento, sai la mia storia, conosci il mio dolore e dopo questo devi sentirti ancora più schifoso di prima. Non permetterti più di farti vivo, di abbandonarmi e di chiamarmi solo quando hai bisogno, non sono la tua infermiera o il tuo angelo custode, prova a trovarti un'altra badante che questa ha da trovare la propria strada e posti per gli stronzi non c'è ne sono. L'esame comunque è andato bene, l'ho passato. Continua pure a distruggerti, a far finta di essere ciò che non sei solo per essere accettato dagli altri. Stai prendendo la strada giusta per la morte, bravo. Continua a drogarti, fatti le canne, ubriacati, sballati, fai tutto ciò che vuoi. A me non importa più." Queste furono le ultime parole che gli rivolsi. Lo feci piangere, ma poi mi guardò correre via da lui e non fece niente per seguirmi e fermarmi. L'unica cosa bella è che quella volta mi ascoltò, ma mi prese troppo alla lettera. La cosa che mi fece più male quando affondai la testa nel mio cuscino non era il fatto di averlo perso, ma l'essere stata tradita nuovamente. Da quel giorno è l'incubo più grosso della mia vita. Ecco perché non mi fido più di nessuno, nemmeno più di me stessa. L'infedeltà è sempre dietro l'angolo, per me. "Mi dispiace, non sarebbe compito mio dirtelo, lo so che è da poco che hai iniziato il tuo apprendistato da avvocato e non vorrei che questo rovinasse tutto. Leo è morto ieri notte a casa sua, l'hanno trovato senza vita in salotto, sul tavolo c'era questa per te e delle bottiglie di vodka, e poi va beh... penso che lo sai...mi dispiace Ale, so quello che era successo tra di voi." Un mese dopo quel tradimento ecco il colpo di grazia. Leo era morto di overdose. Non ci sono parole per spiegare il mio dolore, o forse ci sono ma non voglio ricordarle perché mi viene da piangere ancora oggi se penso a quel momento. Quel ragazzo dagli occhi verdi vivaci si era ucciso, e io non cero più e non avevo fatto nulla per impedirglielo. Penso che se fosse stato con me, l'avrei salvato. Iniziai ad odiarmi ma come non avevo mai fatto, L'avevo ucciso io, con la mia indifferenza e quelle brutte parole. Se le meritava, ma sarei dovuta andare oltre al l'orgoglio e perdonarlo. Per una volta. Avevo sempre perdonato tutti. E alla fine cosa era successo? Lui era morto e io non avrei più potuto fare nulla per riportarlo in vita. La sua morte mi spiazzò, mi rese passiva. Quel giorno iniziai a piangere, iniziai ad odiarmi e a maledirmi. Poi venne il funerale, ci andai e vidi tutti i suoi parenti, tutti i suoi "amici". In quei giorni non facevo altro che piangere di nascosto in camera, non uscivo e non andavo nemmeno a lavorare. Ogni tanto vado ancora a visitare la sua tomba. Il suo ricordo sarà sempre con me, e scusa se ti ho detto tutto questo ma non l'ho mai detto a nessuno a parte le mie amiche, e avevo il bisogno di iniziare a non scappare più dalle situazioni, ma imparare ad affrontarle.
4 notes · View notes
itslucycarter-blog · 5 years ago
Text
Il tuo buon cuore per me IV
Continuando le mie storie sul cornuto (Il suo buon cuore a me III , II e I ) Vi dirò il tempo in cui ho scoperto che ero già stato cornuto con la mia buona fidanzata Ana senza che me ne fossi reso conto, sì.
Non è un becco viziato dalla mia prima esperienza come cornuto sottomesso e viziato di cui ti ho parlato è stato il primo.
A quello che stiamo andando, dopo quel primo venerdì in termini di condizioni, la settimana è passata, ci siamo chiamati ogni giorno e la cosa è accaduta come in una relazione normale senza perdere alcuna altra allusione alle mie corna (qualcosa che mi ha riempito di gioia), quel fine settimana, non l'ho vista, stavo aspettando la sua telefonata sabato e domenica ma come sporadica amante è tornata a Lanzarote sabato pomeriggio e come lei domenica sarebbe uscita con i suoi amici per raccontare le sue nuove esperienze, perché ... … .. non gli ho dato molta importanza; Anche se non potevo allontanarmi dal telefono come uno sciocco innamorato.
Non volevo chiederle perché non chiamasse, poiché mi aveva già avvertito che avrebbe saputo le cose al momento giusto e quando lo riteneva opportuno dirlo, non avevo il diritto di chiedere spiegazioni di alcun tipo, era giustamente giudice e carnefice per me, come si suol dire, o anche che avevo solo il diritto di vedere, ascoltare, tacere e ricambiare, riguardo alla mia condizione.
Il fine settimana successivo, non avevamo parlato di nulla e lei era stata così pigra non dire una parola su ciò che avremmo fatto e non su nulla di simile alle mie prime corna, sembrava un altro fine settimana di quelli di una volta, quando l'ho incontrata , andare in mensa, al cinema, a cena, a fare una passeggiata, quei fine settimana normali ...
Avevamo concordato che quando avessi finito l'allenamento, sarei venuto a cercarla a casa sua, e così è stato, quel giorno in allenamento ho raggiunto punteggi eccezionali, grazie al buon cuore della mia ragazza Ana, ero sempre stimolato a non sapere cosa aspettarmi quando ho finito e se ciò non lo avesse fatto al massimo grado, avevo migliaia di immagini mentali del cazzo del fine settimana precedente, ne avevo più che sufficienti, avevo più sensazioni e ricordi al minuto che nella maggior parte delle relazioni tradizionali di molti dei miei amici….
Sulla strada per casa sua, una moltitudine di dubbi mi stavano attaccando, cosa avrei fatto? Cosa avrebbe fatto a me? Con chi avrei tradito questa volta? Dato che Carlos se ne era andato ... Chi avrebbe tracciato il suo innocente e allo stesso tempo mente così temuta ………. ?????.
Presto sarebbe noto.
Quando sono arrivato ho chiamato il suo appartamento e pensando come sempre che sarebbe andato giù poiché i suoi genitori sono quasi sempre a casa, gli ho detto, quando ha risposto
-Low, sono qui, ma lei mi ha risposto …… ..
* No, arriva un brutto momento, ho pensato tra me e me, le mie paure sarebbero state confermate?
-I tuoi genitori? (Non sono mai stato a favore di andare molto a casa delle mie amiche con i loro genitori, dice molto sulla persona)
* Sali, non ti preoccupare, ok
Quando arrivai alla sua porta, la aprì per me e disse di entrare, (ero vestita, quindi tutti i miei pensieri furono immediatamente diluiti a parte pensare che i suoi genitori fossero come sempre a casa.
È che aspetto il mio capo che devo dargli alcuni elementi grafici di cui ha bisogno e che mi ha chiesto questo pomeriggio per l'incontro di mercoledì.
-Niente amore silenzioso
Deve essere all'arrivo, ha detto che verrebbe alle 22:30, ed erano le 22:26, ​​quindi sarebbe all'arrivo
-Ok, ho risposto
Sono andato in soggiorno
Mi ha chiesto se volevo bere qualcosa
-no grazie, ho risposto con attenzione
Lì i suoi genitori stavano finendo di vestirsi da quando uscivano a cena con alcuni amici (che coincidenza, no ???????, pensavo tra me e me), li conoscevo già (li avevo incontrati qualche mese fa, da quando Mi hanno invitato a cena per incontrare il nuovo ragazzo della figlia, mi avevano sempre detto che era un bravo ragazzo, non solo fisicamente ma era molto gentile ed educato e lei aveva sempre detto loro che voleva che io fossi l'uomo definitivo in lei la vita e sua madre lo videro con buoni occhi.
Oddio, se avessero saputo che la brava figlia di lei ha messo a soqquadro il suo ragazzo e che lo ha trattato come un cornuto e lui ha acconsentito completamente.
Cosa avrebbero pensato, mio ​​Dio, ho pensato mentre li vedevo avvicinarsi per salutarmi.
Il padre venne a stringermi la mano e mi chiese come andava tutto, e la madre mi diede due baci e mi disse che erano già in ritardo, quindi non erano lì da molto.
Ana è arrivata e ci siamo seduti a guardare la TV mentre aspettavamo il suo capo
+ Prendi qualcosa su cui fare uno spuntino, vuoi ancora mangiare qualcosa e non bere (disse la madre).
-No grazie, non mi sento niente.
+ hehehehe, non c'è da meravigliarsi che tu sia così magro, che non mangi mai nulla
* Lo conosci mamma, si prende cura di se stesso per me (e che in parte non era tutta la verità, si è preso cura di me e poi di lei)
A quello che suo padre ha aggiunto dalla sala, beh, tutto l'esercizio che fai se non mangi …………, male
Nel frattempo chiamarono di sotto, era il capo di Ana
+ Lo aprirò per te, disse suo padre
Salì, lo salutarono poiché non era la prima volta che veniva a casa della mia ragazza per cercare quello che gli aveva ordinato di fare e andava direttamente nella stanza per raccogliere le carte, arrivò come se avesse fretta. Prima di andare nella stanza che mi ha presentato, avevo sentito molto parlare di lui ma non lo conoscevo
In quel momento i suoi genitori si salutarono e se ne andarono
Questo è il mio ragazzo
+ Ah, ciao, non ti ho visto, Ana mi ha raccontato molto di te, quindi lo dai anche al computer (ha una società di pubblicità su Internet), eh?
* Un po ',
+ beh niente, felice
+ lo stesso che dico
Rimasi in salotto mentre andavano al computer a guardare i grafici, ebbene i diagrammi di flusso che gli avevo ordinato di fare.
* Tesoro, non stare in salotto da solo, vieni se vuoi, mi sono alzato e me ne sono andato.
Erano lì davanti al monitor a guardare attentamente ciascuna delle carte che avevo chiesto
In qualsiasi momento ..... come 3 minuti
* Tesoro, devo dirti una cosa, disse ad alta voce e senza guardarmi
In quel momento il suo capo avvertì qualcosa, con il suo rapido movimento della testa, guardandola con una faccia terrorizzata come se sapesse cosa avrebbe detto
Ti ho tradito con Isaac (il suo capo)
Il suo capo era più spaventato di me, a dire la verità mi stava accigliando dentro, dopo quello che è successo l'altro giorno che sembrava uno scherzo, forse sarei dannato a pensare che mi stesse ingannando prima di farmi il suo becco viziato, ma ora era quello che di meno, se ero lì era perché volevo, e anche tutto ciò che ha prodotto così tante nuove sensazioni
+ Ana, ma che ne dici? (Il suo capo rispose come con una faccia innocente e allo stesso tempo falso) * Dai Isaac, parlagli del mese di dicembre in cui la convention di Lisbona, calmati, non succede nulla, digli come mi hai fottuto e paragonato a tua moglie, e quanto volevi dirmi che hai avuto da quando mi hai incontrato per metterla in una giovane figa come la mia. Dai, digli tutto quello che mi avevi promesso se avessi accettato di dormire con te, sulla nuova filiale, sulla posizione all'indirizzo, sul mio ufficio ...
+ Ehi Ana, se hai problemi tra di te, ti lascerò e tornerò un'altra volta, direbbe mezzo balbettare e arrossire e pensare che questo renderebbe il pacchetto funzionante (penseresti che avrebbe iniziato a mettere Ostias a destra e sinistra, o che avrebbe iniziato per aumentare il numero della capra o per giurare in aramaico), finì di dire questo e aprì di nuovo la bocca guardando Ana e disse: beh, ci vado.
* non ti preoccupare Isaac, non gli importa, ma che ne dici ?, aggiunse, si avvicinò a Isaac e prendendo Ana per mano dice * guarda e prendendo la mano destra verso i pantaloni la strofina sulla confezione in quel momento Ana mi dice: * Sai cuckold cosa devi fare
E infatti sapevo già cosa dovevo fare. In una posizione sottomessa mi avvicinai alla mia ragazza e mi inginocchiai chiedendole di tradirmi con il suo capo, di umiliarmi di fronte a lui, che il mio ragazzo e le mie possibilità sessuali per lei erano pochi per soddisfarla come una femmina.
* Tira fuori il nostro impegno, la mia vita e prendi dalla mia giacca la fotocopia che aveva fatto della sua politica cornuta e dandola al suo capo, ha iniziato a leggere con uno stronzo perché non capiva ed era poco più che perplessa
Ma al momento in cui stava leggendo, un sorriso era disegnato sulla sua faccia rilasciando un sorriso meno offensivo
In quel momento ha capito tutto + Joderrrrrrr, Ana, tu sei l'ostia, hai il tuo ragazzo viziato, il latte, e avevo paura perché gli avevi detto che mi avevi tradito.
* Alleva il becco, sai cosa devi fare
Preparati, voglio che tu veda come ti tradisco con il mio capo.
A quel tempo la mia ragazza stava già prendendo piede con il suo capo, in un morreo senza altro, mi aveva sempre detto che gli uomini più anziani l'avevano messa, ma lui aveva 51 anni, e sebbene non fosse cattivo per l'età non era un adolescente, era quell'aspetto che piace alle donne mature, ma che aveva una piccola curva di felicità, che secondo lei le dava una visione davanti agli occhi di una cagna quando la succhiava e quindi più umiliazione per le mie viscere.
Lei che mi ha sempre considerato il suo atleta, il suo bambino, la sua carnagione ben definita e atletica, ed era vero, tutto era vero, praticava l'atletica leggera, era carnagione magra, filante, atletica e il viso di un bambino perché anche se aveva 29 anni sembrava 5 in meno, a volte, a seconda di come si vestiva, sembrava più vecchia di me, ma questa è un'altra storia che non mi viene in mente adesso.
Ma sì, amici, a contemplare che questa persona non era come me, mi ha riempito di soddisfazione e allo stesso tempo umiliazione, dato che avevo il diritto di scopare la mia ragazza e io come cornuto sottomesso e ho acconsentito a guardare, unirmi e godermi nella misura in cui Potrei, ah, essere felice soprattutto; questo è ciò che ha reso la mia ragazza più gioiosa e anche io ................
+ Senti ragazzo, mi dice, so che Ana è la tua ragazza, ma ora quello che la scoperà di nuovo è il suo capo, questa è la menda * Ben detto Isaac, che scopre una volta per tutte cosa significa essere cornuto
Mi ordinò di spogliarmi senza ulteriori indugi, mentre si strofinavano i vestiti. * Oggi tesoro ho 2 sorprese per te, quale vuoi darti prima, quella buona o la migliore?
Avevo già paura del peggio, per un momento ho pensato a tutti gli abitanti del suo portale che incoraggiavano i suoi genitori a nascondersi nel bagno, o ... beh, la quantità di cose bombardanti che mi passavano per la mente era infinita.
- Quello che vuoi per primo, amore mio *, va bene
* Quando finisci di spogliarti, resta con le mutande e apri questo pacchetto, è un regalo.
Così ho fatto, ho conservato le mutande e ho iniziato ad aprire un pacchetto più o meno ingombrante e goffamente avvolto quando …….
* Guarda Isaac, che pantaloncini indossa il mio uomo, ti stanno benissimo, amore, sei qui per mangiare te stesso, ti favorisce e allo stesso tempo ti rende più irresistibile; Peccato che non puoi approfittarne mostrandoli a una ragazza e poi toglierli e passarla sopra la pietra, giusto, amore? ? Giusto? Giusto?
-Se la vita hai ragione, io sono tuo e solo tuo, mentre ti dai a chiunque mi diverta solo che fai. + Cazzo Ana, come l'hai domato, ha aggiunto il suo capo
E davvero quei pantaloncini mi stanno bene, il mio ultimo Calvin-Klein, alcuni speciali in microfibra che hanno segnato di più il mio culo stretto e mi hanno dato un tocco più aggressivo al Bruce Lee, segnando i muscoli ovunque, e cioè amici, Mi sono preso cura di me stesso, delle flessioni, dei sit-up, della palestra, dell'atletica leggera e di tutto per una ragione ovvia, volevo dare alla mia ragazza il meglio di me, perché? perché mi ha dato nella sua giusta misura il meglio di lei. Anche se è anche vero che ho rafforzato la mia autostima con le ragazze e questo era evidente nei loro sguardi quando mi vedevano in pantaloncini, ma questa è acqua vecchia, non potevo più approfittarne, ero diventato il loro cornuto sottomesso e consensuale e tutto questo è rimasto solo piacevoli ricordi del passato.
0 notes
Quote
 «Ma lei lo ama sul serio?» «Certo che lo amo, che razza di domande mi fa?» «E adesso lui dov'è?» «Non qui..» «Lei non lo ama» «Si sbaglia!» «Se l'amava come dice, adesso lui non sarebbe chissà dove, ma qua con lei» «Vede, lei non capisce, se ne è andato» «E lei cosa ha fatto?» «Non ho potuto fare niente, ho sempre avuto le mani legate» «Mia cara, le ripeto, lei non lo ama» «Ma perché continua ad insinuarlo?» «Perché se davvero lo amava, adesso noi non saremmo qua a parlare di questo argomento.» «Le ho già detto che non ho mai potuto fare niente» «Stupidaggini.» «Cosa avrei dovuto fare? Se mi ha lasciata andare significa che non vuole più saperne niente di me» «Adesso voglio raccontarle una storia» «L'ascolto» «Ai tempi del liceo ero fidanzata con un ragazzo da ben 3 anni. Un giorno, mi chiese di vederci dicendomi che dovevamo parlare di una cosa importante.» «E che le disse?» «Abbia pazienza» «Scusi, continui» «Dicevo, io ero molto contenta perché pensavo che si fosse deciso a portarmi in vacanza insieme alla sua famiglia.» «Invece cosa accadde?» «Accadde che decise di finirla dicendomi testuali parole, pensi, me le ricordo ancora oggi: “È cambiato qualcosa nella nostra relazione, meglio che le nostre strade adesso si dividano.”» «E lei cosa fece?» «Cosa feci? Feci ciò che avrebbe fatto qualsiasi ragazza di 17 anni. Scappai. Lo lasciai da solo sulla panchina e tornai a casa. Ero delusa, avvilita, triste, piansi per dei mesi interi. Ero veramente innamorata. Senza di lui mi sentivo piccola, insicura, smarrita.» «La capisco..» «Si ma non è questo il punto, io a differenza sua reagì» «La prego vada avanti» «Mi resi conto che lui era tutto ciò di cui avevo bisogno per essere felice. Così mi feci una promessa, mi promisi che a qualsiasi costo me lo sarei andato a riprendere e lui sarebbe tornato mio.» «E..?» «E ne combinai veramente tante. Parlai con i suoi amici, con sua madre, suo fratello a cui ero molto affezionata, gli feci uno striscione sotto casa, gli scrissi “ti amo” con il pennarello indelebile sul motorino, nell'ora di educazione fisica gli rubai la felpa solo per potermi addormentare con il suo profumo..» «E lui?» «Impassibile» «Aveva un'altra?» «Un'altra? Più di una mia cara! Erano però storielle, niente di impegnativo, ma ne cambiò molte in quel periodo » «Capisco» «Ciò che voglio dirle è che nonostante fossi stremata, gelosa e perennemente triste non mollai, fino a che un giorno decisi che non avrei fatto più nulla per lui. Iniziai così ad evitarlo, sperando che così fosse lui a tornare da me » «Racconti» «Non tornò mai,ovvio ! Allora decisi di mettermi di nuovo in gioco. Un giorno sentivo talmente la sua mancanza che decisi di fare qualcosa di davvero eclatante, avevo bisogno di agire.» «Spieghi» «Rubai dei soldi a mia madre, andai al molo e comprai un biglietto, presi il primo traghetto disponibile della giornata e lo raggiunsi in Sardegna, dove stava in vacanza.» «Lei è pazza» «Mi lasci finire. Mi presentai alla porta della camera dell'hotel, caso volle che mi aprì proprio lui. Non feci molte storie. Lo presi per mano e gli dissi di seguirmi senza fare domande» «E lui?» «Lui stette ai miei ordini senza dire una parola. Lo portai in riva al mare, era il tramonto, la spiaggia era deserta, il panorama era magnifico. Iniziai a parlare. Era passato un anno. Ero diventata forte. Decisi che era arrivato il momento di chiedergli le spiegazioni che non avevo mai avuto il coraggio di ascoltare. Non ero più vulnerabile. Mi disse che mi lasciò perché non riusciva a portare avanti una relazione così seria ed aveva bisogno di divertirsi.» «Gli uomini sono tutti uguali.. Comunque mi ha incuriosita vada avanti.» «Io risposi semplicemente “Rispondi a questa domanda: ti sono mancata?“ Lui non fiatò. Il suo sguardo però parlò chiaro. Gli ero mancata. Così aggiunsi “Voglio dirti queste semplici parole e poi potrei anche andarmene per sempre dalla tua vita. Però prima ascoltale: Vedi, tu hai avuto molte ragazze in questo anno. Adesso dimmi, ce n'è mai stata una che ti guardava come ti guardo io? Una che quando tu sorridi si mordeva il labbro? Ne hai mai chiamata una alle 3 di notte quando avevi un problema? Sei mai stato completamente te stesso con una di loro? Ci hai mai riso, ed intendo ridere di felicità, veramente? Mentre le baciavi, non ti sono mai passata per la testa? Quando ti accadeva qualcosa, non ti mancava qualcuno con cui condividerla? Qualcuna di loro sa che hai il terrore delle cavallette e adori talmente tanto le olive che ne mangeresti quantità industriali? Avevi dato loro un nomignolo come hai fatto con me? Siete mai stati a guardare il derby insieme e tifando due squadre diverse a litigare per ogni fallo o fuorigioco? Pensa a ciò che ti ho detto. Non sei stupido. La risposta la troverai da solo. Sai benissimo cosa è meglio per te.”» «Sono senza parole, la ascolto, continui continui» «Mentre mi stavo alzando per andarmene lo sa lui cosa fece?» «Ovviamente no» «Mi prese per un braccio e mi disse: “Siediti. Adesso tu ascolti me: Ho capito che ti amavo più di qualsiasi altra cosa al mondo proprio quando ti ho lasciata. Però ero determinato, volevo spassarmela. Cercavo di evitare ogni tuo gesto, far finta che i tuoi sforzi non servissero a niente, riuscivo anche a convincermi di ciò; ma tu hai azzeccato il punto. Nessuna mi ha mai guardato come lo facevi tu, e, tantomeno si mordeva il labbro quando sorridevo, non ho mai chiamato nessuna alle 3 di notte e non riuscivo mai ad essere completamente me stesso. Non ci ho mai riso, al massimo potevo sorridere e convincermi che tu non mi mancassi, ma mentre le baciavo avevo la tua immagine impressa nella mente. Non condividevo con loro ciò che di positivo e/o negativo mi accadesse, perché solo tu mi avresti potuto capire e riguardo alle cavallette e alle olive, beh non lo sapevano. Niente nomignoli e solo una volta ho guardato la partita con una di loro, ma lei è del Milan, come me, e fidati, avrei preferito mille volte litigare per quel rigore ingiusto con te che gioire della vittoria insieme a lei. Il fatto é che è da quando tu hai iniziato a evitarmi che mi sono reso conto che mi manchi, ma per orgoglio e per testardaggine non sono mai tornato a riprenderti. Ho capito che non voglio che te, nient'altro che te al mio fianco. Tu sei la mia persona. Fanculo al divertimento e alla bella vita. La mia felicità sei tu. Adesso ti prego, dammi la mano.» «La bació?» «No. Mi alzó. Mi prese in braccio e correndo mi buttò in acqua. Io per vendetta lo schizzai e così iniziammo a scherzare. Si era fatto buio, nel mare c'era solamente la luce della luna. Mi guardò negli occhi e mi disse “Ti amo”. Risposi “Ti amo anche io.” A quel punto mi baciò. Fu il bacio più bello della mia vita. Durò delle ore. Dovevamo recuperare l'anno che avevo perso. Stammo tutta la notte in spiaggia a parlare. Dio quanto ci eravamo mancati.» «Che storia meravigliosa.. Ma, adesso lui che fine ha fatto?» «È mio marito cara, ciò che volevo dirle è che se io non avessi agito noi non ci saremmo mai ritrovati e sa perché?» «Perché?» «Perché all'alba, prima di ritornare in hotel mi disse queste parole : “Ho sempre saputo che la felpa me la avevi rubata tu. Ma te l'ho sempre lasciata e sai perché? Perché sapevo che un giorno saresti venuta a riprendermi.»
3 notes · View notes
themusym · 7 years ago
Text
Epistola
La prima opera incompiuta che va ad adornare le sale del Museo è un racconto breve sotto forma di lettera.
Caro Amico mio,
Finalmente mi sono decisa a scriverti.
Non sai quante volte ho preso in mano la penna e un foglio bianco, convinta finalmente di aver trovato la forza per riempirlo di tutte quelle storie che avrei voluto raccontarti e invece mi sono ritrovata a fissarlo. Silenziosa io e silenzioso il foglio. Lo fissavo per ore, come aspettandomi che per magia si riempisse da solo, dando forma a tutti quei pensieri che non ero in grado di tradurre in parole. Che non avevo il coraggio di rivelarti. Perché una volta che li scrivi, i tuoi pensieri restano lì, nero su bianco, reali e minacciosi più che mai.
Non ero pronta ad affrontarli io, figurati se ero pronta a rivelarli a te.
Cosa mi ha spinto oggi a scriverti finalmente questa lettera?
La domanda è lecita.
La risposta è tanto banale quanto scontata.
La verità è che mi manchi. E mi manchi a tal punto che mi costringo ad affrontare quel maledetto foglio bianco. Quindi, eccole qui, nero su bianco, tutte le parole che hanno affollato il mio cervello per così tanto tempo.
Potrei cominciare col dirti che mi sono trasferita a Londra.
Avevo bisogno di andarmene da Catania… di andarmene dalla mia vita. Lasciarmi tutto alle spalle. È così che la gente fa no? Chi sente la necessità di cambiare vita comincia con queste cose, no? Casa, città, lavoro…
Stronzate. Tutte stronzate. Ah quante stronzate! L'unica cosa che cambi è la città, o la casa, o il lavoro. Ma la tua vita resta lì con te. Non ti lasci nulla alle spalle, te ne allontani soltanto. Tutti i tuoi problemi, le paure, le angosce restano dentro, a volte se ne stanno silenziosi, acquattati in un angolo, ma prima o poi ti balzano davanti urlando.
A me, certe volte, mi passano davanti facendo addirittura il trenino.
Per carità, non escludo che certa gente possa riuscire veramente a voltare pagina trasferendosi in un'altra città, buon per loro. Ma per quanto mi riguarda non esistono pagine: la mia vita è un enorme affresco su un muro diroccato.
Quindi sì, è cambiata la città, l'università, la casa, gli amici. Ma io non sono cambiata.
Resto sempre al margine del mondo. Fluttuo.
Certo, non si può dire che non mi diverta, Londra offre tanto: cose buonissime da assaggiare, tante birre da bere, discoteche, concerti, eventi.
Tutto tanto bello e tutto tanto lontano, resta tutto fuori da me. Il mondo mi scivola addosso. I miei amici sono ombre. I sorrisi sono vento. Le emozioni sono di carta.
Sembro una borghesuccia viziata che si lagna di tutto senza motivo, me ne rendo conto.
Ma non posso fare a meno di sentirmi così. Te l'ho detto: anche cambiare città non ha aiutato.
La mia vita è sempre la stessa. Lo so che tu mi capisci, caro Amico mio, mi hai sempre capita.
Tra tutti sei sempre stato il solo con cui potevo parlare a cuore aperto, il solo che non mi giudicasse. Dio, quanto mi mancano le nostre chiacchierate. Se potessi vederti ora sono certa che avresti un'espressione a metà tra il sarcastico e il malinconico. Come sempre. Vorrei tanto sentire i tuoi consigli… mi basterebbe anche una tua battuta, uno sbuffo, un sorriso abbozzato. Mi basterebbe qualsiasi cosa…
Ho già detto che mi manchi? Sono patetica, lo so.
Ma per oggi, posso permettermi di essere patetica, d'altronde, cerco di scrivere questa lettera da due anni. Più patetici di così…
Sai cosa? Anche tu sei patetico. Lo sei sempre stato. Così determinato nella ricerca del vero amore immortale. Così convinto di ideali in cui oggi non crede più nessuno, o meglio: fanno finta di crederci. Tu invece non fingi. Ma come fai? Sei ingenuo o sei un genio?
Effettivamente potrei cominciare a darti ragione: le storie da favola esistono. Se ne stanno svolgendo parecchie sotto i miei occhi. La mia coinquilina ha trovato l'anima gemella, sono più felici che mai, due metà di una mela. Amore a prima vista, eterno.*
Mia cugina, stessa cosa.
Le mie colleghe? Ognuna si è trovata il suo principe su misura.
Sono quel tipo di storie che ti fa ritrovare fiducia nella ricerca del vero amore.
Perché, allora, sono così scettica?
Bhé, è ovvio: perché queste cose capitano solo agli altri. Magie di questo tipo non sono fatte per gente come me. Felicità così intense non mi si addicono. Si addicono di più alla protagonista di una storia. E io non potrei mai essere una protagonista.
A tal proposito, oggi ripensavo a una frase del buon vecchio Shakespeare: "tutto il mondo è teatro e uomini e donne non sono che attori". Ma quanto è vera questa frase? Ognuno di noi ha una parte che gli calza a pennello, e la mia non sarà mai quella della protagonista. Io sono la perenne migliore amica. Ecco la mia parte! Quella ragazza simpatica ma un po' impacciata, utile ma non indispensabile, brava in tutto ma che non eccelle in niente. Nessuno potrebbe mai fare un film su di me. Ma tutti potrebbero mettermi in qualsiasi film per fare la migliore amica della protagonista.
Sono l'amica perfetta: faccio ridere, so ascoltare, sono saggia e do ottimi consigli, sono quella con cui puoi andarti a strafogare di cibo, tanto non sono mai a dieta (perché dovrei? Perché dovrei curarmi di me?), Sono quella con la casa grande in cui fare i festini, quella che ti presta i soldi e quella che, puoi stare tranquilla, non ti ruberà mai la scena.
Ecco chi sono: La migliore amica del mondo.
(Ironico, considerando quanto il mondo per ora mi stia sul culo).
Te lo devo dire, caro Amico mio, io ti ho odiato profondamente. Ti ho odiato come non ho mai odiato nessuno.
Perché tu per un po' mi hai fatto credere che avrei potuto essere la protagonista.
Io ti ho amato. Ma non è questa la cosa assurda. La cosa assurda è che tu, tra tutte, hai amato me.
Sei stato un povero pazzo! tutti i tuoi discorsi sull'anima gemella, su quell'amore che ti sconvolge e ferma gli astri… e poi t'innamori di me? Della migliore amica? Rido ancora se ci penso. Rido di te, di me e di noi.
Noi, una barzelletta per il mondo. Forse era il nostro modo per prenderlo per il culo, questo povero mondo ipocrita. Abbiamo sconvolto le sue leggi: il bellissimo ragazzo, protagonista per eccellenza, che nella sua ricerca del vero amore perde la testa per la scettica migliore amica perenne. E per un attimo, questa co-star da quattro soldi assapora il mondo dei protagonisti. Mi hai fatto toccare il cielo, non con un dito, ma a piene mani. L'ho abbracciato di cuore, quel cielo, ed è stata una sensazione stupenda.
Me l'hai fatto credere, me l'hai fatto desiderare: quell'amore che tanto decantavi.
E per un istante l'ho visto nei tuoi occhi: avevi trovato ciò che cercavi, la tua pace e il tuo posto e… (che tu sia dannato!) l'avevo trovato anch'io. Perché ti sei fatto amare così tanto? Perché mi hai regalato questo sogno magnifico? Perché mi hai fatto credere che il mio vero ruolo era quello: non la migliore amica, ma l'essere tua?
Perché mi hai dato tutto questo per poi strapparmelo via?
La gente dice che non dovrei avercela con te, che non è colpa tua… ma allora con chi me la dovrei prendere io?
Io incolpo te, eccome se t'incolpo!
Sei stato tu ad andartene e a lasciarmi sola. Io sono ancora qui. Rotta, ma ci sono. Tu dove sei?
Checché mi dica la gente, io non ti perdonerò mai per essere morto.
Non ti perdonerò mai per avermi regalato il cielo e per poi essertelo portato via.
Per avermi fatto desiderare una vita che ora non potrò mai avere. Non ti perdonerò mai per esserti reso indispensabile al punto tale che ora che non ci sei più io vivo a metà. Anzi, per un quarto!
Dal momento in cui tuo padre mi ha detto dell'incidente, la mia vita si è spaccata. Ci sono stati momenti in cui ho tentato di rimetterla insieme, di unire i pezzi. Ma è solo una presa in giro. alcuni pezzi sono riuscita a rimetterli insieme, altri li ho incollati male, altri sono andati persi per sempre. Era inevitabile dopo una tragedia del genere.
Anzi, com'è che non sono morta di dolore non lo so nemmeno io, perché il dolore me lo ricordo, ed era forte. Lancinante. Ed è ancora là, non è che se n'è andato, lo seppellisco, ma lui torna a galla quando vuole. È là dal momento in cui tuo padre, tra i singhiozzi proferì quelle parole… "non ce l'ha fatta!". Mi ricordo tutto: prima la negazione "può essere mai che non ce l'ha fatta? Ma no.. Avranno sbagliato…" e poi quel desiderio bruciante: "ora mi sveglio… è un incubo, sto sognando… ora mi sveglio sicuro".
La tua mente tenta di trovare tutte le soluzioni possibili per evitare il dolore inevitabile. Ricordo che volevo soltanto che il tempo tornasse indietro di pochi attimi… al telefono ti avrei detto di non prendere per il cavalcavia, che con la pioggia diventa pericoloso, ti avrei detto di fare la statale, avresti allungato, ma saresti tornato a casa vivo. Saresti tornato da tua madre e tuo padre, ti saresti laureato, avremmo avuto un futuro e l'amore che avevi sempre sognato e che avevi fatto desiderare anche a me.
Purtroppo il tempo non può tornare indietro, tu non puoi tornare a casa vivo e io e te non possiamo avere nessun futuro.
Hai lasciato una voragine con la tua stupida morte. Non ci siamo nemmeno salutati, non ricordo neanche l'ultima cosa che mi hai detto. E io che pensavo che fossimo i protagonisti di un film! Nessun film sarebbe finito così, a meno che il regista non fosse un vero sadico.
Bene, caro Amico mio, ho fatto proprio quello che volevo evitare di fare: scriverti una carrellata di lagne sulla tua morte. Suppongo che tu ne abbia abbastanza di morte. Io personalmente ne ho abbastanza. Tutto è stato cosparso di morte da quando te ne sei andato. A Palermo, ovunque andassi, la tua morte m'inseguiva.
Prima stavo a casa a piangerti, quando le amiche sono riuscite a tirarmi fuori, giravo per un mausoleo di ricordi della nostra storia. Il nostro cinema, il nostro Kebbabaro preferito, il parco in cui mi hai organizzato la caccia al tesoro… tutto mi parlava di te, e con te, anche della tua morte.
Come ti dicevo: dovevo andarmene da Palermo. Quindi, via a Milano (un cliché per una palermitana andare a studiare a Milano, nessuno ci avrebbe visto niente di strano). Ma…pensi che a Milano le cose siano migliorate? Bhè, te l'ho già spiegato: la mia vita e i miei dolori mi hanno seguito anche qui. Certo, qua le persone non ti conoscono. Non sanno, quindi mi risparmio carrellate di pietismo. Non è mica una cosa da poco. È per questo che se ora mi devo riferire a te, ti definisco un "mio caro Amico". Di certo suona meglio che "il defunto amore della mia vita". In questo modo posso sperare che la tua morte non s'intrufoli tra i discorsi che faccio con i miei nuovi amici.
piano piano sto cominciando ad abituarti a chiamarti "Amico mio". Magari lo fossi stato. Un semplice amico con cui confidarsi, ridere e scherzare. A volte penso che preferirei non averti conosciuto. Alcune persone mi dicono "sii grata per i momenti che avete avuto!" e io rispondo "tu saresti stata grata di vincere la lotteria e poi aver portato via tutto?". Per favore! Smettiamola con le frasi fatte! La realtà è questa: tu per me sei stato come vincere la lotteria… e poi perdere tutto.
Questo è quello che succede quando sfidi gli equilibri naturali del mondo. A una come me non è concesso di vincere la lotteria, trovare il principe azzurro, vivere amori da favola, essere amata da ragazzi come te.
Ho pagato a caro prezzo la mia impudenza.
Continuerò a vivere, perché questa è la mia punizione, sola, senza di te, e guardare gli altri che vivono i loro amori da film.
Ti penserò, perché non posso fare a meno di pensarti. E t'incolperò, perché non posso fare a meno d'incolparti e perché se non lo faccio non mi resta niente.
Forse un giorno smetterò di essere così arrabbiata con te.
Spero di riuscirci.
Forse un giorno tornerò a credere alle magie…
Sono una stupida: già m'illudo… sono debole e m'illudo: tu sei stato il mio miracolo. Non avevo chiesto niente e ho avuto il mio miracolo. Ora mi ritrovo qui, da sola, nella mia casetta a Milano, piegata su questo foglio a piangere e a chiederti un miracolo: sii vivo.
Vorrei solo questa piccola magia… che la mia porta si aprisse e tu entrassi per abbracciarmi e non lasciarmi più.
Ti prego porta apriti…
Niente.
La porta rimane chiusa.
Il pulcino nel poster che vi è incollato sopra continua a fissarmi… non capisco se mi prende in giro o è spaventato.
Credo di aver esaurito la mia dose di miracoli per questa vita.
Caro Amico mio… non so più cosa scriverti, eppure non riesco a staccarmi dal foglio.
Staccarmi dal foglio mi riesce difficile come staccarmi da te. Ma devo farlo. Non posso passare la vita chiusa in questa camera a piangere su un foglio scrivendo al mio fidanzato morto.
Ho amiche là fuori a cui servo. Devo interpretare la mia parte.
Sebbene so che ti penserò sempre, non ti scriverò mai più.
Questo è l'addio che ci è stato negato.
Queste sono le ultime parole che ti rivolgerò nella triste consapevolezza di non poter mai sentire le ultime parole che tu mi rivolgerai.
So che la tua mancanza continuerà a fare un male cane… ma imparerò a conviverci. Sono stanca di piangere. Magari, chissà, un giorno il dolore non sarà più così terribile e io potrò tornare a guardare il cielo senza più avvertire quella fitta atroce nel ventre, perché quel cielo, noi l'abbiamo abbracciato… e poi quello stesso cielo ti ha strappato via da me.
Addio, caro Amico mio.
Se un giorno ci dovessimo rincontra, sono certa che mi rinfaccerai ogni singola parola in questa lettera.
Nell'attesa di vivere quel giorno vivrò la mia vita.
La tua cara amica, che ti ha tanto amato.
Tumblr media
La Curatrice
0 notes
intotheclash · 7 years ago
Text
CAPITOLO 8
 "Ma'! Io esco!" Gridai, con ancora in bocca l'ultimo pezzo di ciambellone mezzo masticato.
"Hai finito di fare colazione?" Urlò di rimando mia madre, impegnata a stirare le camicie di mio padre, nella stanza da bagno trasformata, per l'occasione, in lavanderia.
"Si, mamma!"
"Bene, allora metti la tazza nel lavandino e vai. Ma ricorda di tornare per l'ora di pranzo. Puntuale, altrimenti tuo padre te le suona un'altra volta."
"Contaci, ma'. Ciao!" E uscii alla stessa maniera di sempre: scaraventandomi giù per le scale.
Erano le nove e trenta di una bella mattinata di sole. La giornata prometteva bene, sperando che poi avrebbe mantenuto. Trovai i miei amici al solito posto, ad attendermi, seduti sui gradoni della fontana di Piazza del Castello. Il nostro quartier generale. "Forza, Pietro! Sei sempre l'ultimo ad arrivare. Manco fossi la sposa!" Fu la calorosa accoglienza di Tonino.
"Veramente sono il penultimo. Che fine ha fatto Bomba? E' sempre il primo ad arrivare!" Risposi, non potendo fare a meno di notare l'ingombrante assenza.
"Bomba non viene."
"Come non viene? Che cazzo vuol dire? Dai, andiamolo a chiamare, altrimenti facciamo tardi."
"Ma che sei diventato sordo? Ho detto che non viene. I suoi lo hanno messo in punizione. Non lo fanno uscire. Ci ha già provato il Tasso a chiamarlo. Dai Tasso, raccontaglielo." Lo esortò Tonino.
"E' vero, Pietro, ci sono passato prima di arrivare qui. E quella stronza della madre mi ha pure tirato un secchio d'acqua dal balcone!" Disse il Tasso cercando di assumere l'espressione più innocente di cui fosse capace.
"Ma che è ancora incazzata per la storia del fiume? Dai, racconta come è andata!" Lo esortai. Sapevo che poteva essere una storia divertente. Del Tasso non c'era mai da fidarsi, gliene succedevano di tutti i colori.
"E' andata così: stamattina mi sono svegliato presto e quando sono arrivato alla fontana, non c'era ancora nessuno. Ho pensato che fosse strano, Bomba arriva sempre una mezz’ora prima di noi tutti. Allora sono andato a vedere se gli era successo qualcosa. Ho suonato il campanello, una decina di volte, ma niente. Non si è affacciato nessuno."
"Allora cosa hai fatto?" Domandò Schizzo, anticipandomi. Gli altri lo guardarono stupiti e ridacchiando. Io lo guardai e basta. Il Tasso invece, strano a dirsi, si incazzò e disse: "Ma cosa cazzo dici: e allora? E allora sei tutto deficiente! A te l'ho raccontata appena dieci minuti fa la storia!"
"Ero distratto, non ho sentito la fine."
"Ma se hai pure riso!"
"E allora? Ridevano tutti, ho riso pure io! Mica sono scemo!"
"No che non sei scemo, lo sanno tutti. Sei deficiente! Sei matto come un cavallo, Schizzo. Ecco cosa sei." Ora il Tasso era davvero inferocito.
"E piantala! Finisci di raccontare." Lo esortai.
"Dunque, visto che, secondo me, il campanello non funzionava, ho iniziato a gridare forte: Bomba! Bomba! A quel punto è uscita fuori quella stronza della madre. Era una furia. Mi ha guardato a brutto muso e mi ha detto: "Che cavolo hai da urlare, maleducato? Cosa cerchi?" "Cercavo Bomba, avevamo un appuntamento." Risposi. Non l'avessi mai detto! Si è incazzata come una biscia. Faceva la bava dalla bocca, tanto era cattiva. "Brutto teppistello balordo," Mi ha risposto, inviperita, "Mio figlio ha un nome e non è quello che hai usato tu. Vedi di ficcartelo bene in quella tua testolina di legno. E non venire mai più a chiamarlo. Non voglio che esca con voi piccoli delinquenti. Ieri è tornato a casa bagnato fradicio e ora i vestiti gli vanno stretti, tanto si sono ritirati." Non ci ho visto più e gliele ho cantate: "Guarda che a tuo figlio, i vestiti gli andavano stretti pure prima! Lo ingozzate come un maiale!"
Ragazzi, dovevate vederla! E' diventata paonazza, le si sono gonfiate tutte le vene del collo, ho avuto pure paura che esplodesse. A iniziato a farfugliare cose senza senso, ha riempito un secchio d'acqua e me lo ha tirato addosso. Mancandomi, per fortuna. "Vattene, brutto disgraziato! Vattene e non farti più vedere!" ripeteva. Ma così forte che pure le vicine di casa si sono affacciate.
"E tu? Che hai fatto? Te ne sei andato?" Chiesi. Ma la risposta era scontata: il Tasso voleva avere sempre l'ultima parola. A tutti i costi.
"Che cazzo di domande fai, Pietro? Certo che me ne sono andato. Che altro potevo fare?"
"Senza dire nulla? Non ci credo! Quella tua linguaccia non riesce a stare ferma."
"Beh, qualcosina ho detto..." Rispose, guardando altrove.
"Cosa?" Lo incalzai.
"Vaffanculo tu e quel rotolo di coppa di tuo figlio! Ecco cosa ho detto!"
Ridemmo a crepapelle, felici come bambini. Anche perché eravamo davvero bambini. Un vero peccato essersi persi quella scena meravigliosa.
"Però Bomba, in questa storia, non c'entrava niente. Non dovevi mandare affanculo pure lui." Obiettò, non senza ragione, Sergetto.
"Ero incazzato nero!"
"Tu sei sempre incazzato. E pure nero."
"Non è vero!"
"Si che è vero."
"Senti, Sergetto, non ti ci mettere pure tu, altrimenti mi incazzo di nuovo e te le suono." Ringhiò.
Gli saltammo tutti addosso e lo riempimmo di cazzotti sulle spalle, ridendo sguaiatamente. Era uno dei tanti modi per cementare la nostra amicizia. Sicuri che non sarebbe mai terminata.
"Certo che la madre di Bomba è proprio una stronza. Fosse per lei, non lo farebbe mai uscire di casa. Lo farebbe imbalsamare, piuttosto. Povero Bomba." Disse Tonino, quando ci fummo calmati.
"Mia madre dice che lei beve come una spugna. Per questo è così. E' più ubriaca la mattina, che la sera." Rincarò la dose Sergetto, mentre, con la coda dell'occhio, seguiva i movimenti furtivi di un grosso gatto nero.
"E il padre allora? Il padre non fa un cazzo dalla mattina alla sera! Se ne sta tutto il santo giorno al bar, a bere mezzi litri e a giocare a carte con i suoi amici. Mio padre è convinto che, prima o poi, farà una brutta fine." Rincarai la dose.
"Se continua in questa maniera, più prima, che poi. Inoltre...Guardate! Un gattaccio nero! Porta sfortuna! Pussa via, bestiaccia!" Disse il Tasso, cambiando repentinamente discorso. Raccolse una bella pietra da terra e la lanciò contro l'animale che se ne stava andando per i fatti suoi. Ma non lo prese. Il Tasso non ci prendeva mai. Non avrebbe colpito neanche un camion con rimorchio.
"Lascialo in pace, che ti ha fatto di male?" Lo rimproverai.
"Io li odio i gatti! Non li posso soffrire!"
"Tu odi tutti gli animali, Tasso!"
"Questa è una cazzata, Pietro! E pure bella grossa. I cani, per esempio, mi piacciono! Lo dice anche mio padre: il cane è obbediente, fedele, pure se lo prendi a calci, ritorna sempre. E si farebbe ammazzare per difenderti. Il gatto invece è ladro e traditore."
Che volete farci? Vivevamo in un piccolo paese. E nei paesi, la fiera del luogo comune rimane sempre aperta. Anche la Domenica. E si fanno degli ottimi acquisti. Che, a ben guardare, non è che nelle città se la passino meglio. O peggio.
"Allora anche tu. Se ti prendono a calci, rimani sempre fedele." Lo attaccai, cercando di metterlo in difficoltà, senza sapere bene dove andare a parare.
"Che c'entra? Mica io sono un cane!" Si difese.
"Però neanche il gatto è un cane!" Si intromise Schizzo.
Perdio se aveva ragione! Lo aveva steso con quattro parole. Non c'era modo di replicare a quella fulminante osservazione. Ce ne restammo per una mezz'ora sulle scale della fontana a cazzeggiare. In pratica si faceva di tutto, ma senza fare niente. Lo so che non è facile da spiegare e neanche ci provo. Dico soltanto che era uno dei nostri abituali passatempo. Non costava nulla e, tutto sommato, era pure divertente. Divertente fino ad un certo punto, perché poi stancava. Soprattutto se hai dodici anni e le cose che vorresti fare sono così tante. E anche l'energia è così tanta che a metterle insieme e ad infilarle di forza nel poco tempo a disposizione proprio non ci riesci. Neanche se ti ammazzi.
"Allora? Cosa facciamo adesso? Mica possiamo passare tutta la mattinata a romperci i coglioni su queste scale puzzolenti!" Disse improvvisamente Tonino. Aveva sempre l'argento vivo addosso. O, se preferite, i diavoli al culo.
"Quando? Adesso, dici?" Risposi distrattamente.
"No, non adesso, Pietruccio, tra una settimana! Guarda che oggi sembri proprio rimbecillito. Certo che adesso! Allora: cosa facciamo?"
"Adesso niente. Io, ieri sera, le ho prese di brutto. Sia per i vestiti bagnati, che per il ritardo. Se non torno a casa in tempo per pranzo, mia madre mi da una bella ripassata. Lo ha promesso. E lei dice che le promesse vanno sempre mantenute."
"Anch'io lo ho buscate di santa ragione. Mio padre si è tolto la cinghia dei pantaloni e mi ha lasciato certi segni sulle gambe che sembrano frustate. Nemmeno Gesù le prese così tante, prima di morire. Pure io devo tornare prima di pranzo."
Sapevo che tutti noi avevamo buscato la nostra razione giornaliera. In quei tempi era la regola. Le buscavi ad ogni occasione. Era un metodo in voga. Il non plus ultra tra i vari metodi educativi. Anzi, mi correggo, l'unico metodo testato scientificamente. Testato sulla nostra giovane pelle, naturalmente. C'erano si delle variazioni sul tema che riguardavano la durata, l'intensità, gli strumenti usati, ma il metodo non fu mai messo in discussione. Funzionava? Chissà, non ne conoscevamo altri. Fossero stati solo i tuoi genitori a dartele, mezza pena, ma te le davano tutti quelli che pretendevano di insegnarti qualcosa: il maestro di scuola, il parroco, i ragazzi più grandi. Loro lì ad insegnare e tu a prenderne. Interrompere questa specie di catena di Sant'Antonio, prosperante sul picchiare i bambini, toccò a quelli della mia generazione: una volta investita del ruolo di genitore. Si sostituirono le botte con fiumi di parole. Parole che avrebbero dovuto spiegare ai nostri figli quello che, troppo spesso, neanche noi avevamo compreso. Con risultati non dissimili da chi aveva usato il precedente sistema. Insomma, anche noi facemmo un bel po' di danni. Con il retrogusto amaro di chi dovette reprimere a forza la voglia di menar le mani.
"La mia bella idea ce l'avrei..." Disse Tonino, dopo averci rimuginato sopra a lungo, girando intorno alla fontana.
"Spara!" Lo esortò il Tasso, fissandolo con estremo interesse.
"Andiamo al fosso a pescare con le mani!" E il suo volto asimmetrico si illuminò tutto.
"Allora non hai capito un cazzo!" Rispondemmo in coro.
"Dobbiamo essere a casa per pranzo, se vogliamo arrivare vivi anche all'ora di cena." Aggiunsi.
"Siete voi che non capite un cazzo! Come sempre. Dicevo di andarci dopo mangiato. Anch'io ho la ritirata. Ci vediamo verso le due, le due e trenta e andiamo a pescare. Ma voglio che proviamo anche a richiamare Bomba, Hai visto mai che la madre abbia cambiato idea."
"Io col cazzo che vengo a chiamarlo. Se quella mi becca, sicuro che mi massacra." Disse il Tasso, con estrema decisione.
"Vacci tu, Pietro. Tu sei l'unico che stai simpatico a quella vecchia megera. Una volta ti ha persino invitato ad entrare in casa!" Mi supplicò Sergetto.
Era vero. Tra noi, ero l'unico che avesse varcato quella soglia. Una volta sola. E mi era bastata. Non avevo alcuna intenzione di farlo di nuovo. Non mi era piaciuta affatto quella casa. Mi faceva sentire a disagio. Quell'unica volta che lo feci ebbi l'impressione di essere entrato in una di quelle cappelle da ricchi che giganteggiavano nel cimitero del paese. Roba da farsela sotto dalla paura. Era successo l'inverno passato, poco prima del Natale. Ero andato ad aiutare Bomba con i compiti di matematica. Me la cavavo bene con i numeri, lui invece era una rapa. Completamente negato. La madre, in verità, mi accolse con un gran sorriso e mi trattò come se mi conoscesse da sempre; anche se era la prima volta che mi vedeva. Se fosse stata ubriaca, come dicevano tutti, non lo so, so che a me parve normale. Infatti non fu lei a non piacermi, fu la casa. Metteva paura! Sembrava quella della Famiglia Addams. Buia, finestre appena socchiuse, quasi ad impedire all'aria di circolare liberamente, e ad avvisare la luce ed il sole che lì dentro non erano affatto i benvenuti. Pulita da morire, luccicava, non un granello di polvere, neanche a pagarlo oro. Ordine perfetto, non trovai una cosa fuori posto, sembrava come se... come se fosse disabitata.
O abitata da cadaveri. Come una tomba, appunto. Neanche Bomba mi piacque là dentro. Aveva lasciato gli scarponi fuori della porta d'ingresso, indossava un brutto pigiama a righe e, ai piedi, portava delle stupide pantofole da vecchio. Ricordo bene che pensai: cavolo, sono solo le tre del pomeriggio e si è già vestito per andare a letto. No, quello imprigionato là dentro, non poteva essere il mio amico Bomba. Ma la cosa peggiore di tutte, quella che non potrò mai dimenticare, campassi anche cent'anni, e che mi sono sognato più volte, svegliandomi poi di soprassalto, terrorizzato e fradicio di sudore, fu quella specie di altare, come quello della Cattedrale, ma un poco più piccolo, sistemato in un angolo del salotto buono. Sopra c'era una foto della sorella di Bomba, quella morta di leucemia due anni prima e decine... che dico decine, centinaia, forse migliaia di candele accese tutto il giorno. Al solo vederlo mi si drizzarono tutti i peli delle braccia e fui percorso da un brivido gelido dai piedi alla nuca. Spaventosissimo! Altro che Belfagor, il telefilm che mandavano la sera del giovedì in televisione. Pure Belfagor mi spaventava, ma molto meno.
L'unico momento bello di quella indimenticabile giornata, fu quando, finito di fare i compiti e fatti i saluti di rito, aprii l'uscio di casa e l'aria fresca dell'esterno mi inondò la faccia e i polmoni. Mi ripulì il naso da quella puzza rancido che regnava incontrastata in quegli ambienti e ti si attaccava addosso come un esercito di zecche fameliche. Molti anni dopo, facevamo già le superiori, Bomba, che non era uno stupido, nell'invitare a casa sua uno che frequentava la sua stessa classe, ma che veniva da un altro paese, lo accolse con queste poche, sagge parole: Prego, entra. E non preoccuparti, questa casa è inospitale al massimo anche per chi l'abita. Descritta come se fosse stata fotografata.
"Va bene, io ci vado, ma lo chiamo da sotto, dalla strada. Se lo lasciano uscire, bene, altrimenti andiamo solo noi." Dissi, tornando dalla gita mentale.
L'accordo era stato stipulato. Ci attendeva un bel pomeriggio di pesca sportiva, senza attrezzi, mani contro pinne. Alla pari. Senza trucchi e senza inganni. e, forse, visto che si trattava di stare nell'acqua, ne uscivano avvantaggiati i pesci.
Fui l'ultimo ad arrivare all'appuntamento, come da copione. Erano le tre meno un quarto, avevo finito di mangiare per tempo, ma mio padre mi costrinse a lavare la sua auto. Lo fece passare come un supplemento di pena per il ritardo del giorno prima. In compenso, non giunsi da solo, Bomba era con me, sorridente più che mai. Per quel giorno l'aveva scampata. Non era stato troppo complicato, la madre, quando mi vide, lo lasciò libero senza opporre resistenza. Non posso negarlo, le chiacchiere e le malizie di paese, assorbite mio malgrado, mi indussero a supporre che avesse bevuto e, di conseguenza, avesse dimenticato tutto. Non dimenticò comunque le solite raccomandazioni, quelle tipiche di ogni madre di allora: state attenti per strada, guardate prima di attraversare, non accettate caramelle dagli sconosciuti, non fate tardi per cena, con l'aggiunta, ad esclusivo uso e consumo del suo pargolo, di: vedi di tornare bagnato un'altra volta e tuo padre ti scortica vivo! Ragazzino avvisato, mezzo salvato.
Il nostro arrivo fu accolto come una vera festa. Ci furano urla, abbracci, complimenti, baci...No, baci no, non ci si baciava tra noi, non spesso, era da froci! Fu soprattutto Bomba il festeggiato. Bomba il figliol prodigo. Anche se nessuno di noi sapesse, in realtà, cosa cazzo significasse prodigo.
"Cosa hai combinato, grissino? Sei scappato di casa?" Disse Tonino arruffandogli la capigliatura.
"Com'è che hai fatto? Ti sei calato giù per il discendente del tetto?" Lo punzecchiò Sergetto.
"Si, a rate!" Aggiunse il Tasso.
Bomba si voltò verso di lui a brutto muso e ringhiò: "Zitto tu, testa di cazzo!"
"Cosa vuoi da me ora? Cosa ti ho fatto?"
"E hai pure la faccia tosta di chiedermelo? Hai fatto incazzare mia madre, ecco cosa hai fatto! E quando è rientrata in casa me le ha date un'altra volta. Come se non le avessi prese già abbastanza. Si è incazzata con te, ma sono stato io a prenderle al posto tuo. Ti sembra giusto?" Bomba era furioso e triste, allo stesso tempo.
"Certo, sei bravo a dare la colpa agli altri! Mai che fosse colpa tua, sempre di qualcun'altro! Stammi bene a sentire, cocco di mamma: se tua madre è una matta, è ugualmente colpa mia?"
Bomba era vicino al punto di ebollizione. Si accostò minacciosamente all'avversario, con gli occhi iniettati di sangue e i grossi pugni serrati lungo i fianchi. Lo sovrastava di buoni venti centimetri e di almeno venti chili. "Senti, piccolo bastardo," Gli disse con tono calmo. "Tu prova ancora ad insultare mia madre e io ti butto via quei quattro denti storti che hai a forza di cazzotti!"
La tensione aveva raggiunto il livello di guardia. Il Tasso le avrebbe prese, sicuro, ma, di certo, non si sarebbe tirato indietro. Piuttosto si sarebbe fatto ammazzare. Era colpevole, vero, non si insultano le madri degli amici, mai, o, almeno, mai in loro presenza. L'aria era diventata irrespirabile, pesante, minacciosa. Fu Schizzo a dare una sterzata alla situazione.
"Sentite, voi due cazzoni," Disse rivolto ai belligeranti, "Se proprio ne avete voglia, potete pure rimanere qui a gonfiarvi di botte, ma noi non vi aspettiamo. Sicuro. Ce ne andiamo al Fosso di Campo per pescare. Fottetevi voi e la vostra voglia di menar le mani." Si alzò da dove era seduto e si avviò da solo verso l'uscita del paese.
"Ehi! Aspettaci, cornutaccio! Dove vuoi andare solo soletto? Cecato come sei, facile che ti perdi al primo incrocio!" Gli gridò dietro il Tasso. E, subito dopo, rivolgendosi al suo nemico:"Su, andiamo Bomba, che quel matto di un nasone è capace davvero di piantarci qui."
"Tanto lo raggiungeremmo giù al passetto, con la proboscide impigliata tra i fitti rami del biancospino." Rispose Bomba, cingendo le spalle del tasso con uno dei suoi enormi arti superiori.
Funzionava così da bambini: un attimo prima eri pronto ad azzannarti al collo per un nonnulla, l'attimo dopo andavi d'amore e d'accordo. Non c'era tempo da sprecare per rancori e musi lunghi. Certi atteggiamenti li avremmo imparati da grandi.
Dieci minuti dopo eravamo giù al fosso. Il nostro paesello era assediato dai corsi d'acqua. Ce ne erano per tutti i gusti e tutte le tasche. Una manciata di case su un pezzo di tufo con i piedi costantemente a mollo. C'era, appunto, il Fosso di Campo, c'era il Fosso del Pappagallo, Fosso Cupo, Rio Miccino e sua maestà il Tevere. Un altra categoria. Confronto al Tevere, gli altri erano delle misere pisciate di cane. Per essere belli, erano belli, niente da ridire, si snodavano tortuosi in mezzo ad una vegetazione rigogliosa ed incontaminata, si sporgevano da pericolosi strapiombi fino a cadere di sotto in splendide cascate, da dove tuffarsi era una gioia infinita, anche se, ogni volta il culo ti si stringeva dalla paura. Erano belli, ma il rubinetto da cui uscivano era ben misero. Non sarebbero mai passati di grado. Mai sarebbero diventati dei veri fiumi. Ci liberammo dei vestiti e delle scarpe ed entrammo in acqua. Gelida come la morte.
"Formiamo le squadre e facciamo a gara a chi ne prende di più!" Propose il Tasso, che era un pescatore formidabile. Imbattibile. Una volta, in tv, vidi un documentario dove c'era un orso che pescava salmoni. Beh, il Tasso avrebbe fatto il culo pure a quell'orso!
"D'accordo, ma tu ti becchi Schizzo. Schizzo era una pippa, ma, tanto, lui da solo valeva più di tutti noi. Anche con una mano sola.
Infatti."Per me non c'è problema, tanto non avete scampo. Vi mangio in un boccone come pescetti fritti!" Rispose il Tasso.
"Sei il solito sbruffone, voglio vedere quando ti toccherà mangiare Bomba!" Lo schernì Sergetto.
Formammo le altre due squadre, io con Bomba e Sergetto con Tonino, visto che stavano sempre insieme, manco fossero fratelli. Ogni coppia poteva scegliersi il tratto di fosso che avrebbe battuto, ma una volta scelto, non poteva sconfinare. Io e Bomba ci prendemmo uno spazio tra due curve, dove l'acqua scorreva sotto un fitto manto di crescione selvatico. Non era molto profondo e, allungando le mani, ci si arrivava abbastanza bene. Lo avevamo già battuto in precedenza e qualche barbo, o qualche cavedano, lo avremmo di sicuro preso. Tonino e Sergetto si appostarono tra le radici di un salice, che sprofondava nell’acqua calma e melmosa. Il Tasso, come al solito, si recò a passo deciso verso quella che era la sua personale riserva di pesca: una parete di arenaria profondamente scavata da un'ampia ansa del fosso. Era una miniera di pesce, lo sapevamo tutti, ma non c'era modo di incastrare le prede addosso alla parete. Per riuscirci dovevi, per forza di cose, essere un drago. E lui lo era. Una volta, l'estate scorsa, aveva persino tirato fuori una trota che faceva più di un chilo.
"Tu appostati qui, dove inizia la curva, Schizzo. Infila sotto le mani e cerca di prenderne almeno uno. Io mi immergo dove la buca è più profonda." Ordinò il Tasso al suo compagno di squadra.
"Col cazzo che ce le metto! Non si vede niente, ho paura di beccare qualche serpente!"
"Si che ce le metti, non ci sono serpenti, altrimenti che sei venuto a fare?"
"Ti ho già detto che non ce le metto!"
"Se proprio non vuoi metterci le mani, mettici l'uccello, basta che ci infili qualcosa. Tanto per partecipare." Urlò il Tasso, che, nel frattempo, ne aveva già preso uno e gettato sulla riva.
"Farò di meglio, userò questa!" Disse trionfante Schizzo, tirando fuori una forchetta nascosta nelle mutande.
Il Tasso lo fissò sbalordito, con un altro bel barbo in mano, poi scoppiò in una fragorosa risata. "Correte," Gridò "L'uccello di Schizzo ha tre punte!"
Lasciammo di corsa le nostre postazioni ed andammo a sincerarcene di persona. Schizzo stava piantato in mezzo alla corrente, a gambe divaricate, con indosso soltanto un paio di logore mutande a giro collo e la forchetta sollevata in alto, sopra la testa. Sembrava la controfigura di Nettuno. Non il dio del mare, ma il pescivendolo del paese, che tutti, per prenderlo per il culo, chiamavano così. Era un'immagine pietosa.
"Che cazzo te ne fai di quella forchetta? Cosa credevi? Che li pescassimo già cotti?" Lo apostrofò Tonino.
"Sollevo i sassi dal letto del fosso e ci infilzo le alborelle e gli altri pesci che ci trovo nascosti sotto." Rispose Schizzo tutto impettito.
Non starai dicendo sul serio, vero Schizzo?" Domandò Bomba con la bocca spalancata dall'incredulità.
"Certo, stupido ciccione che dico sul serio! Ed ora fuori dalle palle, che devo lavorare." Disse sollevando con cautela una grossa pietra. Non trovò che acqua. Acqua pure sotto alla seconda e alla terza e alla quarta. Stava perdendo le speranze e la pazienza, quando la trillante voce di Sergetto richiamò la sua attenzione. Si era calato le braghe fin sopra le ginocchia e, saltellando sul posto, cantilenava;" Schizzo! Guarda che bel pesce! Prendilo! Prendilo!"
Schizzo partì di scatto verso di lui, brandendo la forchetta come un pugnale d'assalto, ma io e Bomba fummo lesti ad afferrarlo al volo. Faticammo non poco per calmarlo, ma, alla fine, ci riuscimmo. Quel matto nasone era imprevedibile. Di sicuro glielo avrebbe infilzato davvero come una salsiccia. Sergetto, dapprima, sembrò non capire, pian piano iniziò a realizzare la gravità della situazione e fu assalito alla gola da quella fifa blu che era sempre in agguato dietro le sue spalle. Attese preoccupato la quiete dopo l'accenno di tempesta, si coprì con cura i genitali e disse con una voce incrinata dal tremolio. "Certo, Schizzo, che tu sei proprio suonato. Cosa ti ho fatto di male?"
"Niente." Rispose Schizzo, che, nel frattempo, era tornato quello di sempre: l'alieno incomprensibile.
"Allora perché volevi darmi una forchettata?"
"Perché te la meritavi. Mi stavi prendendo per il culo."
"E allora? Qual è la novità? Ci prendiamo sempre per il culo!"
"E allora la forchetta me l'ha data mio padre. Mi ha detto che lui, da piccolo, i pesci li prendeva con questa."
Questo era Schizzo. Un attimo con noi, l'attimo dopo perso chissà dove. Dire che era inafferrabile era dire poco. Capirlo era invece impossibile, ma a noi piaceva e non sentivamo il bisogno di doverlo capire per forza.
"Come faceva a prendere i pesci, tuo padre?" Chiese timidamente Bomba. Non riusciva a capacitarsene.
"Con la forchetta, idiota! Quante volte devo ripeterlo?"
"E come no! Con la forchetta, tuo padre, al massimo ci piglia le tagliatelle che cucina tua madre. Ma quelle non valgono, sono già morte!" Lo stuzzicò Tonino.
Improvvisamente un rumore alle nostre spalle ci fece ammutolire. Era come se qualcosa stesse colpendo la superficie dell'acqua con estremo vigore. Ci voltammo tutti di scatto. Il rumore proveniva da un piede che percuoteva insistentemente il fiumiciattolo. Il piede sembrava quello del Tasso, sembrava, perché il resto del corpo era come inghiottito dalla buca da pesca. Quel battere ritmico era un segnale, lo sapevamo bene. Il Tasso doveva avere per le mani qualcosa di veramente grosso e non lo avrebbe mollato neanche a costo della vita. Afferrare la gamba e tirarlo fuori era compito nostro. Ci precipitammo in suo aiuto, Bomba lo afferrò per bene e lo cavò in un istante da quella scomoda e pericolosa situazione. Una volta fuori, tossì tre o quattro volte di seguito, snocciolò una sfilza di bestemmie e ci ammonì: "Che cazzo aspettavate ad aiutarmi, brutti stronzi? Volevate farmi affogare?"
Scusaci, Tasso, eravamo distratti! Schizzo voleva fare la festa a Sergetto a forza di forchettate!" Mi scusai per tutti.
"Potevate lasciarlo fare. Uno di meno a papparsi questo ben di Dio!" Esclamò, facendo uscire anche le mani dall'acqua con un notevole sforzo.
Lo stesso sforzo che dovettero fare i nostri occhi per non schizzare via dalle orbite, tanto fu lo stupore e l'ammirazione. Quello sgorbio di ragazzino teneva ben saldo per le branchie un cavedano gigantesco. Faceva quasi paura, tanto era enorme. Sarà stato lungo almeno tre metri! Beh, forse non proprio tre, forse due! No, no, a guardarlo meglio forse... forse... non avrei saputo dire quanto fosse lungo, ma giuro che sembrava un pescecane!
"Sei un grande, Tasso!" Si complimentò Schizzo, dandogli una gran manata sulla schiena nuda, che quasi gli fece mollare la presa.
"Stai attento, stupido di un matto! Se me lo fai sfuggire, ti tengo sott'acqua finché non lo ripeschi! Ci volesse pure una settimana."
"Basta pescare, ora bisogna festeggiare. Facciamoci una fumatina!" Disse Tonino, strizzando l'occhio e facendo la faccia furba.
Lo guardai stupito. Evidente che ne stava sparando una delle sue. Nessuno di noi aveva mai fumato. "Stai cazzeggiando!" Dissi.
"Tu dici?"
"Sicuro! Cosa ci fumiamo? La vitalba secca?"
Si diresse verso la riva, dove avevamo abbandonato i vestiti, raccolse i suoi pantaloncini e ne estrasse sei sigarette: "Queste ci fumiamo! Altro che vitalba."
Ammetto che ero spaventato. Curioso e spaventato. Non riuscivo ad immaginarmi che effetto avrebbe potuto farmi. Oltre al non trascurabile fatto che, se per un mal'augurato caso, i miei fossero venuti a saperlo, mi sarebbe convenuto fare fagotto e scappare di casa.
"Come le accendiamo?" Lo sapevo, era un appiglio debole, ma anche l'unico che mi venne in mente. Volevo prendere tempo.
"Con questi!" Rispose ridendo e mostrando una manciata di fiammiferi da cucina.
"Va bene, fumiamo." Ero stato sconfitto. Ma ci avevo provato. La coscienza era a posto. Avevo tentato di resistere, si vede che era così che doveva andare.
"Ve lo scordate! Io non ci penso nemmeno! Quella roba fa male. E se lo sa mio padre, mi appende per i piedi fuori dalla finestra!" Fece Sergetto terrorizzato.
"Di che ti preoccupi?  Tu abiti al pianterreno!" Rispose il Tasso, che aveva persino perso interesse per la sua preda straordinaria.
"Mio padre, stavolta, davvero mi scortica vivo!" Piagnucolò Bomba
"Che cazzo vuole tuo padre? Lui sta sempre con la sigaretta in bocca!" Disse Tonino, che, intanto, si era già rivestito e aveva preso posizione a cavalcioni su un grosso tronco ricurvo che sfiorava il pelo dell'acqua.
"Si, ma lui è grande. E può fare quello che vuole. Io invece sono ancora piccolo e devo fare quello che vuole lui. Non credo che questa faccenda gli andrebbe a genio."
"Piccolo? Hai detto piccolo, Bomba? Tu non sei mai stato piccolo. Sei il doppio di tuo padre. Forse dovrebbe essere lui a fare quello che dici tu!" Dissi, tanto per darmi un tono. Cercando di mascherare le mie paure, ridendo di quelle degli altri.
"Insomma, fate un po' come vi pare! Io ne ho portate sei, una ciascuno. La mia, ora, la accendo e me la fumo tutta. Cosa cazzo potrà mai farmi?" Tagliò corto Tonino.
Inutile dire che ci avvicinammo tutti. Ognuno recando con se il proprio bagaglio di eccitazione, di paura, di riluttanza, di trasgressione. Prendemmo in mano la nostra prima sigaretta. Non c'erano femminucce tra noi. tirarsi indietro non era previsto dalla legge. La nostra legge. Era una vera sfida da grandi. Tutti lì a romperci che non si doveva, che faceva male, ma, nello stesso tempo, tutti che fumavano come camini. Qualcosa non quadrava. Possibile che gli adulti fossero un branco di cazzari? I nostri genitori compresi? Non poteva essere. Probabilmente eravamo soltanto troppo piccoli per capire, o, a sentir loro, troppo stupidi. Prendemmo la nostra sigaretta e un paio di fiammiferi a testa, tanto per stare sicuri.
"Accendi prima tu!" Ordinai a Tonino.
"Perché prima io? Accendi tu per primo!"
"Sei stato tu a portarle. E' stata tua l'idea, quindi tocca a te!" Temporeggiavo. Avevo fifa, ma guai a farlo vedere.
"Accendiamo tutti insieme." Propose il Tasso.
La proposta fu approvata all'unanimità.
3 notes · View notes
intotheclash · 7 years ago
Text
"Ma'! Io esco!" Gridai, con ancora in bocca l'ultimo pezzo di ciambellone mezzo masticato.
"Hai finito di fare colazione?" Urlò di rimando mia madre, impegnata a stirare le camicie di mio padre, nella stanza da bagno trasformata, per l'occasione, in lavanderia.
"Si, mamma!"
"Bene, allora metti la tazza nel lavandino e vai. Ma ricorda di tornare per l'ora di pranzo. Puntuale, altrimenti tuo padre te le suona un'altra volta."
"Contaci, ma'. Ciao!" E uscii alla stessa maniera di sempre: scaraventandomi giù per le scale.
Erano le nove e trenta di una bella mattinata di sole. La giornata prometteva bene, sperando che poi avrebbe mantenuto. Trovai i miei amici al solito posto, ad attendermi, seduti sui gradoni della fontana di Piazza del Castello. Il nostro quartier generale. "Forza, Pietro! Sei sempre l'ultimo ad arrivare. Manco fossi la sposa!" Fu la calorosa accoglienza di Tonino.
"Veramente sono il penultimo. Che fine ha fatto Bomba? E' sempre il primo ad arrivare!" Risposi, non potendo fare a meno di notare l'ingombrante assenza.
"Bomba non viene."
"Come non viene? Che cazzo vuol dire? Dai, andiamolo a chiamare, altrimenti facciamo tardi."
"Ma che sei diventato sordo? Ho detto che non viene. I suoi lo hanno messo in punizione. Non lo fanno uscire. Ci ha già provato il Tasso a chiamarlo. Dai Tasso, raccontaglielo." Lo esortò Tonino.
"E' vero, Pietro, ci sono passato prima di arrivare qui. E quella stronza della madre mi ha pure tirato un secchio d'acqua dal balcone!" Disse il Tasso cercando di assumere l'espressione più innocente di cui fosse capace.
"Ma che è ancora incazzata per la storia del fiume? Dai, racconta come è andata!" Lo esortai. Sapevo che poteva essere una storia divertente. Del Tasso non c'era mai da fidarsi, gliene succedevano di tutti i colori.
"E' andata così: stamattina mi sono svegliato presto e quando sono arrivato alla fontana, non c'era ancora nessuno. Ho pensato che fosse strano, Bomba arriva sempre una mezz’ora prima di noi tutti. Allora sono andato a vedere se gli era successo qualcosa. Ho suonato il campanello, una decina di volte, ma niente. Non si è affacciato nessuno."
"Allora cosa hai fatto?" Domandò Schizzo, anticipandomi. Gli altri lo guardarono stupiti e ridacchiando. Io lo guardai e basta. Il Tasso invece, strano a dirsi, si incazzò e disse: "Ma cosa cazzo dici: e allora? E allora sei tutto deficiente! A te l'ho raccontata appena dieci minuti fa la storia!"
"Ero distratto, non ho sentito la fine."
"Ma se hai pure riso!"
"E allora? Ridevano tutti, ho riso pure io! Mica sono scemo!"
"No che non sei scemo, lo sanno tutti. Sei deficiente! Sei matto come un cavallo, Schizzo. Ecco cosa sei." Ora il Tasso era davvero inferocito.
"E piantala! Finisci di raccontare." Lo esortai.
"Dunque, visto che, secondo me, il campanello non funzionava, ho iniziato a gridare forte: Bomba! Bomba! A quel punto è uscita fuori quella stronza della madre. Era una furia. Mi ha guardato a brutto muso e mi ha detto: "Che cavolo hai da urlare, maleducato? Cosa cerchi?" "Cercavo Bomba, avevamo un appuntamento." Risposi. Non l'avessi mai detto! Si è incazzata come una biscia. Faceva la bava dalla bocca, tanto era cattiva. "Brutto teppistello balordo," Mi ha risposto, inviperita, "Mio figlio ha un nome e non è quello che hai usato tu. Vedi di ficcartelo bene in quella tua testolina di legno. E non venire mai più a chiamarlo. Non voglio che esca con voi piccoli delinquenti. Ieri è tornato a casa bagnato fradicio e ora i vestiti gli vanno stretti, tanto si sono ritirati." Non ci ho visto più e gliele ho cantate: "Guarda che a tuo figlio, i vestiti gli andavano stretti pure prima! Lo ingozzate come un maiale!"
Ragazzi, dovevate vederla! E' diventata paonazza, le si sono gonfiate tutte le vene del collo, ho avuto pure paura che esplodesse. A iniziato a farfugliare cose senza senso, ha riempito un secchio d'acqua e me lo ha tirato addosso. Mancandomi, per fortuna. "Vattene, brutto disgraziato! Vattene e non farti più vedere!" ripeteva. Ma così forte che pure le vicine di casa si sono affacciate.
"E tu? Che hai fatto? Te ne sei andato?" Chiesi. Ma la risposta era scontata: il Tasso voleva avere sempre l'ultima parola. A tutti i costi.
"Che cazzo di domande fai, Pietro? Certo che me ne sono andato. Che altro potevo fare?"
"Senza dire nulla? Non ci credo! Quella tua linguaccia non riesce a stare ferma."
"Beh, qualcosina ho detto..." Rispose, guardando altrove.
"Cosa?" Lo incalzai.
"Vaffanculo tu e quel rotolo di coppa di tuo figlio! Ecco cosa ho detto!"
Ridemmo a crepapelle, felici come bambini. Anche perché eravamo davvero bambini. Un vero peccato essersi persi quella scena meravigliosa.
"Però Bomba, in questa storia, non c'entrava niente. Non dovevi mandare affanculo pure lui." Obiettò, non senza ragione, Sergetto.
"Ero incazzato nero!"
"Tu sei sempre incazzato. E pure nero."
"Non è vero!"
"Si che è vero."
"Senti, Sergetto, non ti ci mettere pure tu, altrimenti mi incazzo di nuovo e te le suono." Ringhiò.
Gli saltammo tutti addosso e lo riempimmo di cazzotti sulle spalle, ridendo sguaiatamente. Era uno dei tanti modi per cementare la nostra amicizia. Sicuri che non sarebbe mai terminata.
"Certo che la madre di Bomba è proprio una stronza. Fosse per lei, non lo farebbe mai uscire di casa. Lo farebbe imbalsamare, piuttosto. Povero Bomba." Disse Tonino, quando ci fummo calmati.
"Mia madre dice che lei beve come una spugna. Per questo è così. E' più ubriaca la mattina, che la sera." Rincarò la dose Sergetto, mentre, con la coda dell'occhio, seguiva i movimenti furtivi di un grosso gatto nero.
"E il padre allora? Il padre non fa un cazzo dalla mattina alla sera! Se ne sta tutto il santo giorno al bar, a bere mezzi litri e a giocare a carte con i suoi amici. Mio padre è convinto che, prima o poi, farà una brutta fine." Rincarai la dose.
"Se continua in questa maniera, più prima, che poi. Inoltre...Guardate! Un gattaccio nero! Porta sfortuna! Pussa via, bestiaccia!" Disse il Tasso, cambiando repentinamente discorso. Raccolse una bella pietra da terra e la lanciò contro l'animale che se ne stava andando per i fatti suoi. Ma non lo prese. Il Tasso non ci prendeva mai. Non avrebbe colpito neanche un camion con rimorchio.
"Lascialo in pace, che ti ha fatto di male?" Lo rimproverai.
"Io li odio i gatti! Non li posso soffrire!"
"Tu odi tutti gli animali, Tasso!"
"Questa è una cazzata, Pietro! E pure bella grossa. I cani, per esempio, mi piacciono! Lo dice anche mio padre: il cane è obbediente, fedele, pure se lo prendi a calci, ritorna sempre. E si farebbe ammazzare per difenderti. Il gatto invece è ladro e traditore."
Che volete farci? Vivevamo in un piccolo paese. E nei paesi, la fiera del luogo comune rimane sempre aperta. Anche la Domenica. E si fanno degli ottimi acquisti. Che, a ben guardare, non è che nelle città se la passino meglio. O peggio.
"Allora anche tu. Se ti prendono a calci, rimani sempre fedele." Lo attaccai, cercando di metterlo in difficoltà, senza sapere bene dove andare a parare.
"Che c'entra? Mica io sono un cane!" Si difese.
"Però neanche il gatto è un cane!" Si intromise Schizzo.
Perdio se aveva ragione! Lo aveva steso con quattro parole. Non c'era modo di replicare a quella fulminante osservazione. Ce ne restammo per una mezz'ora sulle scale della fontana a cazzeggiare. In pratica si faceva di tutto, ma senza fare niente. Lo so che non è facile da spiegare e neanche ci provo. Dico soltanto che era uno dei nostri abituali passatempo. Non costava nulla e, tutto sommato, era pure divertente. Divertente fino ad un certo punto, perché poi stancava. Soprattutto se hai dodici anni e le cose che vorresti fare sono così tante. E anche l'energia è così tanta che a metterle insieme e ad infilarle di forza nel poco tempo a disposizione proprio non ci riesci. Neanche se ti ammazzi.
"Allora? Cosa facciamo adesso? Mica possiamo passare tutta la mattinata a romperci i coglioni su queste scale puzzolenti!" Disse improvvisamente Tonino. Aveva sempre l'argento vivo addosso. O, se preferite, i diavoli al culo.
"Quando? Adesso, dici?" Risposi distrattamente.
"No, non adesso, Pietruccio, tra una settimana! Guarda che oggi sembri proprio rimbecillito. Certo che adesso! Allora: cosa facciamo?"
"Adesso niente. Io, ieri sera, le ho prese di brutto. Sia per i vestiti bagnati, che per il ritardo. Se non torno a casa in tempo per pranzo, mia madre mi da una bella ripassata. Lo ha promesso. E lei dice che le promesse vanno sempre mantenute."
"Anch'io lo ho buscate di santa ragione. Mio padre si è tolto la cinghia dei pantaloni e mi ha lasciato certi segni sulle gambe che sembrano frustate. Nemmeno Gesù le prese così tante, prima di morire. Pure io devo tornare prima di pranzo."
Sapevo che tutti noi avevamo buscato la nostra razione giornaliera. In quei tempi era la regola. Le buscavi ad ogni occasione. Era un metodo in voga. Il non plus ultra tra i vari metodi educativi. Anzi, mi correggo, l'unico metodo testato scientificamente. Testato sulla nostra giovane pelle, naturalmente. C'erano si delle variazioni sul tema che riguardavano la durata, l'intensità, gli strumenti usati, ma il metodo non fu mai messo in discussione. Funzionava? Chissà, non ne conoscevamo altri. Fossero stati solo i tuoi genitori a dartele, mezza pena, ma te le davano tutti quelli che pretendevano di insegnarti qualcosa: il maestro di scuola, il parroco, i ragazzi più grandi. Loro lì ad insegnare e tu a prenderne. Interrompere questa specie di catena di Sant'Antonio, prosperante sul picchiare i bambini, toccò a quelli della mia generazione: una volta investita del ruolo di genitore. Si sostituirono le botte con fiumi di parole. Parole che avrebbero dovuto spiegare ai nostri figli quello che, troppo spesso, neanche noi avevamo compreso. Con risultati non dissimili da chi aveva usato il precedente sistema. Insomma, anche noi facemmo un bel po' di danni. Con il retrogusto amaro di chi dovette reprimere a forza la voglia di menar le mani.
"La mia bella idea ce l'avrei..." Disse Tonino, dopo averci rimuginato sopra a lungo, girando intorno alla fontana.
"Spara!" Lo esortò il Tasso, fissandolo con estremo interesse.
"Andiamo al fosso a pescare con le mani!" E il suo volto asimmetrico si illuminò tutto.
"Allora non hai capito un cazzo!" Rispondemmo in coro.
"Dobbiamo essere a casa per pranzo, se vogliamo arrivare vivi anche all'ora di cena." Aggiunsi.
"Siete voi che non capite un cazzo! Come sempre. Dicevo di andarci dopo mangiato. Anch'io ho la ritirata. Ci vediamo verso le due, le due e trenta e andiamo a pescare. Ma voglio che proviamo anche a richiamare Bomba, Hai visto mai che la madre abbia cambiato idea."
"Io col cazzo che vengo a chiamarlo. Se quella mi becca, sicuro che mi massacra." Disse il Tasso, con estrema decisione.
"Vacci tu, Pietro. Tu sei l'unico che stai simpatico a quella vecchia megera. Una volta ti ha persino invitato ad entrare in casa!" Mi supplicò Sergetto.
Era vero. Tra noi, ero l'unico che avesse varcato quella soglia. Una volta sola. E mi era bastata. Non avevo alcuna intenzione di farlo di nuovo. Non mi era piaciuta affatto quella casa. Mi faceva sentire a disagio. Quell'unica volta che lo feci ebbi l'impressione di essere entrato in una di quelle cappelle da ricchi che giganteggiavano nel cimitero del paese. Roba da farsela sotto dalla paura. Era successo l'inverno passato, poco prima del Natale. Ero andato ad aiutare Bomba con i compiti di matematica. Me la cavavo bene con i numeri, lui invece era una rapa. Completamente negato. La madre, in verità, mi accolse con un gran sorriso e mi trattò come se mi conoscesse da sempre; anche se era la prima volta che mi vedeva. Se fosse stata ubriaca, come dicevano tutti, non lo so, so che a me parve normale. Infatti non fu lei a non piacermi, fu la casa. Metteva paura! Sembrava quella della Famiglia Addams. Buia, finestre appena socchiuse, quasi ad impedire all'aria di circolare liberamente, e ad avvisare la luce ed il sole che lì dentro non erano affatto i benvenuti. Pulita da morire, luccicava, non un granello di polvere, neanche a pagarlo oro. Ordine perfetto, non trovai una cosa fuori posto, sembrava come se... come se fosse disabitata.
O abitata da cadaveri. Come una tomba, appunto. Neanche Bomba mi piacque là dentro. Aveva lasciato gli scarponi fuori della porta d'ingresso, indossava un brutto pigiama a righe e, ai piedi, portava delle stupide pantofole da vecchio. Ricordo bene che pensai: cavolo, sono solo le tre del pomeriggio e si è già vestito per andare a letto. No, quello imprigionato là dentro, non poteva essere il mio amico Bomba. Ma la cosa peggiore di tutte, quella che non potrò mai dimenticare, campassi anche cent'anni, e che mi sono sognato più volte, svegliandomi poi di soprassalto, terrorizzato e fradicio di sudore, fu quella specie di altare, come quello della Cattedrale, ma un poco più piccolo, sistemato in un angolo del salotto buono. Sopra c'era una foto della sorella di Bomba, quella morta di leucemia due anni prima e decine... che dico decine, centinaia, forse migliaia di candele accese tutto il giorno. Al solo vederlo mi si drizzarono tutti i peli delle braccia e fui percorso da un brivido gelido dai piedi alla nuca. Spaventosissimo! Altro che Belfagor, il telefilm che mandavano la sera del giovedì in televisione. Pure Belfagor mi spaventava, ma molto meno.
L'unico momento bello di quella indimenticabile giornata, fu quando, finito di fare i compiti e fatti i saluti di rito, aprii l'uscio di casa e l'aria fresca dell'esterno mi inondò la faccia e i polmoni. Mi ripulì il naso da quella puzza rancido che regnava incontrastata in quegli ambienti e ti si attaccava addosso come un esercito di zecche fameliche. Molti anni dopo, facevamo già le superiori, Bomba, che non era uno stupido, nell'invitare a casa sua uno che frequentava la sua stessa classe, ma che veniva da un altro paese, lo accolse con queste poche, sagge parole: Prego, entra. E non preoccuparti, questa casa è inospitale al massimo anche per chi l'abita. Descritta come se fosse stata fotografata.
"Va bene, io ci vado, ma lo chiamo da sotto, dalla strada. Se lo lasciano uscire, bene, altrimenti andiamo solo noi." Dissi, tornando dalla gita mentale.
L'accordo era stato stipulato. Ci attendeva un bel pomeriggio di pesca sportiva, senza attrezzi, mani contro pinne. Alla pari. Senza trucchi e senza inganni. e, forse, visto che si trattava di stare nell'acqua, ne uscivano avvantaggiati i pesci.
Fui l'ultimo ad arrivare all'appuntamento, come da copione. Erano le tre meno un quarto, avevo finito di mangiare per tempo, ma mio padre mi costrinse a lavare la sua auto. Lo fece passare come un supplemento di pena per il ritardo del giorno prima. In compenso, non giunsi da solo, Bomba era con me, sorridente più che mai. Per quel giorno l'aveva scampata. Non era stato troppo complicato, la madre, quando mi vide, lo lasciò libero senza opporre resistenza. Non posso negarlo, le chiacchiere e le malizie di paese, assorbite mio malgrado, mi indussero a supporre che avesse bevuto e, di conseguenza, avesse dimenticato tutto. Non dimenticò comunque le solite raccomandazioni, quelle tipiche di ogni madre di allora: state attenti per strada, guardate prima di attraversare, non accettate caramelle dagli sconosciuti, non fate tardi per cena, con l'aggiunta, ad esclusivo uso e consumo del suo pargolo, di: vedi di tornare bagnato un'altra volta e tuo padre ti scortica vivo! Ragazzino avvisato, mezzo salvato.
Il nostro arrivo fu accolto come una vera festa. Ci furano urla, abbracci, complimenti, baci...No, baci no, non ci si baciava tra noi, non spesso, era da froci! Fu soprattutto Bomba il festeggiato. Bomba il figliol prodigo. Anche se nessuno di noi sapesse, in realtà, cosa cazzo significasse prodigo.
"Cosa hai combinato, grissino? Sei scappato di casa?" Disse Tonino arruffandogli la capigliatura.
"Com'è che hai fatto? Ti sei calato giù per il discendente del tetto?" Lo punzecchiò Sergetto.
"Si, a rate!" Aggiunse il Tasso.
Bomba si voltò verso di lui a brutto muso e ringhiò: "Zitto tu, testa di cazzo!"
"Cosa vuoi da me ora? Cosa ti ho fatto?"
"E hai pure la faccia tosta di chiedermelo? Hai fatto incazzare mia madre, ecco cosa hai fatto! E quando è rientrata in casa me le ha date un'altra volta. Come se non le avessi prese già abbastanza. Si è incazzata con te, ma sono stato io a prenderle al posto tuo. Ti sembra giusto?" Bomba era furioso e triste, allo stesso tempo.
"Certo, sei bravo a dare la colpa agli altri! Mai che fosse colpa tua, sempre di qualcun'altro! Stammi bene a sentire, cocco di mamma: se tua madre è una matta, è ugualmente colpa mia?"
Bomba era vicino al punto di ebollizione. Si accostò minacciosamente all'avversario, con gli occhi iniettati di sangue e i grossi pugni serrati lungo i fianchi. Lo sovrastava di buoni venti centimetri e di almeno venti chili. "Senti, piccolo bastardo," Gli disse con tono calmo. "Tu prova ancora ad insultare mia madre e io ti butto via quei quattro denti storti che hai a forza di cazzotti!"
La tensione aveva raggiunto il livello di guardia. Il Tasso le avrebbe prese, sicuro, ma, di certo, non si sarebbe tirato indietro. Piuttosto si sarebbe fatto ammazzare. Era colpevole, vero, non si insultano le madri degli amici, mai, o, almeno, mai in loro presenza. L'aria era diventata irrespirabile, pesante, minacciosa. Fu Schizzo a dare una sterzata alla situazione.
"Sentite, voi due cazzoni," Disse rivolto ai belligeranti, "Se proprio ne avete voglia, potete pure rimanere qui a gonfiarvi di botte, ma noi non vi aspettiamo. Sicuro. Ce ne andiamo al Fosso di Campo per pescare. Fottetevi voi e la vostra voglia di menar le mani." Si alzò da dove era seduto e si avviò da solo verso l'uscita del paese.
"Ehi! Aspettaci, cornutaccio! Dove vuoi andare solo soletto? Cecato come sei, facile che ti perdi al primo incrocio!" Gli gridò dietro il Tasso. E, subito dopo, rivolgendosi al suo nemico:"Su, andiamo Bomba, che quel matto di un nasone è capace davvero di piantarci qui."
"Tanto lo raggiungeremmo giù al passetto, con la proboscide impigliata tra i fitti rami del biancospino." Rispose Bomba, cingendo le spalle del tasso con uno dei suoi enormi arti superiori.
Funzionava così da bambini: un attimo prima eri pronto ad azzannarti al collo per un nonnulla, l'attimo dopo andavi d'amore e d'accordo. Non c'era tempo da sprecare per rancori e musi lunghi. Certi atteggiamenti li avremmo imparati da grandi.
Dieci minuti dopo eravamo giù al fosso. Il nostro paesello era assediato dai corsi d'acqua. Ce ne erano per tutti i gusti e tutte le tasche. Una manciata di case su un pezzo di tufo con i piedi costantemente a mollo. C'era, appunto, il Fosso di Campo, c'era il Fosso del Pappagallo, Fosso Cupo, Rio Miccino e sua maestà il Tevere. Un altra categoria. Confronto al Tevere, gli altri erano delle misere pisciate di cane. Per essere belli, erano belli, niente da ridire, si snodavano tortuosi in mezzo ad una vegetazione rigogliosa ed incontaminata, si sporgevano da pericolosi strapiombi fino a cadere di sotto in splendide cascate, da dove tuffarsi era una gioia infinita, anche se, ogni volta il culo ti si stringeva dalla paura. Erano belli, ma il rubinetto da cui uscivano era ben misero. Non sarebbero mai passati di grado. Mai sarebbero diventati dei veri fiumi. Ci liberammo dei vestiti e delle scarpe ed entrammo in acqua. Gelida come la morte.
"Formiamo le squadre e facciamo a gara a chi ne prende di più!" Propose il Tasso, che era un pescatore formidabile. Imbattibile. Una volta, in tv, vidi un documentario dove c'era un orso che pescava salmoni. Beh, il Tasso avrebbe fatto il culo pure a quell'orso!
"D'accordo, ma tu ti becchi Schizzo. Schizzo era una pippa, ma, tanto, lui da solo valeva più di tutti noi. Anche con una mano sola.
Infatti."Per me non c'è problema, tanto non avete scampo. Vi mangio in un boccone come pescetti fritti!" Rispose il Tasso.
"Sei il solito sbruffone, voglio vedere quando ti toccherà mangiare Bomba!" Lo schernì Sergetto.
Formammo le altre due squadre, io con Bomba e Sergetto con Tonino, visto che stavano sempre insieme, manco fossero fratelli. Ogni coppia poteva scegliersi il tratto di fosso che avrebbe battuto, ma una volta scelto, non poteva sconfinare. Io e Bomba ci prendemmo uno spazio tra due curve, dove l'acqua scorreva sotto un fitto manto di crescione selvatico. Non era molto profondo e, allungando le mani, ci si arrivava abbastanza bene. Lo avevamo già battuto in precedenza e qualche barbo, o qualche cavedano, lo avremmo di sicuro preso. Tonino e Sergetto si appostarono tra le radici di un salice, che sprofondava nell’acqua calma e melmosa. Il Tasso, come al solito, si recò a passo deciso verso quella che era la sua personale riserva di pesca: una parete di arenaria profondamente scavata da un'ampia ansa del fosso. Era una miniera di pesce, lo sapevamo tutti, ma non c'era modo di incastrare le prede addosso alla parete. Per riuscirci dovevi, per forza di cose, essere un drago. E lui lo era. Una volta, l'estate scorsa, aveva persino tirato fuori una trota che faceva più di un chilo.
"Tu appostati qui, dove inizia la curva, Schizzo. Infila sotto le mani e cerca di prenderne almeno uno. Io mi immergo dove la buca è più profonda." Ordinò il Tasso al suo compagno di squadra.
"Col cazzo che ce le metto! Non si vede niente, ho paura di beccare qualche serpente!"
"Si che ce le metti, non ci sono serpenti, altrimenti che sei venuto a fare?"
"Ti ho già detto che non ce le metto!"
"Se proprio non vuoi metterci le mani, mettici l'uccello, basta che ci infili qualcosa. Tanto per partecipare." Urlò il Tasso, che, nel frattempo, ne aveva già preso uno e gettato sulla riva.
"Farò di meglio, userò questa!" Disse trionfante Schizzo, tirando fuori una forchetta nascosta nelle mutande.
Il Tasso lo fissò sbalordito, con un altro bel barbo in mano, poi scoppiò in una fragorosa risata. "Correte," Gridò "L'uccello di Schizzo ha tre punte!"
Lasciammo di corsa le nostre postazioni ed andammo a sincerarcene di persona. Schizzo stava piantato in mezzo alla corrente, a gambe divaricate, con indosso soltanto un paio di logore mutande a giro collo e la forchetta sollevata in alto, sopra la testa. Sembrava la controfigura di Nettuno. Non il dio del mare, ma il pescivendolo del paese, che tutti, per prenderlo per il culo, chiamavano così. Era un'immagine pietosa.
"Che cazzo te ne fai di quella forchetta? Cosa credevi? Che li pescassimo già cotti?" Lo apostrofò Tonino.
"Sollevo i sassi dal letto del fosso e ci infilzo le alborelle e gli altri pesci che ci trovo nascosti sotto." Rispose Schizzo tutto impettito.
Non starai dicendo sul serio, vero Schizzo?" Domandò Bomba con la bocca spalancata dall'incredulità.
"Certo, stupido ciccione che dico sul serio! Ed ora fuori dalle palle, che devo lavorare." Disse sollevando con cautela una grossa pietra. Non trovò che acqua. Acqua pure sotto alla seconda e alla terza e alla quarta. Stava perdendo le speranze e la pazienza, quando la trillante voce di Sergetto richiamò la sua attenzione. Si era calato le braghe fin sopra le ginocchia e, saltellando sul posto, cantilenava;" Schizzo! Guarda che bel pesce! Prendilo! Prendilo!"
Schizzo partì di scatto verso di lui, brandendo la forchetta come un pugnale d'assalto, ma io e Bomba fummo lesti ad afferrarlo al volo. Faticammo non poco per calmarlo, ma, alla fine, ci riuscimmo. Quel matto nasone era imprevedibile. Di sicuro glielo avrebbe infilzato davvero come una salsiccia. Sergetto, dapprima, sembrò non capire, pian piano iniziò a realizzare la gravità della situazione e fu assalito alla gola da quella fifa blu che era sempre in agguato dietro le sue spalle. Attese preoccupato la quiete dopo l'accenno di tempesta, si coprì con cura i genitali e disse con una voce incrinata dal tremolio. "Certo, Schizzo, che tu sei proprio suonato. Cosa ti ho fatto di male?"
"Niente." Rispose Schizzo, che, nel frattempo, era tornato quello di sempre: l'alieno incomprensibile.
"Allora perché volevi darmi una forchettata?"
"Perché te la meritavi. Mi stavi prendendo per il culo."
"E allora? Qual è la novità? Ci prendiamo sempre per il culo!"
"E allora la forchetta me l'ha data mio padre. Mi ha detto che lui, da piccolo, i pesci li prendeva con questa."
Questo era Schizzo. Un attimo con noi, l'attimo dopo perso chissà dove. Dire che era inafferrabile era dire poco. Capirlo era invece impossibile, ma a noi piaceva e non sentivamo il bisogno di doverlo capire per forza.
"Come faceva a prendere i pesci, tuo padre?" Chiese timidamente Bomba. Non riusciva a capacitarsene.
"Con la forchetta, idiota! Quante volte devo ripeterlo?"
"E come no! Con la forchetta, tuo padre, al massimo ci piglia le tagliatelle che cucina tua madre. Ma quelle non valgono, sono già morte!" Lo stuzzicò Tonino.
Improvvisamente un rumore alle nostre spalle ci fece ammutolire. Era come se qualcosa stesse colpendo la superficie dell'acqua con estremo vigore. Ci voltammo tutti di scatto. Il rumore proveniva da un piede che percuoteva insistentemente il fiumiciattolo. Il piede sembrava quello del Tasso, sembrava, perché il resto del corpo era come inghiottito dalla buca da pesca. Quel battere ritmico era un segnale, lo sapevamo bene. Il Tasso doveva avere per le mani qualcosa di veramente grosso e non lo avrebbe mollato neanche a costo della vita. Afferrare la gamba e tirarlo fuori era compito nostro. Ci precipitammo in suo aiuto, Bomba lo afferrò per bene e lo cavò in un istante da quella scomoda e pericolosa situazione. Una volta fuori, tossì tre o quattro volte di seguito, snocciolò una sfilza di bestemmie e ci ammonì: "Che cazzo aspettavate ad aiutarmi, brutti stronzi? Volevate farmi affogare?"
Scusaci, Tasso, eravamo distratti! Schizzo voleva fare la festa a Sergetto a forza di forchettate!" Mi scusai per tutti.
"Potevate lasciarlo fare. Uno di meno a papparsi questo ben di Dio!" Esclamò, facendo uscire anche le mani dall'acqua con un notevole sforzo.
Lo stesso sforzo che dovettero fare i nostri occhi per non schizzare via dalle orbite, tanto fu lo stupore e l'ammirazione. Quello sgorbio di ragazzino teneva ben saldo per le branchie un cavedano gigantesco. Faceva quasi paura, tanto era enorme. Sarà stato lungo almeno tre metri! Beh, forse non proprio tre, forse due! No, no, a guardarlo meglio forse... forse... non avrei saputo dire quanto fosse lungo, ma giuro che sembrava un pescecane!
"Sei un grande, Tasso!" Si complimentò Schizzo, dandogli una gran manata sulla schiena nuda, che quasi gli fece mollare la presa.
"Stai attento, stupido di un matto! Se me lo fai sfuggire, ti tengo sott'acqua finché non lo ripeschi! Ci volesse pure una settimana."
"Basta pescare, ora bisogna festeggiare. Facciamoci una fumatina!" Disse Tonino, strizzando l'occhio e facendo la faccia furba.
Lo guardai stupito. Evidente che ne stava sparando una delle sue. Nessuno di noi aveva mai fumato. "Stai cazzeggiando!" Dissi.
"Tu dici?"
"Sicuro! Cosa ci fumiamo? La vitalba secca?"
Si diresse verso la riva, dove avevamo abbandonato i vestiti, raccolse i suoi pantaloncini e ne estrasse sei sigarette: "Queste ci fumiamo! Altro che vitalba."
Ammetto che ero spaventato. Curioso e spaventato. Non riuscivo ad immaginarmi che effetto avrebbe potuto farmi. Oltre al non trascurabile fatto che, se per un mal'augurato caso, i miei fossero venuti a saperlo, mi sarebbe convenuto fare fagotto e scappare di casa.
"Come le accendiamo?" Lo sapevo, era un appiglio debole, ma anche l'unico che mi venne in mente. Volevo prendere tempo.
"Con questi!" Rispose ridendo e mostrando una manciata di fiammiferi da cucina.
"Va bene, fumiamo." Ero stato sconfitto. Ma ci avevo provato. La coscienza era a posto. Avevo tentato di resistere, si vede che era così che doveva andare.
"Ve lo scordate! Io non ci penso nemmeno! Quella roba fa male. E se lo sa mio padre, mi appende per i piedi fuori dalla finestra!" Fece Sergetto terrorizzato.
"Di che ti preoccupi?  Tu abiti al pianterreno!" Rispose il Tasso, che aveva persino perso interesse per la sua preda straordinaria.
"Mio padre, stavolta, davvero mi scortica vivo!" Piagnucolò Bomba
"Che cazzo vuole tuo padre? Lui sta sempre con la sigaretta in bocca!" Disse Tonino, che, intanto, si era già rivestito e aveva preso posizione a cavalcioni su un grosso tronco ricurvo che sfiorava il pelo dell'acqua.
"Si, ma lui è grande. E può fare quello che vuole. Io invece sono ancora piccolo e devo fare quello che vuole lui. Non credo che questa faccenda gli andrebbe a genio."
"Piccolo? Hai detto piccolo, Bomba? Tu non sei mai stato piccolo. Sei il doppio di tuo padre. Forse dovrebbe essere lui a fare quello che dici tu!" Dissi, tanto per darmi un tono. Cercando di mascherare le mie paure, ridendo di quelle degli altri.
"Insomma, fate un po' come vi pare! Io ne ho portate sei, una ciascuno. La mia, ora, la accendo e me la fumo tutta. Cosa cazzo potrà mai farmi?" Tagliò corto Tonino.
Inutile dire che ci avvicinammo tutti. Ognuno recando con se il proprio bagaglio di eccitazione, di paura, di riluttanza, di trasgressione. Prendemmo in mano la nostra prima sigaretta. Non c'erano femminucce tra noi. tirarsi indietro non era previsto dalla legge. La nostra legge. Era una vera sfida da grandi. Tutti lì a romperci che non si doveva, che faceva male, ma, nello stesso tempo, tutti che fumavano come camini. Qualcosa non quadrava. Possibile che gli adulti fossero un branco di cazzari? I nostri genitori compresi? Non poteva essere. Probabilmente eravamo soltanto troppo piccoli per capire, o, a sentir loro, troppo stupidi. Prendemmo la nostra sigaretta e un paio di fiammiferi a testa, tanto per stare sicuri.
"Accendi prima tu!" Ordinai a Tonino.
"Perché prima io? Accendi tu per primo!"
"Sei stato tu a portarle. E' stata tua l'idea, quindi tocca a te!" Temporeggiavo. Avevo fifa, ma guai a farlo vedere.
"Accendiamo tutti insieme." Propose il Tasso.
La proposta fu approvata all'unanimità.
6 notes · View notes