#barche antiche
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Relitto. Il fascino dei corpi lignei dormienti sul fondo del mare.
#relitto#acrilico su tela#pittori liguri#maebazart#artemare#mare#vele#barche antiche#veliero#nave affondata
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MARZAMEMI
Abbiamo lasciato il Gelsomineto per andare a mangiare. La Figlia mi chiede se conosco qualche trattoria li vicino. Le sorrido e le dico di chiamare un ristorante a Marzamemi. A Marzamemi, dopo le casette e le strade simili a tanti paesini sulla costa, ci abbraccia serena e luminosa la grande piazza che nasconde il mare, con la piccola chiesa, gli edifici dell’antica tonnara trasformati in ristoranti e negozi. È tornare indietro nel tempo, quando il mare era color corallo per il sangue dei tonni e le case accoglievano i pescatori , gli attrezzi per le gabbie in cui intrappolare i tonni e le nere Parascalmi, le barche su di cui ai lati della camera della morte, si eseguiva la rituale, drammatica mattanza (“sangu pi sangu”, sangue per avere sangue, come diceva mia nonna quando uccideva gli animali da cortile per nutrire tutti noi). La chiesa in piazza, non è un ornamento, ma il nodo tra la vita e la morte per cui Marzamemi è nata, l’incrocio tra il dolore e la vita, l’ultima certezza prima degli incerti giorni di un tempo. Ora invece il tempo sembra fermarsi nella solare serenità della piazza e che questa serenità contagia ogni persona che l’attraversa. I tavoli sulla piazza del ristorante prenotato sono vuoti. La Figlia, mi guarda preoccupata. “Vieni” le dico e la porto sul di dietro del ristorante dove, dopo un vicolo pieno di fiori, c’è una grande terrazza sopra gli scogli del mare. La terrazza è coperta da canne e la luce filtrando tra loro, assume una luminosità dorata. Intorno scuri scogli usurati dalle onde, bianca schiuma, il blù del mare, l’azzurro perfetto del cielo. I piccoli tavoli sono coperti da antiche tovaglie siciliane ricamate o fatte all’uncinetto mentre forchette e coltelli sono di quelli grandi e pesanti delle grandi occasioni. I bicchieri colorati ed i vecchi piatti siciliani, rendono quel luogo familiare alla memoria e unico tra tutti quei locali, che seguono temporanee mode e tendenze. Alla destra abbiamo una famiglia olandese con la madre che non starà zitta per tutto il pranzo mentre il marito, dirà solo due parole, “Pane prego” per fare la scarpetta nel salmorigghiu del pesce. Alla sinistra abbiamo una coppia francese, non più giovane che si guardano da innamorati e che parlano sottovoce dicendosi frasi che li fanno sorridere e riempiono i loro occhi di complicità e malizia. Scrivono nell’aria versi che nessun poeta potrà mai copiare e che restano intrappolare tra le canne del tetto e trai petali dei fiori. Arriva il responsabile di sala, in realtà un ragazzo con i capelli ricci e i baffetti alla Domenico Modugno che ci porta un menù colorato. Ordiniamo poche cose tra cui un calice di Grillo perché per raggiungere Marzamemi ho attraversato le terre dove nascono il Grillo e l’Inzolia. Terre bianche, secche, aride, bruciate dalla calura e mi stupisce come i vini di quella terra possano essere così profumati, sapendo di fiori e di vento. Forse nell’uva la vite mette i suoi sogni, quel suo voler essere nell’arida terra, fiori e bellezza e sono questi sogni che sentiamo nel vino e che alla fine donano ebrezza. Mangiamo ascoltando il mare, la brezza che attraversa le canne, osservando l’andare e venire di invisibili camerieri che percepisci solo per le gustose emozioni che lasciano sui tavoli. Lentamente mangiamo guardando i colori dei fiori, gli sguardi amorevoli degli innamorati, la gioia delle famiglie, il soffice silenzio in cui tutto si perde tra il profumo dei fiori del bianco Catarrato e la dolcezza assoluta della cassata. La lentezza con cui viviamo una necessità come nutrirsi diventa piacere, ci libera da ogni ansia donata dal correre dei minuti, ci da un senso di libertà che le grandi città ci hanno rubato. Così ci riprendiamo lo spazio e il tempo per essere felici, per dimenticare affanni, credere nella serenità e inventare nuovi sogni. In fondo, è questo Marzamemi. ( andando via l’olandese si ferma a guardare il mare che urta gli scogli. La moglie lo raggiunge e lo abbraccia osservando il mare con la sua testa appoggiata alla spalla del marito. Sono già ammalati di nostalgia).
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(L)a scomposizione del Pil italiano dovrebbe farci riflettere. Lo stato di salute relativamente positiva di cui gode la nostra economia è garantito pressoché totalmente dal boom delle costruzioni. Tradotto, dai sussidi statali legati al superbonus. Il quale non solo oggi è in via di ridimensionamento, ma, soprattutto, ha inferto un colpo da semi-ko ai conti pubblici. E intasato di crediti di fatto incagliati il già poco tranquillizzato settore bancario. In attesa del Godot della soluzione di sistema per Eurovita.
Per il resto, oggi l’Italia galleggia con i servizi garantiti dal boom del turismo e dall’export. Quest’ultimo per almeno due trimestri mantenuto in surplus commerciale dalle esportazioni verso la Cina, Paese cui ora vorremmo chiudere la porta in faccia (...).
Mentre la Germania (in recessione tecnica da questo trimeste, ndr) raccoglie apparentemente i cocci post-industriali del Novecento, noi sopravviviamo di sussidio in sussidio e di incentivo in incentivo, affidandoci alle ricettività dei turisti come prestatore di ultima istanza del Pil. (...)
Nel frattempo, la Bce vende Bund tedeschi e salva Btp e Oat francesi nel corso del suo Qt (...), tutelando gli spread e i costi di finanziamento del debito di Italia e Francia. (...)
Sicuri che la Bundesbank accetterà ancora per molto di veder andare a fondo la sua nave, prima di intervenire in sede di Eurotower? Come leggere le mezze reprimende mischiata alla solidarietà di facciata per il dramma emiliano che giungono in queste ore da Bruxelles? Come valutare quel lasciare appesa la terza tranche del Pnrr, quando ancora la seconda è congelata e da sbloccare a fronte di necessità immediate di cassa e soli 400 milioni di euro in arrivo dai fondi di emergenza proprio dell’Europa?
via https://www.ilsussidiario.net/news/spy-finanza-la-mossa-della-francia-per-dominare-leuropa/2543547/
Bottarè, ci sarà ben un motivo per cui il Ponte sullo Stretto, l'AV Napoli-Reggio et similia, no? Per mantenere il business del settore costruzioni, dandogli almeno un destino più serio. Anche il contemporaneo appiattirsi sull'europeismo più curvasudde, serve per farsi vedere disciplinati sotto controllo e farsi sganciare l'aiutino Pnrr (così spacciato a masse & giornalame), giusto? Dicesi REALISMO; l'importante è che sia conscia presa d'atto del male minore da ingoiare che un indebitato fino al collo fa; per mitigarlo di nascosto con le flat tax, senza che diventi tappettinismo terronista RdC (Gonde) e vampirismo parassita sinistro.
Quanto all'export, personalmente leggo il forte Nato-ismo in atto come un tentativo di riaprire per noi strade atlantiche antiche, poco percorse dopo gli anni '60: l'imprenditoria italiana privata nel frattempo è sopravvissuta al sindacalismo, alla de-industrializzazione, più recentemente alle delocalizzazioni, poi alla germanificazione, alla fine del gas a basso costo e consumi di lusso russi (auto barche design fashion); ora saprà uscire - sempre da sola-anche dal via dalla viadellaseta.
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Arte rupestre di 4.000 anni fa raffigurante barche e bestiame rinvenute in Sudan dipinge l'immagine di un Sahara verde Scoperta dell’antica arte rupestre nel Sahara sudanese Nel cuore del Sahara, antiche rappresentazioni di barche e bestiame rivelano un passato verde del deserto, prima che i cambiamenti climatici lo trasformassero. Archeologi hanno rinvenuto queste opere in 16 nuovi siti rupestri nel deserto orientale del Sudan. Un paesaggio sorprendente Questi siti si trovano a notevole distanza dall’acqua più vicina, il Lago Nubia, e in un ambiente arido non adatto all’allevamento del bestiame raffigurato nei disegni. Questa scoperta solleva interrogativi sul passato di questa regione e sul legame tra comunità umane e bestiame nell’antichità. Un’epoca più ospitale Secondo gli studiosi, i dipinti
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A volte quando si dice Oneglia...
A volte, quando si dice Oneglia... https://ift.tt/4mjzBuZ Imperia: la Calata G.B. Cuneo del porto di Oneglia e, sullo sfondo, a destra, l'ormai demolita palazzina della Capitaneria Il Presidente del Comitato organizzatore della Festa Patronale di San Giovanni Battista ad Oneglia si è rivolto per il tramite di un comune amico al nostro Giornale per chiedere suggerimenti in merito alle iniziative collaterali che fanno da sfondo alla celebrazione religiosa. La prima notizia di Oneglia risale ad un trattato tra Genova e Pisa del 1146, che riconosceva alla “Superba” il dominio sulla nostra Città. Essa ha dunque una origine medioevale, benché più recente di quella che può vantare Porto Maurizio, costituita nel decimo secolo intorno al monastero benedettino - ora convento delle Suore Clarisse - in seguito allo smembramento del dominio arduinico. In considerazione del periodo storico in cui è iniziata la vicenda della Città, consigliamo di organizzare una festa in costume: non però quello rinascimentale in cui si esibiscono - imitando le “Comparse” delle Contrade al Palio di Siena - i figuranti di tutte le celebrazioni e feste civili che si svolgono in ogni Città e borgo d’Italia. Raccomandiamo - per essere originali - l’uso dei costumi medioevali, che risulta invece molto meno diffuso. Le manifestazioni in abito d’epoca hanno luogo in occasione di gare di sport archeologici: la Giostra del Saracino ad Arezzo, i Balestrieri a Gubbio, la Quintana a Foligno, il Calcio Storico a Firenze, il Gioco del Ponte a Pisa, la Regata delle Repubbliche Marinare, ospitata quest’anno da Genova, la Regata di Venezia e via enumerando. In quasi tutte le occasioni, la competizione avviene tra i quartieri. Noi proponiamo - anche qui per essere originali - che ad Oneglia si svolga tra le antiche Corporazioni: Pescatori (“ça va sans dire), Osti (l’amico Braccioforte” prepari i soldi), Fabbri, Carpentieri, Muratori, Mercanti, Sarti, Giardinieri e Ortolani, i quali un tempo portavano nella Processione di San Giovanni la zappa del loro Patrono Sant’Isidoro. Le diverse categorie sarebbero dunque stimolate a trovare le risorse finanziarie, dando lavoro a chi confezionerà gli abiti d’epoca e competendo per originalità, eleganza e fedeltà ai modelli originali. Quanto al tipo di gara, consigliamo una regata a remi tra i tipi “gozzi” liguri. Dovunque si competa tra barche, i nostri compaesani accorrono numerosi a sostenere i loro campioni: esiste nell’ambito del CONI una “Disciplina Associata”, quella del Canottaggio a Sedile Fisso, distinta dalla Federazione del Canottaggio a sedile mobile. Oneglia vanta in questo campo una grande tradizione, che avrebbe così modo di esprimersi al meglio. Mario Castellano, La festa patronale di San Giovanni Battista a Oneglia. Per coinvolgere tutti, Faro di Roma, 26 maggio 2018 via Aspetti rivieraschi https://ift.tt/UJX7tqF April 28, 2024 at 10:20AM
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Perché la crociera in Grecia è un'idea straordinaria per una vacanza estiva divertente e memorabile con la famiglia?
Fare una crociera con la famiglia o con i bambini può essere un'esperienza estremamente memorabile e avventurosa. Può anche rendere la vacanza del bambino più divertente ed emozionante se si sceglie la location giusta. Tuttavia, ogni volta che si tratta di questo posto, molte persone preferiscono andare in barca a vela in Grecia. Ma perché? Questo è l’argomento dell’articolo di oggi. Iniziamo.
In che senso la Grecia è il posto migliore per una crociera in famiglia thriller?
Se qualcuno vuole godersi le bellissime e antiche isole del mondo con il coniuge o i figli, preferire le Vacanze in Grecia in barca a vela è un'ottima decisione per lui. Questa località senza tempo può offrire a tutta la famiglia un'esperienza di crociera davvero piacevole e senza eguali. Ha alcuni degli oceani più grandi del mondo e meraviglie acquatiche in grado di soddisfare tutti e cinque i sensi di un individuo quando naviga attraverso i suoi mari ed esplora meravigliose avventure acquatiche. Questi motivi sono abbastanza convincenti da giustificare una vacanza in crociera in questo luogo.
Quali sono i vantaggi di navigare in barca a vela in Grecia con i bambini?
Portare coniugi o figli in questo paese consente loro di esplorare i suoi splendidi paesaggi, le acque blu e l'abbondanza di elementi naturali e culturali. Potranno vedere numerose spiagge sabbiose, tranquille insenature formate da rocce e villaggi e località pittoresche preferendo un viaggio in crociera. Considerare questa idea può dare molti benefici alle famiglie, come ad esempio:
Non fare le valigie
Vedere molte località senza dover fare le valigie e spostare le cose è il più grande vantaggio del viaggio in barca a vela verso questa località. Inoltre, allestire e smontare la base di partenza durante il viaggio è un compito che richiede molto tempo e ogni genitore, soprattutto quelli con bambini piccoli, può confermarlo. È faticoso includere l'energia emotiva necessaria per organizzare gli orari del check-out, il deposito bagagli, le modalità di trasporto e il benessere emotivo dei bambini. Ma considerando questi viaggi, le stanze delle persone rimangono le stesse mentre l’hotel si sposta per loro, il che rende il viaggio meno frenetico e meno stressante.
Ottimo intrattenimento a bordo-
Una nave da crociera può fungere sia da hotel galleggiante che da resort mobile pieno di intrattenimento. La flessibilità che offrono alle famiglie per rimanere sulla nave è semplicemente divertente. Oltre a questo, gli adolescenti possono facilmente fare nuove amicizie durante una crociera in una località greca e divertirsi in un modo che non sarebbe possibile in una bolla chiusa. Gli individui possono anche divertirsi la sera sulle barche a vela, che possono includere molte opzioni di intrattenimento se sono abbastanza grandi. Il loro bisogno di divertimento può essere facilmente soddisfatto senza aggiungere spese aggiuntive.
Sollievo dalla fatica della pianificazione
Occasionalmente si verifica il burnout dell'organizzatore e pianificatore principale della crociera in Grecia dovuto all'organizzazione e al rispetto degli orari. Ma con un itinerario di crociera stampato, questi viaggi diventano così semplici ed eleganti. Invece di passare ore a fare ricerche, le persone possono rilassarsi e approfittare del libro del tour offerto dalle barche a vela. Possono vivere in modo davvero impressionante un viaggio sull'acqua senza stancarsi e rinfrescante.
Tutti questi vantaggi possono incoraggiare chiunque a pianificare un emozionante tour in crociera in Grecia per una vacanza estremamente piacevole e amorevole con la famiglia. Chiunque desideri lo stesso deve fare un viaggio in barca a vela in questo paese con il proprio coniuge o i propri figli per regalare loro un'esperienza estremamente piacevole ed emozionante di un viaggio acquatico avventuroso ed emozionante.
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Regata storica 2023 a Venezia
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Venezia per la fine dell’estate accoglie la Regata Storica, che si svolge la prima domenica di settembre ed uno dei momenti più spettacolari, pittoreschi e coinvolgenti della vita cittadina, seguita in particolare modo dai veneziani che si riuniscono lungo le rive del Canal Grande. La regata da sempre ha coinvolto cittadini e forestieri, mentre le prime testimonianze storiche risalgono alla metà del secolo XIII e sono legate alla Festa delle Marie, ma è probabile che, in una città come Venezia, la abbia avuto origini più antiche, dettate dalla necessità di addestrare gli equipaggi al remo. Molto più tarda è la prima immagine dell’evento con un gruppo di barchette con la scritta “Regata” che si vede nella Pianta di Venezia di Jacopo de Barbari del 1500 e da allora sarà uno dei temi prediletti dai vedutisti per rappresentare una Venezia festosa. L’etimologia della parola regata è incerta, ma si dice che derivi dal termine aurigare (gareggiare), usato e attestato nel secolo XVI come sinonimo di gara, poi passò nelle principali lingue europee indicando sempre una competizione agonistica su barche. Il corteo che precede le sfide della Regata Storica rievoca l’accoglienza riservata nel 1489 a Caterina Cornaro, sposa del Re di Cipro, che ha rinunciò al trono a favore di Venezia, con decine e decine di imbarcazioni tipiche cinquecentesche, multicolori e con gondolieri in costume, che trasportano il doge, la dogaressa, Caterina Cornaro, tutte le più alte cariche della Magistratura veneziana, in una ricostruzione del passato glorioso di una delle Repubbliche Marinare più potenti e influenti del Mediterraneo. Dalle 15:30 di domenica 3 settembre ci saranno gli zattieri del Piave alla Regata Storica, e una zattera della Fameja dei Zatèr e Menadàs de la Piave di Codissago (Belluno) percorrerà dalle 15.30 il Canal Grande, con a bordo i rappresentanti delle associazioni europee, per ricordare il legame tra Venezia e le località lungo il Piave che rifornivano la Serenissima con il legname. E dalle 16 ci sarà il corteo storico-sportivo lungo il Canal Grande di imbarcazioni storiche con figuranti in costume, gondole e imbarcazioni delle associazioni remiere di voga alla veneta tra Bacino di San Marco, Canal Grande, Rialto, Ferrovia e ritorno lungo il Canal Grande fino a Ca’ Foscari. Alle 16.30 ci sarà la Regata delle maciarele e delle schie: regata su mascarete a due remi riservata a ragazzi e alle 16.50 la Regata dei giovanissimi su pupparini a due remi, cui seguirà alle 17.10 la Regata delle caorline a sei remi tra Bacino San Marco, Canal Grande, Rialto (giro del paleto all’altezza di San Marcuola), ritorno lungo il Canal Grande e arrivo a Ca’ Foscari. Si terrà anche la Sfida Remiera Internazionale delle Università, una competizione su galeoni a 8 remi tra l’equipaggio delle Università Ca’ Foscari / Iuav di Venezia e le squadre di altre università. Alle 17.40 ci sarà la Regata delle donne su mascarete a due remi tra Bacino San Marco, Canal Grande, Rialto (giro del paleto all’altezza di San Marcuola), ritorno lungo il Canal Grande e arrivo a Ca' Foscari. Infine alle 18.10 si terrà la Regata dei gondolini a due remi tra Bacino San Marco, Canal Grande, Rialto (giro del paleto all’altezza di San Marcuola), ritorno lungo il Canal Grande e arrivo a Ca' Foscari. Read the full article
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Da Roma a Pompei
La domanda che sorge è : “si possono visitare 2 luoghi nell’arco di pochi giorni senza cambiare hotel?” Certamente! Roma risulta una delle città collegate maggiormente in Italia, con tutte le città. Tra Roma e Pompei (e Napoli), c’è una distanza di circa 2 ore, dunque possibilmente raggiungibili di mattina per un rientro di sera.
Partendo con il nostro itinerario da Roma, lo sapevi che partono dei Bus pre-organizzati per escursioni con visita guidata per andare a visitare Pompei? Un tempo sepolta dalla lava del vulcano Vesuvio, è diventata una meta speciale che attira milioni di visitatori ogni anno. Visitare il vicino mare di Pompei porta un'esperienza completamente diversa per il fatto che si deve scendere sottoterra fino all'antico lungomare, passando i resti scheletrici di quelli all'interno delle volte alle antiche rimesse per barche, per ammirare le meraviglie della città. Tuttavia, non lasciatevi ingannare dalla mancanza di luce solare naturale e dall'ingresso macabro, poiché affreschi, mosaici, colonne e pareti sorprendenti stimolano la mente a immaginare i colori vivaci dell'antica vita romana in questa città piuttosto pittoresca. Vicino Pompei ovviamente immancabile non andare a visitare la città della Pizza, il mondo della maschera, la bellezza del vulcano e la maestosità della Costiera Amalfinata: Napoli.
Cosa aspetti a visitare la città eterna accompagnata dalle bellissime Napoli e Pompei? Soggiorna senza spostare le tue valigie a Roma, in uno dei nostri B&B Roma adatto a te! Ci trovi nel B&B Roma centro, a pochi passi dai principali monumenti (e anche da Trastevere!); potrai trovare B&B e affittacamere Roma.
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Venezia 'in secca' per la bassa marea, difficoltà nei canali
(ANSA) – VENEZIA, 17 FEB – Canali interni ridotti a stradine melmose, barche ormeggiate in secca, le antiche fondamenta dei palazzi a vista, anche lungo il Canal Grande. Venezia è alle prese da molti giorni con una bassa marea – causato dal fenomeno contrario di quello dell’acqua alta – che comincia a creare seri problemi anche alla navigabilità. L’eccezionalità del fenomeno, spiegano dal…
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Il porto di Cannes rappresenta una delle parti più antiche nella famosa città della costa azzurra. Si trova a sud-est della famosa Le Suquet, rappresentando un punto strategico a livello turistico. Infatti, dal porto, è possibile accedere alla parte antica del centro città e il profilo più turistico di Allèes de la Libertè con il suo viale noto per lo shopping e le prestigiose vetrine. Ha una capacità di quasi 800 attracchi, di cui più di 250 che si dedicano esclusivamente a soggiorni di breve durata e offre la possibilità di gustare una rassegna di yachts di lusso. Note sono le barche e le prestigiose imbarcazioni di personaggi famosi, specialmente nella vicina costa di Antibes alla sede dell’International Yacht Club. Oltre la prestigiosa rassegna di barche, il porto offre anche gite ed escursioni alle isole Lèrins, tramite l’ausilio di barche turistiche a servizio e a propaganda della famosa Riviera francese. Cannes e il suo porto antico, sono famose per la loro vivacità e enfatizzazione di eventi mondani, i quali conferiscono maggiore spettacolarità alla città e al porto stesso. Mostre internazionali di barche e yacht, sono spesso punti di riferimento per navi eimbarcazioni di lusso che utilizzano tali occasioni per dare lustro e visibilità alle maggiori case costruttrici di barche. Inoltre, l’antico porto di Cannes, ospita a settembre anche il salone dell’automobile e regala ogni anno uno spettacolo pirotecnico di fuochi d’artificio. Tale show, famoso in tutto il mondo, attira al porto, le barche più prestigiose, attraendo più di 200,00 visitatori ad ogni stagione. Ma il porto, oltre il suo profilo notoriamente turistico e luccicante, possiede anche una sua efficiente funzionalità alle più avanzate attività navali. #CotedAzurFrance #ExploreFrance #CannesFrance @villecannes @france.fr @visitcotedazur @florencelecointre @Cannesfrance @barbara.lovato (presso Vieux Port de Cannes) https://www.instagram.com/p/ChMbQQjs9_M/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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ORTIGIA DI NOTTE
Abbiamo pranzato in un vecchio ristorante di Ortigia. Fino a qualche anno fa vi erano i due fratelli che l’avevano ereditato dal padre. Eravamo in confidenza e quando ci sedevamo a tavola non ci portavano neanche il menù ma una serie di piatti con antipasti tipici di Siracusa. La pasta alla Meggellina o allo scoglio gli spaghetti al nero di Sicci, la frittura, l’arrosto, la stessa cassata con cui si finiva il pranzo, seguivano le stagioni, la disponibilità del momento. Ora il ristorante è uno dei tanti, con piatti belli a vedersi ma insapori, ed un menù che è lo stesso di Milano o Düsseldorf. Siracusa dalla tavola è scomparsa nella ricerca del Glamour, di una supposta eleganza che giustifica un costo non equilibrato con il pranzo servito. Per questo ci avventuriamo nella notte di Origia con la paura di non trovare più la sua anima accogliente ed antica. Ci accolgono i grandi Yacht dalle forme eleganti che sanno di una ricchezza che cerca ancora l’avventura tra le vele di due alberi o nei ponti eleganti di una cattedrale marina. Poi però torna Ortigia, i suoi enormi baobab la fontana di Aretusa, torna nelle feste sulle barche luminose ormeggiate ai lati delle grandi mura o in quella nei balconi luminosi delle antiche case. Ortigia vive il suo mare e vive sé stessa, di giorno e di notte, indifferente ai tanti turisti per cui l’hanno camuffata e popolata di ristoranti, vive nel silenzio che avvolge i suoi balconi, nella luce giallognola dei suoi vicoli, nelle feste dei ragazzi nelle sue oscure spiaggette, nel vento che l’attraversa e nel tempo che non la vince. Nel silenzio della notte e nei pub stracolmi, tra tavolini e barche in cui rimbomba la musica da discoteca, come un’antica signora che l’oblio non potrà mai vincere, Ortigia vive.
We had lunch in an old restaurant in Ortigia. Until a few years ago there were two brothers who had inherited it from their father. We were friend and when we sat down at the table they didn't even bring us the menu but a series of dishes with typical Syracuse appetizers. The Meggellina or scoglio pasta, black Sicci's spaghetti (cutttlefish spaghetti) with black sauce, the fried food, the roast, the same cassata with which we finished lunch, followed the seasons, the availability of the moment. Now the restaurant is one of many, with dishes that are beautiful to look at but tasteless, and a menu that is the same as in Milan or Düsseldorf. Syracuse has disappeared from the table in the search for Glamour, for a supposed elegance that justifies a cost that is not balanced with the lunch served. This is why we venture into the night of Origia with the fear of no longer finding its welcoming and ancient soul. We are welcomed by large yachts with elegant shapes that smell of a richness that still seeks adventure between the sails of two masted ship or in the elegant descks of a marine cathedral. But then Ortigia returns, its enormous baobabs, the fountain of Arethusa, returns to the celebrations on the bright boats moored at the sides of the great walls or in the bright balconies of the ancient houses. Ortigia lives its sea and lives itself, day and night, indifferent to the many tourists for whom they have disguised it and populated it with restaurants, it lives in the silence that envelops its balconies, in the yellowish light of its alleys, in the festivals of teeneger in its dark little beaches, in the wind that crosses it and in the time that does not overcome it. In the silence of the night and in busy pubs, between tables and boats in which disco music booms, like an ancient lady that oblivion can never conquer, Ortigia lives.
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La prima notte c'era una Luna sottilissima e, escludendo le effimere luci delle poche barche e quella di un lontanissimo incendio, era tutto così buio e limpido da sentirmi quasi accecato nel fissare la Via Lattea. Le costellazioni e i pianeti mi scorrevano avanti mentre facevo il morto nell'acqua calda e piatta che mi tappava le orecchie isolandomi dal mondo terrestre e dalla mia stessa esistenza. Ho pensato che siamo decisamente egocentrici se guardando tutto questo, nelle varie culture antiche e moderne, ci siamo detti "beh, deve sicuramente avere a che fare con la mia data di nascita, il mio atteggiamento, il mio destino e il mio partner ideale" e ancora oggi (trecento anni dopo l'illuminismo, per dire) nelle ultime pagine di quotidiani, anche rispettabili, c'è l'oroscopo. Ovviamente alle stelle non importa niente di noi e non sono in grado di consigliarci niente riguardo nulla, in ogni caso è decisamente più semplice accettare un consiglio da un'entità immaginaria antropomorfizzata che da un genitore. Invece di dire "non correte con le forbici" l'oroscopo ci raccomanda un più generico "non correte rischi inutili", e così si alterna tra i vari segni con raccomandazioni sagge (un po' banali forse, ma ricordiamoci che a volte è anche necessario ricordarci di bere acqua) e ben adattabili un po' a tutti. Nonostante questa consapevolezza, è difficile scrutare nell'ancestrale bellezza del firmamento senza pensare di aver compreso davvero qualcosa sulla tua esistenza e più o meno anche quella di tutta l'umanità. Io stesso penso di averle sentite, le stelle, che mi dicevano che dopo tutte le casuali direzioni in cui ero stato portato dalla vita adesso ero diretto verso qualcosa di stabile che mi avrebbe finalmente condotto dove dovevo essere. E in effetti ho sbattuto la testa contro una boa, sono uscito e sono andato a dormire. Un po' ora ci credo, alle stelle, però me le immaginavo più metaforiche.
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Le canoe più antiche mai rinvenute nel Mar Mediterraneo, rinvenute al largo delle coste italiane La scoperta delle antiche canoe nel Mar Mediterraneo Cinque antiche canoe sono state scoperte sul fondo del Mar Mediterraneo, utilizzate più di 7.000 anni fa per la pesca e il trasporto vicino a un villaggio neolitico vicino all’attuale Roma. Gli archeologi hanno individuato le barche al largo delle coste italiane presso La Marmotta, un insediamento preistorico sommerso, durante scavi archeologici, come riportato da uno studio pubblicato su PLOS Uno. La datazione e le caratteristiche delle barche Le canoe, costruite tra il 5700 e il 5100 a.C., sono le più antiche mai trovate nel Mediterraneo, realizzate con ontano, quercia, pioppo e
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Le Tombe di granito dei Giganti dai tre occhi
Un tempo la Sardegna era popolata dai giganti ,figli delle stelle che veneravano la luna e avevano tre occhi , due di dietro e uno davanti; occhi rotanti e dalla vista tanto ampia che lo sguardo di quello frontale , da ambo i lati , iniziava dove finiva lo sguardo dei due posteriori.
Questa dote fantastica era utile al grande popolo per sorvegliare meglio il territorio , sopratutto la costa , che spesso veniva presa d assalto da piccoli uomini terribili , meno forzute dei giganti , ma assai superiori come numero e ben organizzati . Portavano elmi cornuti e guidavano centinaia di barche piccole e agili, in grado di insediarsi in qualsiasi anfratto della costa.
Accade un giorno che i piccoli uomini , a migliaia , circondarono i pacifici giganti e li costrinsero a una spietata battaglia. Così i possenti indigeni conobbero la morte, che solo di una morte violenta potevano perire, poiché per natura sarebbero stati eterni, e costruirono per i loro compagni caduti delle tombe di granito. I piccoli uomini , al termine dello scontro terribile , si impossessarono della costa obbligando i giganti rifugiarsi all interno, presso le loro torri di pietra.
La Sardegna era un isola davvero meravigliosa , più di quanto lo sia ancora oggi, e i conquistatori venuti dal mare , certi della loro forza e finalmente trovato il paradiso che ritenevano di meritarsi, pensarono di non aver più bisogno degli dèi. Cosi smisero di rendergli omaggio e di sacrificare loro le bestie.
Offesi per un simile affronto , gli dèi decisero di punire il popolo dei piccoli uomini provocando una grande onda che sommerse le coste dell isola . Si salvarono dalla catastrofe soltanto le alture dove avevano trovato protezione i giganti dai tre occhi, i quali assistettero impotenti al disastro che trasformò la loro terra meravigliosa in una gigantesca palude.
Di storie e racconti come questi che hanno protagonisti i giganti antichi abitanti dell Isola , se ne sentono parecchie e in tutte le parti della Sardegna. Secondo le testimonianze degli anziani a Barumini un paese della Sardegna , precisamente a Pauli Arbarei i giganti sarebbero esistiti davvero. Si parla infatti di ritrovamenti ossei , e di mummie , di uomini di proporzioni fuori della norma con caviglie come quelli dei buoi e esseri di dimensioni tre o quattro volte superiori rispetto a quello degli attuali abitanti dell isola.
Un altra testimonianza si ha nei monumenti funerari di epoca nuragica chiamati " tombe dei giganti " e usati dalla antiche comunità locali come sepolture collettive. In alcune di queste sono state ritrovate gli scheletri di oltre duecento corpi . Che poi nella fantasia e nei racconti delle leggende si pensa siano i resti dei banchetti dei giganti mostruosi , infatti in alcuni paesi le tombe dei giganti vengono chiamati anche Domu' e s ' Orcu ( le case degli Orchi )
GM Lisai -101 Storie sulla Sardegna
( Una delle Tombe dei Giganti ad Arzachena)
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Movida. E' più forte di me. Movida. Non mi so controllare. Movida. Basta poco e ci ricasco io… E' più forte di me." Così recitava una canzone del 2004 degli ATPC, gruppo rap torinese, celebrando un'epoca spensierata e piena di speranze della città, ma di cui già iniziava ad intuirsi la crisi.
Sono passati quindici anni e molta acqua del Po è passata sotto i ponti tra la Gran Madre e Corso Vittorio. Quindici anni fa in quelle acque, da metà primavera ad inizio autunno, si riflettevano le luci dei Murazzi che si riempivano di vita tra locali più o meno alternativi e sottoculture diverse che si incrociavano. I giovani torinesi appesi tra la sperimentazione della precarietà e la visione di un futuro fuori dalla fabbrica dove erano stati tumulati i padri si affollavano ad ascoltare musica, discutere e fare esperienze nuove. Oggi, dal 2012, le arcate dei Murazzi sono deserte se non per qualche presidio di resistenza che continua a tenere accesa la luce.
Nel frattempo il termine Movida ha assunto altri significati nella percezione comune. Il fenomeno della movida è diventato un pomo della discordia in una città che invecchia e si spopola, ma al contempo si riempie di giovani fuori sede con le loro esigenze. Per altri, i soliti noti, ha significato un bel po' di quattrini.
Tutto sommato si può dire che la movida è una delle fabbriche che hanno progressivamente sostituito la vocazione industriale di Torino e che hanno permesso di continuare a fare profitti ai padroni della città o a quei pochi che hanno intuito dove stava girando il vento giusto in tempo. Certo non l'unica fabbrica e non quella più redditizia, ma una tra le altre. Una industria, quella del divertimento, che impiega migliaia di giovani sottopagati e precari, ma su questo ci torneremo più avanti.
Per adesso ci concentriamo su un paio di domande centrali per comprendere cosa è successo: come si è generata questa fabbrica? Come è stato recuperato il bisogno di socialità che migliaia di giovani spaesati dal futuro esprimevano?
Per quanto la narrazione dei giornali e delle tv voglia indicare la movida come un fenomeno "fuori controllo" la verità è che specifici investimenti, piani urbanistici, facilitazioni nella vendita delle licenze, tentativi di "normalizzazione" e dispositivi di controllo e disciplinamento hanno permesso, anzi sponsorizzato, l'attecchire di questa fabbrica in contesti territoriali circoscritti e scelti ad hoc.
Il processo di una movida spontanea, dal basso si è consumato ormai molti anni fa, con il recupero delle esperienze alternative che avevano fatto gridare alla "Torino nuova Berlino", ma rispunta ogni tanto in esperienze di autorganizzazione subito represse e attaccate dai giornali come fu il caso del Botellon in Piazza Valdo Fusi.
Dunque come si è sviluppato questo processo di messa a valore della movida?
Il primo tentativo di convogliare i bisogni giovanili di aggregazione e socialità in un territorio specifico è proprio quello che ha coinvolto i Murazzi tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. Le arcate prima di questo progetto erano le rimesse, per lo più abbandonate, delle barche dei pescatori. L'amministrazione comunale intuisce le potenzialità di quel luogo sotto il profilo economico e di recupero delle rivendicazioni giovanili di quegli anni che volevano rompere con la visione padronale di Agnelli della città che è ben riassunta in queste sue parole: "Torino ricorda le antiche città di guarnigione, i doveri stanno prima dei diritti, il cattolicesimo conserva venature gianseniste, l’aria è fredda e la gente si sveglia presto e va a letto presto, l’antifascismo è una cosa seria, il lavoro anche e anche il profitto." Una città dove non c'era spazio per il divertimento e la socialità, ma che doveva essere impostata sul sacrificio, sulla sobrietà e sull'austerità… ma solo per gli operai, che dovevano tornare a casa presto per svegliarsi al mattino e fare il turno, mentre l'Avvocato magari faceva ancora bisboccia.
I murazzi, dunque, vengono designati come il luogo dove sperimentare un processo che tenga insieme il tentativo di recupero dei bisogni giovanili e la messa a valore di un'area della città sostanzialmente abbandonata. Gli strumenti che vengono scelti per mettere in moto questo processo sono principalmente tre: la concessione di licenze per l'apertura dei locali, la creazione di un servizio di navigazione sul fiume Po e l'istituzione di una ronda notturna di polizia operante fino all'alba.
Questi tre strumenti sembrano abbastanza elementari, ma pongono le basi per lo sviluppo di una vera e propria governance della movida. In primo luogo la concessione delle licenze come facilitazione dell'impresa capitalistica con questo genere di vocazione. In secondo luogo la predisposizione del territorio con la fornitura di nuove attrattive, di trasporti più facili, di infrastrutture e servizi (salati) per convogliare gli utenti e gestirne la permanenza. Infine la forza di polizia come strumento di controllo e disciplinamento dei comportamenti e in certi casi di vera e propria repressione.
Vedremo questi tre elementi ripresentarsi e affinarsi nelle altre zone predisposte negli anni alla movida, ma la differenza profonda è che mentre i murazzi erano tutto sommato una zona abbandonata e in disuso, in una posizione centrale della città, affianco al salotto buono, nel caso di San Salvario, del Quadrilatero e di Vanchiglia la vicenda assume nuove sfaccettature. Queste zone sono state tutte quartieri proletari ed operai dentro al centro o a pochi passi da esso, delle anomalie. Zone con delle potenzialità di rendita molto alte per le loro posizioni strategiche, ma occupate da settori popolari con un basso reddito e altre priorità. L'uso combinato della movida per mettere a valore questi territori e espellere i loro abitanti tradizionali è stata una scelta strategica delle amministrazioni che si sono susseguite e che oggi vediamo in azione anche con i 5 stelle su numeri più grandi e in maniera più cruenta a Porta Palazzo.
Molto spesso accompagnata da una campagna giornalistica martellante sul degrado e la necessità di un recupero, la riqualificazione di queste zone è stata accolta in maniera contraddittoria dalla popolazione che le abitava tra una effettiva necessità di delle migliori condizioni di esistenza e l'intravedere un'opportunità economica. Giusto per capirsi citiamo un pezzo di Repubblica del 2017 che celebra i vent'anni della riqualificazione al quadrilatero con queste parole: "Oggi e domani si celebrano i vent’anni di quella intuizione che cambiò pelle non solo ad un angolo di Torino, rifugio per prostitute e tossici, ma diede una patina nuova alla città. Lo slogan dei festeggiamenti è “Come è bello avere vent’anni”. "Un esempio di collaborazione pubblico-privata - dice il presidente di Confesercenti Giancarlo Banchieri - vent’anni dopo possiamo dire che quella scommessa è stata vinta e che il Quadrilatero costituisce un esempio di movida sostenibile e di buone pratiche che, con gli opportuni adeguamenti, potrebbero essere applicate in altre zone".
Al quadrilatero il rilancio iniziò con la cessione di 40 licenze gratuite per aprire locali, una vera e propria liberalizzazione ante-litteram. Oggi le strade del quartiere sono per lo più deserte durante il giorno e spesso anche nelle serate intra-settimanali per poi vedere qualche passaggio in più nel weekend, ma con una affluenza che neanche lontanamente ricorda i bei tempi. Il quartiere è stato spopolato e valorizzato, ma la valorizzazione in questo gioco non dura mai in eterno e la movida cambia gusti e mode, sceglie altre zone, abbandona quelle precedenti lasciando spesso simulacri vuoti e ristoranti e locali oziosi. Questo genere di messa a valore è vorace e consuma in breve tempo i territori lasciando ben poco dopo il suo passaggio. Persino i valori delle case che in un primo momento salgono vertiginosamente, consigliando ai residenti di spostarsi altrove per affittare le vecchie abitazioni, successivamente crollano a causa degli effetti non graditi della fabbrica divertimento: il rumore, il traffico, la percezione di insicurezza ecc… ecc… come ad esempio si può notare a San Salvario dove i cartelli affittasi e vendesi affollano i portoni di molti palazzi, via via scolorendosi.
Man mano che la movida viene sperimentata e si fa sistema le esperienze di questo tipo aumentano e gli strumenti si raffinano. Vanchiglia in questo senso è paradigmatica: la mutazione del quartiere è stata pensata dall'inizio alla fine. Qui la potenzialità è quella di avere una zona sostanzialmente vergine a pochi passi dalla sede universitaria di Palazzo Nuovo: il quartiere è una vera e propria zona di confine tra il centro e zone più residenziali. Oltre a ciò è un luogo con un suo fascino per le storie che qui sono nate e i personaggi che hanno percorso le sue strade. Dunque è il luogo perfetto per dar vita a un Campus urbano in maniera da, in un colpo solo, mettere a valore il territorio e il consumo degli studenti universitari che in Vanchiglia passano ormai la gran parte del loro tempo. La trasformazione è impressionante: in pochi mesi dalla nascita del Campus Luigi Einaudi bar storici, piccole botteghe, negozietti lasciano il posto a locali pettinati, ristoranti, atelier artistici con qualche presidio di resistenza che dà un tocco di autenticità alla situazione.
Le licenze anche qui vengono quasi regalate e la promozione del quartiere passa anche attraverso una serie di feste in strada ed eventi. Vanchiglia nel giro di pochissimi anni cambia completamente volto.
Il processo parte molto prima però, già nel 2002 si parla di trasformare l'ex Italgas in corso Regina Margherita in una residenza universitaria. Questa area sarebbe stata riqualificata per utilizzarla come villaggio olimpico per ospitare una parte dei giornalisti nel 2006 e poi sarebbe diventata un collegio universitario all'interno del futuro campus. La residenza ancora non è stata costruita, ma nel frattempo atterra nella zona l'astronave Campus che viene inaugurata nel 2012. Nell'estate del 2015 poi sono partiti i bandi per trasformare l'area degli ex gasometri (simbolo del quartiere) nel collegio che sarebbe costruito e gestito in una combinazione pubblico-privato e che dovrebbe ospitare 500 studenti. Come leggiamo in un altro articolo di Repubblica: "L'area dei gazometri diventerà residenza e avrà anche una parte di servizi per gli studenti, come palestre e aree di ristoro. Ma non è previsto in questa trasformazione l'inserimento di centri commerciali. In Comune spiegano che le piastre commerciali verranno comunque realizzate a poca distanza: nel medio periodo dovrebbe infatti partire la ristrutturazione dello scalo Vanchiglia, parte della variante urbanistica 200, legata alla nuova linea 2 della metropolitana." Dunque un'ulteriore riqualificazione di una parte di territorio che si dovrebbe combinare con un'altra zona destinata alla movida come leggiamo ancora nello stesso articolo:
"Quando il progetto di intervento sull'area Italigas sarà completato, la vocazione universitaria dovrebbe trasformare tutta la zona oltre la Dora in una nuova meta per la movida torinese. Un fenomeno che è già in parte iniziato dopo l'entrata in funzione del Centro Einaudi. L'obiettivo è di distribuire sulla carta geografica della città una decina di nuove residenze universitarie in grado di trasformare gli atenei torinesi in un vero e proprio motore di sviluppo economico." Chiara la dinamica, no?
Ma di chi sono le responsabilità di queste scelte?
Sicuramente, come abbiamo visto è determinante il ruolo dell'amministrazione pubblica, ma non solo. A giocare un ruolo centrale sono le banche come Intesa San Paolo, vere e proprie registe della trasformazione urbana e della valorizzazione, i consorzi di commercianti e imprenditori e nel caso di Vanchiglia, naturalmente, l'università.
La movida come fabbrica e i suoi lavoratori
Il quartiere Vanchiglia incrocia qualche parallela e qualche perpendicolare delimitata da fiumi e da grandi corsi urbani che, facendo da collante tra alcuni poli universitari, ha subito nel tempo una profonda trasformazione, caratterizzandosi come una costellazione di bar, locali, ristoranti, air bnb. Il pullulare di formule attrattive per uno specifico target di soggetti ha determinato le modalità di vivere il quartiere e le relazioni al suo interno secondo precise direttrici. Il consumo, non solo in termini di cosa si compra ma anche in termini di tempi e di spazi, è la forma principale di sfruttamento, da un lato del territorio stesso e dall’altro di coloro che lo vivono. I giovani studenti e studentesse, i giovani e le giovani lavoratrici, che frequentano questo luogo non solo vi consumano, ma vengono consumati nel momento stesso in cui il loro lavoro, condizione sine qua non per poter sopravvivere tra affitti, tasse universitarie, libri, socialità, fa gola al profitto di molti. A titolo di esempio, qualche mese fa fu reso noto il caso di un locale, il Bouyabes, in cui il cuoco non veniva pagato per ciò che gli spettava. Durante alcune serate un gruppo di solidali si è riunito per occupare lo spazio antistante il locale per denunciarne la situazione di sfruttamento. Sicuramente non è questo l’unico caso.
In un contesto di sovraffollamento di locali che hanno un’offerta sostanzialmente simile e una domanda che rientra in un target specifico chi ci vuole guadagnare deve pur tirare la coperta, che già è abbastanza corta. Come ottenere profitto dunque in un contesto in cui la concorrenza è spietata e la richiesta rimane molto alta? Soprassedendo sulle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici. Facendo qualche chiacchiera durante l’iniziativa in solidarietà al cuoco del Bouyabes, sentendo i racconti dei compagni di corso o di colleghi di lavoro (perché di lavori se ne hanno almeno due o tre), diventa immediato notare come le esperienze simili si moltiplicano : contratti in nero, mal pagati, orari inumani, straordinari non pagati, flessibilità obbligata e, non da ultimi, maltrattamenti, molestie, obbligo di ringraziare perchè si occupa un posto di lavoro. Le condizioni di vivibilità e accettabilità diventano clausola non scritta nei contratti, quando ci sono, portando con sé il peso della ricattabilità e dell’impossibilità di rifiuto. Al contempo, quando si ha la fortuna di trovare un posto in cui si possa lavorare in un contesto sereno e “sicuro” non si ha la garanzia che possa durare per un tempo utile.
Insomma, una catena di profitti che per non incepparsi utilizza il tempo, i corpi, la disponibilità e l’impossibilità di scelta di tutti e tutte coloro che hanno bisogno di lavorare per poter vivere, facendo leva su un tessuto sociale logorato e disgregato che si tiene insieme sulle dinamiche di consumo, di sfruttamento e di precarietà.
Territorio, utenti e socialità asservita al consumo
Qual’è la trasformazione territoriale provocata dalla dimensione della movida? Su che territorio impianta la sua estrazione di valore?
Al di là della composizione assai variegata, di persone che vivono questo fenomeno di socialità del consumo, un ruolo importante lo gioca il territorio su cui si impianta questo tipo di fenomeno, inteso come rapporto fra elementi architettonici e spaziali e relazioni sociali preesistenti. Il Quartiere di Vanchiglia è un quadrante cittadino ed un quartiere tutto sommato limitato come dimensioni, caratterizzato dalle classiche vie perpendicolari alla torinese, condomini di metà - fine 800, non molto alti, anch’essi caratterizzati dal torinesissimmo sistema a ballatoi su cui poi si sviluppano gli appartamenti. Il quartiere ospita un mercato in piazza Santa Giulia che insieme a Largo Montebello rappresentano i due maggiori spazi aperti del quartiere. Fino a qualche anno fa, all'incirca fino al 2010-2012, la composizione sociale del quartiere era popolare tipica dei quartieri adiacenti il centro cittadino. Semplificando, si può definire di ceto medio-basso e proletaria, con però la quasi assenza in termini numerici significativi di quello che classicamente può essere ascritta alla parte più bassa del proletariato metropolitano spesso ai confini del sottoproletariato. La mancanza di agglomerati significativi di case popolari in Vanchiglia è abbastanza emblematica in questo senso.
È sempre stata presente una componente di studenti fuori sede abbastanza numerosa ma minore rispetto a quella attuale. Anche se questa è sicuramente un’analisi superficiale, serve a capire quali sono stati i cambiamenti negli ultimi 8 anni.
La costruzione del Campus Luigi Einaudi e il masterplan che lo ha accompagnato hanno cambiato le carte i tavola. È aumentata la presenza di studenti agevolata dai prezzi inizialmente bassi degli affitti, aumentati a dismisura negli ultimi due anni, questo meccanismo è stato frutto di un disegno preordinato da Intesa San Paolo, Comune e dinamiche immobiliari private, fra cui quella di numerosi piccoli e medi allocatori che hanno sfruttato l’onda di profitti crescenti.
Questo meccanismo ha scatenato un progressivo aumento della popolazione di studenti, e mescolato alla liberalizzazione delle licenze per l’apertura dei locali ha innescato, insieme ai fattori trattati sopra, uno stravolgimento delle attività commerciali del quartiere e dello spazio comune. L’estensione dei parcheggi a pagamento e un certo intervento sull’arredo urbano hanno facilitato questo meccanismo. All’oggi però va specificato come questo sia ancora un processo in divenire e lungi dall’essere compiuto, e vive ancora molte contraddizioni e stratificazioni sociali fra chi abita il quartiere. Non va dimenticata infatti l’alta percentuale di mono-proprietari che storicamente abitano in zona e che non hanno materialmente la possibilità o la volontà di cambiare casa.
Tutto sommato, si riscontra una presenza di attivismo di quartiere e attenzione alla vivibilità abbastanza sostanziale e capace di interagire con queste dinamiche, non soltanto in funzione delle periodiche attenzioni mediatiche. Il problema della crescita della frequentazione notturna del vanchigliese ha creato una massa di utenti della movida che non interagiscono in maniera organica con il tessuto sociale del territorio e di fatto ne logorano gli equilibri. Una specifica va fatta per i giovani, studenti e non, che vivono entrambi i lati della vita del quartiere.
Il fatto che non ci sia in generale interazione fra la dimensione di utenza della movida e la vita sociale del quartiere, esasperano quelle dinamiche di isolamento sociale e individualismo che già di per sé caratterizzano i rapporti sociali di questa società.
La socialità notturna inasprisce la dinamica di delega al consumo dell’interazione sociale, creando solitudine e rapporti umani tendenzialmente deboli poiché mediati dalla possibilità di avere del denaro o delle capacità da consumare per ottenerli.
Tutto ciò avviene a fronte di un bisogno umano inestinguibile e irriducibile di socializzare, che soprattutto nei giovani rappresenta di per sé una possibilità di alterità e di antagonismo al sistema capitalista. Il rifiuto di estinguere i propri rapporti alla dimensione produttiva e lavorativa (che sia lavoro salariato o studio), è un terreno di contesa e di possibilità per il capitale collettivo nella sua spinta a rendere totale la messa a profitto di ogni aspetto della vita delle persone. Proprio l’origine di questi comportamenti rappresenta un’ambivalenza, che potenzialmente può cambiare di segno.
Ritmi produttivi alti, affitti esosi e accesso sempre più difficile ai consumi, portano ad una socialità (che spesso viene definita come tipica della movida), che viene percepita da chi la vive come dovuta e nel concentrare migliaia di ragazzi e ragazze insieme, è difficilmente governabile solo attraverso l’uso delle forze dell’ordine (i fatti di Piazza Santa Giulia del 2016 lo simboleggiano abbastanza chiaramente), ma necessita di meccanismi di cooptazione molto più raffinati che non sempre sono possibili nei piani di ristrutturazione cittadini.
Nota sull'impatto territoriale dello spaccio
Una breve nota va fatta sul cosiddetto spaccio, che rappresenta una delle tante sfaccettature del meccanismo di messa a profitto che abbiamo provato a descrivere poco sopra. La prima importante differenza è la particolarità e varietà di prodotto che viene commerciato, sembrerà banale ma questa crea dinamiche uniche nel loro genere. È difficile qui affrontare la tematica del consumo di “droghe” e delle sue ambivalenze e contraddizioni e ci soffermeremo brevemente invece sull’impatto territoriale e sociale che questo tipo di narco-industria genera in questo particolare angolo della nostra città.
Premettiamo necessariamente che rifiutiamo qualsiasi interpretazione semplicistica e moralista del problema dei consumi, sia in senso proibizionista che antiproibizionista, e che siamo abbastanza coscienti dei danni provocati da questo tipo di approcci nel corso dei decenni passati.
In Vanchiglia, lo spaccio è cresciuto insieme alle dinamiche speculative immobiliari e di modificazione del territorio dall’alto. Lo spaccio è sempre stato presente in quartiere sia nei fasti della motorcity che nella sua fase di decadenza degli anni 80 e 90; tanto sull’uso padronale dell’eroina è stato scritto, detto e documentato, ma all’oggi crediamo di trovarci davanti ad un fenomeno per certi versi differente.
Il volume di spaccio è cresciuto gradualmente a partire dal 2012, è ha coinvolto principalmente piazza Santa Giulia e le vie adiacenti, inizialmente preponderante era la vendita di erba, hashish, cocaina; ora si estende a crack e ed eroina. Inutile negare che fra la grande presenza di giovani e l’aumento di spaccio ci sia una correlazione, ma non è la sola. Infatti le dinamiche di fornitura e lotta per l’egemonia nel controllo delle “piazze” spaccio in città fra le “mafie” della droga al dettaglio, come quella nigeriana, ne hanno favorito l’organizzazione e la crescita. Negli ultimi anni si sono visti progressivamente diminuire i piccoli spacciatori “indipendenti”, e sono aumentati i veri e propri salariati dello spaccio.
Se il grosso traffico è gestito dalle ‘ndrine calabresi, la gerarchia di quest’industria si diversifica ai vari livelli, ed è ingenuo pensare che con essi non interagiscano in vario modo le istituzioni cittadine, compresa la Questura. L’intensificarsi di retate ad uso e consumo giornalistico di questi mesi, la dice abbastanza lunga.
Il grosso impatto sul territorio di questo odioso raket, va ben aldilà delle percezioni di insicurezza di madamine e ultras del decoro urbano, e ha effetto concreto sulla vita sociale del quartiere. La tendenza di chi pratica questi affari è quella di controllare il territorio per poter massimizzare i profitti e l’irrompere nella scena di crack ed eroina peggiora la situazione. Questo aspetto, al di là delle narrazioni dei media, è abbastanza in marginale e in nuce, ma non è detto che rimanga sempre così. Ovviamente la percezione del fenomeno varia da il tipo di composizione che abita il quartiere e ci sembra che venga percepito da chi vive il solo aspetto della movida, perlopiù come un servizio clienti.
Come in altre situazioni analoghe lo spaccio si lega alla dimensione della movida e assume un carattere predatorio, gli esempi di San Salvario a Torino o di San Lorenzo a Roma sono abbastanza simili, anche se in Vanchiglia non sono dinamiche consolidate.
Questa vera e propria industria viene usata dalle istituzioni per aumentare il controllo poliziesco e disciplinare quegli aspetti della socialità che rappresentano un anomalia o che banalmente mostrano un’indisponibilità a piegarsi al solo consumo. Non vengono colpiti i fornitori di materia prima che spesso sono collusi con le forze dell’ordine e parti dello Stato, ma vengono colpiti occasionalmente i reparti bassi della forza lavoro impiegata, per poi stringere il controllo su di un territorio storicamente riottoso al sopportare una manifesta militarizzazione.
In questo senso l’industria dello spaccio aiuta il meccanismo di trasformazione del territorio ed è parte integrante dei piani istituzionali, anche se da essi venduto come effetto collaterale da controllare. Al saldo finale fa parte di un meccanismo di disciplinamento dei giovani che attraversano la socialità notturna, fa il gioco di palazzinari e banche. Inoltre il fatto che gran parte dei lavoratori impiegati nella vendita al dettaglio siano di origine africana o nord africana, aiuta a costruire retoriche razziste capaci di aumentare la coltre di fumo che occulta i veri responsabili e chi trae profitto dalla movida.
Vivendo il quartiere tutti i giorni crediamo, e da sempre ci siamo battuti per questo, che vada eliminata la presenza di spacciatori dagli spazi autogestiti, e nelle nostre possibilità anche dal quartiere dialogando e interagendo con chi in zona riconosce il pericolo di un attacco alle proprie condizioni di vita materiali, fuori da retoriche razziste e fasciste e al contempo battendoci contro la militarizzazione del quartiere anche a costo di denunce e arresti, perché crediamo che palazzinari e imprenditori della droga abbiano molto più in comune di quanto di solito non si pensi.
Ipotesi per orientarsi
Se, come crediamo, il punto di vista dal quale guardare al “fenomeno della movida” sia evidenziarne le dinamiche da fabbrica predatoria, diffusa su un territorio e che coinvolge numerosi soggetti, è fondamentale capire come lottare in questo campo. Certo è che il processo di trasformazione di Vanchiglia è ormai avviato ma questo non significa che dovremmo accettarne le conseguenze o apprestarci a raccogliere i cocci quando la tempesta sarà passata lasciando il quartiere che viviamo spolpato fino all’osso. Combattere in una fabbrica sociale come quella della movida vuol dire necessariamente frapporsi con la tendenza alla mercificazione della socialità e del territorio, vuol dire richiedere più diritti sul lavoro, consapevoli di non essere singoli dipendenti di un locale, ma parte di una forza lavoro che complessivamente produce su un territorio determinato, vuol dire trovare delle alleanze tra chi subisce gli effetti di questo processo facendo delle specifiche ricadute una forza comune da ribaltare verso l’alto, vuol dire mettere in discussione la valorizzazione come unica possibilità di trovare spazio in un’ottica meramente individualistica.
Significa cercare una prospettiva comune tanto tra gli abitanti del quartiere che affrontano l'invasività e il peggioramento delle condizioni di vita, quanto tra i giovani che si consumano consumando, al fine di rifiutare l’espropriazione di risorse, di ricchezza, di tempo che implica un costo sociale troppo alto per la socializzazione oggi.
Non si tratta tanto, né semplicemente di chiedere una regolamentazione della movida, quanto di pretendere che il quartiere e le forme di relazione che in esso si riproducono non siano un’impresa di profitti per pochi che rapina tutti gli altri. Oggi questo può avvenire solo individuando chiaramente chi sono i responsabili della situazione e chi ci guadagna a discapito di tutti gli altri.
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Passeggiata a Favignana I°parte
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Mi sono divertito? È la domanda che mi ha posto qualcuno non appena sono ritornato a casa dopo un intera giornata di continuo camminare, di scarpinare fino a non sentire più le gambe, fino allo sfinimento. Mi sono divertito? Non ho risposto alla domanda, non ho trovato risposta allora e non ne trovo adesso. Ma di una cosa sono certo, non mi sono pentito affatto di essere andato in quel luogo, di trovarmi lì, solo con me stesso, anche se stavo in mezzo a una marea di persone, tutte febbricitanti come me di fare la loro avventura; loro, però, non erano da soli.
Era tutta l'estate che volevo vivere quest'avventura, non posso negare che quella mattina del quindici agosto, in piena stagione estiva, alle cinque del mattino, ora in cui mi sveglia, divenni alquanto titubante a mettere in atto quanto avevo programmato da tutta la settimana. Quella mattina, uscito fuori non appena mi sono alzato dal letto, il suolo era bagnato, non era rugiada quell'umidità che vedevo ma poche gocce di pioggia cadute qualche ore prima. Il cielo era ancora scuro, a ponente cominciava ad albeggiare, un leggero chiarore, lasciando intravvedere minacciose nubi attraversate di tanto in tanto da bagliori di luci lampeggianti; segno evidente di un temporale. Non mi era chiaro se quella cupa minaccia si allontanasse o se stesse per porre fine ai miei propositi.
Nonostante l'apparente avversità, decisi di oppormi al destino, cominciai a prepararmi per andare. Il traghetto partiva alle sette, non potevo certo rimuginare allungo sul da farsi, dovevo decidere in fretta. Per quanto non sia nella mia natura essere impulsivo, tentai la sorte senza pensarci troppo. Andai in contro a quello che mi avrebbe riservato la giornata, e per quanto negativa avrebbe potuto essere, sarebbe sempre stata un avventura a cui attingere nuove esperienze di vita.
Arrivato al porto di Marsala, mi rimanevano ancora una trentina di minuti prima della partenza, la prima cosa di cui mi preoccupai era fare i il biglietto, possibilmente di andata e ritorno. Sono stato così mal destro, che non pensai minimamente di prenotare il viaggio in rete; fortunatamente non mancavano i posti nel traghetto, sia all'andata che al ritorno. Mentre attendevo nel porto l'imbarco sul traghetto, che avrebbe portato me e gli altri passeggeri sull'isola, il tempo non manco di far ricordare la precarietà della vita, quanto poco controllo abbiamo del nostro destino -il cielo si era nuovamente rabbuiato e non mancò, scherzosamente, di sbriciolare quel precario entusiasmo con una leggera pioggerella-. Incoraggiato dalla presenza degli altri, non pensai minimamente di lasciar perdere e tornarmene a casa. Così, finalmente, venne il tempo di salire a bordo, ed iniziare la mi solitaria avventura.
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L'isola di Favignana non è molto distante dal porto di Marsala, la traversata non durò più di una ventina di minuti, il mare, nonostante il tempo capriccioso, non si poteva dire che fosse poi così tanto agitato. Inutile dirlo, come si vede dalle foto, il cielo coperto ci accompagno per tutto il viaggio, i finestrini della navetta non permettevano una chiara visione dell'esterno, pioggia e spruzzi delle onde che si infrangevano sulla chiglia, li rendevano opachi per le gocce d'acqua che li coprivano dall'esterno. Ma nonostante quella visione ovattata, si vedeva chiaramente che il mondo esterno non prometteva nulla di buono.
Quando arrivammo nei pressi dell'isola, la navetta comincio a virare verso nord per entrare nel porto, lo scafo comincio a ondeggiare con più veemenza, evidentemente, da quel lato dell'isola il mare era più agitato. Ma nonostante tutto, non si poteva negare che la gente non uscissero in mare aperto, anche con barche di piccole dimensioni.
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Appena toccai terra, come d'incanto, il mal tempo sembro scomparire, il cielo si fece luminoso, di un azzurro acceso, le nubi era come del tutto scomparse. Ecco, mi trovavo in terra straniera, in un luogo dove non ero mai stato, in mezzo a gente mai vista, a nemmeno di cinquanta chilometri da casa mia. Non ero mai stato su quell'isola, questa la dice lunga sul mio istinto di esploratore.
Nulla sapevo di quella terra, cercai di informarmi sulla storia del luogo ma dopo un paio di pagine lette sulla rete lasciai perdere, in effetto non trovai molto in riguardo ma è anche vero che non provai ad approfondire. Non sapevo dove andare, non sapevo che vedere, la prima cosa che feci, messo piede a terra, è stato di mettermi sulla prima strada principale che vidi e cercai di seguirla fin dove mi avrebbe portato. Dopo pochi passi mi voltai, feci una paio di foto al porto da cui ero partito per l'avventura, riprendendo il battello che mi aveva portati lì e l'unica montagna, se cosi si poteva definire, alla cui sommità vi era una costruzione diroccata, che io ho interpretato come probabile castello, abitata in un lontano passato dalla signoria del luogo.
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Percorsi in lungo tutta quella via, che per quanto mi sembrava infinita, alla fine arrivo al suo termine. Camminando, con molta flemma, avevo tutto il giorno d'avanti, in quella strada che costeggiava il mare dal lato nord-ovest, la prima cosa che notai furono le rocce della costa battuta dal mare. Erano forme troppo regolari per essere naturali, quel luogo veniva chiamato “zona archeologica”. Non mi sembravano delle vecchie costruzioni quelle che vedevo, vecchi ruderi di cui restavano solo le fondamenta ma piuttosto delle cave dove venivano tagliate delle pietre usate per la costruzione di edifici. Non vi era alcun cartellone a indicare che genere di rovine fossero, a parte la scritta centro archeologico non lessi altro. Ma questa è solo una mia teoria.
Comunque sia, di tanto in tanto feci delle foto, pensando a quei probabili tagliatori di pietre, con i loro antichi strumenti, sotto il sole cocente, o col vento gelido e sferzante che veniva dal mare, intenti a sopraffare la dura roccia per ottenerne prezioso materiale da cui chissà cosa avrebbero costruito architetti e muratori. Ma come ho detto prima, la mia palese ignoranza, mi impediva di sapere, spingendo la mente in assurde ipotesi fantasiose.
Anche se camminavo con una certa flemma, alla fine la strada finì, inoltrandomi verso l'interno del territorio attraversando strade e stradine, avvolte persino sterrate, le cui indicazioni dicevano che erano vie ciclabili. Non sempre biciclette vi camminavano, avvolte incontravo degli scooter e persino delle macchine; probabilmente abitanti del luogo che non avevano voglia di fare il giro lungo delle strade asfaltate.
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Anche nelle vie interne incontrai degli affossamenti, molto simili a quegli scavi nella roccia che vidi in riva al mare, si vedeva chiaramente che si trattava di qualcosa abbandonato da molto tempo, tutte quante erano invase dalla vegetazione, spesso non si capiva chiaramente quanto potessero essere profonde, soprattutto da quanto tempo fossero abbandonanti
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Molti di quegli enormi fossati, presentavano alle pareti, delle aperture, indubbiamente artificiali, erano troppo regolari e squadrate le forme per non esserlo. Forse conducevano in luoghi segreti, siti nel sottosuolo, antiche costruzioni di una perduta civiltà che persino gli abitanti dell'isola hanno dimenticato la loro esistenza.
Al ritmo della mia fantasia, che cominciava a galoppare sempre più freneticamente, stimolata da quel vuoto di l'ignoranza, il cui desiderio di conoscenza cercava di colmare, anche le mie gamba si muovevano di pari passo. Erano le prime ore del mattino, per quanto avessi già scarpinato, non si poteva dire che fossi stanco o che venisse meno il desiderio di esplorare. Favignana, per quanto mi è sembrata grande all'inizio, di certo non è un continente, ben presto quasi senza rendermene conto, sbucai dall'altro lato dell'isola.
Mi trovai dalla parte sud-est di Favignana, strade percorrendo, non camminai più in riva al mare di quelle spiagge rocciose in strade asfaltate, erano tutte strade secondarie, principalmente, indicate dai cartelloni stradali, vie ciclabili. Anche in quel luogo, scavati in una roccia dall'aspetto più friabile e dal colore molto più chiaro dei precedenti ruderi, anche questi tutt'altro che opere naturali; lo si vedeva chiaramente dalle forme troppo regolari, dalle lisce pareti dei fossati.
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