#battaglia di Vienna
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11 e 12 settembre 1683 le nazioni Cattoliche con il beato Marco d'Aviano, vincono a Vienna
Anniversario della battaglia di Vienna dell’11 e 12 settembre 1683: sotto la guida del Papa Innocenzo XI le nazioni cattoliche sconfissero i Turchi e salvarono la Cristianità. Un secolo più tardi le nazioni cattoliche infiltrate dalle logge massoniche, divennero apostate e sovvertirono la Cristianità. I laicisti e anticlericali che festeggiano il 1789 non possono, ovviamente, festeggiare il…
#battaglia di Vienna#cattolicità#Europa cristiana#Innocenzo XI#islam#Marco d&039;Aviano#musulmani#ottomani#Sobieski#Turchi#Ussari
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7 ottobre 1571 LEPANTO.
Festa di Nostra Signora della Vittoria, mutata da uno dei tanti papi gnegne tipo l'attuale, in festa di Nostra Signora del Rosario.
Nella Triade Identitaria Occidentale Suprema, assieme a Poitiers (732) e al successivo Assedio di Vienna (1683).
(Paolo Veronese, Gallerie Accademia di Venezia. Tutte cose - accademie, dipinti, Veronese, cultura, le campane delle chiese che suonano alle 12, il non dover posizionare 5 volte al dì il culo in asse con La Mecca - che esistono grazie a quell'immane scontro, la più grande battaglia navale della storia fino alle Guerre Mondiali).
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STORIA DEL CORNETTO: INTERESSANTISSIMO!!!
La tipica forma a mezzaluna viene, in modo forse leggendario, correlata alla battaglia di Vienna del 1683 che pose fine all'assedio della città da parte dell'Impero Ottomano. La città era stata posta sotto assedio il 14 luglio del 1683 da 140.000 turchi guidati dal gran visir Mustafa pascià. L'assalto turco fu durissimo e molti furono i tentativi di penetrare in città. Si narra infatti che per conquistare definitivamente Vienna, abbattendo le sue poderose mura, l'esercito ottomano andava scavando nottetempo delle gallerie sotterranee al di sotto di queste per minarle e farne saltare così le fondamenta. I rumori delle pale e dei picconi furono udite dagli unici lavoratori svegli a notte fonda: i fornai, che diedero tempestivamente l'allarme sventando l'imminente pericolo. L'11 settembre 1683 Giovanni III Sobieski, re di Polonia, giunse a Vienna guidando la coalizione cristiana e i turchi vennero rovinosamente sconfitti. Per celebrare l'importante vittoria Giovanni III chiese ai panettieri di ideare un dolce che ricordasse l'avvenimento. Secondo la tradizione sembra sia stato un fornaio di nome Peter Wendler a inventare la specialità a forma di mezzaluna. La ricetta era simile a quella attualmente usata per il cornetto: uova, farina, burro, zucchero, lievito, acqua tiepida. La particolare forma rimandava chiaramente al simbolo della bandiera turca: la nuova golosità venne chiamata kipferl, mezzaluna in tedesco proprio come in francese il termine croissant. Mangiando il kipferl simbolicamente si mangiava il turco.
La specialità si diffuse in Italia e più specificatamente in Veneto subito dopo il 1683, grazie agli intensi rapporti commerciali tra l'allora Serenissima Repubblica di Venezia e Vienna. Bisognerà attendere invece il 1770 perché anche la Francia, con il matrimonio tra l'austriaca Maria Antonietta e il futuro re Luigi XVI, scopra il cornetto. La sua ricetta venne modificata dai pasticceri di Versailles, che lo arricchirono di burro e lo battezzarono croissant.
Nel 1797, con il trattato di Campoformio e successivamente con l'istituzione del Lombardo Veneto, il kipferl o cornetto, insieme ai krapfen e al gulasch, accrebbe ulteriormente la propria popolarità. L'arte di prepararli divenne patrimonio di maestri fornai veneti.
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È PIÙ SACRO VEDERE CHE CREDERE - IL GIORNO DELLA BATTAGLIA
“Questa lunga attesa, le notti prolungate ad arte mordendosi e graffiandosi l’un l’altra, il sonno improvviso, come improvviso è il risveglio, questo sentimento che fa tremare di infinitezza, la fatica per ricordare i sogni, e il piacere esangue e vizioso di interpretarli, lavarsi con cura, lentamente, cercando di impiegare più tempo possibile, scegliere il profumo giusto, metterci ore e ore per vestirsi, nulla, nulla può davvero, con rigore, manifestare la bellezza di cui ho bisogno, che bramo e mi brucia dentro, e mi fa impazzire, e poi di nuovo la notte, e di nuovo l’amore, e così per giorni, e giorni, e giorni, ma infine arriva quello della battaglia”, disse Marte con gli occhi di uno che sogna, “e io affondo la lama nella carne del nemico, ed è lui ad affondarla nella mia”. Venere sorrise, e disse: “sì, questo è lo splendore”.
Nell’immagine “Marte, Venere e Cupido” olio su tela di Tiziano Vecellio, realizzato intorno al 1550, conservatao a Vienna, presso il Kunsthistorisches Museum (Foto © KHM-Museumsverband, licenza CC BY-NC-SA 4.0).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.
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Storia Di Musica #255 - AA.VV., Dylan In Jazz. A Jazz Tribute To Bob Dylan, 2018
Wagram è un sobborgo austriaco, appena fuori Vienna, e fu teatro di una delle più grandiose battaglie napoleoniche: il Generale Bonaparte conseguì una delle sue più grandiose vittorie, in una sanguinosa battaglia contro l’esercito degli austriaci comandati dall'Arciduca Carlo. È anche il nome di una stazione della metropolitana parigina, ed è lì che nacque ai suoi fondatori l’idea di fare una etichetta discografica indipendente, nel 1999. Fautrice di numerosi progetti interessanti, nel 2018 quelli della Wagram hanno pescato nel mare magnum delle cover di canzoni di Bob Dylan (sebbene il calcolo è per forza di cosa approssimativo, si contano accreditate cover su 300 canzoni con autore o co-autore Dylan da parte di oltre 1500 artisti) delle riedizioni particolari dei classici del menestrello di Duluth. Ne è uscita fuori una compilation dal grande gusto e dalle scelte niente affatto scontate, che è il piccolo regalo di Natale di questa rubrica. Il titolo, Dylan In Jazz, spiega solo in parte le scelte e gli artisti, in una selezione che nasconde delle storie niente affatto male. Tutte le registrazioni erano presenti in dischi precedenti, ma insieme mostrano una amalgama sfiziosa e logica. Si parte con la riedizioni blues di Master Of Wars di Eric Bibb, grandissimo nome della chitarra acustica blues, che con la sua voce cavernosa e i tocchi “tristi” alla sei corde racconta dei signori della guerra, classico di Dylan sfortunatamente sempre di attualità. Il secondo brano è la prima perla: Jack DeJohnette, formidabile batterista jazz, con il bassista Larry Grenadier, John Medeski alle tastiere (il quale collaborerà spesso con lo stesso Dylan nella sua carriera) e la chitarra di John Scofield, pioniere del jazz rock con Miles Davis, nel 2017 scrivono un disco a nome Hudson, in omaggio al fiume che attraversa New York, bellissimo e in cui fanno una cover strumentale, e riuscitissima, di Lay Lady Lay, classico da Nashville Skyline (1969). Ben Sidran, tastierista, produttore, ingegnere del suono, dedicò un intero disco a cover di Dylan, Dylan Different del 2009, da cui sono tratte le sue interpretazioni smooth jazz di Knockin’ On Heaven’s Door e Gotta Serve Somebody, una delle gemme meno conosciute di Bob Dylan, dal suo album “gospel” Slow Train Coming del 1979, canzone tra l’altro che vinse il Grammy come migliore canzone rock maschile nel 1980. Abbey Lincoln, cantante e compositrice jazz, attivista dei diritti civili e femminili, moglie di Max Roach, rilegge con passione Mr. Tambourine Man, dall’ arrangiamento con spiccato groove della batteria. Joshua Redman, sensazionale sassofonista della ultima generazione, insieme all’altrettanto grandioso piano di Brad Meldhau, suona una deliziosa The Times They Are A-Changin’, uno dei pezzi più belli della carrellata. C’è una bella parentesi di black music: la versione R&B/soul/funk dei Neville Brothers di The Ballad Of Hollis Brown, due artisti dimenticati come Stanley Turrentine con una versione, piuttosto modificata, di Blowin’ In the Wind, Girl From The North Country del compianto Howard Tate, fenomenale cantante soul la cui carriere non decollò mai del tutto per i suoi problemi di alcool e eroina. Il jazz ritorna nella scelta della storica cover che Keith Jarrett fece di My Back Pages, dal suo album Somewhere Before del1968, il mandolino elettrico di Bill Frisell in una versione strumentale struggente di Just Like A Woman, la ripresa di Ballad Of Thin Man di Jef Lee Johnson con Charlie Patierno e Yohannes Tona. Molto belle le cover cantate di Like A Rolling Stone, dalla cantante jazz danese Cæcilie Norby con un arrangiamento dolcemente caraibico, e una cover sentita di Everything Is Broken, singolo di Oh Mercy! del 1989, un disco che rilanciò nel mondo musicale Dylan, della cantante francese Louisa Bey. Personalmente è bellissima la cover di Don’t Think Twice, It’s Alright (che è una delle canzoni con più cover in assoluto) del duo franco-italiano composto dalla band el pianista Olivier Hutman e dalla voce, meravigliosa, di Alice Ricciardi. L’ultimo verso di uno dei testi più belli e dolorosi del Dylan giovanile (il brano è da The Freewheelin’ Bob Dylan del 1963) dice:
Arrivederci, dolcezza Dove sono diretto non posso dirlo Ma ciao è una parola troppo bella, babe Così dirò solamente addio Non sto dicendo che mi hai trattato male Avresti potuto fare di meglio ma non mi interessa Hai solamente sprecato il mio tempo prezioso Ma non pensarci, va tutto bene.
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Francesco Cappellini
GUERRIERI D’EUROPA
Storie, eroi e battaglie della nostra Civiltà
Dimentica delle proprie origini e colpevolizzata per le proprie conquiste, l’Europa è oggi uno spazio geografico che sembra aver smarrito la propria identità, cedendo alle debolezze del pensiero unico “politicamente corretto”. Eppure – per millenni – l’Europa si è forgiata nel sangue, edificando la più complessa e temuta Civiltà del pianeta.
Francesco Cappellini – in questo testo a metà tra il saggio e il romanzo – ripercorre le tappe di una storia densa, tragica e coinvolgente: dal passo delle Termopili alle falangi di Alessandro Magno; dalla gloria di Roma alle invasioni barbariche; da Poitiers alle crociate in Terra Santa, passando per le imprese dello Stupor Mundi, per la battaglia di Lepanto, per l’assedio di Vienna, per la Vandea controrivoluzionaria e per le tempeste del Novecento.
Un viaggio nell’eroismo dei nostri antenati, dove il coraggio del singolo si accompagna alla bellezza del gesto volontario, partecipando alla comune difesa di un destino immortale. Perché, come scriveva Jean Cau, «nulla è più bello dell’uomo quando avanza».
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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I miserabili
Contesto
Il romanzo viene pubblicato per la prima volta in Belgio, dove Hugo si trova in esilio.
Il libro ha luogo nell’arco dei 17 anni tra il 1815 e il 1832. Giugno del 1815 vede sconfitto Napoleone nella battaglia di Waterloo,
Nel giugno del 1815 era anche appena concluso il Congresso di Vienna, iniziato nell’autunno precedente. La conferenza, a cui parteciparono le principali potenze europee, aveva come obiettivo quello di ripristinare in Europa il governo dei sovrani assoluti dopo gli eventi della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche.
Nel giugno del 1832 ci fu la fallita rivolta anti-monarchica per rovesciare il governo di Luigi Filippo di Orléans. Il suo regno viene chiamato Monarchia di Luglio in quanto lui era salito al trono dopo la Rivoluzione di Luglio, soprannominata anche “Seconda Rivoluzione Francese”, avvenuta tra il 27 e il 29 luglio e che aveva rovesciato il regno dell’ultimo sovrano Borbone di Francia, Carlo X. Il 1832 è anche l’anno in cui, finalmente, la pandemia di colera che era scoppiata in India nel 1815 raggiunse Parigi e tra i mesi di marzo e settembre uccise 18.000 persone.
Il romanticismo nella letteratura
Movimento letterario, artistico, culturale nato in Germania alla fine del 1700 che ha dominato l’Europa fino alla prima metà dell’Ottocento. Alcuni dei suoi temi sono eredità del movimento preromantico dello Sturm und Drang. Il termine “romantico” proviene dall’inglese “romantic” ovvero non reale, fittizio, immaginario. Questa parola nella metà del XVIII secolo indicava quei generi letterari, come i romanzi cavallereschi, che rappresentavano vicende fantastiche all'interno di un'ambientazione storica più o meno accurata. Questo movimento di contrappone all’Illuminismo del secolo precedente, alle sue idee di intelletto, di relazione con il mondo, e di concezione della natura. Rispetto ai philosophes illuministi, che ammettevano e accettavano l’impossibilità di raggiungere l’infinito e Dio a causa dei limiti della Ragione, e si interrogavano invece sul fine della natura, il Romanticismo rinnega una visuale teleologica del mondo. Per gli Illuministi la natura era osservata e catalogata, per i Romantici la natura è profonda e segreta. La ragione per i romantici è guidata dal sentimento. Senza il sentimento la ragione non potrebbe superare i limiti umani. Nel Romanticismo un elemento essenziale è l’INFINITO e l’anelito verso l’ASSOLUTO, la costante ricerca. Questa ricerca si traduce sia in termini spaziali che temporali. Spazialmente, i luoghi esotici e lontani offrono una fuga dalla realtà e temporalmente lo sguardo si rivolge verso epoche diverse passate, come il Medioevo e l’epoca classica antica. In questo sguardo verso il passato la STORIA non è mai intesa come storia del singolo individuo e nemmeno come della singola civiltà ma 1) come sguardo verso il passato e ricerca di un’ARMONIA perduta in tempi antichi e tutti quei valori che ora sono importanti come la fedeltà, la lealtà, il coraggio e 2) come storia universale, storia come manifestazione del progetto/disegno di una Provvidenza. La storia secondo i Romantici non è un susseguirsi di eventi concatenati e di cause e effetti, ma è una "macro manifestazione universale e sovraindividuale di una soggettività astratta”. Importante è anche l’AMORE, in quanto slancio verso l’assoluto che porta alla globalità. Dal punto di vista politico il Romanticismo è duale. Al contempo esistono i Romantici che esaltano la patria e la amano, che sono legati al concetto di popolo e di giustizia e libertà, e sognano un’autonomia nazionale mentre prendono parte ai vari moti rivoluzionari del diciannovesimo secolo e quei Romantici che, invece, vogliono conservare i legami storici con la patria del passato e la tradizione. Il Romanticismo politico stimola una coscienza nazionale che si incastona perfettamente tra le idee di Restaurazione e di Risorgimento.
Personaggi
Jean Valjean protagonista del romanzo, tanto che all’inizio il libro si sarebbe dovuto chiamare “Il miserabile”. In giovane età viene arrestato e incarcerato perché ha rubato del pane da dare alla famiglia di sua sorella. Tenta qualche evasione, la pena arriva a 19 anni. Esce ma è marchiato a vita; torna a delinquere. Conosce Monsieur Bienvenu che gli cambia la vita e si redime. E’ dotato di forza fisica quasi sovrumana, come Quasimodo de Notre Dame de Paris. E’ il centro del romanzo, sicuramente il personaggio più importante attorno a cui gira l’intero libro. Vive più vite lungo tutto il romanzo in modo da riflettere i cambiamenti dell’animo umano tormentato da ciò che gli accade, da ciò che sente di essere, dalle cose che scopre vivendo.
Fantine La incontriamo abbastanza presto nel libro. Si innamora di un ragazzo di un altro ceto sociale, rimane incinta e da lì iniziano i suoi problemi. La sua parabola dura poco ma rimane sempre impressa nel lettore anche perché sua figlia è Euphrasie “Cosette”, altra protagonista del romanzo. È bellissima, ingenua. La sua storia è una delle più struggenti. Perde la sua purezza e la sua morte riflette la sua “discesa” morale (titolo del quinto libro della prima parte).
Cosette Figlia di Fantine. La vediamo letteralmente nascere, crescere, maturare e diventare adulta. Anche lei vive sostanzialmente tre vite: dai Thénardier, con Jean e con Marius. Non ha un carattere definito e per tutto il libro Hugo la descrive invece di farla “vivere”, se non alla fine, dove prende vita davvero. È un personaggio “ideale” e angelicato.
Marius Giovanotto cresciuto dal nonno monarchico. Si ribella, conosce gli amici dell’ABC e vive per conto suo. Diventato “rivoluzionario”, conosce Cosette e se ne innamora. Anche lui è un personaggio abbastanza strano; sembra che Hugo non ce l’abbia bene in mente. Lo descrive molto ed è evidente che ci tiene a farne un personaggio di peso, eppure non gli riesce del tutto. Anche lui prende vita, peso e spessore soprattutto alla fine.
Javert Figlio di delinquenti, è un ispettore della polizia incredibilmente fedele all’idea di giustizia intesa in senso legislativo. È retto, probo, severo. È un personaggio “cinematografico”, di grande spessore e con un filo narrativo interessantissimo. Uno dei personaggi meglio scritti. La sua intera filosofia ed esistenza giusta vengono messe alla prova da Jean Valjean (il culmine di uno scontro lungo praticamente l’intero libro) e questo non lo porta ad una “conversione” ma alla sua fine.
Thénardier padre Ex locandiere caduto in miseria a causa dei debiti. Prima cresce Cosette mandando in rovina Fantine, poi si barcamena sfruttando i figli per le truffe. È un uomo scaltro ma infido, pronto a fregare il prossimo per sopravvivere. È in effetti “il cattivo” del romanzo. Personaggio molto riuscito.
Éponine Primogenita dei Thénardier, uno dei migliori personaggi del libro. È una ragazza vispa, estroversa, carismatica, intraprendente. Hugo la fa parlare e agire moltissimo, è da subito un personaggio molto vivo, credibile, che fa appassionare e empatizzare. Condannata a non poter scappare dalla sua situazione, muore per amore. Ha una gran storia e i pezzi dove c’è lei sono sempre appassionanti.
Gavroche Terzogenito e primo maschio dei Thénardier, è un “monello” che vive per strada. Anche lui è un personaggio vivissimo, sagace, ironico, intraprendente, anche coraggioso e buono (salva due bambini di strada condividendo il suo riparo e del cibo). Parla moltissimo, ha una voce chiara e precisa. Personaggio estremamente intrigante. Anche lui è un personaggio giusto, segue i rivoluzionari perché è la cosa da fare.
Gli amici dell’ABC 8-9 ragazzi che incontriamo a metà libro e che parteciperanno ai moti di Parigi del 1832. I più significativi, secondo me, sono: Enjolras, leader del gruppo e della barricata; è un simbolo dei moti della rivoluzione, è anche lui “angelicato”, ideale, perfetto esemplare di uomo di principio. Courfeyrac, amico di Marius sagace e con la battuta pronta, fin da subito ha un’ottima caratterizzazione. Grantaire, ubriacone senza particolari ambizioni, credenze o ideali, che idolatra Enjolras, ha un buon arco narrativo.
Monsieur Bienvenu Il primo personaggio in assoluto che incontriamo. Scompare presto dalla trama ma rimane fino all’ultima pagina come simbolo portatore di ideali cristiani e guida morale di Jean Valjean.
Spunti
Personaggi-simbolo e personaggi veri Simboli: Fantine, Cosette, Marius, Enjolras Veri: Jean Valjean, Eponine, Javert, Gavroche, Thénardier Hugo ritrae i personaggi in due modi distinti: i personaggi veri e i personaggi simbolo. I personaggi simbolo sono utilizzati da Hugo per rappresentare un ideale.L’esempio più immediato è Enjolras che incarna la giustizia e la rivoluzione: il suo personaggio non fa né è nient’altro che ciò che rappresenta. Un altro esempio riguarda Cosette che per tutto il libro non ha una sua propria voce, non viene mostrata fare qualcosa di specifico, non prende decisioni, insomma non è davvero nel mondo; Cosette rappresenta la donna vergine e angelicata. Altri due personaggi che, secondo me, sono più ideali che personaggi vivi, sono Fantine e Marius. Riguardo Marius addirittura Hugo si dilunga in almeno 3 parti diverse del libro nel descriverlo astrattamente, da fuori, con un diluvio di aggettivi. Ecco un esempio:” Del resto, era un ragazzo ardente e freddo, nobile, generoso, fiero, religioso, esaltato; dignitoso fino alla durezza, puro fino alla selvatichezza”. Una sfilza di aggettivi che dicono e non mostrano. Questi personaggi sono meno veri e umani, ci si può rispecchiare molto poco, anzi non hanno vere caratteristiche umane, proprio perché, essendo “ideali”, sono un connubio precisissimo e irrealistico di caratteristiche generali: “la rivoluzione, “la verginità angelicata”, i due esempi migliori sono proprio questi. Gli altri personaggi, quelli veri, hanno una loro voce, fanno cose, Hugo li mostra; al contrario degli altri, loro sono vividi, possiamo capirli molto di più. Alcuni di questi personaggi veri e vivi sono: Jean Valjean, Eponine, Javert, Gavroche, Thénardier. Spiccano in particolare Eponine e Gavroche che non vengono praticamente mai presentati né descritti, eppure sono vividi, personaggi tridimensionali e realistici. Un esempio riguardo Gavroche. La prima cosa in assoluto che dice è: p 763 “Toh, è la vecchia, -disse il bambino.- Salve, Sguscialumache. Sono venuto a trovare i miei antenati”
Religione classica Idea del raggiungimento del Paradiso solo dopo grandi sofferenze e dopo una vita intera di moralità I miserabili non hanno un biglietto gratis per il paradiso solo perché soffrono.
Tipo di scrittura di Hugo - Fluviale Hugo è stato uno scrittore molto prolisso, fluviale, esagerato: ha portato all’estremo una tendenza del romanticismo dell’800. Ne I miserabili c’è tutto l’Hugo ossessionato dall’esprimersi, anche ripetendosi più volte. Un esempio chiarissimo lo si ha nel primo libro della parte quinta, l’ultima. E’ il famoso pezzo in cui sono le barricate. Queste barricate vengono descritte più volte di fila in una pagina e mezza densa di ripetizioni. Un altro esempio di “fluvialità” sta nelle digressioni: le digressioni in quanto tali sono parte dei grandi romanzi classici, non sono un difetto. Hugo porta all’estremo il concetto della digressione con interi capitoli laterali: uno sulla battaglia di Waterloo, uno sul sistema dei conventi, uno sulle fogne, ad esempio. Sono concettualmente “giusti”, secondo me; però sono molto lunghi, prolissi, ripetitivi. Si perde in moltissimi minuscoli dettagli. Hugo aveva la chiara scelta di dire le stesse cose in metà delle pagine o dire tutto ciò che voleva senza contenersi né rinunciare a qualcosa, ha scelto la seconda. Questo stile è anche, in parte, una non-scelta di Hugo perché lui di suo è uno scrittore portato all’esagerazione, alla prolissità.
Tipo di scrittura di Hugo - Ha dei pattern (il “doppio”, il “si chiama”). Ho notato un modo molto peculiare di articolare alcune frasi, soprattutto quando Hugo non sta raccontando un’azione ma sta riflettendo oppure sta presentando delle situazioni o dei personaggi. Non so come definirlo quindi lo chiamo “il doppio”. Non so bene neanche come descriverlo: è un modo per associare le cose sempre a coppie, presentarne una vuol dire portarne sempre una d’accompagnamento. Alcuni esempi: “Aveva un pungolo? sì, certo, la sua miseria; aveva le ali sì, certo, la sua gioia.” “La cucina degenerò e diventò pessima, il vino, che era sempre stato cattivo, diventò orribile” “la guerra contro la frazione è insurrezione, l’attacco della frazione contro la totalità è sommossa” “c’è una sete sola, la pace, un’ambizione sola, essere piccoli” “Wellington era il Barème della guerra, Napoleone ne era il Michelangelo” “Esiste uno spettacolo più grande del mare, è il cielo; esiste uno spettacolo più grande del cielo, è l’interno dell’anima” “Il progresso è lo scopo; l’ideale è il tipo.”
Tipo di scrittura di Hugo - Si chiama. Hugo pur di usare qualche parola in più ha il vizio, l’ossessione, di usare il “si chiama” invece di dire quel che deve dire. Esempi: “il bambino che si chiamava Marius, sapeva di avere un padre, ma nulla di più” “Abbiamo domato l’idea, e si chiama steamer; abbiamo domato il drago, e si chiama locomotiva; stiamo per domare il grifone, già lo teniamo, e si chiama pallone” “Questa sovranità dell’io sull’io si chiama libertà” “Questa identità di concessione fatta da ciascuno a tutti si chiama Uguaglianza” “Questa protezione di tutti su ciascuno si chiama Fratellanza” “Nell'uscire da quella cosa deforme e nera chiamata galera…” Fa parte dello stile di Hugo, non credo si possa definire errore vero e proprio, è solo un modo banale e impreciso per allungare il brodo. Se nei primi capitoli non si notava neanche, alla lunga mi ha stancato.
Tipo di scrittura di Hugo - Hugo ha uno stile di scrittura che riflette, in parte, il suo tempo e il suo carattere. In alcune parti di romanzo, la sua scrittura diventa molto paternalista e forse anche didascalica e retorica. L’esempio perfetto è la domanda retorica, vuota per definizione, eppure usatissima da Hugo. “Ma di che parlavano allora, quegli amanti?” “Dove siamo in questo momento? Nel gergo. Che cos’è il gergo?” “Che cosa accadeva in quella mente tanto giovane e già tanto impenetrabile? Che cosa vi stava compiendo? Che cosa succedeva all’anima di Cosette?” “Il monello è una grazia per la nazione, e nello stesso tempo è una malattia; malattia che deve guarire; come? con la luce.” “Il progresso è lo scopo; l’ideale è il tipo. Che cos’è l’ideale? è dio.” “Che era mai? Era un luogo abitato dove non c’era nessuno.” “Era possibile che Napoleone vincesse quella battaglia? Rispondiamo di no. Perché? […] A causa di Dio.” ““Che cos’è questa storia di Fantine? È la società che compra una schiava.” E’ uno stile che ho trovato, con l’andare della lettura, sempre più pesante e posticcio. Rallenta la lettura, la rende arzigogolata e inutilmente autoriferita.
Tipo di scrittura di Hugo - Cambia stile e portata a seconda dei momenti fino a diventare frenetica e potentissima. Come i grandi autori, Hugo ha un’ottima padronanza del ritmo. Ci sono alcuni momenti in cui questa gestione è magistrale. Ad esempio, nella prima parte, c’è una scena di profonda introspezione da parte di Valjean che deve decidersi a consegnarsi alle autorità; la scrittura è lenta, filosofica, psicologica, immaginifica. Poco dopo parte l’azione, la corsa disperata di Valjean e il suo ritorno e il devastante momento di Fantine; la scrittura si fa più secca, precisa, legata agli eventi, frenetica.
Tipo di scrittura di Hugo - Cinematografica. Hugo ha uno stile tale per cui alcune scene sembrano perfette per il cinema, per un adrenalinico film d’azione tipo 007. Javert è, in questo senso, il personaggio più cinematrografico. Ha battute ed entrate in scena ad effetto. “Volete il mio cappello? - gridò una voce dalla soglia della porta. Si voltarono tutti. Era Javert. Teneva il cappello in mano e lo porgeva sorridendo”
Tipo di scrittura di Hugo - Digressioni Niente di nuovo: Hugo fa tante digressioni lungo tutto il libro. Alcune digressioni sono utili per presentare nuovi personaggi, come quella adatta a farci conoscere Fantine. Altre sono storiche, come quella che racconta la battaglia di Waterloo. Altre specifiche per il tempo e il luogo in cui è stato scritto il libro, come una piccola digressione sui “personaggi famosi” della Parigi dell’800. Poi ci sono digressioni più estreme, come quella in cui spiega nel dettaglio il sistema fognario di Parigi.
Finale Come per Notre Dame de Paris, il finale è costruito fin dai capitoli precedenti con molta cura. Hugo si prende oltre 100 pagine e moltissimi capitoli per costruire un finale emozionante in cui riesce a fare il punto e a concludere le storie dei personaggi principali alla perfezione.
Voce di Hugo Ci sono libri in cui l’autore è onnisciente ma invisibile, non lo si percepisce mai, né platealmente (non si tira mai in causa direttamente) né implicitamente. Invece ne I miserabili la voce dell’autore è molto forte, soprattutto quando Hugo si prende del tempo per analizzare dei concetti - ad esempio nelle digressioni. A un certo punto Hugo addirittura sente l’esigenza di spiegare cos’è I miserabili e cosa il lettore dovrebbe vederci dentro: “Il libro che il lettore ha sotto gli occhi in questo momento è, da un capo all’altro, nell’insieme e nei particolari, quali che siano le intermittenze, le eccezioni e le mancanze, il cammino dal male al bene, dall’ingiusto al giusto, dal falso al vero, dal buio alla luce, dall’appetito alla coscienza, dalla putredine alla vita, dalla bestialità al dovere, dall’inferno al cielo, dal nulla a Dio. Punto di partenza: la materia, punto d’arrivo: l’anima. Idra da principio, angelo della fine”. E’ una posizione molto forte e discutibile: d’altronde si potrebbe dire che l’autore non è responsabile di ciò che il lettore ne fa del romanzo. Eppure Hugo, esagerato com’è, vuol mettere mano anche su questo. Parte della voce di Hugo è anche sgradevole e maschilista, in parte perché Hugo è “figlio del suo tempo”, in parte, probabilmente, per la sua persona. Un esempio che mi ha lasciato interdetto: “Abbiamo accennato una volta per tutte al balbettio della Toussaint. Ci si consenta di non accentuarlo più. La notazione musicale di un’infermità ci ripugna”
Amici dell’ABC All’inizio presentati con mere descrizioni che rimangono sospese e poco chiare. Prendono vita nella barricata. Avrebbe potuto usarli molto di più, comunque ottimo impatto di Enjolras, Courfeyrac e Grantaire. Gli amici dell’ABC sono 8-9 ragazzi che parteciperanno alle barricate. Li conosciamo di sfuggita contemporaneamente alla storia di Marius. Hugo fa una scelta precisa che io reputo discutibile: li descrive. Tutti. Di fila. Circa 5-6 pagine di mere descrizioni. Se per un Enjolras potrebbe bastare, dato che è un personaggio simbolo (vedasi sopra), per tutti gli altri è semplicemente un muro di testo che non lascia nulla. Non li conosciamo davvero. Iniziamo a conoscerli quando prendono parola. Courtfeyrac è amico di Marius e ha qualche battuta: poche frasi bastano per caratterizzarlo molto di più di mezza pagina di descrizione. Prendono tutti vita parecchie pagine dopo con l’evento della barricata. E’ un’occasione sprecata, secondo me, perché sarebbero stati interessantissimi.
Lunghezza libro Sarebbe potuto durare 1000 pagine in più, c’era ancora sugo, potenzialmente. Non è un peso, anzi, ci permette letteralmente di accompagnare alcuni personaggi dalla nascita. Credo sia tipica dei romanzi d’appendice: hanno tanta trama, tanti personaggi, tanti ambienti. Potenzialmente non hanno una fine specifica. La storia sarebbe potuta continuare con Marius e Cosette che diventano adulti, magari fanno un figlio. Thénardier fa cose. Azelma, la figlia di Thénardier e sorella di Eponine, ha tutto lo spazio del mondo.
Questione carceraria "Scarcerazione non è liberazione. (Si esce dalla galera, ma non dalla condanna)." “la galera è “la più schifosa delle vergogne” “Jean Valjean era entrato in galera singhiozzante e fremente; ne uscì impassibile. Vi era entrato disperato, ne uscì cupo. Che era accaduto in quell'anima?” “Nell'uscire da quella cosa deforme e nera chiamata galera, il vescovo gli aveva fatto male all'anima come una luce troppo viva gli avrebbe fatto male agli occhi nell'uscire dalle tenebre.” “La galera fa il galeotto” Il tema della giustizia delle carceri, delle pena e della riabilitazione è molto cara a Hugo scrittore e poi a Hugo politico. Dentro i Miserabili c’è la storia di Jean Valjean, IL miserabile, che dopo 19 anni di galera esce trasfigurato, corrotto e deviato dalla pena. Poi poi c’è anche una scena a cui assistono Valjean e Cosette adolesce del trasporto dei carcerati: sono animali senza dignità.
Cosette Personaggio con potenzialità enormi “grazie” all’infanzia difficile, alla rinascita con Jean Valjean e al possibile triangolo (che non si realizza) con Marius ed Eponine. Eppure rimane sempre senza voce, impalpabile. Prende voce, ed è una piacevolissima sorpresa, solo alla fine, con un carattere spontaneo, fresco.
Marius Hugo lo descrive con enorme sforzo molte volte, come se temesse non sia chiaro. Infatti rimane non chiaro fino alla fine. E’ interessante il cambiamento adolescenziale da monarchico a napoleonico fino a diluirsi con la maggiore età, ma il resto del carattere è più descritto che mostrato e infatti rimane fosco. Si riprende grazie allo splendido finale. “Era realista, fanatico e austero” “Non era più Marius il sognatore entusiasta, l’uomo deciso, ardente e risoluto, l’audace provocatore del destino, il cervello che costruiva avvenire su avvenire, la giovane mente…” A pagina 654 ho fatto questa nota: Quante descrizioni di Marius! Sono capitoli che ci torna su. Ha paura di non ritrarlo bene?
Javert Uno dei personaggi migliori. Cinematografico (ha tante frasi ad effetto), devoto alla giustizia legislativa, carismatico, alla caccia di Jean Valjean per tutto il romanzo. Sembra monodimensionale e invece non lo diventa mai, tanto da mostrarsi in tutta la sua complessità nella parte finale.
Note su Hugo dal saggio Hugo era un borghese conservatore non particolarmente originale, cosa sorprendente se si pensa all’enorme impegno nel raccontare “I miserabili”; questa nota non pregiudica nulla della lettura o del romanzo in sé, ovviamente. La vita degli autori di per sé non dice nulla sulle opere (inteso come causa effetto oppure come “grande uomo-grande opera”), né c’è bisogno di vicinanza col soggetto: Tolkien non era un elfo e Capote non un assassino.
Ananke e il buio che lo accompagnerà per tutta la vita (e che gli dà tridimensionalità); come ci si aspetta, i grandi autori sono persone “rotte”. Hugo aveva una parte di sé oscura, tenebrosa che è ritornata lungo tutto la vita e ha sempre fatto da contrappeso ai suoi ideali.
Hugo era ossessivo, esuberante, strabordante. L’uso esagerato delle parole è servito anche per supporto emotivo contro l’ignoto: finché scrivo posso non ascoltare l’ignoto.
Aveva un’immaginazione visiva, vedeva i sentimenti, le emozioni, i dettagli, tutto è visivo. L’ho notato soprattutto nella difficile riflessione di Jean Valjean riguardo il consegnarsi alle autorità. In realtà tutto il libro ha bellissimi riferimenti visivi, immagini, appunto quasi cinematografiche, potenti, vaste.
Era una persona estremamente contraddittoria e ipocrita, come ci si aspetta giustamente da qualcuno di largo e grande (tutti siamo contraddittori ma i grandi artisti di più).
Un esempio della non originalità o profondità di pensiero di Hugo: p 487 “Sappiamo che esistono atei illustri e possenti. In fondo costoro, ricondotti al vero della loro stessa potenza, non sono tanto certi d’essere atei, con loro in fondo è soltanto questione di definizione e comunque, se non credono in Dio, essendo grandi spiriti dimostrano Dio”
Sono cambiato nella lettura 1300 e rotte pagine sono tante da cambiare addirittura il mio stesso approccio al romanzo. Alcune cose del romanzo, dei personaggi, della scrittura e della trama, sono passate sotto traccia per le prime centinaia di pagine. Dalle 8-900esima pagina, invece, ho iniziato a non sopportarle più. Un po’ ne ho già parlato, riassumo brevemente. La scrittura ripetitiva di Hugo; l’uso del “doppio”; le domande retoriche; le digressioni fluviali; la caratterizzazione vaga di alcuni personaggi; la voce troppo presente. Sono tutti aspetti che hanno reso la lettura, nella seconda parte, pesante. È palese che sia la descrizione plastica del rapporto libro-lettore, del fatto che un libro non è un oggetto inanimato ma vive del nostro riflesso.
E noi cambiamo con lui.
Pezzi
“Non è forse tutto? e che si può desiderare di più? Un giardinetto per passeggiare e l’immensità per fantasticare. Ai piedi quello che si può coltivare e cogliere; sulla testa quello che si può studiare e meditare; alcuni fiori sulla terra e tutte le stelle nel cielo” P.57
“Nel mondo morale non c’è più grande spettacolo di questo: una coscienza torbida e inquieta, giunta sul limitare d’una cattiva azione, che contempla il sonno di un giusto.” p. 100
p 129. “Dahlia, vedi, sono triste. E’ tutta l’estate che piove. Il vento mi fa venire il nervoso, il vento non si calma, Blachevelle è un gran tirchio, è grazia se riesci a trovare i pisellini al mercato, non si sa che cosa mangiare, ho lo spleen, come dicono gli inglese, il burro è tanto caro! e poi, vedi, è un vero orrore, stiamo mangiando in una stanza dove c’è un letto, e questo mi fa venire il disgusto della vita”.
p 145 “Una persona seduta invece di essere in piedi: i destini dipendono da questo”.
p 148 “Esistono anime gamberi che indietreggiano continuamente verso le tenebre, che retrocedono nella vita, invece di avanzare, usando l’esperienza per aumentare la loro deformità, peggiorando di continuo e impregnandosi sempre più d’una crescente nefandezza.”
p 151 “L’ingiustizia l’aveva fatta astiosa e la miseria l’aveva resa brutta. Le restavano soltanto i suoi begli occhi che facevano pena perché, grandi com’erano, sembrava di vederci una maggiore quantità di tristezza”.
p 179. “Un’anima per un tozzo di pane. La miseria offre, la società accetta”.
“Che cosa oscura l’infinito che ogni uomo porta dentro di sé e col quale misura disperatamente le volontà del suo cervello e le azioni della sua vita!”
p 235 “Tutte le cose della vita sono continuamente in fuga davanti a noi. Gli ottenebramenti e le luci ci frammischiano; dopo un abbagliamento, un’eclisse; si guarda, ci si affretta, si tendono le mani per afferrare ciò che passa; ogni evento è una svolta della strada; e d’un tratto si è vecchi.”
P 283 circa “Il parroco credette di far bene, e forse fece bene, riservando ai poveri più denaro che fosse possibile, di quanto aveva lasciato Jean Valjean. In fondo di chi si trattava? di un galeotto e una prostituta. Per questo egli semplificò la sepoltura di Fantine, e la ridusse a quello stretto necessario chiamato fossa comune. Fantine fu quindi sepolta in quella parte gratuita del cimitero che appartiene a tutti e a nessuno, e dove di sperdono i poveri. Per fortuna Dio sa dove ritrovare l’anima. Fantine fu stesa nelle tenebre, fra ossa sconosciute; ella subì la promiscuità delle ceneri. Fu gettata nella foss
pag 378 “la paura […] le faceva occupare meno posto che fosse possibile, lasciandole appena il respiro necessario”
p 449 “I grossi spropositi sono fatti spesso, come le corde grosse, di una moltitudine di fili. Prendete il cavo, filo per filo, prendete separatamente tutti i piccoli motivi determinanti, rompeteli uno dopo l’altro e dire: è tutto qui? Intrecciateli e torceteli insieme ed è un’enormità”
pag 577 “non potendo avere suo figlio, si era messo ad amare i fiori”
p 612 “Errare è umano, andare a spasso è parigino”
p 646 “ da quella specie di concentrazione risulta una passività che, se fosse ragionata, somiglierebbe alla filosofia. Si declina, si scende, si defluisce, si crolla perfino, senza quasi accorgersene. Tutto questo finisce sempre, è vero, in un risveglio tardivo. Nel frattempo pare di essere neutrali nella partita in gioco tra la nostra felicità e la nostra sventura. Noi siamo la posta, e assistiamo alla partita con indifferenza.”
p 881 “-questa poi,- esclamò Gavroche,- che roba è questa? Ripiove! Santo Iddio, se va avanti così, disdico l’abbonamento!”
p 918 “Siete voi uno di quelli che son detti felici? Ebbene, ogni giorno siete triste. Ogni giorno ha il suo gran dolore o il suo piccolo affanno. Ieri, tremavate per una salute che vi è cara, oggi temete per la vostra; domani sar�� una preoccupazione di denaro, dopodomani la diatriba di un calunniatore, dopodomani ancora la disgrazia di un amico; poi che tempo fa, poi qualcosa di rotto o perduto, poi un piacere per la coscienza e la spina dorsale vi rimproverano; un’altra volta, l’andamento degli affari pubblici. Senza contare le pene d’amore. E così di seguito”
p 941 “Ma di che parlavano allora, quegli amanti? L’abbiamo visto, dei fiori, delle rondini, del tramonto, dello spuntar della luna, di tutte le cose importanti.”
p 1015 Grantaire “”Puah! ho mandato giù un’ostrica cattiva. Ecco che mi torna l’ipocondria. Le ostriche sono guaste, le serve brutte. Odio la specie umana” “c’è una sola realtà: bere” “Questa povertà di mezzi mi stupisce da parte del buon DIo. Ogni momento si deve rimettere a ingrassare la scanalatura degli avvenimenti. Si incaglia, non va. Presto, una rivoluzione” “tra gli uomini ci vogliono i geni, e tra gli eventi le rivoluzioni” “Sì, è tutto mal combinato, nulla si adatta a nulla, questo vecchio mondo è tutto sbilenco, io mi metto all’opposizione. Va tutto di traverso; l’universo da stizzire. è come coi figlioli, quelli che li vogliono non li hanno, quelli che non li vogliono li hanno. Conclusione: mi indispettisco.”
p 1133 “I bimbi poveri non entrano nei giardini pubblici; eppure bisognerebbe pensare che, come bambini, hanno diritto ai fiori.”
p 1222 “Sono troppo vecchio, ho cent’anni, ho centomila anni, da tanto tempo ho il diritto di essere morto. […] Su, è morto, proprio morto. Io me ne intendo, che sono morto anch’io”
p 1229 “Ma come fare per dare le dimissioni a Dio?”
p 1293 “Non sono di nessuna famiglia, io. Non sono della vostra. Non sono di quella degli uomini. […] Io sono il disgraziato; io sono fuori.”
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Maria Callas, voce senza tempo
Una voce che è diventata leggenda…. Maria Callas, nata Maria Anna Cecilia Sofia Kalogeropoulos, nacque il 2 dicembre 1923 a New York, da Georges Kalogheropoulos e Evangelia Dimitriadis, di origine greca. Fin da piccola Maria era in competizione con la sorella maggiore, Jakinthy detta Jackie, che godeva di ogni privilegio, tra i quali quello di prendere lezioni di canto e pianoforte. Maria però in poco tempo riuscì ad imparare quello che la sorella apprendeva con tanta difficoltà e a soli undici anni partecipò alla trasmissione radiofonica L'ora del dilettante, cantando La Paloma e vincendo il secondo premio. In seguito Maria coltivò la passione per il bel canto anche quando la madre, dopo il divorzio, decise di ritornare in Grecia, portandola con sé. Nel 1937 entrò al Conservatorio di Atene e, contemporaneamente, si perfezionò nel greco e nel francese, mentre viveva gli anni dell'occupazione a cui seguì, dopo la guerra, una esistenza finalmente tranquilla e agiata. I primi successi furono proprio in Grecia con Cavalleria Rusticana nel ruolo di Santuzza e poi Tosca, suo cavallo di battaglia. La Callas decise poi di tornare a New York per rivedere il padre, ma per lei furono due anni non particolarmente felici che la spinsero, ancora una volta, a fuggire il 27 giugno 1947 verso l'Italia, con Luisa Bagarotzy, moglie di un impresario americano, e il cantante Nicola Rossi-Lemeni. A Verona Maria conobbe, Giovanni Battista Meneghini, amante delle opere d'arte e della buona tavola, che sposò il 21 aprile 1949. L'Italia portò fortuna alla giovane soprano e Verona, Milano, Venezia ebbero il privilegio di sentire le sue Gioconda, Tristano e Isotta, Norma, I Puritani, Aida, I Vespri siciliani, Il Trovatore e così via. Maria strinse amicizie importanti con Antonio Ghiringhelli, sovrintendente della Scala, Wally e Arturo Toscanini, che rimase stupito e meravigliato dalla voce del grande soprano tanto che avrebbe voluto dirigerla nel Macbeth. Nuovi amori, nuove passioni arrivarono nella vita della Callas come Luchino Visconti, che la diresse a Milano, nel 1954, nella Vestale di Spontini, Pasolini, Zeffirelli e Giuseppe di Stefano. La Callas visse trionfi in tutto il mondo tra Londra, Vienna, Berlino, Amburgo, Stoccarda, Parigi, New York (Metropolitan), Chicago, Philadelphia, Dallas, Kansas City. Nel 1959 la soprano lasciò il marito e, grazie all'amica Elsa Maxwell, miliardaria americana, conobbe l'armatore greco Aristotele Onassis, con cui visse un’intensa ma drammatica storia d’amore. Dopo il 1964 iniziò il declino della cantante, quando Onassis l'abbandonò per Jacqueline Kennedy. La voce della Callas cominciò a perdere smalto e intensità, così si ritirò dal mondo in un appartamento a Parigi. Maria morì il 16 settembre 1977 a soli 53 anni, con accanto a lei un maggiordomo e Maria, la fedele governante. I vestiti della Callas andarono all'asta a Parigi e le ceneri vennero disperse nell'Egeo, ma esiste una lapide in suo ricordo presso il cimitero parigino di Pere Lachaise, dove sono sepolti molti altri importanti nomi della politica, della scienza, dello spettacolo, del cinema e della musica. Read the full article
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COSA FARE DI #GAZA?
Oggi ho detto un po' provocatoriamente ad un mio coetaneo, che annienterei Gaza con la bomba atomica: ovviamente non lo farei mai, anche se nella storia è sempre stato un po' così.
È stato così a #Poitiers, il 25 ottobre 732 (a proposito, attenzione al 25 ottobre, anniversario della battaglia di Poitiers, visto che gli islamici scelgono sempre date simboliche per i loro attacchi!), dove ci fu un massacro di soldati islamici talmente gigantesco, che spaventò perfino gli storici cristiani dell' epoca.
Fu così a #Vienna, dove - l' 11 settembre 1683 (11 settembre!) - 45 Mila soldati islamici persero la vita sul campo di battaglia.
Fu così a #Lepanto il 7 ottobre 1571 (7 ottobre!), quando la flotta navale islamica fu distrutta ed affondata.
Nella storia è sempre stato così: gli islamici provocavano, provocavano...... fin che l' Occidente perdeva la pazienza e compiva una strage che lasciava i musulmani storditi e sbigottiti per secoli.
Tuttavia, a differenza di quanto sopra, a Gaza ci sono anche anziani, bambini, donne e malati.
C'è un' altro discorso che poi va fatto. L' Occidente non può venire ridotto, come spesso si è cercato di fare, all'eredità giudaica, che è una delle 2 componenti la civiltà occidentale: l'altra componente è quella razionale greca, con la sua centralità della ragione, del #Logos.
Logos significa pensiero, misura, parola, proporzione, scansione, enumerazione, discorso, catalogo, elenco etc. ed è legato al verbo greco legein, che significa appunto scansionare, enumerare, selezionare, distinguere, passare in rassegna.
Per questo (e lo scrissi anche a proposito dell' uccisione senza processo di Osama #BinLaden) lo sterminio di massa è permesso, in teoria, all'ebreo (e ci sono molti esempi nell' Antico Testamento), ma non al laico occidentale ed al cristiano.
Per il Cristiano il Logos è Lui Stesso Dio Onnipotente (e su questo punto le strade di #ebraismo e #cristianesimo si separano).
Diceva, appunto, Mons. Renato De Zan, che il PROLOGO al Vangelo di San Giovanni ( PRO-LOGO= in difesa del Logos) è uno degli scritti più anti-ebraici dell' umanità.
No. All' Occidentale e, ancora di più al cristiano, lo sterminio indiscriminato vetero-testamentario non è permesso ed anche se in una cassa ci fossero più mele marce che mele buone, sia il laico occidentale sia soprattutto il cristiano non può sottrarsi, a differenza dell'ebreo, alla fatica della scansione, dell' enumerazione, della selezione e del passare in rassegna distinguendo (#λέγειν).
Battiato cantava che a #Sion il Sole tramonta 2 minuti più tardi che a Rion (quartiere ateniese), cioè che l'ebreo ha più luce del razionalista greco. Per il cristiano la fede feconda la ragione, ma non la nega. Anche Platone percepiva la sterilità del puro Logos e cercava un mythos che lo fecondasse.
Le <Schegge Impazzite> come ho scritto in polemica con Serena Biasin sono quei cristiani che, messa da parte la ragione, si basano solo sulla Rivelazione. Ma questo non è cristianesimo, bensì una sua maldestra perversione, nata nel mondo protestante statunitense, in ambienti cristiani molto intrecciati con ambienti ebraici (la cosiddetta Destra religiosa trumpiana).
L' ebraico #דבר non è coincidente con il #λόγος greco e, soprattutto, Cristiano.
#Islam #Israel #Israele
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Il 12 settembre ricorre la festa del Santissimo Nome di Maria, istituita da papa Innocenzo XI nel 1683, come ringraziamento per la vittoria contro l’Impero ottomano nella battaglia di Vienna. Nella foto la chiesa del Santissimo Nome di Maria, al Foro Traiano.
Pope Innocent XI instituted the feast of the Holy Name of Mary on the 12th September 1683 to thank Our Lady for the victory of the battle of Vienna against the Ottoman Empire. The church of the Santissimo Nome di Maria, at the Trajan Forum, in the pic.
📸 by davidinobu via IG
#VisitRome
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Il viaggio della Poraccitudine
Viaggio della Speranza a Salisburgo e Vienna: tra arte, cultura, treni, birra alla limonata, cotolette e COVID.
grazie Leopold Mielich per il dipinto d'apertura Era una normale giornata di settembre quando @veronica-nardi nel consueto audio giornaliero di commento drama butta giù la frase :-" oh, ma lo sai che sarebbe bello andare a fare Capodanno all'estero?"
Ovviamente io le sono subito andata dietro, lasciandomi affascinare da questa possibilità: il COVID da tempo mi ha costretta ad accettare ancora di più il mio essere asociale ed una vacanzella fuori, a prendere un pò d'aria fresca di certo non sarebbe stato male.
Anzi.
Dall'idea al metterla in pratica...il passo è stato breve. Dopo aver scartato mete come la Russia - madò quel volo a 114 euro ancora me lo sogno la notte - e la Transiberiana o l'Orient Express per via del nostro essere povere come la merda, ci convinciamo che l'Austria potrebbe essere una buona meta. Io è da una vita che sogno di andarci...e anche la Vero è curiosissima di esplorare queste lande.
Nel giro di pochissimo, Veronica organizza il viaggio: mezzi di trasporto e posto dove dormire. E vorrei dire che lo abbiamo organizzato assieme ma mentirei perché ha fatto tutto lei. Nel caso che vi servisse un'organizzatrice di viaggi...contattatela. Vero fatti pagare però! Alla fine, cercando di calibrare i nostri portafogli con le cose che volevamo fare e vedere, viene fuori un bel programmino:
Saremmo partite il 28 dicembre da Bologna verso Salisburgo fino al 1 di Gennaio. Il primo giorno dell'anno saremmo poi "traslate" verso Vienna fino al 4 gennaio ( per me ) e 5 gennaio per lei, giorni di ritorno a casa. Insomma una settimana più o meno.
E mentre mia madre di sottofondo continuava a dirmi " ma mica c'è così tanto da vedere in quei posti!! " io impassibile cominciavo a pensare a cosa portarmi in viaggio, lasciandomi inebriare da questa vacanza assieme alla Vero.
Ma nubi temporalesche si avvicinano all'orizzonte. Nubi rappresentate dal COVID precisamente. Perché mentre noi - la Vero in realtà - organizzava il viaggio tra settembre/ottobre e novembre - il virus decideva che dicembre poteva essere un bel mese per tornare in auge e far aumentare in modo allarmante i casi in tutto il mondo. Così l'Austria a metà dicembre ci fa sapere che per entrare nelle sue sacre terre, vuole il Tampone Molecolare In Lingua Inglese/Tedesco. Inoltre, ci comunica che tutti i bar e caffè chiuderanno alle 18 ed i ristoranti alle 22. Un mini Lockdown in pratica.
Bene. Ma non benissimo.
Se si conta poi che anche l'Italia vuole il tampone per rientrare - ma si accontenta di un più umile tampone antigenico - e la compilazione online PLF...la voglia di mandare tutti a cagare e rinchiudersi sotto le coperte a piangere è forte.
Ma noi non ci lasciamo abbattere e iniziamo quella che sarebbe poi diventata una battaglia contro i tamponi: poiché noi saremmo entrati in Austria la notte del 28, c'è necessità che il tampone venga fatto entro le 72 ore. Ma il 25 e 26 dicembre è festa. Così ci premuniamo di farlo il 27 dicembre, facendoci assicurare che entro la mezzanotte del 28 avremmo avuto sia il tampone sia il referto in lingua inglese. Facciamo le carte, il PLF, stampiamo lo stampabile, ci prepariamo come se dovessimo entrare in guerra contro l'Ufficio Burocratico Austriaco e...incrociamo le dita.
A me va male. Anzi malissimo. A tre giorni dalla partenza mi viene la febbriciattola a 37 e 4, mal di gola e spossatezza. Terrorizzata faccio il tampone e dopo essermi assicurata che non sia COVID, il 27 vado a farmi sto benedetto tampone molecolare. Pagato la bellezza di 75 cocuzze. E lì, l'amara sorpresa: Il centro mi dice che non sono sicuri di riuscire a mandare tutto in tempo per la mia partenza. Troppa gente, troppi tamponi...E UN SOLO CENTRO PER ANALIZZARLI TUTTI.
Partono le bestemmie, le imprecazioni ed i pianti. In preda alla disperazione, chiamo mia madre, nota scassaballe della zona... la donna è capace di fare sceneggiate come al teatro e far piangere vecchi, donne e bambini. Lei arriva e dopo minaccioni, urla ed intimidazioni, il tizio del centro ci dice che farà il possibile...ed avviene. Miracolosamente a mezzanotte e 16 arriva il responso negativo e la mattina del 28 alle sette di mattina, arriva anche in inglese. #graziemamma
Un pò di ansia sopraggiunge dalle sponde della Vero, visto che il suo responso tarda ad arrivare, ma quando anche a lei hanno risposto e si è avuto l'ok...tutto si è rasserenato. Si parte!
Arriva il giorno della partenza: 28 dicembre
Io, con la valigia grossa come un bue - nonostante avessi negato a mia madre la possibilità di metterci dentro pasta e sughi perché va bene essere poveri... ma così disperati no - mi avvio al treno che mi avrebbe portato a Bologna. Il mio posto viene però fottuto dalla dispensa alimentare di una famiglia straniera seduta un pò più in là, che ti fronte alle mie proteste, mi risponde nella loro lingua e onde evitare bestemmioni già prima di partire, mi metto in un altro posto e pace.
L'arrivo a Bologna coincide con l'incontro con la Vero e dopo baci e abbracci vari - nonché una grande felicità di fare questo viaggio assieme - andiamo a mangiare una piadina mentre aspettiamo il treno.
Il suddetto treno deve partire da Bologna alle 23 e 44 de notte e noi ci troviamo già alla stazione un'ora prima.
Bologna però sembra non avere dei sedili dove metterti ad aspettare e l'aver chiuso la sala d'attesa costringe la gente che aspetta il treno, a dover giocare alle belle statuine per ore. Io e la Vero però non ci stiamo e subito ci abbarboniamo per terra. Poco lontano un barbone dorme sdraiato.
Poco dopo arrivano una dozzina di poliziotti che fanno alzare l'uomo e rimango affascinata e un pò turbata nel vedere il conflitto etico/morale dei poliziotti che adesso litigano tra di loro. Infatti, se era giusto far alzare i barbone perché alla stazione di Bologna non ci si può dormire, sarebbe giusto far alzare anche noi...indicandoci con la sguardo.
Sentendoci " leggermente" sotto pressione ed un pò in colpa, decidiamo di andarcene subito, in concomitanza con l'uscita del numero del binario da cui parte il nostro treno.
E mentre siamo nei binari ad aspettare un treno che ha già 30 minuti di ritardo senza che sia manco arrivato, ci perdiamo in raffinate discussioni logistiche sulla struttura architettonica della Stazione di Bologna...che sembra non avere i binari 2 e 5. Prontamente rispondo che non è che non ci sono. E' che sono nascosti perché da lì parte il treno per Hogwarts.
( rega'...era mezzanotte e passa. Perdonatemi XD)
I nostri discorsi vengono però interrotti dal nostro vicino di attesa che capendo come le suddette ragazze siano due squilibrate, caritatevolmente si offre di condividere la sua conoscenza di Salisburgo con noi. Probabilmente per non sentire altre cazzate Parte così un vero e proprio giro mentale per la città con Enrico, questo il suo nome, che indica luoghi, ristoranti, bar, musei, locali ecc ecc da andare assolutamente a vedere. Lui ci dice che abita lì e che quindi è la persona ideale per darci un idea di cosa ci troveremo davanti. E' stato interessante notare come la nostra guida occasionale fosse cosi preparata sulle locande e location dove rifocillarsi...ma non sapesse NULLA del mini coprifuoco. Da uno che ci abita poi...ma in realtà il suo aiuto è stato utilissimo e non finirò mai di ringraziarlo. Grazie Enrico!
Finalmente sto benedetto treno arriva e ringraziando tutti i santi, abbiamo uno scompartimento solo per noi. Ci prepariamo quindi a 6 ore circa di viaggio notturno, rifinendo il programma di viaggio e dal conto mio...preparandomi a dormire. A differenza della Vero infatti, io sono pigra come la merda e la nottata sveglia difficilmente potrei affrontarla.
Ma devo aver contagiato anche lei, perché aprendo un occhio durante la notte la vedo dormire sdraiata sui sedili. Buono così.
Bussano.
In piena notte.
Treno fermo.
Voci.
La porta dello scompartimento si apre, due uomini si affacciano e dicono qualcosa che non riesco a comprendere - con me che elegantemente chiedo alla Vero :-" ...che vogliono questi?! - e poi...se ne vanno.
Guardando fuori capisco che siamo al confine e che quelli sono dei controlli: Bene, è il momento di tirare fuori quel benedetto Tampone Molecolare da 75 euro che mi ha fatto imprecare in ucraino i giorni prima della partenza.
Ma non torna nessuno. E rimango lì, con sto cazzo di foglio che hanno voluto loro tra l'altro e che alla fine della fiera è risultato inutile. Trattengo le bestemmie grazie al sonno e mi ributto a letto/sedile. Sti cazzi!
Ridormo.
Ma di nuovo bussano alla porta. Chi è che rompe il cazzo ancora?!
Il controllore. Vuole vedere il biglietto giustamente.
Alle 4 di mattina.
Ancora mezza sdraiata guardo la Vero dargli il biglietto e sono pronta a riaddormentarmi di nuovo... ma c'è qualcosa che non va. Il controllare comincia a parlare prima in tedesco poi capendo che è inutile, sceglie l'inglese e ci fa capire che il biglietto non va bene.
E mentre lui si impegna nel farci comprendere il problema, io ancora mezza addormentata mi trovo a fissarlo incuriosita e realizzo:- " Madò...sembra Haaland. Il calciatore. E' lui? lavora nelle ferrovie austriache? " mi domando stupita. Ma il mio geniale cervello deve aver capito di aver pensato una cagata perché modifica il pensiero in:-"ha un fratello che lavora nelle ferrovie austriache?
Tornando sobri per un secondo, mi convinco a lasciar perdere la somiglianza del controllore con Haaland e cerco di capire cosa ci sta dicendo. In pratica il nostro biglietto non va bene perché non ha il codice QR.
Se per la ferrovie italiane infatti, basta avere il codice di prenotazione e fine, per quelle austriche - e del mondo in generale dice il controllore/Haaland - il codice deve essere messo nella macchinetta dei biglietti perché stampi un altro biglietto con il codice QR. Avendo noi preso il biglietto con le ferrovie italiane noi sto QR non ce l'abbiamo.
Vai tu a spiegare in inglese, al controllore tedesco, alle 4 di mattina, che in italia sta cosa delle macchinette che stampano codici QR in stazione io non l'ho mai vista.
Haaland lì poi, continuava ad indicare il nostro biglietto dicendoci che dentro c'era scritta questa procedura. Ma Haaland tesoro: io il tedesco non lo sò. L'inglese lasciamo perdere...ma l'italiano è la mia lingua madre. E in questo biglietto non c'è scritto da nessuna parte del codice QR.
La discussione per Haaland deve però essere avvincente - per noi meno - perché si mette a sedere direttamente accanto a me e parte tutto un discorso in inglese - in solitaria - di Haaland contro le ferrovie italiane messe male e disorganizzate. Io e la Vero accenniamo un sì ogni tanto e intanto ci guardiamo basite chiedendoci se ci farà la multa oppure no. Almeno io mi chiedevo questo.
Ma Haaland ci risparmia dalla multa e dopo un saluto se ne va. Addio Controllore Haaland...ci mancherai.
Giusto in tempo per il nostro arrivo a Salisburgo.
[FINE PARTE 1]
*le altre parti saranno molto più corte lo prometto.
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Villa Valguarnera Villafranca a Bagheria, Villa Palagonia a Bagheria, Piazza San Domenico a Palermo, Statua di San Giovanni Nepomuceno, Tutte opere del domenicano Tommaso Maria Napoli (Palermo 1659 - Palermo 1725).
Nel mio precedente post su Novelli ti ho parlato di come prima del grande terremoto del 1689, già in Sicilia i pittori, i principi e baroni che creavano ed usavano l’arte, fossero molto attenti alle novità provenienti, tra una guerra e una pestilenza, dall’Italia. Dobbiamo notare come molti studiosi del Barocco siciliano, pur riconoscendo l’originalità delle opere, sottolineavano la loro similitudine con opere simili del nord Europa, dell’ Austria o Baviera. Può apparire strano questo accostamento anche se in effetti, all’inizio del 1700 la Sicilia era governata dal trono d’Austria. C’è però un filo rosso che legò a quel tempo la Sicilia architettonica a Roma e all’Austria della Middle Europe. Questo filo rosso fu il frate domenicano Tommaso Maria Napoli. Padre Tommaso, nato a Palermo da una famiglia di orafi, pur entrando in convento si dedicò agli studi di architettura e presto, nel 1688 fu a Roma per poi arrivare a Vienna e quindi ad occuparsi della ristrutturazione della cattedrale di Dubrovnik fino al 1711. La frequentazione di Vienna gli permise di entrare nelle grazie di Eugenio di Savoia, una personalità importantissima per l’Austria e la Spagna di quell’epoca. Eugenio, generale dell’esercito austriaco non era solo un brillante comandante, abituato a sconfiggere eserciti grandi il doppio del suo, ma era anche un esteta, un amante dell’arte e dell’architettura. Ad ogni battaglia vinta riceveva dei premi in denaro così grossi che si poteva permettere di comprare ville e castelli o ricche collezioni di libri. Padre Tommaso entrò nelle grazie dell’invincibile condottiero e quando tornò in Sicilia nel 1711, nessuno aveva una reputazione e delle conoscenze più grandi delle sue ed apparve chiaro che solo lui potesse essere l’Architetto del Regno. Per questo motivo i nobili più potenti delle Due Sicilie, come i Valguarnera-Villafranca e il principe di Palagonia Ferdinando Francesco I Gravina y Cruyllas, gli commissionarono le loro ville a Bagheria. Quest’ultime rappresentano il meglio della cultura architettonica dell’epoca con richiami a Bernini e alle grandi ville austriache, contenendo inoltre richiami alchimistici ed esoterici molto di modo tra la nobiltà dell’epoca. L’ultima opera di padre Tommaso fu la risistemazione di piazza San Domenico a Palermo e la realizzazione dell’unica statua di San Giovanni Nepumuceno esistente sull’isola. La statua del santo boemo San Giovanni Nepumuceno, alquanto inconsueto nel firmamento dei santi locali siciliani, fu commissionata dal capitano austriaco del Castello a Mare di Palermo, il conte Ottocaro di Starhenberg che probabilmente, non fidandosi della tranquillità del mare di fronte al castello, penso bene di far erigere la statua del suo compaesano San Giovanni Nepumuceno, che, come pochi sanno, è il protettore di chi sta per annegare. Più Middle Europe di cosi…
In my previous post on Novelli I told you about how, before the great earthquake of 1689, already in Sicily the painters, princes and barons who created and used art, were very attentive to the news coming, between a war and a plague, from Italy. We must note how many scholars of Sicilian Baroque, while recognizing the originality of the works, emphasized their similarity with similar works from northern Europe, Austria or Bavaria. This combination may seem strange even if in fact, at the beginning of the 1700s Sicily was ruled by the throne of Austria. However, there is a red thread that linked architectural Sicily to Rome and to the Middle Europe at that time. This red thread was the Dominican friar Tommaso Maria Napoli. Father Tommaso, born in Palermo tin a family of goldsmiths, while entering the convent he devoted himself to architectural studies and soon, in 1688 he was in Rome and then arrived in Vienna and then took care of the renovation of the Dubrovnik cathedral until 1711. His attendance in Vienna allowed him to enter into the good graces of Eugenio di Savoia, a very important personality for Austria and Spain at that time. Eugenio, general of the Austrian army, was not only a brilliant commander, used to defeating armies twice his size, but he was also an esthete, a lover of art and architecture. With every battle he won he received such large cash prizes that he could afford to buy villas and castles or rich collections of books. Father Thomas fell into the good graces of the invincible leader and when he returned to Sicily in 1711, no one had a reputation and knowledge greater than him and it became clear that only him could be the Architect of the Kingdom. For this reason the most powerful nobles of the Two Sicilies, such as the Valguarnera-Villafranca and the Prince of Palagonia Ferdinando Francesco I Gravina y Cruyllas, commissioned their villas in Bagheria from him. The latter represent the best of the architectural culture of the time with references to Bernini and the great Austrian villas, also containing alchemical and esoteric references very fashionable among the nobility of the time. Father Tommaso’s last work was the rearrangement of Piazza San Domenico in Palermo and the construction of the only statue of San Giovanni Nepumuceno existing on the island. The statue of the Bohemian saint San Giovanni Nepumuceno, quite unusual in the firmament of the Sicilian local saints, was commissioned by the Austrian captain of the Castle upon Sea in Palermo, Count Ottocaro di Starhenberg who probably, not trusting the tranquility of the sea in front of the castle, he think well to have the statue of his fellow countryman San Giovanni Nepumuceno, who, as few know, is the protector of those who are about to drown. More Middle Europe than this …
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And so, what?
Dunque se siete tra quelli che pensano che sarebbe bello che Putin Arrivasse coi suoi carri armati fino a Vienna o meglio fino a Cutro , potete smettere di leggere qui.
Se ritenete che alla base di tutto ci sia il fatto che uno stato abbia invaso iun altro che su faceva dei gran cazzi sua in stile 1917 , l'ora proseguite pure e sono curioso di ascoltare le vostre riflessioni
Prima di iniziare a buttare nel post le tessere che poi comporro alla fine dico subito che la foto l ho presa in prestito a @desdemona-d
Detta foto , che ritrae un soldato ucraino con una svastica sulla schiena foto emblematica usata da chi giustifica il fatto che gli ucraini non vadano armati, perché nazisti.
Perché invece quelli della Wagner sono morbidi e pucciosi vero?
Quindi devo indurre che se domani la Serbia o la Spagna ritenessero di invaderci nessuno dovrebbe darci le armi per difenderci perché in Italia abbiamo il Veneto fronteskinhead, Salvini , e tra poco la meloni al governo. Giusto?
Ah no perché noi i nazisti li abbiamo combattuti nella WW2?
E perché gli ucraini no?
Ah ma loro avevano bandera
E perché noi non avevamo il pelato? Non abbiamo fatto la repubblica di Salò? E gladio? E nostalgici che cagano il cazzo tutti i 25 di aprile?
Ogni stato, ogni popolo non ha i sui 5.000 imbecilli?
Perché in Svezia e Norvegia pensate che non abbiano i loro filonazi da qualche parte? E quindi se Putin le invade che si fa?
Il ragionamento che vi fanno fare, un imbecille,quindi, tutti imbecilli, é a pagina 3 di ogni manuale di ingegneria sociale applicata alla propaganda.
Stringo e voglio applicare al ragionamento un approccio nazional utilitaristico.
Nel 1300 o giù di la i serbi, da soli, fermarono l impero ottomano nella battaglia dei merli. Se non l avessero fatto come pensate che vivremo oggi ?
Per questo vanno armati gli ucraini, perché Putin è peggio.
Perché uno stato ha invaso un altro, e tanto mi basta
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"È PIÙ BELLO MORIRE PER UN IDEALE CHE NON SUL CAMPO DI BATTAGLIA PER I PROPRI SFRUTTATORI" FRANZ REINGRUBER AVEVA 22 ANNI QUANDO FU UCCISO PERCHÉ INVITAVA I SOLDATI A DISERTARE LA CHIAMATA ALLE ARMI DELLA GERMANIA NAZISTA “...Non potevo stare a guardare come i popoli venivano mandati sui campi di battaglia, come erano aizzati gli uni contro gli altri finché, sotto la pressione dei generali, si sbranavano a vicenda. Il cuore mi scoppiava quando dovevo assistere alla distruzione di centinaia di migliaia di vite umane e di famiglie. In questa sofferenza la mia vita era diventata vuota, priva di senso, mi sosteneva un solo pensiero, la lotta contro la guerra e contro chi l'aveva generata. Non ho mai pianto né mi sono mai lamentato del mio destino, e se una volta mi hai visto piangere, era per te, mai per me stesso. Da te mi separo con difficoltà, cara mamma, mi puoi ben credere, ma è più bello morire per un ideale che non sul campo di battaglia per i propri sfruttatori e avversari politici! Credimi, ti ho amata tanto, tanto! Addio, ti saluta il tuo figlio Franz”. Franz Reingruber, nato nel 1922 Vienna, era figlio unico e orfano di padre. In fabbrica già a 15 anni diventò presto un militante dell'associazione giovanile comunista austriaca (KJVÖ). Dopo l'Anschluss entrò nella Gioventù Hitleriana come infiltrato e, quando scoppiò la guerra, insieme ad altri compagni fondò un'organizzazione che iniziò a distribuire volantini e opuscoli contro il conflitto direttamente al fronte. Fu arrestato il 9 luglio 1942, torturato dalla Gestapo e accusato di alto tradimento. Nel corso della sua incarcerazione - oltre ad organizzare lotte di resistenza passiva insieme agli altri detenuti politici - scrisse un diario in cui raccolse i propri pensieri. Quattro settimane dopo il processo a suo carico venne ucciso con la ghigliottina. Era il 22 ottobre 1943 ed aveva appena 22 anni. Franz scelse di rispondere alla sua coscienza, di non obbedire agli ordini, di non uccidere e non essere ucciso. Franz volle urlare al mondo il suo rifiuto, e insieme a lui urlarono altre migliaia di soldati tedeschi e austriaci che disertarono la chiamata alle armi. Cannibali e Re Cronache Ribelli
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Lise Meitner, la donna innamorata della fisica
Sin dalla tenera età, Meitner dimostra già una particolare inclinazione per le materie scientifiche, complice un educazione liberale e progressista. Ma per la giovane, che diceva di amare la fisica in maniera del tutto personale, tanto quanto una persona cui si è grati, il percorso scolastico non sarà in discesa.
Purtroppo, nel 1982, una Meitner all’epoca solo quattordicenne, deve scontrarsi con le leggi restrittive dell’impero austro-ungarico, che non permettevano alle donne di iscriversi all’Università. Di conseguenza, non esisteva un’educazione liceale scientifica per le ragazze. Così, sotto consiglio del padre, si iscrive comunque ad una scuola superiore di lingue per future insegnanti, diplomandosi pochi anni più tardi. Poi, quando nel 1899 l’Università apre alle donne, con l’aiuto di un tutor privato recupera brevemente gli anni persi di liceo conseguendo la maturità scientifica. A 23 anni riesce ad iscriversi all’Università, chiudendo il lungo e infelice periodo, da lei stessa definito degli anni perduti.
Meitner, da allieva di Boltzmann a insegnante
All’Università di Vienna Lise Meitner è allieva del grande fisico teorico Ludwig Boltzmann. Il fisico, insegnante appassionato, inizia molti dei suoi studenti, Meitner compresa, agli studi sulla struttura atomica. I corsi sono gestiti in maniera inusuale, e la strumentazione è spesso mancante o rudimentale, ma per la Meitner, quasi digiuna da studi scientifici superiori, è un paradiso terrestre. Anni dopo, il nipote di Lise, Otto Robert Frisch, scriverà di questo fondamentale incontro per la scienziata:
Boltzmann le diede la visione della fisica come di una battaglia per la verità ultima, una visione che Lise non perse mai.
Nel 1905, al culmine di una brillante carriera universitaria, Meitner sarà la seconda donna ad ottenere un dottorato in Fisica presso l’Università di Vienna. Tuttavia, per una donna, le possibilità di permanere nell’ambito della ricerca scientifica sono ancora assai limitate. La scienziata, conoscendo gli studi di Marie Curie, Nobel per la Fisica nel 1903, fa domanda per ottenere un incarico nel suo laboratorio a Parigi, ma i posti risultano esauriti.
Così, su consiglio del padre ripiega sulla carriera dell’insegnamento nelle scuole femminili. Poco tempo dopo però, Boltzmann si suicida, e il suo sostituto S. Meyer, decide di coinvolgere Meitner nei suoi studi sui raggi alfa e beta, emessi dagli atomi durante il decadimento radioattivo. Pochi mesi più tardi, grazie al supporto economico dei genitori, si trasferisce a Berlino per seguire le lezioni del celebre Max Planck. Proprio a Berlino, la Meitner incontra il giovane chimico nucleare Otto Hahn, con cui collaborerà per oltre 30 anni.
Lise Meitner, l’effetto Matilda ed i riconoscimenti tardivi
Al dipartimento di Chimica, l’accesso non è ancora consentito alle donne, così Meitner deve effettuare i suoi esperimenti nel capanno degli attrezzi, senza attrezzatura e compenso alcuno. La donna riesce comunque a portare avanti il suo lavoro, e pochi anni dopo, assieme ad Hahn scopre un isotopo radioattivo dell’attinio. Inoltre, i due proveranno anche il cosiddetto rinculo radioattivo, subito da un atomo quando emette una particella alfa ad alta energia.
Hahn e Meitner pubblicano sempre assieme queste ed altre scoperte, ma la scienziata rimane sempre invisibile agli occhi della comunità scientifica. I tempi però cominciano a maturare, e dal 1912 Hahn e Meitner hanno la possibilità di lavorare in un vero laboratorio, al Kaiser-Wilhelm-Institut di Berlino. Un anno più tardi, la allora 35enne Lise Meitner ottiene il primo incarico retribuito, ma deve interrompersi per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, che la impegna come infermiera di radiologia sul fronte. Scampata alle tragedie del conflitto, nel 1917, tornata a Berlino scopre un isotopo stabile del proattinio, lavoro che le vale finalmente i primi riconoscimenti professionali.
L’Accademia delle Scienze di Berlino la premia con la medaglia Leibniz e lo stesso anno diviene direttrice della sezione di fisica di radiazioni dell’istituto. Due anni più tardi, Meitner è la prima donna in Germania a ottenere il titolo di professoressa, e nel 1926 la prima a ricevere un incarico come professore ordinario di fisica nucleare sperimentale all’Università di Berlino. Negli anni che seguirono, Meitner e Hahn otterranno ben dieci candidature al Nobel per le scoperte sugli elementi radioattivi, ma nessuna vittoria.
La fissione nucleare, il tradimento di Hahn e il Nobel mancato
Con l’avvento del nazismo, Meitner, di origini ebraiche, è costretta a rinunciare al suo incarico all’università. Essendo però di nazionalità austriaca, per qualche anno ha comunque la possibilità di continuare a lavorare al Kaiser-Wilhelm-Institut assieme a Otto Hahn e Fritz Strassmann. Quì la scienziata concentra il suo lavoro sullo studio dell’uranio, elemento conosciuto e studiato per via del suo elevato peso atomico. In proposito, pochi anni più tardi, il fisico italiano E. Fermi, annuncia al mondo di esser riuscito a produrre elementi ancor più pesanti, detti transuranici, scagliando neutroni contro un atomo di uranio.
In questo contesto, la scienziata Ida Noddak corresse la teoria fermiana, introducendo per prima il concetto di fissione. Secondo la Noddak, il risultato dell’esperimento di Fermi era la scissione del nucleo atomico in elementi più leggeri. La scienziata però, ufficialmente pioniera della teoria della fissione nucleare, non venne presa sul serio dalla comunità scientifica neppure da Meitner, Hahn e Strassmann. I tre, comunque si interessano allo studio e cominciano a replicare più volte l’esperimento di Fermi per accertarsi che avesse effettivamente la ragione. Il lavoro continua a sei mani fino a quando l’annessione dell’Austria alla Germania nazista non costringe la Meitner a fuggire furtivamente. Grazie alla copertura fornitale da vari altri scienziati, riesce a raggiungere prima i Paesi Bassi poi la Danimarca, ed infine la Svezia, dove troverà impiego presso l’Istituto Nobel.
Nel mentre, Hahn e Strassman, rimasti a Berlino, portano avanti il lavoro sugli esperimenti di Fermi arrivando ad una scoperta fondamentale: dopo aver bombardato l’uranio con neutroni, fra i prodotti si rilevano nuclei di bario, elemento assai più leggero dell’uranio. Sapendo però che quest’ultimo non può scomporsi nel bario, serve un spiegazione al fenomeno. I due scienziati interrogano in proposito proprio la Meitner, con cui erano rimasti in contatto epistolare.
La scienziata consultatasi con il nipote O. R. Frisch, durante una passeggiata tra i boschi innevati della Svedesi, elabora la teoria decisiva: “se si colpisce il nucleo di un atomo di uranio con neutroni, questo si dividerà in nuclei di atomi più leggeri e rilascerà una grande quantità di energia”. Frisch battezza la teoria “fissione”, e nel febbraio del 1939, poco dopo la pubblicazione degli studi di Hahn e Strassmann, zia e nipote pubblicano su Nature il breve articolo intitolato “Disintegration of Uranium by Neutrons: a New Type of Nuclear Reaction”. Nel 1944 il premio Nobel per la chimica sarà assegnato solo a Otto Hahn, che durante la cerimonia non ringrazierà la Meitner, collega di una vita.
Hahn ha rimosso completamente il passato, e io faccio parte del passato.
Secondo gli annali, riconoscere di aver ottenuto i suoi risultati con l’aiuto di una donna di origini ebraiche sarebbe stato controproducente. Però, anche negli anni successivi Hahn affermerà di essere stato l’unico autore della scoperta.
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Sagra della Tira 2023 a Cairo Montenotte
Dal 6 al 9 luglio a Cairo Montenotte, in provincia di Savona, torna la Sagra della Tira, omaggio a un cibo tipico della zona, un panino cotto in forno impastato con la salsiccia. Oggi la sagra della Tira è un evento molto sentito dai cairesi e coinvolge anche turisti provenienti un po’ da tutta la Liguria e dal Basso Piemonte, organizzata grazie al lavoro di gruppo e sinergia che lega da sempre i componenti del direttivo della pro loco per un programma sicuramente ricco e soddisfacente, fatto di buon cibo e tante risate. Il nome di Cairo deriva dal latino medioevale cairum, a sua volta nato dalla radice del ligure antico car, con il significato di pietra o rocca. Ritrovamenti archeologici di vari manufatti confermerebbero che il territorio venne abitato dall'uomo primitivo già in epoca neolitica e nel vicino comune di Roccavignale è stata rinvenuta una sepoltura con tre dolmen, mentre bracciali e altri piccoli manufatti in bronzo di epoca successiva sono attualmente conservati presso il museo delle antichità archeologiche di Torino. Dopo la conquista da parte dei Romani del territorio ligure, la val Bormida fu attraversata dalla via Emilia Scauri, opera del censore Marco Emilio Scauro del 109 a.C., che metteva in diretto collegamento Derthona (Tortona) e Vada Sabatia (Vado Ligure) e a Cairo sorgeva la stazione di Canalicum. La rete viaria fu ampliata con la costruzione della via Julia Augusta, voluta da Augusto nel 13 a.C. per assicurare il collegamento con le province galliche e a Cairo, dove oggi c’è il santuario di Nostra Signora delle Grazie, sono stati ritrovati diversi manufatti romani e i resti di un'antica villa rustica d'epoca imperiale. Il toponimo Cairum è attestato per la prima volta in un documento del 967 sulla decisione dell'imperatore Ottone I di Sassonia di donare ad Aleramo delle terre devastate, in passato, da incursioni longobarde e saracene, fu poi feudo dei marchesi del Vasto, all’inizio del XV secolo il territorio fu diviso tra il Marchesato del Monferrato e il Ducato di Milano, nel 1736 passò ai Savoia e, dal 1796, fu assoggettato da Napoleone Bonaparte. Nel 1796 si combatté, nei pressi del centro di Montenotte, la prima battaglia vittoriosa della Campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte, ricordata come la Battaglia di Montenotte. Con la dominazione francese il territorio di Cairo venne costituito in municipalità del Dipartimento del Letimbro, con capoluogo Savona, all’interno della Repubblica Ligure. Dal 28 aprile 1798 con i nuovi ordinamenti francesi, rientrò nel I cantone, della Giurisdizione di Colombo e, dal 1803, centro principale del I cantone di Savona nella Giurisdizione di Colombo. Annesso al Primo Impero Francese, dal 13 giugno 1805 al 1814 il paese venne inserito nel Dipartimento di Montenotte, creato in ricordo delle prime fortune di Napoleone, che comprendeva gli attuali territori delle Province di Savona e Imperia. Nel 1815 fu inglobato nel Regno di Sardegna, secondo gli accordi del Congresso di Vienna del 1814, e nel Regno d’Italia dal 1861. Dal 1859 al 1927 il territorio venne compreso nel IV mandamento di Cairo del Circondario di Savona, facente parte della Provincia di Genova; ma solo con la costituzione della Provincia di Savona nel 1927 il territorio cairese venne assegnato alla nuova circoscrizione provinciale. Nel 1880 i comuni di Carretto e Rocchetta di Cairo vennero aggregati al Comune di Cairo Montenotte, che nel 1929 assorbì anche parte dei territori dei Comuni di Santa Giulia e Brovida, con la restante parte che venne assegnata al borgo di Dego. Read the full article
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