#attenzione agli sconosciuti
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pier-carlo-universe · 10 days ago
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I Carabinieri in cattedra all’Università della Terza Età sul tema “truffe agli anziani”. Tortona
Tortona – Un incontro piacevole e denso di spunti di riflessione, in cui non sono mancate occasioni di confronto e di scambio su esperienze personali, dirette o de relato.
Tortona – Un incontro piacevole e denso di spunti di riflessione, in cui non sono mancate occasioni di confronto e di scambio su esperienze personali, dirette o de relato. È stata la locale Università della Terza Età, nella circostanza, a ospitare l’incontro fra i Carabinieri e gli studenti, che hanno assistito a una insolita lezione sul tema delle truffe. Il Comandante della Compagnia…
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sweetbearfan · 3 months ago
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Dagli sconosciuti sui social non si devono accettare:
caramelle (love bombing)
repliche ad hominem (non hanno alcun valore)
appellativi di ogni tipo (tipo quello di "troia" o misandrica, perché viene da soggetti inetti che non sanno stare in piedi da soli, ma si appoggiano sempre agli altri anche economicamente - credibilità e maturità pertanto pari a zero)
supposizioni (i "forse" non rappresentano la verità) - pseudoscienza (o hai prove di un fenomeno, tipo "dio", o stai zitto)
I social sono un ottimo strumento per imparare a gestire le situazioni difficili anche nella vita reale in cui hai a che fare con soggetti asociali verbalmente aggressivi: qui puoi capire l'importanza di non raccogliere mai una provocazione, qualunque essa sia, ma rimanere sereni, freddi, spiazzando l'interlocutore.
Le persone moleste desiderano attenzione: non offrirgliela li disorienta; impedirgli in ogni modo qualsiasi forma di dialogo, isolandoli, è la cosa migliore da fare.
La pazienza non è una virtù, ma un atto di moderazione che maturi con il tempo e l'esperienza che ti porta a dare più importanza a ciò che ha valore rispetto alle reazioni violente di chi non accetti l'Evoluzione, ma sia ancora fermo incrostato al creazionismo, agli usi, ai costumi, alle tradizioni, alla morale, alla pseudoscienza, ai pregiudizi, al "si fa così perché lo dico io".
La violenza subita, qualsiasi essa sia, non deve intimorirci, ma essere la benzina del nostro motore progressista.
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diceriadelluntore · 1 year ago
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Punti G
In queste settimane, in quanto maschio, mi sono sentito chiamato ad un senso di responsabilità rispetto al mio rapporto, e a quello degli altri maschi, con le femmine. Lo sento doveroso per me, per le femmine mie amiche e a cui voglio bene, per quelle che non conosco a cui però l'essere femmine dà problemi innaturali da parte dei maschi. Responsabile è aggettivo preciso, perchè vuol dire capacità di rispondere reagendo alla situazione della vita in cui ci si trova (dal latino respondere rispondere, composto di re indietro e spondere promettere, più il suffisso -bile che indica facoltà, possibilità).
Faccio più attenzione al modo di pormi, alle parole che uso (esercizio intenso e intellettualmente meraviglioso), quando ho sicurezza della situazione e del rapporto con le persone in una discussione cerco di far notare che è molto più giusto e convincente osservare che èun'idea, una deduzione, una osservazione in quanto tale che è errata piuttosto che metterla in secondo piano rispetto al sesso di chi l'ha detta, alle sue caratteristiche fisiche o a come si è vestita.
Rispetto ad una questione così importante, come sempre accadde in casi simili, la polarizzazione delle istanze rende il dibattito non solo più sterile e aggressivo, ma del tutto fuorviante: chiamare alla responsabilità vuol dire prendere appunto coscienza del disagio che atteggiamenti prettamente maschili verso le femmine provocano, indipendentemente dal ruolo personale (cioè se li ho fatto o meno io), nella speranza che la presa di coscienza del problema induca a pensarlo importante in primo momento, e a cercare di attenuarlo subito dopo. Quindi non è questione di "tutti gli uomini sono etc etc.." (che aggiungo, come costruzione di idee, copia lo stesso schema di tutte le donne sono etc etc... sostituendone solo i termini) ma di iniziare a capire come agire nel naturale rispetto dovuto alle persone.
L'introduzione era doverosa perchè ieri ho letto quello che è capitato a @lalunaelepolemiche (che taggo con il suo permesso), la quale ha scritto un post su un suo stato d'animo mentre era sul treno. Ed era un pensiero erotico. Da lì, una valanga di commenti, in anonimo, che subito sono arrivati a ipotesi su cosa fare, sulle sue tette, sul sul culo e così via tanto che ad un certo punto ha scritto:
L’eterna guerra tette-culo. Ho aperto il vaso di pandora, anzi l’anon, io mi professo innocente.
Il fatto che nella quasi totalità delle risposte usi sarcasmo o ironia non significa che siano state domande piacevoli a cui rispondere, perchè, e lo sottolineo, il mondo non funziona secondo il principio "se penso una cosa, necessariamente questa sia vera"; eppure, secondo un blog di una mia amica qui, è il principio per cui riceve foto di genitali da sconosciuti per il principio "se metti foto da troia, ti tratto da troia".
Il sillogismo è alquanto interessante perchè funziona solo sul sesso: non funziona con i soldi, non funziona con i lutti, con le opere d'arte, cioè, per rimanere nell'esempio ultimo, non succede quasi mai che uno sconosciuto invii la foto di un quadro in chat su un blog che reblogga quadri. Questo meccanismo è indicativo di come, per parte dei maschi, la questione è solo di che tipo di carne si tratta, non di che persona si ha davanti, è il perpetuare di un potere di rango, e dimostrazione più netta è il fatto che al contrario non succede mai, nessuna si comporta con un maschio così.
Ho scritto a @lalunaelepolemiche: Si può definire la capacità di rispondere agli anonimi di Tumblr con simpatia, ironia e sarcasmo un valore da CV?
Lei mi ha risposto così: se alla domanda rispondiamo con si, corro ad aggiornare il mio cv!
A questo punto è d'obbligo il sondaggio:
Un sorriso, amaro, che spero inviti non a non scrivere mai più ad una ragazza e nemmeno a volerla corteggiare, ma nel cercare di togliere da questo pensiero, soprattutto all'inizio, dei modi francamente deprimenti di definirle, di comportarsi anche solo partendo dal principio che nemmeno un maschio voglia essere considerato solo un pezzo di carne.
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mancino · 2 years ago
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Tumblr media
Mi raccomando...
attenzione
agli sconosciuti...
soprattutto
a quelli che...
ci rubano...
il
cuore e....
ecco...
iniziano...
le ...
emozioni....❤️
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cinquecolonnemagazine · 7 months ago
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Quando “12345” non basta: come creare la password perfetta
(Adnkronos) - La nostra esistenza fisica è sempre più intrecciata con quella digitale, in particolar modo nelle fasce più giovani della popolazione. Ecco perché è così importante proteggere le password, a tutela dei propri dati personali. Password deboli e banali come “12345” sono vulnerabili agli attacchi hacker: nel 2024 non si può più fare affidamento su credenziali così fragili. In questo articolo vedremo quali sono le tecniche da impiegare per ridurre il rischio che la tua password venga hackerata, fornendo anche qualche consiglio e strumento utile per aumentare il tuo livello di sicurezza digitale in generale.   Identikit della password perfetta Per prima cosa, le password devono essere lunghe e complesse. Una password dovrebbe essere di almeno 12 caratteri e includere una combinazione di lettere maiuscole e minuscole, numeri e simboli speciali. Ad esempio, una password come "A$5tR&8kL@3m" è molto più solida di "12345". La lunghezza e la varietà dei caratteri proteggono le credenziali dagli attacchi brute force.   Le passphrase, o frasi di accesso, sono un'altra soluzione efficace. Si tratta di stringhe composte da parole casuali, preferibilmente non correlate fra loro, come "LuceNeveLupoAcqua". Le passphrase sono facili da ricordare ma difficili da indovinare, specialmente se contengono numeri e simboli in punti strategici.  Evitare password comuni è un altro step cruciale. Secondo un rapporto di NordPass, alcune delle password più utilizzate negli ultimi anni sono "123456", "password" e "qwerty". Queste password sono facili da prevedere per gli hacker. Bisogna usare password uniche in ogni account, evitando assolutamente di riciclare le credenziali su più profili.    Sempre aggiornati Mantenere aggiornati il sistema operativo e i software è un’altra ottima abitudine per la sicurezza digitale. Gli aggiornamenti spesso includono patch di sicurezza per far fronte a varie vulnerabilità. Non aggiornare regolarmente il software può esporre il sistema a vari tipi di attacchi informatici.  Il phishing è una delle tecniche più comuni utilizzate dagli hacker per ottenere informazioni sensibili. Gli attacchi di phishing possono prendere molte forme: email, SMS ma anche siti creati ad arte, a immagine e somiglianza di servizi affidabili e legittimi.   Non cliccare su alcun link e non scaricare allegati provenienti da sconosciuti, prima di aver verificato l’affidabilità del mittente (o dell'URL del sito web).  Effettuare regolarmente il backup dei dati è essenziale per prevenire la perdita di informazioni importanti in caso di attacco. Conserva i backup in luoghi sicuri, come dispositivi esterni o servizi cloud con sistemi crittografici di protezione.  Le reti Wi-Fi pubbliche sono terreno fertile per gli attacchi degli hacker. Se non puoi proprio fare a meno di collegarti, non accedere a siti sensibili, come quelli bancari, quando sei connesso a una rete pubblica.    Presta attenzione alle notifiche che segnalano attività sospette sui tuoi account. Se ricevi un avviso di modifica di password che non hai richiesto, contatta quanto prima il servizio clienti del sito per aggiornare le tue credenziali. Attiva le notifiche di sicurezza, ogni volta che puoi, per rilevare tempestivamente eventuali tentativi di accesso non autorizzati.   La cybersecurity Visto che il panorama della cybersecurity è in continua evoluzione, è importante non fermarsi mai e continuare a informarsi sulle best practice e le buone abitudini di sicurezza informatica.  Partecipa a webinar, leggi articoli su testate specializzate e segui le raccomandazioni delle principali organizzazioni attive nel settore della sicurezza informatica.   Un gestore delle chiavi di sicurezza può creare e conservare password complesse e uniche per ogni tuo account. Per questo motivo i password manager sono considerati una soluzione pratica ed efficace per conservare tante credenziali in un database crittografato.  Il cuore di questa soluzione tecnologica è un database crittografato, che contiene tutte le chiavi di sicurezza dell'utente, accessibile solo tramite una Master Password. Sulla base di questa, viene creata una Master Key attraverso un algoritmo di derivazione come PBKDF2, utilizzato poi per crittografare e decrittografare le password. Password manager I password manager come quello della piattaforma NordPass utilizzano crittografia AES-256, capace di garantire alti standard di sicurezza. Le password possono essere salvate localmente o sincronizzate su cloud, protette da connessioni HTTPS. Per accedere alle chiavi di sicurezza memorizzate, l'utente deve inserire la Master Password, oltre a un eventuale ulteriore fattore di autenticazione (MFA). I password manager presentano al loro interno dei generatori di chiavi di sicurezza capaci di creare credenziali complesse e casuali. In alcuni casi, offrono anche funzionalità di compilazione automatica nei moduli di login sui siti web, tramite l’utilizzo di specifiche estensioni per i browser.   Le soluzioni di maggiore qualità garantiscono anche la presenza di sistemi di backup crittografati per prevenire la perdita di dati. Alla luce di questi elementi, dovrebbe essere più semplice capire come un gestore delle chiavi di sicurezza possa aumentare significativamente la tua sicurezza online. Responsabilità editorialeAndrea [email protected] [email protected] (Web Info) Foto di Christoph Meinersmann da Pixabay Read the full article
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tecnowiz · 1 year ago
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Come cancellarsi da Facebook dal cellulare
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Facebook è uno dei social network più popolari al mondo, ma anche uno dei più controversi. Se sei stanco di condividere la tua vita privata con milioni di sconosciuti, o se vuoi liberarti dalle notifiche, dalla pubblicità e dalle fake news, puoi decidere di cancellare il tuo account Facebook in modo definitivo. In questo articolo ti spiegherò come cancellarsi da Facebook dal cellulare, seguendo alcuni semplici passi.
Come cancellarsi da Facebook direttamente dal cellulare in pochi semplici passaggi. Liberati dal tuo account e proteggi la tua privacy con la nostra guida facile da seguire.
Cancellarsi da Facebook dallo smartphone Android oppure iOS è semplice e veloce seguendo questi passaggi. Rimuovere il proprio account in modo permanente è una scelta drastica, quindi valuta attentamente se sia la decisione giusta per te. In ogni caso, disconnettersi ogni tanto dai social può avere effetti positivi sul benessere psicologico e permetterti di prestare maggiore attenzione alle attività e alle persone della vita reale. Prova a disinstallare temporaneamente l'app di Facebook se senti che ti distrae troppo durante il giorno.
Cosa significa cancellarsi da Facebook
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Prima di procedere alla cancellazione del tuo account Facebook, devi sapere cosa comporta questa scelta. Cancellarsi da Facebook significa: - Eliminare in modo permanente il tuo profilo, le tue foto, i tuoi post, i tuoi commenti, i tuoi messaggi e tutte le informazioni che hai condiviso sulla piattaforma. - Perdere l’accesso a tutti i servizi e le app che hai collegato a Facebook, come Instagram, WhatsApp, Spotify, Netflix e molti altri. - Non poter più recuperare il tuo account in nessun modo, nemmeno se cambi idea in futuro. Se non sei sicuro di voler cancellare il tuo account Facebook per sempre, puoi optare per una soluzione temporanea: la disattivazione. Disattivando il tuo account, puoi nascondere il tuo profilo agli altri utenti, ma mantenere i tuoi dati e le tue connessioni. Inoltre, puoi riattivare il tuo account in qualsiasi momento, semplicemente accedendo di nuovo a Facebook. Per disattivare il tuo account Facebook dal cellulare, segui questi passaggi: - Apri l’app di Facebook sul tuo smartphone o tablet. - Tocca il menu a tre linee orizzontali in alto a destra. - Scorri verso il basso e tocca Impostazioni e privacy. - Tocca Impostazioni. - Scorri verso il basso e tocca Centro gestione account e poi Dettagli personali - Tocca Proprietà e controllo dell'account e poi Disattivazione o eliminazione. - Seleziona Disattiva account e segui le istruzioni a schermo.
Come cancellarsi da Facebook dal cellulare
Se hai deciso di cancellare il tuo account Facebook in modo definitivo, devi sapere che il processo non è immediato. Infatti, Facebook ti dà un periodo di grazia di 30 giorni, durante i quali puoi ripensarci e annullare la cancellazione. Inoltre, ci possono volere fino a 90 giorni perché tutti i tuoi dati vengano rimossi dai server di Facebook. Per cancellare il tuo account Facebook dal cellulare, segui questi passaggi:
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- Apri l’app di Facebook sul tuo smartphone o tablet. - Tocca il menu a tre linee orizzontali in alto a destra. - Scorri verso il basso e tocca Impostazioni e privacy. - Tocca Impostazioni. - Scorri verso il basso e tocca Centro gestione account e poi Dettagli personali - Tocca Proprietà e controllo dell'account e poi Disattivazione o eliminazione. - Seleziona Elimina account e segui le istruzioni a schermo. Prima di cancellare il tuo account Facebook, ti consiglio di scaricare una copia dei tuoi dati, per avere un backup delle tue informazioni personali. Per farlo, segui questi passaggi: - Apri l’app di Facebook sul tuo smartphone o tablet. - Tocca il menu a tre linee orizzontali in alto a destra. - Scorri verso il basso e tocca Impostazioni e privacy. - Tocca Impostazioni. - Scorri verso il basso e tocca Scarica le tue informazioni. - Seleziona i dati che vuoi scaricare e tocca Crea file. Dopo aver cancellato il tuo account Facebook dal cellulare, ricordati di eliminare anche l’app dal tuo dispositivo. In questo modo, eviterai di ricevere notifiche o tentazioni di riaccedere al social network.
Conclusioni
Cancellarsi da Facebook dal cellulare è un’operazione semplice ma irreversibile. Se vuoi liberarti dal social network più famoso al mondo, devi essere consapevole delle conseguenze che comporta questa scelta. Prima di procedere alla cancellazione definitiva del tuo account, puoi provare a disattivarlo temporaneamente o a scaricare una copia dei tuoi dati. In questo articolo ti ho spiegato come fare, passo dopo passo. Spero di esserti stato utile. Se hai domande o dubbi, lascia un commento qui sotto. Grazie per aver letto il mio articolo. A presto!
Note finali
E siamo arrivati alle note finali di questa guida. Come cancellarsi da Facebook dal cellulare. Ma prima di salutare volevo informarti che mi trovi anche sui Social Network, Per entrarci clicca sulle icone appropriate che trovi nella Home di questo blog, inoltre se la guida ti è piaciuta condividila pure attraverso i pulsanti social di Facebook, Twitter, Pinterest e Tumblr, per far conoscere il blog anche ai tuoi amici, ecco con questo è tutto Wiz ti saluta. Read the full article
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pietroalviti · 1 year ago
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Truffe agli anziani, attenzione a chi bussa, domani, 5 ottobre, a Ceccano il convegno
Continuano le raccomandazioni dei carabinieri per evitare le truffe agli anziani, sempre più frequenti. Stavolta la raccomandazione riguarda gli sconosciuti che bussano alla porta: controlla dallo spioncino prima di aprire, dicono i carabinieri, e, se apri ad uno sconosciuto, fallo con la catenella attaccata! Non far mai aprire ai bambini! Giovedì 5 ottobre, al centro anziani di Ceccano, alle…
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sibilla27vane · 3 years ago
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"Che cosa si nasconde dietro il culto del corpo e dell'eterna giovinezza che interpreta ogni segno di declino, se non come l'anticamera dell'esclusione sociale, certo come l'avvisaglia di un possibile e progressivo disinteresse da parte degli altri nei nostri confronti? Quel che si nasconde è l'idea malata che la nostra cultura si è fatta della vecchiaia, come di un tempo inutile che ha nella morte il suo fine, in attesa del quale, grazie alla chirurgia e alla cosmesi, sopravvive tutta quella schiera di "mummie animate", come le chiama Hillman, di "paradossi sospesi" in quella zona crepuscolare in cui non si riesce a reperire altro senso se non l'attesa della morte...
Il lifting facciamolo non alla nostra faccia, ma alle nostre idee e scopriremo che tante idee convenzionali, che in noi sono maturate guardando ogni giorno in televisione lo spettacolo della bellezza, della giovinezza, della sessualità e della perfezione corporea, in realtà servono per nascondere a noi stessi e agli altri la qualità della nostra personalità, a cui magari per tutta la vita non abbiamo prestato la minima attenzione, perché sin da quando siamo nati ci hanno insegnato che apparire è più importante che essere, con il risultato di rischiare di morire sconosciuti a noi stessi e agli altri"
Umberto Galimberti
(I miti del nostro tempo, 2009)
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quartafuga · 3 years ago
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VIOLENZA #1
Bologna, fine 2018 o inizio 2019, non ricordo. Sono in autobus, è affollatissimo. Passo i primi minuti del mio viaggio in piedi, stretta tra mille persone che come me non hanno fatto in tempo a sedersi nei pochi posti disponibili. Guardo nervosamente l'orologio, ho un treno tra non molto, spero che l'autobus arrivi puntuale in autostazione. Intanto, raggiunte le prime fermate del centro, l'autobus comincia leggermente a svuotarsi ed io riesco ad accaparrarmi un posto a sedere. "Che fortuna" penso "almeno non dovrò farmi gli ultimi 15 minuti in piedi schiacciata tra mille sconosciuti". Mi siedo in un posto singolo, di quelli che preferisco perché così posso avere tutto il finestrino a disposizione. Mancano dieci minuti alla mia fermata, la musica mi riempie le orecchie, rivolgo lo sguardo fuori. Nel corridoio accanto a me la gente continua ad ammassarsi, ma non faccio caso a chi scende e chi sale, la mia attenzione è altrove. All'improvviso sento qualcosa di duro premermi contro la coscia che s'affaccia all'esterno, verso il corridoio. La cosa mi stranisce, non riesco a capire di cosa si tratti, ho anzi paura di capire di cosa si tratti perché un dubbio comincio ad averlo. Cercando di non darlo a vedere mi volto e riconosco accanto a me un uomo alto che si tiene con entrambe le mani a una delle aste dell'autobus e con tutto il suo corpo fa in modo che il suo pene duro si poggi completamente sulla mia coscia. Rimango agghiacciata, non riesco a dire nulla. La pressione continua ad aumentare, si struscia sul mio corpo. Il suo sguardo, come il mio prima, è rivolto fuori dal finestrino, vuoto, come se nessuna violenza stesse avendo luogo. Mi prende il panico, non so come reagire. Poco a poco cerco di spostare il mio corpo quanto più distante dal suo, ma gli spazi angusti del mio posto a sedere mi permettono di spostarmi ben poco. Almeno è qualcosa, penso. È il sollievo di un secondo. Lui, come se nulla fosse, segue col suo corpo il mio ed il suo pene continua a starmi addosso. Ho le lacrime agli occhi, non riesco a dire nulla. La vergogna la paura e lo schifo mi prendono la gola e vorrei solo scomparire. Non riesco più a respirare. Allora decido: devo scendere dall'autobus. Facendomi spazio a fatica fra tutte le persone, il mio violentatore incluso, scendo. Appena fuori scoppio in lacrime. L'aria fredda di Bologna mi riempie le narici, ma non basta a restituirmi il respiro. Resto immobile, nonostante sappia di dover correre perché adesso - essendo scesa prima del previsto - è ancora più probabile che io perda il mio treno. Non riesco a muovere un passo, sono immobilizzata. Poi addirittura mi sgrido, "cosa fai, non è accaduto nulla". Respiro, prendo a camminare mentre i pensieri corrono veloci e le mie lacrime con loro. Con addosso la mia confusione arrivo tutta trafelata in stazione. Prendo il mio treno, tutto scorre come previsto. Dentro però qualcosa intanto muore, una parte di me muore, ed io non me ne accorgo.
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occhietti · 4 years ago
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Ho deciso di parlare solo con gli occhi.
Delle persone che incontro.
Non sono più interessata alle parole che escono dalla bocca.
Perché sono controllabili. Dalla nostra mente.
Ora che incontriamo solo occhi per strada ci possiamo spogliare di tutti gli strati che abbiamo indossato.
E concentrarci sul silenzio assordante dei nostri sguardi.
Che raccontano verità mai dette, emozioni nascoste, urla mai gridate, canzoni mai cantate.
Ho scoperto di non riconoscere più una persona a me cara guardandola solo negli occhi. Come se fino ad ora non avessimo dato importanza agli sguardi.
Che sono in realtà le parole della nostra anima.
E così, pian piano, sto sperimentando questo nuovo modo di comunicare.
C'è un fiume di vita negli occhi di chi incontro.
Mi supplicano di non distogliere lo sguardo, di essere delicata nel modo di osservare, di incontrarci proprio lì. Nel profondo di noi stessi.
Mi sta piacendo. Questo silenzio di comunicazione.
Dove le parole sono solo distrazioni.
Forse in futuro impareremo ad usarle come ricamo del nostro silenzio. E le sceglieremo con cura, con grazia, con attenzione.
Fino ad allora preferisco parlare con gli occhi.
E gustarmi tutta la ricchezza di uno sguardo.
Che anche tra sconosciuti può arrivare lontano.
Mi sto allenando a creare un alfabeto di sguardi.
Che non conosca menzogna, fuga, distrazione.
Solo Verità.
Gli occhi non possono essere controllati.
Seguono solo una via.
Quella del cuore.
- Elena Bernabè
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pier-carlo-universe · 10 days ago
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Truffe agli anziani e alle fasce deboli: istituzioni locali e Carabinieri insieme per promuovere l’informazione e la cultura della prevenzione. Mantovana (Alessandria)
Mantovana – Nuovo incontro fra i Carabinieri e la cittadinanza nella frazione del Comune di Predosa. Anche nell’occasione, le istituzioni locali e il Comando Arma del territorio hanno unito le forze nell’ambito della campagna di prevenzione e contrasto alle truffe, con particolare riguardo a quelle in danno di persone anziane e delle fasce deboli.
Mantovana – Nuovo incontro fra i Carabinieri e la cittadinanza nella frazione del Comune di Predosa. Anche nell’occasione, le istituzioni locali e il Comando Arma del territorio hanno unito le forze nell’ambito della campagna di prevenzione e contrasto alle truffe, con particolare riguardo a quelle in danno di persone anziane e delle fasce deboli. Numerosi i presenti, che hanno potuto…
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vintagebiker43 · 4 years ago
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Quelli che ieri
Quelli che se si entusiasmano per Mattarella, con Pertini avrebbero avuto tre ferocissimi orgasmi multipli.
Quelli che parano il rigore decisivo ma poi glielo deve spiegare Chiellini, che era quello decisivo.
Quelli come gli inglesi, che il calcio l’avranno anche inventato ma non l’hanno capito, e che a batterli, anche se del calcio ti importa poco o niente, si prova sempre quel non so che di esagerato.
Quelli come Berrettini. Finalmente un Matteo di cui essere orgogliosi, un talento purissimo che ha imparato a perdere con un sorriso, perché vincere lo sapeva fare già.  
Quelli che hanno accettato così servilmente la fine del blocco dei licenziamenti avrebbero dovuto saperlo che poi le aziende avrebbero licenziato, sbattendosene i coglioni delle persone. Non è nemmeno difficile da capire, possono farcela tutti: orlando, i grillini, letta, i maratoneti di mentana. Tutti. E infatti lo sapevano, ma probabilmente non gliene fregava un cazzo di niente a nessuno. Ammazzateli, gli operai, se vi creano tutti questi problemi.
Quelli come veltroni, il buonista veltroni, diversamente leader di una sinistra che più di tutti ha contribuito a massacrare, ancora prima dell’Armageddon renzi, e che nonostante questo non approfitta mai della possibilità di fare silenzio, ha definito draghi “il nostro calcio di rigore, quello decisivo, l’ultima chance”. L’ha detto.
Quelli che adesso useranno la vittoria agli Europei come Marlon Brando ne ‘L’ultimo tango a Parigi’, e saranno tantissimi, prima di andarci giù molto pesante. 
Quelli che si emozionano per Vialli e i suoi abbracci con Mancini, che si bagnano le guance per la sua battaglia e la bellezza di quell’amicizia, e io sono uno di loro, spero che poi abbiano la stessa attenzione e la stessa sensibilità per tutti gli altri, quelli che di Vialli hanno lo stesso coraggio e combattono anche loro, ogni dannatissimo giorno, la stessa terribile battaglia, fra sconfitte e successi, fra toccare il cielo per un piccolo bagliore di speranza e ritrovarsi, appena un attimo dopo, scaraventati a terra come uno straccio inutile per una tac venuta male. Parenti, amici, vicini di casa, sconosciuti, che lottano contro quel terrore senza riflettori e spesso senza nemmeno qualcuno a fargli un po’ di compagnia, a dargli un po’ di forza.Ecco, non facciamo sentire soli nemmeno loro.
Quelli come Enzo Jannacci e Beppe Viola che in questi tempi di merda ci mancano da morire.Aggiungete la vostra strofa, se vi va.
Orso Grigio su facebook
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levysoft · 4 years ago
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Il lurker è un soggetto che partecipa a una comunità virtuale (una mailing list, un newsgroup, un forum, un blog, una chat) leggendo e seguendo le attività e i messaggi, senza però scrivere o inviarne di propri, non rendendo palese la propria presenza, o perché non lo reputa necessario, o perché non lo desidera.
Nonostante la propria presenza e generale conoscenza del gruppo e delle sue dinamiche, non partecipando attivamente alle attività non rende consapevoli gli altri utenti della propria esistenza, risultando spesso sconosciuto agli altri partecipanti.
Il termine lurker non ha connotazioni negative, non significa infatti "spiare", anzi, la netiquette richiederebbe tra i suoi passi proprio un periodo di lurking,[1] ascoltare senza parlare prima di iniziare a parlare,[2] un periodo di osservazione allo scopo di farsi un'idea di quali siano "le regole della casa", quali siano gli argomenti e in che modo vengono trattati.
Da lurker deriva anche il verbo lurkare, utilizzato nel gergo di Internet come italianizzazione del verbo inglese to lurk, che può essere tradotto approssimativamente come "osservare da dietro le quinte". Secondo la regola dell'1%, il pubblico dei lurker compone circa il 90% dei fruitori di reti sociali e comunitarie su Internet.
A volte i lurker restano sconosciuti per sempre ai partecipanti della comunità. Altre volte scrivono qualche messaggio molto di rado, dal quale spesso si può desumere la loro attenzione al progetto, il che in genere sorprende i partecipanti attivi. In altri casi ancora, il lurker decide di 'convertirsi' e divenire un utente attivo dopo un periodo più o meno lungo in veste di spettatore.
Dai tempi degli archivi Deja News, successivamente incorporati da Google groups, si è sempre suggerito di fare preventivamente una ricerca e di lurkare proprio per non porre questioni già trattate.
Anche se può disturbare l'essere osservati da qualcuno che resta nascosto, in genere i partecipanti sanno che per gli utenti non sempre è possibile partecipare attivamente alle discussioni telematiche.
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ancorunavolta · 5 years ago
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ancora una volta
DAD o DIP?
Per le ragioni contingenti note a tutti, connesse all’emergenza sanitaria e alla necessità della didattica a distanza, la classe è oggi un laboratorio, in cui la dimensione relazionale in presenza è completamente virtuale. Sul piano didattico, il laboratorio è un ponte fra teoria e prassi; va pensato, costruito, progettato; quindi si analizzano le pratiche e infine si archiviano i risultati. Ancora una volta dobbiamo imparare e insegnare che la competenza è relazione e lavoro condiviso. E se già prima era nostra prerogativa lavorare al come più che al cosa insegnare, al processo più che al prodotto dell’insegnamento, oggi finalmente siamo obbligati a lavorare altrimenti. Pazienza se i dipartimenti e i consigli di classe sono ridotti a incontri via meet in cui ci comunichiamo difficoltà e possibilità. Pazienza se prendiamo atto di decreti e note ministeriali che capiamo poco senza l’interpretazione del DS. Pazienza se le google classroom raddoppiano le diciotto ore settimanali e le nostre preoccupazioni, tanti sono i materiali che abbiamo bisogno di preparare e di correggere per le videolezioni. Speriando tempi migliori, ripenso all’anno scorso, quando facevamo il laboratorio “Suono e immagine in progetto”. Era aprile. Ricordo che a un certo punto una studentessa ha chiesto: “Che cosa vinciamo col video che stiamo realizzando?”. Era una ragazza del secondo anno; poneva questa domanda perché come sapete di solito i colleghi d’indirizzo finalizzano la pratica del laboratori artistici con gli studenti del triennio alla partecipazione a concorsi. Oggi capisco meglio che non ha senso fare didattica senza aver discusso e concordato in anticipo con altri colleghi come strutturare un’attività per determinati ragazzi, per scegliere insieme le opzioni fondamentali. Solo per citare alcuni aspetti della media education: scrivere un soggetto, fare uno storyboard, una scenografia, una regia, una colonna sonora, un montaggio. Già definire con attenzione quali sono le opzioni e quante di queste si possono realizzare a scuola dovrebbe essere compito non del singolo docente ma dell’intero gruppo di lavoro. Ciascuno dovrebbe sentire il bisogno di discutere prima in teoria e poi in pratica (o viceversa) le diverse alternative per trovare l’accordo concreto su una determinata opzione, anche perché alcune di queste possono essere abbastanza contestate. In questo momento di transizione a nuove forme della didattica, vorrei però sgomberare il campo da una polemica inutile: programma-progetto vs esperienza-laboratorio. Di solito infatti, la didattica fatta per laboratorio tiene conto tanto dell’uno quanto dell’altra, in caso contrario l’obiettivo didattico viene finalizzato alla realizzazione di un prodotto col rischio di irrigidirsi in funzione del merito. Di solito a questa polemica si sovrappongono le prerogative della singola disciplina di studio: cineforum vs esperienza audiovideo, per ritornare alla disputa dell’anno scorso. Oggi mi permetto un’osservazione sulla irrilevanza di questa distinzione. La didattica sana progredisce con un dialogo fra attività diverse, senza che sia necessaria una presa di posizione a favore di progetti sul territorio che confinino esperienze didattiche che potrebbero continuare, per esempio. Cosa vorrei dire oggi della media education? Solo un’idea semplice: si può fare didattica a distanza così come si progetta e si realizza un ambiente educativo interattivo. Più precisamente, si possono insegnare i principi di media education partendo dall’uso quotidiano di Internet. Internet non esiste solo per la videolezione del singolo docente. Esistono ambienti analogici o digitali, in presenza o a distanza, per una pluralità di esperienza: l’insegnamento in classe di storia o la media storia, per esempio; l’insegnamento in classe di filosofia o la media filosofia, l’insegnamento in classe di matematica o la media matematica, l’insegnamento in classe d’arte o la media arte, l’uso personale o pubblico dei social, e così via. Chiunque di noi insegni non dice ‘sono un giurista, un filosofo, un matematico o un artista’; al massimo, con supponenza dirà: ‘insegno diritto, filosofia, matematica o arte’ a scuola oppure on line. Questo per tornare alla domanda su come sta andando oggi, in conseguenza dell’emergenza sanitaria. Personalmente ritengo che la risposta sia la più semplice: secondo la natura del mezzo (media) a disposizione. Per esempio, forse in discipline plastiche o pittoriche non conviene procedere su classroom, mentre in inglese o matematica forse sì. Per fare sostegno forse sarebbe meglio procedere con un ambiente meno rigido di classroom, ci sono diverse piattaforme didattiche, si potrebbero provare quelle ibride. E per fare un laboratorio per gioco non c’è bisogno di sottrarre spazio alla disciplina o al territorio. Altra cosa. Se è vero che con la DAD l’apprendimento resta legato alla relazione di conoscenza pregressa fra studente e insegnante, che non può esserne separata, la caratteristica del mezzo (piattaforma o app) condiziona fortemente il rapporto reale degli studenti con i materiali di ogni disciplina, gli elementi vitali per l’apprendimento e gli aspetti operativi della connessione internet, dei dispositivi e delle app di cui si dispone.
Un aspetto importante relativo al sostegno a distanza è il rafforzarsi della relazione fra ragazzo con DF e insegnante di sostegno e il progressivo indebolirsi del rapporto con i compagni di classe. Forse i PEI a obiettivi minimi dovrebbero essere ulteriormente semplificati e sistematizzati dall’insegnante di sostegno, e non solo in qualche disciplina, come capita ora a causa delle inevitabili sovrapposizioni orarie. Nelle videolezioni in cui non partecipa l’insegnante di sostegno gli studenti con diagnosi funzionale sono infatti spesso disorientati, non potendo apprendere le strutture fondamentali delle discipline in funzione dell’adattamento degli argomenti di studio e perché si sentono messi costantemente alla prova nella loro capacità di sperimentare la nuova forma di DAD. Forse i PEI a obiettivi differenziati dovrebbero avere più punti di contatto con l’attività della classe, per garantire almeno un minimo di socializzazione, sebbene virtuale. Immagino che in queste settimane tutti noi abbiamo la sensazione di non sapere come valutare, perché non ci siamo ancora confrontati con quelli che prima di noi hanno fatto DAD e siamo gravati di una quantità di lavoro che attualmente impedisce la riflessione comune e appesantisce la preparazione delle lezioni e dei materiali... Tuttavia mi sembra che ci siano almeno alcuni vantaggi inerenti la media education: 1- è più facile apprendere ad argomentare e a riflettere insieme, docenti e studenti, sulla nuova eesperienza di DAD, avendo simultaneamente consapevolezza della difficoltà comune. 2- Muovendoci tutti in ambiente sconosciuti, gli studenti potranno imparare ad automotivarsi in funzione dell’attenzione da accordare a e della capacità di muoversi in nuovi ambienti digitali. 3- La varietà delle piattaforme didattiche, nel confronto con la coerenza pedagogica delle discipline, può permettere una pluralità di metodologie didattiche, per ciascuna disciplina e per ciascun laboratorio. 4- Sulle pratiche specifiche e all’interno di discipline specifiche, è più facile vedere a grandi linee la forza o la debolezza di una soluzione tecnica. Certamente si tratta di fare scelte didattiche. Quella di uniformarsi alle Google Apps è una scelta didattica per esempio, che ha però un costo più alto per la pratica di laboratorio, potendone compromettere l’interattività (a parte discipline grafiche direi). Senza tralasciare la riflessione sui media digitali che hanno un elevato potenziale di dipendenza e che nel lungo periodo possono danneggiare l’organismo, se non sono adeguatamente utilizzati.
Per concludere, alcune osservazioni sul lab video “Montaggio in gioco” (gioco come ludus, esercizio che si fa senza fatica, a tempo perso) e sul coinvolgimento degli studenti. La struttura dominante videolezione-restituzione nel laboratorio audiovisivo non è molto efficace e perde terreno, quindi è probabile che progressivamente la abbandoneremo. Gli studenti sviluppano le loro capacità creative solo se messi in condizione di esercitarle liberamente, con lo studio e la pratica solitaria e con il costante stimolo dell’insegnante a esercitare autorientamento e pensiero critico insieme ai compagni di classe. Capisco ogni giorno di più che per innescare processi di conoscenza serve tanto l’immaginazione quanto il ragionamento. Di conseguenza, lo sviluppo di comportamenti cognitivi appropriati alla DAD richiede protocolli di osservazione prima ancora di strumenti di valutazione. Non ritengo sia il caso che l’insegnante si limiti a far leva sulla responsabilità degli studenti a seguire tutte le videolezioni proposte e a rispettare la scadenza delle consegne. Occorre anche responsabilmente limitare l’uso dei dispositivi digitali da parte degli adolescenti.
Per tutti questi motivi, segnalo anche alcune forme di media education che potrebbero essere alternate alla videolezione vera e propria. Alcune le ho già provate per il sostegno e per il laboratorio, altre sono in costruzione.
Ricerca-consultazione. Si individuano una serie di materiali multimediali per la consultazione ragionata su internet, ma diluita nel tempo, da suggerire agli studenti. Per ogni materiale lo studente potrebbe essere valutato più per lo studio e le domande che pone all’insegnante che per la comprensione dei contenuti e la capacità di riferire sugli argomenti.
Schematizzazione scritta. Si potrebbe assegnare in streaming o in agenda un unico testo da leggere, perché i ragazzi elaborino uno schema scritto, semplificando l’argomentazione e ripulendola da ridondanze e elementi superflui. Dal confronto degli schemi, scrivendo a sua volta ai ragazzi o invitandoli a una videolezione, l’insegnante potrebbe spiegare l’argomento, che così viene rivisitato nella sua complessità.
Girato a tema. L’insegnante può fissare i temi di un video collettivo da realizzare e spiegare che lo spirito del laboratorio è quello di cimentarsi nella scelta autonoma del soggetto, nella regia e nel montaggio sui temi scelti e con gli strumenti a disposizione (smartphone e software di montaggio). Sentendomi personalmente coinvolta, constato che lo studente tenuto a produrre un microfimato di un numero di secondi definito dovrebbe seguire precise consegne, soprattutto se il suo filmeto deve essere assemblato con i filmati degli altri compagni.
Blog e percorsi Edpuzzle. Per esperienza so che il laboratorio a distanza esige un ambiente interattivo on line. Gli incontri ridotti a poche videolezioni non sono sufficienti. La pratica del montaggio, che secondo il mio personale approccio è particolarmente appropriato a realizzare la media education, è un percorso complesso, che potrà confluire nel futuro prossimo con la creazione di un vlog. Per esperienza so che la lettura per immagini e l’ascolto in crescendo può sottolineare la capacità di ogni studente a operare scelte consapevoli e strutturare l’uso responsabile dei media. Ma perché ciò avvenga, occorrerebbe forse svincolarsi dall’idea di programma tradizionale. In ogni caso, andrebbero adattati i manuali esistenti per lasciare spazio a brevi testi tematici e opere integrali ‘leggere’. Ho indicato la piattaforma Edpuzzle perché può interfacciarsi a classroom ma è più versatile di classroom con classi aperte; soprattutto, permette di realizzare percorsi ibridi che gli studenti possono attraversare seguendo passo passo videolezioni asincrone complete di domande e note audio, adattando così modi e tempi personali di apprendimento.
Queste sono solo alcune possibilità, ancora da approfondire. L’ultima è molto impegnativa, ma è sicuramente la più efficace. Si dovrebbe imparare a studiare e a creare opere audiovisive montando testi, foto, audio, video. Il tutto in una classe aperta. I ragazzi sono stimolati a usare app per scopi reali e credibili, in un contesto non individuale o competitivo, ma pubblico; possono vedersi ed essere visti; sperimentano come un’opera nasca sempre da un’effettiva volontà di comunicare, dalla necessità di esprimere; capiscono che il messaggio ha bisogno di un mezzo appropriato.
Sul terreno specifico del sostegno, resta fondamentale il coinvolgimento dei colleghi dei laboratori artistici. Mai come in questo momento ciascuno fa ciò che può e impara dagli altri.
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app-teatrodipisa · 5 years ago
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Un sogno con Stevenson — Roberto Scarpa
Quand’ero bambino una delle tante cose che desideravo era di essere originale. Ovviamente adesso so che già lo ero e non per merito mio ma dell’irripetibilità della natura, allora però credevo che avrei dovuto faticare molto per esserlo. Così osservavo con attenzione qualche compagno un po’ più grande e magari, violando la prima regola dell’originalità, mi sforzavo di imitarlo. Probabilmente, con tutti i miei sforzi, sono riuscito ad essere veramente originale soltanto nei miei pregiudizi, nelle mie ostinazioni, nei miei difetti.
Originale è una parola che probabilmente sarebbe piaciuta a Robert Louis Stevenson. Lui adorava esserlo e, diversamente da me, gli riusciva benissimo. Proprio questa sua caratteristica, l’originalità, è una delle ragioni per cui qualcuno ancora oggi non lo apprezza quanto merita. Ciò, secondo me, dipende dal fatto che, come in ogni parola, dentro la parola “originale” si nascondono significati molto diversi. Si può pensare, come suggerisce il dizionario dei sinonimi, che originale significhi bizzarro, strambo, unico, esotico, capriccioso, estroso, oppure, come suppongo pensasse Stevenson, che originale significhi “collegato con le proprie radici”, le proprie origini.
Ho appena detto che non tutti apprezzano Stevenson. Però fortunatamente esistono anche molte persone che lo considerano uno straordinario esemplare di umanità. Borges, per esempio, che lo venerava, ha scritto una poesia, I giusti, in cui ce ne spiega qualche motivo.
I giusti
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. Chi è contento che sulla terra esista la musica. Chi scopre con piacere una etimologia. Due impiegati che in un caffè del sud giocano in silenzio agli scacchi. Il ceramista che premedita un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace. Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto. Chi accarezza un animale addormentato. Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson. Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
Questa poesia mi piace per molti motivi, fra cui per il fatto che fra le persone che stanno salvando il mondo cita anche me, anche se non dice il mio nome, poiché anch’io adoro tutto ciò che Borges cita, perfino il fatto che abbiano ragione gli altri. Che mondo sarebbe infatti quello in cui gli altri non avessero ragione? Un mondo di bruti. Molto meglio per tutti invece che gli altri abbiano ragione. Così magari possiamo provare a convincerli di ciò che riteniamo degno o, quando siamo di buonumore, ascoltarli.
Ma perché dovremmo adesso parlare di Stevenson? Perché è la persona adatta per toglierci qualche pregiudizio (con me ci è riuscito) e inoltre perché, siccome in questi strani giorni mi capita di fare molti sogni, ho avuto la fortuna che mi venisse a trovare mentre dormivo placido. Così abbiamo avuto una splendida conversazione e, se avrete la pazienza di seguirmi, ecco ciò che mi ha detto.
«Salve! La disturbo?» – così si è presentato. «Niente affatto. Non ho nulla da fare.» - gli ho risposto. «Benissimo, neanch’io.» «Ma, scusi, lei chi è? Il suo volto mi ricorda...» «Sono Robert Louis Stevenson. Forse ha visto qualche mia immagine.» «Ma certo! Adesso la riconosco. Buona sera Mr. Stevenson.» «Mi dispiace avere disturbato i suoi sogni, ho visto che ne stava facendo di bellissimi.» «Non si preoccupi, anzi, mi ha fatto una bella sorpresa.» «E poi, anch’io sono soltanto un sogno.» «Giusto. Quindi posso tranquillamente continuare a sognare.» «Esatto. Bravo.» «E quindi? Cosa facciamo adesso?» «Niente.» «Niente di niente?»
«Questa sarebbe la mia idea, sì. Al massimo continuare a fare quello che lei sta facendo adesso ed io ho sempre fatto.»
«Cioè?»
«Beh, fumare, leggere qualcosa che mi piace, scrivere a un amico, ogni tanto strimpellare qualche nota sul mio zufolo... Insomma, poltrire.»
«Ma lei non ha fatto soltanto questo.»
«Le garantisco che invece è proprio ciò a cui ho dedicato e tutt’ora dedico tutto il mio tempo. Mi creda.»
«E non ha mai avuto voglia, che so? Di lavorare. Insomma, di fare qualcosa di utile.» «Raramente. Non ho mai avuto quel vizio, per mia fortuna.» «Vizio? Lavorare?» «Certamente. Che altro?»
«E che mi dice allora del tempo che ha dedicato a scrivere? Anche quello era un vizio?»
«Touché. Effettivamente può diventarlo. Perché scrivere, penso lo sappia, è soltanto un pallido surrogato della vita. Ecco, quel vizio - scrivere - l’ho praticato, lo confesso. Comunque mi riferivo all’idea di dover fare qualcosa di utile.»
«Lei, Mr. Stevenson, vuol dire che non lo avrebbe mai fatto? Non avrebbe mai fatto niente di utile?»
«Oh, Dio! Spero proprio di no.»
«Ma se ha lavorato tutta la vita e scritto dei capolavori. Come ci sarebbe riuscito? Non facendo niente? Standosene tutto il giorno a poltrire?»
«Credo che lei, amico mio, abbia un’idea troppo negativa della pigrizia. Si sta annoiando?» «No. Anzi.» «Ecco, vede? Eppure stiamo oziando. Non lo può negare.»
«Non c’è niente di male, ogni tanto.»
«Anzi! Ed io penso che lei dovrebbe farlo più spesso e con più applicazione. Segua il mio consiglio. Se tutti fossimo pigri nessuno si annoierebbe. Mai.»
«Già, credo di capire. Dovremmo almeno farci compagnia? Vuol dire questo?»
«Esatto, invece ci sentiamo, come ha detto poco fa, obbligati a dedicarci a qualcosa di apparentemente utile. Di servire a qualcosa o a qualcuno.»
«Meglio ancora, poi, se ci fa guadagnare qualcosa.»
«Proprio così. Vedo che impara in fretta. Inoltre, e questo è veramente insopportabile, ci viene anche chiesto di farlo con un atteggiamento che non sia troppo lontano dall’entusiasmo. Chi, come me, come noi spero, si accontenta del necessario e preferisce divertirsi, conversare con gli amici, fare delle passeggiate infinite, viene considerato un provocatore, un guascone, uno snob. Eppure, le assicuro, non è così.»
«Secondo Lei, se ben comprendo, esser pigri quindi non significa non far nulla?»
«Esatto. Non far nulla del resto, mi creda, non è affatto facile. A dirla tutta credo che sia purtroppo impossibile.»
«Mi sembra di sentir parlare mio figlio.»
«Suo figlio, anche se non lo conosco, mi sembra un tipo simpatico. I giovani hanno il diritto di abbandonarsi alla pigrizia. Se ci riflette, come ho fatto io, converrà che non è certo un indice di salute essere ben inseriti in una società profondamente malata.»
«Ma così facendo i giovani non rischiano di perdere del tempo prezioso?»
«Questo è ciò che dicono quelli che hanno già una professione e disprezzano chi sta cercando il suo posto nell’universo. I giovani che si rifiutano di partecipare alla grande corsa a handicap per qualche scellino hanno tutto il mio appoggio. La maggior parte di loro paga cara la fretta di partecipare a quella gara. A molti capita di trovarsi a far ingresso nel mondo del lavoro già falliti.»
«Voi pigri invece?»
«Noi pigri, e guardi che io non sono neanche fra i migliori, abbiamo il tempo di prenderci cura della salute e dello spirito. Passiamo molto tempo all’aria aperta, il che è salutare sia per il corpo che per la mente. Inoltre, anche se non dovrei parlar bene di me, possediamo un’altra qualità importante: la saggezza.»
«Me lo dimostri. Sono curioso.»
«Ammetterà che è raro che un pigro si unisca al coro dei dogmatici. Siamo in genere, perché anche fra noi ci sono le eccezioni, dei tipi tranquilli, molto tolleranti nei confronti di tutti e di ogni opinione. Magari non scopriremo nuove verità, ma in compenso ci capita raramente di entusiasmarci per qualche sciocchezza o di abbracciare qualche teoria falsa. Crede che sia facile oziare?»
«Non lo so. A me purtroppo non riesce.»
«Male. Mi dispiace per lei. Non sa cosa si perde.»
«Provi ad aiutarmi. Forse potrei ancora imparare.»
«Per saper oziare ci vuole, tanto per cominciare, un grande appetito, una grande curiosità.»
«Bene, l’appetito non mi manca.»
«E poi una personalità forte.»
«Ecco, qui invece cominciano i guai.»
«I mediocri pensano di esistere solo se si dedicano a qualche occupazione convenzionale. E difatti parlare con loro è sempre di una noia mortale.»
«Perché sono incapaci di abbandonarsi all’ozio?»
«Bravo. Vedo che comincia a capire. Non ne sono capaci perché non sono abbastanza generosi. Così passano il tempo sempre in preda a qualche smania: molto spesso, come ha detto lei, la smania di arricchirsi. Quando non devono andare al lavoro il mondo per loro è solo un gran vuoto. Se hanno cinque minuti liberi, subito si attaccano al loro cellulare, in trance. Come se non ci fosse nulla da vedere e nessuno con cui valesse la pena parlare.»
«Purtroppo molti giovani fanno così oggi, non soltanto noi. Anzi, loro ne sono anche più schiavi.»
«Già. Ho fatto un giretto qua e là e l’ho visto. Lei ha ragione. Però, temo, la responsabilità è in gran parte vostra. State tutto il tempo a pensare solo ai vostri affari. Come se l’anima di un uomo non fosse già fin troppo piccola.»
«Secondo questa sua filosofia non dovremmo lavorare allora?»
«Non ho detto questo. Anch’io ho dovuto saltuariamente farlo. Certo. Ma se potevo, appena potevo, lo evitavo. No, guardi, non sono affatto certo che il lavoro sia la cosa più importante che un uomo abbia da fare.»
«E allora, quale sarebbe la cosa più importante per un uomo?»
«E me lo chiede?»
«Se lo sa me lo dica, la prego.»
«Ma la felicità, diamine! Non c’è dovere che sottovalutiamo di più del dovere di essere felici.»
«Già! Come se fosse facile!»
«Appunto per questo dobbiamo impegnarci, perché non è facile. Però quando ci riusciamo, quando per qualche motivo, o anche senza nessun motivo, ci sentiamo felici, allora ci capita di seminare intorno, inconsapevolmente...»
«Seminare?... Scusi l’ho interrotta.»
«Proprio così: seminare inconsapevolmente dei doni che restano il più delle volte sconosciuti anche a noi stessi. Non ce ne rendiamo conto, ma è così. Un giorno mi capitò di vedere un bambino cencioso, un monello, scalzo, che rincorreva per strada una biglia. Ebbene, aveva un’aria così allegra da mettere di buon umore chiunque lo vedesse.»
«I bambini... ma se non fanno altro che piangere e fare stupide bizze.»
«Sì, nella parte ricca del pianeta, la nostra, oggi è così. Ma se va in India o in Africa o nell’America del sud, ancora troverà bambini come quello che ho visto io. Questo dovrebbe farvi pensare.»
«A che cosa?»
«A incoraggiare i bambini a sorridere piuttosto che a piagnucolare.»
«Ma che c’entra questo con il nostro argomento?»
«Non lo so. Non sia pedante. Secondo me c’entra. Parlavamo del pregiudizio secondo cui la pigrizia è un grave vizio, da estirpare. E che per me non è così.»
«Ma le persone d’ingegno allora, quelle che fanno avanzare il progresso, secondo lei, prima di esserlo sono state pigre?»
«Se non lo fossero state almeno un po’, ci rifletta, come avrebbero fatto a difendersi dai dogmi? A non essere collusi e complici del loro tempo?»
«Ma difendersi dai dogmi non è pigrizia. Occorre una bella dose di energia.»
«Più che energia direi personalità. E la pigrizia, che ne è una diretta conseguenza, aiuta. Noi pigri abbiamo tanto tempo in più rispetto a voi indaffarati. E sappiamo come usarlo.»
«Quindi sareste felici soltanto voi pigri?»
«Non dico questo. Lei ha troppa fretta di tirare delle conclusioni addosso ai suoi interlocutori. Ma io mi scanso per non farmi colpire e poi le chiedo: osservi per un momento una di queste persone industriose che fanno avanzare il progresso. Lo ha mai fatto?»
«Tutti i giorni, purtroppo.»
«Allora converrà con me che non fanno altro che seminare fretta; hanno sempre qualche interesse, fanno affari, e cosa ne ricevono in cambio? Un bell’esaurimento nervoso.»
«Già. È capitato anche a me.»
«Se ne vanno in mezzo alla gente, tesi e acidi, con i nervi a fior di pelle, solo per scaricare un po’ di rabbia prima di tornare al lavoro. Non m’importa quanto o quanto bene lavori quest’uomo perché non è che una piaga nella vita degli altri.»
«Nella mia sicuramente.»
«Faremmo volentieri a meno dei suoi servizi piuttosto che sopportare il suo animo stizzoso. Sono quasi sempre uomini che avvelenano la vita alla sorgente. E «Un’anima triste – ha detto una volta Steinbeck, col quale adesso mi capita di conversare spesso – uccide velocemente, molto più velocemente di un germe». Lo tenga a mente.»
«In effetti ne conosco qualcuno e sono esattamente come li descrive.»
«Osservi invece un uomo o una donna felici...»
«Felici, lei dice, perché pigri.»
«Probabilmente. Ma non è quello che ho detto, non amo fare affermazioni così nette. Preferisco contraddirmi piuttosto.»
«E... quando si contraddice che fa?»
«Diamine! Mi congratulo con me stesso. È utile contraddirsi sa? Impedisce che lo faccia qualcun altro. E poi, soltanto gli sciocchi non cambiano opinione.»
«Beh, ma davanti a due opinioni, qualcuno avrà pure ragione, sarà nel giusto. O no?» «E se invece tutti avessimo ragione?» «Non credo sia possibile.»
«Invece è il mio parere. Quando mi trovo davanti a due ipotesi opposte, secondo me niente è più certo del fatto che entrambe siano giuste, eccetto forse che entrambe siano sbagliate.»
«Una teoria davvero strana. Però, mi scusi, l’ho interrotta ancora una volta. Prosegua, la prego.
«Osservi, dicevo, un uomo o una donna felici. Sono come fuochi che irradiano benessere. Il loro ingresso in una stanza sembra accendere una candela in più. E sa perché?»
«No. Perchè?»
«Perché dimostrano nella pratica il teorema più grande, il teorema della vivibilità della vita.»
«Ma allora, mi scusi Mr. Stevenson, mi pare di capire che secondo lei la pigrizia è un ingrediente necessario della creatività. O mi sbaglio?»
«Che strano termine: creatività. Cosa sarebbe?»
«È una parola giovane. Ai suoi tempi ancora non era in uso. Diciamo, la capacità di inventare qualcosa di nuovo, per esempio, nel suo campo, la capacità che ha avuto lei di scrivere dei capolavori.»
«Capolavori! Ma la sua è una fissazione. Al diavolo i capolavori. Compongano pure i miei amici scrittori i loro dannati capolavori, purché mi lascino in pace.»
«Ma lei come ha fatto? Avrà pure avuto un segreto, un suo metodo?»
«Metodo? Che noia. Ora che mi ci fa pensare però... forse sì, un metodo l’ho avuto: far felici i miei lettori. Volevo si sentissero, una volta dentro le storie che raccontavo, come maiali fra le ghiande.»
«Maiali... Fra le ghiande...»
«Esatto. Li ha mai osservati? Ha visto come sono felici? E poi ho sempre e soltanto seguito il mio naso. O meglio, ciò che mi suggeriva un mio amico.»
«Ah! E chi era? Il suo figlioccio Lloyd Osbourne?»
«No, parlo del mio compagno invisibile. L’ho anche scritto in una poesia. Ma siccome era una poesia per bambini nessuno mi ha voluto credere. Pensavano scherzassi. Come se io ai bambini potessi dir bugie.»
«Non la conosco. Me la potrebbe leggere?»
«When children are playing alone on the green, In comes the playmate that never was seen. When children are happy and lonely and good, The friend of the Children comes out of the wood.
Nobody heard him and nobody saw, His is a picture you never could draw, But he’s sure to be present, abroad or at home, When children are happy and playing alone.
He lies in the laurels, he runs on the grass, He sings when you tinkle the musical glass; Whene’er you are happy and cannot tell why, The Friend of the Children is sure to be by!
‘Tis he, when at night you go off to your bed, bids you go to your sleep and not trouble your head; for wherever they’re lying, in cupboard or shelf, ‘Tis he will take care of your playthings himself!»
«Potrebbe tradurla per favore.»
«In sintesi dice questo: Se vedi un bambino che gioca da solo, stai certo che accanto, in piedi o seduto, con lui c’è l’amico che mai fu veduto. Quando sei felice e non sai dir perché, l’amico invisibile è certo con te.»
«E dunque lei aveva questo amico invisibile.»
«Vedo che purtroppo anche lei appartiene alla triste schiera degli scettici. Sbaglia, mi creda. E poi non era soltanto uno. In realtà erano molti.»
«E... che cosa facevano?» «È una lunga storia... Sicuro di volerla ascoltare?» «Con il più grande piacere.» «Il fatto è che io, fin da bambino, ero un sognatore irriducibile. Facevo sogni alle volte
assai strani. Ero perseguitato, ad esempio, da una certa sfumatura di bruno che temevo moltissimo. A quel tempo mi sarei separato assai volentieri da quei sogni opprimenti. Ma poi, a mano a mano che crescevo, gli incubi cessarono e vennero sostituiti da lunghi viaggi piacevoli in cui, senza bisogno di alzarmi dal letto, visitavo strane città e luoghi bellissimi.»
«In compagnia di questo amico invisibile?»
«Non riesce proprio a togliersi il vizio di interrompere, vedo. Non le hanno insegnato le regole della conversazione? Abbia pazienza e mi faccia finire. Se faccio una lunga pausa, allora significa che desidero intervenga. È semplice.»
«Sì. Mi scusi, a volte è più forte di me. Prosegua.»
«In seguito, mentre ero studente, cominciai a sognare con regolarità e a condurre una doppia vita, una di giorno e una di notte.»
«E quale rapporto c’era fra queste due esistenze?»
«Dell’una avevo tutte le ragioni di credere fosse vera, dell’altra non avevo nessun mezzo per provare che fosse falsa.»
«Un bel pasticcio!» «Può dirlo forte. Fu a questo punto che entrò in scena questo mio compagno invisibile.» «E la salvò? Vorrei tanto che me lo descrivesse.» «Ah! Era un amico perfetto, allegro, burlone... Quanto ci siamo divertiti assieme.» «E che fece quest’amico invisibile per salvarla?»
«Mi presentò, dato che non è un tipo geloso, dei nuovi compagni di giochi che io chiamavo gli Omini. Furono proprio loro, gli Omini, a prendersi cura del piccolo teatro che nel mio cervello stava acceso tutta la notte.»
«In sogno?»
«Sì, in sogno o in dormiveglia... Conoscerà quella sensazione: metà svegli e metà addormentati. Che fa quando ci si trova?»
«In genere mi costringo a svegliarmi.»
«Perché? Che peccato! È una sensazione bellissima, di grande libertà. Provi a rimanerci invece.»
«Mi sembra di perdere del tempo.»
«Che strano! È esattamente il contrario: un modo per trovare un’altra dimensione del tempo. Potessi vivrei soltanto così.»
«Perché non mi racconta che cosa le capitava quand’era in questo stato?»
«All’inizio questi Omini tenevano il palcoscenico in modo un po’ confuso, come bambini entrati in teatro di soppiatto che non sanno bene che fare. Col tempo però le cose si sono fatte più precise. Mi sono esercitato insieme a loro, ho imparato a sognare storie complete e perfino a tornare sullo stesso sogno per più notti. Facevo sogni assai strani... Si figuri che una volta ho sognato di dover inghiottire il mondo intero e tutti i suoi abitanti.»
«Che incubo tremendo!» «Può dirlo forte. Mi svegliai terrorizzato, urlando.» «Lo credo bene.»
«In seguito però, quando cominciai a condurre quella doppia vita, una di giorno e una di notte, di cui le dicevo, i patti tra me e gli Omini cambiarono radicalmente. Iniziarono a mettermi davanti, sul loro palcoscenico ben illuminato, interi brani di splendidi racconti.»
«Insomma, un po’ come a teatro?»
«Precisamente. Me ne stavo tranquillamente seduto in un palco e questi instancabili folletti mi presentavano racconti migliori di quanto io stesso avrei potuto inventare! Non era mio il racconto ma degli Omini.»
«Ma... Chi sono gli Omini?»
«Sono degli Gnomi, ovvio, e facevano metà del mio lavoro mentre ero profondamente addormentato e probabilmente il resto quando ero ben sveglio e credevo ingenuamente di essere io a svolgerlo.»
«Mi faccia un esempio.»
«Una notte gli Omini allestirono per me un sogno molto particolare. Da tempo volevo scrivere una storia sulla doppiezza dell'uomo e mi arrovellavo la mente per scovare un intreccio di qualche tipo. Finalmente arrivò la notte giusta e il sogno che tanto aspettavo. Così al mattino, al risveglio, dissi a tutti: “Non disturbatemi per nessun motivo, neanche se la casa prende fuoco. Devo scrivere.”»
«E che cosa scrisse?»
«Furono tre giorni di clausura fantastici al termine dei quali, non ci crederà, chiamai mia moglie Fanny e il mio figlioccio Lloyd. Tutto emozionato gli lessi a voce alta quello che avevo scritto. Lloyd ne fu rapito.»
«E Fanny?» «Mi criticò aspramente. Potrebbe essere un capolavoro, mi disse, ma non com’è adesso. «E allora lei che fece?»
«Mi infuriai, ovvio, e uscii di casa. Vagabondai per qualche ora e quando tornai avevo la febbre alta. Così mi misi a letto, termometro in bocca, e poi chiamai quel terremoto di mia moglie. Avevo molto riflettuto e dovevo proprio dirglielo.»
«Che cosa?»
«Così la guardai dritto negli occhi, perché sapevo che lei mi temeva quando facevo così. Feci una lunga, terribile, pausa e poi d’un fiato le dissi: «Fanny... hai ragione te».
«Le sarà costato ammetterlo.» «Moltissimo.» «E quindi?» «Quindi - al diavolo la febbre! -, mi rimisi al lavoro.» «Ah! Ecco! Qui la volevo. Alla fine dovette lavorare.»
«Purtroppo. Come le ho detto non sempre ho potuto farne a meno. Comunque, com’è come non è, magicamente guarii. Non mi ero mai sentito meglio. Dopo altri tre giorni uscii dal mio studio con il manoscritto de Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde.»
«Gli Omini... non ci posso credere... le avevano raccontato loro quella storia?»
«Oh, non soltanto quella. Me ne hanno raccontate tante. Purtroppo non ho avuto il tempo per scriverle tutte.»
«Una bella fortuna la sua. Anche se poi dovette lavorarci su un bel po’.»
«Sì, ma il nocciolo della storia non avevo dovuto inventarlo io. Io dovetti solo fare il lavoro dell’artigiano: piallare un po’, mettere un po’ di colla, lucidare. Cose così.»
«E poi che successe?» «Il successo fu immediato. In sei mesi ne furono vendute, pensi, quarantamila copie.» «Sarà stato un record per quei tempi.»
«Lo fu. La storia contagiò come un virus, i sacerdoti la citavano nei sermoni, se ne fecero traduzioni, versioni teatrali, uscirono decine di articoli. Tutti volevano saperne di più su quella strana coppia. I nomi di Jekyll e Hyde diventarono sinonimi di bene e male in tutto il mondo e io una celebrità.»
«Non lo era già dopo L’isola del tesoro?»
«Quel libro! Lo amo come un figlio ma mi aveva reso famoso soprattutto in Inghilterra. E non credo fosse stato capito fino in fondo. Pensi che era stato considerato un racconto per ragazzi! Jekyll e Hyde invece mi resero famoso dappertutto.»
«E quindi finalmente si sentì capito?»
«Niente affatto. Anzi, pensai che dovevo aver fatto qualcosa di sbagliato, altrimenti non sarei diventato così popolare. E difatti quanti equivoci dovetti ascoltare!»
«Equivoci, Mr. Stevenson? Perché?»
«Perché? Rifletta. Dov’è il Bene in Jekyll e Hyde? Nessuno ma proprio nessuno sembrò notare il fatto che Hyde era stato creato da Jekyll. Hyde è soltanto il sicario ma il mandante è Jekyll. Quindi sono colpevoli entrambi e Jekyll in misura maggiore.»
«Un’incomprensione che dev’essere stata davvero fastidiosa.»
«Ma non creda che oggi sia diverso, che voi ve la passiate meglio. Ipocriti e Puritani secondo lei sono stati sconfitti? Avreste fatto progressi?»
«Temo di no... La ringrazio del racconto degli Omini. Ci rifletterò.» «E rifletta pure sulla pigrizia, mi dia retta.» «Lo farò. Però avrei ancora un’ultima domanda.» «Se posso le risponderò volentieri.»
«Secondo lei c’è speranza per l’umanità?» «Speranza di riuscire a raggiungere qualche risultato?» «Sì. Non ci dispiacerebbe.» «Lei, se capisco bene, mi sta chiedendo se è lecito attendersi un premio per i nostri sforzi? «Credo sia un desiderio naturale.»
«Mi dispiace dirglielo, resterà deluso. Non il successo, non la felicità, neanche la tranquillità della coscienza, niente di tutto questo arriva a premiare i nostri inutili tentativi di fare il bene. Perché ho l’impressione che lei stia parlando di questo.»
«Certo. Ma, inutili perché?» «Perché quelle che pomposamente chiamiamo “le nostre virtù” sono sterili.» «Cioè secondo lei non c’è differenza fra avere ragione o avere torto.»
«Lasci che siano il moralista e l’ipocrita a parlare della ragione e del torto. Se al contrario riuscirà ad osservare con sguardo puro il volto della nostra piccola terra, scoprirà che
ragione e torto cambiano al cambiar del clima, che una certa azione in un luogo è onorata come virtuosa in un’altro bollata come depravata.»
«È un pensiero che davvero toglie il respiro. Come sarebbe bello un luogo dove tutto fosse pulito.»
«Purtroppo sulla terra niente è pulito: la sorgente incontaminata, già quando sgorga dalla montagna, è tutta un pullulare di vermi in lotta per la sopravvivenza. La continua lotta per la vita di ogni creatura è un pensiero insopportabile al nostro cuore e così cerchiamo di nasconderlo. Invece dappertutto le vite fanno a pezzi altre vite, se ne ingozzano e ingrassano: il vegetariano, la balena, forse l’albero, non meno di quanto faccia il leone del deserto; perché il vegetariano in fondo è soltanto uno che mangia il muto.»
«Sa, questa cosa, l’ipocrisia del vegetariano, l’ho sempre pensata anch’io.»
«Nel frattempo la nostra isola ruotante, appesantita da tutte queste vite di rapina, inzuppata di sangue, sia animale che vegetale, più di un vascello ammutinato, fende lo spazio a velocità inimmaginabile e porge ora una ora l’altra guancia al riverbero di un mondo fiammeggiante lontano nove milioni di miglia. No, non è davvero strano, mi creda, se siamo tentati a disperare del bene.»
«Vuole dire che chiediamo troppo?»
«Voglio dire che la domanda che ci facciamo – la domanda di aver successo nella lotta per il Bene, la domanda di avere una ricompensa – è una domanda sbagliata.
«E la domanda giusta qual è?»
«Perché il Male esista. Perché Dio lo permette? Questa è stata la domanda della mia vita. Ma non ho trovato risposta. Non posso aiutarla. Posso soltanto dirle che l’uomo è tante cose e che di tutto ciò che siamo non si può rinunciare a niente.»
«Proprio a niente? Io a qualcosa rinuncerei volentieri.»
«Non può. Deve prenderlo tutto l’uomo. Se lo guarda con attenzione vedrà uno spettro mostruoso; una cosa che a vederla i bambini piangono.»
«Appunto.»
«Tuttavia, se lo guarderà più da vicino, vedrà anche come sono sorprendenti i nostri attributi! Povere anime, viviamo così poco, gettati in mezzo a tante difficoltà, riempiti di desideri smisurati e contraddittori, smisuratamente infantili, talvolta valorosi, spesso gentili in modo commovente; capaci di sedere, nel mezzo delle nostre vite passeggere, a dibattere sul diritto e sul torto e sugli attributi della divinità; di dar battaglia per un uovo o morire per un’idea; di partorire con dolore e educare con cura e pazienza i nostri piccoli.»
«Insomma, un mistero.»
«Per quanto mi riguarda, quando mi sono sforzato di arrivare al nocciolo di questo mistero ho scoperto un pensiero strano, che rasenta la follia.»
«Quale?»
«Il senso del dovere; il senso di qualcosa che sarebbe, chissà mai perché, dovuta a noi, al nostro prossimo, al nostro Dio.»
«Forse era così ai suoi tempi. Oggi non sono sicuro che il senso del dovere sia ancora al centro dei nostri pensieri.»
«Impossibile. È sempre stato, le assicuro, e sarà sempre così.»
«Così? Per tutti?»
«Anche se il progetto nella maggior parte degli uomini è di essere conformisti, mi creda, in tutti, con varie sfumature, c’è un senso radicato del dovere. L’uomo ne è influenzato in modo così totale che le cose semplicemente egoistiche finiscono in secondo piano anche per gli egoisti: che perfino il più insensibile indietreggia al rimprovero di uno sguardo, fosse anche quello di un bambino.»
«Mi dispiace insistere e doverla contraddire. A me non pare proprio che quel che dice sia valido ancora oggi.»
«Lei intende parlare della tragedia di malintesi e pessimi comportamenti che l’uomo mostra generalmente: ingiustizia organizzata, violenza vigliacca, perfida criminalità; per non parlare delle schiaccianti imperfezioni che si trovano perfino nei migliori.»
«Già. Del resto lei ce le ha mostrate in modo magistrale nei suoi romanzi.»
«Non ne sono sicuro. Non c’è modo che sia capace di rappresentarle per come sono, cioè sufficientemente squallide.»
«Ma allora, se siamo destinati a fallire nei nostri sforzi di fare il bene, agitarsi tanto, darsi da fare, sarebbe inutile. Tanto varrebbe alzare bandiera bianca.»
«No, questo mai. Se anche i migliori deludono regolarmente, quanto è più importante, dieci volte più importante, che tutti continuiamo a lottare.»
«Ma non capisco. A che pro?»
«Non per un premio ma perché è il nostro compito. E comunque vi troverà una fonte di commozione e di ispirazione.»
«Quale? Cosa troverò?»
«Potrà constatare che, anche se il successo resterà in esilio per sempre, la nostra razza non cesserà la sua lotta faticosa mai. Non importa in quale clima lo osserviamo, in quale stadio della società, caricato da chissà quale erronea moralità. Ah! Fossi stato capace di mostrarvi tutto ciò! Capace di raccontarvi, voi uomini e donne, in balia di ogni tipo di oltraggio e di errore, di ogni tipo di fallimento, senza più speranza, senza aiuto, senza ringraziamenti, che pure ancora combattete in silenzio la battaglia perduta della virtù! Perché questo - il desiderio del bene - non è soltanto il nostro privilegio e la nostra gloria, bensì il nostro destino.»
«Ma lei ce lo ha mostrato.» «Non quanto e come avrei voluto.» «Non vorrei sembrarle accondiscendente, però mi sembra troppo severo con se stesso.»
«Dio solo lo sa. E comunque Dio non voglia che sia l’uomo, l’eretto, il ragionatore, il saggio, Dio non voglia che sia l’uomo a stancarsi di ben operare, a disperare per i suoi sforzi non ricompensati o a parlare la lingua noiosa del lamento.»
«Ammetterà che ci vuole una grande fede per non arrendersi.»
«Sia sufficiente alla sua fede constatare che il creato tutto geme per la sua fragilità mortale e tuttavia non smette di lottare con costanza indomabile.»
«E se, nonostante ciò, fosse tutto vano?»
«No! Non dica questo!»
«Non lo dirò. Si calmi.»
«Le dirò un’ultima cosa, l’unica forse di cui sono testardamente certo: Sicuramente non sarà tutto invano.»
«Sono contento che lo dica. Ma...» «Lo tenga bene a mente.» «Lo farò.» «Purtroppo adesso devo andare.» «Mi dispiace. Ozierei con lei ancora molto a lungo. Avrei ancora tante domande.» «Addio, amico.»
«Addio.»
Ed è stato così che Stevenson mi ha lasciato ed io mi sono svegliato, con quelle cinque parole che mi frullavano in testa: sicuramente non sarà tutto invano. Che sogno! Avevo bisogno di respirare ma non volevo dimenticare ciò che mi aveva detto. Chi avrebbe mai immaginato di poterlo ascoltare. Adesso avevo capito perché Borges ha messo Stevenson fra i Giusti.
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cinquecolonnemagazine · 9 months ago
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Truffe telefoniche anziani: come proteggersi
Le truffe telefoniche (e non) ai danni degli anziani in Italia sono sempre più diffuse e il numero delle vittime in costante aumento. Rispetto al periodo pre-Covid, sono aumentate del 20%. I raggiri sono diventati sempre più sofisticati e fanno leva su due grandi debolezze degli anziani: la solitudine e l'ignoranza. Molti anziani, infatti, vivono soli e non sono pratici degli strumenti digitali. Alle loro porte suonano ancora falsi addetti delle società energetiche o dell’Inps, fantomatici avvocati che chiamano a casa. Assoutenti, per aiutare gli anziani a difendersi dalle truffe ha deciso di diffondere il decalogo realizzato dall'Arma dei Carabinieri. Truffe telefoniche anziani: i dettagli rivelatori Anche se ben congegnate, le truffe hanno tutte dei dettagli rivelatori, basta saperli riconoscere: - Offerte troppo vantaggiose: quando l'offerta proposta è troppo vantaggiosa e non controllabile è facile che si tratti di una truffa. Si può essere "agganciati" per strada, al telefono, via posta e anche via web. - Attenti alle apparenze: la persona che propone la truffa ha sempre un'apparenza distinta, cordiale e disponibile. In una parola: rassicurante. Se si casca in questa trappola diventa più facile per il truffatore arrivare a meta che sia rubarvi il portafogli se siete in strada, oppure i gioielli se siete in casa e gli avete aperto la porta. Se il contatto è stato telefonico a rassicurare sarà stata la parlantina sciolta. Piccole accortezze sempre valide A volte, per non incappare in un raggiro, basta seguire piccole ma importanti regole di buonsenso: Non aprire la porta: la regola aurea è non aprire la porta agli sconosciuti. Come primo passo si può guardare la persona dallo spioncino e se volete aprire utilizzate la catenella alla porta.Se vi è stato proposto un elettrodomestico o un qualunque altro oggetto da acquistare è bene non effettuare mai il pagamento in contati. Preferire il bollettino postale che dà garanzia sulla società che ha venduto il prodotto. I fantomatici pacchi ordinati da parenti in viaggio vanno fatti lasciare fuori la porta e se c'è da firmare è bene farlo tenendo la porta assicurata con la catenella. Qualora si venisse contattati per telefono è bene non dare confidenza. Una parola tira l'altra e si può finire per dare informazioni personali importanti. Se chiamano sedicenti avvocati che chiedono urgentemente denaro per un vostro familiare in difficoltà e dicono che un incaricato verrà da voi a prelevarlo, magari disposto ad accompagnarvi al Bancomat, non fidatevi. Non pagate in nessun caso. Piuttosto rivolgetevi ad una persona di fiducia. Chi usa Internet deve fare attenzione a preservare la riservatezza dei propri dati, non solo bancari, impostare password complicate e avere un buon programma antivirus. Non aprire mai le e-mail che arrivano da sconosciuti. Non mandare mai i bambini da soli ad aprire il portone o la porta di casa. Avvertiteli di non dare confidenza agli sconosciuti, non accettare dolci da loro. Restate concentrati: i truffatori tendono a confondere e a distrarre le loro prede. Una battuta spiritosa o una piccola spinta possono nascondere un tentativo di borseggio soprattutto in luoghi molto affollati. In caso di scippo non trattenete la borsa: il tira e molla potrebbe procurarvi una caduta dalle spiacevoli conseguenze. Bisogna sapere che... Per evitare di incappare in truffe è bene sapere che: - I tecnici gas e luce, funzionari di Inps, Comune e Poste non si presentano mai nelle case delle persone senza preavviso. Inoltre, non compete a loro la riscossione delle bollette o il controllo dei pagamenti. - I servizi bancari sono erogati esclusivamente allo sportello, per corrispondenza o online. - Enti benefici o religiosi non inviano volontari alle porte delle persone - Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza si recano presso le abitazioni sempre in uniforme e con l'auto di servizio. Diffidare di chi si presenta come operatore delle forze dell'ordine, anche se con un tesserino, ed è vestito in borghese. L'importanza delle relazioni con il vicinato Gli anziani, abbiamo detto, sono persone molto fragili che possono essere facilmente raggirate. Non tutti poi possono permettersi precauzioni come porte blindate, dispositivi antifurto o casseforti. Può essere, quindi, molto utile coltivare buone relazioni con il vicinato. Coloro che abitano vicino a voi e con i quali scambiate il saluto ogni giorno possono esservi d'aiuto. Possono intervenire in vostro aiuto per primi conoscendo le vostre abitudini e individuando "anomalie" nella vostra quotidianità. In copertina foto di Sabine van Erp da Pixabay Read the full article
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