#arresto immediato
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pier-carlo-universe · 8 days ago
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Ubriaco ruba bottiglie di vino da un supermercato e aggredisce il personale per tentare la fuga. I Carabinieri lo arrestano e il Tribunale lo allontana dalla Provincia.
Alessandria – È tardo pomeriggio. Viene segnalata un’aggressione al personale di un supermercato della città da parte di un ubriaco che ha rubato della merce dagli scaffali e poi ha cercato con violenza di oltrepassare le casse.
Alessandria – È tardo pomeriggio. Viene segnalata un’aggressione al personale di un supermercato della città da parte di un ubriaco che ha rubato della merce dagli scaffali e poi ha cercato con violenza di oltrepassare le casse. Arrivano i Carabinieri. L’uomo, un 44enne senza fissa dimora, sta ancora aggredendo e minacciando di morte l’addetto alla vigilanza e, quando vede avvicinarsi la…
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mchiti · 1 year ago
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ma che hanno fatto questi a manuel? Chi ha scritto questa roba e ha pensato che fosse coerente con il personaggio è da arresto immediato vi meritate voi la galera mica mimmo. Snaturato completamente. Già solo l'idea di pensare a Manuel che prendeva in giro Mimmo chiamandolo Napoli e facendo riferimenti alla galera mi aveva mandato al creatore perché per quale motivo uno che fino a una stagione fa si arrangiava e doveva essere un ragazzo di strada dovrebbe perculare un coetaneo che sta in galera? È coerente con il personaggio questo? Era per gelosia, no, non non mi pare, quale gelosia dopo tutta sta follia di relazione con quell'altra. Proprio veramente la gente viene pagata per scrivere ste robe da pazzi
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anchesetuttinoino · 6 months ago
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X CHIUDE L'ATTIVITÀ IN BRASILE DOPO LE RICHIESTE DI CENSURA DEL MINISTRO DEL STF ALEXANDRE DE MORAES
Ieri sera, Alexandre de Moraes ha minacciato di arresto il nostro rappresentante legale in Brasile qualora non rispettiamo i suoi ordini di censura. Lo ha fatto con un'ordinanza segreta, che condividiamo qui per esporre le sue azioni.
Sebbene i nostri numerosi ricorsi alla Corte Suprema non siano stati ascoltati, il pubblico brasiliano non sia stato informato di queste ordinanze e il nostro personale brasiliano non abbia alcuna responsabilità o controllo sul blocco dei contenuti sulla nostra piattaforma, Moraes ha scelto di minacciare il nostro personale in Brasile piuttosto che rispettare la legge o il giusto processo.
Di conseguenza, per proteggere la sicurezza del nostro personale, abbiamo preso la decisione di chiudere la nostra attività in Brasile, con effetto immediato.
Il servizio X rimane disponibile per il popolo brasiliano.
Siamo profondamente rattristati di essere stati costretti a prendere questa decisione. La responsabilità è esclusivamente di Alexandre de Moraes.
Le sue azioni sono incompatibili con un governo democratico. Il popolo brasiliano ha una scelta da fare: la democrazia, o Alexandre de Moraes.
Fonte: Global Government Affairs, divisione legale di X
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curiositasmundi · 18 days ago
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Il Maggiore Generale Ghassan Alian, capo del Coordinatore delle Attività Governative nei Territori (COGAT), si trova attualmente a Roma, in Italia. La Fondazione Hind Rajab (HRF) ha presentato istanze alla Corte penale internazionale (CPI) e alle autorità italiane, chiedendo il suo arresto immediato per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Alian, che si è riferito pubblicamente ai palestinesi di Gaza come “animali umani”, non gode di alcuna immunità dal processo. Il tempo è essenziale per assicurare la responsabilità delle sue azioni.
Il ruolo di Alian nelle atrocità
A capo del COGAT dall’aprile 2021, Alian ha supervisionato l’amministrazione della Cisgiordania e il lungo blocco di Gaza. Dopo il 7 ottobre 2023, ha supervisionato e fatto rispettare un assedio totale su Gaza, tagliando le risorse essenziali come cibo, acqua, elettricità e forniture mediche. Questa politica deliberata di privazione ha portato alla fame di massa, alla morte di civili e alla distruzione di infrastrutture critiche, compresi gli ospedali.
Il COGAT è un braccio del Ministero della Difesa israeliano responsabile dell’attuazione delle politiche governative nei Territori palestinesi occupati. Sotto la guida di Alian, il COGAT ha coordinato azioni militari che hanno preso di mira le infrastrutture civili e imposto punizioni collettive alla popolazione di Gaza. I rapporti delle Nazioni Unite e delle organizzazioni per i diritti umani hanno descritto queste azioni come crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Precedenti della CPI e supervisione dei crimini da parte di Alian
La Corte penale internazionale ha già emesso mandati di arresto contro Yoav Gallant e Benjamin Netanyahu per i crimini derivanti dalle politiche di armamento della carestia e di attacco alle infrastrutture civili come gli ospedali. Alian ha svolto un ruolo fondamentale nella supervisione di queste stesse politiche, garantendone l’attuazione attraverso il COGAT. Le sue dichiarazioni, tra cui la famigerata dichiarazione che “gli animali umani devono essere trattati come tali”, dimostrano l’intento genocida e lo sforzo calcolato di distruggere la popolazione di Gaza in tutto o in parte.
Nessuna immunità, obbligo legale di agire
Secondo il diritto internazionale, Alian non gode di alcuna immunità dal perseguimento di crimini di questa natura. L’HRF sottolinea che l’Italia, in quanto firmataria dello Statuto di Roma, è obbligata ad agire. La sua presenza a Roma offre alle autorità italiane l’opportunità di sostenere il diritto internazionale emettendo un mandato d’arresto e assicurando il suo perseguimento.
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medicomunicare · 5 months ago
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Perché i giovani adulti sperimentano arresto cardiaco improvviso? Esiste un legame tra indigestione e attacco di cuore?
Introduzione L’arresto cardiaco improvviso (ACI) è una delle emergenze mediche più gravi, caratterizzata dalla perdita improvvisa della funzione cardiaca, che, senza un intervento immediato, può portare alla morte. Sebbene sia più comune tra gli anziani o le persone con patologie cardiache preesistenti, negli ultimi anni si è osservato un aumento dei casi di arresto cardiaco improvviso tra i…
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livornopress · 2 years ago
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Arresto cardiaco in via de Larderel, salvato col defibrillatore della vicina farmacia
Arresto cardiaco in via de Larderel, salvato col defibrillatore della vicina farmacia
Livorno 12 maggio 2023 – Arresto cardiaco in via de Larderel, salvato col defibrillatore della vicina farmacia Malore in strada Questa mattina un anziano di 84 anni residente a Livorno si è sentito male in via de Larderel Immediato il soccorso da parte del personale della vicina farmacia che ha usato il defibrillatore per l’anziano andato in arresto cardiaco Dopo l’immediato intervento del…
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ornitomoltorinco · 2 years ago
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Pare assurdo che, in questo frangente, l'unica forza politica, con un potere tale da aver peso nelle Camere e che abbia un minimo di misura e che si renda conto che la dicitura "invasione di edifici" porterebbe ad uno stato di polizia, sia il fottuto partito del Berlusca.
Più rave parties e meno misure anticostituzionali in palese violazione delle libertà fondamentali dei cittadini di una democrazia che possa definirsi tale.
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vadaviaaiciap · 3 years ago
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Ricciardi fa parte di lobby e gruppi di pressione che dato il suo ruolo strategico al ministero lo rendono passibile di arresto immediato. Che la magistratura non intervenga si spiega con una sigla: PD. È per i giudici che ancora subiamo GP e regime fuorilegge.
(max delpapa)
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fallimentiquotidiani · 2 years ago
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Culo a pallone sgonfio
Da chiamare la polizia dei culi per arresto immediato
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bicheco · 2 years ago
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Giuristi di Tumblr
Attraverso un'interpretazione estensiva della neo norma governativa, "Il Grande Fratello vip" non potrebbe essere considerato un rave party? Io dico di sì. Ergo: irruzione nella casa da parte delle forze dell'ordine, manganellate a pioggia, ed arresto immediato di tutti quanti i partecipanti, troupe e regista compresi.
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kon-igi · 5 years ago
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GETTIAMOCI TUTTI ASSIEME
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Quello che vorrei, quello che ci vorrebbe e quello che succede, io di solito lo considero il parto trigemino di tre padri differenti che fanno a pugni nella nursery e distruggono l’ospedale, come peraltro paragono un qualsiasi processo di rivoluzione sociale come il tizio che impiega tre ore a indossare la tuta da bungee jumping, a controllare gli elastici, il casco, i moschettoni, respira, fa stretching e si affaccia calcolando l’arco di discesa ma poi ha bisogno del calcione nella schiena dell’istruttore per andare giù.
Ecco... non è a questo che si riferisce il titolo.
Il ‘gettarsi assieme’ è la maldestra traduzione dal greco antico di bolòv (da βάλλω, gettare) e sun (σύν, con) nell’accezione di ‘mescolare, far combaciare, coincidere’.
Simbolo...  ‘Qualsiasi cosa (segno, gesto, oggetto, animale, persona), la cui percezione susciti un’idea diversa dal suo immediato aspetto sensibile’. 
Fino a un certo punto della storia dell’uomo due pezzi di legno incrociati erano l’anima del fondo di un cestino di vimini che doveva essere ancora intrecciato, poi per qualche migliaio d’anni è stato il simbolo della terra (dell’universo intero, in realtà), poi quei buontemponi dei romani l’hanno trasformato nella rappresentazione stessa dell’ignominosa morte per tortura e infine, dopo duemila anni, il simbolo supremo di pace e amore.
SIA LODE AL FIGLIO DEL DIO DEL CESTINO CHE È MORTO INTRECCIATO PER FARCI CONSERVARE IL NOSTRO CIBO!
E veniamo ora alla parte divertente, quella che farà incazzare qualcuno e lo farà partire con la diarrea verbale digitale.
I fatti degli ultimi giorni ci hanno insegnato un termine nuovo, che io trovo eccezionale da assegnare a uno Stand di JoJo ma tanto so che non apprezzereste...
FURIA ICONOCLASTA
(’Ooohhh, Jotaro! Sei appena entrato nel raggio di Furia Iconoclasta... MUDA! MUDA! MUDA! MUDA! MUDA! MU-DAAAAAA!!!!’ WRYYYYYYYYYY!!!!!)
Trovo interessante l’etimologia antica di questo termine che combina il sostantivo εἰκών (icona, immagine) con il verbo κλάω (distruggere) cioè distruttore di immagini, in riferimento a una vecchia bagarre cristiana - ancora oggi presente nell’Islam - per cui il divino non è rappresentabile e il farlo costituisce peccato. Quindi borda giù a spaccare quadri, arazzi e statue di dii, gesùi e compagnie danzanti.
Arriviamo dunque alle statue scaravoltate/affogate della cronaca attuale e al parto trigemino iniziale.
L’asticella della ragione - che molti sembrano manovrare col culo - è parecchio mobile, col range che si sposta in base al contesto e alla sensibilità sociale, ragion per cui fino a qualche giorno fa si andava in giro a buttare giù solo le eventuali statue di Hitler sorte nella notte, un’icona che nella sua assolutezza negativa mette più o meno tutti d’accordo.
I recenti fatti di cronaca hanno però esacerbato gli animi e la citata furia iconoclasta si è abbattuta non solo sulle chiare icone di un certo tipo di pensiero (il Sud degli Stati Uniti è pieno di statue di generali confederati il cui unico merito è aver fatto più centri nel tiro al negro, peraltro in parte già iconoclastizzate) ma anche sui simboli, cioè su statue che rappresentano personaggi dalle varie sfaccettature storiche e caratteriali.
Come ho detto all’inizio, quello che vorrei, quello che ci vorrebbe e quello che succede diventa un Valzer della Morte (quello che avrebbe bisogno di otto mani per essere suonato sul piano) dove vengono confusi iconografia e simbolismo e per cui ogni statua si trasforma in un’offesa personale precisa verso una specifica categoria.
Vi chiedo, voi siete capaci di porre una discriminante di arresto prima della quale è lecito gettare una statua nel fiume (o rimuoverla ‘legalmente’) e dopo la quale, invece, il simbolo di positività offusca quello negativo, meritandone il prosieguo dell’esposizione?
No, perché basta studiare la storia delle medie per capire che l’unico personaggio immacolato e meritevole di imperitura statua in marmo bianco di Carrara è Gandalf il Bianco e per tutti gli altri è solo questione di soppesare sulla bilancia dei tempi le azioni degne e le azioni indegne (con un occhio all’innegabile fatto che, comunque, i libri di storia li scrivono gli amici dei vincitori della puntuale guerra).
Dico così per dire - eh! - perché se quello che ci vorrebbe sarebbe più intelligenza critica storica, quello che invece abbiamo è amnesia retrograda associata a un compartecipativo bruciaculo a prescindere.
Ah... e quello che vorrei è del cioccolato bianco, da usare come la cera di Ulisse. 
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hoilcollobloggato · 4 years ago
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la mia vita al tempo del COVID-19 (giorno 26)
Per giorni un refolo di vento causato dalle differenze di pressione atmosferica che spingono l'aria da zone di alta pressione a zone di bassa pressione, per effetto della forza di gradiente, dallo spiffero della finestra ha alitato e sbuffato direttamente sul mio sternocleidomastoideo come un cucchiaio di zuppa su cui soffiava Geova, obbligandomi ad indossare H24 il mio trazionatore cervicale gonfiabile - cuscino di trazione per sollievo immediato di dolore cronico al collo e/o tensione della Niu Man. I confini della zona gialla decretata dal nuovo DPCM di Natale, erano ancora incerti e la povera gente attendeva chiusa in casa le dirette dei continui aggiornamenti delle misure adottate dal governo…
– Ahem! Signora, sono il tecnico del gas! Urlò un tipo basso, che assomigliava in modo imbarazzante a Elvis Presley nel periodo in cui le sue condizioni di salute erano arrivate al limite, a causa dell’assunzione di massicce dosi di svariati medicinali che lo accompagnarono poi alla morte per arresto cardiaco presso Baptist Memorial Hospital di Memphis, poco dopo le 03:00 PM del 16 agosto 1977 (aveva solo 42 anni).
La vecchia Odette lo osservò da sotto la porta d’ingresso adoperando un fibroscopio, ovvero quello strumento tattico che ha sostituito l'obsoleto bastone con specchietto:
– Se sei venuto ad ammazzarmi, sei in ritardo… da quando è scoppiata questa pandemia, è come se avessi già un piede nella fossa!
A quel punto, il finto tecnico del gas, strappandosi rabbiosamente la FFP2 scoprì completamente la sua falsa faccia da Elvis – per poi sfondare la porta della vecchia con un’ariete portatile – di quelle solitamente date in dotazione alle squadre SWAT Special Weapons And Tactics – che teneva nascosta nella sua cassetta per gli attrezzi da finto tecnico del gas… Sbam!
Allora la vecchia Odette: Ptuh…! sputò un bolo di tabacco che soleva tenere tra la guancia e la gengiva destra, si tolse il cappellino da baseball dei Los Angeles Dodgers, si lisciò le folte e canute sopracciglia, si rimise il cappellino sulla testa e… Scat…! con un’improvvisa e magistrale Yoko Sutemi Waza anche detta dai judoka tecnica di sacrificio sul fianco, mise a tappeto il finto Elvis tecnico del gas… Tumb!
Una volta a terra il poveraccio iniziò a lagnarsi e a pregare perché gli venisse risparmiata la vita:
– Ssssh! Taci…! Sbaveresti sui piedi di un’ottuagenaria mangia galline, solo per avere salva la tua inutile vita, non è vero? Domandò sprezzante la vecchia, mentre arrotolava un fascicolo Dei Protocolli Degli Anziani Sionisti… Panf!, lo colpì sulla testa. La maschera da Elvis venne via, Odette lo sollevò per il bavero fissando il suo sguardo dritto nei due bulbi oculari robot Sfera Caster 4K di quel malridotto androide.
– …E ora con i remoti MPS che rimangono alla tua SSD trasmetti ai tuoi amici Sionskih Mudretsof queste parole: sui cadaveri dei leoni banchettano i cani, ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani.
Mentre le parole di Odette venivano elaborate dall’hardware del cyborg e processate in un sistema binario di “0” e “1” per poter essere inviate tramite bluetooth via wireless al server degli Anziani di Sion… Crunk… Ooou! I sofisticati circuiti plated trough hole di cui si componeva il cyborg iniziarono a crashare uno dopo l’altro, fino a quando una voce di tipo text-to-speech, proveniente dall’interno di quel sofisticato gingillo bio-elettronico disse: FATAL ERROR! … FATAL ERROR!
E poi, poi mi sono svegliato. Si trattava solo di un brutto sogno…
Le associazioni che le nostre menti fanno nei sogni. Sognare è filosofia, ti svegli sempre con quella sensazione che, il mondo in cui viviamo è più ampio dei nostri piccoli tracciati e fa emergere pensieri che stavano silenti da qualche parte, dentro di noi, ma per pigrizia non volevano muoversi. “There are more things in heaven and earth, Horatio, Than are dreamt of in your philosophy. Vi sono in cielo e in terra, Orazio, assai più cose di quante ne sogna la tua filosofia”, diceva Amleto all’amico per richiamarlo alla sua scarsa conoscenza. Questo vale anche anche quando la nostra ragione fatica ad accettare certe idee, anche e senza per forza dover essere delle teste di legno come Orazio. In questi due versi sono contenute quattro parole alla base della conoscenza del mondo e di noi stessi: cielo, terra, sogni e filosofia. Le contrapposizioni in cui si dibatte il genere umano: la realtà che tocchiamo con mano, le aspirazioni e il bisogno del soprannaturale o dell’elevazione dello spirito; il mondo interiore delle emozioni e quello della ragione. Non c’è bisogno di altro. Shakespeare ce lo ricorda: siamo attori, sì, ma alla fine è necessario togliersi il trucco e andare a casa.
Certe volte io mi domando: ma perché dovrei farlo?.
L’unico posto in cui ognuno di noi può dirsi veramente libero è nei sogni; lì possiamo spezzare le catene della nostra quotidianità, possiamo andare dove cazzo ci pare e, soprattutto possiamo essere e interpretare la versione di noi che più desideriamo.
Ebbene, c’è una sola cosa che non si può fare in un sogno: non si può morire. Secondo una credenza popolare che risale ai tempi in cui le cornacchie presero nido sulla Torre di Babele che garantisce: se si muore in sogno, si morirà anche nella vita reale.
Ad alcuni potrebbe far sorridere questa idea, ma siete assolutamente certi che questa leggenda non dica la verità? Voglio dire: una volta che il sogno vi ha ucciso, di certo, dopo, non potrete mai raccontarlo. Chi vi conosce parlerà di attacco di cuore, diranno che siete morti nel sonno. Gli altri, gli svegli, non sapranno mai che ciò che è realmente accaduto è che il vostro peggior incubo, alla fine si è materializzato. E come potrebbero?
In realtà, secondo una ricerca condotta dal Dottor Antonio Zadra del DNLSCH Dream and Nightmare Laboratory del Sacre Coeur Hospital di Montreal (esiste), che ha esaminato una ventina di volontari, sottoponendoli all’ ISF Ipno Stato Fisiologico, questi affermano di aver sognato diversi tipi di morte. La ricerca ha dimostrato che tramite un sonno indotto artificialmente sarebbe dunque possibile morire nei sogni, e soprattutto, una volta riaperti gli occhi, si è in grado di raccontarlo. L’esperimento del Dottor Zadra avrebbe anche accertato che la morte, anche con l’uso del ISF, deve comunque avvenire in modo naturale, casuale. Alcuni sognatori volontari che ci avevano preso gusto, e dopo un elevato numero di sedute, avevano sviluppato una sorta di consapevolezza di vivere un sogno, avrebbero infatti provato a suicidarsi. Per vedere cosa sarebbe accaduto e se si sarebbero infine risvegliati dopo il fatto, per poterlo cosi raccontare. Nessuno degli aspiranti provetti suicidi riuscì a portar a termine l’esperimento. Più di uno ha riferito che “sul più bello” qualcosa andava storto. Chi tentava di spararsi un colpo in testa, si accorgeva che l’arma funzionava solo se rivolta da un’altra parte; alcuni avevano provato a buttarsi giù da un palazzo o da un burrone, ma puntualmente fluttuavano sani e salvi a terra.
Sonno indotto artificialmente a parte, vorrei aggiungere che se ti dovesse succedere di sognare di morire davvero, secondo me, finiresti col morire anche nella vita e non solo in sogno.
Molti sogni potrebbero avere anche una funzione di avviso e, in certi casi, prestargli attenzione potrebbe rivelarsi molto utile. Anche Aristotele e Ippocrate, padre della medicina, oltre al noto Dottor Robert L. Van de Castle, autorità riconosciuta a livello mondiale in materia di sogni, affermano che i sogni possono essere anche campanello di allarme di una malattia. Certo, mentre dormiamo possono accaderci cose strane, disturbi chiamati parasonnie, sindrome della testa che esplode, sexsomnia… infondo trascorriamo in media un terzo della nostra vita in uno stato di alterazione della coscienza e della volontà in cui perdiamo la cognizione del tempo e (nelle fasi più profonde), del luogo in cui ci troviamo, pertanto è normale, ma “il campanello di allarme” di cui parla il Dottor Robert L. Van de Castle è un’altra cosa. In alcuni casi, secondo il dottore i sogni potrebbero paragonarsi a una sorta di Raggi X… Una donna, cominciò a sognare a più riprese che la sua gamba veniva esaminata da una crocerossina della Seconda Guerra Mondiale, la quale teneva una candela sempre più vicino, finché non cominciava a bruciare. Poco dopo quella serie di sogni alla donna venne diagnosticato l’Herpes Zoster “il fuoco di Sant’Antonio”.
Anche Galeno, medico greco del II secolo d. C., racconta di un ragazzo, che dopo aver visto in sogno il proprio braccio tramutarsi in pietra, fu colto da paralisi.
Robert A. Baron, psicologo al RPI Rensselaer Polytechnic Institute, esperto nell’ambito di programmi per smettere di fumare o di bere, ha riscontrato che un’alta percentuale dei suoi pazienti dopo alcuni mesi di astinenza, riferivano di sogni DAMIT Dream of Absent-Minded Trasgression, ovvero sogni di trasgressione da mente distratta. Durante questi sogni i soggetti si accorgevano all’improvviso di essere involontariamente ricaduti negli antichi vizi, vanificando così tutti i loro sforzi. Molti si svegliavano presi dal panico, per poi sentirsi sollevati quando si rendevano conto che si trattava soltanto di un sogno. La scoperta più stupefacente è stata che i pazienti vittime di DAMIT – che non sono altro che la visualizzazione dei costi emotivi del fallimento – erano anche quelli con maggiori probabilità di terminare con successo la lotta alle proprie dipendenze.
“Allora, come uno straniero, dagli il benvenuto”… direbbe arrivati a questo punto Amleto.
Corvi Urubù volano e beccano ribalderie, sul davanzale della finestra della vecchia Odette, il suo pesce rosso nuota in un ammuffito boccale oktoberfest – la sua boccia di vetro è andata rotta prima, durante la lotta contro il cyborg. Sulla strada, proprio davanti a casa, tre brutti Elvis finti tecnici del gas armati fino ai denti, ma privi della mascherina resa obbligatoria dalle vigenti norme anti Covid-19, trattengono al guinzaglio un grosso cane robot, aggressivo (In natura non esistono cani cattivi bensì proprietari non all'altezza del compito educativo, ma per i cani robot è diverso, quest’ultimi infatti vengono programmati)… tipo pitbull o dogo argentino, che ringhia e sbava una speciale bava sintetico/corrosiva... si preparano a fare irruzione dentro alla casa della vecchia Odette.
Lei, che tramite le sue telecamere a circuito chiuso poste praticamente a ogni angolo di strada del Principato di Cibeno Pile, ha tenuto d’occhio i loro spostamenti, fino a questo momento, siede tranquilla al suo tavolo da trucco, intenta a lubrificare con olio di pesce gatto la sua gamba di legno, intagliata da una sequoia dei tempi in cui Noè faceva legna per la sua Arca… Tac! gamba inserita... si alza lentamente: indossa una parrucca argento vivo e una tuta in puro lattice, aderente, accollata, ma senza maniche, color rosa antico e il cappellino da baseball dei L.A. Dodgers .
Glu glu… Glu: tracanna un avido sorso di secrezione liquida di ghiandola mammaria bovina da una tanica per la raccolta dell’olio esausto, afferra il suo fucile a pompa Agm Swat Synt. Hawk Sm229 calibro 20 e Sbam! Con un calcio sfonda la porta. Guarda i tre finti Elvis tecnici del gas e il loro pulcioso cane robot:
– Alexa... vorrei ascoltare Thunderstruck degli AC/DC … Alexa, alza il volume a 10! Dice.
Il nuovo Echo Dot di 4ª generazione esegue.
– Vedo che ti piace mordere…? Il mascara le cola dagli occhi, (si emoziona sempre quando sente Thunderstruck)
…E allora mordi questo! Swrooammmmm!
https://www.youtube.com/watch?v=v2AC41dglnM&feature=youtu.be
Fine giorno26
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corallorosso · 5 years ago
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Viviamo in una dittatura del presente: guai a pensare al domani L’accelerazione impressa alle nostre vite dalla rivoluzione tecnologica che ha segnato questo inizio di millennio, ha portato a una dilatazione del presente, a scapito delle altre due dimensioni temporali con cui eravamo abituati a convivere: il passato, fondato sulla memoria personale e collettiva e il futuro, prodotto dalla nostra immaginazione. Il copioso e continuo flusso di informazioni, immagini, dati che ci avvolge e ci percorre quotidianamente, lascia poco tempo alla sedimentazione e alla memorizzazione dei dati stessi. Così come una generale e diffusa mancanza di immaginazione e di programmazione (a cominciare da chi governa i processi globali) ha portato a una politica dal fiato corto e a una conseguente mancanza di visione del futuro, persino quello più immediato. Questa dittatura del presente ha riconfigurato completamente le nostre esistenze in quanto parti di un sistema che ha anch’esso il fiato corto e una scarsissima visione del domani. La dimostrazione ci è stata data da questa pandemia. Tralasciamo per un instante l’aspetto clinico e soffermiamoci su quello economico: sono stati sufficienti due mesi di arresto (peraltro neppure totale) per mettere in ginocchio l’intero mondo capitalistico-industriale. Per ridurre il mercato globale a qualche bancarella sparsa qui e là. Ma che sistema è quello che non ha un minimo di resistenza a un evento negativo? Che non ha saputo prevedere alcuna forma di riserva per eventuali crisi? Un mondo incapace di pensare al domani, che non riesce o meglio non vuole vedere al di là dell’immediato. Il trionfo della cicala, ma almeno lei si godeva la vita: molti abitanti di questo pianeta non potevano dire altrettanto neppure quando tutto andava bene. Abbiamo lasciato che costruissero un mondo finto, fatto di promesse (è così che funziona la finanza) e siamo stati al gioco, illudendoci che la tecnologia ci avrebbe aiutati a governare i processi. Guai a pensare al domani, di cui non c’è certezza, carpe diem. E ora scopriamo di non avere scorte, di non avere fieno in cascina per l’inverno, perché quando era ora di immagazzinarlo lo abbiamo venduto, per fare profitto, perché le scorte costano. Basta! Viviamo al presente. Purtroppo, come diceva Coleridge, il domani cammina già nell’oggi. Marco Aime, antropologo e scrittore
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paoloxl · 5 years ago
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I governi cambiano, la scure repressiva contro le lotte resta
La caduta del governo Conte Uno avvenuta lo scorso agosto e la contestuale nascita del Conte Bis “desalvinizzato”, avevano ingenerato in un settore largo della sinistra e dei movimenti sociali un sentimento diffuso di attesa per un cambiamento di passo in senso democratico.
Un attesa dettata non tanto dalla possibilità che il nuovo esecutivo “giallo-rosa”, nato in nome e per conto dell’Europa del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact, potesse imprimere un vero cambiamento nelle politiche economiche o un reale miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e degli oppressi, quanto dalla speranza che l’esclusione della Lega dal governo potesse mettere almeno un freno all’ondata di odio razzista e all’escalation di misure e provvedimenti restrittivi delle cosiddette “libertà democratiche”.
Le prime dichiarazioni degli esponenti del PD (con a capo Zingaretti) e di LeU non appena insediatisi al governo, alimentavano questa speranza, nella misura in cui individuavano nei due Decreti Sicurezza- Salvini al tempo stesso il simbolo e il cuore dell’offensiva reazionaria guidata dalla Lega, dichiarando solennemente che queste misure andavano abrogate o, quantomeno, radicalmente mutate.
A quattro mesi di distanza dall’insediamento del Conte bis, appare evidente che quella speranza si sia ancora una volta tradotta in una pia illusione, e che anche stavolta ci siamo trovati di fronte alla classica “promessa da marinaio” ad opera dei soliti mestieranti della politica borghese.
Il decreto Salvini- Uno
Dei due decreti- sicurezza targati Lega e convertiti in legge grazie al voto favorevole dei 5 Stelle si è parlato e si parla tanto, ma il più delle volte per alimentare in maniera superficiale una presunta contrapposizione tra “buonisti democratici” e “cattivisti destorsi” che per analizzare (e fronteggiare) la portata reale delle misure in essi contenute.
Già il primo DL, che si concentrava quasi esclusivamente contro i richiedenti asilo e i lavoratori immigrati (imponendo una stretta feroce sugli sbarchi e sulla concessione dei permessi di soggiorno, eliminando gli SPRAR e assestando un colpo durissimo all’intero sistema dell’accoglienza facendo strumentalmente leva sulle contraddizioni e sul business che spesso ruota attorno agli immigrati) in realtà puntava già molto oltre, mettendo nel mirino l’esercizio di alcune di quelle libertà che a partire dal secondo dopoguerra venivano dai più considerate “fondamentali” e costituzionalizzate come tali in ogni stato che si (auto)definisce democratico: su tutte la libertà di sciopero e di manifestazione pubblica e collettiva del dissenso.
Nella versione originaria del Decreto, quasi mimetizzato nel mezzo di una lista interminabile di norme per il “contrasto all’immigrazione clandestina” utili a soddisfare le paranoie securitarie di un’ opinione pubblica lobotomizzata dal bombardamento mediatico a reti unificate sulla minaccia dell’“invasore immigrato brutto sporco e cattivo”, ci si imbatteva nell’articolo 23, una norma di neanche dieci righe recante “Disposizioni in materia di blocco stradale”, nella quale, attraverso un abile gioco di rimandi, modifiche e abrogazioni di leggi precedenti tipico del lessico istituzionale, in maniera pressoché imperscrutabile si introduceva la pena del carcere fino a 6 anni per chiunque prendesse parte a blocchi stradali e picchetti, fino a 12 anni per chi veniva individuato come organizzatore e con tanto di arresto in flagranza, vale a dire che se a protestare sono degli immigrati, alla luce proprio di quanto previsto dal medesimo decreto, una tale condanna si sarebbe tradotta nel ritiro immediato del permesso di soggiorno e quindi nell’espulsione dall’Italia.
Dunque, in un piccolo e apparentemente innocuo trafiletto si condensava un salto di qualità abnorme contro le lotte sindacali e sociali, con pene esemplari, contro ogni forma di manifestazione di strada e ogni sciopero che non si limitasse ad un’astensione dal lavoro meramente formale e simbolica (dunque innocua per i padroni): un idea di “sicurezza” che poco avrebbe da invidiare al Cile di Pinochet se è vero, come giustamente evidenziato dall’avvocato Claudio Novaro del foro di Torino1, che ad esempio, per i partecipanti ad un’associazione per delinquere il nostro codice penale prevede sanzioni da 1 a 5 anni di reclusione, per i capi e promotori da 3 a 7, per un attentato ad impianti di pubblica utilità da 1 a 4, per l’adulterazione di cose in danno della pubblica salute da 1 a 5. Per Salvini e i compagni di merende il reato di picchetto e di blocco stradale è considerato uguale a quello di chi recluta o induce alla prostituzione dei minorenni, di chi commette violenza sessuale contro un minore di 14 anni o di chi compie violenza sessuale di gruppo ed è addirittura più alto di quello del reato di sequestro di persona, della rapina semplice e della violenza sessuale su un adulto.
Tradotto in soldoni: per la Lega interrompere anche solo per qualche ora il flusso di merci e degli “affari” a beneficio dei padroni e contro l’ordine costituito (magari per reclamare il rispetto di un contratto collettivo nazionale di lavoro, impedire un licenziamento di massa, protestare contro la devastazione dei territori o contro megaopere nocive per la salute e l’ambiente o per denunciare il dramma della precarietà e della disoccupazione) rappresenta un “pericolo per la sicurezza” più grave e penalmente più rilevante che commettere uno stupro o far prostituire minorenni!
Il fatto che l’orda reazionaria  rappresentata dalla Lega, FdI possa giungere a tali livelli di delirio non sorprende più di tanto: a meravigliare (non per noi) alcuni della sinistra politica e sociale è stato invece il silenzio assordante della quasi totalità degli organi di stampa, dell’opposizione “democratica” e dei sindacati confederali CGIL-CISL-UIL, dalle cui fila non una sola parola è stata spesa per denunciare il colpo di mano dell’articolo 23, ne tantomeno per chiedere la sua immediata cancellazione: un silenzio pari o forse ancor più rumoroso dei tamburi di guerra leghisti tenendo conto che se una norma del genere fosse stata varata nella seconda metà del secolo scorso, essa si sarebbe tradotta in anni e anni di carcere, ad esempio per migliaia di iscritti e dirigenti sindacali (compreso il tanto osannato Giuseppe Di Vittorio) che in quegli anni conducevano dure battaglie sindacali all’esterno delle fabbriche o in prossimità dei latifondi agricoli, e laddove la Cgil e la Fiom di allora facevano ampio uso del picchetto e del blocco stradale quale strumento di contrattazione (fatto storico, quest’ultimo che gli attuali burocrati sindacali, epigoni di quella Cgil, preferiscono occultare, accodandosi in nome di un ipocrita legalitarismo all’ignobile campagna di criminalizzazione del conflitto sindacale…).
Un silenzio che, d’altra parte è stato quantomai “eloquente”, se si pensa che tra i principali ispiratori della prima versione dell’articolo 23 vi era Confetra, vale a dire una delle principali associazioni imprenditoriali del settore Trasporto Merci e Logistica, la quale già il 26 settembre 2018 (quindi più di una settimana prima che il testo del decreto fosse pubblicato in Gazzetta Ufficiale) per bocca del suo presidente Nereo Marcucci si precipitava a dichiarare alla stampa che tale norma era “un ulteriore indispensabile strumento di prevenzione di forme di violenza e di sopraffazione di pochi verso molti. Certamente non limita il diritto costituzionalmente garantito allo sciopero. Con le nostre imprese ed i nostri dipendenti contiamo molto sul suo effetto dissuasivo su pochi caporioni”2.
All’epoca di tale dichiarazione il testo del decreto era ancora in fase di stesura, tanto è vero che nella suddetta intervista Marcucci indica la norma antipicchetti come “articolo 25”: lasciando così supporre che i vertici di Confetra, se non proprio gli autori materiali della scrittura dell’articolo, ne fossero quantomeno i registi e gli ispiratori…
Ma chi sono quei “pochi caporioni” che Marcucci tira in ballo confidando nell’effetto dissuasivo del DL Salvini a colpi di carcere e codice penale? E che ruolo ha avuto Confetra in tutto ciò?
Il bersaglio di Marcucci, manco a dirlo, era ed è il possente movimento autorganizzato dei lavoratori della logistica rappresentato a livello nazionale dal SI Cobas e, nel nord-est, dall’ADL Cobas, che a partire dal 2009 ha operato un incessante azione di contrasto delle forme brutali di sfruttamento, caporalato, evasione fiscale e contributiva, illegalità e soprusi di ogni tipo a danno dei lavoratori, rese possibili grazie all’utilizzo di un sistema di appalti e subappalti a “scatole cinesi” e dell’utilizzo sistematico di finte cooperative come scappatoia giuridica: un azione che nel giro di pochi anni, attraverso migliaia di scioperi e picchetti (dunque riappropriandosi di quello strumento vitale di contrattazione abbandonato da decenni dai sindacati confederali integratesi nello Stato borghese ed oramai finito in disuso anche per una parte dello stesso sindacalismo “di base”) e potendo contare solo sulla forza organizzata dei lavoratori, ha portato ad innumerevoli vittorie, prima attraverso l’applicazione integrale del CCNL di categoria in centinaia di cooperative e ditte appaltatrice, e poi finanche alla stipula di ben 3 accordi-quadro nazionali di secondo livello in alcune delle più importanti filiere facenti capo all’organizzazione datoriale Fedit (TNT, BRT, GLS, SDA) e con altre importanti multinazionali del settore.
Questo ciclo di lotta ha portato nei fatti il SI Cobas e l’Adl a rappresentare nazionalmente la maggioranza dei lavoratori sindacalizzati della categoria, ma che ha dovuto fin dall’inizio fare i conti con una pesantissima scure repressiva: cariche fuori ai cancelli dei magazzini, fogli di via, divieto di dimora, sanzioni amministrative, arresti e processi a non finire, licenziamenti discriminatori e finanche l’arresto del coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani nel gennaio 2017 con l’accusa infamante di “estorsione” come conseguenza di un’ondata di scioperi che dalla logistica aveva contaminato l’”intoccabile” filiera modenese delle carni3. Confetra e le aziende ad essa associate si sono col tempo dimostrate le principali “teste d’ariete” di questa strategia, e cioè una delle controparti maggiormente ostili, refrattarie al dialogo e propense a trasformare il conflitto sindacale in un problema di “ordine pubblico” anche di fronte alle forme più intollerabili e plateali di sfruttamento e di caporalato.
E non è un caso se proprio Confetra risulta essere la parte datoriale “amica” di Cgil-Cisl-Uil, come dimostra non solo una condotta decennale tesa ad escludere i cobas dai tavoli di trattativa nazionali, ma anche la vera e propria comunione d’intenti, al limite della sponsorizzazione reciproca da essi operata sia dentro che fuori i luoghi di lavoro (appelli comuni alle istituzioni, eventi, convegni, biografie dei dirigenti Confetra in bella mostra sui siti nazionali dei confederali, “tavoli della legalità”, ecc.).
Una tale condotta da parte di Cgil-Cisl-Uil, che ha da tempo abbandonato il conflitto (seppur per una politica tradeunionista) per farsi concertativa e infine a tutti gli effetti consociativa, non poteva di certo tradursi in una qualsivoglia opposizione alle misure “antipicchetto” ideate da Salvini su suggerimento di Confetra…
Discorso analogo per l’intero panorama della sinistra istituzionale, del mondo associativo e della “società civile”, per le ragioni che vedremo in seguito.
Dunque, nell’autunno del 2018 gli unici ad opporsi coerentemente, organicamente e radicalmente al primo DL Salvini sono stati, ancora una volta, il sindacalismo conflittuale con in prima fila il SI Cobas, i movimenti per il diritto all’abitare (in particolare a Roma e Milano), alcuni centri sociali e collettivi studenteschi, la parte tendenzialmente classista, estremamente minoritaria, del mondo associativo e della cooperazione, alcune reti di immigrati col circuito “no-border”, i disoccupati napoletani del movimento “7 novembre”, qualche piccolo gruppo della sinistra extraparlamentare comunista, antagonista o anarchica, i No Tav e poco altro.
Buona parte di queste realtà hanno aderito all’appello lanciato dal SI Cobas per una manifestazione nazionale che si è svolta il 27 ottobre 2018 a Roma riempendo le vie della capitale con circa 15 mila manifestanti, in larghissima maggioranza lavoratori immigrati della logistica e non solo. Ma non si è trattato di un evento isolato: a latere di quella riuscitissima manifestazione il SI Cobas, supportato al nord da centri sociali e studenti e al centrosud da disoccupati e occupanti casa, ha indetto una numerose altre iniziative nazionali e locali, fino ad arrivare al vero e proprio assedio all’allora vicepremier 5 Stelle Luigi di Maio nella sua natìa Pomigliano d’Arco con una contestazione promossa da licenziati FCA e collettivi studenteschi il 19 novembre 2018.
E ancora una volta si è avuta la riprova che “la lotta paga”, due settimane dopo, all’atto della conversione in legge del DL- Sicurezza, la norma persecutoria prevista dall’articolo 23 è stata cancellata e ripristinata la norma precedente che in caso di picchetto o blocco stradale non prevede alcuna pena detentiva bensì una sanzione amministrativa da 1000 a 4000 euro (come si vedrà nel caso delle lotte alla Tintoria Superlativa di Prato, questa misura, disapplicata e di fatto finita in desuetudine per decenni, verrà rispolverata con forza e con zelo durante tutto il 2019 contro operai in sciopero e disoccupati). Ad ogni modo, le proteste autunnali hanno probabilmente ricondotto a più “miti consigli” almeno una parte dei 5 Stelle, già all’epoca dilaniati dalla contraddizione insanabile tra le aspettative suscitate nella componente operaia del suo elettorato e le imbarazzanti performance governative fornite dai suoi vertici finiti a braccetto prima con la Lega di Salvini, poi col tanto vituperato PD.
Alla luce di questo parziale ma preziosissimo risultato, ottenuto con la mobilitazione di alcune decine di migliaia di manifestanti, qualcuno dovrebbe chiedersi cosa sarebbe rimasto del DL-Salvini se quelle organizzazioni sindacali confederali che tanto sono “maggiormente rappresentative” sui luoghi di lavoro, se non fossero ormai integrate nello stato a difesa degli interessi capitalisti si “ricordassero” quale dovrebbero essere il loro ruolo e fossero scese in piazza contro questa legge reazionaria e razzista: con ogni probabilità (e come sta insegnando in queste settimane il movimento francese contro la riforma pensionistica di Macron), quel decreto sarebbe divenuto in poche ore carta straccia…
Lega, 5 stelle e padronato ritornano alla carica: il Decreto Salvini- Due
Come insegna l’intera storia del movimento operaio, le conquiste e i risultati parziali strappati con la lotta possono essere difesi e preservati solo intensificando ed estendendo le lotte stesse.
Purtroppo, l’esempio tangibile dato dal SI Cobas e dai settori scesi in piazza contro il primo Decreto-Salvini non è riuscito a smuovere sufficientemente le acque e a portare sul terreno del conflitto reale quel settore di lavoratori, precari, disoccupati, studenti e immigrati ancora legati ai sindacati confederali e al resto del sindacalismo di base, ne è riuscito a coagulare attorno a se quel che resta dei partiti e dei partitini della sinistra “radicale”, dai comitati antirazzisti e ambientalisti spalmati sui territori, i movimenti delle donne come NUDM ( in realtà, queste ultime attive e con un seguito importante sulle tematiche di loro specifica pertinenza, ma incapaci di sviluppare un opposizione a tutto campo e di collegarsi alle lotte sui luoghi di lavoro e alle principali emergenze sociali).
E, inevitabilmente, l’offensiva di governo e padroni è ripartita in maniera incessante, prendendo la forma del “Decreto-sicurezza bis”.
Il canovaccio è stato grosso modo identico a quello del primo DL: immigrazione e “ordine pubblico” restano le due ossessioni di Salvini. A cambiare è tuttavia il peso specifico assegnato a ciascuna emergenza: il Dl bis “liquida” in soli 5 articoli il tema- immigrazione prevedendo una pesante stretta repressiva sugli sbarchi e “pene esemplari” per chi viene ritenuto colpevole di favorire l’immigrazione clandestina (dunque in primo luogo le tanto odiate ONG, i cui comandanti delle navi possono essere condannati a multe fino a un milione di euro), per poi concentrarsi con cura sulle misure tese a schiacciare sul nascere ogni possibile sollevazione di massa in chiave antigovernativa.
E così si prevede, negli articoli 6 e 8 un forte inasprimento delle pene per l’uso dei caschi all’interno di manifestazioni, per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e finanche per l’uso di semplici fumogeni durante i cortei.
Il decreto, entrato in vigore il 15 giugno 2019, viene definitivamente convertito in legge l’8 agosto, dunque a pochi giorni dalla sceneggiata del Papeete Beach e della fine anticipata dell’esecutivo gialloverde.
Va peraltro notato che in questa occasione, contrariamente a quanto avvenuto col primo decreto, durante l’iter di conversione le pene previste, sia in caso di sbarchi di clandestini sia riguardo l’ordine pubblico alle manifestazioni, vengono addirittura inasprite: il tutto con il voto favorevole dell’intero gruppo parlamentare pentastellato!
Il resto della storia è noto come abbiamo accennato all’inizio dell’articolo.
Nel corso dei primi mesi di insediamento del Conte Bis, lungi dall’assistere a un ammorbidimento della stretta repressiva, abbiamo assistito invece ad un suo inasprimento: a partire dalla primavera del 2019 ad oggi gli scioperi nella logistica e i picchetti sono quotidianamente attaccati dalle forze dell’ordine a colpi di manganello e gas lacrimogeni, ma soprattutto si moltiplicano le misure penali, cautelari e amministrative e addirittura le Procure tirano fuori, come per magia, procedimenti pendenti per manifestazioni, scioperi e iniziative di lotta svoltesi anni addietro e tenute a lungo nel cassetto. La scure colpisce indiscriminatamente tutto ciò che sia mosso nell’ultimo decennio: scioperi, movimento No-Tav, lotte dei disoccupati, occupazioni a scopo abitativo, iniziative antimilitariste, e persino semplici azioni di protesta puramente simbolica.
Tuttavia, per mettere bene a fuoco il contesto generale che portano a questa vera e propria escalation bisogna fare un passo indietro e tornare al 2017.
E’ in questo periodo, infatti, che il governo Gentiloni a guida PD vara il Decreto- sicurezza Minniti, contenente gran parte delle norme e delle pene di cui si servono le Procure per scatenare questa vera e propria guerra agli sfruttati e agli oppressi.
Il DL Minniti-Orlando
Roma, 25 marzo 2017: in occasione del vertice dei capi di stato UE per celebrare i 60 anni dei Trattati, le strade della capitale sono attraversate da diversi cortei, tra cui quello del sindacalismo di base e dei movimenti che esprimono una radicale critica alle politiche di austerity imposte da Bruxelles. Ancor prima dell’inizio della manifestazione avviene un vero e proprio rastrellamento a macchia di leopardo per le vie di accesso alla piazza: 30 attivisti vengono fermati dalla polizia e condotti in Questura, laddove saranno sequestrati per ore e rilasciati solo a fine corteo. Questo controllo “preventivo” ha come esito l’emissione di 30 DASPO urbani per tutti i fermati: la loro unica colpa era quella di indossare giubbotti di colore scuro e qualche innocuo fumogeno. In alcuni casi gli agenti pur avendo potuto appurare la mancanza di precedenti penali, decidono di procedere ugualmente al fermo in base all’“indifferenza ed insofferenza all’ordine costituito con conseguente reiterazione di condotte antigiuridiche sintomatiche”.
I suddetti Daspo urbani rappresentano la prima applicazione concreta del DL Minniti, varato dal governo Renzi il 17 febbraio 2017 e definitivamente convertiti in legge il successivo 12 aprile contestualmente all’approvazione di un secondo decreto “Orlando-Minniti” sull’immigrazione. Tale misura, che prende a modello anche nel nome gli analoghi provvedimenti già sperimentati sulle curve calcistiche, nelle dichiarazioni di Minniti si prefigge di tutelare la sicurezza e il decoro delle città attraverso l’allontanamento immediato di piccoli criminali o di semplici emarginati (clochard, viandanti, parcheggiatori abusivi, ambulanti), con ciò svelando fin dal principio la una visione securitaria analoga a quella della Lega. Ma i fatti di Roma dimostrano in maniera chiara che il bersaglio principale del DL Minniti è il dissenso sociale e politico: la linea guida è quella di perseguire le lotte sociali in via preventiva, non più attraverso le leggi e le norme del codice penale ad esse preposte e per i reati “tipici” riconducibili a proteste di piazza, bensì attraverso l’uso estensivo e per “analogia” di fattispecie di reato ascrivibili alla criminalità comune: a sperimentarlo sulla loro pelle saranno ad esempio i 5 licenziati della FCA di Pomigliano d’Arco, che l’11 ottobre 2018 si vedono rifilare un Daspo immediato da parte della Questura a seguito di un’iniziativa simbolica e pacifica su un palazzo di piazza Barberini in cui si chiedeva un incontro col l’allora ministro Di Maio.
In realtà il Daspo urbano codifica ed accelera un processo che è già in atto e che nelle aule di Tribunale ha già prodotto numerosi precedenti: su tutti basterebbe pensare alla feroce repressione abbattutasi nel 2014 contro decine di esponenti del movimento dei disoccupati napoletani, incarcerati o condotti agli arresti domiciliari per diversi mesi con l’accusa di “estorsione” associata alla richiesta di lavoro, o al già citato caso di Aldo Milani, condotto agli arresti con la stessa accusa il 26 gennaio 2017 a seguito di un blitz delle forze dell’ordine a un tavolo di trattativa sindacale in cui si stava discutendo di 55 licenziamenti nell’azienda di lavorazione carni Alcar Uno e della possibilità di interrompere le agitazioni nel caso in cui i padroni avessero sospeso i licenziamenti e pagato quanto dovuto ai lavoratori…
In secondo luogo, il Daspo urbano va ad affiancarsi a un già ampio ventaglio di misure restrittive e limitative della libertà personale: fogli di via obbligatori, obblighi e divieti di dimora, avvisi orali, sorveglianza speciale, ecc.: riguardo quest’ultima, il caso forse più eclatante è rappresentato dalla sentenza del 3 ottobre 2016 con cui il Tribunale di Roma ha imposto un rigido regime di sorveglianza speciale a carico di Paolo Di Vetta e Luca Faggiano, due tra i principali esponenti del movimento romano per il diritto all’abitare (questa misura è poi diventata, negli ultimi anni, il principale strumento repressivo teso a colpire il movimento anarchico in varie città). D’altra parte va evidenziato che rispetto alle misure sovracitate, il Daspo Urbano si contraddistingue per la tempestività di attuazione in quanto diviene immediatamente esecutivo senza dover attendere l’iter processuale.
L’approvazione nello stesso giorno della legge Minniti, intitolata “Disposizioni urgenti per la tutela della sicurezza delle città” e della legge Minniti- Orlando intitolata “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e per il contrasto dell’immigrazione illegale” non è casuale, bensì risponde a una precisa strategia tesa ad associare l’“emergenza-sicurezza” con l’“emergenza immigrati”, presentandole agli occhi dell’opinione pubblica come due facce della stess medaglia. D’altrone, le norme contenute nella legge immigrazione voluta dal PD, per il loro tenore discriminatorio e repressivo non si fanno mancare davvero niente. Al suo interno sono previsti, tra l’altro: l’ampliamento e la moltiplicazione dei centri di espulsione (ribattezzati CPR al posto dei CIE creati dalla Bossi-Fini) che da 5 passano a 20; l’accelerazione delle procedure di espulsione attraverso l’abolizione del secondo ricorso in appello per le richieste di asilo; l’abolizione dell’udienza (il testo del decreto, poi modificato, prevedeva addirittura la creazione di tribunali speciali ad hoc, vietati dalla Costituzione) e l’introduzione del lavoro volontario, cioè gratuito, per gli immigrati. Contestualmente, nelle stesse settimane il governo Gentiloni siglava un memorandum con il governo libico in cui veniva garantito il massimo supporto in funzione anti-Ong alla guardia costiera libica, cioè a coloro che sono universalmente riconosciuti come responsabili di violenze e torture nei campi di detenzione. Non è un caso che questa legge abbia ricevuto dure critiche persino dall’ARCI e dalle ACLI (senza però mai tradursi in mobilitazioni concrete per la sua cancellazione).
Da questa ampia disamina dovrebbe dunque apparire chiaro come i due decreti- Salvini siano tutt’altro che piovuti dal cielo, e men che meno il semplice frutto di un “colpo di mano” ad opera di un estremista di destra: al contrario, Salvini e i suoi soci hanno camminato su un tappeto di velluto sapientemente e minuziosamente preparato dai governi a guida PD.
Il messaggio di questi provvedimenti è sostanzialmente analogo: se sei italiano devi rigare dritto e non osare mai disturbare il manovratore, pena il carcere o la privazione della libertà personale; se sei immigrato, o accetti di venire in Italia, come uno schiavo non avrai alcun diritto e sarai sfruttato per 12 ore al giorno in un magazzino o in una campagna a 3-4 euro all’ora, oppure sarai rimpatriato.
L’escalation repressiva degli ultimi mesi contro il SI Cobas
Avendo a disposizione un menu di provvedimenti tanto ampio, nel corso del 2019 lo stato concentra ancor più le proprie attenzioni contro le lotte sindacali nella logistica e i picchetti organizzati dal SI Cobas col sostegno di migliaia di lavoratori immigrati.
Ancora una volta la città di Modena diviene il laboratorio di sperimentazione del “pugno di ferro” da parte di Questure e Procure. La ribellione delle lavoratrici di ItalPizza, sfruttate per anni con contratti-capestro non corrispondenti alle loro mansioni e discriminate per la loro adesione al SI Cobas, diviene il simbolo di una doppia resistenza: da un lato ai soprusi dei padroni, dall’altro alla repressione statale.
La reazione delle forze dell’ordine è durissima: lacrimogeni sparati ad altezza-uomo, responsabili ed operatori sindacali pesatati a freddo, lavoratrici aggredite mentre sono in presidio. Addirittura si mobilitano a sostegno dei padroni le associazioni delle forze di polizia con in testa il potente SAP.
Ad ottobre si arriva addirittura a un maxiprocesso a carico di ben 90 tra lavoratori, sindacalisti e solidali. Ma la determinazione delle lavoratrici è più forte di ogni azione repressiva, e nonostante l’azione congiunta di padroni, forze dell’ordine e sindacati confederali, la battaglia per il riconoscimento di pieni diritti salariali e sindacali è ancora in corso.
Ma Modena è solo la punta dell’iceberg: nella vicina Bologna, una delle principali culle del movimento della logistica, ad ottobre i PM della Procura della Repubblica tentano addirittura di imporre 5 divieti di dimora per alcuni tra i principali esponenti provinciali del SI Cobas, compreso il coordinatore Simone Carpeggiani, accusati di minare l’ordine pubblico della città per via di uno sciopero con picchetto che si era svolto un anno prima (misura alla fine respinta dal giudice).
Nelle stesse settimane alla CLO di Tortona (logistica dei magazzini Coop), dopo un innumerevole sequela di attacchi delle forze dell’ordine al presidio dei lavoratori a colpi di manganelli e lacrimogeni, il 25 novembre la Questura di Alessandria decide di intervenire a gamba tesa ed emette 8 fogli di via contro lavoratori e attivisti.
A Prato, città attraversata da più di un anno da imponenti mobilitazioni operaie nel settore tessile, dapprima (a marzo 2019) vengono emessi due fogli di via nei confronti dei responsabili SI Cobas locali; poi, a dicembre, nel pieno di una dura vertenza alla Tintoria Superlativa di Prato (in cui tra l’altro i lavoratori pachistani denunciano un consolidato sistema di lavoro nero e sottopagato), si passa ai provvedimenti amministrativi, con la Questura che commina 4 mila euro di multa a 19 lavoratori e due studentesse solidali con le proteste.
Il 9 gennaio il gip di Brescia emette otto divieti di dimora nel comune di Desenzano del Garda a seguito delle proteste del SI Cobas contro 11 licenziamenti alla Penny Market.
A queste e tante altre analoghe misure restrittive si accompagnano altrettanti provvedimenti amministrativi tesi a colpire economicamente le tasche dei lavoratori e del sindacato.
Intanto, i PM del Tribunale di Modena sono ricorsi ( seppure la macchina amministrativa giudiziaria sia intasata da milioni di processi non compiuti) in appello, contro la sentenza di assoluzione piena avvenuta in primo grado nei confronti di Aldo Milani nel già citato processo sui fatti in Alcar Uno.
E’ evidente che un azione talmente incessante e sistematica da parte di Questure e Procure risponde a un organico disegno politico: neutralizzare e decapitare un sindacato combattivo e in continua espansione serve ad assestare l’ennesimo colpo al diritto di sciopero e all’esercizio della libertà di associazione sindacale, entrambi già gravemente compromessi nella gran parte dei luoghi di lavoro e ulteriormente ridotti all’indomani dell’approvazione del Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, grazie al quale il riconoscimento sindacale diviene un privilegio ottenibile solo in cambio della rinuncia sostanziale allo sciopero come arma di contrattazione.
L’oramai più che decennale processo di blindatura da parte dello Stato verso ogni forma di dissenso e di conflitto è in ultima istanza il prodotto di una crisi economica internazionale che, lungi dall’essersi risolta, si riverbera quotidianamente in ogni aspetto della vita sociale e tende ad alimentare contraddizioni potenzialmente esplosive e tendenzialmente insanabili.
Le leggi e i decreti sicurezza, i quali, una volta scrostata la sottile patina di colore ad essi impressa dai governi di questo o quello schieramento, mostrano un anima pressoché identica, rappresentano non la causa, bensì il prodotto codificato e “confezionato” di questi processi, a fronte dei quali il razzismo e le paranoie securitarie divengono forse l’ultima “arma di distrazione di massa” a disposizione dei governi per occultare agli occhi di milioni di lavoratori e di oppressi una realtà che vede continuare ad acuirsi il divario sociale sfruttatori e sfruttati, capitalisti e masse salariate.
Alla luce di ciò, è evidente che ogni ipotesi “cambiamento” reale dell’attuale stato di cose, ogni movimento di critica degli effetti nefasti del capitalismo (razzismo, sessismo, devastazione ambientale, guerra e militarismo, repressione) può avere concrete possibilità di vittoria o quantomeno di tenuta solo se saremo capaci di collegare in maniera sempre più stretta e organica il movimento degli sfruttati. Unire le lotte quotidiane portate avanti dai lavoratori, dai disoccupati, dagli immigrati, dagli occupanti casa, di chi difende i territori sottoposti a devastazione ambientale e speculazione ecc.
Come dimostra anche la storia recente, affrontare la repressione come un aspetto separato rispetto alle cause reali e profonde che generano l’offensiva repressiva, significa porsi su un piano puramente difensivo e alquanto inefficace.
L’unico reale rimedio alla repressione è l’allargamento delle lotte sociali e sindacali, così come l’unico antidoto agli attacchi alla libertà di sciopero sta nel riappropriarsi dello strumento dello sciopero. Ciò nella consapevolezza che a fronte di un capitalismo sempre più globalizzato diviene sempre più urgente sviluppare forme stabili di collegamento con le mobilitazioni dei lavoratori e degli sfruttati che, nel silenzio dei media nostrani, stanno attraversando i quattro angoli del globo (dalla Francia all’Iraq, dall’Algeria all’India), il più delle volte ben più massicce di quelle nostrane sia per dimensioni che per livelli di radicalità.
Senza la ricostruzione di un vero e forte movimento politico e sindacale di classe, combattivo e autonomo dalle attuali consorterie istituzionali e dai cascami dei sindacati asserviti, saremo ancora a lungo costretti a leccarci le ferite.
Nell’immediato, diviene sempre più necessario costruire un fronte ampio contro le leggi-sicurezza, per chiedere la loro cancellazione immediata e costruire campagne di informazione e sensibilizzazione finalizzate a fermare la scure repressiva che sta colpendo migliaia di lavoratori, attivisti, giovani e immigrati.
Per tale motivo una delle iniziative che vogliamo fare è quella di mettere in campo un’assemblea l’8 febbraio a Roma per un fronte unico di tutti quelli che si battono contro le politiche anti proletarie e repressive borghesi.
SI Cobas
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mmnt17 · 6 years ago
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Nanni Balestrini, Editoria e movimento (Gli autonomi vol. 3, DeriveApprodi Editore)
«[...] Contemporaneamente alla chiusura di "Quindici" nasce "Potere operaio". L'annuncio della costituzione del gruppo era stato dato alla fine di luglio '69 e in settembre ci fu a casa mia a Roma in via dei Banchi Vecchi la riunione di fondazione. Tra i partecipanti Toni Negri, Franco Piperno, Giairo Daghini, Oreste Scalzone, Sergio Bologna, Lapo Berti. Utilizzando la struttura di "Quindici", i rapporti e anche parte del materiale non pubblicato, ho preparato, con l’appoggio di Feltrinelli, una nuova rivista intitolata "Compagni,". L’idea era quella di continuare l’opera di "Quindici", offrendo all’azione e al dibattito del movimento uno spazio e una visibilità mediatica. Ne sono usciti solo due numeri, non solo per l’improvvisa scomparsa di Feltrinelli, ma piuttosto perché sono nati e si sono moltiplicati i giornali dei gruppi extraparlamentari: quotidiani, settimanali, mensili, e quindi la funzione di dar voce al movimento era cessata, e io ho cominciato a collaborare ai primi numeri di "Potere Operaio". La redazione della rivista era a Milano, nella casa di Giairo Daghini, la famosa comune di via Sirtori. Ricordo che con una vecchia Citroen DS andavo all’aeroporto a prendere Giairo Daghini e Oreste Scalzone che arrivavano all’ultimo momento con gli articoli del giornale. Ci precipitavamo in tipografia per far comporre i testi col piombo delle linotypes, correggere le bozze e impaginare. Ci mettevamo due giorni. Sempre per Potere operaio ho curato le pubblicazioni «Linea di massa», erano opuscoli su temi specifici, come per esempio sul lavoro tecnico-scientifico, curato da Franco Piperno, o sui Cub della Pirelli. Lasciata la Feltrinelli nel '73-74 ho fatto per la casa editrice Marsilio una collana dedicata a testi del movimento intitolata "Collettivo", dove sono usciti tra l'altro Nord e sud uniti nella lotta dello scrittore operaio Vincenzo Guerrazzi e Scrittura e movimento di Franco Berardi Bifo. Su "Linus" pubblicavo le poesie della Signorina Richmond, ironico personaggio metá  poesia e metá rivoluzione e nel '76 da Einaudi la raccolta di racconti La violenza illustrata . Mi ero intanto trasferito a Milano dove ho curato con Bifo alcuni numeri della rivista dell'autonomia "Rosso" e mi sono occupato di un nuovo progetto editoriale: l'Ar&a. C'era stato un importante convegno a Orvieto, nel '76, con accesi dibattiti sui rapporti tra cultura e movimento. Era stato organizzato dalla Cooperativa Scrittori, creata da Luigi Malerba e Elio Pagliarani con altri scrittori provenienti dal Gruppo 63. Era l'idea dell'editoria alternativa che circolava dopo il Sessantotto, con esempi realizzati in Germania, e anche in alcune zone del movimento in Italia: gruppi di scrittori o politici che si pubblicano da soli, si fanno la loro casa editrice, se la autogestiscono. Si tratta di iniziative piú che lodevoli che peró devono affrontare difficoltá  spesso insormontabili: la debolezza finanziaria, la scarsa competenza editoriale, la poca possibilitá  di diffusione. Per risolvere questi problemi si è pensato a una struttura che potesse fornire i servizi di cui dispone un normale editore medio alle piccole iniziative non in grado di sostenerli per la loro dimensione ridotta. Il lavoro redazionale, la grafica, il rapporto con la tipografia e con la distribuzione nelle librerie, l'ufficio stampa, l'amministrazione, il magazzino sono i servizi indispensabile per poter esistere sul mercato librario e superare la fase dilettantesca e artigianale dell'editoria alternativa, affascinante ma inefficace e sempre in perdita. Con l'Ar&a il lavoro degli editori si limitava alla ricerca dei titoli, al rapporto con gli autori e a mettere a punto i libri che intendevano pubblicare. Veniva definita la programmazione, le date di uscita dei titoli, e poi una volta consegnato il manoscritto alla redazione centralizzata l'Ar&a provvedeva a tutto. Il lavoro redazionale e grafico era eseguito professionalmente. Accentrando la stampa su un'unica tipografia era possibile ottenere prezzi vantaggiosi, e la stessa cosa valeva per l'acquisto della carta in grandi quantitativi. L'ufficio stampa poteva offrire ai giornali una vasta gamma di libri di cui occuparsi. Il fatto di operare per diverse sigle permetteva di presentarsi con un buon numero di uscite regolari mensili a un distributore nazionale, che non aveva interesse a lavorare per chi produceva pochi titoli saltuari. Era stata creata una societá  tra me, il giovane Luigi Durso che aveva procurato il finanziamento iniziale, e Gianni Sassi, personaggio dell'undreground milanese, proprietario della casa discografica Cramps per cui incidevano gli Area, che ne hanno suggerito il nome. Alcune sigle editoriali coinvolte preesistevano, come la Cooperativa Scrittori, le Edizioni delle donne e Multhipla di Gino Di Maggio, grande collezionista d'arte. Altre sono nate come emanazioni di riviste: L'Erba voglio di Elvio Facchinelli, le Edizioni Aut aut di Pierluigi Rovatti. Lavoro liberato di Francesco Leonetti era legata ai gruppi marxisti-leninisti, e I Libri del No di Dario Paccino ai comitati autonomi operai di Via dei Volsci, mentre Librirossi di Andrea Bonomi all'area autonoma milanese. Piú anomale le edizioni di Squilibri condotte da Dario Fiori detto Varechina che proponeva pamphlet provocatori come Un risotto vi seppellirá, materiali di lotta dei circoli proletari giovanili di Milano, e di Profondo rosso dedicate al thriller e inaugurate con i Racconti sanguinari curati da Dario Argento. Si producevano 7/8 titoli al mese, quanto un buon editore medio, i libri erano presenti nelle librerie, i giornali se ne occupavano, i ricavati delle vendite arrivavano regolarmente e venivano ripartiti con i diversi editori. Nel suo anno e mezzo di vita Ar&a arrivó a pubblicare piú di cento titoli, alcuni con un buon successo immediato come Il Superuomo di massa di Umberto Eco e Fantasmi italiani di Alberto Arbasino, oppure La fabbrica della strategia, 33 lezioni su Lenin di Toni Negri, Alice è il diavolo del collettivo A/traverso, e poi molti titoli delle Edizioni delle donne, in particolare S.C.U.M., manifesto per l'eliminazione dei maschi di Valerie Solanas. Ma nell'inverno 1978 l'Ar&a è costretta a interrompere la sua attivitá. Approfittando della lotta contro il terrorismo la repressione aveva cominciato a aggredire la parte piú esposta del movimento, l'informazione, l'editoria, le librerie, con continue perquisizioni e denunce. Minacce di arresto da parte dei carabinieri avevano convinto il socio finanziatore a sospendere temporaneamente le pubblicazioni, arresto che poi è diventato definitivo [...]».
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curiositasmundi · 6 years ago
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Il Governo Tenco
“Sì, lo so che questa non è certo la vita Che ho sognato un giorno per noi Vedrai, vedrai che cambierà Forse non sarà domani Ma un bel giorno cambierà Vedrai, vedrai Non son finito sai Non so dirti come e quando Ma vedrai che cambierà”. 
Dopo averle votate e rinnovate per anni, oggi la Lega non ha nessuna reale intenzione di revocare le concessioni ai Benetton come ha promesso il cosiddetto Governo del Cambiamento. Quindi Salvini ha passato tutta la settimana a fare l’unica cosa di cui è capace: dirottare l’attenzione sul solito capro espiatorio, l’ennesimo sparuto gruppo di profughi appositamente bloccati su una nave. Il disumano, infame diversivo ha fatto comodo anche al PD, che ha potuto recitare la parte del poliziotto buono, fingendo di non essere corresponsabile delle torture subite dai migranti nei lager finanziati dalla dottrina Minniti. La nave coi profughi presi in ostaggio dal governo italiano però era italiana, perciò l’Unione Europea non ha ceduto al ricatto mediatico, e stavolta non ha neanche finto d’accettare di accoglierne alcuni. L’UE non è migliore di Salvini. E ci ha assegnato il ruolo di buttafuori, non di buttadentro. Pupazzetto Di Maio ha quindi alzato la posta, impiccandosi – inutilmente – all’ennesima promessa cazzara: smettere di versare i contributi italiani all’Unione Europea. Una vecchia idea di Renzi. “Smetto quando voglio” ha dichiarato. Subito smentito dal ministro degli Esteri. Intanto Salvini finiva indagato per abuso d’ufficio, arresto illegale, e sequestro di persona. Alla fine è intervenuta la Conferenza Episcopale Italiana, offrendosi di risolvere accogliendo i profughi ovviamente in Italia. Salvini ha ceduto, spacciando la terribile figura di merda per una vittoria, ed ha autorizzato lo sbarco. Adesso il suo governicchio ha un grosso debito pure col Vaticano. Ma ricapitoliamo le principali promesse con le quali i Cazzari Grilloverdi avevano (separatamente) vinto le elezioni:
Abolizione della legge Fornero Ripristino dell’articolo 18 Flat Tax Reddito di cittadinanza Pensione di cittadinanza Asili nido gratis Internet a banda larga gratis Abolizione delle accise Abolizione degli studi di settore, Redditometro e Spesometro Legge anti-corruzione Legge contro il conflitto di interessi Ministero per le disabilità Blocco di TAV e TAP Rimpatrio immediato di 600 mila immigrati Riconversione ecologica dell’Ilva.
Verrà il giorno in cui torturare profughi bloccandoli su una nave non basterà più per distrarre gli italiani dai disastri, e dalle promesse non mantenute. Per quel momento, Salvini e Di Maio hanno un Piano B:
Fase uno: Dare la colpa all’Europa. Fase due: Darsi la colpa a vicenda Fase tre: Far cadere il governo, e passare mano a un tecnico che faccia tutto il lavoro sporco, e si prenda lui tutta la colpa. Fase quattro: Tornare a votare in primavera, e rivincere con le stesse promesse irrealizzabili, perché tanto gli elettori italiani hanno la memoria d’un pesce rosso e l’intelligenza d’una spugna di mare. Funzionerà di nuovo?
Alessandra Daniele su Carmilla
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