#cani-della-notte
Explore tagged Tumblr posts
Text
Quando la gente fa schifo, fa schifo sempre, in tutte le circostanze e questo è il caso dei miei parenti, vi racconto: è morta una mia prozia in Belgio, prozia che tutti noi parenti sapevamo piena di grana, ma che comunque è stata lasciata a se stessa nel momento del bisogno. Storia triste quella della mia prozia; Parte per il Belgio nel dopoguerra perché suo marito aveva trovato lavoro in miniera, mette al mondo due figli entrambi con la distrofia muscolare che si sono spenti poco a poco, anno dopo anno e suo marito muore abbastanza giovane. Facendo grandi sacrifici è riuscita a farsi una bella casa in una cittadina del Belgio ha cucito giorno e notte per sbarcare il lunario e alla fine visto che era abituata a vivere con niente ha messo via una discreta quantità di soldi. È stata sempre generosa con tutti noi, ma noi poco abbiamo fatto quando ne ha avuto bisogno. Pochi mesi fa cade, si rompe il femore, le amiche non riescono ad accudirla a casa e la mettono in una RSA, in questa RSA si prende il COVID, la prozia muore. Fino a qui tutto male direi no? Ma non per i miei parenti, che si sono fiondati sull'eredità come vampiri assetati di sangue, appena saputo della morte sono partiti come razzi per il Belgio, contattato avvocati, notai e chi più ne ha più ne metta ma dell'ingente somma della prozia nessuna traccia, nei ben 4 conti ci sono poche centinaia di euro, di oro e preziosi in casa nemmeno la puzza, inoltre, nessun testamento, solo 4 righe scritte a penna in stampatello, lasciate nel comodino della camera su un foglio a quadretti dove c'è solo scritto che la casa andrà al centro per la distrofia muscolare i gatti e i cani alle sue amiche e in ultimo la motozzappa e tutte le attrezzature agricole dello zio....... a me.
#saluti a tutti i miei parenti#che mi hanno lasciato con le pezze al culo anni fa togliendomi tutta la terra#v'attaccate al cazzo anche stavolta#sopportatemi#ve vojo bene#buona domenica
276 notes
·
View notes
Text
Un cane non è un oggetto e non può essere regalato così, con semplicità, un cane diventa un componente della famiglia, non può essere un capriccio, ma una scelta consapevole e ben ponderata. Ci sono tanti cani del canile che attendono una famiglia, una casa. Sapete quanto amore sono in grado di donare? Più di quanto possa farlo un umano, mi dispiace doverlo dire... più mi guardo intorno e, più vedo umani senza sentimenti, che hanno una pietra al posto del cuore.
I nostri dolci amici, hanno tanto da insegnare, sono fedeli, affidabili, protettivi, gioiosi, custodi. Lo sono per natura! Ad essi basta una piccola ciotola di crocchette, e un po' d'acqua. Adotta ed abbi cura del migliore amico dell'uomo. Ti Ricambierà con il suo incondizionato amore.
(Angela P.)
Notte a tutti ✨✨✨
36 notes
·
View notes
Text
C'è una persona, dove lavoro io, di una decina d'anni meno di me, con la quale sono entrata in confidenza
Scoperto di essere molto simili in tema di fantasie sessuali , abbiamo iniziato a raccontarci un po' di esperienze. Quello che lo distingue totalmente da me è che lui, le sue avventure, le vive con la bella e giovane moglie o comunque sempre con il suo consenso.
Sono naturisti, scambisti, e mi ha raccontato di giochetti che, devo ammettere mi hanno eccitato sempre molto
Una volta mi disse che avevano partecipato ad un festino dove la bella S. era stata messa in una gogna ed era rimasta a disposizione di uomini e donne per ore. Insomma hanno trovato il modo di dare spazio alle loro perversioni all'interno della coppia, ed io non posso far altro che invidiarli, ovviamente.
Lui aveva 23 anni quando mi confessò che gli facevo molto sangue e da allora non ha mai smesso di scoparmi con gli occhi. Era già fidanzato, ma dopo il matrimonio ha iniziato a provare a tirarmi dentro ai loro giochi con la complicità della neo mogliettina , ma nn mi sono mai sentita di mischiare il lavoro con il piacere, nonostante abbia sempre trovato piuttosto eccitante il suo sorriso con le fossette ai lati.
Insomma, per farla breve (sono quasi le due di notte e io crepo dal sonno) , ieri gli parlo delle fotografie viste su un social a contenuti espliciti che frequento, di gabbiette in plastica lucida o in freddo metallo e dei cazzi rinchiusi e frustrati su cui erano montate.
Conosce il mio passato, sa che ne possedevo una e sa che sto aspettando la consegna della prossima , così ho trovato piuttosto naturale raccontargli di quanto il mio cervello si senta "rapito" da quel tipo di strumento, gli ribadisco la sensazione di onnipotenza, di possesso ma anche di protezione . La verità è che al pensiero mi schizza l'ormone dritto in fica, dopo avermi masturbato il cervello.
Lo stesso effetto che mi fa pensare alla cintura di castità, quando mi impedisce di scopare, ma non di gocciolare come una stalagtite di ghiaccio al sole o... una lurida troia .
So che ha uno strumento simile alla gabbietta che si è autocostruito, con tutta una serie di punte che, ogni volta che sta per diventargli duro, si conficcano nella cappella.
Una gabbietta di metallo alquanto singolare.
Mi racconta che spera sempre che sua moglie lo obblighi a venirci a lavorare con quel coso. Lei, però, è sí una gran porca, ma nn ha smanie di controllo, e poi è nuovamente incinta e ha momentaneamente perso interesse per questi giochi.
Naturalmente non posso esimermi dal fare la stronza e gli dico cosa gli farei fare io con lo strumento costrittivo.
Credo che iniziata la descrizione della mia lingua tra una fessura e l'altra gli fosse già diventato duro, così passo a descrivere bene quanto il succhiare la punta sbavando saliva dentro e fuori lo strumento potesse essere davvero eccitante per entrambi... Ecco che mi manda affanculo e esce dall'ufficio ridendo.
Tutto normale insomma.
Questa mattina, però, entra in ufficio e mi mette sulla scrivania un paio di chiavi.
Il mio sguardo interrogativo dura davvero pochissimo e in un nano secondo so già a cosa servono
"L'hai indossata? "
Dice di no ma mi spiega che ne ha portate 3:
la prima, quella con le punte, già la conosco, la seconda è una vera e propria gabbia di metallo con chiusura personalizzata da lui, la terza è un cazzo di strumento ad impulsi elettrici, quella per i cani, che ha modificato e applicato ad una gabbietta per poterla indossare
Tralasciamo il fatto che avessi già le mutandine zuppe, ma quando mi ha chiesto di scegliere quale dovesse mettere, ho davvero pensato di correre nel cesso a masturbarmi
(in realtà l'ho fatto ma non gliel'ho detto)
Mi ha detto che l'altro mazzo di chiavi ce l'ha sua moglie e che per lei andava bene ne tenessi uno io.
Ho scelto quella con le punte, perché volevo soffrisse un po'
e perché mi ha confessato di non sentirsi sicuro a darmi in mano il telecomando di quello che procura scosse elettriche. Dice che sono PERICOLOSA e che sul lavoro sarebbe difficile nascondere la situazione
Quanta saggezza!
Io lo vedevo già in ginocchio a contorcersi in mezzo al piazzale dell'azienda.
Gli ho promesso che, se si comporterà bene, lo porterò a pranzo fuori e quando "ballerrà" sulla sedia col cazzo torturato a dovere, diremo che soffre di
epilessia 😁
Ovviamente ho cercato, con le giuste parole, di farglielo venire duro ogni volta che potevo e le sue smorfie di dolore mi dicevano quando ci riuscivo. Poi gli ho detto che, tutto divertente, tutto figo, ma comunque, non avremmo scopato .
Mi ha guardato con quel sorriso che da sempre mi spiazza e uscendo ha detto
"Inizia a giocare, poi vediamo"
Durante il pomeriggio sono salita in magazzino per controllare del vestiario e non riuscivo a smettere di pensare a quella gabbietta
I pensieri si accavallavano ai ricordi di quello che era stato , e potevo sentire l'odore del cazzo recluso, sentivo il gusto della plastica mischiata all'urina
Ho pensato che dovevo masturbarmi e voltamdomi per andare via me lo sono trovato di fronte
-"Vuoi vederlo" ?
Si cazzo, volevo!
Volevo vederlo, toccarlo assaporarlo
Vedevo la sua smorfia si dolore mentre aspettavo si slacciasse i pantaloni, guardavo le sue mani tremare ed ero compiaciuta.
Poi eccolo lì, nella gabbia lucente, chiuso da un lucchetto appeso al suo piercing
Ops!! avevo dimenticato di dirvi che ha una cannula che gli entra nell'uretra fermato da un piercing ? Cristo. Avrei potuto sborrare immediatamente .
Lo guardavo come guardo la cioccolata dopo un mese di dieta e credo di aver sentito un rivolo di saliva colarmi dal mento
"Vuoi toccarlo"?
Lo stronzo aveva pieno potere: era lui quello ingabbiato, ma ero io quella sopraffatta, soggiogata
Appena l'ho toccato ho sentito il mio clitoride allungarsi verso quell'oggetto diabolico
La capella era gonfia e bollente, usciva dal cilindro e nascondeva le punte del metallo conficcato alla base di essa
Un cazzo moscio che stava per esplodere!!!
"Vuoi leccarlo"?
L'ha detto tra i denti, mentre cercava di non abbandonarsi al dolore, consapevole fosse proprio quello ad eccitarlo tanto da farlo grugnire come un maiale
L'ho leccato. Ho preso prima in bocca l'anello e poi sono scesa lunga la cannula, fino ad incontrare la carne
Respirava sempre più forte e guardandolo mi sembrava che ormai non fosse più lì. Ero sola con le mie voglie, le mie fantasie, le mie pulsioni.
Ho sentito le chiavi nella tasca, ma questa volta non avrei ceduto all'impulso di liberazione così ho iniziato a succhiare cazzo e metallo, sentendo gusto di ferro, di sale, di sesso
Ho infilato tutto in bocca, ho sentito il piercing conficcarsi nel retro della gola
Lui aveva la testa rovesciata all'indietro e vacillava sulle gambe. Lì ho iniziato a pisciare, a colarmi addosso urina senza nemmeno accorgermene.
Ho battezzato il momento col liquido paglierino e masturbandomi ho fregato il mio sesso tanto forte da rischiare di incendiarlo.
Mi ha distratto il gusto del sangue, il suo.
Da sotto la capella le punte erano così penetrate e la cappella così gonfia che da alcuni punti uscivano minuscole goccioline rosse
Credo sia stato quello a farmi venire, insieme all'idea che avrei confessato tutto all'uomo che stavo aspettando e che poi mi avrebbe punita.
Gli ho lavato le scarpe e ho goduto come una cagna, leccandomi le dita, e leccando lui.
Si è appoggiato ad una stagiera per non cadere e ammetto, per un momento, di essermi maledetta per non avergli permesso di sborrarmi giù per la gola.
Mi ha guardato con gli occhi fuori dalle orbite e ha detto :
"Ringrazio il cielo di non averti dato in mano quello ad impulsi elettrici... rischiavo la vita, cazzo"
Buonanotte.
69 notes
·
View notes
Text
Il 27 ottobre è la “Notte degli Spiriti Animali”, quando cani e gatti (e non solo) tornano a trovare chi li ha amati
Nel cuore delle celebrazioni che anticipano il “Día de los Muertos” (“Il giorno dei morti”), il 27 ottobre in Messico si celebra la “Noche de los Espíritus Animales” (“Notte degli Spiriti Animali”), un’antica tradizione che unisce il popolo messicano alla spiritualità e al mondo della natura. Questa ricorrenza rende omaggio agli spiriti degli animali che, secondo la credenza popolare, accompagnano l’anima umana nella vita e nella morte e che nella notte fra il 27 e il 28 ottobre tornano dall’aldilà per andare a trovare chi li ha amati.
La “Noche de los Espíritus Animales” affonda le sue radici nelle antiche tradizioni indigene del Messico precolombiano, in cui era diffusa la convinzione che ogni essere umano nascesse con uno spirito animale guida, chiamato “nagual” o “tonal”, secondo le diverse regioni del Paese. Questo spirito animale, una sorta di totem o alter ego, sarebbe stato un alleato spirituale che influenzava il carattere della persona, la proteggeva e le forniva guida nelle decisioni della vita quotidiana.
18 notes
·
View notes
Text
Paura di vedere la macchina della polizia fermarsi davanti casa. Paura di addormentarsi la notte. Paura di non addormentarsi. Paura del ritorno del passato. Paura del presente che fugge. Paura del telefono che squilla nel cuore della notte. Paura delle tempeste elettriche. Paura della signora delle pulizie con un neo sul viso! Paura dei cani che mi hanno detto che non mordono. Paura dell'ansia! Paura di dover identificare il cadavere di un amico. Paura di finire i soldi. Paura di averne troppi, anche se a questo non ci crederanno mai. Paura dei risultati dei test psicologici. Paura di essere in ritardo e paura di arrivare prima degli altri. Paura della calligrafia dei miei figli sulle buste. Paura che muoiano prima di me e che mi sentirò in colpa. Paura di dover vivere con mia madre anziana, anziano anch'io. Paura della confusione. Paura che questo giorno finisca su una brutta nota. Paura di svegliarmi e scoprire che te ne sei andata. Paura di non amare o di non amare abbastanza. Paura che quel che amo risulterà letale per quelli che amo. Paura della morte. Paura di vivere troppo. Paura della morte. L'ho già detta. Raymond Carver - Paura
12 notes
·
View notes
Text
" La sera del 9 luglio 1994, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è rimasto un sacco di tempo ad ammirare la fontana di Diana e Atteone nella Reggia di Caserta. Non posso dire che quelli che erano insieme a lui fossero i suoi amici, però anche lui era dentro la Reggia chiusa al pubblico, e senza nemmeno aver dovuto scavalcare. Era già buio, ma per la prima volta era stata accesa un'illuminazione notturna sull'intero parco - vuoto. C'erano anche sua moglie Veronica, Bill e Hillary Clinton, Eltsin, Mitterrand, John Major e altri. Quell'anno la riunione tra le grandi potenze del mondo, il G7 (a cui si era aggiunta la Russia di Eltsin, per un giorno), era stato organizzato a Napoli. C'erano stati incontri diplomatici, passeggiate delle first ladies sul lungomare e al Maschio Angioino, una gita in costiera amalfitana, Clinton era andato a mangiare in una pizzeria del centro. Ed era stata fissata una cena di gala, l'ultima sera, nei saloni della Reggia di Caserta. Mi raccontavano che nella nostra città c'era molta eccitazione, e lavori di riqualificazione: era stata progettata un'illuminazione speciale nel parco. Noi avevamo vissuto per tutta la vita con la Reggia che chiudeva prima del tramonto, un buio silenzioso e spaventoso accanto alle nostre case vive, in città. La sera della cena di gala, il presidente della Repubblica Scalfaro ha accolto gli ospiti, incantati dal Palazzo Reale, e le luci si sono accese illuminando l'intero parco, fino a lassù, alla cascata. Dopo cena, le auto hanno portato tutti a fare un lungo giro, infine si sono fermate in alto, alla fontana. Berlusconi e gli altri, insieme alle mogli, sono scesi dalle auto e hanno passeggiato intorno alla fontana. Qualcuno ha anche sfiorato l'acqua con le dita. E mentre la serata era fresca e bellissima, e tutti ammiravano lo sguardo sorpreso di Diana e i cani che sbranavano Atteone, l'acqua della cascata che rompeva con dolcezza il silenzio, e laggiù l'intero parco deserto e splendente, Berlusconi ha constatato che il luogo e la serata fossero molto romantici, ha atteso le traduzioni e poi si è aperto in un sorriso furbo, molto furbo, e ha concluso: «Attenzione che sennò questa notte aumentiamo la prole». Il giorno dopo ha anche detto che una fontana così bella non l'aveva mai vista in vita sua. "
Francesco Piccolo, Il desiderio di essere come tutti, Einaudi (collana Super ET), 2017; pp. 159-160.
[1ª edizione nel 2013 nella collana Supercoralli]
#letture#leggere#citazioni#Storia d'Italia#libri#Francesco Piccolo#derisione#disprezzo#retorica#sinistra#Il desiderio di essere come tutti#democrazia#Reggia di Caserta#Seconda Repubblica#Bill Clinton#Hillary Clinton#Borís Él’cin#letteratura italiana contemporanea#Silvio Berlusconi#François Mitterrand#John Major#populismo#Forza Italia#Napoli#politica italiana#Oscar Luigi Scàlfaro#italiani#miti greci#cattivo gusto#impudenza
12 notes
·
View notes
Note
Ma fammi capire perchè tieni così tanto ai tuoi cani?
Una notte ero fuori con loro, nel bosco.
La luce della luna filtrava appena tra i rami, quando a un certo punto mi accorgo che entrambi si sono immobilizzati e puntano una macchia di vegetazione fitta, ringhiando sommessamente.
Improvvisamente i rami si schiantano e un orso bruno si avventa su di me, coprendo i pochi metri che ci separavano a una velocità tale da non lasciarmi scampo.
L'orso alza una zampa dagi artigli lunghissimi e io ho solo il tempo di chiudere gli occhi e sussurrare un ringraziamento a Crom per la lunga vita concessami.
Un ruggito di dolore.
Otto è appeso all'enorme zampa dell'orso e ne sta dilaniando muscoli e i tendini, scuotendosi nell'aria col suo corpo minuscolo e sventagliando sangue attorno.
L'orso lo azzanna sulla schiena, uno scricchiolio d'ossa ma Otto non molla la presa.
E a quel punto Cthulhu spicca un balzo e affonda i denti nella gola scoperta dell'orso, che ruggisce di dolore e schizza bava sanguinolenta.
Otto ha la schiena spezzata e Cthulhu l'addome lacerato dalle unghiate ma tutti e due continuano a mordere le carni della bestia.
Ho solo questa occasione.
La punta in bronzo seghettato della lancia che affondo con furia attraversa la folta pelliccia e penetra nel petto dell'orso, spaccandogli il cuore in due e facendolo crollare a terra.
Otto e Cthulhu uggiolano, entrambi accasciati a terra coperti di sangue, l'uno accanto all'altra ma mi rendo conto che con le loro ultime forze stanno scodinzolando gioiosamente come per dire 'Hai visto? Ce l'abbiamo fatta!'
Lascio cadere la lancia e mi inginocchio accanto a loro.
Con le mani gli accarezzo delicatamente il muso e poi appoggiando la fronte sui loro nasi sussurro 'Finché sarete con me nessuno vi farà mai più del male...'
E l'attimo dopo non ci sono più.
Ecco... tredicimila anni dopo intendo continuare a mantenere questa mia promessa.
Nessuno farà mai più loro del male.
37 notes
·
View notes
Text
È bella di notte la città. C'è pericolo ma pure libertà. Ci girano quelli senza sonno, gli artisti, gli assassini, i giocatori, stanno aperte le osterie, le friggitorie, i caffè. Ci si saluta, ci si riconosce, tra quelli che campano di notte. Le persone si perdonano i vizi. La luce del giorno accusa, lo scuro della notte dà l'assoluzione. Escono i trasformati, uomini vestiti da donna, perché così gli dice la natura e nessuno li scoccia. Nessuno chiede conto di notte. Escono gli storpi, i ciechi, gli zoppi, che di giorno vengono respinti. È una tasca rivoltata, la notte nella città. Escono pure i cani, quelli senza casa. Aspettano la notte per cercare gli avanzi, quanti cani riescono a campare senza nessuno. Di notte la città è un paese civile.
Erri De Luca - da Il giorno prima della felicità
22 notes
·
View notes
Text
Minù per sempre
Mancano due giorni al tuo compleanno cara Minù, due giorni e arriverai alla tua doppia cifra. Dieci anni.
Mancavano poche ore Minù, pochissime. Ma tu come molte attrici del passato, che così hanno conservato la loro bellezza per sempre in uno scatto fotografico, te ne sei andata prima. Il tuo cuore malandato nella notte ha ceduto.
Non me l'aspettavo che nel giro di dodici ore, dall'essere la Minù di sempre, ti sia trasformata in una palla di neanche due chili inerme.
Ti ricordi qualche settimana fa? Ti dissi di non aver paura, che ne avrei avuta io per entrambi. Ho le spalle larghe.
Ecco, ora non ho più paura ma un vuoto spaventoso, resta di te l'ultimo contatto. Quando prendendoti in braccio come un neonato, dopo averti baciato sulla nuca, hai infilato la tua testolina sotto il mio mento. Cercando protezione e calore.
Quel contatto che cercavi sempre appena ci si sdraiava sul divano o sul letto, occupavi poco spazio su di noi. Eppure il calore del tuo amore scaldava.
Incredibile come un esserino come te riempisse così tanto.
Sei nata nella notte di Santa Lucia, sei stata un dono per molte cose. Ci lasci Tea la tua bimba che ora girovagherà da sola senza più una mamma-amica compagna di giochi.
Ho sentito dire che alcune eminenze dicono che i cani non hanno un'anima. Vero o falso non l'ho so, ma sono certo che tu la mia anima l'hai rasserenata e aggiustata la dove gli umani con l'anima certa, non ci sono riusciti. Anzi.
Ora che dire, sei sul ponte o lo avrai attraversato non lo so. Una cosa è certa, con la tua innata curiosità lo starai facendo con le orecchie dritte e in piena attenzione.
Mi diranno di non piangere che un cane non è un essere umano, che lei non aveva coscienza della morte e che tutto come ogni fatto della vita passerà.
Evidentemente non hanno mai visto te starmi vicino quando avevo l'ansia, guardarmi con i tuoi occhioni compassionevoli mentre piangevo oppure i discorsi che ti facevo sul divano. Si molto probabilmente quelli ti annoiavano, visto che ti addormentavi su di me.
Se tu non avevi un'anima allora sei stata in gamba, anzi in zampa, a far crescere la mia. Io credo che un'anima molto più grande del tuo piccolo corpo ce l'avevi. Eccome.
Tranquilla, piango ora che è mattino presto, al buio, così non mi vedrà nessuno. Neanche la tua piccola Tea che ti sta aspettando alla porta d'ingresso.
Addio mia piccola Minù. Un bacio sulla testina piccina.
33 notes
·
View notes
Text
Bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori dal comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza e mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere. Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
– e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento, tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente, o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza
enormemente giovane; e in questo è disumano,
perché non lascia tracce, o meglio, lascia solo una traccia
che è sempre la stessa in tutte le stagioni. Un ragazzo ai suoi primi amori
altro non è che la fecondità del mondo.
È il mondo così arriva con lui; appare e scompare,
come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,
e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più; l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque la solitudine è ancora più grande se una folla intera
attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –
l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente
come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte. Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,
e per te non è mutato niente: allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe essere più soddisfatto
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’é cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.
Pierpaolo Pasolini
32 notes
·
View notes
Text
È bella di notte la città. C'è pericolo ma pure libertà. Ci girano quelli senza sonno, gli artisti, gli assassini, i giocatori, stanno aperte le osterie, le friggitorie, i caffè. Ci si saluta, ci si riconosce, tra quelli che campano di notte. Le persone si perdonano i vizi. La luce del giorno accusa, lo scuro della notte dà l'assoluzione. Escono i trasformati, uomini vestiti da donna, perché così gli dice la natura e nessuno li scoccia. Nessuno chiede conto di notte. Escono gli storpi, i ciechi, gli zoppi, che di giorno vengono respinti. È una tasca rivoltata, la notte nella città. Escono pure i cani, quelli senza casa. Aspettano la notte per cercare gli avanzi, quanti cani riescono a campare senza nessuno. Di notte la città è un paese civile.
Erri De Luca - Il giorno prima della felicità
13 notes
·
View notes
Text
Parasceve. Questo è il giorno, questa è l'ora...
Pasqua significa "Pass-over", cioè passare oltre, risparmiare, salvare. La Pasqua, fu istituita per commemorare la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù egiziana. In essa si ricordava e si celebrava la memoria della notte in cui l'angelo sterminatore passò nelle case per uccidere tutti i primogeniti d'Egitto, risparmiando quei figli di Israele. L'ordine era: "Uccidete un agnello senza macchia per ogni famiglia e ogni casa, spargete il suo sangue sugli stipidi e sulle architravi degli ingressi. Quando l'angelo passerà non toccherà nessuna delle persone che si troveranno dentro le case segnate con il sangue, sugli stipidi delle porte chiuse. Cosi il sangue di quell'agnello sarà la salvezza di tutte le suddette persone, perchè l'angelo passerà oltre".
=🤍=
📖 Il giorno seguente, Giovanni vide Gesù che veniva verso di lui e disse: "Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo!". (Gv. 1:29)
==Gesù è la nostra Pasqua==
Senza difetto e senza macchia e il suo sangue è il suo segno di giustizia, davanti al Padre, per la nostra giustificazione, e per la nostra salvezza. Mentre lui versava il suo sangue prima e dopo la croce, chi ha creduto è stato risparmiato perchè il giudizio é "passato oltre", e per questo è stato salvato, ma chi non ha creduto o non crede sarà condannato. La Pasqua, è la commemorazione del suo trionfo e non della sua morte, ma della sua vita. La Pasqua, è il ricordo del sacrificio più grande che si sia mai fatto al mondo, a favore di tutta l'umanità. Gloria, lode a te Signore. Amen!
(3)Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna. Eppure egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori; noi però lo ritenevamo colpito percosso da Dio, umiliato. (5) Ma egli è stato trafitto per tutte le nostre trasgressioni, schiacciato per tutte le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace, è caduto su di lui e per le sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti, come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via e l'Eterno ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato ed umiliato, non aperse bocca. Come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aperse bocca. (Isaia 53:3-7 📖)
=❤️=
Sono versato come acqua e tutte le mie ossa sono slogate. Il mio cuore è come cera che si scioglie in mezzo alle mie viscere. Il mio vigore, si è inaridito come un coccio d'argilla la mia lingua attaccata al mio palato tu m'hai posto nella polvere della morte. Poichè cani mi hanno circondato, ed uno stuolo di malfattori mi ha attorniato, mi hanno forato le mani e i piedi. Ora io posso contare tutte le mie ossa, ed essi mi guardano, e mi osservano. Spartiscono fra loro le mie vesti e tirano a sorte la mia tunica.
(Sl. 22:14-18)
=🙏=
A te la lode, la gloria, l'onore e la magnificenza, la maestà, e la potenza, nei secoli dei secoli. Grazie Signore!
lan ✍️
52 notes
·
View notes
Text
TOKYO MEW MEW REWATCH - EP 45
- Saprai la verità molto presto.
Ma perché? Ma che ne sa Ryou, che logicamente dovrebbe essere confuso come tutti gli altri! Questa è una delle parti dove New ha fatto un miglioramento: eliminare tutto il teatrino dei sospetti su di lui, e mostrarlo mentre cerca risposte insieme agli altri invece di fargli dire frasi a effetto canis mentulae.
Ah, nel doppiaggio italiano si parla di bisboccia tutta notte. Mica male. I sottotitoli inglesi fanno qualcosa di molto più allusivo, e io nuovamente resto con il dubbio amletico di 'ma quale sarà quello più fedele all'originale?'.
- Sì, finalmente l'idea giusta per risolvere quel buco di trama ... e le parole giuste per fare fluire quel dialogo in piena coerenza con tutti i personaggi... questa scena verrà benissimo, sì. No, aspetta, ora devo mettermi lì e scriverla io?
Come sarebbe a dire che non è così che è andato questo monologo?
- Okay mettiti al lavoro, io vado a lavare i piatti.
- Ma scusa non avevi detto che mi avresti insegnato?
- Se lo facessi io per te non varrebbe molto!
A' Faccia de Culo, non è quello che ti ha chiesto! C'è una zona grigia tra 'fare il lavoro al posto di qualcuno' e 'mollargli un libro e dirgli di attaccarsi', e quella zona grigia si chiama appunto 'insegnare'!
E lei che ci crede pure. Logica shojo.
Ecco, dopo che lei ha quasi demolito la cucina lui finalmente si decide a dare una mano. Con Ryou che sta lì a guardare ma con grande dignità e rispetto si astiene dal dire/fare alcunché.
Devo dire che tutta la parte di questo discorso è ... in egual misura disturbante e pietosa. Kisshu ovviamente ha zero considerazione per Ichigo come persona, par de course, ma al tempo stesso si capisce che dopo i ripetuti fallimento su tutti i fronti e l'essere stato allontanato dai suoi compari il suo contatto con la realtà è decisamente tracollato. In particolare per come prospetti a Ichigo di andarsene da soli da tutto e da tutti, dopo essere stato il più ardente propositore della lotta per gli alieni indipendentemente da Deep Blue: questo ormai non capisce più niente.
Bello come siano già arrivati tutti al gran completo, le ragazze già trasformate, e non facciano che rimanere lì impalati a guardare il dramah.
Personalmente apprezzo moltissimo questa scena perché pone un'ottima base al voltafaccia finale di Kisshu. Perlomeno questa del vecchio anime è l'unica delle versioni che ci provi. Nel manga cambia idea ogni due secondi, era lì che gongolava all'idea di uccidere Ichigo pochissimo prima di farsi ammazzare per lei, ma almeno ha avuto un momento in cui ha rinunciato a ucciderla. In New peggio che andar di notte, tenta di strangolare Ichigo dopo la sua crisi di pianto e si ferma solo perché interrotto dal Cavaliere Blu.
In questa versione Kisshu è sempre fuori come un balcone, finché non arriva questo momento in cui crede di avere effettivamente ucciso Ichigo. Per una manciata di secondi ha avuto esattamente quello che pensava di volere, la distruzione della ragazza che l'ha rifiutato, e si è reso conto che no, al contrario, anche vederla con qualcun altro era preferibile al vederla morire. In pratica questa scena ha preso il posto dell'addio finale nel manga, visto che da ora in avanti Kisshu lascerà effettivamente in pace Ichigo - se non in una finta per scatenare il potere del Cavaliere Blu.
Ed ecco qui perché la versione di Kisshu del vecchio anime è la mia preferita: restano fermi i tratti di squilibrio e instabilità, certo, ma c'è un arco caratteriale invece che un cambiamento repentino e apparentemente immotivato.
E se il vecchio anime rende un ottimo servizio a uno dei miei personaggi preferiti, per controbilanciare corre a sminchiarne un altro. 'Scommetto che sei rimasta sorpresa' ... a rigore di logica dovresti esserlo anche tu, Masaya!
Nel manga, e in New, è reso molto ben chiaro che Masaya non è consapevole nella trasformazione ner Cavaliere Aò, anzi, quando lo fa davanti ad Ichigo reagisce con sorpresa lui stesso, e rimane confuso al proprio 'nome da battaglia' come se non l'avesse mai sentito prima.
E questa cosa ha senso, succede poco prima della rivelazione su Deep Blue e nel frattempo nessuno riesce a farsi troppe domande perché ci sono diverse battaglie in rapida successione e non ne hanno il tempo materiale.
Ma se Masaya fosse stato consapevole fin dall'inizio come questa versione sembra implicare ... la cosa non sta in piedi. Masaya per quanto ne sa è un ragazzo normalissimo, se di colpo si fosse trovato con la capacità di trasformarsi in guerriero alieno avrebbe avuto un milione di domande. E molto probabilmente ne avrebbe parlato con Ichigo, quando lei gli avesse rivelato di essere una Mew Mew: non solo avrebbe avuto un 'segreto' da rivelarle a propria volta, ma forse lei sarebbe stata in grado di dargli risposte, visto che ha subito una trasformazione a sua volta. E sicuramente le avrebbe fatto comodo un alleato sempre con lei, invece di fargli comprendere il pericolo col sesto senso o roba del genere.
Poi, la reazione degli altri: lì tranquilli che guardano la scena, al massimo sono sembrati un po' sorpresi al momento. Altro che lasciarli mangiare i cioccolatini, avrebbero dovuto fare a Masaya un terzo grado che CIA scansate proprio, soprattutto perché alla rivelazione si sarebbe aggiunto il fattore 'perché minchia l'hai tenuto nascosto scusa'.
COS'È.
10 notes
·
View notes
Text
Reblogga e ricevi domande 🙈🙉🙊😏
DOMANDE FONDAMENTALI
1. Qual è il tuo nome?
2. Qual è la tua conoscenza?
3. Qual è il tuo colore preferito?
4. Qual è il tuo film preferito?
5. Ti piace leggere?
6. Qual è il tuo libro preferito?
7. Ho guardato il film troppo spesso?
8 Sei andato al cinema?
9. Di che colore sono i tuoi capelli?
10. Dimmi di che colore sono i tuoi occhi?
11. Quanto tempo arrivo e i tuoi capelli?
12. Indossi anelli, collane o orecchini?
13. Hai dei tunnel carnali?
14. Hai dei piercing?
15. Ho usato extension per capelli?
16. Ho usato gli occhi della luna?
17. Ho usato il contatto lento?
18. C'è un partner?
19. Hai avuto il tuo primo bacio.
20. Qual è la tua serie animata preferita?
21. Qual è la tua serie preferita con veri attori?
22. Cos'è la cotta?
23. Chi è la tua cotta?
24. Cosa odi di te?
25. Cosa odi degli altri?
26. Qual è il tuo cibo preferito?
27. Qual è la tua bevanda preferita?
28. Quale cibo non ti piace?
29. Social network preferito?
30. Social network che uso meno?
31. Qual è l'applicazione che non può essere utilizzata sul tuo cellulare o computer?
32. Qual è la tua età?
33. In che anno sei nato?
34. Qual è la tua nazionalità?
35. Qual è il genere di film che hai accanto?
36. Qual è il gene cinematografico che desideri?
37. Fumi? Oppure hai fumato?
38. Bevi? Oppure l'hai prigioniero?
39. Ti sei ubriacato?
40. Qual è la tua canzone preferita?
41. Qual è il tuo genere di canzoni preferito?
42. Posso trovare le canzoni? (dire qualsiasi generato)
43. Quali canzoni ricordi della tua infanzia?
44. Giochi a qualche videogioco? Che cosa?
45. Soffri molto il solletico?
46. Quanto sei alto?
47. Studio o lavoro?
48. Com'è tuo corpo?
49. Quale frase hai sempre in mente?
50. Usimeme?
51. Ti piace cantore?
52. Canti bene?
53. Ti piace ballare?
54. Balli bene?
55. Ti piace camminare?
56. Ti piace correre?
57. Pratichi qualche sport?
58. Tè o caffè?
59. Giorno o notte?
60. Brodo o freddo?
61. Collezioni qualcosa?
62. Ti piace scrivere?
63. Ti piace cucinare?
64. Mangi molto?
65. Di cosa hai paura?
66. Cani o gatti?
67. Qual è il tuo animale preferito?
68. Li conosci i testi delle canzone?
69. In che lingua ascolti la tua musica?
70. Qual è l'intenzione di capelli e capelli?
71. Vivi da solo o in compagnia?
72. Ti sei trasferito?
73. Hai tatuaggi?
74. Puoi mostrarmi le foto dei tuoi tatuaggi?
75. Posta una tua foto?
76. Sei coraggioso nel recitare?
77. Hai mai recitato?
78. Cosa ti piacerebbe fare da grande.
79. Che tipo di battute/scherzi ti piacciono?
11 notes
·
View notes
Text
Puntiamo lo sguardo oltre l’infamia, per indovinare un altro mondo possibile: l’aria sarà pulita da tutto il veleno che non venga dalla paure umane e dalle umane passioni; nelle strade, le automobili saranno schiacciate dai cani; la gente non sarà guidata dalla automobile, non sarà programmata dai calcolatori, né sarà comprata dal supermercato, né osservata dalla televisione; la televisione cesserà d’essere il membro più importante della famiglia e sarà trattato come una lavatrice o un ferro da stiro; la gente lavorerà per vivere, invece di vivere per lavorare; ai codici penali si aggiungerà il delitto di stupidità che commettono coloro che vivono per avere e guadagnare, invece di vivere unicamente per vivere, come il passero che canta senza saper di cantare e come il bimbo che gioca senza saper di giocare; in nessun paese verranno arrestati i ragazzi che rifiutano di compiere il servizio militare; gli economisti non paragoneranno il livello di vita a quello di consumo, né paragoneranno la qualità della vita alla quantità delle cose; i cuochi non crederanno che alle aragoste piaccia essere cucinate vive; gli storici non crederanno che ai paesi piaccia essere invasi; i politici non crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse; la solennità non sarà piu' una virtu', e nessuno prenderà sul serio chiunque non sia capace di prendersi in giro; la morte e il denaro perderanno i loro magici poteri, e né per fortuna né per sfortuna, la canaglia si trasformerà in virtuoso cavaliere; nessuno sarà considerato eroe o tonto perché fa quel che crede giusto invece di fare ciò che più gli conviene; il mondo non sarà più in guerra contro i poveri, ma contro la povertà, e l’industria militare sarà costretta a dichiararsi in fallimento; il cibo non sarà una mercanzia, né sarà la comunicazione un’affare, perché cibo e comunicazione sono diritti umani; nessuno morirà di fame, perché nessuno morirà d’indigestione; i bambini di strada non saranno trattati come spazzatura, perché non ci saranno bambini di strada; i bambini ricchi non saranno trattati come fossero denaro, perché non ci saranno bambini ricchi; l’educazione non sarà il privilegio di chi può pagarla; la polizia non sarà la maledizione di chi non può comprarla; la giustizia e la libertà, gemelli siamesi condannati alla separazione, torneranno a congiungersi, ben aderenti, schiena contro schiena; una donna nera, sara' presidente del Brasile e un’altra donna nera, sara' presidente degli Stati Uniti d’America; una donna india governerà il Guatemala e un’altra il Perù; in Argentina, le pazze di Plaza de Mayo saranno un esempio di salute mentale, poiché rifiutarono di dimenticare nei tempi dell’amnesia obbligatoria; la Santa Chiesa correggerà gli errori delle tavole di Mosè, e il sesto comandamento ordinerà di festeggiare il corpo; la Chiesa stessa detterà un altro comandamento dimenticato da Dio: “Amerai la natura in ogni sua forma”; saranno riforestati i deserti del mondo e i deserti dell’anima; i disperati diverranno speranzosi e i perduti saranno incontrati, poiché costoro sono quelli che si disperarono per il tanto sperare e si persero per il tanto cercare; saremo compatrioti e contemporanei di tutti coloro che possiedono desiderio di giustizia e desiderio di bellezza, non importa dove siano nati o quando abbiano vissuto, giacche' le frontiere del mondo e del tempo non conteranno più nulla; la perfezione continuerà ad essere il noioso privilegio degli dei; però, in questo mondo semplice e fottuto ogni notte sarà vissuta come se fosse l’ultima e ogni giorno come se fosse il primo.
(Eduardo Galeano)
13 notes
·
View notes
Text
DENTRO IL TUO BUIO (solo chi ti ama viene a cercarti nel tuo buio)
Sentì il buio diventare denso, viscoso, solido, trasformarsi in un senso di oppressione assassina che aumentava , rubandogli il fiato che sentì gli stava mancando mentre quelle oscure sabbie mobili nell’inghiottire la sua anima, diventavano un enorme peso che schiacciava il suo cuore impedendogli di battere. Annaspò cercando aria fresca ma non riusciva a respirare, mentre il senso di angoscia aumentava diventando quasi solido e tangibile come una lastra di granito tagliente come ossidiana scheggiata che lo stava coprendo, schiacciandolo dentro una buca non più larga del suo respiro. Cercò di calmarsi, per vincere quella colata di opprimente paura che stava coprendo la sua bocca, il suo naso, occludendo ogni via attraverso cui l’aria poteva entrare e la vita continuare, arrivando fino al suo cervello per divorare la sua coscienza, il suo essere, la sua anima. Sentiva il sudore freddo che gli scendeva dalle tempie lasciandogli la sensazione di una gelida e mortale carezza, un gelido sudario che aderiva al suo volto ed alle sue spalle impedendogli di respirare, mentre in lui un male oscuro cresceva a comprimergli ogni organo da cui il suo essere dipendeva, divorando i polmoni che non ricevevano aria, il cuore dentro cui il sangue si stava coagulando, una horcinus orca impietosa e crudele, un virus maligno che infettava il suo sangue e divorava ogni suo tessuto, una lebbra al cui tocco ogni parte del suo corpo appassiva morendo e imputridendo. Cercò di aprire gli occhi ma si ricordò che non poteva perché aveva avuto l’incidente ed ora, non vedeva più, non poteva più vedere niente e nessuno, per sempre e capì che era questo il motivo per cui si sentiva chiuso vivo in una bara in cui non poteva neanche muoversi, anche se avesse potuto urlare, nessuno, l’avrebbe potuto sentire o vedere ed aiutare, nessuno in quell’eterno buio in cui era, si sarebbe occupato del suo dolore. Nessuno. Per sempre. Si alzò di scatto sul letto, ansimando come se l’aria fosse finita e lentamente si mise in piedi camminando nel suo buio assoluto e fuggendo da quel letto che gli sembrava ormai un sepolcro violato, uno di quei tavoli operatori dove tra l’odore di etere e di disinfettante avevano ricamato il suo corpo con aghi di bestemmie e fili di lacrime. Si avventurò nella camera da letto e poi nel piccolo corridoio e quindi nel salotto, con le mani protese in avanti ad evitare ostacoli che non sapeva, urtando con i piedi oggetti che non riconosceva, spigoli che non aveva ancora memorizzato in quei vani tentativi di vivere malgrado il buio che lo circondava. Muoveva lentamente i piedi, facendoli scivolare sul pavimento freddo, sempre ansimando, sempre con quella sensazione di angoscia profonda che lo opprimeva con gratuita cattiveria , come se la morte fosse li, dietro di lui, a seguirlo ghignando divertita nel vedere quella sua goffa camminata da zombie, nel mettergli tra i piedi ostacoli sconosciuti, paure mai dimenticate e nuovi dolori sottili come vetro scheggiato. Raggiunse la vetrata che dava sul terrazzo e l’ aprì uscendo fuori, verso la notte, investito dal vento umido del mare, dal suo lungo respiro salato, dal sibilo della sabbia che seguiva le onde nel loro tornare, dall’abbaiare lontano dei cani e dal profumo dei gelsomini appena dischiusi. Arrivò alla ringhiera che delimitava la terrazza e vi si aggrappò sentendo il metallo freddo e la vernice smangiata dal sale. Respirò a pieni polmoni quell’aria fredda che scendeva nella gola come fosse una ondata marina che tutto travolgeva distruggendo e ricreando. Era una ringhiera piccola per uno grande e grosso come lui. Sarebbe bastato sporgersi e lasciarsi andare nel vuoto e la sua angoscia sarebbe finita per sempre. Nel buio.
“Amorre guarda chi ti è venuto a trovare qui in clinica : il signor Calabrò! Te lo ricordi”
“ Si, il capomastro del cantiere. Sono cieco e paralizzato, ma non sono rincretinito”
“Ingegnè come andiamo, per quel po' che si vede tra le fasce ha un bel colorito”
“sono gli anticogulanti non la salute che migliora”
“Amorre, il signor Calabrò ti ha portato i cannoli”
“ingegnè, lo so che non ne può mangiare ma i ragazzi hanno insistito che ci puttassi nu penseru”
“e come stanno?”
“ingegnè la vogliono ringraziare se non era per lei a loro ci avianu già cantatu u deprofundis”
“non è che io sia tanto di più in là…”
“ che dice ingegnè u peggiu è sempri a cu mori e ringraziannu a Madonna, lei jè ancora ca cu nui! Quannu ci fu du bottu, u sangu mi siccoi, e mi dissi “Muriu” quannu u visti da nterra, cu tuttu du sangu e a cammicia strazzata e chi rispirava ancora, mi dissi “ A Madonna i Tindari ni fici u miraculu”
“Orbu e paraliticu, fici menzu miraculu: chi campu a fari? Farei prima a buttarmi dalla finestra e farla finita”
Senti la mano di Anja che stringeva la sua
“amorre che dici Sei vivo, ci sono io, e tutti ti vogliono bene, vedi che il signor Calabrò è venuto a trovarti, i ragazzi ti salutano e non ti dimenticano. E poi lo sai, io senza te non ci so stare, ti seguirò dovunque andrai: quello che farai tu … lo farò anch’io”
Ci fù un attimo di silenzio imbarazzato
“Ingegnè ma chi dice, a vita è buttana ma è sempre vita”
“su non pensare queste cose brutte! Signor Calabrò per favore, può stare cinque minuti con lui che vado a parlare con il fisioterapista?”
“Annassi signorina…, cioe signora che sto io con l’ingegnere”
Senti un bacio e i passi di Anja che si allontanavano
“ ingegnè lei non l’avi dire si cosi, chi so mugghieri ci resta mali, e poi idda pari na carusa, na cosa “sciuscia chi bola” ma è na liunissa, na fimmina i ferru, ha statu sempre ca cu lei jonnu e notti, no lassoi nu minutu secunnu! – e aggiunse parlando lentamente per sottolineare quello che stava dicendo - Ingegnè, ciu dicu pi quantu rispettu ci pottu, vaddassi chi so mugghieri, chiddu chi dici,… u fa…”
“lo so Calabrò, … lo so”
Con le mani seguì la ringhiera fino a dove finiva attaccandosi al muro della casa. Si spostò di un passo verso l’interno e toccò il dondolo disposto contro un lato della terrazza protetto dal vento dal muro della casa adiacente. Andò a sedersi su quell’instabile sedile continuando a riempire i polmoni di aria della notte per sentirsi ancora all’aperto in un grande spazio, lontano dalla bara in cui si era sentito rinchiuso ed ancora, per quel che importava, vivo.
“Forse devo pregare, perché questi possono essere i miei ultimi istanti. Ma pregare chi? Chi mi ha dato un buon lavoro, una vita sana, Anja e poi mi ha levato tutto, accecandomi, riducendomi come Giobbe, chiuso dentro la balena, dentro la mia oscura bara? No, è inutile pregare. Devo fare qualche cosa d’altro. Devo pensare ai momenti felici della mia vita, come quando mi sono laureato, o la prima volta che mi hanno dato da seguire un grosso progetto, o quando ho incontrato per la prima volta Anja … ma quello non è stato un momento felice, ma solo un momento, senza importanza, quando sono entrato nel bar del grande albergo dell’est europeo, pieno di business man che sembravano mafiosi e di escort che ti avrebbero tagliato la gola sorridendo e li l’ho incontrata. Ora mi sembra assurdo ma quello era il mio ambiente di trasfertista tecnologico, abituato a posti peggiori, come gli alberghi del Sudamerica o le strade della Nigeria dove vai a pisciare protetto dalla guardia del corpo. Il capo mi aveva sollecitato un email ed ero entrato velocemente nel bar per spedirgliela. Un cameriere alto a allampatu con un riporto di capelli che andavano dall’orecchio sinistro a quello destro venne a prendere l’ordinazione. Poi arrivò Anja, con un enorme pantalone lungo nero, il gilet bordò dei camerieri su una enorme camicia bianca e un papillon nero e storto. Lei magra, e minuta, i capelli biondi raccoltti in una lunga coda, anche se alta non riusciva a riempire la divisa standard dell’albergo. Attraversò la distanza tra il bancone e il mio tavolo lentamente, con il vassoio tenuto con entrambe le mani, osservando preoccupata il bicchiere di acqua tonica che ad ogni suo passo ondeggiava. Con quei suoi vestiti fuori taglia sembrava un clown che imitava un cameriere. L’osservai stupito.
“vadda a chista cà”
Pensai sorpreso dalla sua inesperienza, preoccupato che all’arrivo mi rovesciasse il bicchiere sul computer dove stavo guardando le e-mail. Invece arrivò e con abilità depose il bicchiere sul tavolino dicendo qualcosa nella sua lingua.
“Thanks”
Risposi sollevato.
In quel momento dal mio cellulare partì la suoneria con Maria Callas che, finita la prima quartina di Casta Diva, intonava il crescendo che trasformava l’aria che cantava in un celeste acuto, qualcosa di incredibile che mi fa venire i brividi ogni volta che lo sento. Risposi velocemente perché quell’ acuto dell’immortale, malgrado la sua aerea soavità, squarciò la quiete del bar come una cannonata. Mi dimenticai di lei rispondendo al capo che mi sollecitava impaziente, l’email. Quando finii la discussione me la vidi ancora di fronte che mi osservava rapita
“Era un’opera, vero?”
Chiese perdendo ogni servile formalità
“Era la Casta Diva dalla Norma di Bellini, la conosci?”
Scosse la testa e con gli occhi stupiti da quel soave acuto chiese ancora
“e lei che cantava, chi era?”
“Come chi era – feci sorridendo – la divina: la Callas!”
Sorrise
“Il mio professore al conservatorio me ne ha parlato, diceva che era brava”
“Non era brava, era sublime - poi mi fermai a pensare – ma parli Italiano?”
Lei sorrise
“Io vado ogni anno in Italia, a Bellaria, per lavoro, faccio la cameriera negli alberghi o ristoranti”
“Ah, e dov’è Bellaria?”
“Vicino Cesenatico. Conosci?”
“poco, io sono siciliano”
“Ah come Fiorello – sorrise – lui molto bravo”
Aspettò che firmassi il foglio della consumazione e restò a guardarmi. Pensai che volesse la mancia e cercai in tasca
“no, no – mi fece subito e sottovoce aggiunse – posso risentire la sua voce?”
La guardai perché non avevo capito
“La voce della Callas … non l’ho mai sentita prima: è meravigliosa”
“hai whats-up? - Fece segno di si - Scrivi qua il numero del cellulare e ti mando tutta l’aria.”
Sempre più sorpresa e forse sospettosa esitò un secondo e poi scrisse il suo numero. Le mandai l’aria poi le altre arie più famose della Callas.
Quando sentì il segnale del messaggio del telefonino guardò stupita e indietreggiò ringraziando.
La catalogai tra le tante persone strane che incontravo nelle mie trasferte e tornai alla posta.
Il giorno dopo quando mi sedetti per la colazione era molto presto ed ero l’unico nel ristorante dell’albergo. “Riporto Selvaggio” arrivò che si stava ancora abbottonando il gilet
“Good morning Sir, do you want coffe or the?”
“Coffe please, if possible a cappucino”
“A cappuccino? Little Anja will bring it to you”
Dopo pochi minuti apparve la piccola Anja nella sua clownesca divisa da cameriera
Adagiò sul favolo un cappuccino che sembrava perfetto e sottovoce mi disse
“Questo lo faccio solo io perché nessuno sa usare la macchina italiana del caffè. Ti ho portato una brioche calda, l’ho farcita con la cioccolata che lo chef fa solo per il direttore”
“grazie – risposi soddisfatto – hai sentito la Callas?”
“Tutta la notte! La so a memoria”
“Ah si allora ti è piaciuta”
“Molto, è perfetta! La musica che mi piace è quella da pianoforte ma lei è troppo brava”
“Ma la musica moderna non ti piace?”
“si tutta, Coldplay, Shakira, ma la musica classica, specie quella da piano mi fa sognare. Mia madre dice che mi piace perché mio padre era musicista”
“suonava in un orchestra?”
“non lo so, non l’ho mai conosciuto, mamma non ne parla mai”
Mentre parlava smanettavo con il telefono. Dal bancone si senti il suo cellulare suonare annunciando nuovi messaggi
Si girò seccata
“a quest’ora chi è che rompe?”
“sono i Notturni di Chopin”
“Chopin?”
Sorrise e corse via saltellando.
La sera, quando rientrai e andai al bar, sul tavolo d’angolo dove mi ero seduto al mattino, c’era un bicchiere colmo di fiori freschi e un biglietto con scritto “reserved” e il mio numero di camera.
Da allora, ogni volta che mi fermavo al bar per lavorare sedendomi al mio tavolo, se alzavo gli occhi dal computer la vedevo con gli auricolari mentre preparava cocktails o caffè e con la testa, con scatti impercettibili, batteva il tempo della musica che ascoltava, tutta concentrata su quanto sentiva senza far caso al vociare della sala.
La sera appena mi sedevo per mangiare qualcosa di veloce, senza che ordinassi, arrivava con una birra, poi un toast farcito con prosciutto affumicato, o una omelette e un altro bicchiere grande di birra. Quando il suo collega “Riporto selvaggio” si allontanava, lei si avvicinava e chiedeva chiarimenti sulle parole o sulla trama o l’autore di questa o quell’opera. O mi chiedeva dei teatri come la Scala, il San Carlo o il Bellini. O parlavamo di musicisti di cui conosceva le opere ma non la storia
Confessò una sera che aveva lasciato il conservatorio dove studiava piano perché doveva mandare i soldi a casa, per cui faceva due o tre lavori. Parlavamo sempre di musica. Per lei era una passione assoluta aggravata dal fatto che non aveva potuto diplomarsi. Per me era una necessità perché non amavo il silenzio, avevo sempre bisogno di rumore intorno a me, per questo lavoravo al bar e non in camera. Quando non c’era rumore, ascoltavo sempre la musica, qualsiasi musica, ma in particolare quella classica perché ero cresciuto con zia Assunta che suonava il piano spiegandomi la bellezza delle opere e i segreti delle sinfonie Così, dopo ogni sua domanda, finiva sempre che le mandavo questo o quel brano più o meno famoso. Non potevo concepire che qualcuno ignorasse il requiem di Verdi o non potesse ascoltare gli ACDC o addirittura ignorare Brubeck. Fatto sta che per un mese lei era diventata per me una presenza continua e piacevole, a me legata da una complicità di interessi e affinità. A sentirla, a parlare di musica e di arte, mi sentivo a casa. Quando arrivò il momento di tornare realmente a casa mia, non so perché ma mi dispiaceva lasciarla e la invitai per il giorno dopo a pranzo
“perché”
Chiese stupita
“perché sei stata gentile con me e volevo ringraziarti”
mi guardò seria
“io non sono una di quelle”
Fece indicando con il mento due Escort che stavano intrattenendo i loro clienti al bancone del bar
“io non sono uno di loro”
Risposi indicando i due clienti che biascicavano parole stordite dall’alcool.
Sorrise
“Ci penso”
Rispose e tornò al bancone a servire dei clienti. Tornò dieci minuti dopo dicendo solo
“Domani all’ora di pranzo al “Vecchio Re”. Quando arrivi entra e chiedi di Anja”
Fui contento. Era tanto che non uscivo con una donna, mi sembrava quasi di avere un’avventura e la cosa mi rese allegro. Il ristorante non era lontano dall’albergo, il taxi fu li in cinque minuti. Entrai in quella che sembrava una vecchia scenografica trattoria, con teste di cinghiale appese ai muri di mattoni rossi, circondate da foto in bianco e nero di attori e celebrità che non conoscevo. Tutti i tavoli in legno rustico erano pieni e c’era un vociare intenso e diffuso. Mi passò accanto un cameriere con i baffoni alla Ceccobeppe, lo fermai e gli chiesi
“Anja?”
Lui mi guardò
“Italian?”
Feci cenno di si. Lui mi prese e mi portò in fondo alla grande sala, vicino alle cucine, dove c’era un piccolo tavolo apparecchiato per una persona. Guardai l’austroungarico con delusione
“No, no, Anja…”
Ma lui mi spinse a sedermi
“Anja, Anja”
Ripeté seccato e se ne andò
“Ma vaffanculo”
Pensai incazzato e d’improvviso apparve Anja, vestita come le cameriere dell’October fest.
“Ciao”
mi disse sorridendo
“Ma, … non mangi con me?”
“Quasi, questo è il mio secondo lavoro. – e per scusarsi fece un sorriso bellissimo - Cosa ti porto?”
“Fai tu”
Risposi deluso.
Il pranzo fu però eccezionale, con salumi e insaccati di ogni animale che abitava nella foresta, un gulasch di carne di cervo e involtini di verza ripieni di carne, il tutto innaffiato da boccali di birra che appena svuotavo riapparivano pieni con la schiuma che traboccava gioiosa. Infine uno strudel accompagnato da un vino cotto dolce e ricco di zenzero, chiodi di garofano e cannella. Ero beato e felice a causa del tasso alcolico e del vociare allegro del ristorante, con Anja che andava e veniva fermandosi a volte per chiedermi se quello che mi aveva portato mi piaceva. Ero concentrato su un contorno misterioso quando d’improvviso scese il silenzio. Sentii un pianoforte suonare. Riconobbi subito le note introduttive dell’aria e infine una voce che iniziava a cantare. Mi alzai e vidi Anja, seduta al pianoforte che stava cantando Casta Diva, non troppo bene a dir la verità, ma con grande passione. Nella trattoria austroungarica scese quel silenzio che nasce quando un evento merita una attenzione assoluta. Mi sentii felice. Anja stava cantando per me, storpiando qualche parola e su un pianoforte che aveva visto tempi migliori, ma era per me che stava amorevolmente rovinando un’aria sublime. Quando finì fui il primo a battere le mani e a gridare “Brava” seguito subito da tutta la massa di festosi alcoolisti che riempivano quella trattoria per turisti e che non avevano neanche capito che la musica era finita. Lei iniziò una canzone locale e subito gli avventori si unirono a lei seguendo intonati il pianoforte battendo i boccali di birra sui tavoli. Ceccobeppe arrivò sedendosi di fronte a me, mise sul tavolo una bottiglia di grappa con due bicchieri che riempì fino al bordo. Urto col suo bicchiere il mio e lo svuotò d’un fiato, seguito subito da me
“Anja … - incominciò a dire come se volesse fare un discorso – Anja … - ripetè guardando il soffitto come se cercasse le parole giuste per un qualcosa di importante – Anja … - aggiunse severo e duro come se fosse arrivato al punto esitando ad andare avanti per paura di offendere – Anja …”
concluse con gli occhi umidi e riempiendo di nuovo i bicchieri svuotò il suo come il primo e se ne andò asciugandosi le gote. Lo osservai preoccupato e seguii il suo esempio con un altro bicchierino. Allora non capii cosa volesse dirmi. Lo capii più tardi, per tutto quello che poi successe. Comunque, ero felice, con le orecchie che mi ronzavano e il pantalone sbottonato per lasciar crescere la pancia piena di cibo, ma ero felice. Anche Anja era felice perché aveva avuto modo di suonare che per lei era il modo di entrare nel suo paradiso ed era rilassata e sorrideva come mai faceva quando era sotto lo sguardo severo di “riporto selvaggio”. Forse per le birre, o la grappa di pere o di prugne, forse per il vociare festoso di quella trattoria dei Carpazi, la trovavo bellissima. Quando il locale incominciò a svuotarsi venne a sedersi con me
“Allora domani parti”
“Si il progetto è finito e ritorno a casa”
“poi torni?”
“no, non credo”
“Sarà contenta la tua fidanzata”
“non lo so. È da quando si è sposata che non la vedo”
“si è sposata?”
“si, era stanca di vedermi due mesi l’anno, cosi si è sposata con un altro. E tu ce l’hai il fidanzato?”
“si lo avevo, ma ora non so dov’è. È un mese che non lo vedo. Lui abita in un’altra città e io devo andare sempre dalla mamma”
“Bhe, sei così bella che qualcuno troverai che ti vuole bene”
“non lo so, i ragazzi della mia età mi sembrano molto bambini”
Guardò l’orologio
“è tardi devo tornare in albergo per il turno serale”
Ci alzammo per tornare in albergo e Anja mi disse di aspettarla che mi avrebbe accompagnato. Si cambiò ed uscì sottobraccio con me. Disse che l’albergo era dall’altra parte del parco e che bastava attraversarlo per arrivare. Pensai che dopo tutto quel cibo e quell’alcool, due passi mi avrebbero fatto bene. Il parco era enorme con alberi secolari e collinette ed era tutto coperto di neve tanto che sembrava il bosco incantato di qualche favola del nord. Mi chiese se mi fosse piaciuto il pranzo e ammisi che era stato abbastanza decente, come la sua interpretazione e incominciai a fare foto al paesaggio
“la neve l’ho vista poche volte, per me questo paesaggio è bellissimo”
Mi giustificai. Le chiesi di fare un selfie e infine di farle una foto con dietro un enorme albero bianco. Per meglio inquadrarla feci pochi passi indietro, ma sotto la neve doveva esserci un cordolo; lo urtai mentre indietreggiavo e caddi sprofondando con la schiena nella neve. Nel cadere urtai un albero e la neve dei rami mi crollò addosso seppellendomi. La sentii ridere e mi misi a ridere anche io. Si avvicino e mi prese le mani per sollevarmi, ma mentre stava tirando, il piede su cui stava facendo forza, le scivolò sulla neve e mi cadde addosso lanciando un grido. Ci siamo messi a ridere. L’osservai che rideva con gli occhi felici, le gote rosse e il volto quasi attaccato al mio. Le sue labbra sottili erano a pochi centimetri dalle mie, i suoi occhi azzurri puri come acquamarina e che racchiudevano tutti i cieli del nord, erano immersi nei miei oscuri occhi africani bruciati dal sole e neri come la lava. Allora feci quello che se non avessi bevuto, se non fosse stato solo per così tanto tempo, non avrei mai fatto. Forse. Non lo so. Comunque, per concludere, la baciai.
Lei rimase sorpresa, ma non si staccò. Resto lì attaccata, con le sue labbra fredde alle mie e rispondendo al saluto della mia lingua da cui non aveva fretta di staccarsi.Ecco questo fu un momento felice. Il secondo da quando l’avevo incontrata”
Respirò sereno l’aria piena di salsedine. L’angoscia non era vinta, ma si stava spegnendo.
“Quando lei si staccò i nostri occhi si fissarono quasi incerti su cosa era successo, su cosa voleva dire quel bacio improvviso e su cosa bisognava fare dopo. Incominciò a muoversi e si staccò alzandosi. Anch’io, un po' più goffamente la imitai e mi alzai di fronte a lei scuotendo la neve che era rimasta attaccata al giubbotto. Mi aiutò, poi mi prese sottobraccio e riprendemmo a camminare.
Dopo pochi passi, preso dai sensi di colpa, le dissi
“Scusa per prima … forse ho bevuto troppo”
“no, no ti preoccupare, non è successo niente”
La frase mi gelò e mi intristii, ma non volli toccare l’argomento, era diventata silenziosa e anche se si era stretta al mio braccio, la sentivo lontana, chiusa nei suoi pensieri. Aveva quasi metà dei miei anni e ne dimostrava ancora di meno, avrei potuto veramente essere suo padre e una persona matura come me, non dovrebbe andare in giro a baciare donne che vivevano i sentimenti senza quel mio distaccato cinismo che ne smussava gli spigoli taglienti. Inoltre il giorno dopo sarei partito senza rivederla più: che senso aveva mettere di mezzo i sentimenti, approfittare di lei come un vecchio porco? L’avventura in trasferta, non era cosa che mi interessasse, ne avevo avute, ma con donne della mia età, con una morale elastica, opportunistica e non con donne che nell’anima avevano ancora quella innocenza che dentro di me si era inaridita. Mi seccava averla quasi molestata con uno stupido e incontrollato gesto. Mi ricordai lo sguardo severo di Ceccobeppe che forse voleva dirmi prprio questo, di non far del male alla piccola Anja. Mi dissi che forse, se la nostra amicizia fosse finita sarebbe stato meglio. Dopo tutto, l’amore non era mai stato un mio obbiettivo primario e più invecchiavo vedendo amici e conoscenti, innamoratissimi dieci o venti anni prima che ora crudelmente e dolorosamente divorziavano o che continuavano a vivere da sposati semplicemente e freddamente indifferenti l’uno all’altro, nel vedere tutto questo avevo raggiunto la convinzione che l’amore fosse semplicemente inutile. Mi spiegai quel bacio con l’effetto dell’alcool che aveva bloccato i miei freni inibitori. Nulla di più. Per cui tornammo a parlare dei nostri soliti argomenti di conforto, quelli che sapevamo affrontare senza bisogno di impegnarci più di tanto: la malattia della madre di lei, la musica, la prossima partenza. Arrivati in albergo dissi che ero stanco e che salivo in camera a riposare, lei corse a cambiarsi per l’inizio del suo turno al bar.
Si, ero stanco, ma in verità mi vergognavo di quello che era successo o forse mi spaventavo perché avevo fatto qualcosa che neanche avevo pensato e che il mio io cosciente neanche aveva immaginato. Mi preoccupava pensare cos’altro avrei potuto fare nell’averla vicina. Dormii un’oretta per smaltire l’alcool, mi svegliai pensando di scendere al bar, ma non lo feci quasi volessi evitare di incontrarla e con lei di incontrare la mia peccaminosa lussuria o un opportunità che richiedeva troppo impegno. Troppa sincerità. Incominciai a fare la valigia e a concentrarmi sul prossimo ritorno. Erano quasi le undici, l’ora in cui il bar chiudeva. L’avrei rivista domani a colazione mi dissi. Un ciao veloce e via. Mi sarei lasciato alle spalle la figuraccia da vecchio porco che salta addosso alla ventenne. Mi sentivo un Orco, uno di quei bavosi, mostruosi e lascivi vecchi che insidiavano le ragazze palpeggiando e sbavando. Misi al telefonino un po' di musica. Visto l’umore in discesa scelsi il requiem di Mozart e tornai a rivedere il rapporto finale del progetto.
Qualcuno bussò. Andai ad aprire con in mente un paragrafo da cambiare. Quando aprii c’era Ania che indossava la sua clownesca divisa da cameriera.
“Posso entrare?”
Ma non aspettò la risposta e scivolo dalla fessura della porta dentro il piccolo corridoio della stanza, ma quando vide la stanza con il grande letto nel mezzo, non proseguì oltre e si fermò con la schiena contro la parete del corridoio come un animale braccato. Senti la musica
“Cosa stai ascoltando?”
“Mozart, il requiem”
“non mi piace, mi fa venire i brividi – si fermo qualche secondo - Volevo salutarti, domani è lunedì, sono di riposo e vado a casa a trovare mia madre”
“Hai saputo come sta?”
“Non molto bene. Mia zia voleva dare più soldi ai dottori ma non li hanno voluti perché non possono fare niente. Solo non farla soffrire”
“ho capito … portale i miei saluti”
“Si lo farò – sorrise – mi chiede sempre del mio amico italiano”
Il suo sorriso mi diede coraggio.
“Ecco Ania, … oggi forse ho approfittato della tua amicizia e ho fatto qualcosa che non dovevo: scusami”
Pensò qualche secondo
“Ah, il bacio … non ci pensare”
Sorrisi divertito
“vuoi dire che non so baciare, che neanche lo hai sentito?”
Sorrise anche lei.
“Era un bacio, niente di più …. E poi … - alzò gli occhi a fissare i miei – a me è piaciuto …tanto”
La guardai.
La musica lentamente introdusse il coro di Lacrimosa.
Lacrimosa dies illa - Lacrimoso giorno di lacrime
Le era piaciuto. Non era offesa o incavolata. Dopotutto poteva salutarmi sulla porta, ma era entrata. Mi avvicinai e la guardai negli occhi come se vi cercassi qualcosa. Sorrise con negli occhi la purezza e la grazia di una Madonna di Raffaello. Perché gli occhi delle donne sanno dire più cose di quanto le loro parole dicono? perché la loro luce ci fa dimenticare chi siamo e incendia ogni nostro desiderio? Lacrimoso giorno, è vero, quello in cui non avrei più rivisto il piccolo cielo dei suoi occhi azzurri. Meravigliosamente azzurri. Lacrimoso giorno in cui avrei maledetto la mia responsabile esitazione, vivendo un assenza che avrebbe avuto il gusto del veleno.
Qua resurget ex favilla - Quando risorgerà dal fuoco
La luce fioca del corridoio definiva i suoi tratti slavi perfetti, l’ovale dolce circondato dal biondo dei suoi capelli, il suo collo sottile e lungo, il corpo nascosto nella sua extralarge divisa. Nella penombra le sue labbra sembravano più grandi, forse più dolcì. Le era piaciuto, era giusto darle allora quello che aveva apprezzato. Lentamente le mie labbra si avvicinarono alle sue e le afferrarono, rapaci. La sua lingua corse in loro soccorso, la mia la fermò a rapire il piacere che emanava intenso e puro come la luce di un rubino. Era far risorgere quel desiderio che le nostre labbra confessavano, era rinascere dal gelido fuoco dei nostri quotidiani silenzi, dal nostro consumarci nei doveri forzati e tornare liberi sulle nostre labbra, sulle porte delle nostre anime, perché così potessero vivere.
Judicandus homo reus - L’uomo reo per essere giudicato
Non era peccato, quel semplice bacio. Non si poteva giudicare come cattivo e odioso, un atto d’amore. Perché era l’amore corrisposto che trasformava un vecchio molestatore in un desiderato amante. E a lei era piaciuto quel piccolo seme d’amore che le avevo donato. Il seme era germogliato dentro di lei e ora lei era venuta a donarmene il frutto. Allora, non era più peccato sbottonarle il gilet e farlo cadere come una foglia morta sulla vecchia moquette della stanza. Non era peccato levarle quell’inutile papillon e sbottonare, uno ad uno, i bottoni di quella inelegante candida camicia. La sua bocca mi confermava che no, non era peccato, le sue spalle nude ripetevano che non poteva essere peccato, se colpa avevo, era di non aver capito prima di quel momento, che lei era la redenzione di ogni mia solitudine, che io ero la casa dei suoi sogni. È questo un peccato? scoprire che chi fino a pochi secondi prima era solo una presenza amica, ora invece è il lievito della nostra via? No, in amore non vi è peccato. E’ nel nostro egoismo, il seme di ogni peccato e noi due in quel momento non eravamo egoisti, volevamo donarci tutti noi stessi regalarci ogni nostro desiderio.
Lacrimosa dies illa - Lacrimoso giorno di lacrime
Non poteva essere quello un giorno infelice, né un ora triste o un minuto disperato, lei era la purezza che salvava, la bellezza che giustificava, l’amore che nutriva, il sesso che distruggeva e ricreava. Lei era il tempo che avevo lasciato, io ero il tempo che lei ancora non aveva conosciuto. Come potevamo essere estranei se avevamo lo stesso desiderio? Come potevamo essere peccatori se il nostro peccato era desiderare, io la sua splendida primavera, lei il mio saggio autunno: era peccato desiderare ognuno di noi due, la gioia dell’altro?
Qua resurget ex favilla / Judicandus homo reus
Di quale giudizio dovevo spaventarmi, se non del suo, se non quello di non essere l’amante che lei voleva, così lentamente scesi tra la spalla e il collo a baciarla scivolando da un estremo all’altro e liberai il suo piccolo reggiseno, scaldando le sue piccole coppe con le mie enormi mani, facendo violenza ai suoi capezzoli, cosa che la fece sobbalzare e chiudere gli occhi, lasciandole fuggire un sospiro intenso. Da dove nasce il piacere? Dalla mia lingua che scivola sulla sua pelle? dall’immaginarsi la liquida rossa lingua che lascia una scia umida sulla bianca pelle? o dalla pelle che sente quella morbida, lunga, calda, intensa carezza? Dov’è il sesso? in quello che facciamo? in quello che proviamo nel fare o in quello che immaginiamo di fare? Il sesso era il piacere che lei provava, era quello che io sentivo nel far scivolare le mie mani di uomo sul suo corpo di ragazza, nel liberarlo da quei pantaloni inutili per liberare il suo piacere accarezzando quelle sue forme che sembrava ancora quello di una adolescente, un fiore dal virginale profumo, appena aperto alla vita.
Huic ergo parce Deus /Pie Jesu, Jesu Domine -Ma tu risparmialo Dio, pietoso Signore Gesù
Si perdonami, pensai. Perdono chiedevano le mie labbra che scendevano dalle sue coppe minute, sul suo ventre delicato, fermandosi ad omaggiare ogni sua delicata parte. Perdona le mani di questo peccatore che violavano con cosciente voglia i suoi indumenti più intimi lasciandola nuda e indifesa di fronte al desiderio divoratore, mentre mi inginocchiavo in sua lasciva adorazione
Dona eis requiem /Dona eis requiem /Amen - Dona ad essi la pace/Dona ad essi la pace/Amen
Si donaci la pace, quella che spegne i desideri ormai sazi, quella che cancella le tentazioni vissute, nutrici con i nostri corpi, pensavo sul finire del brano, mentre la mia bocca raggiungeva la sua porta della vita, e le donava la mia amorevole ammirazione, la dolce, delicata laida carezza della mia passione. Al tocco delle mia lingua lei reagì lanciando un altro lungo respiro come a trattenere il fiato e con lui l’estasi, le sue braccia si irrigidirono, i suoi pugni si strinsero, la sua testa si piegò all’indietro e i suoi occhi si chiusero come se il calore e la luce di un sole immenso stesse esplodendo nel suo grembo. Risalii lentamente, lungo quella via della redenzione che era il suo corpo, raggiunsi le sue labbra, rividi i suoi occhi. Le sue labbra strinsero le mie, le sue braccia mi imprigionarono, il suo corpo mi reclamava. Dopo la mia breve overture, voleva iniziare il primo atto della nostra opera carnale, voleva nutrire con me tutte le nuove voglie che le avevo mostrato. Cosi quella notte diventammo cenere, consumati meglio dire travolti da un fuoco che non avevamo mai realmente conosciuto, di cui fino a quel momento ignoravamo la vera forza e l’assoluto domino”
Respirò di nuovo profondamente. Sentì un motorino passare scoppiettando per strada, sentì i primi fischi di richiamo dei merli, il fruscio degli oleandri smossi dal vento. Intorno a lui c’era la vita e non più il nulla, il vuoto. Era uscito per il momento dal suo buio.
“Da li in poi fu tutto un casino come se tutta la mia vita tranquilla e ripetitiva, fosse d’improvviso destinata a scomparire. La notte Anja la passò con me e il mattino dopo si alzò presto per prendere il treno. Mi alzai anch’io e pensando di fare un bel gesto presi un regalo che avevo comprato per mia madre.
“Tieni – le dissi quando usci dalla doccia immersa in un enorme accappatoio ed io ero sulla porta del bagno tutto orgoglioso del bel gesto che stavo per fare – ti ho preso un ricordo”
Lo guardò seria e lo prese tra le mani
“Grazie – diede un occhiata superficiale alla scatola e me la restituì – ma non voglio ricordi”
La guardai stupito
“Ma come … perché?”
“Perché i ricordi fanno solo male e poi mia madre a vederlo penserebbe che ho fatto cose strane per meritarlo, mi darebbe della Puttana, quello che tutti le hanno detto per anni per l’unica notte d’amore avuta con mio padre: non lo voglio”
Stavo per ribattere ma mi fermai. Anja non faceva nulla di getto, ma quel regalo lo aveva immediatamente rifiutato. C’era qualcosa che non mi aveva detto. L’abbracciai e lei subito si strinse a me, appoggiando la testa sul mio collo
“Cosa c’è che non va, cosa devo sapere che non so?”
Restò qualche secondo in silenzio.
“La vita che non si vive, non esiste. Io con tè in queste settimane sono stata felice perché tu conosci tutti i miei sogni e me ne hai dati altri. Con te sono come nata di nuovo, e se stanotte sono stata qui è perché volevo tutto di te come per fermare il tempo. Ma non si può fermare il sole che nasce, ora diventerai ricordo e non ti vivrò più. Questo mi fa paura perché tu sai tante cose e tante me le insegni, perché mi rispetti, mi ascolti come un padre e mi ami come un ragazzo. Non voglio solo ricordare e ricordando, invecchiare sola come mia madre. Voglio a te, ma tu devi andare e io devo restare per mamma e so che non ti rivedrò più.”
Non mi sono mai piaciute quelle situazioni emotive che ti annebbiano la ragione. Mi chiesi chi era Anja per me e mi risposi che era l’unica donna che avevo baciato nella neve, perché lei era come la neve: pura, candida e ricopriva, riscaldava, puliva ogni pensiero che avevo come fa la neve col bosco.
“Questo regalo era solo un modo per chiederti di non dimenticarmi perché neanch’io voglio perderti – la staccai da me e vedendo gli occhi pieni di lacrime glieli asciugai – non siamo Madam Butterfly e Pinkerton. Tu non sei Cho Cho San, sei la mia piccola Anja: se tu lo vuoi, io non ti lascio da sola. Ora non abbiamo scelta, non possiamo fare diversamente. Appena arrivo ti mando un biglietto aereo e appena puoi vieni da me. Cambierò lavoro e resterò a casa con te e riavremo tutta la vita che non abbiamo vissuto”
Lei sorrise
“è una bella favola quella che mi dici”
“è la realtà, quello che ti offro”
“Non hai sposato la tua fidanzata che ti aspettava da anni e vuoi portare via la piccola Ania che hai incontrato da pochi giorni?”
“certo – la guardai sorridendo – questo perché la piccola Anja è carina, sempre allegra, responsabile, disponibile, perché l’amore è una scommessa e se vuoi vincere molto devi puntare tutto quello che hai, e tu è questo quello che hai fatto questa notte ed io è questo quello che voglio fare domani, perché dopo di te, non avrò più tempo per amare qualcuno”
Vidi le sue pupille muoversi impercettibilmente per osservare tutto il mio volto cercando la verità
“giusto”
Concluse alla fine, sorrise e si aggrappò a me per baciarmi con quella intensità e passione che di notte aveva imparato. Lei mi credette perché voleva illudersi che ero sincero. Io ero sincero perché volevo illudermi che quello che dicevo fosse vero. Anche se nessuno di noi due aveva usato la parola amore, era quello il senso di quel nostro volerci illudere. Perché è questo l’amore, una concreta illusione. Ero sempre stato un viaggiatore egoista. Avevo tenuto per me tutte le bellezze e le meraviglie che avevo visto e che cambiandomi ( perché la bellezza trasforma sempre a chi si rivela) mi avevano reso estraneo a chi avevo lasciato a casa. Ora nei miei viaggi avevo finalmente trovato la perfezione, l’armonia e la portavo via con me e, proprio per poterla farla mia, non potevo non rinunciare, non potevo non rischiare, non provare e dichiarare sul tavolo verde della vita il mio unico e ultimo All In.
Dopo circa venti giorni, sua madre mori e lei venne a vivere da me. I miei genitori dopo averla pensata una arrivista furba che era venuta a farsi mantenere dal solito benestante maturo e coglione (mio padre: ma chi minchia studiasti a fari si appena vidi a prima sciacquina chi ti mustra u picciuni ta potti a casa? Ma sticchiu, nun n’avivi vistu mai? Mia madre: ma u corredu l’avi o veni ca sciutta sciutta a fassi sebbiri?), scoprirono chi era al suo arrivo.
“Ecco Anja questa sono mamma e papà”
“Ciao sono felice di conoscervi”
“Bongionnu signurina,bongionnu”
“Oh che piaceri signorina Anja, trasissi, trasissi”
“ signora, per favore chiamami Anja, posso chiamarti mamma? se no non riesco a parlarle”
“Oh che dice … che dici Anja cetto che può chiamarmi mamma”
“ho perso da poco mamma e ancora non ho superato la sua assenza, penso sempre a lei se la chiamo mamma mi sento meglio”
“Oh cori mei chissà quanto hai sofferto. Ecco vedi, mi sono emozionata – fece prendendo il fazzoletto e asciugandosi il naso - veni, veni, qua in salotto siediti qui accanto a me dimmi, sei stanca, vuoi mangiare?”
“io non mangio molto”
“si vidi cori mei, si sicca sicca: u saccu vacanti non sta rittu”
“Ma quello è un pianoforte?”
“Si è della sant’anima di mia sorella Assunta, lei suonava il piano benissimo, se fosse nata al noddi sarebbe stata una grande artista”
“è uno Stauffcacosu…. Na macca tedesca imputtanti. Per accordarlo l’anno scorso ci spinnii 2000 euri”
“posso suonarlo?”
“Lo sai suonare? o che bello prego prego”
Mia madre si sedette vicino al pianoforte come faceva quando suonava zia Assunta e mio padre si accomodò sulla sua poltrona come un re sul suo trono sodisfatto che i soldi spesi fossero stati utili. Anja aprì il pianoforte, accarezzò i tasti, si voltò a guardarmi felice poi, guardò lo spartito rimasto al suo posto da quando zia Assunta era venuta a mancare e incominciò a suonare Chiaro di Luna. Ricordo tutta la scena come se fosse ancora qui di fronte a me. La luce che entra dalla vetrata e illumina mia madre e mio padre mentre Ania suona. Mia madre seduta sulla punta della sedia che osserva Anja e si commuove forse pensando alla zia, forse risentendo le parole di Anja che la voleva chiamare mamma. Mio padre che segue ad occhi chiusi battendo con la mano il tempo sul bracciolo e che poi si volta verso di me e puntando il dito indice destro sulla sua gota destra, lo fa girare a dirmi in silenzio l’apprezzamento per Anja. Questa la terza volta che Anja mi ha fatto felice.
Io cambiai lavoro e incominciai a lavorare nella ditta locale di un mio amico che si occupava di bonifiche. Fu così che avvenne l’incidente. C’era un serbatoio interrato. Il capomastro, Calabrò, voleva andare avanti e rimuoverlo con la ruspa. Io feci andare tutti via, perché un serbatoio di cui non sapevamo nulla poteva essere una bomba, ed infatti, mentre controllavo che tutti fossero al sicuro, esplose e i pezzi di metallo mi colpirono alla nuca, tagliando ogni collegamento tra i miei occhi e il cervello. Caddi nel buio e ci resterò per tutta la mia vita. Non avrei più visto il mare, il cielo, i volti dei miei genitori, il cambiare delle stagioni, albe e tramonti, le emozioni di chi mi parla, gli occhi ed il sorriso di Anja. Nulla. Il buio, un buio ignoto, ostile, dominante, segna ogni secondo del giorno, ogni mio respiro. Tutto mi è sconosciuto, e anche seduto in una stanza, resto disorientato, perso nel cercare messaggi che non so tradurre in informazioni utili. Resto prigioniero del buio, incapace di avere riferimenti certi, di essere parte della vita che non posso vivere e che quindi, come diceva Anja, non può esistere.”
Rimase con la mente vuota, stanco di ricordare per sentirsi vivo e di pensare ad Anja per attaccarsi alla vita.
“Amorre, amorre, ma che fai qui? Non ti ho trovato a letto e mi sono spaventata”
“non riuscivo a dormire, ho avuto una crisi di ansia e dovevo respirare un po' di aria fresca”
“Ma sei freddo, gelido, ti verrà polmonite, vieni dentro”
“No, sto bene qui, lasciami qui in pace”
La sentì ciabattare allontanandosi e pensò che si fosse arrabbiata ed era tornato a letto.
Sentì invece che tornava e che un manto caldo lo copriva
“Ho preso coperta, così stiamo caldi”
Senti che gliela sistemava coprendolo per bene, poi anche lei si sedette accanto a lui coprendosi con la stessa coperta. Senti che lo abbracciava e il calore del suo corpo che lo scaldava.
“Stiamo qui amorre è ancora tutto buio”
“vai a dormire, è inutile che stai qui a morire di freddo”
“io sono nata al freddo, poi qui ci sei tu, e io sto bene.
Lo abbraccio più forte.
“qui c’è calduccio, con te”
E appoggiò la testa sulla sua spalla
Per quasi mezzo minuto sentì solo il cigolio del dondolo
“Ti sei sentito male?”
“Si come sempre, mi sentivo soffocare come se fossi stato chiuso in una bara”
“Perché non mi hai chiamato? Ti avrei aiutato”
“E che puoi fare tu? mi puoi ridare la vista?”
“No, ma potevo fare carezze e tu ti calmavi”
“Le carezze non bastano! Non capisci che mi sento come morto, che non so se ho gli occhi aperti o chiusi, che impazzisco al pensiero che sono immerso nel buio e che non so dove andare, come muovermi, che non vedrò più nulla di quello che era la mia vita? Che non potrò più lavorare, vedere i volti di chi amo, i colori delle stagioni, sono in una prigione che incomincia dentro di me e finisce dove finisce l’universo.”
Si fermò perché capì che stava alzando la voce in modo isterico. Continuò a voce più bassa
“Lasciami stare, non puoi capire. Volevo fare per te tante cose, occuparmi di tutto quello che ti avrebbe fatto felice, fatti vedere le spiagge più belle i teatri, le città i posti dove tu saresti rimasta a bocca aperta, e invece, anche per andare in bagno ho bisogno che qualcuno mi accompagni, che qualcuno mi vesta come si fa con i bambini. Volevo renderti felice, curare i miei genitori, avere finalmente una casa per sempre, dove fare le cose che mi piacciono. Invece niente, sono un handicappato che ha bisogno di tutto e di tutti”
“Amorre ma io sono ancora qui, le città, i teatri, i posti meravigliosi, sono ancora intorno a noi. Vita non è finita, sei sempre quello che ha costruito ponti, strade, palazzi, quello che mi ha rubato alla neve e mi ha donato sole: tu sei handicappato solo se ti senti così. Devi iniziare a fare i primi passi, a reagire come ti ha detto psicologa”
“Bona chidda! Ma chi minchia mi rappresenta chidda. Devo reagire…. Ma che ne sa lei. Che ne sa della bara nera in cui sono. Venisse lei dentro il mio buio e allora capirebbe”
ora era veramente incazzato, avrebbe dato fuoco a tutto il mondo, rotto tutto quello che circondava perché sentiva che nessuno poteva sapere cosa provava.
“Amorre calmati, non serve niente incazzarsi. Dai andiamo dentro, c’è l’umido del mare che ti fa male e ti fa sentire dolore nelle ossa”
Si alzò e lo fece alzare tirandogli le braccia. Gli sistemò la coperta sulle spalle e l’aiutò ad attraversare il terrazzo. La segui docilmente perché era stanco e alla fine aveva ragione lei a dire che non sarebbe servito a niente. Lo aiutò a sdraiarsi su letto e lo coprì con le coperte. Si voltò verso il comodino cosi che lei non lo vedesse, non voleva che lei gli parlasse o dicesse. Voleva solo silenzio.
“ahi”
“che c’è?”
“ho urtato con il piede”
“stai attenta, non vedi dove vai?”
“No è buio”
“accenditi la luce, almeno tu che vedi non farti male”
Non la sentì accendere la luce ma senti il fruscio dei suoi vestiti
“ che fai?”
“ niente amorre niente”
La sentì che si sedeva sul letto e che si copriva con le coperte. Poi il letto si scosse perché lei si muoveva e si avvicino a lui, gli si strinse contro, la sua mano entro sotto il suo pigiama salendo verso il suo petto e poi scendendo verso la sua pancia.
“Che fai? – la mano scese ancora insinuandosi tra le sue gambe – amore lascia stare, non ne voglia … non è il caso”
Ma la mano continuò accarezzando le sue intimità mentre sentì le sue labbra sul collo, salire con la lingua e raggiungere il lobo dell’orecchio e succhiarlo e poi la punta della lingua giocare dentro il suo orecchio.
“Amore … dai … finiscila”
e con la mano la toccò sentendo che era nuda. Si girò sulla schiena per fermarla, ma lei ne approfittò per salire su di lui ed immergere la sua lingua tra le sue labbra. Con la mano cercò di spostare il suo volto, ma senti qualcosa di strano. Tocco con l’altra mano e capi che Anja si era coperta gli occhi con le garze oculari, diventando così temporaneamente cieca, come lo era lui.
“Amore che hai fatto?”
“Anja vuole entrare nel buio del suo amorre, … lo vuole liberare dal nulla -Rispose ridendo con un filo di voce e con le mani esplorò il suo volto - fammi entrare amorre, … Anja, vuole scendere nel tuo cuore ”
E lo baciò con forza, poi seduta su di lui gli levò il pigiama e i pantaloni, si sdraio su di lui perché sentisse tutto il suo caldo corpo e incominciò a baciargli ogni parte che le sue labbra toccavano. Sentì il calore di lei che si muoveva sinuoso, serpeggiando su di lui e il suo corpo reagì come se lei gli avesse versato dentro del fuoco.
“Amorre, mi senti, sono qui, nel tuo buio, … come quando eravamo sulla neve, …. vieni amorre dalla piccola Anja – fece sottovoce sfregando la punta del suo seno sul suo petto – vieni mio re, l’amore non ha un colore, … come piacere, o gioia, …. siamo noi che li pensiamo colorati come vuole nostra fantasia, …. ma loro sono neri, … oscuri, … come silenzio, … come desiderio, … vieni amorre, Anja è qui … nel tuo regno nero, …. ha bisogno di te, …. ha freddo, … dai calore alla piccola Anja”
Accompagnava le sue parole da piccoli baci, piccoli morsi sul suo corpo mentre sentiva le sue mani sfiorare, stringere, tornare ad accarezzare, vogliose, sfacciate. I suoi capelli scivolavano sulla sua pelle solleticandolo, lasciando dentro di lui una scia come di stelle.
“Vieni amorre, Anja … è qui nei tuoi silenzi, … prendi i suoi occhi, … vedi sua luce, … perché sei tu la sua luce, … il suo re, …. sei respiro di piccola Anja, …. vieni amorre, questo buio è enorme, … ma Anja lo sa: tuo amore è più grande, … il tuo amore è immenso, … Ania lo sa mio re, … perché l’amore chiama amore … e l’amore di Anja è come l’amore del suo re …”
Senti scivolare i suoi capelli vicino al suo pube, ondeggiare come alghe nel mare mosse dalla corrente, sentì le sue labbra, la sua lingua e volle abbracciarla stringersela, tenerla stretta a se, diventare una unica cosa con quell’oscurità che lo stava adorando desiderandolo. Allora, la prese per le ascelle e la sollevo sdraiandola sopra il suo corpo.
Lei lo abbracciò e continuò a baciarlo sussurrando con voce cantilenante
“È come dentro neve, … siamo solo noi due, … piccola Anja e il suo vecchio re solo che adesso neve è nera, … come l’amorre, … come gioia, … come voglia di Anja e del suo dolce re …”
Si girò e la depose sul letto e incominciò a baciarla dal collo, scendendo lentamente, si fermò sull’inizio del seno e scivolò verso le ascelle, alzò il suo braccio e sentì il suo odore di donna. Quell’odore gli penetro nel cervello come una lama di piacere e desiderio. Leccò quell’odore e ne senti il sapore salato, scese lungo il fianco e risalì verso il seno.
“Si amorre, mangia piccola Anja … piccola Anja vuole stare nel tuo buio … saziala amorre … ha sete di te … ha bisogno della gioia che le davi … senza di te Anja morirebbe … vieni mio vecchio re … Anja ti cerca nel tuo buio … tu sei già sceso nel buio di Anja e l’hai portata via con te … ora vieni, Anja è nel tuo buio, …. vieni ad abbracciare sua luce … vieni a riprendere tua vita”
La lingua senti un punto a metà del seno e si ricordò che lì Anja aveva un piccolo neo e lo baciò come se avesse ritrovato un vecchio amico, una stella polare con cui potersi orientare e tornò a scivolare verso la punta del seno e lo solleticò, lo leccò, gli giro intorno lasciando che i denti l’afferrassero, tirandola, sentendola lamentarsi con un filo di voce
“Amorre hai trovato Anja … il buio ha dato tanta voglia ad Anja e al suo re, … vieni amorre… sazia voglia della piccola Anja, e qui nel tuo buio, vieni … amorre …”
Ma lui continuò a scendere, sentendo la morbidezza del ventre, la profondità dell’ombelico, l’inizio dei fili ispidi del suo pube. Ne cercò l’odore, la delicatezza, l’estensione, tirando quel piccolo cespuglio che ricordava biondo, baciandolo, leccandolo mordendolo e poi tornò da lei, dalla sua bocca che si lamentava di piacere. Di voglia, di desiderio. Quando senti che lui era sopra di lei lo abbracciò e lo bacio e lo strinse ancora più forte, allora lui oltrepassò la porta della vita e scivolò dentro di lei che lo strinse a se, incrociando le sue gambe con le sue, quasi fosse edera che si aggrappa al tronco di una quercia per nutrirsi della sua forza. Ebbe come la percezione che una parte del buio in cui era fosse Anja, e che quel buio che odiava, in realtà conteneva tutta la sua vita, tutta quella che lo circondava, e che bastava abbracciare una parte di quel buio per ritrovarsi tra le braccia Anja, o nel suo amato mare o sulle colline che c’erano alle spalle della sua casa. Allora strinse anche lui quella parte di buio che era il suo amore, e lo bacio con calma, respirando il suo respiro, facendo scoprire alle sue labbra le labbra di Anja, le gote, il collo delicato, gli occhi coperti dalla garza con cui Ania era venuta a cercarlo nell’inferno del suo assordante e violento nulla. Sentì che la mezza anima che lui portava, voleva uscire e cercò di distaccarsi, ma le mani di lei scivolarono sulla sua schiena e lo spinsero ancora più dentro
“ resta … amorre … resta … Anja … vuole”
Disse con un sussurro stordito dal piacere. Lei chiedeva la sua mezza anima, la voleva nel suo scrigno delle anime, voleva che trovasse l’altra mezza anima che lei conservava, così che le due mezze anime diventassero un’anima intera, una vita. Restò li, abbracciato, legato, immerso in lei, finché i loro respiri si calmarono. Si girò restando con la faccia verso l’alto, confuso da tutto quello che era successo. Lei si girò dandogli le spalle e si strinse contro di lui.
“Abbraccia Anja amorre, … piccola Anja … ha sonno”
Disse con una voce appena percettibile. Lui si girò e l’abbraccio, lei strinse il suo braccio che la circondava e si accoccolò contro di lui. Sollevo una mano e toccò i suoi occhi, c’erano ancora le bende oculari. Era ancora nel suo buio.
Appoggiò la testa contro i suoi capelli e presto la senti respirare regolarmente. Respirò il suo profumo e si rilassò al suo calore.
“Anja è un pezzo del mio buio che tocco e che sento vivo. Ormai tutto il mio mondo è questo buio. Lei, il cielo, i monti sono tutti dentro a questo mio nulla. Questo buio è il mio nuovo mare. Devo organizzarmi. Capire. Orientarmi. Scoprirne ogni angolo per poter vivere, per prendermi cura di Anja, dei miei vecchi … e, se venisse, anche di Anima Nuova … devo prendermi cura di loro, devo pensarci, non posso lasciare Anja a occuparsi di tutti. Devo incominciare a gestire le cose importanti. Ora mi alzo, mi lavo, mi faccio il caffè e vado dal barbiere. La strada me la ricordo, sono due traverse da qui. O sono tre? Chiamo mio padre e mi faccio accompagnare, così gli parlo .. gli chiedo di mamma, … e se ha potato gli olivi. Gli olivi devono essere curati se no soffrono … come noi uomini, dobbiamo liberarci dalle speranza morte che portiamo in noi per averne di più forti e dare frutto …. Gli chiedo del suo amico che vende la vigna …. E un buon affare … dovremmo pensarci. La vigna richiede impegno, ma una vita senza impegno, … è morte … Poi Anja deve tornare al conservatorio, è il suo desiderio più grande. Deve realizzarlo e ha bisogno di me per sostenerla, per starle vicino. Si mi alzo … dopo … quando Anja si sveglia …. Ora no, la disturberei … faccio il caffè … so dove è la caffettiera … aspetto … quando si sveglia …”
Si accorse che sognava perché improvvisamente vide le colline tutte dorate ed il mare quieto e azzurro com’è al tramonto.
6 notes
·
View notes