#che nome buffo
Explore tagged Tumblr posts
canesenzafissadimora · 3 months ago
Text
Lui dice che scrivere a qualcuno è l’unico modo di aspettarlo senza farsi del male. E io ti ho scritto.Tutto quello che ho dentro di me l’ho messo in questa lettera. Lui dice, l’uomo col nome buffo, che tu capirai. Dice che la leggerai, poi uscirai sulla spiaggia, e camminando sulla riva del mare ripenserai a tutto, e capirai. Durerà un’ora, o un giorno, non importa. Ma alla fine tornerai alla locanda. Lui dice che salirai le scale, aprirai la mia porta e senza dirmi nulla mi prenderai tra le braccia e mi bacerai. Lo so che sembra sciocco. Ma mi piacerebbe succedesse davvero. E’ un bel modo di perdersi, perdersi uno nelle braccia dell’altra. Niente potrà rubarmi il ricordo di quando, con tutta me stessa ero là.
Tumblr media
Alessandro Baricco - "Oceano Mare"
7 notes · View notes
spettriedemoni · 2 years ago
Text
Solo un cane
Lo scorso inverno ho deciso di prendere un cane.
Sono andato al canile comunale, che a Milano sta in via Corelli.
Per arrivarci bisogna passare davanti al centro di detenzione dei migranti, che è lì accanto.
Banale quanto inevitabile notare che persone e cani sono tenuti in cattività così simili e vicine. Peraltro, entrambi privi di alcuna colpa.
Amen.
Al canile di Milano sono molto seri, non è che vai lì e prendi il cane. Devi compilare moduli, sottoporti a interviste, indagini psicologiche, diverse visite perché possano decidere qual è il cane che va bene per te, o meglio il contrario.
Dopo la terza visita mi hanno fatto scegliere tra due. Ho scelto il più anziano, per solidarietà anagrafica.
Poi ho dovuto, giustamente, fare altre sei o sette visite per familiarizzare con lui, il cane dico.
Ogni volta passavo davanti al carcere per migranti. Ma questo si è già detto.
Ogni volta poi passavo tra le gabbie dei cani, a cui lì non manca nulla di concreto ma stanno tutto il giorno in gabbia da soli.
Il problema è la solitudine, mi spiegavano i ragazzi del canile. I cani, come gli esseri umani, hanno l'affettività alla base della loro piramide dei bisogni, al pari di cibo e acqua. Ma al canile, con più di 200 cani da curare, su quella cosa possono farci poco.
Dopo un po' di settimane mi hanno dato il cane, finalmente. La solitudine per lui era finita.
Ho chiesto, uscendo, se potevo avere informazioni sulla sua vita precedente, sui sette anni che gli avevano imbiancato il muso da bastardo. Mi hanno detto solo che stava al canile da qualche mese, che il proprietario precedente era morto, ma niente di più perché c'è la privacy.
Il cane e io, dopo, abbiamo fatto il nostro normale percorso di amicizia - e chi ha avuto un cane ne conosce l'assoluta bellezza. Ma io non ero ancora formalmente il suo padrone, c'è un periodo di solo affido, per essere sicuri che l'adozione funzioni.
Ha funzionato, quindi un po' di tempo fa mi è arrivata la carta del passaggio di proprietà. E c'era su scritto il nome del padrone precedente. Fine della privacy. Qui, chiamiamolo T.
Vado al pc e lo googlo, per innata curiosità.
Trovo solo due cose.
Una è la sua pagina Facebook abbandonata. Ma non abbandonata perché era morto, proprio abbandonata da sempre. L'aveva aperta nel 2017, zero "amici" e non ci aveva postato neanche una parola. Solo tre foto: del cane, il mio cane, quando era giovane e il muso era ancora tutto nero. Una era in montagna, il cane pareva contento.
Mi ha fatto piacere.
L'altra cosa che ho trovato su di lui, googlando, era una pagina recente della Gazzetta Ufficiale in cui si affidava a un tal avvocato la ricerca di suoi familiari, per "eredità giacente".
C'era anche la data di nascita di T., sulla Gazzetta Ufficiale, e la residenza a Milano (che buffo, stava vicino alla radio dove lavoro adesso) e il codice fiscale. Scopro così che siamo quasi coetanei, anzi lo eravamo.
Faccio il giornalista, per eccesso di curiosità.
E così telefono all'avvocato che deve gestire "l'eredità giacente". È gentile, mi spiega che lui non conosceva il defunto e che dalle indagini per trovare eredi non sta cavando un ragno dal buco: non risultava aver alcun parente, il vecchio padrone del mio cane. Né aveva fatto testamento.
Un giorno, uscendo dalla radio, per via della consueta curiosità decido di passare dalla casa dove abitava il mio cane.
Mi presento alla portinaia.
Gentilissima - e commossa quando le dico che il cane ora sta con me e sta bene.
T., mi dice, viveva per lui, anche perché non aveva nessuno.
Non lavorava: viveva o sopravviveva grazie all'eredità dei genitori, ma faceva esistenza modesta.
Non aveva amici, nessuno, dice la portinaia.
Usciva tutti i giorni a pascolare il cane, e basta.
È morto in casa, da solo, l'estate scorsa.
Cioè, non era proprio da solo: c'era anche il mio cane.
Dopo un po' di giorni che non lo vedeva uscire col cane, la portinaia è salita a bussare.
Ha risposto solo il cane, con un disperato guaito.
Lei allora ha chiamato la polizia.
Hanno sfondato la porta. T. era disteso accanto al letto con una confezione di medicine in mano.
Il cane tremava come una foglia, mi ha detto. Lei gli ha dato da bere e da mangiare, lui ha solo bevuto.
Poi lo hanno portato al canile.
Fine.
Già.
Il problema è la solitudine. La questione dell'affettività, che è alla base della piramide dei bisogni.
(Alessandro Gilioli)
107 notes · View notes
seoul-italybts · 1 month ago
Text
[✎ ITA] RM - RPWP⠸ Dietro le Quinte del Documentario 'RM : Right People, Wrong Place'⠸ Weverse Magazine | 16.12.2024
Tumblr media
🌟 Weverse Magazine | 16. 12. 2024
Dietro le Quinte del Documentario 'RM : Right People, Wrong Place'
INTERVISTA con il regista Seokjun Lee e l'assistente-regia Subin Im
Originale KOR | Twitter / X
Il documentario RM: Right People, Wrong Place racconta il processo creativo che sta dietro il secondo album solista di RM, fungendo – al contempo – anche da diario personale di Kim Namjoon, in quanto ne svela i pensieri e sentimenti di ogni giorno, “immortalando tutte queste cose che mi accadono”, per dirla con le sue parole. Al suo fianco in questo percorso, c'era la forza creativa che prende il nome di Team RM, un gruppo formato appositamente per la produzione dell'album Right Place, Wrong Person. Il regista Seokjun Lee – che, in quel viaggio durato 8 mesi, ha imparato a conoscere a fondo e da vicino il mondo interiore di RM, documentandolo con la sua cinepresa – e la co-direttrice alla regia Subin Im – la quale si è districata tra centinaia e centinaia di ore di contenuti filmati per riuscire a connettere ogni singolo filo della storia, ben più grande, che è l'avventura del Team RM – si sono confidati con il Weverse Magazine, condividendo informazioni di prima mano riguardo il documentario RM: Right People, Wrong Place.
youtube
RM: Right People, Wrong Place ha avuto la propria première ad ottobre alla 29a Ediz. Del Busan International Film Festival, dove siete intervenutə anche voi, insieme ad altri membri del Team RM. Com'è stata quell'esperienza? Seokjun Lee: È successo che siamo salitə sul palco senza la star del film e abbiamo dovuto procedere anche senza di lui, solo con altri membri del cast e della produzione. Ricordo d'aver pensato che non potevamo commettere alcun errore, rischiando così di macchiare il nome di Namjoon, dunque ognunə di noi si era già preparatə il discorso per iscritto o l'aveva imparato a memoria, in previsione di quella comparsata (ride). Abbiamo poi saputo che Namjoon stava seguendo la diretta streaming e che ha riso, quando ci ha vistə così.
A volte, Namjoon chiama noi del Team RM, “bohémien”, perché dice che siamo allo stato brado e che viviamo in un modo tutto nostro. Forse è per quello che ha trovato così buffo vederci su quel palco, in un contesto così formale (ride). Non è cosa da tutti i giorni, per noi, poter salire su un palco simile e per un'occasione così preziosa, quindi abbiamo apprezzato davvero di cuore accoglienza entusiasta del pubblico.
“Right People, Wrong Place” è anche il titolo della prima traccia dell'album Right Place, Wrong Person. Come mai avete scelto quello come titolo del film? Subin Im: Innanzi tutto, abbiamo buttato giù tutta una serie di titoli potenziali. Alcuni erano fin troppo sentimentali, altri ci sembravano freddi e altri ancora erano eccessivamente letterali. Ci siamo dunque confrontatə riguardo quale titolo potesse catturare al meglio i contenuti del film. Poi, un giorno, Namjoon ha commentato “Non credo questa sia la direzione giusta (We are in the wrong place)” ed abbiamo seriamente preso in considerazione quello, come titolo, perché ci piaceva come suonava, ma era ancora un goccio troppo lungo. Però, quasi casualmente, nel documentario Namjoon parla spesso di come le cose non stiano andando per il verso giusto, quindi alla fine abbiamo deciso di ricollegarci naturalmente alla prima traccia dell'album, “Right People, Wrong Place”. Lavorare all'ideazione del titolo ci ha dimostrato, ancora una volta, quanto perfetti ed azzeccati siano i titoli di tutte le tracce (ride).
Seokjun Lee: Anche se il titolo dell'album e quello del film usano parole diverse, l'acronimo per entrambi è sempre lo stesso, RPWP, il che probabilmente crea confusione nel pubblico – quanto basta per far sì che la gente si fermi a rifletterci su (ride). Personalmente, penso il significato di Right People, Wrong Place sia un riferimento a quelle persone che si sentono fuori luogo. Ovviamente, tuttə quantə ci sentiamo a casa o a nostro agio nel nostro contesto d'origine, ma ci sono volte in cui capita di sentirci fuori luogo o nel posto sbagliato – come a lavoro o in un gruppo con altre persone. Durante le riprese, è successo spesso di ritrovarci in luoghi poco famigliari e di condividere le nostre impressioni a riguardo. Credo il titolo del documentario sia molto adatto, visto che rispecchia i pensieri e sentimenti provati in quel tipo di occasioni.
Non dev'essere stato semplice decidere quale direzione imboccare con il documentario, visto che le riprese sono iniziate durante le primissime fasi di creazione dell'album. Come avete gestito la cosa? Seokjun Lee: Namjoon aveva le idee molto chiare fin dal ritrovo creativo per la composizione dei brani di Right Place, Wrong Person, ed il produttore San Yawn aveva già pre-impostato molte delle linee guida per il progetto su scala più generale. Quando mi sono unito al Team RM, è stato Namjoon in persona a spiegarmi cosa fosse il progetto RPWP e come mai volesse lavorarci. Quello mi è già stato di grande aiuto e mi ha permesso di dare inizio ai lavori. Namjoon si è prodigato a fare la stessa introduzione ad ogni nuovo membro del team - come alla regia e produzione per i suoi MV ed ai fotografi. Deve aver ripetuto quella spiegazione qualcosa tipo 17 volte. Ricordo ancora quanto incredibilmente precisa e puntigliosa fosse la sua presentazione (ride).
Com'è che avete ottenuto l'opportunità di unirvi al Team RM e di partecipare alla produzione di questo documentario? Seokjun Lee: È iniziato tutto quando San Yawn, che era alla guida del progetto, mi ha contattato dicendo “Non sappiamo neppure se sarà mai rilasciato, oppure no, ma sarebbe disposto a dedicare un anno a questo film?”. La cosa mi ha incuriosito e dunque abbiamo organizzato un incontro con Namjoon. Fin dal nostro primo incontro, Namjoon si è dimostrato estremamente aperto e candido rispetto la sua storia, e questo ha messo a mio agio anche me, tanto che ho finito per parlargli della mia vita. Dopodiché, abbiamo continuato ad incontrarci con frequenza, quasi si trattasse di un lavoro, e abbiamo legato grazie a tutte le nostre conversazioni. Col senno di poi, ho realizzato che Namjoon si è aperto così con noi perché voleva creare un ambiente ed un'atmosfera rilassati tra noi.
Subin Im: Il mio compito, inizialmente, era principalmente quello di revisionare e selezionare il materiale filmato più rilevante per il film. Le riprese si sono prolungate per molto tempo, quindi avevamo un enorme quantitativo di filmati. Inizialmente, Seokjun si è occupato di fare un primo ritratto di quel periodo, pur con un occhio già volto al futuro, e poi quando mi sono unita al progetto e ho iniziato a revisionare tutto quel materiale filmato, è stata come una corsa contro il tempo per mettermi in pari col passato. In seguito, è anche capitato io dovessi partecipare alle riprese. In quelle occasioni, prendevo il materiale – a caldo – e lo revisionavo subito. Lo scopo del mio lavoro era fondamentalmente rendere più semplice il processo di editing, quindi non facevo che guardare e ricontrollare, lasciando anche commenti del tipo “Questo mi sembra importante?”. E, con l'andare del tempo, il mio ruolo in questo progetto si è ampliato e diversificato molto.
Solitamente, le relazioni che si instaurano tra il filmaker ed il soggetto ripreso, nei documentari, sono molto ravvicinate ed oneste, uniche nel loro genere. È stato difficile stabilire limiti e/o confini da rispettare nel caso del vostro film? Seokjun Lee: Namjoon, fin dall'inizio, è stato estremamente chiaro rispetto ciò che voleva. Ci ha detto, “Voglio che questo progetto sia nelle mani di una squadra ristretta, con poche persone fidate, così che traspaia chiaramente la sua autenticità.” Ecco perché la costante presenza di Subin e tutti i suoi consigli sono stati fondamentali, per me, perché dovevamo filmare un gruppetto di persone già molto vicine tra loro e con relazioni solide. Talvolta ero talmente assorto nelle riprese che finivo per perdere di vista la foresta a favore dei singoli alberi. In quei momenti, Subin interveniva affinché facessimo un passo indietro e mi consigliava anche quali domande fare in quale momento specifico. La sua guida ed il suo intervento, qui e là, sono stati un grandissimo aiuto.
Subin Im: Ad esempio, più filmavamo, più i membri del team finivano per parlare l'uno sopra l'altro – tanto sono intimi e a loro agio tra amici -, il che avrebbe reso la visione difficile da seguire per il pubblico, quindi ho pensato di suggerire di trovare una soluzione. Inizialmente non è stato semplice, perché potevo solo vedere il Team RM sullo schermo, ma dopo esserci incontrati di persona, aver discusso ed aver condiviso quali erano i nostri obiettivi, abbiamo imparato a comprenderci meglio. Grazie a tutto ciò, quando mi sono messa a revisionare il materiale filmato, non mi sono limitata a condensarlo, ma ho anche cercato di sfruttare la mia conoscenza diretta dei soggetti di modo che l'editing seguisse poi la strada narrativa più adatta al documentario.
Tumblr media
Il legame speciale che c'è tra i membri del Team RM gioca un ruolo cruciale nel rendere questo documentario unico nel suo genere. Anzi, credo sia proprio la ragione per cui il pubblico può immergersi così a fondo nel film.
Seokjun Lee: Come probabilmente saprete, molti documentari cercano di catturare la bellezza in ogni fotogramma, ma in questo ci sono un sacco di dialoghi e parlato (ride). Quindi mi son detto, perché non concentrarci invece sui commenti più di impatto e le conversazioni più memorabili e creare così una storia? Quando stavamo filmando a Bisugumi, nella provincia di Hwacheon, ad esempio, ogni qual volta qualcuno diceva qualcosa, mi ritrovavo a riflettere e ad immaginare quale altro commento avrei potuto collegarci o quale nuova location introdurre. Per dirla in termini del film Everything Everywhere All at Once, riflettevo dunque su quali universi avessimo a disposizione.
Avete anche incluso le interviste con i produttori e gli artisti che hanno lavorato con RM nel corso del progetto. Sembra quasi voleste mostrarlo attraverso lo sguardo delle persone che lo conoscono. Seokjun Lee: Le interviste non potevano mancare, volevamo dare un po' di respiro ed includere qualcosa che fungesse da commento ed introduzione. Ho dovuto però trovare il giusto equilibrio e tono per le nostre conversazioni, perché erano ed eravamo tuttə estremamente immersi ed affezionati al progetto RPWP. Ricordo ancora tutti i tentativi fatti (ride). Però avevo un'idea piuttosto precisa di quale tono volessi da ognuna di quelle interviste: ad esempio, San Yawn ha un talento naturale nell'esprimere i suoi pensieri e sentimenti rispetto a Namjoon, JNKYRD ha assunto un po' il ruolo di commentatore, fornendo informazioni tecniche più dettagliate rispetto al progetto e Sehoon – che ha sovrainteso principalmente l'aspetto artistico e promozionale del tutto – aveva questa voce profonda e rassicurante e trovo si sposasse benissimo con le parti più rilassate del film.
Subin Im: Alcune delle interviste col Team RM le abbiamo filmate persino il giorno dell'arruolamento di Namjoon. Joon aveva scritto dei brevi messaggi per ognunə di loro, e nonostante tuttə si fossero ripromessə di non versare lacrime, non appena hanno letto quelle lettere si sono messə a piangere (ride). Quel sentimento, puro e genuino, traspare dunque anche nelle interviste, rendendo il loro incrollabile affetto nei confronti di Namjoon ancor più palpabile.
Insieme allo sguardo più intimo che ci viene offerto dal Team RM riguardo Kim Namjoon – ovvero l'uomo al di là dell'idol –, nel documentario ci mostrate anche l'artista RM all'evento 'FESTA' per il 10° anniversario dei BTS e la sua partecipazione come ospite al concerto D-DAY. Perché avete deciso di includere scene così contrastanti rispetto a quelle relative al processo creativo di Right Place, Wrong Person? Seokjun Lee: Perché il documentario non segue solo la creazione dell'album, ma è un resoconto della parabola emotiva affrontata da Namjoon in quel periodo. All'inizio, non ci siamo soffermati più di tanto su quel suo aspetto e personalità, quindi era fondamentale mostrare la persona che è quando si esibisce come membro dei BTS. Ho pensato che mostrare il profondo contrasto che c'è tra l'idol RM e l'individuo Namjoon potesse gettare maggior luce ed attenzione sul suo percorso di riscoperta personale, compiuto lavorando a RPWP.
Trovo che nel documentario ci sia un forte contrasto creato dalle scene in stile pseudo-vintage e quelle più realistiche. Seokjun Lee: L'abbiamo filmato in un lasso di tempo relativamente breve, specialmente per gli standard di un documentario. La natura introspettiva e profonda di Namjoon deriva dalle emozioni accumulate nel corso di tutta la sua vita, ma il pubblico ne ha solo un assaggio pari a 8 mesi, una sfida con cui mi sono dovuto cimentare. Ho pensato fosse fondamentale mostrare come le emozioni correnti di Namjoon fossero frutto del suo passato, affinché il pubblico potesse coglierne la profondità e corretta progressione. Dunque ho optato per il filtro vintage per dare ad alcune scene un senso di flashback e ricordi passati, cosa che mi ha anche permesso di dare a questo collage di immagini una certa dinamicità. E ho affiancato le scene vintage a quelle della produzione dell'album per sottolineare come le emozioni mostrate nelle riprese fossero di fatto originate nel passato.
Tumblr media
La scena girata a Bisugumi, dove vediamo RM sdraiato in mezzo all'erba, è incredibile. Non c'è dubbio sia reale, ma i colori sono talmente belli che sembra quasi un sogno. Quale tipo di atmosfera volevate trasmettere? Seokjun Lee: Onestamente, Bisugumi è molto più bello dal vivo di quanto appaia su pellicola (ride). Abbiamo cercato di mantenere quel colpo d'occhio il più realistico possibile, in fase di editing. Al nostro primo incontro, Namjoon mi ha detto, “Certo, questa è la vita che mi sono scelto io, ma ora trovo difficile il dovermi integrare ad ogni costo, qualsiasi sia il luogo o la situazione. Voglio trovare un luogo in piena natura dove cercare di concentrarmi su me stesso e me soltanto.” Quindi abbiamo pensato che portarlo in un luogo dove nessuno avrebbe potuto riconoscerlo fosse l'idea migliore, e alla fine abbiamo optato per Bisugumi. È un posto lontano e sperduto dove non c'è altro che natura, quindi era perfetto per concentrarsi unicamente sul presente e su se stesso, è stata un'esperienza quasi contemplativa. Ed è così che abbiamo potuto trasmettere la serenità provata dal Team RM anche nella pellicola.
Nella pellicola, troviamo anche delle sequenze animate. Come mai questa decisione artistica? Subin Im: Il più delle volte, Namjoon si esprime attraverso metafore ed idee astratte, quindi abbiamo pensato di includere delle animazioni per dare maggior forma al suo modo di parlare e pensare.
Seokjun Lee: Il documentario non ha un arco narrativo vero e proprio, è più un film in cui sta agli spettatori mettere insieme i segmenti di dialogo per crearsene uno. Poi ho pensato fosse carino anche includere le animazioni come una sorta di chiusura e ponte tra i vari capitoli. L'autore di questi segmenti animati, Lee Gyuri, ha fatto un lavoro strepitoso, a dispetto di tutte le trovate sperimentali cui l'abbiamo sottoposto. Guardando, penso noterete che le parti animate fungono un po' da sunto delle emozioni espresse nelle scene precedenti, e collegamento a quelle successive, aiutando anche la scorrevolezza del documentario.
youtube
Trovo davvero interessante come alcune delle scelte stilistiche e creative siano conseguenza diretta della vostra volontà di mostrare appieno il vero RM, come quando nelle scene in studio sentiamo solo sempre la sua voce. Seokjun Lee: In quel periodo, stavo lavorando anche ad alcuni video musicali, e avevo visto molti behind-the-scene. Credo ci sia un modo ed un stile specifico per filmarli, ma personalmente volevo allontanarmi un po' dalla norma, per questo film. La cosa più importante era mantenere l'organicità del tutto. Credo il pubblico guardi questi retroscena perché curioso del processo creativo e del modo in cui lavora l'artista, quindi abbiamo sì incluso della musica di sfondo per evitare che le scene risultassero troppo piatte, ma l'abbiamo tagliata fuori ogni qual volta Namjoon cantava, per mettere in risalto la sua voce.
E immagino abbiate studiato con particolare attenzione come usare ed includere la musica, dato che è un documentario che parla, appunto, della creazione dell'album solista di RM. Seokjun Lee: L'aspetto più importante per un video musicale è, appunto, che la musica suoni alla perfezione, mentre credo che nel caso di un film la cosa fondamentale sia che l'aspetto visivo ne sia il protagonista. Alla musica per il documentario hanno lavorato ben tre persone, tra le quali spiccano JNKYRD e glowingdog – i quali hanno anche collaborato all'album – Questi ultimi hanno scritto 10 nuove tracce per il film e hanno lavorato con Dajung al brano finale. Se teniamo conto anche delle canzoni dell'album, c'è una bella porzione musicale in questo film. Il Team RM ha particolarmente a cuore l'atmosfera e ha voluto della musica neutra, che non appartenesse ad alcuno stile o emozione specifica. L'obiettivo non era suscitare emozioni attraverso la musica, ma trovare della musica che fungesse da strumento per enfatizzare queste ultime. I musicisti coinvolti hanno visto il documentario in anteprima, mentre lo editavamo, e gli abbiamo chiesto se potevano creare quel dato sentimento e poi, eventualmente, apportare modifiche.
Subin Im: Quando si lavora ad un film, si usa una gran varietà di fonti sonore, quindi uno degli aspetti più complessi della fase di editing è stato capire come impostare e coordinare le riprese, il parlato e la musica. Ci sono veramente tantissimi elementi da tenere in considerazione, quando si produce un film – le riprese in digitale, pellicola o via camcorder, la traccia audio di sfondo e le interviste, le canzoni e gli effetti sonori.. Abbiamo sempre lavorato di comune accordo per decidere come arrangiare il tutto e quali parti dovessimo mettere in risalto.
Anche se chiaramente sono tanti i dettagli su cui vi siete dovutə soffermare, nel creare il film, qual è stato l'aspetto cui avete voluto prestare maggiore considerazione? Seokjun Lee: L'autenticità. Era la cosa più importante per Namjoon, per il Team RM e per me. Lo scopo non era quello di dare loro direttive o seguire un tema specifico. Abbiamo cercato di mantenere il tutto il più reale possibile, anche se alcune scene probabilmente non sono esattamente ciò che il pubblico vorrebbe vedere. Ovviamente alcune parti sono più curate e post-editate, ma ci tenevo a catturare e a mettere in risalto alcuni momenti che io personalmente ho trovato interessanti (ride). Il mio principio è: se mi diverto nel filmare, il prodotto finale sarà anche apprezzabile. Ecco perché il mio focus è stato creare una pellicola semplice ma carica di contenuti interessanti e divertenti—come i commenti estemporanei e più sinceri, che sono sicuro faranno sorridere il pubblico.
Tumblr media
Grazie a questo documentario, avete avuto l'opportunità di osservare Namjoon da vicino. Come lo descrivereste, in quanto persona? Subin Im: È evidente sia una brava persona, molto generoso. Le domande che fa sono un chiaro segno della sua natura attenta ed affettuosa, e credo sia il tipo di persona che desidera aprirsi al prossimo, a dispetto del giudizio altrui o di suoi ripensamenti postumi. Vederlo così, mi ha fatto riflettere su me stessa, pensare che anche io dovrei cercare di essere così genuina e sincera. Sì, credo sia questo ciò che ho imparato da lui. È stato fonte di grandissima ispirazione ed energia positiva, quindi ho cercato di rendere questo documentario qualcosa che potesse avere un impatto positivo anche sulla sua vita.
Seokjun Lee: Credo sia una persona estremamente coraggiosa. È una figura pubblica, la sua immagine è ampiamente nota e diffusa su tutti i media e il più delle volte ha a che fare con persone che conoscono solamente quel lato di lui – o credono di conoscerlo. Il fatto che lui continui a svelare nuovi lati di sé, a svelarsi esattamente per la persona che è, denota grande coraggio da parte sua. È straordinario, ma è anche una persona ordinaria. Non è poi così diverso da noi, anche lui ha i suoi alti e bassi quotidiani (ride). Credo sia proprio quello a renderlo così speciale. Sarò sincero, quando si lavora per tanto tempo nello stesso settore, si tende a dimenticare i valori con e per cui si è iniziato, ma Namjoon ha sempre la stessa reverente adorazione per ciò che fa. Ha una grandissima influenza positiva su tuttə coloro che lavorano con lui ed è anche un buon amico.
Prima di concludere, volete dire qualcosa agli spettatori? Subin Im: Credo le domande che Namjoon si pone nel film siano universali—non sono solo sue, ma di tuttə. Spero che le persone che guarderanno questo documentario riusciranno a riallacciarsi a quella parte di sé dimenticata durante il cammino. I film sono un ritratto della vita reale, ma sta agli spettatori crearsi un percorso di vita e seguirlo.
Seokjun Lee: Sono già immensamente grato a tuttə coloro che hanno messo da parte un po' del loro tempo prezioso per andare a vedere il documentario. È anche la dimostrazione di quanto RM sia amato. Come dice il testo di “ㅠㅠ (Credit Roll)”, "Sono estremamente grato per il tempo che mi avete dedicato / Spero abbiate trascorso tuttə una serata meravigliosa".
Spero che, dopo aver guardato il film, il pubblico ne approfitterà per cenare in allegria e commentare quanto visto, fosse anche brevemente.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
3 notes · View notes
princessofmistake · 3 months ago
Text
Tumblr media
Ne, Il sosia, Dostoevskij narra di un individuo che non osa essere sé stesso ——— nemmeno davanti allo specchio ——— proprio perché vuole apparire una persona per bene. Gli dà il buffo cognome di Goljadkin che in russo suona come "Nudarelli" ( da golyj, "nudo"), un nom parlant che da subito annuncia ai lettori la fatale inutilità di tale finzione: è chiaro, da quel nome, che tutti vedranno ciò che Goljadkin crede di poter nascondere di sé. Un caso banale, dirai tu, dato che molti tuoi conoscenti sono dei Nudarelli; ma a Dostoevkij interessa la profondità scespiriana di questa banalità. In una delle sue crisi d'angoscia al pensiero di quale impressione stia facendo agli altri, Goljadkin dice fra sé e sé: "Ammettere che sono io, o no? Oppure far finta di non essere io, di essere qualcun altro che mi assomiglia in modo strabiliante, e fare come se niente fosse? Ecco, appunto: non sono io! Io non sono io, e basta"
3 notes · View notes
gregor-samsung · 8 months ago
Text
“ Yūichi ritornò, facendo dondolare le chiavi dell'auto. "Visto che poteva stare così poco, bastava pure una telefonata," disse, mentre si toglieva le scarpe all'ingresso. Io risposi "Hmm" senza alzarmi dal divano. "Mikage, sei stata colpita dalla mamma?" fece lui. "Beh, non ho mai visto una donna così bella," dissi francamente. "Però sai..." Yūichi entrò nella stanza e sedendosi per terra davanti a me, continuò sorridendo: "Ha fatto una plastica." "Ah." Cercai di nascondere l'imbarazzo. "In effetti avevo pensato che di viso non vi assomigliate per niente." "Ma hai capito?" disse con un'aria come se gli scappasse da ridere. "Lei è un uomo" . Questa volta non ce la feci a fingere. Restai a fissarlo ammutolita, con gli occhi spalancati. Aspettavo che da un momento all'altro dicesse ridendo: 'Scherzavo'. Un uomo lei? Con quelle dita affusolate, quei gesti, quel portamento? Ricordando quella creatura bellissima, aspettavo la smentita col fiato sospeso, ma lui si limitava a guardarmi con aria beata. Fui io a parlare: "Ma tu hai sempre detto 'mia madre... mia madre'..." "Beh, per forza. Tu una così la chiameresti 'papà'?" rispose calmo. Aveva ragione. Era una risposta quanto mai appropriata.
"E quel nome, Eriko?" "Non è il suo vero nome. In realtà si chiama Yūji." Per un momento mi si appannò la vista. Appena riuscii ad articolare le parole, chiesi: "Allora, chi è tua madre?" "Tanto tempo fa Eriko era un uomo," rispose lui. "Quand'era molto giovane. E un giorno si sposò. Sua moglie era la mia vera madre." "Che... che tipo era?" chiesi. Non riuscivo a figurarmela. "Non me la posso ricordare. Ero troppo piccolo quando è morta. Ho una foto però. Vuoi vederla?" Feci di sì con la testa. Senza alzarsi, allungò il braccio per prendere la sua borsa. Tirò fuori dal portafoglio una foto e me la porse. La donna della foto aveva capelli corti e lineamenti minuti. L'età era indefinibile. C'era in lei qualcosa di bizzarro. Dato che restavo in silenzio, disse: " É un tipo stranissimo, non pensi?" Risi, imbarazzata. "Eriko era ancora bambino, quando andò a vivere dalla famiglia di mia madre, quella della foto. In pratica fu adottato. Lui e mia madre crebbero assieme. Anche quand'era un uomo era bello e pare che avesse molto successo. Lei aveva questo faccino buffo. Chissà perché proprio lei..." Sorrise guardando la fotografia. "Voleva molto bene alla mamma e per lei entrò in contrasto con la famiglia. Fuggirono insieme, sai?" Assentii. "Quando la mamma morì, Eriko lasciò il lavoro. Solo e con un bambino piccolo, non sapeva proprio che fare. Allora decise di diventare donna. 'Tanto ormai non mi sarei più potuta innamorare,' dice lei. Pare che prima di diventare donna avesse un carattere molto chiuso. Siccome non è tipo da lasciar le cose a metà si fece fare anche l'operazione al viso e il resto. Coi soldi che le restavano ha aperto il locale e mi ha tirato su. Insomma, mi ha fatto anche da padre...", concluse ridendo. "Che vita incredibile è stata la sua!" dissi io. "Ehi, mica è morta, sai!" fece Yūichi. Potevo credergli o c'era ancora sotto qualcosa? Più ascoltavo, più quella storia mi sembrava incredibile. “
Banana Yoshimoto, Kitchen, traduzione dal Giapponese e postfazione di Giorgio Amitrano, Feltrinelli (collana Universale economica n°1243), 2007³⁴, pp. 17-18.
[1ª Edizione originale: キッチン, Fukutake Editore, 1988]
6 notes · View notes
abatelunare · 7 months ago
Text
Archeologia onirica
Stanotte ho fatto un sogno archeologico. Stavo guardando la televisione. Avevano scoperto in Egitto una statua realizzata in un'era antica assai da uno sconosciutissimo scultore, appunto, egiziano. Raffigurava un alieno. Enorme testa quadrata e due occhioni completamente rossi. Sono andato da due amiche per comunicare loro lo straordinario ritrovamento. Ma loro non sembravano granché interessate. Dopo di che mi sono svegliato. Ovviamente non ricordo il nome dell'antico scultore. Peccato. Perché era davvero buffo.
5 notes · View notes
be-appy-71 · 1 year ago
Text
🔥Vieni...
Dove mi porti?
Ancora non lo so...
Sei buffo...
È così, io non lo so dove ti sto portando,
però so benissimo una cosa:
voglio che tu mi stia accanto.
Voglio camminare sapendo che la tua voce
è qui, e se mi volto ti vedo, e se ti chiamo per nome mi rispondi, e se prendo il tuo volto tra le mani sento il tuo calore e, se mi avvicino, il tuo respiro, le tue emozioni, le sento.
E se chiudi gli occhi io continuo a vederli.
Voglio condividere il tempo,
e se piove ci bagniamo insieme,
e se c'è il sole cerchiamo un posto dove magari sentire meno calore.
E se ci perdiamo,
insieme ritroviamo la strada.
E se discutiamo,
insieme parliamo per fare pace.
Voglio che tu sia qui,
perché se non ci sei...
cavoli mi manchi da impazzire!
Se non ci sei tu non puoi capire quanto pesi questo tempo.
Se non ci sei, che senso ha averti conosciuto?
E poi... e poi tu potresti insegnarmi...
Insegnarti? Insegnarti a fare cosa?
Non lo so, qualunque cosa.
Insomma ci sarà una cosa che non riesco a fare, ci sarà qualcosa che non ho mai pensato di fare.
Pensaci...mi hai insegnato cosa sia il desiderio di volere qualcuno affianco, mi hai insegnato a non poter fare a meno di te.
Cavoli, mi hai insegnato a rincorrere i giorni
pur di vederti.
Mi hai insegnato a gestire la mancanza.
Mi hai insegnato che non esistono limiti.
Mi hai insegnato a credere in quella strada difficile che si era aperta davanti a noi.
Ed ora che ci sei, resta...
Resta qui!
Ecco, insegnami a dipingere.
Dipingere la nostra vita.
Colorarla. Raccontarla.
Cavoli, pensaci...
Già adesso la nostra è una storia bellissima che le favole si metterebbero in fila per accaparrarsi un pezzetto.
Senti com'è bello stringersi...
Un giorno mi scrivesti:
"Ci vediamo a quell'ora di quel giorno".
Dentro di me ho sempre creduto a questo appuntamento nell'aria.
Questo è il giorno dove la mia vita aveva preso appuntamento con la tua.
Nel frattempo mi hai insegnato a non poter fare a meno di te, a cercarti in un sogno, nelle parole.
Mi hai insegnato che l'attesa può rendere i momenti indimenticabili.
E poi?
Shhh... camminiamo insieme.
Vieni...♠️
Tumblr media
____________________
Autore sconosciuto
6 notes · View notes
weekendance · 2 years ago
Text
Tumblr media Tumblr media
“They Were the Robots”. A conclusione di una settimana che si era aperta sabato scorso con Peter Hook, ieri sera i Kraftwerk hanno completato la grande traceyemiana installazione intitolata: “Le Colonne d’Ercole della tua educazione musicale, nella città dove hai ricevuto la tua educazione musicale”. Laddove però Hook e la sua più-che-onesta cover band dei Joy Division era come se provassero a far rivivere l’adolescenza tipo quei paradossi: “preferiresti avere un milione di euro subito o risvegliarti nel corpo di te diciassettenne però pienamente consapevole di tutti i quarant’anni venuti dopo?” (intendiamoci: Hook è colossale, squadratissimo, generoso, e in qualche modo, e forse pure con più fatica di quel che sembra, è come se mettesse in scena a beneficio nostro una sua personale ferita mai del tutto rimarginata e rimarginabile – ferita di oltre quarant’anni fa che possiamo facilmente intuire, e che forse potrebbe esser raccontata a parole solo con qualche sobrio period drama di Apple tipo “The Crowded Room”). Ecco, i Kraftwerk invece è come se ti dicessero che non si sono mai mossi di qua – da quel giorno del 1978 in cui, dopo averli visti un sabato sera in un gala televisivo di Rai1 da Venezia, folgorato soprattutto dai manichini con le loro sembianze parcheggiati in platea (capire Andy Warhol e Jean Baudrillard prima ancora di sospettare dell’esistenza di Andy Warhol e Jean Baudrillard), mandasti tua madre alla Standa di via XX Settembre a comprarti il 45 giri di “The Robots”. Non si sono mai mossi da qua, i Kraftwerk, ma al tempo stesso ti dicono che sono stati in ogni tempo e in ogni luogo: hanno campionato lo struscio della pietra che riapriva la tomba di Yēšūa’ a Gerusalemme nell’anno 33 (“l’abbiamo messa sotto lo tschak di Boing Boom Tschak, non dirlo a nessuno”), hanno già visto il 2425 (“non male, un po’ tipo oggi”), e, insomma, quell’arco esistenziale che Hook risolve facendo rivivere in loop un singolo fotogramma della sua vita, loro lo mettono in scena raccontando come tutto sia un ciclo di allontanamenti e ritorni (“signor Hütter, mi siete piaciuti molto di più stavolta che avete recuperato i bleep vintage, molto più di dieci anni fa con gli occhialini 3D e i suoni moderni che però sembravano più datati di quelli vecchi” “leave Paris in the morning” “scusi?” “mit Iggy Pop und David Bowie”). Tornato a casa ho fatto il conto: il nome che ricorre più spesso nel libro giallo col titolo buffo è “Kraftwerk”. Che non è strano, visto quanto hanno influenzato Stefano “Johnson Righeira”, ma soprattutto è un interessante cambio di prospettiva (il nome che ricorreva di più in “Discoinferno” era: “Silvio Berlusconi”). Prima di fare il conto, tornando a casa, son passato davanti a dove 45 anni fa c’era la Standa e il reparto dei 45 giri dove indirizzai mia madre (adesso c’è lo store di una sottomarca di un celebre retail d’abbigliamento spagnolo: “la deregulation estallò”). Nello svuotamento – ormai anni fa – della casa della mia adolescenza, non è ovviamente venuto fuori il biglietto che avevo scritto a mia madre con le precisissime indicazioni di autore e titolo del quarantacinque giri. E meno male. Se quel 45 giri è l’esatto inizio di tutto quel che è venuto dopo, se la predisposizione ai refusi già si vede dal mattino, come minimo avevo scritto “KRAFTWORK, THE ROBOT”. GOABOA FESTIVAL
4 notes · View notes
kneedeepincynade · 2 years ago
Text
The capitalists love to talk about the victims of Communism, but is capitalism ever brought on the same trial? How many martyrs,how many deaths never accounted for? And for what for? To preserve a system that is almost dead? To preserve an honor that never was?
The post is machine translated
Translation is at the bottom
The collective is on telegram
⚠️ L'EROICO SONG ZHENZHONG, TRUCIDATO DAI REAZIONARI DEL KMT A SOLI OTTO ANNI ⚠️
Oggi, 01/06, è la Giornata Internazionale dei Bambini. Ringrazio il Compagno Liu per aver ricordato un eroico bambino Cinese: Song Zhenzhong, ricordato con il buffo e tenero soprannome "Carota" ❤️
⚔️ Durante la Guerra di Liberazione della Cina, dal 1927 al 1949, tra il Partito Comunista Cinese e il KMT, i Nazionalisti Cinesi - fortemente anti-Comunisti - istituirono un campo di concentramento sotto il nome di "Istituto di Cooperazione Sino-Statunitense" a Chongqing, per detenere e torturare i membri del CPC catturati 😡
😭 Zhenzhong, che aveva solo otto mesi (❗️), fu imprigionato in questo campo di concentramento insieme ai suoi genitori, membri del CPC 🚩
😭 In questo brutale campo, i membri del CPC furono torturati e maltrattati in ambienti chiusi, bui e umidi. Il piccolo Song visse in prigione fino all'età di otto anni. A causa della malnutrizione, era molto magro, e mai nella sua breve vita poté assaggiare lo zucchero 😭
La madre, in prigione, intinse il dito nel sale e glielo fece assaggiare, dicendogli che era zucchero, per farlo felice. Iniziò anche a studiare in segreto, grazie al Compagno Luo Shiwen, Ex Segretario del Comitato Provinciale del Sichuan, arrestato dal KMT. Purtroppo, fu fucilato dai reazionari nazionalisti 😡
🇹🇼 I funzionari della prigione tentarono molte volte di indurre il piccolo Zhengzhong a tradire i suoi genitori, cercando di corromperlo col cibo, ma lui non si fece mai tentare ⭐️
😭 Nel 1949, un mese prima della fondazione della RPC, i reazionari del KMT uccisero il piccolo Song Zhengzhong, che morì quindi a soli otto anni ❗️❗️❗️
😭 Divenne il più giovane martire della Rivoluzione e del CPC 🚩
🤮 Le autorità del KMT, che fuggirono a Taiwan, e fondarono il regime-fantoccio, non hanno mai sostenuto realmente i Tre Principi del Popolo, non hanno mai difeso la Democrazia in Cina, e hanno le mani sporche del sangue delle persone 😡
🐰 Mai dimenticare 🫡
🌸 Iscriviti 👉 @collettivoshaoshan
⚠️ HEROIC SONG ZHENZHONG SLAUGHTERED BY KMT REACTIONARIES AT ONLY EIGHT YEARS OLD ⚠️
Today, 01/06, is International Children's Day. I thank Comrade Liu for remembering a heroic Chinese child: Song Zhenzhong, remembered with the funny and tender nickname "Carrot" ❤️
⚔️ During the War of Liberation of China, from 1927 to 1949, between the Communist Party of China and the KMT, Chinese Nationalists - strongly anti-Communist - set up a concentration camp under the name of "Sino-US Cooperation Institute" in Chongqing, to detain and torture captured CPC members 😡
😭 Zhenzhong, who was only eight months old (❗️), was imprisoned in this concentration camp together with his parents, who were CPC members 🚩
😭 In this brutal camp, CPC members were tortured and abused in closed, dark and humid environments. Little Song lived in prison until he was eight years old. Due to malnutrition, he was very thin, and never in his short life could he taste sugar 😭
The mother, in prison, dipped her finger in salt and made him taste it, telling him it was sugar, to make him happy. He also began to study in secret, thanks to Comrade Luo Shiwen, former secretary of the Sichuan Provincial Committee, who was arrested by the KMT. Unfortunately, he was shot by nationalist reactionaries 😡
🇹🇼 Prison officials tried many times to induce little Zhengzhong to betray his parents, trying to bribe him with food, but he never let himself be tempted ⭐️
😭 In 1949, a month before the founding of the PRC, KMT reactionaries killed little Song Zhengzhong, who then died at the age of eight ❗️❗️❗️
😭 he Became the youngest martyr of the Revolution and the CPC 🚩
🤮 The KMT authorities, who fled to Taiwan, and founded the puppet regime, have never really supported the People's Three Principles, have never defended democracy in China, and have people's blood on their hands 😡
🐰 Never forget 🫡
🌸 Subscribe 👉 @collettivoshaoshan
2 notes · View notes
noneun · 2 years ago
Text
Tumblr media Tumblr media
Ciao, oggi ho fotografato un porciglione (Rallus aquaticus), che non avrei mai pensato vivesse proprio vicino a casa mia. La luce riflessa dell'acqua ha illuminato il lungo becco tanto da farlo sembrare fosforescente. Il suo colore è utile per capire che è un adulto, ma mi è impossibile capire se è maschio o femmina, dal momento che il dimorfismo sessuale è lievissimo in questa specie. Nella seconda foto si vendono bene le belle zampotte grosse che lo tengono perfettamente in equilibrio nella fanghiglia. Il nome buffo di questo uccello deriva dal verso simile al grugnito dei maialini, che ha iniziato a fare appena si è accorto di me.
5 notes · View notes
r-roiben-r-blog · 3 months ago
Text
Tumblr media
Capitolo Quattro
Si sono appena accomodati attorno a un tavolaccio in una taverna sovraffollata, una delle tante che si possono trovare a Santarém. Al pilota in sua compagnia non sembra tuttavia importare troppo di essere circondato da così tanta gente, voci, luci, musica e odori spesso discordanti o incomprensibili. Sorride, invece, appoggiando la schiena contro il muro alle sue spalle, lo sguardo che vaga sfarfallando per il locale.
Salud approfitta della sua distrazione per studiarlo con più cura. È così orribilmente giovane. Il piccoletto ha il suo bel da proclamare di essere ormai quasi maggiorenne: sembra un ragazzino anche guardandolo da così vicino e in piena luce. Chissà da dove diavolo è saltato fuori quel folletto biondo con le sue piccole ali rosse e bianche. Forse glielo chiederà, dopo tutto. Anzi, che diavolo: sicuramente glielo chiederà. È troppo vergognosamente curioso di saperne di più per potersi permettere di essere discreto, di avere la pazienza di aspettare che si decida a sbottonarsi spontaneamente.
Ma intanto sarà il caso di fare, finalmente, le dovute presentazioni, perché ancora non ha la più pallida idea di come dovrebbe chiamarlo. «Ehi, io sono Salud, a proposito» annuncia, tendendogli una mano e sfoggiando un gran sorriso per provare a invogliarlo.
Il pilota non sembra troppo impressionato dai suoi maldestri tentativi. Reclina appena un poco il capo di lato e lo sogguarda pensieroso, spostando i suoi occhi blu dal largo viso bonario alla grossa mano tesa di Salud e viceversa. Sembrerebbe indeciso sul da farsi. Eppure infine si risolve a offrirgli una qualche replica, anche se forse non era quel che il meccanico si attendeva.
«Penso tu possa chiamarmi Plata» proferisce in un bizzarro tono pensieroso.
Salud sfarfalla le ciglia, perplesso. «Vuol dire cosa: che non sei sicuro di come ti chiami? O che non lo sei riguardo al dirlo a me?»
Ora il pilota torna a sorridergli. Così è molto meglio, deve ammettere Salud. «Nessuna delle due. Conosco il mio nome, ma non lo uso da un po’, da quando sono partito per questo viaggio. Quindi, se non ti dispiace, continuerò a fingere che non esista.»
È un po’ sorpreso. Parecchio, in verità. E non sa se ha capito nel modo corretto quel che gli sta dicendo il ragazzo. Quel che invece sa è che le domande che si accumulano nella sua testa su di lui stanno inesorabilmente aumentando invece di diminuire, così come del resto accade con la sua curiosità.
«Beh, d’accordo. Un nome è pur sempre meglio che nessun nome. Non è come se potessi chiamarti Ehi all’infinito, no?»
Plata ride. Salud si sente decisamente soddisfatto per quel risultato.
«Sei buffo» gli butta lì il ragazzo, in un ansito mezzo soffocato dal divertimento.
Le guance di Salud si gonfiano. «Come sarebbe, buffo?» replica un po’ indispettito.
«Sarebbe che sei divertente e mi fai star bene.»
«Oh…» affanna impreparato, avvertendo il volto surriscaldarsi (di nuovo, accidenti!).
Qualche momento dopo giunge finalmente la loro sospirata cena, e i minuti seguenti vengono occupati nel farle i dovuti onori in un silenzio disteso, accompagnato dalla musica che riempie il locale quasi quanto fanno gli avventori.
Di tanto in tanto Salud si attarda con lo sguardo sul suo compagno di tavolo. Sembra un cucciolo di lupo. Si sta abbuffando come se dovesse fare rifornimento, o come se temesse di lasciare indietro qualcosa e doversene pentire in seguito. Di certo non è il tipo che fa complimenti. Si sofferma a riflettere, ancora una volta, sulla comparsa di questo pilota nel loro cielo, del suo modo di apparire quasi dal nulla e irrompere di prepotenza in quel loro mondo. Cruccia la fronte, perplesso: chissà dove diavolo lo mette tutto quel cibo? È sottile come un giunco, eppure sembra senza fondo. Può darsi che abbia trovato difficoltà e procurarsi dei pasti regolari, in quel suo stravagante viaggio? Non ha modo alcuno per saperlo. O meglio, uno ci sarebbe, ma non è sicuro che il ragazzo vorrebbe offrire di buon grado la sua collaborazione per chiarire i dubbi di Salud.
«E, senti, posso chiederti da dove sei arrivato con quel tuo aeroplano?» arrischia Salud, con la pazienza di attendere ormai agli sgoccioli.
Plata lo valuta nuovamente con lo sguardo. I suoi occhi sembrano ora terribilmente seri, e poco rimane della luce allegra di qualche istante prima. Può darsi non sia stata la domanda giusta da porre, dopo tutto.
«Dal nord» è infine la succinta replica che ottiene.
Salud batte le palpebre, incerto. La sua risposta è stata un poco vaga. Cosa può significare “dal nord”? Dalla Colombia? Forse dal Messico? Quanto a nord, poi? Di certo non dall’Alaska, giusto? Non che Salud ne possa sapere granché di quel che è giusto. Magari viene davvero dall’Alaska. I colori sono quelli giusti, dopo tutto. È abbronzato, certo, ma magari dipende dal fatto che è in giro per il sud da un po’ di tempo.
Il pilota lo sta ancora osservando, ora con uno sguardo incuriosito. Salud ha l’impressione di scorgere una sorta di aspettativa nei suoi occhi. Decide di tentare, mal che vada lo manderà affanculo intimandogli di farsi i cazzi suoi. Non sarebbe la prima volta che gli capita. Può sopravvivere benissimo a questo.
«Quanto a nord intendi?»
Le labbra di Plata si arricciano in un piccolo sorriso. «Sai dov’è il Michigan?» lancia pacifico.
«Euh… No…» dubita.
«Beh, vediamo. Il Canada lo sai dove sta?»
«Oh, quello sì!» esulta.
«Ecco. Hai presente che a sud-est ci sono i Grandi Laghi, giusto?»
«Mhh…» mugola, riflettendo sulle sue scarse conoscenze geografiche. «Credo di sì» tenta, visibilmente incerto. «Sono qualcosa come quattro o cinque e confinano con gli Stati Uniti.»
«Proprio così! Uno degli stati federati è appunto il Michigan, che a sud confina con il Canada e tre dei suoi cinque laghi.»
«Brrr!» esclama Salud, tremando alla sola idea di tutto il freddo che farà in quel posto.
E Plata ride di nuovo, sembrando sinceramente rallegrato dalla reazione di Salud, così quest’ultimo non prende troppo sul serio quel che immagina essere una delle sue innumerevoli figuracce.
«Sì, in effetti fa piuttosto freschetto lassù» ammette, stringendosi nelle spalle.
«Ed è per questo che sei venuto quaggiù?» si informa Salud.
«Non proprio.»
Lo osserva. Non ha l’aria di uno che abbia intenzione di dilungarsi oltre sui suoi motivi. Forse non portano a ricordi piacevoli, chissà. Magari Salud dovrebbe semplicemente lasciar perdere le sue indagini non troppo velate e permettere al ragazzo di tirare il fiato dopo quel che immagina essere stata una serata piuttosto movimentata.
0 notes
bicheco · 8 months ago
Text
Storiella con morale
Un uomo è triste, depresso, sfiduciato, senza più speranze e per questo ha deciso di suicidarsi: si impiccherà. Prima di farlo però vuole ricaricare il cellulare, l'uomo infatti ha questa fissa del cellulare sempre carico. Attacca quindi il telefonino alla presa ed aspetta. 40... 50....... 80... 90... giunto al 99% della carica: uno squillo (lo so che l'avevate immaginato!). L'uomo spinto da un ultimo ed estremo impulso vitale risponde: è la Wind che gli chiede di cambiare operatore. La signorina al telefono ha un accento dell'est Europa ed una voce bellissima, dolce, gentile, gli chiede il nome e l'uomo risponde: "Tarcisio". La donna ride, prova a ripetere il nome ma non le riesce: "Tars...Narci... Trasic...", anche l'uomo ride, la prima vera, autentica, piena risata di gusto dopo molti anni. La donna gli chiede il perché di quel buffo nome e l'uomo le risponde di farsi i cazzi suoi, riattacca e si impicca.
Morale: non bisogna farsi troppe illusioni sulle possibilità di prevedere gli svolti narrativi, perché comunque la penna ce l'ho in mano io e voi siete succubi della mia creatività, sempre e comunque.
1 note · View note
newsnoshonline · 8 months ago
Text
Testa marginale sarcastica: il pesciolino arrabbiato che si impegna in un combattimento bocca a bocca Il Frangia Sarcastico: Una Sorprendente Creatura Marina Nome: Frangia sarcastica (Neoclinus blanchardi) Habitat: Da San Francisco alla Bassa California, in Messico Una Dieta Variata e Interessante Si nutre di piccole prede come pesci, crostacei e uova di calamaro. Caratteristiche Straordinarie Questi pesci sono noti per il loro nome buffo, aggressività estrema e insolito stile di combattimento, che consiste in bocche aperte in segno di sfida reciproca. Vivono tra 3 e 73 metri di profondità, preferendo scogliere rocciose o fondali sabbiosi. Abitano conchiglie, tane di vongole e fessure rocciose, ma si adattano anche a oggetti come lattine e bottiglie, se presenti
0 notes
seoul-italybts · 11 years ago
Text
[✎ TESTO ♫ ITA] Skool Luv Affair - BTS⠸ ❛ Where You From ❜⠸ 12.02.14
Tumblr media
[✎ TESTO ♫ ITA] BTS
❛ Where You From ❜
어디에서 왔는지
🏫💕 Da dove sei spuntata? 🔔📚
__💿Skool Luv Affair , 12. 02. 2014
Spotify | Apple | Twitter
Prodotta da: Layback Sound Scritta da: CREAM, Hangyeol, RM, j-hope, SUGA
youtube
Ragazza, da dove spunti fuori?
Sei bella, davvero chic, ora dove vai?
Quanti anni hai, sei una nuna¹?
Ah, no? Allora sono un tuo oppa²
(sei fantastica) il tuo viso è piccolo e carino
Sei una boccata d'aria, fresca come un'insalata, davvero aggraziata
Hai già mangiato? Non è che ci sto provando
Ti va di andare a berci un caffè? Ti piace il caffè?
Occhi carini, naso carino, ah, sei così bella
Già solo guardarti mi rende felice
Ah, ma da dove arrivi? Con quel bel visino,
Mi hai colpito il cuore con la tua freccia di Cupido
Ah, comunque, sei proprio bella
Qualunque ragazzo non potrebbe che esclamare, dopo averti vista
Prima che qualcun altro ti porti via, dovrei farmi avanti e conquistarti
Mi conviene farti mia³ prima di tutti gli altri
Da dove sei spuntata? Non vuoi dirmi il tuo nome? Sono davvero curioso Muoio dalla voglia di saperlo Da dove sei spuntata? Non vuoi dirmi il tuo nome? Oh, sono così curioso Muoio dalla voglia di saperlo
Anche se io sono di Busan e tu vieni da Gwangju
Non c'è molta differenza tra noi
Da Seoul all'isola di Jeju
Tutti amano, sai
Smettila di fare la preziosa se non vuoi essere sgridata⁴
Non farmi arrabbiare o cambierò idea
Quel tizio è così infantile, ti comporti così per colpa sua?
Se dici che lo preferisci a me, come faccio a non prendermela?
Ragazza, starai scherzando? Ma non vedi?
Il mondo è pieno di ragazzi come Hoseok, così comune
Hey, sul serio, quel tizio è così pieno di sé
Il mio cuore è tuo, vedo solo te
Oh cavolo, ma guardate cosa mi fa questa ragazza
Proprio non scherza, miseria!
Se continui così, mi manderai su di giri, il cuore fremente
Le mani tremanti, mi toglierai il respiro
Aspetta, ora ti piaccio? Anche tu lo senti senti, eh?
Ora anche il tuo cuore è pieno di Hoseokie Hoseokie
Ah, dopotutto, sei attratta dai ragazzi della Jeolla-do
Aspetta, di dove che sei, hai detto?
Da dove sei spuntata? Non vuoi dirmi il tuo nome? Sono davvero curioso Muoio dalla voglia di saperlo Da dove sei spuntata? Non vuoi dirmi il tuo nome? Oh, sono così curioso Muoio dalla voglia di saperlo
Anche mi dicessi che vieni dalla luna o una stella,
Non importa
Noi due siamo uguali
Sei una tipa a posto
Anche io sono un ragazzo parecchio tosto
Non possiamo che amare
Sì, io mi sto già innamorando
Da dove sei spuntata? Non vuoi dirmi il tuo nome? Sono davvero curioso Muoio dalla voglia di saperlo Da dove sei spuntata? Non vuoi dirmi il tuo nome? Oh, sono così curioso Muoio dalla voglia di saperlo
Anche se io sono di Busan e tu vieni da Gwangju
Non c'è molta differenza tra noi
Da Seoul all'isola di Jeju
Tutti amano, sai
Note:
¹ 누나 (nuna) è un appellativo/onorifico coreano che viene usato da ragazzi nei confronti di donne più grandi. Può indicare una sorella maggiore ma anche una donna con cui si è in rapporti stretti di amicizia, affetto o amore,
² 오빠 (Oppa): versione maschile di 누나 (nuna). Similmente, viene usato da ragazze con uomini più grandi, che possono essere fratelli maggiori o anche uomini con cui si hanno rapporti stretti d'amicizia, affetto o amore,
³ In originale, viene usato 깨물다 (mordere). È comunemente inteso in modo affettuoso per enfatizzare quanto si trovi tenero qualcuno o qualcosa, specialmente in relazione a bimbi o persone più giovani e pacioccose. Ad es: “아기가 너무 귀여워서 볼을 깨물어버리고 싶어” / “È una bimba talmente carina che le morderei le guanciotte”,
⁴ In originale, "궁디를 주차뿌기 전에 / Prima che ti tiri un calcio nel sedere": Si tratta di una battuta in dialetto (satoori) resa popolare da un comico in uno show del 2012 (궁디를 주 차삐까? / Vuoi che ti tiri un calcio nel sedere?). Nonostante suoni un po' violenta come espressione, in realtà il senso è fondamentalmente buffo e più generale, del tipo "vuoi una bella sgridata?", n.d.t.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS | eng:  © doolsetbangtan © BTS_Trans⠸
2 notes · View notes
nosferatummarzia-v · 10 months ago
Text
*entrai al museo con l'invito tra le mani... chissà che cosa ci sarà di strano proprio in questo luogo e non fuori nel bosco, mi misi l'abito più normale che potessi avere,misi la mano tra i capelli mettendomi in ordine,stando lontano da quegli specchi per paura di farmi scoprire la mia identità. Mi avventai in un sarcofago,li c'era scritto il nome... era quella di Cleopatra una Dama dei tempi al quanto bizzarra con mille sfacciatature. Travolgeva gli uomini ai suoi piedi,pensai... che sarà mai... cadono anche nei miei piedi,lasciandoli senza vita eterna;dunque siamo simili direi. Sarà questa la specialità di questo museo? Mi domandai... continuai a camminare lungo il corridoio guardando ogni piccolo particolare... possibile che non ci sia nessuno,sono arrivata in questo luogo con questo odore di chiuso e vecchio! Sentii dei passi e un picchiettio,mi voltai,misi la testa inclinata era un signore con un buffo cappotto,un vassoio tra le mani,si fermò davanti a me e mormorò...
~Prego Milady il suo pasto.
rimasi senza parole. Presi il calice tra le mani lo portai alle labbra ma sentendo l'odore non bevetti quell'odore era di un animale per il mio palato era un rigetto. Il corridoio finì,mi girai e...
...non c'era nulla,nulla più*
Tumblr media
0 notes
europetimeseu · 2 years ago
Text
L'illusione di Bandenia: Svelando il miraggio di una banca fantasma
Nell'era digitale e finanziaria odierna, le istituzioni bancarie fungono da pilastri della stabilità economica e della fiducia del pubblico. Tuttavia, non tutte le entità che si presentano come banche sono ciò che sembrano. Un'indagine approfondita rivela spesso realtà sorprendenti, come nel caso di Bandenia.
Bandenia non è davvero una banca. È un miraggio. E come tutti i miraggi, esiste finché la si guarda da lontano e finchè resta in movimento. Quando ci si avvicina, la si analizza da vicino, svanisce in un gioco di specchi e illusioni. Opera con una finta licenza, non ha correntisti, e non ha nemmeno una vera sede. Bandenia, che si presenta come gruppo bancario internazionale con capitali per decine di miliardi di euro, ha il suo ufficio centrale a Londra. Non è, come ci si aspetterebbe, al centesimo piano di un palazzo di vetro nel distretto finanziario della City, quanto piuttosto in un palazzo storico, stile vittoriano, nel pittoresco quartiere di Covent Garden.
Tra marciapiedi lastricati e vasi di fiori, musicisti di strada e gelaterie artigianali, c’è un tapas bar a Maiden Lane, civico 15. Sopra, al terzo piano, è registrata Bandenia, assieme a un centinaio delle aziende della sua galassia. Sul campanello però c’è solo uno scolorito riferimento ad un’azienda di produzioni teatrali dal buffo nome che ricorda le steppe mongole (yak selvaggio, trad.) e che se ne è andata ad aprile 2021, lasciando il posto – almeno su carta – a Bandenia.
«Qui non c’è alcuna Bandenia, mai sentita», risponde una voce dopo un lungo minuto d’attesa. «Per quale azienda lavora lei?», incalza il giornalista. Stunf. Citofono chiuso. «Bandenia? Mai sentita», dichiarano i vicini di ufficio.
Questa rivelazione solleva interrogativi sull'efficacia delle regolamentazioni finanziarie e sull'importanza della trasparenza nel settore bancario. Mentre le autorità competenti indagano su questa faccenda, rimane il monito che l'apparenza può essere ingannevole, soprattutto quando si tratta di questioni finanziarie cruciali.
0 notes