#caldo de fumo
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Como Fazer Inseticida Caseiro com Fumo de Rolo
Você está buscando uma alternativa eficaz e natural para proteger suas plantas contra pragas sem precisar de produtos químicos nocivos? Neste guia completo, você aprenderá a fazer um inseticida caseiro com fumo de rolo, uma opção poderosa e acessível. Vamos explorar o passo a passo da preparação, a aplicação e todas as dicas essenciais para o uso seguro desse inseticida. Ingredientes…
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thetuesdaytapes · 4 years ago
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THE TUESDAY TAPES MARTEDÌ 18 MAGGIO 2021 ►► “OMAGGIO A FRANCO BATTIATO” 1) Il silenzio del rumore (1972) 2) Areknames (1972) 3) Caffé de la Paix (1993) 4) No Time, No Space (1985) 5) È l’amore (1968) 6) Stranizza d’amuri (1979) 7) Il re del mondo (1979) 8) Quand’ero giovane (2012) 9) Fumo di una sigaretta (1968) 10) Bandiera bianca (1981) 11) Una cellula (1972) 12) Il mondo va così (1967) 13) La stagione dell’amore (1983) 14) No U Turn (1974) 15) Le reazioni (1967) 16) Il vento caldo dell’estate (Alice, 1980) 17) Up Patriots to Arms (1980) 18) Le aquile (1980) 19) Il sentimiento nuevo (1981) 20) Gli uccelli (1981) 21) Voglio vederti danzare (1982) 22) Aria di rivoluzione (1973) 23) L’esodo (1982) 24) L’era del cinghiale bianco (live, 2016) 25) L’era del cinghiale bianco (1979) 26) Centro de gravedad/Centro di gravità permanente (1981) 27) Chan-son Egocentrique (Alice & Battiato, 1983) 28) Running Against the Grain (2001) 29) Meccanica (1972) 30) Strade dell’Est (1979) 31) La convenzione (1972) 32) La torre (1982) 33) Proprietà proibita (Joe Patti's Experimental Group, 1974/2014) 34) Summer On a Solitary Beach (1981) 35) Frammenti (1980) 36) E ti vengo a cercare (1988) 37) Beta (excerpt) (1972) Ascolta su MIXCLOUD Ascolta su SPREAKER Guarda su YOUTUBE
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weekendance · 4 years ago
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THE TUESDAY TAPES MARTEDÌ 18 MAGGIO 2021 ►► “OMAGGIO A FRANCO BATTIATO” 1) Il silenzio del rumore (1972) 2) Areknames (1972) 3) Caffé de la Paix (1993) 4) No Time, No Space (1985) 5) È l’amore (1968) 6) Stranizza d’amuri (1979) 7) Il re del mondo (1979) 8) Quand’ero giovane (2012) 9) Fumo di una sigaretta (1968) 10) Bandiera bianca (1981) 11) Una cellula (1972) 12) Il mondo va così (1967) 13) La stagione dell’amore (1983) 14) No U Turn (1974) 15) Le reazioni (1967) 16) Il vento caldo dell’estate (Alice, 1980) 17) Up Patriots to Arms (1980) 18) Le aquile (1980) 19) Il sentimiento nuevo (1981) 20) Gli uccelli (1981) 21) Voglio vederti danzare (1982) 22) Aria di rivoluzione (1973) 23) L’esodo (1982) 24) L’era del cinghiale bianco (live, 2016) 25) L’era del cinghiale bianco (1979) 26) Centro de gravedad/Centro di gravità permanente (1981) 27) Chan-son Egocentrique (Alice & Battiato, 1983) 28) Running Against the Grain (2001) 29) Meccanica (1972) 30) Strade dell’Est (1979) 31) La convenzione (1972) 32) La torre (1982) 33) Proprietà proibita (Joe Patti's Experimental Group, 1974/2014) 34) Summer On a Solitary Beach (1981) 35) Frammenti (1980) 36) E ti vengo a cercare (1988) 37) Beta (excerpt) (1972) (PS: se non visualizzate il widget, lo streaming della puntata è QUI)
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sophiamcdougall · 4 years ago
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Ok, seriamente: qual è la tua routine preferita per preparare una buona tazza di tè? Quali tè ti piacciono? In che momento della giornata? Bevi il tè caldo in estate? (Puoi rispondere in eng, se preferisci) 😊
OK l’hai chiesto. Forse tra poco te ne pentirai. Scopriamo insieme! Il mio tè preferito è Darjeeling. Non è sempre facile da trovare e se non ci riesco, English Breakfast va bene. Però non mi piacciono i tè con sapori maltati; gradisco un tè delicato ma fatto per essere il più forte possibile. Un tè che sa del pensiero di fumo di legno. Di solito bevo 2-3 tazze di tè per giorno – non così tante per una persona inglese. La prima tazza, naturalmente, è di gran lunga la più importante. Ne ho bisogno il prima possibile dopo il risveglio. Non sono una persona mattiniera (affatto), ma per me il caffè è troppo drastico da prendere di prima mattina. È come un grido di “SVEGLIATI STRONZA” all’orecchio. Il tè invece mi riconcilia in modo gentile allo shock di trovarmi sveglia, mi dice, “Lo so, è tutto atroce, ma puoi farcela.” Bevuto il tè e compiuto il periodo formale di lutto per il sonno, riesco a fare cose come parlare con la gente, e fare colazione con caffè. Poi, prendo un’altra tazza di tè al pomeriggio tra le 15.00 e le 18.00. Se me lo dimentico, a un certo punto diventa in qualche modo “troppo tardi” e non la voglio più, ma ancora provo la mancanza della tazza che avrei dovuto prendere, lascia un senso malinconico di qualcosa non finita.    Spesso prendo una tazza di tè verde prima di andare a letto – ho preso l’abitudine dopo i miei genitori tornassero con diversi pacchi di tè verdi dopo un viaggio in Cina molti anni fa. Si, faccio così anche in estate! Di mattina ho bisogno di tè per vivere e se non ho dormito bene per causa del caldo la situazione sarà solo più disperata. Dopotutto, i giorni caldissimi sono pochi qui (ma più frequenti di una volta, grazie cambiamento climatico) e anche quando succedono, le ore in cui bevo tè non sono durante il calore del giorno. Ma faccio così anche in vacanza estiva in Italia, Grecia, ecc? Si. Mi trovi a volte bevendo del tè e lamentandomi di quanto faccio caldo? Ancora si. OK ma come preparare una buona tazza di tè? Ovviamente ci sono TECNICHE, cose che si possono fare per ottenere risultati anche migliori, e ci sono cose che dipendano dal tipo di tè che si usa. Però presumiamo di volere solo una bella tazza quotidiana di tè nero senza pensarci troppo. I tre principi più importanti sono: 1) Usa acqua bollente - non bollito, proprio bollente - e versala sulla bustina di tè, non mettere la bustina mai in acqua già versata. 2) ASPETTA! NON TOCCARE NIENTE! 3) Quando il tè è pronto, tira la bustina fuori. (N.B dovresti bollire l’acqua solo una volta – toglie l’ossigena dall’acqua e il sapore sarà più “piatto” se usi l’acqua ribollita. Ma non lo definisco una “regola” perché ho ADHD e a volte fallisco questa fase, non è la fine del mondo.) Per il bene della SCIENZA ho creato questo aiuto visivo per illustrare l’importanza fondamentale di regola 1.
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Qui abbiamo acqua versata direttamente dal bollitore sulla bustina. Ah, vedi come la bruna bontà si diffusa nell’acqua. Che bellezza. Che poesia. Ma che succede se invece versiamo l’acqua nella tazza e poi aggiungere la bustina?
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NIENTE. NIENTE è quello che succede.
Sopra, una tazza piena di promessa, conforto e gioia. Sotto, un disastro, una vergogna e una tragedia. Ancora per il bene della scienza, ne ho preso un sorseggio. Sa di tristezza e dei sogni infranti.
Poi c’è la questione del tempismo. Il sapore vuole tempo per svilupparsi. Quindi almeno 3 minuti, probabilmente 4 o 5. Con un tè più forte forse un po' meno. Ma non aspettare troppo o il sapore si svilupperà troppo e diverrà “stewed” – amaro e astringente. Ecco perchè devi tirare fuori la bustina! Il tè dovrebbe aver un colore forte ma rimanere trasparente – se è molto scuro e opaco, probabilmente è stufato.
Ecco il tè è pronto. Guarda che quasi risplende da dentro. Assomiglia un gioello, un rubino prezioso, ambra liquida.
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Ora per argomenti più complicati, ossia:
Dovresti mettere qualcosa nel tè?
Ovviamente de gustibus non est disputandum. Ma comunque ho ragione io e tutti gli altri si sbagliano. Niente: Una scelta che va sempre rispettata, ma è forse un po’ … austera. Zucchero: Non posso fermarti ma non farlo. Sono d’accordo con George Orwell che disse “Sarebbe altrettanto ragionevole aggiungere pepe o sale.” Limone: Non ho molto da dire. Va molto bene con i tè come Earl Grey. Nasconde il vero sapore di altri tè ma almeno i risultati non fanno schifo.   Latte: Ho l’impressione che non si usi il latte con tè sul continente --ma oddio, se io avessi una tazza di tè miserabile nata come quella nella foto in alto, non lo farei nemmeno io. Non ha la forza per resistere uno sguardo duro, per non parlare di latte. Detto ciò, secondo me, i miei compatrioti in genere usano troppo latte nel tè, il suo scopo vero viene dimenticato, ah, piangiamo per la sorte dell’Inghilterra. Per me lo scopo non è il sapore del latte. Con il Darjeeling uso una goccia di latte – letteralmente una goccia, per bilanciare i tannini e sottilmente sottilmente aggiustare la consistenza, rendendola più morbida e vellutante. C’era una volta in cui una mia amica ha preparato il tè per entrambe. Le avevo insegnato come mi piaceva, ma lei prendeva il proprio tè con molto latte. Non ho detto niente ma lei mi ha guardata e detto, “Questo davvero ti disturba, non è vero? Credi che sia un segno della debolezza di carattere, vero???” SI.
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OH, COSA, IL SAPORE VERO DI TÈ TI FA PAURA? VUOI UNA TAZZA DI CALDA LATTE E ACQUA COME UN VIGLIACCO? ALLORA FATTENE UNA, IO SONO UNA PERSONA SERIA, UN’INGLESE VERA E IO SONO QUI PER BERE. DEL. TÈ!! Allora eccola, una buona tazza di tè!
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Spero che questo ti sia stato utile.
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pangeanews · 4 years ago
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“Lui si porta i libri di Kafka ma poi studia solo ogni cu*o che passa”. Le hit dell’estate più rarefatta del secolo, ovvero: sull’analfabetismo della musica italiana (che spacciano per indagine socio-artistica)
Ci si attendeva tonnellate di romanzi claustrofobici incubati durante la clausura anticontagio (arriveranno, dategli tempo) e di film ambientati nella cattività degli zoo per umani che sono diventate le città (purtroppo a quello di Enrico Vanzina ne seguiranno altri), così nel frattempo sono tornate le canzoni. Anzi le hit, come sono chiamate quelle produzioni che dovrebbero durare quanto gli assorbenti e invece diventano la colonna sonora delle stagioni.
Ci sono sempre state le hit, ma quelle imposte dalle radio durante l’estate post Covid – la più rarefatta e sospesa dell’ultimo secolo – oltre a rinsaldare i nostri vincoli affettivi con la mediocrità sembrano aver individuato la loro funzione sociale: sono diventate il piccone con cui demolire quel che resta della lingua italiana, il machete con cui smembrarla a beneficio di una comunicazione orizzontale, istantanea, indistinguibile e quindi informe. «Senza studiare, senza fiatare, basta intuire che è anche troppo, colpo d’occhio è quello che ci vuole, uno sguardo rapido» scriveva Ivano Fossati (Il battito, 2006), preconizzando la necessità di sintonizzare le nostre frequenze filologiche su onde sempre più elementari, catacombali: «Dateci parole poco chiare, quelle che gli italiani non amano capire, basta romanzi d’amore, ritornelli, spiegazioni, interpretazioni facili – diceva Fossati – ma teorie complesse e oscure, lingue lontane servono, pochi significati, titoli, ideogrammi, insegne, inglese, americano slang». Si argomenta spesso della crisi della letteratura, del vuoto intorno al cinema e della mancanza di coraggio dell’arte italiana, ma la verità è che dalla musica pare non ci si possa aspettare altro che disgregazione, chiacchiericcio, volgarità più o meno esplicite, analfabetismo a rigorosa misura di social. Ma guai a scambiarla per sottocultura, al contrario questa potrebbe essere la nuova frontiera della dignità autoriale con cui viene chiesto di fare i conti agli interpreti del nostro tempo, e chi non risponde «presente» o è tagliato fuori o è un dinosauro (come chi scrive).
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La morte di una lingua.
Per brevità (ovvero banalità), velocità di trasmissione e universalità del messaggio, le canzoni post Covid sono diventate l’espressione più allarmante della deriva del Paese e della Lingua, nonostante questa rimanga tra le più belle, complesse e tradotte al mondo. Ma forse è proprio questo il demonio contro cui combattere, il padre nobile e ingombrante da abbattere. Forse alle nuove generazioni di produttori e compositori non va giù proprio questo, l’insopportabile paragone con un passato impietoso sotto troppi aspetti: nobiltà della missione, qualità del prodotto, straordinaria ricchezza artistica, inarrivabile varietà di proposte, mercato che oggi semplicemente non c’è. Va da sé che l’unica espressione culturale con cui ingaggiare un confronto, nel tentativo di riuscire a vincerlo, per paradosso è proprio l’ignoranza. Volendola tracciare con una parabola, la flessione della ricerca linguistica all’interno delle canzoni moderne, si dovrebbe scavare un fossato, interrarsi in un bunker atomico. Indifendibile, squallida, quasi sempre sessista anche se nessuno dei Benpensanti della Domenica lo fa notare. A larghi tratti analfabeta, quasi sempre composta da una manciata tra sostantivi, aggettivi e pronomi (massimo dieci, sempre gli stessi), ampiamente intrisa di offese gratuite, nomi e marche importati da lingue straniere. Né militante né consunta, né vissuta né scaltra. Una lingua traslucida, abbandonata per eccesso di frequentazione. Una lingua al consumo, usa e getta come le carte prepagate. Una lingua fantasma, nemmeno codice di riconoscimento. Avvertimento lampeggiante, segnale di insipienza riconoscibile da tutti e da lontano. Una lingua svenduta al massimo ribasso, umiliata come se di null’altro si potesse parlare che di stronzate, perché alla gente ignorante (stando al marketing alla base della concezione di questi capolavori) bisogna rivolgersi con cose ignoranti (ecco perché una signora che storpia il nome scientifico del ceppo di un virus su una spiaggia italiana, mixata e debitamente masterizzata fa più download di Alberto Angela). E in questo deserto nessuno chiede uno sforzo di creatività, nemmeno a quelli che invece avevano colpito – o ci avevano provato – per la loro audacia. «E comunque si balla, come bolle nell’aria. E si tagga la faccia, che è riaperta la caccia. E comunque si bacia, l’italiana banana…» canta Francesco Gabbani nel Sudore ci appiccica, mentre Diodato fotografa la solitudine che ci siamo lasciasti alle spalle con «lo vedi amico arriva un’altra estate, e ormai chi ci credeva più, ché è stato duro l’inferno ma non scaldava l’inverno, hai pianto troppo questa primavera» (tratto da Un’altra estate). Non fanno meglio Ermal Meta e Bugo, con Mi manca: «E mi manca aspettare l’estate, comprare le caramelle colorate. E mi manca (mancano, sarebbe plurale) le strade in due in bici. Mi manco io, mi manchi tu. E mi manca una bella canzone (sinceramente, anche a noi!)».
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Bene intesi, nessuno pretendeva la chiave d’interpretazione dell’umanità. Ma forse è proprio dentro la musica, nelle note più spensierate di questi testi privi di urgenza e tensione morale, che la pandemia sembra aver riposto tutte le banalità che ha succhiato infilando una cannuccia sulle nostre teste. «Blocco a volte sembro ancora triste, il testo è vero sai che mamma è fiera, fumo sopra ai sedili di un Velar, penso a quando il successo non c’era – Shiva in Auto blu – fa i soldi appena diciottenne, in qualche modo sotto quelle antenne, in quanti cambiano lo sai anche tu…», con un seguito quasi mai inferiore ai 20 milioni di follower. Che la lingua non esista più lo si capisce da gemiti, monosillabi e vomiti che ormai sono diventati testo e non pretesto, overdose di egocentrismo, autoerotismo più esasperato di quello di certi scrittori. «Lui si porta i libri di Kafka – profetizza J-Ax nella sua Bibbia estiva, quella di quest’anno si chiamava Ostia lido – ma poi studia solo ogni culo che passa». E poi la ricostruzione delle giornate tipo in cui riconoscersi tutti, non solo gli adolescenti ai quali questi pezzi sarebbero destinati. «Mi chiedi com’è passare le giornate a stare sul divano, con un caldo allucinante che mi scioglie, non dormo più la notte, ventilatore in fronte, e questa casa sembra proprio un hotel – scrive Giulia Penna in Un bacio a distanza –. Latine, il bel Paese, pizza pasta e mandolino, tu portami del vino, ché forse in questo pranzo non t’arriva manco il primo».
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Come nei decreti “Mille proroghe” in cui insieme alla manovra finanziaria finiscono anche le sanatorie sui profilattici scaduti, in questa deriva consumista sono finite umiliazioni («ay papi non mi paghi l’affitto (…) Mamma lo diceva, sei carino ma non ricco»: Giusy Ferreri ed Elettra Lamborghini, La Isla); icone di plastica («tu fra queste bambole sembri Ken, ti ho in testa come Pantene»: Baby K e Chiara Ferragni, Non mi basta più);l’ostentazione della povertà («Nelle tasche avevo nada, ero cool, non ero Prada»: Mahmood, Sfera Ebbasta e Feid, Dorado); e la nemesi, sotto forma di insofferenza verso gli eccessi di comunicazione («Te lo spacco quel telefono, oh-oh, l’ho sempre odiato il tuo lavoro, oh»: Elodie, Guaranà).
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Ferie d’Agosto.
In una memorabile scena del bellissimo film con cui Paolo Virzì ha anticipato di almeno un ventennio il funerale politico del Paese, cioè Ferie d’Agosto, Ennio Fantastichini (capo famiglia di Destra) dice a Silvio Orlando (capo delegazione di Sinistra) queste parole: «La verità è che nun ce state a capì più un cazzo manco voi, ma da mo’…». Che non solo è vero, ma fotografa alla perfezione la saturazione di un pubblico in cui chi prova a dire «no» è condannato all’emarginazione, alla solitudine, alla gogna. «Se c’è una cosa che mi fa spaventare, del mondo occidentale, è questo imperativo di rimuovere il dolore. Secondo me ci siamo troppo imborghesiti – dice Dario Brunori in Secondo me – abbiamo perso il desiderio, di sporcarci un po’ i vestiti, se canti il popolo sarai anche un cantautore, sarai anche un cantastorie, ma ogni volta ai tuoi concerti non c’è neanche un muratore».
*
Certo non mancano le eccezioni, taluna musica riesce ancora a incarnare l’essenza di una missione a cui non solo i chiamati all’appello rispondono (cit. Leo Longanesi). Così come non mancano le ambizioni, le lezioni di scienza e coscienza di chi mette insieme la musica al più antico insegnamento degli umani, il sapere (penso al progetto Deproducers, lo straordinario tentativo di deprodurre, appunto, la musica attraverso l’ausilio della scienza); ma si tratta di oasi che al cospetto delle cover patinate, delle tracce inascoltabili imposte dalla tv e dalla pubblicità, dinanzi al muro di intolleranza al bello eretto soprattutto da alcune etichette musicali, non arriva alla grande platea. E non ci arriva perché non racconta una mutazione, non arriva perché non riesce a essere antidoto a tutto il peggio prodotto in questi anni, segnatamente in questi mesi.
*
A pensarci bene la pandemia non c’entra, al contrario come noi è costretta a subire questo strazio. La verità è che la cifra stilistica media, l’asticella della dignità, la percezione del gusto e l’estetica condivisa hanno perso qualsiasi ritengo, hanno rinunciato a ogni freno inibitore, così ciò che fino a venti anni fa era meno dello scarto delle bobine oggi è diventato esperimento, ricerca scientifica, derivato d’introspezione, indagine socio-artistica. E a nulla valgono gli impietosi paragoni col passato, quando provando a spiegare alle nuove generazioni la sofferenza da cui proveniamo lo si fa con una canzone di Francesco de Gregori («meno male che c’è sempre uno che canta e la tristezza ce la fa passare, se no la nostra vita sarebbe come una barchetta in mezzo al mare, dove tra la ragazza e la miniera apparentemente non c’è confine, dove la vita è un lavoro a cottimo e il cuore un cespuglio di spine», da La ragazza e la miniera), perché nessuno ha più tempo per ascoltare questi dinosauri. La missione è quella di favorirne l’estinzione, aprendo le porte di un mondo digitale, inespressivo e anaffettivo in cui la canzone – intesa come esperienza/fenomeno – riveste la stessa utilità dei prolungamenti delle unghie: umiliare la natura, nasconderne i prodigi. Come i bari fanno col talento.
Davide Grittani
* Davide Grittani (Foggia, 1970) ha pubblicato i reportage “C’era un Paese che invidiavano tutti” (Transeuropa 2011, prefazione Ettore Mo e testimonianza Dacia Maraini) e i romanzi “Rondò” (Transeuropa 1998, postfazione Giampaolo Rugarli), “E invece io” (Biblioteca del Vascello 2016, presentato al premio Strega 2017), “La rampicante” (LiberAria 2018, presentato al premio Strega 2019 e vincitore premio Città di Cattolica 2019, Nicola Zingarelli 2019, Nabokov 2019, Giovane Holden 2019, inserito nella lista dei migliori libri 2018 da “la Lettura”del Corriere della Sera). Editorialista del Corriere del Mezzogiorno, inserto del Corriere della Sera. Dirige la collana “Dispacci Italiani (Viaggi d’amore in un Paese di pazzi)” per l’editore Les Flaneurs. 
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lesbputa · 4 years ago
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Manu foi pra mim a única vez que me senti atraída por uma só pessoa, num estacionamento já não tão lotado de fim de festa em meio aquele fedor de vômito era como se sentisse o cheiro de vida, vontade de passar café que nem sei fazer ou fazer a vida dela se encaixar na minha alí mesmo na rua, manu era luz, tava tão linda e cheia de vida que se pudesse se ver riria, como eu ri, como quem acha graça e um toque de quero socializar com impressionar, eu queria que ela me notasse e o fiz, foi como arroz solto banhado no caldo do feijão, sempre com muita pressa, o primeiro beijo não demorou, logo menos a gente tava num colchão tomando água da geladeira da mãe dela dividindo cigarro de fumo planejando dividir a vida. Como quem muito se apressa não demorou e manu virou saudade, aquela passageira que quando desce o motorista percebe, não era hora, sem tempo bom, a vontade de tá junto só não foi maior que a de fazê-la, acordar sem ela era a rotina que se acostuma sem notar, a falta que fazia era das que se esquece até que algo o faça lembrar, não doía mas existia. Precisamos falar sobre Manu, e de como ela voltou no mesmo endereço de 3 anos atrás, se acomodou por uns dias e como quem nunca saiu, ficou, conquistou cada espaço que parecia já ser seu, se é que não era. Ela entrou trazendo o sol, assim como quem traria tempestade, eu até que a enfrentaria (a tempestade) e dançaria na chuva como gosto, mas sábio é quem remedeia segundo minha mãe. eu acredito que manu e eu somos uma daquelas coisas que dão tão certo que dá errado, mas tudo bem por que nem tudo tem de estar tão certo ou tão errado, no fim das contas estamos só procurando a melhor forma e hoje manu é saudade presente, é afeto bom, laço desamarrado pra não ficar gasto e arrebentar. https://www.instagram.com/p/CGjW2yCnj9S/?igshid=102pwz9snbfau
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jayrslz · 4 years ago
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DUENDE
apartado si me piensas,
soy la ducha de tu resaca,
mi estilo es fresco, yo estoy seco,
cacola y ron, si falta cash, skoll,
buscando el pan, con las manos en la masa,
una vida sin stop, sin control de la situación,
puede que vaya a peor,
nuestro momento pasó,
pese a eso paso,
dejé de verte perdiste el peso,
alumbrando mi camino con letras y voz,
ningún dios vino a ver que tal estaba,
era yo el que me escuchaba,
sabiendo las razones, preguntaste para joderme,
por recordarlas, no te hacen más fuerte,
si quieres triunfar mantente serio,
da las gracias,
picha no te lo tomes a pecho,
sabes que soy bueno,
tengo el duende,
no soy un maleante,
puta,
ni tu una princesa,
vas a engañar a qn no te conozca,
nuestro futuro no hay dudas, desastroso,
yo encendiendo el porro,
tú enseñándome una foto del horóscopo,
pocos como yo te van a entender,
esperarte no me viene bien,
dame un beso y hasta luego,
no tengo mas papel pa seguirte el rollo,
quiero tu culo, necesito esos cogollos,
oyeme,
no me llames, soy el don,
buscando un sueldo,
al mes dos gigas de saldo,
puro como descongelar el caldo,
puro como no pedir esperando que me des,
puro como compartir pa tres sabiendo que hay pa 1 y medio,
contra la vd no existe remedio,
aunq la ignores con el calo de ese leño,
escribo, aprendo,
prendo y fumo,
fumo y pienso,
la sonrisa no la disimulo,
sabiendo que lo dices siendo un bulo,
no eres un esquizo casi llegas a tonto del culo,
este diamante lo pulo,
a pico y pala,
pelando papas,
no soy un pupas guardo mis cicatrices,
en las nubes, arriba veo las hélices,
llegar al vértice de la cúspide,
vamos de huéspedes, 
no le hablo de usted a esos comemierdas,
ratones con dinero,
clones con vicios ajenos,
siempre que venís estoy a cero,
me rio de ti porque soy sincero,
sin preámbulos, brindemos por nosotros,
salpicando crema desde el banco, no elijas otro,
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kon-igi · 6 years ago
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LONG WAY HOME - Capitolo quattro - Solo come un cane
Capitolo Uno - Il cavaliere Impallidito Finding Doc - Vol.1 (crossover) Capitolo Due -  Per un pugno di mosche Finding Doc - Vol.2 (crossover) Capitolo Tre - Coraggio... fatti appendere!
Io e Becky stavamo cavalcando da più di mezza giornata, anche se sarebbe stato più preciso dire che il mio Re Nero zoppicava a 3/4 di trotto e Fresno Bob scalpitava sotto le chiappe di Bechdelia, nitrendo a mezzo labbro qualche improperio in cavallese in fatto di minoranze etniche ed equidi diversamente abili.
Sai, Doc -- fa la mia compagna di cavalcate, mentre srotola un foglio -- questo l’ho staccato da un cactus mentre eri intento a spremere qualche goccia sofferta dalla tua prostata infiammata.
Cara la mia social justice warrior lanciata a bomba contro il patriarcato -- le rispondo stizzito, mentre tiro le redini e mi volto verso di lei -- sappi che la prostata è una ghiandola muscolo-fibrosa impari e mediana a struttura piramidale e in quanto tale ha esclusiva funzione secretoria e non di immagazzinamento di prodotti catabolitici renali, quindi immagino tu stessi parlando della vesc… E QUELLO COSA DIAMINE È?!
Impiego qualche secondo a realizzare che la faccia maldestramente stilizzata su quel manifesto di carta da due soldi è proprio la mia ma non riesco a credere alle scritte che accompagnano il ritratto
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Bechdelia scoppia a ridere di fronte al mio esterrefatto sbigottimento e aggiunge divertita -- Ti avevo detto che se la sarebbero legata al dito e comunque sono indecisa se la mancata indicazione di ricompensa sia dovuta al fatto che sei ancora sotto valutazione oppure che sei troppo insulso… voglio dire, non porti nemmeno le pistole!
-- Non saprei che farmene di quelle e poi spiegami come hanno fatto ad aver già appiccicato i miei manifesti visto che sono passate solo quattro ore dal tentativo di impiccagione?!
-- Oh… ma questo si riferisce all’uccisione a sangue freddo di quattro uomini innocenti nel bar a Puntrémal. Ricordi?
-- Innocenti direi proprio di no e poi tecnicamente si sono ammazzati tra di loro, io mi sono semplicemente limitato a cercare di non stare dove passavano i loro proiettili. Cosa stai facendo con quel piccione?
-- Niente… una nota di aggiornamento per i miei ex-colleghi. Ecco… vola!
Cosa c’era scritto nel messaggio? -- gli chiedo sospettoso, osservando il piccione viaggiatore che scompare a est.
Nulla di importante. I nomi delle 57 persone che hai ucciso per non farti impiccare. Immaginavo saresti rimasto deluso per la mancanza di una taglia sulla tua testa e ho voluto fare qualcosa per tirarti su il morale. Scommetto un giro di tequila che ad andare a stasera le tue chiappe flaccide varranno perlomeno 5000 dollari l’una -- e facendo la faccia languida mi schiocca un volante bacio di giuda con labbra a cui avrei volentieri fatto un lifting con una locomotiva in corsa.
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Passiamo il resto della giornata a cavalcare in silenzio o perlomeno, io cerco di starmene zitto a contemplare lo scarno paesaggio, mentre la megera rossochiomata fa tintinnare il suo portamonete mezzo vuoto e improvvisa stupide canzoncine su pistoleri in disgrazia e taglie incassate, quando ci rendiamo conto che il sole sta per calare e non vediamo a colpo d’occhio nessuna cittadina dove poter controllare chi deve offrire a chi il succitato giro di tequila. Decidiamo quindi di accamparci al riparo di una sorta di terrazza naturale che il vento e la sabbia hanno scavato nell'arenaria rossa e dopo aver legato i cavalli a un albero circondato da numerosi ciuffi di salsola, cominciamo a raccogliere la legna per il fuoco.
Se non fossimo dovuti stare al passo di quel pony zoppo -- si lamenta Becky, sotto il peso di una fascina di yucca rinsecchita -- a quest’ora starei già bevendo la mia vincita all’Old Boot Saloon di Tombstone!
Oppure, sempre rimanendo in tema di lapidi -- faccio io con tono sarcastico -- il becchino si starebbe lamentando che prima dovevano chiederti il nome da inciderci sopra e solo dopo spararti, visto che adesso stai viaggiando col più pericoloso criminale del west!
Bechdelia vorrebbe controbattere ma io riesco ad avere l’ultima parola grazie a una provvidenziale perdita d’equilibrio e al successivo rotolamento rovinoso lungo venti metri di ripida scarpata. Naturalmente mi fingo svenuto per la successiva mezz’ora. Non appena Becky ha finito di preparare il fuoco e di cucinare quelli che il mio naso riconoscono come fagioli, mi scastro dalla posizione vitruviana e mi approccio al rancio.
Avrei preferito che tu m’avessi preparato un sandwich, donna! -- le dico, sentendomi come il protagonista de L’Etrangér di Camus il quale, nonostante conosca quale sarà il suo destino, vi si dirige incontro senza opporre resistenza e senza lottare. Segue un’ora di feroce monologo espositivo del Manifesto Femminista che attutisco con frenetico lavoro di molari sui fagioli mezzi cotti e penso che per oggi questa piccola vendetta vera mi ha mandato soddisfacemente a pari con la storia del piccione delatore.
Il primo turno di guardia tocca ancora una volta a me, anche se temo che Becky mi freghi sempre facendo leva sulla mia scarsa memoria delle regole -- perde chi ha la paglietta più lunga o più corta? -- e non appena ho augurato la buonanotte alla Clitennestra nostrana, appoggio la schiena a un albero ed estraggo il tabacco dalla mia borsa di Pochacco per riempirci la pipa.
Bechdelia sta russando come una vecchia segheria infestata da un poltergeist e il vento appena alzatosi si incanala nel canyon soffiando come un figlio di Rohan che col suo corno chiama alla battaglia; sarà per questo -- o magari per le due o tre sorsate dalla mia fiaschetta da taschino -- che lentamente cedo al torpore e mi metto a fissare a palpebre semichiuse la porta di legno in mezzo alla radura.
Naturalmente lungi dalla mia mente annebbiata interrogarmi sul perché qualcuno abbia puntellato una porta di legno in mezzo alla radura -- perché sicuramente è puntellata, dal momento che sta in piedi da sola senza alcun muro che la circondi -- piuttosto mi chiedo chi è che ne sta scuotendo la maniglia. Oh… ma si è aperta da sola! E… neve? Da dove viene tutta quella neve? Siamo sui bordi del Mojave eppure attraverso la porta vedo dei pini appesantiti dai rami ghiacciati. Butto un’occhiata al braciere della pipa per controllare se esca il fumo giallo dell’Erba del Demonio e quando alzo lo sguardo la porta non c’è più. Sparita. O mai esistita, se non tra i fumi della mia mente stanca.
Guardo la falce di luna e mi rendo conto sono passate più ore di quanto credessi e che oramai è il turno di guardia di Becky, quindi faccio per mollare un non troppo delicato calcio al serape in cui si è avvolta, quando una voce mi blocca la gamba in una posa ridicola.
-- Aspetta a svegliarla, lei è molto più utile lì, da dove farà la sua parte tra… nove minuti circa.
Mi lascio cadere di scatto e mi appoggio sul ginocchio destro come se qualcuno mi avesse appena urlato ‘Cammei Vaticani!’ e contemporaneamente estraggo il Ka-bar dalla borsa, impugnandolo con presa ulnare --  lama parallela all’avambraccio -- come il mio maestro Duncan Idaho mi aveva insegnato decenni prima.
Bene -- continua la voce -- vedo che conosci la Mentalità del Coltello. Vediamo se ricordo: tutti sanno uccidere con la punta ma solo i più nobili uccidono di taglio. Ho detto giusto?
Vorrei rispondere affermativamente ma la voce del mio interlocutore arriva dal fuoco e allora con la mano sinistra comincio a tracciare un Sigillo Primigenio di Contenimento Demoniaco e poi sussurro l’invocazione
VINCULO RECUSOQUE, RESPICE PROLIS DIABOL…
Whoooa... whoooa… aspetta! Conserva il tuo mana per tempi peggiori! -- dice la voce dal fuoco -- Per chi mi hai preso? Sono una Chimera, mica un demone!
In effetti il bagliore del fuoco mi aveva tratto in inganno e non mi aveva permesso di vedere la creatura accucciata poco oltre.
-- Mi presento: mi chiamo Nerloki e prima che tu abbia da ridire qualcosa sulla pseudo-esoticità pretenziosa del mio nome, sappi che in quanto Chimera -- sai cos’è una chimera, vero, Gandalf dei poveri? -- ho dovuto fare un port-manteau dei nomi dei due famigli che si sono uniti nel Transito.
Questo assurdo dialogo sta avvenendo tra me, povero essere umano sull’orlo di una crisi di stanchezza isterica, e un cane nero con problemi di anoressia, accucciato come ogni canis lupus familiaris fa di fronte a un bel fuoco caldo ma con una logorrea saputa che mal si adatta al migliore amico dell’uomo.
Ma tu… -- balbetto io.
-- Sì, ho il dono della parola e un QI che supera di parecchie misure la somma tra il tuo e quello di Merida che dorme là beata ma ti giuro che l’ultima delle mie intenzioni è farti sentire inadeguato. D’altra parte è dal 12.000 a.C. che siete voi a fare la parte di quelli intelligenti... contenti voi. Comunque, il tempo stringe e il furetto ha percepito che gli eventi precipiteranno tra sei minuti circa, quindi…
Un attimo! -- lo interrompo, scuotendomi dal cerebrospaesamento -- Hai detto furetto? Quale furetto?! Percepito?! Cos’è, un furetto paragnosta?! Ora magari mi dirai che sta per saltare fuori la gallina che sa far di conto e Ned la foca che suona Per Elisa con le trombette?! Ma poi… DAVVERO STO PARLANDO CON UN BOTOLO PULCIOSO E MALNUTRITO?!
Certo che a leggerti mi avevi fatto un’impressione decisamente migliore -- mi risponde con sguardo e tono feriti -- Ok, forse è colpa mia che credevo tu avessi studiato sul Malleus Maleficarum ma ti faccio volentieri un riassunto prima che arrivino.
Dunque, io sono una Chimera Multiversale, cioè l’unione di due Famigli dovuta al loro passaggio contemporaneo attraverso una Porta. Credo sia superfluo dirti che i Famigli sono -- siamo! -- due animali magici legati spiritualmente a un Maestro. Il nostro Maestro ha attraversato la Porta in una notte nevosa, credo senza rendersene conto, e quello sciocco di Nero, il Cane che Abbatte la Quarta Parete, gli è corso dietro, seguito subito da Loki, il Furetto Pandimensionale, che temeva proprio quello che infatti è successo. Ed eccomi qua, Nerloki. Prevedo il futuro e abbatto la quarta parete. Al tuo servizio e tu al mio! Quindi tra tre minuti ti salvo il culo e tu in cambio mi aiuti a ritrovare il mio maestro.
-- Io… ma cosa vuol dire che abbatti la quarta parete?
Oh, è una cosa molto utile! Osserva… -- e improvvisamente il cane-furetto alza il muso al cielo e comincia a parlare a tutti voi che state leggendo -- Ragazzi… so che è lunedì e vi girano i coglioni per la pioggia/i colleghi di merda/la candida e/o le emorroidi infiammate e come se non bastasse non solo non c’è più porno in dash ma v’hanno pure flaggato la foto della nonna che faceva uncinetto, però lo sapete che il Doc Kon è una brava persona e davvero non voleva annoiarvi con tutte quelle canzoncine assurde cantate col banjo, quindi glielo dirò io di smettere di suonarle e vi libero così dall’impellente imbarazzo di far finta che vi piacciano mentre invece le scorrete senza nemmeno leggerle. Ora tornate a lavorare, su!
-- Ma… ma… con chi stavi parlando?! --
-- Con i tuoi 8.550 fedeli lettori, anche se sospetto che una buona metà siano pornbot che rebloggano la tua faccia barbuta in tumblr per appassionati del genere ‘bear’; comunque il tempo è scaduto e per fortuna io mi sono scaldato abbastanza al fuoco. Fai onore alla tua feroce intelligenza e… CAMMEI VATICANI!
In un attimo sono a terra e tra il boato dello Sharp calibro .52 per la caccia al bisonte e il guizzo di piombo che taglia lo spazio occupato dalla mia testa fino a un attimo prima passa meno del peto di un moscerino.
NON TI MUOVERE, DOTTORE DEL CAZZO E DELLA MERDA! E LASCIA CADERE A TERRA IL COLTELLO!
I miei occhi guizzano a destra e a sinistra come nella fase REM di uno schizofrenico paranoide e in un attimo ho delineato il quadro. E lascio cadere il coltello come poco gentilmente suggerito.
Quindici uomini. Cavalli con zoccoli fasciati. Sei armati di winchester, tre di fucili ad avancarica, quattro colt spianate da altrettanti brutti ceffi, più il tizio sulla collina con lo Sharp e infine il capo di questi, un messicano con un assurdo poncho rosa, un sombrero dello stesso colore e shotgun a canne mozze lucidato a specchio.
Me chiamo Cormano, pendejo -- mi urla il capo di questo piccolo esercito, facendosi avanti -- e te averto che questo spandipiombo ha el grilletto limato e io el dito che trema, quindi niente trucchetti magici!
Guardo di sottecchi Nerloki, sperando che un trucchetto magico lo faccia lui, ma lo pseudo-cagnastro preferisce leccarsi le palle e mandare un woof sottotono. Tanti bei discorsi ma quando si arriva a incrociare le lame sotto tiro rimangono solo i deficienti!
Dunque, Cormano -- faccio io, alzando le braccia -- perché te e i tuoi tredici uomini siete venuti a darmi la caccia? Ti ho forse offeso in qualche modo? Se in passato ho scambiato il tuo sombrero per un pisciatoio non farmene una colpa… ha lo stesso colore della teiera di mia zia Marla e io quella vecchia carampana l’ho sempre detestata.
Hijo de puta follada por un cerdo con flujo intestinal! Tappati la boca e mira aqui! -- dopodiché infila una mano sotto il poncho e tira fuori un manifesto stampato di fresco su cui leggo la solita tiritera sulla mia pregiata persona ma con l’aggiunta di una riga
REWARD 10,000$
Ah, merda! -- penso tra me e me e poi a voce alta -- Come hai detto che ti chiami? Jesus? Senti, Jesus, so che ti sei portato dietro i tuoi dodici apostoli per farti dare man forte ma così vi toccano solo 1000 dollari a testa, anzi no, devo rifare i conti… 1250 dollari a testa. Ne vale davvero la pena per quella cifra?
Vedo una certa perplessità sul suo volto baffuto con annesso rumore di due ingranaggi arrugginiti che cigolano e quindi decido di continuare, cercando comprensione nello sguardo di Nerloki.
-- Da dove vengo io, una città di mare, esiste una canzone marinaresca che si intitola ‘Dead Man's Chest’ o, come me la cantava mia mamma per farmi addormentare, ‘Quindici uomini sulla cassa del morto’. Se la tua mezza dozzina di scagnozzi ha un’attimo di pazienza te la canto e poi farete quello per cui siete venuti.
Quindici uomini, quindici uomini suuulla cassa del mortooo, yo-ho-hoooo, yo-ho-hoooo e una bottiglia di ruuuuum!
Tutta qua la canzone? -- fa il messicano -- Puta madre en realidad!
-- Beh… in verità io ero un bambino terribile e mia madre ha dovuto inventarne una versione personalizzata che alla fiera dell’est scansati proprio. Praticamente cominciava con quindici uomini e a ogni strofa ne faceva morire uno. Quattordici, tredici, dodici, undici... fino a che non rimaneva solo la cassa del morto per infilarceli tutti dentro e allora io mi addormentavo dalla noia. Vuoi che la canti a te e ai tuoi due uomini? Anzi... mi sa che la canterò solo a te.
Cosa estai dicendo, pendejo! -- e poi fa l’errore di voltarsi a guardare la sua ex-banda.
Alle sue spalle emerge una figura ammantata di tenebra e decorata di schizzi di sangue illuminati dai guizzi della brace del fuoco, un coltello lordo nella mano destra e le dita della sinistra che stringono i capelli di quattordici scalpi gocciolanti.
Puta madre! Quien eres tu, mujer maldita?! -- e fa il gesto di puntarle il fucile contro.
-- Mujer?! Hai appena presunto il mio genere?! --
E questo è il momento in cui Nerloki alza di nuovo il muso al cielo verso voi fedeli lettori 
-- Se chiudete gli occhi della mente e vi infilate la punta degli indici nelle orecchie, cari followers, forse eviterete di sentire le urla strazianti di quello sciocco di Cormano e la risata folle di Bechdelia mentre produce quel sinistro scricchiolio di pelle lacerata e strappata a forza che potrebbe perseguitarvi nelle parecchie notti a venire. Ma forse siete persone dall’animo e dallo stomaco forti e credete che a volte la giustizia degli uomini sia crudele ma necessaria. Indubbiamente. Ma mai quanto quella di certe donne, soprattutto quando devono riscuotere una vincita a base di tequila.
Ma ora vi lascio al vostro lunedì piovoso e pieno di tediosi impegni, mentre io mi metterò al seguito di questa strana coppia di eroi del west, confidando che riescano a farmi ritrovare il mio Maestro, impegnato chissà dove a districarsi tra chissà quali accadimenti.
Alla prossima! ʕ•ᴥ•ʔ
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ochoislas · 2 years ago
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MOTETES
x
¿A qué esperas? La ardilla en la corteza del pino bate la encendida cola. La media luna con su pico cala transida al sol. Es día ya cumplido.
Al soplo el humo ralo da un respingo, se repara en paraje que te guarda. Nada termina, o todo, si  —relámpago— huyes la nube.
XII
Te libero la frente de cerriones que atravesando cimas nebulosas prendiste; tienes las alas deshechas por vendavales, despiertas a raptos.
Mediodía: se alarga en el recuadro negra sombra del níspero, en el cielo porfía un sol friolento; zafan sombras la calle, sin saber que estás aquí.
XIII
La góndola que en vivo resplandor resbala de alquitrán y de amapolas, el solapado canto que se alzaba de embrollado cordaje, los portones tras ti cerrados, desbandadas risas de máscaras en fuga...
una tarde entre mil... ¡la noche mía es más profunda! Allá abajo rebulle maraña mortecina que a tirones me reaviva y al pescador de anguilas embebido en la orilla me asemeja.
XVII
Rana, primera en retiñir la cuerda del estanque que afonda juncos y nubes, rumor de algarrobos intrincados donde apaga sus teas sol sin calor, morosa por las flores zumba de coleópteros que chupan savia aún, últimos sonidos, parca vida del campo. Ya con un soplido se apaga la hora: un cielo de pizarra se apresta a la irrupción de trasijados caballos, a las chispas de sus cascos.
XIX
La caña que despluma mórbidamente el rojo flabelo en primavera; la trocha en la rehoya, cabe negra zubia que sobrevuelan las libélulas; y el perro jadeante que retorna con su carga en la boca,
hoy aquí reconocer no me toca; sino allá donde el resol achicharra y la nube se arría, allende sus pupilas ya remotas, sólo dos haces de luz cruzados.                      Pasa el tiempo.
XX
...mas que así sea. Lejos un clarín responde a los enjambres del quejigo. En la valva que el véspero refleja, colorido volcán humando plácido.
La moneda engastada en la pumita también brilla en la mesa reteniendo pocas hojas. La vida que semejaba tan vasta es breve como tu pañuelo.
*
MOTTETTI
X
Perché tardi? Nel pino lo scoiattolo batte la coda a torcia sulla scorza. La mezzaluna scende col suo picco nel sole che la smorza. È giorno fatto.
A un soffio il pigro fumo trasalisce, si difende nel punto che ti chiude. Nulla finisce, o tutto, se tu fólgore lasci la nube.
XII
Ti libero la fronte dai ghiaccioli che raccogliesti traversando l’alte nebulose; hai le penne lacerate dai cicloni, ti desti a soprassalti.
Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole freddoloso; e l’altre ombre che scantonano nel vicolo non sanno che sei qui.
XIII
La gondola che scivola in un forte bagliore di catrame e di papaveri, la subdola canzone che s’alzava da masse di cordame, l’alte porte rinchiuse su di te e risa di maschere che fuggivano a frotte –
una sera tra mille e la mia notte è più profonda! S’agita laggiù uno smorto groviglio che m’avviva a stratti e mi fa eguale a quell’assorto pescatore d’anguille dalla riva.
XVII
La rana, prima a ritentar la corda dallo stagno che affossa giunchi e nubi, stormire dei carrubi conserti dove spenge le sue fiaccole un sole senza caldo, tardo ai fiori ronzìo di coleotteri che suggono ancora linfe, ultimi suoni, avara vita della campagna. Con un soffio l’ora s’estingue: un cielo di lavagna si prepara a un irrompere di scarni cavalli, alle scintille degli zoccoli.
XIX
La canna che dispiuma mollemente il suo rosso flabello a primavera; la rèdola nel fosso, su la nera correntìa sorvolata di libellule; e il cane trafelato che rincasa col suo fardello in bocca,
oggi qui non mi tocca riconoscere; ma là dove il riverbero più cuoce e il nuvolo s’abbassa, oltre le sue pupille ormai remote, solo due fasci di luce in croce.                       E il tempo passa.
XX
... ma così sia. Un suono di cornetta dialoga con gli sciami del querceto. Nella valva che il vespero riflette un vulcano dipinto fuma lieto.
La moneta incassata nella lava brilla anch’essa sul tavolo e trattiene pochi fogli. La vita che sembrava vasta è più breve del tuo fazzoletto.
Eugenio Montale
di-versión©ochoislas
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thebeautycove · 3 years ago
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VILHELM PARFUMERIE - LONDON FUNK - Eau de Parfum - Novità 2022 - Mad on this olfactory flashback! Hook for daring mischievous liberating dreams. Straight from those seventies vibes to hype my rebel unconventional side. This scent gets ‘em all. • Bandita l’ovvietà in questa nuova creazione di Vilhelm Parfumerie, London Funk, che lancia un messaggio di autenticità sensoriale, libero da inibizioni e costrizioni ed espone ad una sorta di trasgressione olfattiva. Eco agli anni settanta (eh sì, ancora!) alla cultura underground di una Londra dirompente, madre di una generazione di visionari coinvolta in epocali cambiamenti, dove la contestazione è soggetto attivo nell’arte, in musica e letteratura, dove è legittimo osare oltre ogni limite in nome di un’insaziabile fame di libertà. Così la fragranza è trascinante, temperata da robusti accordi vegetali boisé, di erba, cortecce e radici. In apertura è intensamente aromatica, citrina con ampi accenti balsamici, ginepro, basilico, cardamomo e bergamotto si propagano all’unisono in una sensazione di freschezza liberatoria. Alla base un infuso di mate apre ad un vetiver dominante, caldo e asciutto, che libera sentori di erba da fumo e legni, cedro e sandalo, incisi in profondità dalla texture odorosa dell’ambergris. Da sentire in loop, pensieri sciolti, con Jim Morrison in cuffia e l’Orange di Anthony Burgess… aperto a pagina 97. Creata da Bertrand Duchaufour. Eau de Parfum 50 ml. In selezionati punti vendita.
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©thebeautycove    @igbeautycove
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riverdust-blog1 · 6 years ago
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Receitas veganas para fazer facilmente em casa (Parte 2)
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Aqui está a segunda parte das receitas veganas que podem ser facilmente e simplesmente serem feitas em casa! 
Faça bom proveito! 
8 - Molho Yakitori - 
100 ml de molho de soja 1 dente de alho sem nervo, esmagado 1/2 cebola doce ralada 1 colher de sopa de melaço 1 colher de sopa de amido de milho diluído em 1 copo de água 2 colheres de sopa de vinagre de arroz 3 colheres de sopa de vinho branco 2 colheres de sopa de azeite 1/4 de pílula de caldo de legumes
Aqueça o azeite em uma panela antiaderente média em fogo médio e adicione a cebola e o melaço, mexa e adicione o alho. Deixe assar por 2 minutos e adicione os ingredientes restantes, mexendo delicadamente. Quando ferver, coloque no mínimo e deixe reduzir de 10 a 15 minutos, até engrossar. Deixe esfriar antes de usar.
9-  Molho para refogados -
1 colher de sopa de óleo de gergelim 1/2 colher de chá de alho em pó 1/2 colher de chá de gengibre moído 1/2 xícara de caldo de legumes 1 colher de sopa de molho de soja 1 colher de chá de açúcar mascavo 1/2 colher de chá de sal 1/4 colher de chá de pimenta preta 1/2 colher de chá de tomilho picado 1/2 colher de chá de alecrim picado 2 colheres de sopa de suco de limão 1 colher de chá de amido de milho diluído em 1/2 copo de água
Frite o alho e o gengibre em uma panela média em fogo médio por 15 a 30 segundos. Adicione os ingredientes restantes, mexa e deixe reduzir 15-20 minutos, mexendo ocasionalmente. Deixe esfriar.
10. Molho holandês, adaptado de vegetarianos
3 colheres de sopa de The Vegg (mistura de ovos veganos) 1/4 xícara de margarina vegetal quase líquida e amaciada 1 colher de chá de mostarda Dijon 1 colher de chá de molho picante (tabasco) o suco de 1 limão 1 e 1/2 ou 2 xícaras de água
Combine todos os ingredientes, exceto a água e bata com o liquidificador. Adicione 1 xícara e meia água e adicione mais se for muito grosso. Bata-o em alta velocidade até que fique cremoso. Use imediatamente.
11. Tzatziki, 
1 pacote de tofu de seda (340-390g) drenado 3 colheres de sopa de suco de limão 1 colher de sopa de vinagre de vinho branco 1/2 colher de chá de sal 1 colher de sopa de alho picado 2 colheres de sopa de azeite pimenta a gosto 1 pepino descascado e ralado 1 colher de sopa de endro fresco
Bata o tofu, suco de limão, vinagre e sal com o liquidificador. Quando estiver cremoso, adicione o alho e o azeite e bata-o. Experimente e tempere a gosto. Escorra o pepino ralado, pressionando-o com as mãos ou contra um coador para liberar a água. Misture com o endro picado e adicione ao batido anterior. Cubra e deixe na geladeira pelo menos 2-3 horas antes de servir.
12. Tzatziki adaptado de Our Veggie Kitchen
1 xícara de iogurte de soja sem açúcar 2 colheres de sopa de queijo creme vegano (opcional) 3 dentes de alho picados 1/2 colher de chá de sal 1/4 colher de chá de pimenta preta suco de limão 1 colher de sopa de hortelã picada 1 pepino
Bata todos os ingredientes, exceto o pepino. Descasque o pepino e corte-o em quartos, remova as sementes, corte em tiras e pique-as. Misture com o batido anterior e leve à geladeira pelo menos 1 hora antes de servir.
13. Chimichurri
4 dentes de alho 1 pimenta caiena ou picante 2 colheres de sopa de orégano 1 colher de chá de tomilho 1 colher de sopa de salsa picada 1 colher de sopa de paprika doce 1 colher de chá de cominho 100 ml de azeite Vinagre de 100 ml Sal a gosto
Esmagar a pimenta com o liquidificador. Coloque o óleo em uma panela em fogo baixo e adicione a pimenta, cominho, orégano e tomilho 5-6 minutos. Adicione a salsa, a páprica, o alho e o vinagre e cozinhe por mais 3 minutos, mexendo. Desligue e envie.
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Gostaria de aprender as fazer mais receitas veganas? Clique aqui e veja como: http://brasilvegano.com.br/!
14. Churrasco (não picante)
1 cebola pequena picada 3 dentes de alho esmagados azeite de oliva 1 colher de chá de páprica doce 1 colher de chá de sementes de funcho trituradas 55g de açúcar mascavo 50ml de molho de soja escuro ou grosso 300 ml de ketchup sal e pimenta
Frite o alho e a cebola com um pouco de óleo, quando começarem a dourar, junte a páprica, as sementes de funcho e o açúcar. Deixe o açúcar marrom. Adicione o molho de soja e o ketchup e tempere com sal e pimenta. Coloque em fogo baixo e deixe reduzir 3-4 minutos, até que esteja denso. Para espalhá-lo melhor em seus preparativos, use uma escova de pastelaria.
15. Churrasco com uísque
1/2 cebola picada 3 dentes de alho picados 3/4 xícara de shisky (bourbon) 1/2 colher de chá de pimenta moída 1/2 colher de chá de sal 1 xícara de ketchup 1/4 xícara de tomate esmagado 1/3 xícara de vinagre de maçã 2 colheres de sopa de fumaça líquida 1/4 xícara de molho de soja 3 colheres de sopa de açúcar mascavo ou melaço 1 colher de chá tabasco 2 colheres de sopa de azeite
Aqueça o azeite em uma frigideira em fogo médio e junte a cebola e o alho. Adicione o uísque, deixe ferver 8-10 minutos e adicione o restante dos ingredientes. Misture bem e deixe reduzir de 10 a 12 minutos, mexendo de vez em quando.
16. Churrasco vermelho (usado para churrasco)
2 xícaras de ketchup 1/3 xícara de açúcar mascavo 1 cebola 3 dentes de alho 2 colheres de sopa de azeite 2 colheres de sopa de água 1 colher de sopa de vinagre de maçã 1 colher de sopa de molho de soja 1 colher de chá de fumo líquido 1 colher de chá de mostarda em pó 1/8 colher de chá de pimenta de Caiena uma pitada de pimenta preta moída
Bata o alho, cebola e água com o liquidificador até ficar homogêneo. Aqueça o azeite em uma frigideira em fogo médio e cozinhe o purê até dourar. Adicione os ingredientes restantes, misture bem e deixe reduzir de 18 a 20 minutos.
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aurelia4you · 3 years ago
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Ese Ejja come intermittenza...
Sono appena rientrata da un lungo viaggio, durato all'incirca un anno e mezzo, sono partita da San Pietroburgo per poi passare attraverso l'Afghanistan, Sud Africa con i Massai e concludere in Sud America un viaggio lunghissimo tra gli Ese Ejja. La mia ricerca riguarda le culture minori quelle in via di estinzione, tra un paio di anni diventerò pure io un esemplare quasi estinto, mi metteranno poi all'interno di una teca con un etichetta, catalogata come animale feroce senza cuore, esemplare rarissimo ed unico. All'idea di questo mi metto a ridere, sono veramente stanca, dico al tassista di portarmi a casa, il vecchio è sordo e non sente l'indirizzo devo proprio urlare: Avenida Suarez il civico è il 24, dopo tanto tempo rientro a Cuba, negli ultimi anni è diventata la mia casa, un piccolo appartamento datomi dal Governo Americano, una borsa di studio assegnatemi dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma  "La Sapienza", un lavoro che viene portato avanti da oltre quindici anni, ricerche portate avanti da me ed altri colleghi organizzate dalla Cattedra di Religioni dei Popoli Primitivi dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Il vecchio tassista mi dice che siamo quasi arrivati, oggi purtroppo c'è una parata quindi le strade sono intasate, il traffico è insostenibile, mi chiede da dove vengo, io gli rispondo sono una ricercatrice e negli ultimi anni vivo tra Cuba e il resto del mondo, di origini Italiane e Panamensi, il vecchio mi dice sono stato soltanto una volta in Italia a Roma, lei di dove è di preciso, io gli rispondo di Milano, a quel punto mi presento mi chiamo Aurelia Visconti Palazuelo, gli stringo la mano con decisione, il vecchio mi sorride e mi dice piacere Pablo Suarez Llanos, mi allunga un bigliettino da visita e mi dice quando ha bisogno di un tassista mi chiami a qualsiasi ora del giorno e della notte, lo ringrazio e prendo il biglietto da visita. Pablo mi dice siamo arrivati, si fa un paio di conti, considerata la parata le faccio un po di sconto Aurelia, a quel punto tiro fuori il portafoglio mi chiede 30 pesos, lo guardo e lo ringrazio. Scendo dal taxi e tiro fuori la valigia, mi avvicino al finestrino e ringrazio di nuovo, Pablo sicuramente avrò bisogno di lei tra un paio di giorni, Pablo mi sorride e mi augura un buon rientro. Sono felice di essere di nuovo a casa, avevo chiesto a Maria la donna de la limpieza di pulire l'appartamento almeno una volta al mese e di arieggiare gli spazi, l'appartamento perfettamente in ordine, lascio la valigia all'ingresso, e vado in cucina, apro lo sportello del frigo e trovo la spesa pronta, Maria è fantastica ha preparato il mio piatto preferito, lasagne alla bolognese, un intera pirofila solo per me, trovo anche la mia bottiglia di vino bianco ghiacciata e la macedonia, frutti di bosco, mango e papaya. Alzo gli occhi al cielo e ringrazio Dio per la Maria, sono almeno due anni che la conosco, una donna minuta, lavoratrice, da come è arrivata la prima cosa che mi ha chiesto è stata, senorita Aurelia: cosa le gusta mangiare? a quelle parole sono scoppiata a ridere, indimenticabile il suo spagnolo-italiano, le ho semplicemente risposto, lasagne alla bolognese, Maria mi ha sorriso mi ha baciata in fronte e mi ha detto, imparerò per lei a cucinare le lasagne alla bolognese senorita Aurelia. Apro la bottiglia di vino bianco e mi verso uno dei primi bicchieri, ho l'abitudine di bere almeno una bottiglia intera, meno male che Maria ne ha messe in fresco due di bottiglie, continuo a bere e mi rilasso, penso al viaggio e a quello che dovrò scrivere, almeno un anno per concludere il lavoro, questa è soltanto una parte della ricerca che va avanti da oltre quindici anni, siamo almeno in sei ricercatori a portare avanti questo lavoro, ognuno di noi è dislocato in diverse parti del mondo siamo tutti in contatto, siamo sempre aggiornati sul lavoro che fa l'altro fra due mesi esattamente abbiamo un primo incontro, si terrà proprio qui a Cuba nella Facoltà di Lettere e Filosofia. Ho intenzione di prendermi almeno un paio di giorni di relax e fissare bene in testa la mia tabellina di marcia, devo prima di tutto andare dal mio rivenditore di mariguana e rifornirmi qui a Cuba, durante il mio lavoro è l'unica cosa che mi tiene sveglia, concentrata, si parla di un lavoro estenuante dove non ci possono essere errori, l'odore di mandorle bruciate stimola il mio pensiero. Vado direttamente in cucina e comincio a preparare il tavolo sono sicura che le lasagne alla bolognese di Maria sono semplicemente eccezionali, sul tavolo ci metto un piatto e una forchetta, le lasagne le tiro fuori dal frigo e finiscono nel microonde, apro lo sportello in alto sopra i fornelli e ci trovo dei tovaglioli. Le lasagne sono pronte, le tiro fuori dal microonde e le metto sul piatto, mi siedo finalmente al tavolo e comincio a mangiarle, il sapore mi ricorda ancora quando da bambina mia madre me le cucinava, mi dava soltanto una forchetta e mi diceva di mangiare, la mia faccia le diceva tutto, il mio piatto preferito. La prima bottiglia di vino l'ho finita, vado per la seconda, ho quasi finito le lasagne, sono contenta di conoscere Maria è sempre pronta per un qualsiasi intervento, mi dice sempre: senorita Aurelia io sono cocinera, ma anche idraulico, falegname e soprattutto elettricista. L'ultima volta che è saltata la luce, qui a Cuba succede spesso durante il periodo estivo i temporali sono fortissimi, ho chiamato immediatamente Maria, è arrivata dopo una mezz'ora, in mano aveva delle pinze e del nastro adesivo nero. Senza ombrello, è terrorizzata dagli ombrelli secondo lei attirano i fulmini, corre sempre sotto la pioggia, dice sempre che Dio è con lei, arrivata a casa completamente fradicia, mi dice: senorita Aurelia ho già capito qual è il problema, nello scantinato deve essere saltato qualche fusibile, Maria con calma si toglie i vestiti fradici e le scarpe, con calma scende giù nello scantinato e controlla il panello della luce ed infatti aveva ragione era saltato un fusibile, con calma con le pinze lo toglie e poi con il nastro adesivo sistema i fili rimanenti un lavoro da maestro, sono rimasta sconvolta dall'abilita delle sue mani. Nel giro di breve ritorna la luce, Maria mi dice che succederà spesso, purtroppo i temporali sono frequenti e l'impianto elettrico a Cuba è carente, i fili sono vecchi del Primo dopo Guerra, bisogna sapersi accontentare ed arrangiare. Maria è cosi, lavora tanto per la sua età, mi dice che qui a Cuba bisogna saper fare un po di tutto, per vivere non basta credere in Dio, bisogna sempre darsi da fare. Ritorno di nuovo con il mio pensiero al lavoro che dovrò fare, rimettere in ordine tutto il materiale di ricerca, frutto di un anno e mezzo di lavoro, ci vorranno almeno un paio di mesi di duro lavoro per poi concludere il tutto, mentre faccio questo mi preparo la canna, ho bisogno di rilassarmi seriamente, il fumo mi va direttamente in testa e riesce a non farmi pensare, mi annebbia il cervello è quello che mi ci vuole almeno per un paio di giorni, non pensare a niente. Il ricordo è intenso e cosi è il dolore della sua perdita, questa ricerca va dedicata proprio a lui che non c'è piu e non vedo più, quel lui che sapeva come trattarmi, come amarmi, ti metterò come sigillo sul mio braccio, come sigillo sul mio cuore e per sempre rimarrai nel mio pensiero, nessun altro prenderà mai il tuo posto, una mattina di aprile con un mazzo di margherite sei arrivato nella mia vita, una margherita Aurelia per te, l'amore per una volta con te, sei rimasto cosi per sei anni della mia vita, le cellule schizzano alla velocità della luce, non te ne rendi conto ma non le puoi fermare, una malattia genetica, il sangue, non ci sono piu i globuli rossi, una costanza martellante nel lavoro, una ricerca per l'altro quell'altro che in nome di Dio ha bisogno di te, in te non esiste l'egoismo un anima bella, quante volte mi sono sentita dire questo, un anima bella, trasparente, di te ho sempre amato la ferocia nell'uccidere, senza rimorsi, la pace interiore, uccidere è cosi, il pensiero mi basta, una parola di troppo, una parola inappropriata, è il Sud America, una mattina come altre la pistola nei pantaloni, una t-shirt bianca, una mattina come tante altre lui Weimar Peralta è a casa seduto, con lui i figli e la moglie, ti saluta con un gran sorriso, amico mio, uno sparo di pistola di fronte a tutti, muore all'istante, il Sud America è cosi, ci basta il pensiero e si attacca, nessun rimorso, Dio Cristo ci perdonerà, non riusciamo proprio a tollerare, sorrido tra me e me, ritorno di nuovo al mio lavoro, alla mia ricerca, alle tue cellule che schizzano alla velocità della luce, per sempre ti metterò come sigillo nel mio cuore, una pistola sempre carica, Gesù morirà cosi, senza pensieri e senza rimorso. Ancora una bottiglia di vino bianco, questa volta la terza bottiglia la metto io nel frigo, cerco del ghiaccio per raffreddare, il caldo in questo periodo dell'anno a Cuba è quasi insostenibile, le zanzare danno tregua poche ore al giorno, oramai mi sono abituata, in Afghanistan per le zanzare usano i fiori di papavero essiccati al sole, l'odore è intenso stordisce pure me, lo uso soltanto quando non riesco a dormire, in quelle sere di estate quando il caldo ci fa trasudare la pelle. I miei pensieri corrono in questo momento a San Pietroburgo, all'incontro eccezionale che io e la collega abbiamo fatto, una ricercatrice ventenne proveniente dalla Sapienza di Roma appena ritornata dall'Amazzonia Brasiliana, dopo un anno di lavoro sugli Ese Ejja dell'amazonia al confine tra il Brasile e la Bolivia, un lavoro pazzesco considerata l'età, un lavoro costante senza tregua siamo proprio al limite una corsa contro il tempo, siamo rimaste soddisfatte, è riuscita a recuperare l'alfabeto, un passaggio unico dai vecchi ai giovani, ogni suono è stato recuperato e trascritto, una lingua che non andrà mai persa, i vecchi portano i jeans, o meglio detto i vaqueros, la lingua conosciuta dai vecchi è soltanto la loro, il castellano è sconosciuto, i conquistadores hanno fallito siamo rimasti integri nell'animo, ci sono soltanto i giovani a fare da tramite, a tradurre a capire. Un lavoro durato un anno, i fondi che sono stati stanziati non potevano andare oltre l'anno, si è lavorato di giorno e di notte, sette giorni su sette, i nostri amici hanno condiviso con noi la loro conoscenza, il loro cibo e la loro pazienza. La studentessa o meglio la ricercatrice ci dice che il lavoro svolto ci sarà utile, per proseguire, un analisi linguistica attenta, le usanze e credenze, una struttura perfetta, dal cibo alla musica alla religione. La ventenne è riuscita a raggiungere il suo scopo e a ricostruire la struttura che sta alla base degli Ese Ejja, data dal suono, una lingua per lo più orale, la trascrizione è stata difficoltosa, gli studenti della Sapienza di Roma hanno lavorato giorno e notte, abbiamo collaborato tutti quanti per raggiungere il nostro scopo, sentire l'altro la percezione attraverso un altro suono, ci siamo riusciti. Da San Pietroburgo il mio lavoro si sposta in Afghanistan la terra dei papaveri, l'oppio, l'eroina, un potentissimo narcotico, antidolorifico, il papavero è senza odore, il colore rosso dei fiori, cancella ogni dolore, è sufficiente una dose per sentirsi meglio, il dolore scompare del tutto, una tossicità interna senza misure ne tempo, qui in Afghanistan è possibile trovare un corpo giovane appena ventenne senza vita rivolto in una pozza  di sangue dopo un overdose di eroina, in una calle stretta, si sente ancora Amedeo Modigliani oppure River Phoenix, la droga è proprio Dio, lo si sente pulsare, lo si sente tremare, la prima dose è sempre quella incerta quelle successive diventano un abitudine una certezza. La mia ricerca in Afghanistan è durata all'incirca sette mesi, sono rimasta alloggiata in un piccolo appartamento datomi dall'università, una stanza con il bagno privato, una piccola cucina e il salotto, come sono entrata ho immediatamente trovato il lavoro del collega precedente, una biblioteca ben fornita, non mancava nulla, le planimetrie ben disposte sul tavolo ampio centrale nel salotto, mi sono avvicinata al tavolo ed ho visto le planimetrie dettagliate non mancava nulla, i percorsi d'acqua perfettamente delimitati, le parti in verde indicavano territorio fertile mentre quelle in marrone terreno arido, planimetrie disegnate a mano, il lavoro dell'architetto eccezionale, anni di disegno a mano hanno dato il loro risultato, ogni qualvolta penso a tutto quello che abbiamo fatto, alle nostre spalle quindici anni di lavoro, ognuno di noi ha dedicato la propria vita alla ricerca, a quella parte di noi inquieta, sentiamo l'altro, gli dedichiamo tutto, sacrifichiamo noi stessi, il lavoro costante e assiduo, quell'altro da sè, sulla nostra testa regna il rispetto e la conoscenza ci basta questo, sapere e conoscere per non dimenticare mai, ho risistemato poi tutte le planimetrie e le ho disposte all'interno di un armadio. Il tavolo è rimasto vuoto, per occupare il mio di lavoro, appunti, schemi, tanti libri, matite ovunque, una macchina da scrivere e il portatile, la macchina da scrivere mi è stata regalata ed ho imparato ad usarla in assenza di corrente elettrica, per quattro mesi siamo rimasti senza luce a San Pietroburgo, completamente dislocati dal centro abitativo, un appartamento per cinque massimo sei persone, ci siamo riscaldati con il fuoco a legna e una volta alla settimana la corrente elettrica veniva concessa, momento per trasmettere il nostro lavoro, ci si recava in centro previo appuntamento, mi è capitato di trovare ricercatori, studenti, gente locale del luogo pronti a mandare i loro messaggi, informazioni, arrivati dai dintorni, sono sempre stata pronta e rapida, schematica nelle mie consegne, dopo la consegna mi sono sempre recata al bar di fronte, caffe bollente, pane salame e per chiudere il tutto yogurt con il miele, una delle migliori colazioni, sempre soddisfatta del mio lavoro me lo potevo concedere. In Afghanistan, un vecchio ristorante preparava un ottimo piatto alle verdure miste accompagnato da una salsa allo yogurt leggermente acida ma che si accompagnava molto bene con le verdure, spesso mi sono recata per mangiare, riuscivo a permettermelo con lo stipendio che mi passava il governo, durante una serata di musica mi si propone il narguilè, inizialmente sono state usate delle spezie varie in un secondo momento siamo passati all'eroina purissima mista con delle spezie varie, la percentuale di eroina era molto bassa, quel tanto per sentirla, si sentiva di piu il profumo di mandorle bruciate, quel tanto di fumo che serviva per rilassarmi e dimenticare quel tanto di dolore, il ricordo di te, del tuo amore, quelle cellule che corrono e non puoi fermare, la totale abnegazione, mentre fumo ricordo, le immagini si sovrappongono, siamo sempre io e te, i nostri volti uno contro l'altro cosi vicini, continuo a fumare e penso soltanto a questo, nel bene e nel male finche morte non ci separi, tra me e te pero c'è ancora un filo conduttore, ti sento ancora tra gli odori, l'alba la luce solare, nella malinconia dei miei pensieri, mi sfugge sempre qualcosa, devo riuscire a prenderti, prima o poi. La mia ricerca qui è stata lunga, ho lavorato tutti i giorni anche la domenica la sveglia sempre alle sei del mattino per chiudere il tutto alle dieci di sera completamente esausta, a volte mi sono resa conto che il tempo non mi bastava, il materiale informativo tanto, soltanto io a seguire questo percorso scientifico, la catalogazione e la trasmissione delle informazioni, anche qui come a San Pietroburgo avevamo accesso alla posta una volta alla settimana, sceglievo sempre il sabato sera quando non c'era mai nessuno, al massimo qualche innamorato che doveva inviare chi sa quale messaggio d'amore, il tempo a disposizione era di un ora non di più, qualche volta mi si concedeva qualche minuto in più, cosi sono andata avanti per sette mesi, senza mai conoscere nessuno, lavoro e basta, mi sono sempre detta questa è la mia vita e va gestita in questo modo. Il mio lavoro in Afghanistan ha sempre proseguito in modo regolare senza interruzioni, una costanza che mi ha sempre premiata, i messaggi trasmessi corretti e senza errori nonostante la stanchezza, il vecchio del ristorante si era affezionato a me e durante uno dei miei pasti abituali al suo ristorante mi dice ti lascio questo e me lo appoggia sul banco, come apro il pacchetto ci trovo dentro dell'eroina purissima, aggiunge soltanto basta poco quel tanto per dimenticare, il resto sono spezie che trovo da un qualsiasi droghiere, lo ringrazio e sorrido. Ho ancora il pacchetto, la fumo di rado, in ogni caso ho il mio fornitore speciale, quando sono in mancanza me la manda per posta, avvolta accuratamente assieme alle verdure scelte personalmente per me, il vecchio sa che mi serve, riesce a forare le patate e a infilarci dentro la pasta. Ho la mia fornitura ufficiale, calma ogni dolore, soprattutto quelli muscolari, quando sotto stress i crampi alle gambe di notte non mi fanno dormire è a quel punto che decido di fumare e rilassarmi capita di rado, ricordo ancora la vecchia in Afghanistan, mi ha guardata in faccia ed in lacrime mi ha detto che i dolori con il tempo aumenteranno devo farmi curare, le ho spiegato che ho imparato ad accettare, le mie notti sono insonni, lunghi viaggi attraverso il tempo sono riuscita a trovare i Tuareg, l'ampio deserto senza vento, nel silenzio della luna li ho avuti piangendo, la vecchia a quel punto mi sorride e mi dice: gringa mala, se ne va, mi bacia in fronte augurandomi buona fortuna. La mariguana non basta, l'eroina è pronta, per questa sera credo che possa bastare, rilassata per poi andare a dormire, mentre tiro fuori filtro e cartine, il vento comincia a passare in casa si sente l'aria fresca sfiorarmi la pelle, mi accarezza i capelli, ne posso sentire l'odore, le mandorle bruciate, i ricordi cominciano a riaffiorare è cosi difficile dimenticare, la luce del sole mi ricorda te, l'eroina comincia a fare effetto, il dolore comincia a cessare, i muscoli non fanno ancora male, l'anestetico è sempre forte, il tuo ricordo indelebile nella mia memoria mi fa male, ti vorrei come sempre qui, stringerti la mano, averti tra le mie braccia e dirti sempre ti amo, che la mia vita senza di te è a senso unico, non sento e non vedo piu, il mio cuore si è fermato, il mio sangue non scorre più, il lavoro ha preso il posto di tutto e sono qui a scrivere di te in ogni riga ci sei tu, posso ancora sognare, un giorno io e te di nuovo insieme, nei miei pensieri mi sai sempre consigliare con chi stare e di chi diffidare, sento ancora la tua presenza, devo soltanto lavorare, per me ci sei soltanto tu, nessun altro, ancora una volta riesco a piegarmi, can you feel the race? ancora una volta il silenzio prende piede, ho lasciato ancora una volta che il sesso faccia la sua parte, mi consuma e basta, sono stanca di ascoltarti, semplicemente diffida di tutto cio in cui non credi, lascia fare al tempo, mentre penso a questo, riordino le mie idee.   Rimarranno per sempre impresse nella mia memoria quelle parole di rispetto assoluto, il nostro lavoro riguarda le etnie minori in via di estinzione, non sono ancora riuscita a trovare il corto circuito, what happenned my friend?un amicizia lunga ed eterna, un amicizia in una prigione, qualcuno a cui affidare la propria vita per sempre, una stretta di mano ed un lungo abbraccio, ed è quello che io sono per te, una furia omicida, un amore lungo quanto l'eternità, il tradimento non è contemplato, un legame eterno, credo che sia genetica, dove gli occhi si chiudono in un dolce canto, per l'eternita sarai Dios, non ci sarà piu A Zacinto, l'endecasillabo, tu non altro che il canto avrai dal figlio o materna mia terra, a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura, ma siamo in Sud America, sono sempre io alla tua ricerca, ti sento e ti amo, mi piego sempre, voglio soltanto che mi accetti, sei tu a spulciarmi, c'è un qualcosa che non capisco, potrei usare la linguistica per spiegare il concetto, spesso e volentieri non c'è una corrispondenza di termini, è il caso del termine rifle, fucile, in Sud America nella sua realtà non lo si poteva tradurre, quindi è stato adottato quello spagnolo, come dire non esiste, non è contemplato, cosi nella mia testa l'altro come da eliminare non è contemplato, A Zacinto diventa doloroso, ma resti sempre tu per l'eternità e scelgo te, nella mia memoria sarai sempre tu, un ricordo che serve a me, per vivere. Le etnie in via di estinzione sono diverse, quello che vogliamo recuperare è la lingua la percezione che hanno della realtà attraverso l'utilizzo della lingua che per lo più è orale, cosi vale per quasi tutte le culture, i Massai in Africa e gli Ese Ejja in Sud America al confine tra la Bolivia ed il Brasile. Per quanto riguarda la lingua vi è una generale convergenza fra gli studiosi nel attribuire la lingua Ese Ejja alla famiglia linguistica Tacana, che comprende oltre all'Ese Ejja, il Tacana propriamente detto, l'Araona  e il Cavineno, parlati da tribù che vivono in zone limitrofe al fiume Beni. I Masai d'altronde è una lingua che si è già ben sviluppata, di loro possediamo l'alfabeto e la scrittura, sono state fatte delle analisi approfondite tra le tribu Masai ed i loro canti. Devo soprattutto concentrarmi sugli Ese Ejja, e la struttura della frase, il lavoro che è stato fatto prima di me era quello di trascrivere il tutto sulla carta a livello di suoni, lavoro portato avanti dagli studenti della Sapienza di Roma. Sono stanca, continuo a fumare l'eroina, ho i muscoli completamente rilassati, fra due mesi ci sarà l'incontro, a quel pensiero comincio a chiudere gli occhi, nella mia memoria compari di nuovo te, questa volta è più intenso l'effetto dell'eroina, si sente, un unica parola, un unico senso, non dimenticare mai, rispetta l'altro, sappi ascoltare, impara a riconoscere l'inganno, impara a legarti sentimentalmente, non sfuggire, prima o poi ti prenderà e ti ucciderà, non ti dirà più del suo amore, perchè il suo amore non avrà più senso, devi stare attenta il tempo consuma tutto e le ferite rimarginano, non esisterai più nel suo pensiero, è a quel punto che lui sceglierà, è una scelta determinata, pratica, perchè lui vuole vivere, la sua volontà è più forte della tua, sei tu che sei rimasta indietro, arranchi da sempre, sei rimasta sola, io non ci sono più, ricordati soltanto di una cosa ti ucciderà prima o poi, è costante, determinato, vivere per lui significa respirare, amare e costruire, per te vivere è soltanto una sofferenza, l'intermittenza del tuo cuore, un posto vale un altro, una persona vale un altra, sei l'innaturale, di te non rimarrà niente, neppure il ricordo, sei l'eroina al mattino, sei sempre fatta, non puoi vivere senza, le parole sono martellanti, quella mattina di primavera il mio cellulare squilla, la tua grave malattia, quelle cellule che non sono riuscita a fermare, l'annuncio della tua morte quando ancora in viaggio, ancora a piedi, attraverso la Francia, soggiorno brevemente a Parigi e Strasburgo, e alla fine arrivo a Stoccarda profondamente dimagrita e vestita come una mendicante, il mio turbamento psichico, la mia solitudine, potrei cosi per sempre mendicare, ti trovo sul letto disteso, ti bacio per l'ultima volta, nessuna promessa, rimango cosi con te per una notte intera, l'odore della tua pelle, impazzirai tu per me, Holderlin sei proprio tu.
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diariodocarioca · 4 years ago
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Dia da Mentira: as “fake news” que marcaram a pandemia de Gripe Espanhola
Você sabe por que 1o de abril se tornou o Dia da Mentira? No século XVI, o Ano Novo era comemorado pelos europeus entre 25 de março e 1o de abril, momento em que muito se festejava. Quando o rei Carlos IX da França decretou a adoção do calendário gregoriano, em 1564, o Ano Novo passou a ser em 1o de janeiro. Mas quando chegava 1o de abril, muitos engraçadinhos enviavam convites de festas de Réveillon aos desavisados, para tirar sarro deles: eram as plaisanteries. Os que caíam nesses “golpes”, eram chamados de “Bobos de Abril” (depois, no inglês, a data passou por isso a se chamar “April’s Fool Day”.
No Rio de Janeiro, muitas mentiras, boatos e fofocas foram marcantes ao longo da nossa história. Quem diria né? O fenômeno das fake news de novo não tem nada; só mudou de nome. Entre tantos exemplos ao longo da nossa história, a terrível pandemia de Gripe Espanhola, uma tragédia que assolou o Brasil e o mundo entre os anos de 1918 e 1920, destacou-se não apenas pela sua rápida letalidade, mas também pela intensa disseminação de notícias falsas, mentiras, boataria e muita, muita crendice.
Em setembro de 1918, quando o vírus de influenza A-H1N1 desembarcou no Rio, a bordo no navio inglês Demerara, ainda não se conheciam tratamentos específicos para infecções virais e o acesso a medicamentos confiáveis e à informação eram limitados. A população carioca não se poupou de recorrer à sabedoria popular, a boatos, à pseudociência e às superstições. Extremamente católico, o povo apegava-se à religião, saindo em procissões e missas nas ruas e igrejas do Rio, que acabavam, na prática, contribuindo para o contágio. Elixires, pastilhas e comprimidos milagrosos eram propagandeados em jornais e revistas do Rio de Janeiro.
A historiadora Liane Maria Bertucci, em sua tese de doutorado intitulada “Influenza, a medicina enferma”, menciona:
“A medicina popular, com suas mezinhas, chás, emplastros e beberagens diversas, passa a ser foco de especulação comercial, e é encarada como uma alternativa diante do mal incompreensível. Essa proliferação de receitas milagrosas espelha as insatisfações da população com a falta de atendimento, com a impossibilidade de estabelecer um diagnóstico preciso e com a ausência de estratégias do governo e das autoridades sanitárias; mas, principalmente, com as limitações das instituições sanitárias em socorrê-la diante da gripe assassina.”
Atribui-se até mesmo a invenção da caipirinha a um método popular de tratamento da “hespanhola” — um misto de cachaça, limão, alho, mel e até gengibre, que teria efeitos certeiros para prevenir a influenza. Não funcionava, mas o povo gostou da ideia e, depois, só retirou o alho, substituiu o mel pelo açúcar e encheu o copo de gelo. Na esteira das crendices, fumo-de-rolo, cigarros e charutos eram tidos como eficazes meios de prevenção. O que não faltavam eram opções de “tratamento precoce”, que garantiam eficácia, mesmo que sem nenhuma comprovação científica.
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Quartel Central do Corpo de Bombeiros, no Campo de Santana. População perigosamente aglomerada, aguardando a venda de galinhas –Revista Careta (outubro de 1918, edição 541) – Hemeroteca da Biblioteca Nacional/Reprodução
A canja de galinha, prato tradicionalmente dado até hoje a quem está doente, passou a ser consumida de forma massiva pelos cariocas de então — tudo porque se espalhou a torto e a direito que as propriedades de cura desse caldo para os enfermos de influenza eram infalíveis. Em meio ao caos que se instaurou na cidade, somente o Corpo de Bombeiros estava autorizado a vender galinhas à população. Não demorou para que se formasse um mercado paralelo. Segundo registros, havia até brigas e confusões para conseguir uma pobre coitada galinácea.
A grande calamidade levou à proliferação de lendas urbanas como a do “chá-da-meia-noite”, terrível preparação que seria, supostamente, dada a pacientes graves da Santa Casa de Misericórdia para abreviar suas vidas e, assim, liberar mais leitos na instituição. Não passava, entretanto, de mais um dos muitos infames boatos que se espalhavam pela cidade com a mesma velocidade que os falecimentos pela “hespanhola”. Pelo contrário, o hospital central da Santa Casa foi importante centro de acolhimento no combate à “grippe”.
Em dois meses, havíamos perdido mais de 15.000 vidas somente no Distrito Federal. E, como disse Oswald de Andrade em suas memórias, “assim como veio, a grippe foi”. As pessoas simplesmente pararam de adoecer.
Depois de passado o pior, o carioca aproveitou para cair na folia, já no ano seguinte. E tratou essa trágica experiência recente com o humor que lhe é característico, presente em fantasias — teve muito marmanjo que saiu pelas ruas fantasiado de dançarina de flamenco— e até em alegorias do carnaval pós-pandemia. Na insana folia de 1919 — sobre a qual já falamos uma vez por aqui —, um carro alegórico dos Democráticos trazia uma enorme xícara, acompanhada dos dizeres: “Chá da meia noite, concorrência à grippe”.
Registrada nos anais da História, ficou a famosa marchinha, também dos Democráticos, que dizia:
Assim é que é! Viva a folia! Viva Momo – Viva a Troça! Não há tristeza que possa Suportar tanta alegria. Quem não morreu da Espanhola, Quem dela pode escapar Não dá mais tratos à bola Toca a rir, Toca a brincar…
*Daniel Sampaio é carioca do Grajaú. Advogado, memorialista e ativista do patrimônio. Fundador do perfil @RioAntigo no Instagram.
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goodvibez-only-blog · 6 years ago
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Receitas veganas para o fim de semana
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O fim de semana chegou e eu sei que você deve estar precisando de algumas ideias de receitas veganas, por isso irei lhe dar algumas dicas ;)
Receitas veganas faceis para o final de semana:
Azeite aromatizado com alho e alecrim 
1/2 litro de azeite 1-2 raminhos de alecrim fresco 2-3 dentes de alho
Lave e seque o alecrim, faça um longo corte nos dentes de alho e coloque ambos em uma jarra hermética ou garrafa com o azeite. 
Mantê-lo em um lugar seco e longe da luz para deixá-lo marinar (no verão 1 semana, no inverno 2-3 semanas).
Legumes em conserva
3 xícaras de pepino fatiado 1 cebola roxa fina fatiada 6 dentes de alho cortados ao meio e levemente esmagados alguns raminhos de endro fresco alguns talos de cebolinha em flor 3 xícaras de vinagre para picles (~ 5% de acidez) 1 xícara de água 1 colher de sopa de açúcar 1 colher de chá de sal 1 colher de chá de sementes de mostarda
Misture legumes,  e cebolinha em recipientes hermeticamente fechados.
Combine o restante dos ingredientes e deixe ferver em uma panela pequena ou média. 
Despeje a mistura fervente nos frascos, feche-os imediatamente e deixe-os marinar 1-2 dias na geladeira sem abri-los.
Tempura 
200g de farinha de trigo 100g de farinha de arroz 50 g de amido de milho ou amido de milho 1 colher de sopa de açúcar 1/2 colher de chá de sal 1 colher de chá de levedura para fermento 1 colher de chá e 1/2 de bicarbonato de sódio
Misture tudo e guarde na panela fechada. Use como qualquer farinha de tempura comprada.
Barras de granola
3 colheres de sopa e 1/2 manteiga de amendoim 3 colheres de sopa de melaço ou xarope de agave 1 colher de sopa de açúcar mascavo 1 xícara e 1/2 flocos de aveia 1/2 xícara de muesli 1/3 xícara de cranberries secas 1/3 xícara de passas 1/4 xícara de sementes de girassol descascadas 2 colheres de sopa de sementes de linho 1 colher de chá de sementes de gergelim 2 colheres de chá de baunilha 1 colher de chá de canela
Pré-aqueça o forno a 165ºC.
Forre um molde quadrado ou retangular com papel manteiga.
Bata a manteiga de amendoim, o melaço, a baunilha e o açúcar mascavo até o açúcar se dissolver.
 Misture os ingredientes secos em uma tigela e polvilhe com a canela. Vá adicionando a mistura líquida pouco a pouco, misturando bem. 
Despeje a mistura no molde, pressione para ficar homogêneo e asse por cerca de 25 minutos. 
Deixe esfriar e endureça e corte em barras ou quadrados.
Pepperoni
1/2 xícara de feijão branco cozido escorrido 1 xícara e 1/4 de glúten de trigo 1 xícara de água gelada 1 colher de sopa de azeite 1 colher de chá de fumo líquido 1 colher de chá de molho de churrasco 1 colher de chá de páprica doce 1/4 colher de chá de pimenta caiena 1 colher de chá de sal 1 colher de sopa de açúcar 1 colher de chá de anis 1 colher de chá de pimenta verde 1 colher de chá de pimenta vermelha 1 colher de chá de pimenta seca em flocos
Ferva a água em uma panela para cozinhar.
Esmague o feijão com um garfo. Adicione água, óleo, fumo líquido, churrasco, páprica, pimenta de Caiena, sal e açúcar e misture bem.
Esmagar as sementes de anis, pimentas e pimenta em um almofariz e adicione à mistura. Vá adicionando o glúten e misture tudo com o garfo.
Dividir a massa em 3 partes iguais, dar um tubo e enrolá-las com uma folha de alumínio (como doces, torcendo as extremidades) fixado firmemente para manter a forma. 
Deixe esfriar antes de cortar e usar.
Pepperoni de Beterraba
3 beterrabas médias frescas, descascadas, cortadas em fatias muito finas 1 colher de sopa de azeite 2 colheres de sopa de molho de soja 1/2 xícara de água 1 colher de sopa de missô 2 colheres de sopa de levedura de cerveja unbaked 2 colheres de chá de vinagre de vinho branco 1/4 colher de chá de açúcar ou stevia 1/4 colher de chá de alho em pó 1/4 colher de chá de cebola em pó 1/4 colher de chá de mostarda em pó 1/4 colher de chá de sementes de erva-doce 1/8 colher de chá de sálvia 1/2 colher de chá de páprica doce 1/8 colher de chá de pimenta preta moída
Misture a levedura de cerveja com o miso e a água até não restarem pedaços. Coloque em uma assadeira. 
Adicione o restante dos ingredientes, exceto as beterrabas. Misture as beterrabas com os líquidos, coloque-os na mistura e leve ao forno a 175ºC por 20 minutos. 
Mexa bem e leve ao forno outra mais algum tempo, até que as beterrabas estejam macias e ter absorvido toda ou a maior parte do líquido e começar a amassar em torno das bordas.
Retire do forno e deixe esfriar antes de cortá-lo e usá-lo.
Chouriço Vegano
50g de tofu duro 100g de glúten de trigo 3 colheres de sopa de soja texturizada 2 colheres de sopa de molho de soja 1 colher de sopa de migalhas de pão 1/2 colher de chá de pimenta preta 3 colheres de chá de páprica doce 1 colher grande de páprica defumada 1 colher de chá de alho em pó
Pré-aqueça o forno a 120ºC. 
Misture o tofu com a soja texturizada, glúten, pão ralado, pimenta preta, páprica doce e defumada e alho em pó e adicione o molho de soja. 
Adicione a água aos poucos para formar uma massa gerenciável. Forma alongada e rolo de papel alumínio, como se fosse um caramelo, que é muito apertado. 
Asse 20 minutos. Deixe esfriar antes de abrir o papel ou guarde diretamente na geladeira.
Salsichas veganas
2 xícaras e 1/2 de glúten de trigo 1 colher de sopa de farinha de grão de bico 1 colher de chá de noz-moscada 2 colheres de sopa de caldo de legumes em pó ou 1 pastilha de caldo 2 colheres de sopa de cebola em pó 1 colher de chá de pimenta preta moída 1 colher de chá de páprica doce 1 colher de chá de páprica defumada 1 colher de orégano picado 1 colher de chá de sal 2 e 1/4 xícaras de água muito fria 4 dentes de alho picados 3 colheres de sopa de azeite 3 colheres de sopa de molho de soja
Misture os ingredientes secos de um lado e os úmidos do outro, adicione-os aos secos, amassando até obter uma massa gerenciável (você pode adicionar mais água).
Forme cilindros de massa e enrole com um cone de alumínio se eles fossem doces. Asse por 20 minutos a 190ºC. Deixe esfriar antes de abrir.
Nuggets Veganos
1/2 xícara de leite de soja ou outro leite vegetal 1/2 colher de chá de suco de limão 425g de grão de bico escorrido cozido 1/2 xícara de soja texturizada 1 colher de sopa e 1/2 mostarda de Dijon 1 colher de sopa e 1/2 de xarope de agave 1 colher de chá de molho de soja 1 pitada de alho em pó 1 pitada de tomilho 1/2 xícara de glúten de trigo 2 xícaras de flocos de milho sem açúcar 1/2 colher de chá de caldo de legumes
Pré-aqueça o forno a 175ºC. Unte levemente uma assadeira ou coloque papel manteiga. 
Bata o leite de soja com o limão até que borbulhe. Em uma tigela esmagar o grão de bico, adicione a textura de soja, migalhas de pão (opcional), glúten, mostarda, especiarias e agave em conjunto com 1/4 xícara de água e misture com uma colher. 
Passe-a para uma superfície lisa e amasse durante 1 minuto. Dê forma a uma bola e reserve.
Coloque os flocos de milho em uma tigela e amasse-os para fazer pedaços muito pequenos. Mais uma vez, bata o leite de soja com limão e coloque-o em um prato fundo. 
Vá pegando pedaços da massa que fizemos antes, passe na mistura de leite de soja e pressione nos flocos de milho. 
Vá colocando as pepitas na assadeira. Depois de enchê-los por 10 minutos, vire-os e asse por mais 10 a 15 minutos, até que estejam firmes e crocantes.
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levysoft · 4 years ago
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SULL’ANALFABETISMO DELLA MUSICA ITALIANA
Ci sono sempre state le hit, ma quelle imposte dalle radio durante l’estate post Covid – la più rarefatta e sospesa dell’ultimo secolo – oltre a rinsaldare i nostri vincoli affettivi con la mediocrità sembrano aver individuato la loro funzione sociale: sono diventate il piccone con cui demolire quel che resta della lingua italiana, il machete con cui smembrarla a beneficio di una comunicazione orizzontale, istantanea, indistinguibile e quindi informe.
[...] «Dateci parole poco chiare, quelle che gli italiani non amano capire, basta romanzi d’amore, ritornelli, spiegazioni, interpretazioni facili – diceva Fossati – ma teorie complesse e oscure, lingue lontane servono, pochi significati, titoli, ideogrammi, insegne, inglese, americano slang». Si argomenta spesso della crisi della letteratura, del vuoto intorno al cinema e della mancanza di coraggio dell’arte italiana, ma la verità è che dalla musica pare non ci si possa aspettare altro che disgregazione, chiacchiericcio, volgarità più o meno esplicite, analfabetismo a rigorosa misura di social. Ma guai a scambiarla per sottocultura, al contrario questa potrebbe essere la nuova frontiera della dignità autoriale con cui viene chiesto di fare i conti agli interpreti del nostro tempo, e chi non risponde «presente» o è tagliato fuori o è un dinosauro (come chi scrive).
La morte di una lingua.
Per brevità (ovvero banalità), velocità di trasmissione e universalità del messaggio, le canzoni post Covid sono diventate l’espressione più allarmante della deriva del Paese e della Lingua, nonostante questa rimanga tra le più belle, complesse e tradotte al mondo. Ma forse è proprio questo il demonio contro cui combattere, il padre nobile e ingombrante da abbattere. Forse alle nuove generazioni di produttori e compositori non va giù proprio questo, l’insopportabile paragone con un passato impietoso sotto troppi aspetti: nobiltà della missione, qualità del prodotto, straordinaria ricchezza artistica, inarrivabile varietà di proposte, mercato che oggi semplicemente non c’è. Va da sé che l’unica espressione culturale con cui ingaggiare un confronto, nel tentativo di riuscire a vincerlo, per paradosso è proprio l’ignoranza. Volendola tracciare con una parabola, la flessione della ricerca linguistica all’interno delle canzoni moderne, si dovrebbe scavare un fossato, interrarsi in un bunker atomico. Indifendibile, squallida, quasi sempre sessista anche se nessuno dei Benpensanti della Domenica lo fa notare. A larghi tratti analfabeta, quasi sempre composta da una manciata tra sostantivi, aggettivi e pronomi (massimo dieci, sempre gli stessi), ampiamente intrisa di offese gratuite, nomi e marche importati da lingue straniere. Né militante né consunta, né vissuta né scaltra. Una lingua traslucida, abbandonata per eccesso di frequentazione. Una lingua al consumo, usa e getta come le carte prepagate. Una lingua fantasma, nemmeno codice di riconoscimento. Avvertimento lampeggiante, segnale di insipienza riconoscibile da tutti e da lontano. Una lingua svenduta al massimo ribasso, umiliata come se di null’altro si potesse parlare che di stronzate, perché alla gente ignorante (stando al marketing alla base della concezione di questi capolavori) bisogna rivolgersi con cose ignoranti (ecco perché una signora che storpia il nome scientifico del ceppo di un virus su una spiaggia italiana, mixata e debitamente masterizzata fa più download di Alberto Angela). E in questo deserto nessuno chiede uno sforzo di creatività, nemmeno a quelli che invece avevano colpito – o ci avevano provato – per la loro audacia. «E comunque si balla, come bolle nell’aria. E si tagga la faccia, che è riaperta la caccia. E comunque si bacia, l’italiana banana…» canta Francesco Gabbani nel Sudore ci appiccica, mentre Diodato fotografa la solitudine che ci siamo lasciasti alle spalle con «lo vedi amico arriva un’altra estate, e ormai chi ci credeva più, ché è stato duro l’inferno ma non scaldava l’inverno, hai pianto troppo questa primavera» (tratto da Un’altra estate). Non fanno meglio Ermal Meta e Bugo, con Mi manca: «E mi manca aspettare l’estate, comprare le caramelle colorate. E mi manca (mancano, sarebbe plurale) le strade in due in bici. Mi manco io, mi manchi tu. E mi manca una bella canzone (sinceramente, anche a noi!)».
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Bene intesi, nessuno pretendeva la chiave d’interpretazione dell’umanità. Ma forse è proprio dentro la musica, nelle note più spensierate di questi testi privi di urgenza e tensione morale, che la pandemia sembra aver riposto tutte le banalità che ha succhiato infilando una cannuccia sulle nostre teste. «Blocco a volte sembro ancora triste, il testo è vero sai che mamma è fiera, fumo sopra ai sedili di un Velar, penso a quando il successo non c’era – Shiva in Auto blu – fa i soldi appena diciottenne, in qualche modo sotto quelle antenne, in quanti cambiano lo sai anche tu…», con un seguito quasi mai inferiore ai 20 milioni di follower. Che la lingua non esista più lo si capisce da gemiti, monosillabi e vomiti che ormai sono diventati testo e non pretesto, overdose di egocentrismo, autoerotismo più esasperato di quello di certi scrittori. «Lui si porta i libri di Kafka – profetizza J-Ax nella sua Bibbia estiva, quella di quest’anno si chiamava Ostia lido – ma poi studia solo ogni culo che passa». E poi la ricostruzione delle giornate tipo in cui riconoscersi tutti, non solo gli adolescenti ai quali questi pezzi sarebbero destinati. «Mi chiedi com’è passare le giornate a stare sul divano, con un caldo allucinante che mi scioglie, non dormo più la notte, ventilatore in fronte, e questa casa sembra proprio un hotel – scrive Giulia Penna in Un bacio a distanza –. Latine, il bel Paese, pizza pasta e mandolino, tu portami del vino, ché forse in questo pranzo non t’arriva manco il primo».
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Come nei decreti “Mille proroghe” in cui insieme alla manovra finanziaria finiscono anche le sanatorie sui profilattici scaduti, in questa deriva consumista sono finite umiliazioni («ay papi non mi paghi l’affitto (…) Mamma lo diceva, sei carino ma non ricco»: Giusy Ferreri ed Elettra Lamborghini, La Isla); icone di plastica («tu fra queste bambole sembri Ken, ti ho in testa come Pantene»: Baby K e Chiara Ferragni, Non mi basta più);l’ostentazione della povertà («Nelle tasche avevo nada, ero cool, non ero Prada»: Mahmood, Sfera Ebbasta e Feid, Dorado); e la nemesi, sotto forma di insofferenza verso gli eccessi di comunicazione («Te lo spacco quel telefono, oh-oh, l’ho sempre odiato il tuo lavoro, oh»: Elodie, Guaranà).
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Ferie d’Agosto.
In una memorabile scena del bellissimo film con cui Paolo Virzì ha anticipato di almeno un ventennio il funerale politico del Paese, cioè Ferie d’Agosto, Ennio Fantastichini (capo famiglia di Destra) dice a Silvio Orlando (capo delegazione di Sinistra) queste parole: «La verità è che nun ce state a capì più un cazzo manco voi, ma da mo’…». Che non solo è vero, ma fotografa alla perfezione la saturazione di un pubblico in cui chi prova a dire «no» è condannato all’emarginazione, alla solitudine, alla gogna. «Se c’è una cosa che mi fa spaventare, del mondo occidentale, è questo imperativo di rimuovere il dolore. Secondo me ci siamo troppo imborghesiti – dice Dario Brunori in Secondo me – abbiamo perso il desiderio, di sporcarci un po’ i vestiti, se canti il popolo sarai anche un cantautore, sarai anche un cantastorie, ma ogni volta ai tuoi concerti non c’è neanche un muratore».
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Certo non mancano le eccezioni, taluna musica riesce ancora a incarnare l’essenza di una missione a cui non solo i chiamati all’appello rispondono (cit. Leo Longanesi). Così come non mancano le ambizioni, le lezioni di scienza e coscienza di chi mette insieme la musica al più antico insegnamento degli umani, il sapere (penso al progetto Deproducers, lo straordinario tentativo di deprodurre, appunto, la musica attraverso l’ausilio della scienza); ma si tratta di oasi che al cospetto delle cover patinate, delle tracce inascoltabili imposte dalla tv e dalla pubblicità, dinanzi al muro di intolleranza al bello eretto soprattutto da alcune etichette musicali, non arriva alla grande platea. E non ci arriva perché non racconta una mutazione, non arriva perché non riesce a essere antidoto a tutto il peggio prodotto in questi anni, segnatamente in questi mesi.
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A pensarci bene la pandemia non c’entra, al contrario come noi è costretta a subire questo strazio. La verità è che la cifra stilistica media, l’asticella della dignità, la percezione del gusto e l’estetica condivisa hanno perso qualsiasi ritengo, hanno rinunciato a ogni freno inibitore, così ciò che fino a venti anni fa era meno dello scarto delle bobine oggi è diventato esperimento, ricerca scientifica, derivato d’introspezione, indagine socio-artistica. E a nulla valgono gli impietosi paragoni col passato, quando provando a spiegare alle nuove generazioni la sofferenza da cui proveniamo lo si fa con una canzone di Francesco de Gregori («meno male che c’è sempre uno che canta e la tristezza ce la fa passare, se no la nostra vita sarebbe come una barchetta in mezzo al mare, dove tra la ragazza e la miniera apparentemente non c’è confine, dove la vita è un lavoro a cottimo e il cuore un cespuglio di spine», da La ragazza e la miniera), perché nessuno ha più tempo per ascoltare questi dinosauri. La missione è quella di favorirne l’estinzione, aprendo le porte di un mondo digitale, inespressivo e anaffettivo in cui la canzone – intesa come esperienza/fenomeno – riveste la stessa utilità dei prolungamenti delle unghie: umiliare la natura, nasconderne i prodigi. Come i bari fanno col talento.
Davide Grittani
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spraakhexe · 7 years ago
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Portuguese Autumn Vocab
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Nouns
o outono - autumn, fall
a folha - leaf
o suéter - sweater
o Dia das Bruxas - Halloween
o equinócio de outono - autumnal equinox
a Ação de Graças - Thanksgiving
a torta de abóbora - pumpkin pie
a camisa de manga comprida - long sleeved shirt
a castanha - chestnut
a folhagem de outono - fall foliage
a mudança de estação - change of season
a queda das folhas - falling leaves
o resfriado - refrigerator
o gato preto - black cat
o sangue - blood
os ossos - bones
a vassoura - broom
o cabo da vassoura - broomstick
o caixão - coffin
a fantasia - costume
o corvo - crow
o demônio - demon
o diabo - devil
o fantasma - ghost
o duende - goblin
os doces - candy
os bombons - a candy made of chocolate
as guloseimas - sweets, goodies
a lápide - gravestone
o cemitério - graveyard
a casa (mal-)assombrada - haunted house
o Jack-Lanterna - Jack O’Lantern
a máscara - mask
o monstro - monster
a múmia - mummy
a abóbora - pumpkin
o esqueleto - skeleton
a caveira - skeleton, skull
o crânio - skull
a aranha - spider
a teia de aranha - spider web
o vampiro - vampire
o lobisomem - werewolf
a bruxa - witch
o zumbi - zombie
o morto-vivo - zombie
o morcego - bat
a abóbora esculpida - carved pumpkin
a caldeirão - cauldron
o cemitério - cemetery
Drácula - Dracula
o espírito - spirit
a magia - magic
a coruja - owl
a festa - party
a superstição - superstition
a lua - moon
setembro - september
outubro - october
novembro - november
o chapéu - hat
o cachecol - scarf
as luvas - gloves
o casaco - coat
as meias - socks
as botas - boots
as pantufas - slippers
o pijama - pyjamas
a lã - wool
o milho - corn
a sopa - soup
o caldo - broth
a sidra - cider
o chá - tea
o café com leite - latte
o peru - turkey
o feno - hay
a palha - straw
o girassol - sunflower
a madeira - wood
o fogo - fire
a fumaça - smoke
o fumo - smoke
a cinza - ash
a lareira - fireplace
a colheita - harvest, crop
o espantalho - scarecrow
Verbs
assustar - to scare
esculpir - to carve
gritar - to scream
para jogar um truque - to play a trick
Adjectives & Adverbs
fresco - cold
ventando - windy
chovendo - rainy, raining
ensolarado - sunny
chuvoso - rainy
nevando - snowy, snowing
meio nublado  - kind of cloudy
fantasmagórico - spooky
assustador - frightening
confortável - cozy, comfortable
Phrases
Eu peguei um resfriado. - I caught a cold
Está chovendo. - It’s raining
Está garoando. - It’s drizzling
Está caindo um pé d’água! - It’s pouring
Prefiro dias nublados. - I prefer cloudy days
Doces ou Travessuras! - Trick or Treat!
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