#boscimani
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augustonovali · 3 years ago
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“Stammi a sentire. Allora, ti chiedo una cosa. Dimmi una cosa: ci sono categorie di persone che ti stanno sul cazzo? Categorie dico, gruppi, come dire… i boscimani, i venditori di aspirapolvere, che ne so i politici e così via. Ci sarà qualche “categoria” di persone che ti sta sul cazzo no? Mica sei San Francesco che ami tutto e tutti?”
“Sì, qualcuno sì.”
“Ad esempio? Dimmene uno.”
“Ma che ne so. Quelli delle poste, per esempio. Quelli allo sportello, ecco. Tu sei lì che aspetti il tuo turno, magari hai fretta perché hai altro da fare e loro manco se ne strafottono. “Sì signora, vede, può mettere l’etichetta così. Anzi se proprio vuole essere sicura che si legga bene, ne mette una qui e una dietro.” E mentre lei sfoggia l’enciclopedia della spedizione postale alla signora, tu sei lì che aspetti e quella manco se ne frega. “Ma signora, conosce le scatole standard che abbiamo? No? Un attimo signora che le mostro.” E se ne va, e tu intanto hai un sacco di cose da fare e aspetti. E quella se ne torna con calma e attacca il pippone e le spiega la scatola, lato per lato, e allora la signora chiede quanto costa e a lei non pare vero di avere altri argomenti di discussione per farti star lì ad aspettare, e manco se ne strafotte che la gente ha da fare e che non si sveglia al mattino, felice di dover andare in posta per fare una cazzata che ci vorrebbe un minuto, e trova la solita impiegata che per fare tre cazzate da un minuto a quelli prima di te ci mette un’ora, perché lei è gentile, è simpatica e tu avresti voglia di andare dietro allo sportello e prenderla a calci in culo! Vabbè disponibile, vabbè efficiente, ma se ci metti mezz’ora ogni volta che ti arriva qualcuno allo sportello…” Si rese conto che si era infervorato troppo. Sì, evidentemente gli impiegati postali gli stavano antipatici e cercò di chiudere subito:
“E insomma sì, a me gli impiegati delle poste stanno sul cazzo, ecco!”
“Bene. E allora mettiamo che tu invece di conoscermi al circolo mi avessi conosciuto alle poste, e che io invece di lavorare al circolo, fossi un impiegato delle poste. Cambierebbe qualcosa per te?” Sergio si girò a guardarlo, con un’espressione furba:
“Si ho capito quello che vuoi dire ma…”
“Ma?”
“Ma chi ti dice che mi stai simpatico e che non mi stai sul cazzo invece, anche se non lavori alle poste?”
“Ma piccolo pezzo di merda… - Lorenzo si abbatté su di lui – ma tu senti questo…” cominciò a spintonarlo, si avvinghiarono l’uno all’altro e cominciarono a lottare per gioco, scambiandosi pacche, colpi con i cuscini, come due adolescenti, continuando a ridere per tutto il tempo.
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fenitelaminaperdue · 5 years ago
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Cose che capitano a “quello lì”
“Se mia mamma sapesse! Sai come ti chiama ?” “Quello lì””
“Carino! “Quello lì” non mi ci aveva mai chiamato nessuno così”
“Oh no?. Allora immagina la scena . Siamo in macchina io e mia mamma ed io parto: “Sai mamma “ quello li” ha molti anni più di me” “e già li l’occhio destro inizierebbe un movimento inconsulto ma ancora accettabile” “eh si è anche un terrone.”” Eh mia mamma odia i terroni, i napoletani poi, vi sterminerebbe. Dio se sapesse poi che lavoro fai! Sarebbe il colpo di grazia. Cioè vecchio, napoletano, minimo raccomandato, mafioso, evasore che ci sta sempre bene, ladro e porco, molto porco. Penso collasserebbe anche l’occhio sinistro e probabilmente stavolta non reggerebbe la botta e finiremmo direttamente nel Po con tutta la macchina.” 
“ Va bene tutto, però qui da noi siamo al massimo camorristi, i mafiosi sono in Sicilia, cavoli le parole sono importanti e la geografia criminale non deve essere sottovalutata. Ignoranti che siete oltre il Po” E si ride.
Si ridevamo spesso, anzi sempre o almeno per un bel pezzo abbiamo riso molto. Mi piace ridere, chi mi fa ridere,chi non prende sempre le cose troppo sul serio, chi ride di se stesso e di questa vita infarcita di complessi di grassi saturi, luoghi comuni per menti ristrette come i caruggi di Genova, stereotipi lievitati con steroidi di ignoranza,  come una torta salata tedesca, l’azzanni ma non sai mai esattamente cosa tu stia mangiando ed essenzialmente fa cagare, però ha l’apporto calorico che soddisferebbe un villaggio di Boscimani.  Che scomoda la vita quando non si ride, sembra di indossare scarpe di due misure piu’ piccole durante lo shopping blasfemo di Natale in cui devi fare code interminabili coi piedi dolenti per comprare l’ennesimo inutile portafogli da donare che diventerà poi il regalo per qualcun altro in un perfetto, funzionante, virtuoso ed ecologico “processo di riciclo dei regali” , e nel mentre l’unica cosa che vorresti fare tornare a casa e  sfanculare il panzone di rosso vestito e risvegliarti direttamente il 7 gennaio ripieno di glicemia ed LDL perchè sei stato cattivo e l’HDL non te lo meriti. Ti ricordi il primo Natale che ci siamo conosciuti? Io ero come sempre in giro per il mondo, tu hai mangiato i cappelletti in brodo, poi sei andata in camera hai acceso Skype e mi hai videochiamato quando io ero praticamente già a Santo Stefano mentre per l’altra metà del mondo ero già a letto a dormire. Avevi con te 3 cioccolatini, un Lindt rosso dalla scioglievolezza incommensurabile, sacrificato ben prima della mezzanotte sull’altare del puro piacere gustativo, un Bacio Perugina bianco, frutto di un evidente errore di marketing ed inutile come il numero 91 nella tombola, deceduto poco dopo la nascita del Bambino più vecchio della storia, un Bacio al cioccolato che ha resistito impavido al microclima instabile del cassetto nel tuo comodino e che abbiamo scartato 2 anni dopo stesi in un parco di Bologna sul cui bigliettino era stampata la frase “l’amore nasce dall’assenza” che per noi era come la più scontata delle previsioni metereologiche sul caldo torrido del 15 agosto mentre ti sudano le ascelle . Sai conservo ancora la carta del Lindt che mi regalasti quel giorno insieme al Bacio  che ho reincartato con il biglietto preveggente che gli fa da piedistallo.  Oh si, allora le scarpe erano come le Pantofole Peluche con le orecchie da cane e la lingua rossa sulla punta, calde, comode, intense, come il Capodanno seguente  quando a mezzanotte  strafatta di fumo non proveniente dai ceppi sul camino, ed alcolizzata al punto giusto sfidavi in mutande il - 5 della tua notte innevata e spendevi i primi 30 euro dell'anno del tuo credito telefonico in perenne estinzione come i dinosauri nell’era della glaciazione, per parlare con “quello li” mentre i tuoi amici facevano festa e si chiedevano dove fossi finita. Stamattina mi sono alzato per l’ennesima mattina in questo letto in cui dormo da solo da un bel po’ e la prima cosa che ho visto aprendo la finestra e’ stata come sempre la cima del pioppo di fronte casa. E’ alto, vecchio e le sue foglie iniziano ad ingiallire e lui ha guardato me in mutande e peluria sparsa e non sarà stato di certo particolarmente felice di un simile spettacolo. Sai pioppo io e te siamo simili  ma tu sei più fortunato, sarai anche più vecchio di me eppure ogni anno una parte di te muta colore e muore per rinascere, in un ciclo che non ti costa nessuno sforzo evidente in quanto nella tua natura. Anche io sono morto e rinato molte volte, o almeno qualche volta, beh si non come te che comunque sei un pioppo di una decina di metri e le radici ben piantate nel terreno che ti fanno resistere a bufere e nubifragi da clima inorridito, mentre io sono solo 176 cm, senza radici e mi viene il naso rosso da avvinazzato per il troppo freddo. Eppure stavolta caro il mio pioppo le mie foglie verdi tardano ad arrivare già da un pò o forse sono io che sono stanco di rinverdire, i miei capelli imbiancano, la pelle inizia a cedere, mangio male, piscio di più, sono sempre porco, provo ancora  ogni tanto a combattere qualche guerra persa lanciandomi come Pirro in groppa ad un Elefante che pero’ come sempre si bloccherà davanti al primo topolino baffuto e barrendo mi si ritorcerà contro calpestandomi e lasciandomi sconfitto tra le lenzuola del mio letto. Che oggetto affascinante la mia testa, che ricorda tutto quello che ti riguarda e non quello che ho mangiato ieri, cosa ho guardato in TV, quanti soldi ho speso per aver comprato l’ennesimo paia di scarpe. Hai riempito tutta la mia scatola cranica, sembra che non ci sia più spazio per nulla. Un giorno ti presenterò il conto delle notti insonni, delle valigie fatte e disfatte in nome della tua assenza, dei voli che non ho più preso, delle pizze che non ho mangiato, delle donne con cui non sono uscito, delle risate che mi sono perso, delle vacanze che non mi sono goduto. O forse tu non c’entri nulla ed io  sto semplicemente pagando lo scotto delle molte vite parallele che ho vissuto , facendo in modo che non si intersecassero mai, dei miei microcosmi che non ho mai unito per creare un unico me. Forse sono stato troppe persone ,il figlio diligente, poi quello egoista, il compagno ideale, l’amante perfetto, lo stronzo imperfetto, il traditore, il tradito, il molto amato che poco ama, colui che ama e poco e’ amato, quello scartato, quello che scarta, quello timido, quello esuberante, l’astemio e l’alcolizzato, l’integerrimo e lo scoglionato, quello che non puo’ sbagliare , quello che sbaglia, quello costantemente incostante.  Non sono mai stato una linea, ma solo tanti segmenti divisi da una marea di puntini sospensivi, sono una sorta di  alfabeto Morse di cui nessuno, a parte te, ha mai conosciuto la codifica e la codifica non me l’hai neanche dovuta estorcere ma te l’ho consegnata  di mia  spontanea volontà solo perchè il tuo sistema di crittografia era ancora più affascinante e raffinato del mio ed io lo volevo  avere , analizzare, possedere, custodire. Nonostante tutto sono contento che tu ci sia stata, perchè almeno per una volta mi sono visto intero, con tutti i pezzi al loro posto, per una volta mi sono bastato e qualcuno mi è bastato. Avevi ragione sono un gran porco e non solo un pezzo di prosciutto stagionato.
“Quel buco che hai nel petto Che cerchi di coprire Un giorno ti prometto Mi ci lascerò cadere “  Daniele Silvestri
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iridediluce · 6 years ago
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Il sole e i culti solari
Il sole e i culti solari
di Mircea Eliade Le ierofanie solari e il razionalismo
Una volta, nei tempi eroici della storia delle religioni, si credeva che il culto del sole fosse conosciuto, in altri tempi, da tutta l’umanità. Si può dire che i primi tentativi di mitologia comparata ne decifrassero le tracce dappertutto. Tuttavia, fin dal 1870, un etnologo eminente come A. Bastian osservò che questo culto solare…
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raffaellamilandri · 7 years ago
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Il mio nome boscimane è Nxuwa
Sono molto fiera di essere membro adottivo della famiglia Black Eagle dei Crow, tribù di nativi americani del Montana. E sono fiera del mio nome in lingua originale, Baa Kuuxsheesh, che ha segnato una nuova tappa della mia vita e che significa “Aiuta gli altri”. Molti già lo sanno, ma vorrei ricordarlo e dirlo sempre ad alta voce. La fratellanza è sacra. Ora posso annunciare la mia adozione…
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dnemedia · 6 years ago
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This is a baobab tree. They grow most frequently in south- western of Africa. They contain a lot of fluid which elephants drink to survive. They scratch the tree with their horns to set free this fluid. This specimen was not being scratched for maybe all the time it has been standing here. This stands at a place where bushmen used to live hundreds of years ago. Nowadays they live in safe farms where ghey still can live they way they used to live - but in a much more safe environment.
Questo è un albero di baobab. Crescono più frequentemente nel sud-ovest dell'Africa. Contengono molto fluido che gli elefanti bevono per sopravvivere. Grattano l'albero con le loro corna per liberare questo fluido. Questo esemplare non è stato graffiato per forse tutto il tempo che è rimasto qui. Questo si trova in un posto in cui i boscimani vivevano centinaia di anni fa. Oggigiorno vivono in fattorie sicure dove possono ancora vivere come vivevano, ma in un ambiente molto più sicuro.
Detta är ett baobabträd. De växer oftast i sydvästra Afrika. De innehåller mycket vätska som elefanter dricker för att överleva. De repa trädet med sina horn för att frigöra denna vätska. Detta prov har inte repats för kanske hela tiden det har stått här. Detta står på en plats där bushmen brukade leva för hundratals år sedan. Idag bor de i säkra gårdar där de fortfarande kan leva de sätt de brukade leva - men i en mycket säkrare miljö.
Thanks for reading.
Grazie per aver letto.
Tack för att du läser.
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pikasus-artenews · 2 years ago
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L’Ascella del sole – ANDREA MARCO CORVINO Andrea Marco Corvino, writer bolognese, si è ispirato al mito dei Boscimani per proporre il suo elogio al sole e alla sua potenza generativa.
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ernestogiorgi · 3 years ago
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Appunti di Antropologia Culturale 3 [976]
Appunti di Antropologia Culturale 3 [976]
Boscimani della Namibia. Revisione testo : 15 febbraio 2022 ore 10:30 – Revisione immagini: 15 febbraio 2022 – L’ agricoltura impiegò circa tre mila anni per arrivare in Sudan e probabilmente altrettanti per stabilirsi in Africa Orientale e nell’ India nord-occidentale. Nel villaggio agricolo avvenivano molti cambiamenti: sembra che le prime pecore addomesticate non avessero lana e che i primi…
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surejaya · 5 years ago
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L'uccello del sole
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L'uccello del sole by Wilbur Smith
L'archeologo Ben Kazin è vicino alla scoperta della sua vita: ha trovato nel Botswana una debole traccia di Opet, la mitica "Città della Luna", centro di una grande civiltà africana scomparsa nel nulla. Tra scavi e inseguimenti, dirottamenti e cacce grosse, la traccia a mano a mano prende corpo, benché tutto sia stato predisposto affinché di Opet ne venisse cancellato persino il ricordo. Quale segreto si nasconde sotto i resti della "Città della Luna"? Quale legame ci può essere tra Ben, che i boscimani chiamano "Piccolo-uccello-del-Sole", e il sacerdote Huy Ben-Amon, il "Grande-uccello-del-Sole"?
Download : L'uccello del sole More Book at: Zaqist Book
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hellocarloblr-blog · 7 years ago
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augustonovali · 4 years ago
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“Stammi a sentire. Allora, ti chiedo una cosa. Dimmi una cosa: ci sono categorie di persone che ti stanno sul cazzo? Categorie dico, gruppi, come dire… i boscimani, i venditori di aspirapolvere, che ne so i politici e così via. Ci sarà qualche “categoria” di persone che ti sta sul cazzo no? Mica sei San Francesco che ami tutto e tutti?”
“Sì, qualcuno sì.”
“Ad esempio? Dimmene uno.”
“Ma che ne so. Quelli delle poste, per esempio. Quelli allo sportello, ecco. Tu sei lì che aspetti il tuo turno, magari hai fretta perché hai altro da fare e loro manco se ne strafottono. “Sì signora, vede, può mettere l’etichetta così. Anzi se proprio vuole essere sicura che si legga bene, ne mette una qui e una dietro.” E mentre lei sfoggia l’enciclopedia della spedizione postale alla signora, tu sei lì che aspetti e quella manco se ne frega. “Ma signora, conosce le scatole standard che abbiamo? No? Un attimo signora che le mostro.” E se ne va, e tu intanto hai un sacco di cose da fare e aspetti. E quella se ne torna con calma e attacca il pippone e le spiega la scatola, lato per lato, e allora la signora chiede quanto costa e a lei non pare vero di avere altri argomenti di discussione per farti star lì ad aspettare, e manco se ne strafotte che la gente ha da fare e che non si sveglia al mattino, felice di dover andare in posta per fare una cazzata che ci vorrebbe un minuto, e trova la solita impiegata che per fare tre cazzate da un minuto a quelli prima di te ci mette un’ora, perché lei è gentile, è simpatica e tu avresti voglia di andare dietro allo sportello e prenderla a calci in culo! Vabbè disponibile, vabbè efficiente, ma se ci metti mezz’ora ogni volta che ti arriva qualcuno allo sportello…”. Si rese conto che si era infervorato troppo. Sì, evidentemente gli impiegati postali gli stavano antipatici e cercò di chiudere subito:
“E insomma sì, a me gli impiegati delle poste stanno sul cazzo, ecco!”
“Bene. E allora mettiamo che tu invece di conoscermi al circolo mi avessi conosciuto alle poste, e che io invece di lavorare al circolo, fossi un impiegato delle poste. Cambierebbe qualcosa per te?” Sergio si girò a guardarlo, con un’espressione furba:
“Si ho capito quello che vuoi dire ma…”
“Ma?”
“Ma chi ti dice che mi stai simpatico e che non mi stai sul cazzo invece, anche se non lavori alle poste?”
“Ma piccolo pezzo di merda!” Lorenzo si abbatté su di lui.
“Ma tu senti questo…”. Cominciò a spintonarlo, si avvinghiarono l’uno all’altro e cominciarono a lottare per gioco, scambiandosi pacche, colpi con i cuscini, come due adolescenti, continuando a ridere per tutto il tempo...
https://www.amazon.it/Tradimenti-Augusto-Novali-ebook/dp/B00XK4O39W/ref=pd_sbs_351_1/261-0888627-0728123?_encoding=UTF8&pd_rd_i=B00XK4O39W&pd_rd_r=49118cda-24f2-422d-99bf-3ad3b7bb96e4&pd_rd_w=oeDmC&pd_rd_wg=lqZW6&pf_rd_p=26de63c3-766e-46eb-a5d4-5196554180e1&pf_rd_r=7FAKFBTGRZR9VCQ1ZD3P&psc=1&refRID=7FAKFBTGRZR9VCQ1ZD3P
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aneddoticamagazinestuff · 8 years ago
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Roberto Premoli e la sua Premobox
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Roberto Premoli e la sua Premobox
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ridgebackds · 5 years ago
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Il Rhodesian Ridgeback, un cane forte, orgoglioso e fiero
Rhodesian Ridgeback: origini e storia
Originario dello Zimbabwe, per conoscere la sua storia dobbiamo addentrarci nell’Africa. Verso l’anno 500 le tribù Khoikhoi, Zulu e Boscimani partirono dal Medio Oriente per approdare sulle coste africane. Arrivarono insieme ai loro animali, tra cui i progenitori del Rhodesian Ridgeback.
Dopo anni di spostamenti, fu solo nello Zimbabwe e nella Zambia che si iniziò un lungo processo di affinamento della razza, al fine di migliorarne le abilità di cacciatore. Per gli incroci si presero in considerazione l’Irish Terrier, l’Alano e il Collie.
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italianaradio · 5 years ago
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Teatro Argentina di Roma, la stagione 2019-2020
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C’È UN SOGNO CHE CI STA SOGNANDO, con questa sfida poetica prende l’avvio la Stagione 2019/2020 del Teatro di Roma – Teatro Nazionale. Un’ispirazione che arriva dai boscimani del Kalahari ed è una promessa di viaggio: quello nei luoghi di un teatro vivo, aperto, avventuroso, desideroso di contemporaneità. Un teatro dell’adesso in ogni dove.
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raffaellamilandri · 7 years ago
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E’ una iniziativa targata ONU Italia, quella che la Omnibus Omnes si appresta a far decollare domenica 8 ottobre 2017 a San Benedetto del Tronto. In realtà è il proseguimento e lo sviluppo della Giornata Onu dei Popoli Indigeni, che la associazione sambenedettese ha già celebrato nel 2015 e nel 2016. “Il significato profondo di questa manifestazione è che non esiste un NOI e un LORO in fatto di…
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pangeanews · 5 years ago
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“Bisogna assecondare una voce, acciuffarla coi denti. Io, per esempio, con la lingua faccio del sesso spericolato”: dialogo con Francesco Iannone
Gli dico Pedro Páramo e non fa verso. Intendo: il rito meridiano, la tenebra grave del Meridione, in Arruina (il Saggiatore, 2019), possono stare nel Messico corrusco di Juan Rulfo, nel Cile di José Donoso, nel Brasile di Guimarães Rosa, tra boscimani e sciamani, in una trionfale mascherata – cenere che si fa corpo – che mi ricorda quando Pier Paolo Pasolini voleva ambientare Eschilo in Africa, che genio!, perché i primordi non sussurravano, pietra arsa dall’incuria, ma urlavano con fervore di iena, in favore di sangue. Dunque, sì, qui c’è la rovina della lingua, la decapitazione del linguaggio e Francesco Iannone – “è il suo esordio nella narrativa”, ci avvisa la nota smilza – vuole scrivere sangue, vuole traslare il verbo in carne, la retorica in carie. Così, Nerissima e Sperduta, ’O ’Mpasturato e Poeta Antico stanno nell’ogiva meridionale nel senso che sono il Meridione del sasso, la luce da cui cominciò il dire, terra/pane, parola/prepuzio, per questo, questo libro non va letto ma odorato, partecipato, scosceso, discesa tra le ombre del ‘fu’, funesto rito. “Dovrei imparare ad uccidere il mio io. Dovrei farlo tacere con il suo canto storto, strozzato, impreciso, fuori tempo, troppo calante, troppo imperfetto, troppo umano… La morte mia e la morte di tutti, il disfarsi dei corpi, così mortali, così mortalmente riducibili, che senso ha? Le mie sere finiranno con me, sentirò tossire il firmamento sulla mia testa, un’ultima volta, e terrò con lui il mio dialogo più bello, dirò ogni cosa di me, di noi…”. Con questa lingua che è dedica ai morti – come chi, appunto, raccolga le lingue dei cadaveri e le semini in terre messe a maggese sperando nella crescita di ulivi – nasce, eretto, un libro arcaico, eppure scritto da un autore così giovane – classe 1985 – forse a mo’ di monito, o forse, semplicemente, perché ogni libro è l’ultimo e trapana la morte. In realtà, esordiente alla narrativa, Iannone è nato da tempo alla poesia: nel 2016 per Aragno pubblica Pietra lavica, che ha vasta risonanza critica. Piuttosto, si potrebbe dire, a mo’ di nota parziale, da approfondire, che i narratori più avvertiti, oggi – cioè, quelli che s’installano in un linguaggio e lo impongono – sono quelli che si sono svezzati nella pappa poetica, penso a Daniele Mencarelli, ad Andrea Temporelli, a Laura Pugno, per dire, a Iannone, ora, e a Gian Ruggero Manzoni, prima. Ma non è questo, qui, il tema. Il tema, piuttosto, è questo: “Piove magnifico fra i ruderi, piove incessantemente sulla polvere e noi tocchiamo le nuvolette che la polvere genera, le tocchiamo cautamente come fossero di carne. Qualcosa di increato trema sotto i nostri passi, e tremando esiste. Potrebbero essere ossicine, bambine sgozzate, potrebbero essere scheletri di rane, stragi di formiche, ogni cosa potrebbero essere, cose condannate a vivere qui, con i falchi che cacciano selvaggina fra rugiada e fango”. L’ultimo getto è proprio del poeta – musica ha splendore sul resto, sul restio, senti: selvaggina fra rugiada e fango. L’altro è la rovina, in forma di memoria e d’acqua, necessaria per dissotterrare l’ossessione e mutarla in caccia cardinale. (d.b.)
Intanto. Da dove viene Arruina e che lavoro ha preceduto l’annuncio di quel linguaggio così arcaico, dalle sementi liriche? A me ha ricordato (per pura impressione ‘sonora’) la lingua pietrificata di Juan Rulfo. Dimmi.
Ho immaginato di scrivere Arruina rannicchiato nello stomaco del mostro che inghiottì Giona. Arruina è cresciuto lì dentro, in quello spavento. Ma Arruina per me è anche la realtà che non si racconta. È la traccia, l’avvistamento fra le macerie. Ed è pure la determinazione del soccorritore che cerca sopravvissuti sotto gli accumuli di pietre e calcinacci. Non è un elogio del disastro, sia chiaro, né una compiaciuta narrazione delle rovine, così in voga oggi. È piuttosto un orientarsi nei cunicoli di bui ipogei scavati sottoterra provando ad accordare il proprio passo all’eco degli zoccoli pestati sulla terra dalla mandria chissà dove. E questo sembra molto simile alle dinamiche della umana esistenza. Un viaggio camminato fissando la crepa, e la luce che talvolta da essa ne viene. Si vive per quei barlumi, rincorrendo quegli abbagli. Ho usato la Salerno selvatica del Cilento più estremo (Roccagloriosa, Acquavena, Torre Orsaia) perché un grido potesse ampliarsi ed echeggiare enormemente lungo i costoni delle rocce che ne caratterizzano il paesaggio e che il mare lo possono soltanto sognare tanto ne sono lontani. Così come noi siamo distanti dalle verità che riguardano la nostra vita, verità sognate, desiderate e perciò già reali, per il fatto stesso di poter essere concepite.
A un certo punto appare il Poeta Antico e oltre a chiederti: chi è?, ti chiedo di specificare l’influsso della tua scrittura poetica in quella narrativa. 
Il Poeta Antico nasce dal rapporto personale con due poeti che mi si sono incistati nella carne come uomini prima ancora che come poeti (ma non meno vera sarebbe l’affermazione contraria): Alfonso Guida e Gino Scartaghiande, gli autori, fra le altre cose, di Irpinia e Sonetti d’amore per King Kong. Due poeti a cui devo umanamente moltissimo. Da loro ho appreso il valore della concessione di sé, e per motivi diversi. Non ci si sottrae alla guerriglia, nessuna croce può essere posata a terra, pena una felicità monca, mutilata. Sembra un ossimoro, lo so. Ma c’è allegria anche nei gorgogli che fa il sangue quando tumultua nel taglio. Ogni cosa corre verso la casa della fine, che forse è anche la casa dell’inizio, chissà.
Che ardore ha il tuo linguaggio? Intendo: pensi che per giungere a una certa postura linguistica sia necessaria anche una scelta etica, una disciplina, ecco? 
Non preferisco parlare di linguaggio perché mi fa pensare all’artificio, a qualcosa di premeditato. O comunque ad una prevaricazione dell’autore sulla parola. Ad un atto di arroganza estrema. Meglio parlare di lingua. E anche nella scelta di una lingua credo sia necessario sgonfiarsi di se stessi. Assecondare una voce, acciuffarla con i denti. E infine esserle fedele per tutto il tempo che ti chiede. È una grande prova di umiltà. Non è sempre facile mettersi da parte, subire l’ingombro di una presenza altra. È una dinamica erotica, ha a che fare con i corpi, con i loro spasmi e turbamenti. Perché la lingua è un corpo a tutti gli effetti, e ti sceglie. E tu ci fai del sesso spericolato.
A chi scrivi, perché? A chi hai lanciato questo libro in particolare, per quali occhi è apparecchiato?
Non vorrei sembrare spietato o cinico. Ma quasi mai penso ad un ipotetico lettore quando scrivo. Scrivo per fame. E quando si ha fame si raschiano le briciole dal pavimento e ci si copre la bocca con la mano mentre le si mangia per non essere visti da nessuno. Se hai fame sei egoista e ti ingozzi del poco che trovi nascondendoti dentro un antro buio di caverna affinché nemmeno l’odore possa diffondersi di quel cibo. Poi capita un giorno che qualcuno senta nostalgia del pane come te, e quello potrebbe essere il lettore. Una fame che incontra un’altra fame.
Dal ciglio di questo libro che, mi pare, vuole essere senza assoluzione, ti chiedo un giudizio sulla letteratura italiana, oggi. Ci stai bene? Come ci si può stare?
È sempre più difficile riconoscersi in ciò che si scrive oggi. E, in verità, non mi salgono alla mente molti nomi. Imbarbariti dal mercato, critici e scrittori hanno smesso di scavare nella loro fame e li vedi adagiati sulle piume del perbenismo letterario. Ciò che per uno scrittore ad esempio rappresenta un pretesto, come in Arruina certe suggestioni meridionali, per chi è chiamato a giudicare diventa subito lo scopo finale del testo, il suo significato definitivo. Ed ecco l’equivoco, il fraintendimento. Io non ho la presunzione di introdurre nessuna novità. Tutto è già stato detto e raccontato. Confido molto nella lingua, perché è lì dentro che ancora possono avvenire i miracoli, almeno quando si parla di libri.
Che valore ‘politico’ ha il tuo romanzo? Come si installa, cioè, nella Storia? O ne è meteorite laterale, candido, candidato solo a se stesso?
Arruina è volutamente non collocato in un tempo determinato. Né è in sintonia con nessuna delle odierne tendenze letterarie. È linguisticamente respingente. E più che farti carezze, ti sgancia sonori ceffoni sulla faccia. Ha un andamento che stordisce. Ti costringe a pause, rallentamenti. Diciamo che non sono stato per nulla scaltro. Quando mi innamoro, ad esempio, non sono di quelli che diventano più cortesi o accomodanti. Ma, per tutela di me stesso, sono ancora più insopportabile del solito. E forse Arruina ha un certo livello di insopportabilità che ha ereditato da me. Ma poi, è sopportabile la vita? E il dolore? E la gioia, come la si addomestica?  La vita ha di questi eccessi, e la letteratura, perché ha a che fare con la vita, è eccesso essa stessa. È lo spazio dentro il quale si avvera il pandemonio. Lo si può osservare rappresentato fisicamente. La letteratura ne diventa specchio e riflesso insieme.
*In copertina: Francesco Iannone secondo Chiara Pardini
L'articolo “Bisogna assecondare una voce, acciuffarla coi denti. Io, per esempio, con la lingua faccio del sesso spericolato”: dialogo con Francesco Iannone proviene da Pangea.
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lunatikgoeswild-blog · 6 years ago
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DOMENICA 2 GIUGNO, ALLO SPIRITO DEL PIANETA, UN'ACCOPPIATA IMPERDIBILE... BOSCIMANI DAL SUD AFRICA E ABORIGENI DALL'AUSTRALIA... ALLE ORIGINI DELL'UOMO
 FESTIVAL dei Popoli indigeni
“LO SPIRITO DEL PIANETA”
 @ Polo Fieristico – Chiuduno (BG)
Via Martiri della libertà
DOMENICA 2  GIUGNO
 Aborigeni + Boscimani
   Ingresso libero
Presente struttura al coperto
che garantirà la realizzazione degli spettacoli anche in caso di maltempo
Orari di apertura del centro
Sabato: ore 17.00
Domenica: ore 12.00
Tutti i giorni feriali: ore 19.00
 INFOLINE
ASSOCIAZIONE LO SPIRITO DEL PIANETA
cell : 347 5763417 - [email protected] -  www.lospiritodelpianeta.it
   Aborigeni
"The Tubba-Gah Culture Group" In Australia gli Indigeni e l'ambientalismo sono stati caratterizzati da questi argomenti: - Rivendicazione e riconoscimento dei diritti (compresi la terra, il titolo nativo, eredità culturale) - Richiesta di maggiore partecipazione e attività decisionale - Protezione dallo sviluppo di aree, siti e luoghi carichi di significato - Il nucleo di molte di queste campagne e rivendicazioni è la richiesta di riconoscere il sapere ecologico dei popoli indigeni. Il popolo Tubbah-Gah ha mantenuto il suo sapere ecologico lontano dal proprio territorio, mentre in passato era stato costretto ad allontanarsi dalle sue terre natie; Il destino del sapere Tubbah-Gah e altri popoli Wiradjuri hanno sofferto immense espropriazioni storiche, spostamenti e perdita della cultura per colpa delle missioni e dei re-insediamenti; Molti sono stati portati via dalla loro terra nella zona di Dubbo; Altri sono stati dislocati da altri luoghi e ora vivono in questa zona; Il risultato è stato la perdita del sapere e dell'eredità culturale, e un complesso di politici locali con identità indigena che si rappresenta autonomamente "Vivo in un altro posto ma non ho mai lasciato questo posto" La complessa articolazione del luogo, espressa egregiamente dai Tubba-Gah in una conversazione che esprime l'identità, dichiarando “vivo in un altro posto ma non ho mai lasciato questo posto” Questa dichiarazione esprime che l'identità risiede sia in un luogo, sia al di fuori del luogo. Si riferisce anche alla storia dei Tubba-Gah che racconta di espropriazioni, dislocazioni, esilio e perdita del sapere. Chi ha fatto questa dichiarazione e ha espresso questi sentimenti, vive lontano da Dubbo, in un'altra parte dell'Australia, ma mantiene salde le connessioni con il territorio e la gente che ci vive.
  Boscimani
Khoisan (scritto talvolta KhoiSan o Khoi-San) è il termine con cui si designano collettivamente i due gruppi etnici principali dell'Africa meridionale, i khoi e i san. Sebbene i san (detti anche "boscimani") siano principalmente cacciatori-raccoglitori e i khoi (detti anche "ottentotti") principalmente pastori, questi due gruppi sono fisicamente e culturalmente affini. Si ritiene che il gruppo khoi si sia separato dai san proprio con l'adozione dell'allevamento, pratica che essi avrebbero quasi certamente mutuato dalle vicine popolazioni bantu. Anche le lingue e i dialetti parlati da questi due popoli appartengono evidentemente a un unico gruppo, detto gruppo delle lingue khoisan; esse sono caratterizzate dalle tipiche consonanti col suono di "clic", rappresentate nell'alfabeto occidentale con simboli come "/" e "!" (vedi per esempio //Hus, il mancala tipico della Namibia). La storia dei khoisan è profondamente legata a quelle delle popolazioni bantu che in diverse epoche migrarono dall'Africa tropicale verso sud. In particolare, gli xhosa e gli zulu furono i due principali gruppi bantu a colonizzare il Sudafrica. Se in molti casi l'arrivo dei bantu costrinse i khoisan a migrare dalle loro terre, in altri casi si ebbe convivenza e scambio culturale, e oggi le etnie bantu e khoisan mostrano diversi tratti culturali in comune. I khoisan tendono a essere insediati nelle regioni meno adatte all'agricoltura, non adatte all'economia bantu; per esempio, intorno al Kalahari, in Sudafrica e in Namibia.
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