#apologia contro di diversi
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L'apologia che la chiesa fa contro omosessuali e donne potrebbe essere combattuta anche con la sola Legge Mancino, dato che ratifica che quelle campagne razziste di destra sono reato; ma non si fa neppure questo minimo sindacale. Il fascismo non è finito: è ancora vivissimo.
Negli anni precedenti, con governi diversi che sembravano di sinistra, la Legge Mancino è stata dimenticata; ci sono gli strumenti normativi per combattere il dilagarsi di apologie fasciste, ma non sono stati usati, il che vuol dire che va bene così pure all'odierna opposizione.
Il cattolicesimo è una dottrina religiosa che non fa meno apologia contro i 'diversi' del fascismo - eppure la passa liscia: tutto ciò non fa venire alcuna voglia di festeggiare il 25 aprile: la Liberazione non è ancora avvenuta: si muore ancora poiché considerati 'diversi'.
Durante il fascismo, il nazismo, il franchismo, la chiesacattolica non mostrò meno accanimento contro ebrei e dissidenti, di quanto già non avesse fatto prima, collaborando ampliamente anche con i rastrellamenti ed osannando Mussolini: dando pieno appoggio alla sua dittatura.
Fascismo e nazismo non inventarono nulla: l'antisemitismo da parte del cattolicesimo, che non massacrò di meno gli ebrei, si era da poco apparentemente sedato in Europa; hanno solo riproposto un iter su un popolo già odiato, più volte perseguitato dal cristianesimo.
Ottima l'idea di pubblicare chi è stato ucciso poiché ebreo; sarebbe ideale applicarla anche per i numerosi genocidi compiuti da cristiani (che l'antisemitismo lo hanno inventato); il cristianesimo non fece di meno in nome del suo dio, istituendo anche i ghetti ebraici.
#apologia contro di diversi#25 aprile#cattolicesimo#fascismo#nazismo#franchismo#ebrei#antisemitismo#cristianesimo
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Tollerare chi odia in modo irrazionale (tipo un omofobo o un razzista o un misogino), significa rinforzare il suo comportamento asociale.
C'è una Legge Mancino a riguardo, che tutela gli individui molestati, e si può applicare anche nei confronti di una religione che faccia apologia contro i "diversi" (tipo il cattolicesimo).
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Un importante giro di boa verso la manifestazione nazionale del 4 novembre a Roma
Nonostante un tempo inclemente, oltre duemila persone hanno sfilato dalla basilica di San Piero a Grado sino alla base militare di camp Darby, sino ad arrivare alle reti della base del CISAM (Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari), dove pende il progetto di insediamento di una base dei Gruppo di InterventI Speciali dei carabinieri.
Una manifestazione preparata da tempo dal Movimento contro la base a Coltano ed altrove, per dire no alla nuova base che il governo Draghi prima e il governo Meloni adesso intendono costruire nel cuore di un parco naturale già occupato da queste due servitù militari statunitense ed italiana.
L’emergenza palestinese di queste ultime settimane, riesplosa con l’insurrezione popolare del 7 ottobre, ha profondamente condizionato il clima e le parole d’ordine del corteo, orientando tutte le componenti che hanno incarnato la manifestazione ad esprimere la propria solidarietà con il popolo palestinese e la sua resistenza contro Israele, con contenuti diversi ma convergenti sul no al massacro in atto a Gaza.
Una manifestazione importante, che ha visto sfilare molte soggettività provenienti dal centro e nord Italia, impegnate sia nella lotta contro la guerra, sia su tematiche ambientali territoriali riconducibili al clima di “guerra interna” che subiscono i territori, martoriati dal produzioni nocive, discariche e scandali continui, che vedono amministratori locali di tutti gli schieramenti politici coadiuvare e coprire imprese private nell’interramento abusivo di residui cancerogeni.
Insieme alle questioni ambientali sono state agitate le tematiche della militarizzazione della formazione e dell’Università, anche grazie alla forte presenza dei giovani di Cambiare Rotta e di OSA (organizzazione Studentesca di Alternativa), che insieme alla Rete dei Comunisti hanno animato la manifestazione con uno striscione che recitava: “Con la Palestina fino alla vittoria – no basi no guerre no NATO – sabato 4 novembre tuti a Roma”.
Forte la presenza di Potere al Popolo, con la presenza della portavoce nazionale Marta Collot, intervenuta ai microfoni e sulla stampa sui temi del No alla guerra, alla NATO e all’invio delle armi in Ucraina, oltre che alla solidarietà con la resistenza palestinese.
Infine ma non per ultima l’Unione Sindacale di Base, che nel suo intervento al microfono ha evidenziato il clima di guerra “interna” che si sta vivendo a livello continentale con l’arresto di un sindacalista della CGT francese per “apologia di terrorismo” per aver solidarizzato con la resistenza palestinese.
Anche in Italia si susseguono provvedimenti liberticidi contro il diritto di sciopero e contro le mobilitazioni studentesche. Una guerra fatta di tagli enormi alla spesa sociale e ai salari per pagare missioni militari e invio di armi, ma anche di centinaia di morti sul lavoro e decine di migliaia di invalidi.
A Pisa abbiamo vissuto un momento importante di mobilitazione, che ha portato in piazza istanze generali e territoriali.
Ora si tratta di mettere a valore la forza espressa contro basi militari, militarizzazione della società e devastazioni territoriali, orientandola contro il primo responsabile di queste politiche: il governo Meloni e il suo allineamento totale con l’euroatlantismo NATO, che sta portando il paese nell’occhio del ciclone di un escalation pericolosissima per la pace nel mondo.
Per questo siamo scesi in piazza indicando nella manifestazione nazionale del 4 novembre come ulteriore passaggio, insieme a tutte le mobilitazioni che si svolgeranno in quel giorno in altre città, per dare una nuova prospettiva al movimento contro la guerra nel nostro paese.
Ci vediamo a Roma il 4 novembre!
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Tollerare chi odia in modo irrazionale (tipo un omofobo o un razzista o un misogino), significa rinforzare il suo comportamento asociale.
C'è una Legge Mancino a riguardo, che tutela gli individui molestati, e si può applicare anche nei confronti di una religione che faccia apologia contro i "diversi" (tipo il cattolicesimo).
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Non costa nulla dire ad una persona "guarda che non è vero"; se lavori nel campo della Scienza, argomentare è il tuo pane quotidiano; pure divulgare, se ne sei capace.
Le informazioni ci sono, ma non accessibili a tutti; c'è uno strato enorme della popolazione italiana che non legge manco un libro all'anno. Viviamo in un Paese dove ancora la religione (l'irrazionalità ) è considerata cultura ed educazione. Il problema NON si affronta punendo.
Siamo sommersi di fake news, religiose o meno, da ogni sponda e la comunità scientifica se ne disinteressa, rendendosi complice di quanto sta accadendo.
Guerre da bar sui social; inquinamento della rete fatto di inutili scontri fra psuedomedici e pseudoscienziati, che non fanno divulgazione scientifica, cioè quello che conta.
La sfiducia nella scienza, riapparsa durante il periodo Covid, nasce anche da comportamenti reazionari di medici, ricercatori e virologi, sui social, nei media; nonché da chi li segue e difende impropriamente, attaccando e non divulgando.
È la religione, chi difende dogmi indimostrabili, a minacciare chi la mette in discussione, non la Scienza, che si occupa di trovare soluzioni e fare divulgazione, non bullismo, non anatemi sui social.
Chi conta davvero in Scienza sono tutti quei Ricercatori, che lavorano duro nei laboratori e hanno in mente solo di trovare Soluzioni, non di divagare sui social, a straparlare, a fare invettive, a minacciare utenti, perdendo tempo invece di fare Ricerca per aiutare malati.
Il metodo scientifico è ciò che caratterizza un uomo di Ragione: il saper dominare con la logica (non con l'amor proprio) le questioni semplici quanto quelle complesse, trovando Soluzioni ad un problema. Soluzioni: non stupide vendette, che odorano solo di lesa maestà.
La fede si costruisce su un gioco-forza di violenza psicologica e minacce; l'attendibilità scientifica, solo su prove ed evidenze. Chi si occupa di Scienza lo sa; in troppi mostrano però di non aver capito ancora la differenza fra religione e Scienza.
Non è reato mentire: ogni giorno lo fa un prete, un papa, un vescovo, un insegnante di religione, e ci guadagnano pure soldi a palate, tali truffatori, prendendo pure soldi dal welfare italiano. E finché esiste questo, le querele non valgono nulla.
Chiese aperte durante il picco più alto di Covid, grazie all'avvallo della comunità scientifica, che misero in pericolo la salute di persone fragili; mutismo assoluto quando la politica di destra e la chiesa si scagliano contro donne e gay e figli dei gay. Questa NON è scienza.
Porgere il fianco alla religione, pure in un momento di pandemia quando LA GENTE MUORE, al posto di scontrarsi con essa per difendere i fragili, ha un prezzo. Si chiama: non sei uno scienziato, non sei un medico, non sei un virologo, ed io ho il DIRITTO di dubitare di te.
Se durante una pandemia, tutti i locali superflui o considerati tali (come i teatri) vengono chiusi, ma le chiese no e i virologi a riguardo non battono ciglio, perché 'per fede' è possibile sfidare il virus, anche quando sei anziano fragile, come si chiama questo? Medicina? No.
Quando la chiesa cattolica e i cattolici fanno apologia contro i diversi, portando qualcuno anche al suicidio, come è da poco accaduto a Cloe Bianco, alla scienza italiana non interessa; la stessa scienza che teneva le chiese aperte durante la pandemia Covid, ma chiudeva il resto.
Il fatto che i virologi abbiano mostrato atteggiamento NON scientifico, appoggiando la chiesa nella sua richiesta di tenere aperto durante il Covid, mettendo a rischio anziani (i più fragili), ci dice che siamo molto lontani ancora da una Scienza Indipendente, AUTOREVOLE.
Con quel "i miei avvocati" verso comuni cittadini, da uomini che lavorano in campo scientifico, dimostra che per quanto una persona possa studiare, farsi una cultura, se non matura una Coscienza, non matura Etica, rimane il rozzo elemento gretto di partenza.
I religiosi si muovono incutendo paura per essere rispettati; se si è davvero uomini di scienza si deve dimostrarlo anche comportandosi come tali: è un ruolo che chiede atteggiamenti Etici, non morali; di essere mossi dal bene superiore che è la salute degli altri, non l'ingaggiare guerriglie sui social.
Con uno sproloquio su "i miei avvocati" contro una comune persona, si rafforza soltanto la bias cognitiva di chi percepisca gli scienziati brutti e cattivi; è un enorme piacere che si fa verso religiosi, speculatori, truffatori che vogliono che questa immagine si consolidi.
Chi fa dietrologia, quale comune cittadino, poggia il suo operato irrazionale sulla bias cognitiva di ritenere tutti incapaci e menzonieri medici e scienziati: non gli va rafforzata, ma spenta, con un comportamento impeccabile; deve esserci Etica da chi ha un Ruolo che gli impone di attuarla.
Facile prendersela con una persona debole con "i miei avvocati"; più difficile scontrarsi con una testata giornalistica strutturata o contro una istituzione millenaria che fa disinformazione, che può avere più risorse di te coi 'miei avvocati' Ma è lì che si vede CHI SEI DAVVERO.
Puoi scrivere tutte le norme che vuoi per difendere qualcuno dalle fake news, dalla diffamazione, ma se da una parte, per motivi religiosi, ammetti che si può mentire, diffamare, molestare, quelle norme NON valgono nulla. E un buon avvocato LO SA, chi ha Cultura, lo sa.
Si vuole muovere una guerra, al posto di fare Ricerca, al posto di pensare ai malati? La si muove alla radice del problema: non si cade nella facile trappola di minacciare un comune cittadino, perché NON ci si vuole scontrare coi diretti responsabili della disinformazione.
La comunità scientifica italiana, quando il governo e la chiesa cattolica fanno apologia contro omosessuali, donne, 'diversi', se ne sta nel suo cantuccio, muta; ma si scomoda assai quando la sua autorità viene messa in discussione sui social da 4 utenti con 100 account a testa.
La Scienza e la Ragione si difendono con le prove, con i dati, col quotidiano impegno verso le persone, non contro esse o litigando tramite avvocati; lo scopo di un medico, di un ricercatore è impegnare il proprio tempo PER GLI ALTRI. Come Ippocrate stesso intese, e Socrate pure
Cosa è più importante? Fare Ricerca e concentrarsi, spendendo il proprio tempo ed energie SOLO su ciò che è strettamente legato alla professione e allo scopo (curare) o lanciare guanti di sfida a destra e manca a chi non conta nulla, sui social, a colpi di "i miei avvocati"?
Una persona comune ha tutte le ragioni di difendersi da una diffamazione, reagendo anche in modo scomposto; quando non sei una persona comune, le tue reazioni non calcolate ricadono su di te, su chi lavora con te, e nel campo della medicina, sull'immagine che offri ai malati.
Da non credente, io non credo a nulla: così come non credo nelle divinità e in chi le sostiene, così non credo a chi ancora, da medico, da scienziato, da virologo scende a compromessi con la fede - pure durante una pandemia! - METTENDO IN PERICOLO la salute di chi va a messa.
Siamo quello che facciamo, non ciò che diciamo di essere. Puoi scriverti anche chilometri di bio che fanno capo all'ambito scientifico, ma se non ti comporti con Etica davanti a questioni comunque inferiori al tuo Ruolo (CURARE), perdi autorevolezza. Quella che i malati vogliono.
In un momento in cui è IMPORTANTE mostrare credibilità, perché le persone fragili hanno bisogno di punti certi di riferimento, NON puoi permetterti da virologo, da Ricercatore, da medico, di comportarti come un adultescente, che non ha ancora capito il suo Ruolo.
In Scienza, le questioni o sono vere o sono false - e lo sono in base alle prove fornite, NON in misura proporzionale alla stima che una persona ha meritato, secondo ipse dixit. La scienza è OGGETTIVA, NON è democratica, ed è AVALUTATIVA: si comporta in modo Etico, NON morale.
Se il principio è: va punito chi dice una bugia, chi diffama, chi distorce la realtà o punisci tutti o non punisci nessuno. Non può esistere parte della società che per 'motivi religiosi' può permettersi di mentire, diffamare, truffare e il resto no. O tutti o nessuno.
Un comune cittadino italiano che menta non fa nulla di diverso da ciò che compie quotidianamente un sacerdote della chiesa o un insegnante di religione a scuola: distorcere la realtà e distorcere pure la realtà già distorta. E non vengono puniti, ma pure pagati dallo Stato italiano, coi soldi di TUTTI.
In un'Italia che ti impone un indottrinamento religioso fin da bambino per 'uso e costume' (sbagliato!), l'attenuante esiste: devi recuperarlo lo spirito critico, facendo molta fatica, in una realtà in cui ancora tante persone fanno fare riti esorcistici da sciamani sugli altri.
I social non sono una sala operatoria in emergenza di un pronto soccorso: si ha tutto il tempo per pensare a cosa scrivere; di rispondere non a caldo, ma valutando la portata delle proprie esternazioni. Prendersela con un comune cittadino e non con il quotidiano NON è Etico.
Intimorire una comune cittadina con 'conseguenze legali', al posto di spiegargli GENTILMENTE (o anche ironicamente) che il quotidiano sta raccontando una notizia falsa, è un atto di mero bullismo e scredita pure il comportamento ETICO che deve tenere chi si occupa di Scienza.
Perchè denunciare una comune, innocua cittadina, invece di affrontare il problema alla radice? È come sentire una notizia falsa su di noi alla radio e rompere lo stereo su per il muro, invece di presentarsi coi legali alla sede radiofonica.
Il metodo scientifico chiede correttezza e precisione, altrimenti non è scienza, ma religione; vale anche per l'Etica. Siamo quello che facciamo, non chi diciamo di essere.
Viviamo in un Paese in cui il 90% della gente ha subìto un indottrinamento religioso; è legale raccontare fregnacce di uomini risorti, di pane azzimo e vino che diventano il corpo d'una semidivinità, traendone profitto (in stile Wanna Marchi). Non puoi prendertela con le vittime
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Un'Italia senza religione cattolica: un'Italia Civile.
Cosa sarebbe, oggi, la chiesa cattolica in Italia se migliaia di famiglie non avessero commesso l'abuso di iscrivere (battezzare) un neonato incosciente in quella setta di sciamani? Sarebbe estinta: essa e i suoi principi misogini, xenofobi, omofobi, che danneggiano la società.
E' la chiesa cattolica a fare apologia del maschilismo, della misoginia: 'battersi per le donne' vuol dire, in primo luogo, eliminare il problema educativo alla radice e poi PUNIRE SEVERAMENTE ogni setta di sciamani, come la chiesa, poiché causa primaria dei femminicidi.
La religione, la religiosità sono fra le cause primarie di odio sociale: sono deleterie, in campo di Diritti Umani sia il cristianesimo quanto l'islam; per arginarli serve vietare l'indottrinamento religioso imposto fin da bambini. La 'spiritualità' deve essere una Scelta.
Non importa 'chi'; importa che ci si esponga con Forza, con Coraggio contro chi è, di fatto, in Italia, la fonte d'ogni tipo d'intolleranza verso i 'diversi', cioè la chiesa; è quella setta di sciamani o fomentare odio sociale: deve finire questa brutalità fatta passare per 'educazione'
#Paese Civile#Italia#misoginia#maschilismo#chiesa cattolica#battesimo#abuso#neonato incosciente#setta#setta di sciamani#estinzione#neonato#principi misogini#principi maschilisti#xenofobia#omofobia#società#apologia della misoginia e del maschilismo#danni alla società#donne#battersi per le donne#radice#educazione#severa punizione#punizione#causa primaria#femminicidi
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Considerato che l'antisemitismo nasce col cristianesimo, è impropria la sopravvivenza anche del cristianesimo, della sua setta di sciamani, nonché l'esposizione del crocifisso, poiché simbolo d'una setta religiosa che ha perseguitato e ucciso 'diversi' ben più del nazismo.
'Nascondere' significa celare un fatto. La scuola, la società in cui viviamo non nasconde la persecuzione nazista; cela invece che la chiesa cattolica ha commesso ben più gravi violazioni di Diritti Umani (e lo fa anche oggi, facendo apologia della misoginia, dell'omofobia).
Dopo lo spettacolo nefasto che vide la chiesa collaborare col fascismo, la Repubblica italiana avrebbe dovuto comportarsi come la Spagna, tagliando fuori sempre di più la chiesa dalla politica, dando vita ad un Paese che oggi riconosce maggiori diritti ai cittadini.
In qualsiasi forma, è bene che le convinzioni religiose (superstizione) non entrino in politica. Se non ci fossero mai più state, dopo il fascismo, interferenze politiche della chiesa cattolica, oggi avremmo un welfare socialdemocratico e diritti sociali, civili ben garantiti.
Chi è antifascista ma cattolico nel contempo, è chiaro che non conosca la storia del cristianesimo e gli innumerevoli genocidi che connotano la storia della chiesa; è ridicolo ricordare la shoah con la chiesa ancora in vita, che ancora fa apologia contro i 'diversi'.
I movimenti di destra sono un grosso problema, da estirpare. Non puoi farlo con la repressione, ma favorendo nel tempo la Cultura ed eliminando la religione, cioè ogni tipo di Ignoranza.
#cristianesimo#antisemitismo#nazismo#genocidi#persecuzioni#destra#scuola#società#Spagna#Italia#fascismo#chiesa cattolica#shoah
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Battlestar Galactica fu un piccolo fenomeno della sua epoca: tra il 2004 e il 2009, nel periodo in cui la forma delle serie tv stava assumendo un peso sempre maggiore nel settore dell’intrattenimento, era un prodotto che si presentava ambizioso ma coi piedi per terra, senza la pretesa di rivoluzionare niente. Eppure, ancora oggi si può affermare che Battlestar Galactica (in breve: BSG) abbia lasciato un segno e continui a essere una delle migliori serie tv di fantascienza che siano mai state realizzate. Quindi mentre Sam Esmail (il creatore di Mr Robot) sta lavorando alla produzione di una nuova serie basata su BSG, è l’occasione giusta per ripercorrerne in prospettiva la storia e l’impatto sul pubblico.
La storia di Battlestar Galactica
Correntemente quando si parla di Battlestar Galactica ci si riferisce alla serie iniziata nel 2004 e proseguita per quattro stagioni fino al 2009, ideata e scritta da Ronald D. Moore. In realtà però questa serie era già il remake di una serie omonima del 1978 creata da Glen Larson. La premessa di fondo è la stessa: l’umanità occupa dodici pianeti, ma a causa dell’attacco improvviso dei cylon (in pratica robot ribelli) la popolazione viene sterminata e gli unici superstiti sono a bordo dell’astronave da guerra Galactica. Per assicurare un futuro alla specie, la Galactica si mette in cerca del leggendario pianeta Terra, ma i cyloni sono ancora sulle loro tracce per sterminarli del tutto.
La serie del 78-79 (arrivata in Italia nel 1982) ebbe inizialmente un discreto successo, ma l’interesse non durò molto anche per le accuse di plagio ad altri franchise (Star Wars su tutti) e in seguito a diverse irregolarità nella programmazione fu cancellata dopo 24 episodi. La serie venne ripresa per un sequel, Galactica 1980, che invece di concludere la storia principale sposta l’azione trent’anni nel futuro sulla Terra, con risultati piuttosto scarsi che infatti ne provocarono una cancellazione ancora più rapida, dopo solo 10 episodi.
Sembrava quindi che Battlestar Galactica fosse destinata a rimanere un progetto incompiuto, ma negli anni seguenti grazie soprattutto alla determinazione di Richard Hatch (uno degli attori protagonisti della serie originale, che compare anche come personaggio secondario nella serie del 2004), che aveva fatto diversi tentativi di riportare in produzione la serie, nel 2002 la Universal commissionò una miniserie di due episodi a Ronald D. Moore. La miniserie andata in onda a fine del 2003 costituiva una sorta di pilot dell’intero progetto, in cui si racconta appunto dell’attacco dei cylon che eradica l’umanità dalle dodici colonie, dalle quali rimangono in vita circa cinquantamila persone, una piccola flotta civile riunita intorno alla Galactica, guidata dal comandante che stava per ritirarsi dal servizio.
L’ottima riuscita della miniserie convinse a mettere in produzione la prima stagione, che iniziò su Sky nell’autunno del 2004 e passò successivamente su SyFy channel, mentre in Italia arrivò nel 2006 sempre su SyFy. BSG ebbe da subito un successo notevole, con un pubblico piuttosto costante, tanto da giustificare il proseguimento della serie, che venne rinnovata di anno in anno fino a quando Moore non dichiarò che la quarta stagione sarebbe stata l’ultima. Parallelamente però vennero portati avanti altri progetti collaterali, come alcuni brevi webisodes e spinoff: il film Razor che racconta dell’astronave gemella Pegasus, il prequel Caprica che racconta dell’invenzione e diffusione dei cylon (che però venne sospesa dopo la prima stagione) e Blood and Chrome, una web serie anch’essa ambientata prima dell’inizio della prima stagione di BSG. Nonostante questi spin-off non abbiano mai incontrato grossa fortuna, l’interesse del pubblico per l’universo della Galactica si è sempre dimostrato elevato.
La lore di Battlestar Galactica
Ma di cosa parla Battlestar Galactica? Di base lo potremmo classificare come una space opera abbastanza tipica, o scivolare anche nella military sci-fi: abbiamo le colonie sui pianeti, astronavi, robot cattivi e battaglie spaziali… quasi la checklist completa dei cliché della fantascienza. Ma BSG (almeno la versione del 2004) non si ferma a questo livello più superficiale e scontato, e anzi si addentra in tematiche molto più profonde e universali, capaci di risuonare anche il pubblico non particolarmente interessato alle avventure spaziali. Per capire di cosa stiamo parlando facciamo allora un veloce riassunto della lore dell’universo narrativo di BSG.
L’umanità vive su dodici pianeti, che hanno nomi che ricordano quelli dei segni zodiacali, e sono chiamati dodici colonie di Kobol. Kobol è il pianeta originario dal quale l’umanità si è diffusa a colonizzare lo Spazio, ormai abbandonato da millenni. Vivono in una società tecnologica ma non avveniristica, e seguono in buona parte una religione politeista che riprende le divinità della mitologia greca. Molti anni prima dell’inizio della serie, l’umanità ha creato i cylon, servitori robotici senzienti, che si sono però ribellati ai loro padroni e hanno scatenato una guerra contro di loro. L’umanità ha siglato un armistizio con i cylon, che si sono allontanati dalle colonie e interrotto ogni contatto. Fino a quando (come viene mostrato nella miniserie pilot), i cylon non tornano in massa con un attacco nucleare coordinato su tutte le dodici colonie, che riesce ad annichilire quasi completamente la popolazione.
Gli unici sopravvissuti sono quelli che si trovavano in orbita o sono riustici a fuggire su un’astronave prima della distruzione totale dei loro pianeta. La nave da guerra, o appunto “Battlestar” Galactica del comandante Adama (Edward James Olmos) è l’unico mezzo militare a sopravvivere, perché è il più vecchio della flotta e si basa su una tecnologia obsoleta che i cylon non riescono a penetrare. Adama si trova quindi a essere il capitano dell’unica astronave capace di difendere i meno di cinquantamila esseri umani superstiti, con i cylon pronti a seguirli per annientarli del tutto. Ma uno degli aspetti più inquietanti di questa nuova guerra è che i cylon non sono più soltanto robot umanoidi metallici (i “centurioni”), ma si sono evoluti in forme indistinguibili dagli umani, vere e proprie creature di carne e sangue capaci di infiltrarsi tra i nemici, e infatti è proprio grazie a questa loro capacità di mimetizzazione che sono riusciti a condurre il loro attacco su tutte le colonie.
Mentre da una parte quindi la flotta superstite deve fuggire dalle navi da guerra cylon, dall’altra deve anche vigilare sul suo stesso equipaggio, tra i quali si potrebbe nascondere qualche spia cylon in forma umana… come inevitabilmente si scoprirà. Tra i superstiti a bordo della Galactica troviamo Lee Adama (Jamie Bamber), figlio del comandante e ufficiale a sua volta; Laura Roslin (Mary McDonnell), ministra dell’istruzione che in quanto unico membro del governo in vita viene nominata Presidente; Kara Thrace (Katee Sackhoff) pilota eccellente ma imprevedibile; Gaius Baltar (James Callis), scienziato che nasconde un terribile segreto ed è perseguitato dalle apparizioni di Numero Sei(Tricia Helfer), una cylon umana che ha conosciuto su Caprica. Il cast ampio e la verità di personaggi permette di seguire la storia da più punti di vista, non soltanto narrativi ma anche tematici, e di sviluppare i conflitti si più livelli, dall’epica lotta con le macchine alle pressioni familiari.
Tutta la serie è girata con un taglio documentaristico, come se si trattasse di un reportage dal fronte, aumentando la sensazione di trovarsi davvero a bordo della Galactica e di seguire da vicino gli sforzi estremi e le decisioni pesanti ai quali i personaggi sono costretti. Ben presto ci si accorge che l’unica prospettiva di sopravvivenza per l’umanità è raggiungere un pianeta sicuro, e ci si affida così alle storie sulla Terra, la leggendaria tredicesima colonia perduta, di cui nessuno conosce l’ubicazione. La ricerca della Terra occupa la parte principale delle quattro stagioni, ma su questo obiettivo a lungo termine si instaurano una serie di subquest e plot twist, con alcune tappe intermedie ed efficaci cliffhanger a ogni fine di stagione. Ma non è solo la storia di BSG ad aver cementato il suo valore presso il pubblico, semmai i temi sotto la superficie.
L’impatto di Battlestar Galactica
Per una serie che parte dalle battaglie nello spazio, Battlestar Galactica si è sempre distinta come un prodotto tutt’altro che leggero. Se naturalmente non mancano le scene d’azione e combattimento, sia aereo/spaziale che terrestre, la storia si preoccupa di toccare però anche argomenti diversi che arricchiscono quella che avrebbe potuto facilmente scivolare in una semplice apologia militarista della forza dell’umanità. Come si capisce, la sopravvivenza è uno dei valori principali su cui si fonda tuta la premessa della storia, ma anche questo è un concetto che trova declinazioni diverse nel corso della serie, perché se è vero che è necessario garantire un futuro all’umanità viene però da chiedersi cosa siamo disposti a fare (e perdere) per ottenerla. Quando infatti tutte le speranze sono riposte nella forza militare capace di proteggere i civili, il pericolo di una dittatura marziale si fa molto rilevante, e anzi emergerà in diverse occasioni nel corso di BSG, con la Presidente Roslin a fare da controparte democratica alla possibilità di un controllo militare.
Un altro tema centrale è quello dell’identità, la cui porta viene spalancata nel momento in cui si introduce non solo l’idea di cylon umani, ma di cylon umani inconsapevoli di esserlo. Ci sono infatti alcuni agenti dormienti che vivono tra gli umani e non sanno di essere robotici… per quanto in realtà anche la “roboticità” di questi cylon avanzati è molto relativa, in quanto sono entità biologiche a tutti gli effetti. Ma nel momento in cui uno di questi cylon apprende la sua vera natura, quale sarà la sua scelta? Obbedirà alla sua programmazione primaria oppure, ormai cresciuto come umano, si schiererà dalla parte opposta? Il problema si pone anche per gli umani che devono decidere come rapportarsi a questi cylon inconsapevoli: sono tutti traditori da eliminare, oppure ci si può fidare di loro? In questo senso Battlestar Galactica anticipa molte delle tematiche che sono state poi affrontate anche da Westworld, e si possono notare numerosi parallelismi tra i cylon e gli host del parco.
Una di queste affinità è il concetto di morte per i cylon: a differenza degli umani, i cylon possono reincarnarsi in nuovi corpi nel caso vengano eliminati, ed esistono infatti alcune grandi “navi resurrezionali” che conservano i corpi e le memorie dei cylon. Per loro quindi la morte non è definitiva… oppure sì? Sono davvero sicuri di rinascere come gli stessi individui che erano prima? E com’è possibile allora che diversi cylon basati sullo stesso modello si comportino in modo diverso? Tutte queste domande aggiungono un livello di ambiguità nello scontro tra umani e non-umani, perché la definizione stessa di “umano” inizia a vacillare, e lo spettatore non è più così sicuro da quale parte stare.
Infine, la tematica religiosa è un’altra ampiamente affrontata dalla serie, e anzi secondo alcuni lo spunto originale per l’ambientazione deriva dal Libro di Mormon. Lo scontro tra umani e cylon ha anche radici religiose, perché se da una parte l’umanità venera un pantheon politeista, i cylon seguono invece un culto monoteista e considerano gli umani arretrati e blasfemi. Inoltre entrambe le fazioni hanno varie profezie e figure messianiche che sperano potranno condurle alla salvezza. Molti personaggi nel corso della serie attraversano un percorso spirituale che li porta dall’agnosticismo alla fede e viceversa, e man mano che ci si avvicina alla fine questa componente mistica si fa sempre più rilevante, al punto che il finale sembra virare decisamente dagli aspetti fantascientifici a quelli più sovrannaturali.
In effetti una delle critiche mosse più di frequente a Battlestar Galactica, e in particolare all’ultima stagione, è il modo in cui alcune situazioni sembrano risolversi quasi per volere divino, con interventi al limite del miracolo, senza la preoccupazione di spiegare in modo “scientifico” quello che è successo. Eppure, se da una parte questo può essere un limite, si tratta al tempo stesso di uno dei maggiori punti di forza della serie, che vista in retrospettiva si mantiene comunque coerente e ha dimostrato l’ambizione di portare avanti un percorso difficile e potenzialmente controverso. Avercene, di serie fantascientifiche capaci di smuovere così in profondità le nostre convinzioni sui confini stessi del genere…
Ancora si sa molto poco sul nuovo progetto di Sam Esmail che andrà in onda sulla nuova piattaforma Peacock, ma è stato già dichiarato che non si tratterà di un reboot quanto invece di un approccio parallelo alla serie già conclusa, che integrerà piuttosto che riscrivere quello che abbiamo già visto. E forse questo ha in effetti un suo senso poetico, perché sappiamo bene che tutto questo è già successo, e succederà ancora. So say we all.
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Il 27 aprile 1937 muore, nella clinica di Quisisana a Roma, Antonio Gramsci, dopo undici anni di detenzione nelle carceri fasciste. Da anni soffriva di diverse gravi malattie, ma le richieste per la sua liberazione vennero accolte da Mussolini soltanto sei giorni prima della sua morte, quando ormai non era più in grado di muoversi da mesi. Arrestato (nonostante fosse protetto dall'immunità parlamentare) l'8 novembre 1926 durante l'ondata repressiva che seguì un attentato a Bologna contro il duce, fu accusato di attività cospirativa, incitamento all'odio di classe, apologia di reato e istigazione alla guerra civile: tutte accuse piuttosto fondate, data la sua decennale militanza sul fronte internazionale del comunismo rivoluzionario, ma che soltanto nel mondo capovolto del dominio capitalistico possono essere fonte di persecuzione, anziché di credito e onore.
Il 27 aprile 1975, in un mondo radicalmente mutato in soli 37 anni, moriva invece Danilo Montaldi, anch'egli, come Gramsci, militante comunista, intellettuale e scrittore. Apparentemente una distanza abissale separa i due personaggi: autore di fama mondiale, inserito ufficialmente nel canone della letteratura e della storiografia italiane, il primo, sconosciuto ai più il secondo; protagonista della stagione classica del movimento comunista (dal 1917 agli anni precedenti la seconda guerra) l'uno, partecipe della crisi storica del progetto marxista-leninista tradizionale (dopo il 1945) l'altro. Gramsci visse la fase ascendente della dittatura del proletariato nell'URSS, sposando anche una rivoluzionaria bolscevica, Julia Schucht, da cui ebbe due figli; Montaldi maturò la scelta di abbandonare il PCI nel 1946, proprio a causa della consapevolezza della degenerazione burocratica che aveva interessato successivamente il socialismo sovietico, nella sua fase discendente. Nonostante queste e altre differenze biografiche, culturali e politiche, molti aspetti permettono di accostare le due figure nel segno della caratteristica più importante e tipica dell'intellettuale militante/comunista tra primo e secondo novecento: il tentativo di precisare una strategia per la distruzione della società capitalista, regolarmente in contrasto con le stesse organizzazioni ufficiali della politica socialista e comunista.
Gramsci era nato nel 1891 ad Ales, in Sardegna, e si era trasferito a Torino per motivi di studio, in estrema povertà, nel 1911. Arrivò nella città sabauda con 45 lire in tasca, avendo speso 55 lire per il viaggio delle 100 dategli dalla famiglia; negli anni successivi sarebbe sopravvissuto grazie a una delle 19 borse di studio da 70 lire mensili messe a disposizione dall'università di Torino per gli studenti poveri del Regno. Negli anni dell'università supera le posizioni sardiste, immettendole nella più ampia e globale idea socialista; presso il numero 12 dell'odierno corso Galileo Ferraris frequenta la federazione giovanile socialista e la sede dell'Avanti, dove inizierà la sua carriera di scrittore grafomane, furioso e tenace, producendo in dieci anni migliaia di pagine di riflessione politica, filosofica e di costume. In quegli anni è anche molto impegnato come critico teatrale (anche se ignorato dal mondo ufficiale dell'arte), risultando il primo critico ad aver scoperto e valorizzato il teatro di Luigi Pirandello (ben prima del più noto critico Adriano Tilgher, come lo stesso Gramsci rivendicava con orgoglio).
Nel 1917 segue gli eventi russi e diviene fervente sostenitore della rivoluzione bolscevica; nel 1919 fonda il giornale Ordine Nuovo; tra il 1919 e il 1920 definisce la linea dei giovani militanti socialisti che, a differenza del ceto politico del partito, appoggiano e promuovono le lotte operaie del biennio rosso che, con particolare forza a Torino, Milano e Genova procedono all'occupazione armata delle fabbriche e in molti casi alla loro autogestione e direzione produttiva. Dopo che l'assalto operaio al potere di fabbrica fallisce a causa dell'immobilismo/tradimento della dirigenza socialista, nel 1921 è parte del gruppo di militanti che, a Livorno, accoglie le indicazioni dell'Internazionale Comunista, proclamando la necessità di formare un'organizzazione rivoluzionaria costituita da avanguardie dedite alla promozione del conflitto operaio, per una presa del potere di tipo sovietico, fondando il Partito Comunista d'Italia e, successivamente, il giornale l'Unità. Dopo aver compiuto diversi viaggi in Unione Sovietica come rappresentante della sezione italiana dell'Internazionale, e dopo aver trascorso periodi come esule, soprattutto a Vienna, a causa delle prime repressioni fasciste dopo il 1922, torna in Italia con l'immunità parlamentare, essendo stato eletto deputato il 6 aprile 1924.
Poche settimane dopo, il 10 giugno, una banda di fascisti uccide un deputato socialista, Giacomo Matteotti, e gran parte dell'opinione pubblica è turbata e scandalizzata dall'accaduto. Per protesta tutti i gruppi d'opposizione abbandonano i lavori parlamentari, ma tra essi è solo quello comunista, capitanato da Gramsci, che chiede di fare l'unica cosa sensata, ossia proclamare lo sciopero generale. I socialisti temono che il ricorso allo sciopero favorisca il desiderio diffuso di una rivoluzione di tipo bolscevico, i liberali e i cattolici temono socialisti e comunisti molto più dei fascisti, e si appellano sterilmente al Re come supposto garante di una legalità che il delitto Matteotti avrebbe infranto. Tutto questo produce uno stallo durante il quale aumenta la tensione reale nel paese, finché, il 12 settembre, il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram, per vendicare Matteotti, il deputato fascista Armando Casalini, e si scatenano le ondate della repressione più dura, con lo scioglimento di tutti i partiti d'opposizione e l'arresto di militanti e dissidenti. Lo stesso Gramsci sarà arrestato dopo due anni di sforzi nell'opposizione politica al fascismo, e si dedicherà in prigione alla scrittura della sua opera più famosa e internazionalmente conosciuta, i Quaderni del carcere.
Una delle tesi contenute nei Quaderni, quella della necessità di conquistare la direzione politica della società attraverso un'egemonia culturale antagonista, verrà riletta in modo moderato dal PCI del dopoguerra, passato nelle mani di Togliatti, interessato a bloccare, su ordine di Stalin, ogni prospettiva rivoluzionaria in Italia. Una tesi ben più complessa e articolata viene banalizzata come grimaldello ideologico volto all'annacquamento della pratica rivoluzionaria (occorre conquistare l'egemonia culturale in primo luogo, quindi la presa del potere politico è rimandata...) a tutto vantaggio della coesistenza pacifica tra due superpotenze capitaliste, l'URSS (capitalismo di stato) e gli USA (capitalismo di mercato). È in questi anni che Danilo Montaldi, nato nel 1929 a Cremona, esce dal PCI di cui era militante e si dedica ad un'attività organizzativa continua e inusuale, attraverso la frequentazione attiva di gruppi cui non aderisce formalmente (Partito Comunista Internazionalista, Gruppi Anarchici di Azione Proletaria) o la fondazione di gruppi che talvolta successivamente abbandona (Gruppo di Unità Proletaria, 1957, e Gruppo Karl Marx, 1966).
Se Gramsci concepì il suo compito come quello della fondazione del comunismo in Italia, inteso come prospettiva specifica nel panorama socialista (consistente, in base all'insegnamento di Lenin, nel rifiuto totale della guerra e nella direzione politica del conflitto sociale allo scopo di provocare una presa diretta del potere), Montaldi si mosse in un quadro dove la stessa soggettività comunista organizzata era divenuta compatibile con la società capitalista, trasformandosi in conservazione sociale burocratica dove era al potere e in involucro retorico di una sostanziale socialdemocrazia dove era all'opposizione. In particolare il compito del militante del dopoguerra è non solo costruire organizzazioni alternative (di qui le critiche di Montaldi ai trotzkisti, che a questo si limitavano), ma anzitutto indagare direttamente le condizioni di lavoro e di lotta della classe operaia. Negli anni della ricostruzione postbellica l'operaio è chiamato a vendere la sua forza lavoro al capitale in nome di uno sforzo presentato come trasversale alle classi, ma l'interesse alla ricostruzione è l'interesse del capitale, poiché l'operaio non può che trarre giovamento dalla distruzione del sistema esistente.
L'antagonismo operaio non va però, per Montaldi, imposto intellettualmente e astrattamente dall'avanguardia ai lavoratori; l'operaio non è oggetto di studio e di intervento dei comunisti, semmai soggetto, esattamente come loro. Egli si dedica quindi a una ricerca sul campo circa le reali condizioni e aspirazioni operaie e contadine, impegnandosi affinché fossero essi stessi a raccontarsi e ad esprimere la loro realtà, negli anni in cui la sinistra ufficiale maturava invece quel distacco reale dalla classe di cui ancora oggi si vedono le conseguenze. Ne saranno risultato opere come Milano Corea. Inchiesta sugli immigrati (1960, con Franco Alasia), Autobiografie alla leggera (1961) e Militanti politici di base (1971). Questo attivismo in cui l'agitazione politica e l'inchiesta diventano una cosa sola costituirà il nocciolo della pratica che verrà battezzata "con-ricerca" da Romano Alquati e, assieme alle analisi fortemente anticonformiste della soggettività operaia di Raniero Panzieri, apriranno la strada alla grande stagione dell'operaismo italiano che, mettendo al centro la classe e il suo conflitto reale contro l'accumulazione capitalistica (anche e soprattutto al di fuori dagli orizzonti del partito e del sindacato), imporrà all'attenzione delle nuove generazione il problema della conquista dell'autonomia operaia.
È qui, a ben vedere, che Gramsci e Montaldi si incontrano: entrambi hanno dovuto non soltanto vivere la contrapposizione del comunismo alle forze riformiste o democratiche – o fasciste – ma anche quella tra classe oppressa e organizzazioni esistenti della sinistra: in riferimento al tradimento del PSI durante il biennio rosso il primo, e in relazione al tradimento del PCI con la politica della coesistenza democratica il secondo. I germi dei loro scritti, come spesso accade, non hanno ancora prodotto tutta la potenza dei loro frutti (anche a causa di una loro banalizzazione scolastica, come nel caso di Gramsci, o della loro espulsione dai circuiti editoriali ed educativi, come nel caso di Montaldi) nonostante abbiano già influenzato molte generazioni; lette in prospettiva storica, restano un esempio irrinunciabile di abnegazione militante e di intelligenza rivoluzionaria. L'anticonformismo politico e l'autonomia di pensiero di entrambi è caratterizzata da ciò che il vero comunista sa di dover sempre far propria, ossia l'attitudine all'eresia, anche rispetto alla propria stessa tradizione di pensiero.
Per questo tra le righe più potenti di Gramsci resteranno sempre quelle, splendide, da lui dedicate all'Ottobre Rosso: "La rivoluzione dei bolscevichi è [...] la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico [...] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili".
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Che è successo
Si è chiuso il Salone del Libro di Torino. Tante polemiche per la presenza della casa editrice Altaforte che oltre ad avere un nome bruttissimo è vicinissima a Casa Pound. Il suo titolare è un certo Polacchi noto alle cronache per diversi atti di coraggio come prendere a sprangate studenti delle scuole superiori e pestaggi vari in puro stile fascista (vale a dire minimo 10 contro 1). Suddetta casa editrice ha pubblicato un libro intervista a Matteo Salvini che dichiara di non aver mai saputo che Altaforte fosse vicina a Casa Pound. A quanto pare il ministro è discretamente sprovveduto oppure "a mia insaputa" resta una magnifica scusa da usare quando ti sgamano. Magari qualcuno ci crede pure.
Altaforte viene estromessa dal SalTo, non per il nome brutto ma perché la sindaca di Torino e il presidente di Regione Piemonte presentano una denuncia per "apologia di fascismo". Certo il dubbio che viene è che ci si poteva pensare prima non accettando l'iscrizione della casa editrice ma a quanto sembra chi organizza il Salone non ci ha pensato. Si dice che per gli antifascisti sia stata una "Vittoria di Pirro" perché ora Altaforte avrà una pubblicità inattesa e venderà molte copie del suo libro su Salvini. Può darsi ma anche il libro delle barzellette di Totti ha venduto tanto e oggi non se lo ricorda nessuno, così come il "Codice da Vinci" con buona pace dei fan di Dan Brown. Vi è poi gente che teorizza il solito "fascismo degli antifascisti" ma credo che inibire la presenza di una casa editrice non sia paragonabile al chiudere o al ritirare dalle vendite i libri di quella casa. Oppure bruciare la sede di quella stessa casa editrice tutte cose che nel ventennio fascista accadevano invece alle case editrici non allineate al regime quindi certi vittimismi sono fuori luogo specie da parte di chi si dichiara fascista e sostiene l'utilità delle manganellate e dell'olio di ricino. Tipo Polacchi, il titolare della suddetta casa editrice dal nome orrendo.
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Nel frattempo l'Università La Sapienza di Roma invita Mimmo Lucano a parlare del suo "Modello Riace" e dell'integrazione dei migranti che approdano sulle spiagge italiane. Lucano è stato rinviato a giudizio per presunti illeciti ma l'università ha ritenuto di doverlo invitare per raccontare la sua esperienza. A qualcuno però non sta bene: il movimento Forza Nuova ha detto avrebbe impedito a Lucano di parlare. Pensate quanto sono democratici questi: non sono d'accordo con te quindi trovo giusto che tu non esprima le tue idee. Altro che Voltaire. Fortunatamente Lucano ha potuto parlare anche grazie a una scorta di diverse migliaia di persone che hanno impedito ai fascisti di Forza Nuova di avvicinarsi al sindaco di Riace.
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A proposito si scorta, la polizia ha dovuto accompagnare una famiglia rom alla loro nuova casa popolare regolarmente assegnata. Alcuni militanti di Casa Pound avevano allestito un presidio per impedire ai suddetti, leggittimi assegnatari, di raggiungere la loro abitazione. Il paradosso è che Casa Pound occupa illecitamente uno stabile in centro a Roma quindi sono i primi a contravvenire alla legge ma per loro dalla parte del torto sono questi rom, che pagano le tasse e lavorano regolarmente. Non è bellissimo tutto ciò? Presa da un attimo di lucidità la sindaca Raggi arriva in questo stabile per far sentire la presenza dello Stato e ristabilire in qualche modo la legalità. Devono scortarla i poliziotti, ma almeno nessuno la minaccia di stupro come hanno fatto con la madre della famiglia suddetta mentre portava in braccio la figlia spaventata da tanto odio. Il gesto della Raggi colpisce e non sempre in positivo. Sembra infatti che Di Maio non abbia gradito perché a suo dire la sindaca dovrebbe pensare prima ai romani. Nessun buon gesto viene perdonato, insomma. Comunque il vice premier ha smentito e vogliamo credere che per una volta che la Raggi ne azzecca una sia stato contento pure Di Maio.
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Sempre a Roma in uno stabile occupato è stata tagliata la corrente elettrica per cui molte famiglie sono al buio. L'elemosiniere del Papa, tal cardinale Konrad Krajewski, si cala nel pozzetto del contatore elettrico e rompe i sigilli così da riportare la corrente in tutto lo stabile. Ovviamente a qualcuno dà fastidio questo gesto, pure al cattolicissino (ma LOL) Salvini che subito polemizza dicendo che adesso si aspetta che il cardinale paghi pure i 300mila euro di bollette arretrate. Il cardinale risponde che pagherà pure quelle del ministro già ché c'è immaginando forse che i 49 milioni rubati dalla Lega siano stati spesi per il cibo del leader del carroccio.
Piccolo passo indietro: la legge impone di tagliare la corrente a chi occupa uno stabile anche se lo fa per necessità. Sempre la legge impone di non intestare le bollette a chi occupa abusivamente uno stabile. In buona sostanza chi occupa, magari perché non ha dove andare a vivere, non può pagare neppure volendo. Sarebbe a dire che sono dei senza fissa dimora. Una legge abbastanza stronza. Una legge voluta dal centro sinistra e firmata da Lupi qualche tempo fa. Ora mi chiedo come e a chi vorranno far pagare quelle bollette arretrate quando la stessa legge lo impedisce. Non sono dei geni? Sono davvero fantastici!
Se poi nel frattempo lo Stato italiano volesse far pagare a Casa Pound le bollette arretrate per lo stabile che occupano a Roma in pieno centro sarebbe "cosa buona e giusta". Amen.
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A Tigrotto piace cantare e ascoltare la musica. Ultimamente ha iniziato a cantare Johnny Johnny da solo senza che gli faccia il controcanto. Canta a modo suo ma ci prova.
Ho detto a sua madre che a pallone dovrei farlo vincere ma mi ha dissuaso perché è importante imparare anche la sconfitta o, come dice il mio amico senegalese Roger, deve imparare anche il dolore. Lezione difficile da apprendere più per me che per lui.
Sta imparando anche a contare. Per adesso passa da 1, 2 a 6 ma sa già riconoscere un numero quando lo vede. Insomma: sa leggere i numeri e dentro l'ascensore provo a chiedergli che numeri sono. Spiace solo che nel palazzo ci siano 6 piani.
Televisione non ne vede. Per ora. Lo stesso stiamo facendo io e sua madre. Credo ci farà bene.
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Ipocrisia politica e finanziamenti di Soros: il bluff del femminismo liberal
Roma, 6 feb – “Al lupo al lupo” gridava il giovane pastore di Esopo. Così allo stesso modo, la rediviva distorsione del movimento femminista starnazza su presunte molestie impossibili da verificare – perché spesso commesse nel secolo scorso – additando il “maschio bianco” nella quasi totalità dei casi. Le conseguenze di questa ondata di denunce mediatiche avrà il solo effetto di banalizzare una questione assai delicata e complessa: la vera violenza sulle donne, che ogni giorno, spesso nel completo anonimato, subiscono abusi di ogni genere perpetrati da codardi senza attributi di ogni etnia (razza non è politicamente corretto) e colore. E poi chissenefrega che in molti paesi islamici, dove la sharia è il fondamento su cui si basa la giurisprudenza nazionale, le donne non godano di nessun diritto umano e civile, e siano alle mercé dell’uomo padre e padrone.
Una famosa femminista – la paladina della vocale A come fonte di emancipazione femminile – dal suo scranno istituzionale sentenziò: “I migranti sono l’avanguardia, portano uno stile di vita che presto sarà uno stile di vita molto diffuso per tutti noi”. Speriamo che non intendesse con la sua dichiarazione lo stile di vita islamista, proprio di molti uomini sbarcati sulle coste italiane. Da qualche mese, le streghe femministe sono tornate con i loro calderoni dove cucinare uomini che poco prima idolatravano: Harvey Weinstein è il loro primo famoso sacrificio alla dea coerenza.
Harvey Weinstein, potentissimo produttore cinematografico e fondatore della Miramax, nonché acclamato eroe della Hollywood patinata tutta paillettes e glitter, per anni è stato sostenitore finanziario dei democratici, della campagna elettorale di Hillary Clinton e dei salotti buoni liberali americani. Non sembra infatti una coincidenza che le denunce sulle presunte molestie sessuali siano arrivate proprio a pochi mesi di distanza dalla caduta della Clinton e la conseguente fine delle protezioni connesse. Il produttore è stato scaricato da tutte le sue importanti sostenitrici che fino al giorno prima posavano con lui sorridenti, da Oprah Winfrey a Meryl Streep, passando per le attrici da cui sono piovute le denunce. Il tribunale delle femministe aveva sentenziato senza possibilità di appello: Weinstein era un molestatore seriale e andava mandato al confino.
Dalla vicenda, sono nate diverse campagne e diversi movimenti, coscienze femminili improvvisamente svegliatesi da un torpore che durava da almeno 50 anni. L’hashtag #MeToo è stato lanciato da un tweet di Alyssa Milano, famosa per il suo ruolo nella serie TV “Streghe”, nell’ottobre scorso.
Ma non si deve alla Milano la paternità dello slogan: nel 2006 l’attivista newyorkese Tarana Burke, in seguito alle confidenze di una ragazza di 13 anni che aveva subito abusi sessuali, ha lanciato il Me Too Movement[1] per supportare le donne che denunciavano le violenze[2]. Ma chi è Tarana Burke? Il Time Magazine nel 2017 la nomina “Person of the Year” per il suo ruolo nel gruppo di femministe “the silence breakers” oltre ad essere un’accanita oppositrice del Presidente Donald Trump; a Business Insider[3] ha dichiarato: “Un sacco di persone hanno iniziato il nuovo anno (il 2017) con un forte senso di disperazione, perché avevamo un Presidente eletto (Trump) che è stato un predatore sessuale.(…) Come donna, come cittadina americana, è scoraggiante sapere che la persona che è il leader del tuo paese pensa e opera così. E siamo passati dalla Marcia delle Donne(21 gennaio 2017), al movimento #MeToo, e altri eventi nel mezzo. In un certo senso, penso che questo abbia incoraggiato le donne e ci abbia dato il potere di intensificare e amplificare ancor più le nostre proteste”. La Burke coordina le campagne femministe grazie all’organizzazione di cui è direttrice, la Girls for Gender Equity, fondata da Joanne Ninive Smith grazie al supporto finanziario di Open Society Foundations di George Soros[4].
Quindi c’è il magnate ungherese dietro alle proteste femministe dell’ultimo anno, scaricando e seppellendo opportunamente il decaduto amico democratico Weinstein, dal #MeToo alla Marcia delle Donne contro l’elezione del Presidente Trump; infatti come riportato da Roberto Vivaldelli per Gli Occhi della Guerra[5] “più di 50 associazioni che hanno organizzato e aderito alla Women’s March sono finanziate dall’Open Society Foundations di George Soros”, ad affermarlo è una fonte non certamente complottista, la giornalista Asra Q. Nomani sul New York Times, musulmana, femminista e nota attivista dei movimenti liberali nell’Islam.
Contestualmente al movimento #MeToo, 300 signore del cinema hollywoodiano e del bel mondo americano, durante la cerimonia dei Golden Globe, hanno lanciato a livello internazionale il movimento Time’s Up – il tempo è scaduto, ora è tempo di cambiare e dobbiamo agire ora – per aiutare donne meno privilegiate di loro a proteggersi dalle molestie e dai contraccolpi di una denuncia. Lo scopo del movimento è quello di costituire un fondo che aiuti legalmente le vittime delle violenze e delle molestie sessuali; questo sarà amministrato dal National Women’s Law Center, un’organizzazione legale americana per i diritti delle donne. Il gruppi di lavoro di Time’s Up sono invece guidati da Anita Hill, professoressa di diritto e divenuta famosa quando accusò di molestie sessuali il giudice Clarence Thomas prima della sua nomina alla Corte Suprema, da Gloria Allred, avvocato che sta raccogliendo fondi per finanziare l’azione legale di una donna, Summer Zervos, che accusa il presidente Donald Trump di molestie, e da Christina Tchen, ex capo dello staff di Michelle Obama. Allo stesso tempo, il gruppo American Bridge 21st Century Foundation sta istituendo un fondo per far incriminare altri politici repubblicani[6].
Torniamo all’organizzazione che gestirà il fondo di Time’s Up: la National Women’s Law Center “sostiene politiche e leggi che aiutano le donne e le ragazze a raggiungere il loro potenziale in ogni fase della loro vita” ed è finanziata dalla Open Society Foundations di Soros[7] oltre a sviluppare progetti con la Girls for Gender Equity della Burke[8].
Le organizzazioni femministe americane, le loro campagne contro le molestie sessuali e le loro leader sembrano più una grossa lobby sorosiana contro il Presidente Trump che movimenti in difesa della donne. Questa teoria, che i benpensanti potrebbero tacciare di complottismo (loro preferiscono preoccuparsi solo di ingerenze russe mai provate), è comprovata anche dal docu-film “16 Women or Donald Trump”[9] che riporta le testimonianze di 16 donne che accusano il Presidente americano di molestie sessuali (ovviamente senza alcune prova); il documentario è prodotto dalla Brave New Films[10], finanziata proprio dalla fondazione di George Soros.
Ovviamente anche i salotti buoni italiani non potevano esimersi dal scendere in campo contro le molestie sessuali: Dissenso Comune, collettivo formato da 124 attrici e lavoratrici dello spettacolo, che con una lettera manifesto pubblicata su La Repubblica[11] esprime la propria solidarietà nei confronti di tutte le attrici che hanno avuto il coraggio di parlare in Italia e che per questo sono state attaccate, vessate e querelate, appoggiando e sostenendo quante in futuro sceglieranno di raccontare la loro esperienza. Le 124 sottoscrittrici della lettera si dicono “unite per una riscrittura degli spazi di lavoro e per una società che rifletta un nuovo equilibrio tra donne e uomini”.
L’improvviso risveglio delle coscienze delle attrici italiane è arrivato quasi in risposta alla lettera firmata da cento donne in Francia, tra cui l’attrice Catherine Deneuve, pubblicata da Le Monde[12] il 9 gennaio scorso che contiene un appello per rigettare “un tipo di femminismo che esprime odio verso gli uomini” affermando che “lo stupro è un crimine, ma le avances insistenti o goffe non lo sono, né la galanteria è un’aggressione maschilista”. Le donne francesi dichiarano anche che “questa febbre d’inviare i ‘porci’ al mattatoio, non aiuta le donne ma serve in realtà gli interessi dei nemici della libertà sessuale, gli estremisti religiosi e i peggiori reazionari” e rischia di “incatenare le donne al loro status di eterne vittime”.
L’ispiratrice della lettera a Le Monde è il critico d’arte Catherine Millet, in seguito alla censura fatta da Facebook riguardo ad una foto postata da un professore parigino che ritraeva il celebre quadro del pube di donna di Gustave Courbet. Secondo la Millet, questa vicenda è un esempio dell’imperante “puritanesimo protestante” esondato dall’America nella vecchia Europa, movimento iniziato per fare un repulisti a Hollywood ma poi estesosi nel mondo dell’arte. “Le fotografie di Chuck Close bandite dalla National Gallery di Washington, i nudi diafani di Egon Schiele oscurati nella metro di Londra, il finale della Carmen rivisitato in chiave femminista, i direttori d’orchestra che hanno perso il lavoro e persino il nome (il caso Dutoit alla radio pubblica canadese), Belle de Jour di Buñuel bollato come violenza sulle donne, una mostra di Gauguin a Londra che sulla Bbc è stigmatizzata come apologia della pedofilia. Pare un delirio senza fine” afferma Catherine Millet, e sul movimento #MeToo dichiara che è un “femminismo castrante, questo puritanesimo è tanto più pericoloso perché proviene da circoli che si considerano ‘di sinistra’, cioè progressisti”[13].
A proposito di cultura, ricordiamo anche la rimozione di Ila e le Ninfe di J.W. Waterhouse dalla Galleria dell’Arte di Manchester[14]. Clare Gannaway, la curatrice di arte contemporanea della galleria, ha affermato che l’obiettivo della rimozione è stato quello di stimolare una discussione sul #Metoo.
Questo tipo di censura artistica ricorda, anche se per idiozia ideologica differente, la scelta, sottolineiamo senza nessuna richiesta specifica e ufficiale, di coprire con ampi pannelli bianchi le statue di marmo raffiguranti corpi nudi ai Musei Capitolini durante la conferenza stampa, avvenuta nel gennaio del 2016, del presidente dell’Iran, Hassan Rouhani con l’allora premier italiano Matteo Renzi[15].
Il neo femminismo liberal, che negli ultimi anni sta proponendo un’idea di donna anni luce lontano dalla realtà quotidiana femminile, forse plebea e distante dalle esponenti del cinema e della politica, fonda le proprie battaglie su alcuni punti chiave: demonizzazione del “maschio bianco” ritenuto incapace di provare empatia, crocifissione pubblica di uomini noti senza nessuna prova a supporto nella maggioranza dei casi, censura delle opere d’arte e della cultura in genere portatrici di messaggi ritenuti maschilisti, sostegno del velo islamico come libera scelta e della maternità surrogata, e in Italia la riscrittura del vocabolario e le manifestazioni di piazza solo quando i colpevoli di turpi delitti contro le donne sono connazionali.
Quindi si può dire che il femminismo 2.0, più che richiedere pari diritti per le donne di tutto il mondo come il movimento originale, sembra che abbia come obiettivo la svalorizzazione dell’uomo e una sua netta intimidazione nei confronti delle donne, una vera “castrazione” morale per riprendere la Millet.
Ed è paradossale che proprio Claudia Torrisi, giornalista e collaboratrice di Open Society Foundations, su 50.50 gender sexuality and social justice (rubrica femminista dalla stessa curata) di Open Democracy si scagli contro Carlotta Chiaraluce e la presenza femminile all’interno di CasaPound; la morale della lunga dissertazione della Torrisi, supportata da un’antropologa e una docente universitaria, è che le donne sono solo uno strumento delicato e glamour per sdoganare mediaticamente il partito.
È chiaro e lampante il pensiero femminista di ispirazione sorosiana: le donne vanno sostenute e valorizzate solo quando sono favorevoli alla loro causa, altrimenti sono marionette senza cervello. Con buona pace della solidarietà femminile.
Francesca Totolo
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Tollerare chi odi in modo irrazionale (tipo un omofobo o un razzista o un misogino), significa rinforzare il suo comportamento asociale.
C'è una Legge Mancino a riguardo, che tutela gli individui molestati, e si può applicare anche nei confronti di una religione che faccia apologia contro i "diversi" (tipo il cattolicesimo).
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Quando si comincia ad affrontare lo studio della filosofia, uno dei primi testi in cui ci si imbatte è l’Apologia di Socrate scritta da Platone. Un libro piuttosto breve e semplice, che anche a scuola spesso si assegna agli studenti proprio perché permette di addentrarsi agilmente nel pensiero di Socrate.
Se ancora non l’avete letto e volete qualche notizia al riguardo, siete nel posto giusto. Nell’articolo qui sotto troverete infatti tutto quello che c’è da sapere su questo libro, che vi presenteremo legandolo anche al pensiero di Socrate.
Infine, in chiusura, troverete anche il testo completo da scaricare in diversi formati, in modo che possiate scegliere quello che vi fa più comodo e passare a scoprire il racconto dalla vivida voce di Platone. Iniziamo.
1. Di che libro stiamo parlando
Diamo prima di tutto una presentazione generale dell’opera. L’Apologia di Socrate venne composta da Platone all’incirca tra il 399 e il 388 a.C. ed è la prima opera del grande filosofo greco. Fu, anzi, l’opera che in un certo senso convinse Platone a darsi alla filosofia.
Quest’ultimo, infatti, era stato ad Atene allievo di Socrate, con lo scopo inizialmente di dedicarsi poi, una volta adulto, alla carriera politica. Gli eventi che capitarono però al suo maestro, ben descritti nell’Apologia e in alcuni dialoghi successivi, gli fecero presto cambiare idea.
Il titolo, infatti, rende chiaro che nel testo vengono raccontati eventi drammatici: il libro non è altro che una raccolta dei discorsi che Socrate tenne per difendersi dalle accuse che gli venivano rivolte nel tribunale democratico ateniese.
Fu proprio Platone a mettere per iscritto queste arringhe, compiendo un’impresa importante sotto diversi punti di vista. Da un lato, infatti, il testo costituisce un interessante documento storico, utile per capire la vicenda che portò alla morte di Socrate; dall’altro, ci permette di conoscerne anche il pensiero.
Socrate, infatti, non scrisse mai nulla, convinto che si potesse filosofare solo oralmente. Platone – pur conservando l’impianto del dialogo o, come in questo caso, del monologo in cui il protagonista si rivolge a interlocutori fittizi – decise però di lasciare ai posteri il racconto di quanto avvenne allora.
2. Il riassunto dell’opera
Il testo si apre con la prima difesa di Socrate, in cui il filosofo risponde a Meleto, che probabilmente aveva appena pronunciato la sua arringa d’accusa. Subito il pensatore si rivolge alla giuria, sfoderando la propria ironia e presentandosi come un uomo poco avvezzo alle dinamiche dei tribunali.
Detto questo, spiega – rivolgendosi ad interlocutori immaginari – di non essersi mai interessato a cose di scienza e quindi di non aver mai potuto insegnare nulla di empio. Lui infatti non è un sofista, anche perché non si abbassa a farsi pagare per gli insegnamenti.
Passa quindi a citare il celebre episodio di Cherefonte, suo amico, che si era recato dall’oracolo di Delfi chiedendo se vi fosse qualcuno di più sapiente di Socrate. E la risposta dell’oracolo era stata che nessuno era più sapiente di Socrate.
Il sapiente è chi sa di non sapere
Questo dà all’ateniese l’occasione per spiegare il suo percorso filosofico, che l’aveva portato a chiedersi come fosse possibile quel responso dell’oracolo, visto che Socrate stesso si riteneva ben poco sapiente. E così il filosofo aveva interrogato politici, poeti, oratori ed altri sapienti, accorgendosi però che la sapienza di queste persone era superficiale.
Nei dialoghi, infatti, Socrate aveva posto frequenti domande che avevano messo in difficoltà i suoi rispettivi interlocutori, fino a farli crollare. Questo gli aveva attirato molte inimicizie, ma l’aveva portato anche a comprendere la vera natura della risposta dell’oracolo.
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Socrate era davvero il più sapiente perché a differenza degli altri – che si credevano sapienti, pur non essendolo – sapeva di non sapere.
Le accuse
Il processo però verte su alcune accuse ben precise. Socrate è accusato di corrompere i giovani, di non riconoscere gli dei della città e di introdurne di nuovi.
Riguardo ai giovani, il filosofo sfrutta le stesse parole del suo accusatore Meleto, che sosteneva che le persone stanno solo con chi apporta loro dei beni e rifuggono da chi apporta dei mali. Pertanto, se Socrate è circondato da giovani dev’essere perché apporta loro dei beni.
Al massimo, potrebbe insegnar loro cose sbagliate senza volerlo (altrimenti si condannerebbe volontariamente alla solitudine), ma secondo le leggi ateniesi chi sbaglia senza saperlo non deve essere processato, ma casomai corretto.
Per quanto riguarda poi l’accusa di introdurre nuovi dei, Socrate spiega poi che se anche il suo dio fosse nuovo, non potrebbe non essere altro che il figlio di uno degli dei esistenti, e così non starebbe affatto rinnegando gli dei tradizionali, ma continuerebbe a credervi.
L’eventualità della morte
Socrate poi spiega di non aver paura della morte, perché bisogna temere solo ciò che è un male, mentre della morte non si sa cosa sia. Il male, in questo caso, sarebbe invece smettere di filosofare, visto che Socrate è chiamato a farlo dal Dio.
Come in battaglia il filosofo era rimasto fedele al suo posto, così deve rimanere fedele al suo compito ora, compito che è quello di ammonire gli ateniesi, costi quel che costi. Il suo dovere è quello di essere un tafano che punzecchia un cavallo nobile affinché non impigrisca.
D’altronde, spiega anche di sentire dentro un daimon che gli impedisce di compiere il male, e già in passato è rimasto fedele ai suoi insegnamenti. Ad esempio, quando fece parte del consiglio fu il solo a votare contro al processo dei comandanti che non avevano raccolto i naufraghi dopo la battaglia delle Arginuse, perché reputava quel processo illegale.
Inoltre, si rifiutò di uccidere Leonte di Salamina quando ne ricevette l’ordine dal governo dei Trenta Tiranni, ben consapevole che quel suo rifiuto gli sarebbe costato la vita. Fu solo per il rovesciamento del regime che non venne poi ucciso in quell’occasione.
Il verdetto e la pena
Si arriva dunque alla conclusione del processo e al verdetto. Verdetto che però è sfavorevole a Socrate, anche se di poco: di 500 votanti, 220 si esprimono per l’assoluzione e 280 per la condanna. I suoi amici gli prospettano subito di darsi alla fuga, ma Socrate rifiuta, perché non bisogna commettere ingiustizianeppure quando la si riceve.
A quel punto, il filosofo – secondo la legge – ha la possibilità di avanzare una proposta di pena. Socrate, però, sorprende tutti affermando che dovrebbe essere mantenuto dalla città, per il bene che sta facendo ad Atene. D’altronde, le altre opzioni – carcere o esilio – non gli paiono praticabili, perché «una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta».
Al limite, Socrate propone di pagare una piccola multa di una mina d’argento, cosa che indispettisce ulteriormente la giuria. Infatti il verdetto dei 500 per quanto riguarda la pena è ancora più netto del precedente e prevede, alla fine, la condanna a morte dell’imputato.
Il commento di Socrate
Socrate ha un’ultima occasione per esprimere il suo punto di vista. Mostra in primo luogo l’assurdità di un verdetto del genere, che lo trasformerà in una sorta di martire e produrrà vari altri tafani che, seguendo il suo esempio, andranno in giro a punzecchiare gli ateniesi potenti.
Esamina poi la morte, che presenta o come un sonno piacevole, profondo e senza sogni, oppure come un viaggio verso l’Ade, dove potrà incontrare i grandi dell’antichità e coi quali potrà filosofare. D’altronde, «a colui che è buono non può accadere nulla di male». E la morte, dunque, non può essere male.
3. Il significato del testo
Come abbiamo detto, l’Apologia di Socrate è un ottimo sunto non solo delle vicende storiche che colpirono il pensatore ateniese, ma anche dei tratti salienti del suo pensiero. In fondo, c’è tutto quello che è importante sapere: la sapienza, il demone interiore, la virtù.
Socrate è infatti prima di tutto un uomo in ricerca, consapevole che la filosofia può essere condotta solo in due, col confronto e col dialogo. Quando all’inizio si interroga sul significato della frase dell’oracolo di Delfi non fa altro che presentarci le basi del suo metodo, fondato sull’ironia e la maieutica.
Poi ci mostra anche come la sua morale, profondamente radicata nell’uomo, abbia però anche un che di divino, visto che a garantirne la validità c’è sempre la voce del demone, capace di riportare sulla retta via il filosofo quando questi sia propenso a sbagliare.
Infine, il testo è un emblema dell’estrema coerenza dell’ateniese: pur vedendosi condannato ingiustamente, Socrate accetta la condanna del tribunale e rimane fedele alle leggi della sua città, anche se questo comporta la sua morte.
D’altro canto, il saggio non deve temere affatto la fine della vita, perché nulla può effettivamente turbare il filosofo che segue il bene e la virtù.
4. La sua importanza nella storia
Come dicevamo nel primo punto della nostra presentazione, l’Apologia di Socrate è importante sia perché è un documento coevo – fu scritta poco dopo il processo –, sia perché ci permette di conoscere a fondo il pensiero di Socrate.
Questo grande pensatore ateniese, infatti, è stato a lungo piuttosto ostico da decifrare. Da un lato, perché non aveva scritto nulla, ma dall’altro perché le altre fonti che raccontavano il suo pensiero non erano sempre del tutto coerenti.
Ad esempio, a parlare di Socrate fu tra gli altri il celebre commediografo Aristofane, che lo rese protagonista della sua opera Le nuvole, dipingendolo però quasi come un sofista. Oppure ancora ci sono le notizie riportate da Aristotele, che però fu solo un testimone indiretto. Oppure i testi di Senofonte (che scrisse anch’egli una Apologia).
Lo stesso Platone, poi, non è sempre un testimone attendibile delle vicende di Socrate. Come forse ricorderete se avete studiato un po’ di filosofia greca, infatti, Platone utilizza il personaggio Socrate in molti suoi dialoghi, facendone il portavoce dei suoi ragionamenti.
I problemi critici
Per questo motivo è spesso assai difficile riuscire a capire, leggendo un testo platonico, quali delle parole pronunciate da Socrate siano veramente frutto del pensiero di Socrate e quali invece siano da attribuire in toto a Platone.
Solitamente, i critici ritengono che i dialoghi platonici scritti prima, e quindi più ravvicinati al processo e alla morte di Socrate, siano i più fedeli al pensiero socratico, e quelli scritti dopo siano invece quelli che più si allontanano dalla reale filosofia del maestro.
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Per questo motivo, l’Apologia di Socrate di Platone diventa particolarmente rilevante: essendo il primo libro dell’ateniese, è anche quello che probabilmente meglio descrive la reale filosofia di Socrate e quindi quello più attendibile per studiarne il pensiero.
5. Il testo completo da scaricare in PDF e altri formati
Dopo tante parole nostre, forse vorrete anche – e giustamente – leggere direttamente l’opera di Platone, che tra l’altro è molto breve e di agile fruizione. Qui sotto la trovate in formato ePub (adatto a smartphone e tablet) e PDF, ma vi indichiamo anche i link per audiolibri gratuiti e altri formati particolari.
Queste versioni sono infatti quelle del progetto LiberLiber, che vi consigliamo di visitare1. La traduzione è quella di Francesco Acri, curata da Carlo Carena.
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Odio, razzismo e fake news. Questi gli ingredienti delle pagine dell'estrema destra sui social network. Sono create da avvocati, impiegati, commercianti. Ma anche da esponenti delle forze dell'ordine. Ora alzano il tiro: dopo tante parole vogliono passare ai fatti 27 dicembre 2017 Fascisti su Facebook, a gestire i gruppi neri ci sono anche i poliziotti I neofascisti alzano il tiro. E ora - nella galassia nera del web dove si incita all'odio e si reclutano militanti - si è passati alla fase due: la "mobilitazione". Odio che promette di diventare non più virtuale ma reale, di oltrepassare i monitor e le tastiere per raggiungere le strade e compiere azioni dimostrative che servano a far capire che «la rivoluzione nera sta arrivando». Come documentano alcune conversazioni all'interno dei gruppi segreti su Facebook tra i nuovi fascisti, che L'Espresso ha avuto modo di vedere. C'è un'indagine complessa, portata avanti dalla Polizia postale e coordinata dalle Procure di Roma, Milano e Torino, che sta monitorando una settantina di persone appartenenti a una rete virtuale attiva in tutta Italia, che incita all'odio e alla violenza. I suoi canali di diffusione sono, appunto, i gruppi segreti sui social che inneggiano al fascismo e i finti siti di informazione che inondano il web di bufale e fake news per condizionare l'opinione pubblica e fare proselitismo. Stanze virtuali create e frequentate da molti sostenitori e attivisti di CasaPound e Forza Nuova, che vanno a caccia di consensi per conto dei due movimenti di estrema destra. Reclutatori che trovano terreno fertile fra personaggi borderline e che vantano precedenti penali per apologia del fascismo. Ma anche fra gente comune: avvocati, impiegati, commercianti, taxisti. E pure qualche insospettabile: alcune di queste pagine sono gestite da appartenenti alle forze dell'ordine. All'attenzione degli inquirenti c'è in particolare la pagina web Avanguardia Nera, che vanta quasi 20 mila iscritti. È lì che sono state pubblicate per la prima volta bufale “storiche” di contenuto razzista - come la vicenda degli immigrati musulmani che distruggono un albero di Natale - e fotomontaggi poi diventati virali. Come quello che ritrae un'attrice americana spacciata per la sorella della Presidente della Camera Laura Boldrini, colpevole - secondo chi ha orchestrato la bufala - di aver messo in piedi una serie di cooperative che lucrano sulla pelle dei profughi. Fra i siti amici di Avanguardia Nera, figura un’altra pagina “clickbait” che fa affari d'oro grazie ai milioni di contatti giornalieri: si tratta di Vox News, il cui cavallo di battaglia sono i crimini degli immigrati. Tutti rigorosamente inventati. Però la rete ha i suoi anticorpi, e così nel web sono nati spontaneamente gruppi di cittadini che operano contro la diffusione delle bufale, come l'attivissimo comitato virtuale “Contro la diffusione della xenofobia e dell'ignoranza”. Avanguardia Nera - più volte segnalata alla Polizia postale e agli organismi di controllo di Facebook per istigazione all'odio razziale - è stata cosl finalmente chiusa lo scorso febbraio. Per poi rinascere però, qualche giorno dopo, con un nuovo nome di chiara ispirazione fascista: “Avanguardia Italia Nera, a Noi!”. Fra gli amministratori, risulta esserci anche un maresciallo dell'esercito italiano (ora in pensione) il cui profilo Facebook è all’esame degli uomini della polizia postale. Ma l'ex maresciallo è in buona compagnia. I gruppi di ispirazione fascista nel web continuano a nascere quotidianamente, e alcuni di loro sono frequentati da forze dell'ordine. Ad amministrare il gruppo Facebook "Regio Esercito Fascista" - quasi 1.400 iscritti - c'è per esempio un giovane poliziotto in forza alla Questura di Padova, che risulta aver creato la comunità virtuale nove anni fa. Non si tratta di un gruppo considerato borderline. Al suo interno, va detto, non si leggono frasi di odio razziale o di incitamento alla violenza, ma vengono pubblicate immagini di combattimenti dell'esercito italiano risalenti alla Seconda guerra mondiale, che sottolineano «l'eroismo dei soldati italiani». Però compaiono anche foto storiche del Ventennio e del Duce. Mentre qualche membro pubblica i propri autoscatti mentre si cimenta nel saluto romano. Fra gli iscritti figurano diversi militari. E del resto i precedenti di "poliziotti neri” sono tanti: un anno fa i due agenti scelti Cristian Movio e Luca Scatà dovettero rinunciare alla medaglia d'onore dopo aver catturato e ucciso il terrorista islamico Anis Amri per essersi fatti immortalare, nei loro profili social, mentre facevano il saluto romano e inneggiavano a Benito Mussolini. Alcuni anni fa, fece scalpore la fotografia scattata da un passante che immortalava una bandiera con la croce celtica issata sul muro del Commissariato Città Studi di Milano. Il timore degli inquirenti che monitorano l'attività web dei gruppi neofascisti non è un mistero: le forze dell’ordine infiltrate vigilano affinché gli sproloqui e l'incitamento alla violenza nei confronti dei rappresentanti delle istituzioni non si tramutino in qualcosa di reale. Ma il lavoro di indagine è lungo e faticoso. Gli istigatori all'odio solitamente utilizzano nickname difficili da identificare, e la collaborazione del colosso americano Facebook all'identificazione dei profili sconosciuti a volte manca completamente o è troppo lenta. Perché in pochi di loro agiscono io modo scoperto. Fra i nomi degli hater più monitorati dagli inquirenti c'è per esempio il cosentino Vittorio Boschelli, finito nel mirino della Postale per essersi scagliato con violenza contro la Presidente della Camera Laura Boldrini arrivando a scrivere che avrebbe voluto «impiccarla in piazza». Il nome di Boschelli, fondatore del Movimento politico fronte popolare e molto attivo nel web con post che incitano al razzismo non è nuovo agli inquirenti. L'aspirante politico figura infatti fra gli ideologi del partito Identità Nazionale, Il gruppo a cui, secondo il gip dell'Aquila Giuseppe Romano Gargarella, faceva riferimento il gruppo di neofascisti clandestino Avanguardia Ordinovista, decapitato nel 2014 nell'ambito dell'operazione Aquila Nera. Quattordici arresti e decine di indagati che portarono alla luce una rete eversiva di estrema destra diffusa in tutta Italia che pianificava attentati dinamitardi contro Equitalia e nelle stazioni ferroviarie e che progettava l'omicidio di magistrati e politici senza scorta. Anche allora, i neofascisti che volevano resuscitare Ordine Nuovo incitavano all'odio razziale attraverso apposite pagine web e facevano proselitlsmo arruolando i propri “soldati” utilizzando il più veloce e impermeabile dei social network: Facebook, appunto. Una storia già vista. http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/12/27/news/fascisti-su-facebook-a-gestire-i-gruppi-neri-ci-sono-anche-i-poliziotti-1.316581
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L’immagine della locandina non è altro che la riproduzione di un frammento del Polittico della rivoluzione fascista di Gerardo Dottori, un pittore di regime, che lo dipinse nel 1934. Il quadro, in stile futurista, ritrae schiere di squadristi in marcia con bandiere nere, baionette e fez. Un’aperta ed esplicita apologia del fascismo. La locandina è stata approntata da Forza Nuova per promuovere un corteo nazionale, oggi pomeriggio, nelle vie del centro di Milano. Una manifestazione al contempo contro l’Unione europea e le élite finanziarie. «Basta lamentarsi, scendi in piazza contro i governi delle banche e i politicanti da talk-show», questo l’invito. Forza Nuova, nata nel settembre 1997, è tra le più vecchie fra le formazioni neofasciste post-missine. Di stampo integralista cattolico, si ispira senza infingimenti, da sempre, alla Guardia di ferro rumena fondata da Corneliu Zelea Codreanu, uno dei più sanguinari movimenti antisemiti che l’Europa abbia mai conosciuto, attivo negli anni Trenta e Quaranta, che arrivò a collaborare con i nazisti e praticare l’azione terroristica su larga scala. I «legionari» (così si facevano chiamare) della Guardia di ferro furono soprattutto protagonisti di spaventosi pogrom antiebraici, tra gli altri quello di Bucarest del 22 gennaio 1941. Un atto bestiale. Irruppero nel quartiere ebraico, incendiando le sinagoghe, devastando e distruggendo. Al macello comunale vennero radunati centinaia di ebrei. Dopo aver simulato una cerimonia kosher molti di loro vennero trascinati al mattatoio, sgozzati e appesi ai ganci, come carcasse di animali, con la scritta al collo «carne ebrea». «Li avevano scorticati vivi, a giudicare dalla quantità di sangue», riferì in un suo telegramma l’ambasciatore degli Stati Uniti in Romania, menzionando tra i corpi anche una bambina di meno di cinque anni, appesa per i piedi. Altri, disse, erano stati decapitati. Per un raggio di diversi chilometri si rinvennero i corpi degli ebrei assassinati dalla furia della Guardia di ferro. Più di un centinaio furono ritrovati nudi il 24 gennaio a Banasea, sulla linea tra Bucarest e Ploiesti, altri ottanta sulla strada per Giurgiu. Un bilancio finale non si riuscì mai a stilarlo. Le fonti più attendibili parlarono di 630 morti e 400 scomparsi. Costituita da Roberto Fiore (già promotore alla fine degli anni Settanta di Terza posizione) e da Massimo Morsello (prima nella sezione del Fuan di Via Siena a Roma, insieme a Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, poi nei Nar), ambedue fuggiti a Londra nel 1980 (inseguiti da mandati di cattura per associazione sovversiva e banda armata, e successivamente condannati rispettivamente a cinque anni e sei mesi e a otto anni e due mesi), Forza Nuova è stata più volte oggetto di attenzioni da parte della magistratura. Moltissimi sono stati gli episodi che hanno visto militanti e dirigenti di Fn, o che vi avevano fatto parte, condannati per aggressioni violente. L’elenco sarebbe lunghissimo. Ma riguardo la natura di questa organizzazione di particolare rilevanza sono stati due pronunciamenti della Cassazione. Quello del 10 febbraio 2011 (sentenza 4938 della Quinta sezione penale), che dopo aver assolto dall’accusa di diffamazione il direttore e un giornalista del Corriere della Sera, denunciati da Roberto Fiore, per l’intervista a un politico che definiva l’organizzazione «chiaramente fascista» e «portatrice di valori quali la xenofobia, il razzismo, la violenza e l’antisemitismo», affermava che «alla luce dei dati storici e dell’assetto normativo vigente durante il ventennio fascista, segnatamente delle leggi razziali», la qualità di fascista «non può essere depurata dalla qualità di razzista e ritenersi incontaminata dall’accostamento al nazismo». Con ciò ribadendo il contenuto di un’altra precedente sentenza dell’8 giugno 2010, sempre della Corte di Cassazione, avversa anch’essa a un’altra denuncia di Fiore, che ritenne invece «pienamente giustificato l’uso delle espressioni» «nazifascisti» e «neofascisti» nei confronti di Forza nuova. Da tempo, Forza Nuova sta cercando un proprio spazio a destra della stessa destra più razzista, radicalizzando parole d’ordine soprattutto contro i profughi, ma anche seminando odio e veicolando notizie false e allarmistiche. Di recente, ad esempio, è arrivata ad accusare i migranti, sulle proprie pagine Facebook, di essere portatori dei batteri della meningite. «Memoria antifascista», composta dalle associazioni che ricordano i compagni uccisi a Milano dai fascisti e dalle forze dell’ordine nel dopoguerra, e il «Comitato lombardo antifascista» (che ha raccolto in regione più di 25mila firme per chiedere lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste), unitamente all’Anpi, si ritroveranno oggi pomeriggio in piazza Fontana per un presidio. Il sindaco Giuseppe Sala, dal canto suo, si era esposto nei giorni scorsi dichiarando che «avrebbe fatto tutto il possibile per impedire la manifestazione neofascista». Alle parole non sono però seguiti i fatti. La gestione dell’avvenimento è stata infatti appaltata al questore. Risultato: Forza nuova, pur senza corteo, è stata autorizzata a tenere un comizio all’Arco della Pace, non lontano dal centro cittadino. Saverio Ferrari, Marinella Mandelli da il manifesto
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Giovedì 27 Aprile 2017 06:5927 aprile: morte di Antonio Gramsci e Danilo Montaldi Grandezza carattere Stampa E-mail 27 aprile: muoiono, a 38 anni di distanza, Antonio Gramsci e Danilo Montaldi Il 27 aprile 1937 muore, nella clinica di Quisisana a Roma, Antonio Gramsci, dopo undici anni di detenzione nelle carceri fasciste. Da anni soffriva di diverse gravi malattie, ma le richieste per la sua liberazione vennero accolte da Mussolini soltanto sei giorni prima della sua morte, quando ormai non era più in grado di muoversi da mesi. Arrestato (nonostante fosse protetto dall'immunità parlamentare) l'8 novembre 1926 durante l'ondata repressiva che seguì un attentato a Bologna contro il duce, fu accusato di attività cospirativa, incitamento all'odio di classe, apologia di reato e istigazione alla guerra civile: tutte accuse piuttosto fondate, data la sua decennale militanza sul fronte internazionale del comunismo rivoluzionario, ma che soltanto nel mondo capovolto del dominio capitalistico possono essere fonte di persecuzione, anziché di credito e onore. Il 27 aprile 1975, in un mondo radicalmente mutato in soli 37 anni, moriva invece Danilo Montaldi, anch'egli, come Gramsci, militante comunista, intellettuale e scrittore. Apparentemente una distanza abissale separa i due personaggi: autore di fama mondiale, inserito ufficialmente nel canone della letteratura e della storiografia italiane, il primo, sconosciuto ai più il secondo; protagonista della stagione classica del movimento comunista (dal 1917 agli anni precedenti la seconda guerra) l'uno, partecipe della crisi storica del progetto marxista-leninista tradizionale (dopo il 1945) l'altro. Gramsci visse la fase ascendente della dittatura del proletariato nell'URSS, sposando anche una rivoluzionaria bolscevica, Julia Schucht, da cui ebbe due figli; Montaldi maturò la scelta di abbandonare il PCI nel 1946, proprio a causa della consapevolezza della degenerazione burocratica che aveva interessato successivamente il socialismo sovietico, nella sua fase discendente. Nonostante queste e altre differenze biografiche, culturali e politiche, molti aspetti permettono di accostare le due figure nel segno della caratteristica più importante e tipica dell'intellettuale militante/comunista tra primo e secondo novecento: il tentativo di precisare una strategia per la distruzione della società capitalista, regolarmente in contrasto con le stesse organizzazioni ufficiali della politica socialista e comunista. Gramsci era nato nel 1891 ad Ales, in Sardegna, e si era trasferito a Torino per motivi di studio, in estrema povertà, nel 1911. Arrivò nella città sabauda con 45 lire in tasca, avendo speso 55 lire per il viaggio delle 100 dategli dalla famiglia; negli anni successivi sarebbe sopravvissuto grazie a una delle 19 borse di studio da 70 lire mensili messe a disposizione dall'università di Torino per gli studenti poveri del Regno. Negli anni dell'università supera le posizioni sardiste, immettendole nella più ampia e globale idea socialista; presso il numero 12 dell'odierno corso Galileo Ferraris frequenta la federazione giovanile socialista e la sede dell'Avanti, dove inizierà la sua carriera di scrittore grafomane, furioso e tenace, producendo in dieci anni migliaia di pagine di riflessione politica, filosofica e di costume. In quegli anni è anche molto impegnato come critico teatrale (anche se ignorato dal mondo ufficiale dell'arte), risultando il primo critico ad aver scoperto e valorizzato il teatro di Luigi Pirandello (ben prima del più noto critico Adriano Tilgher, come lo stesso Gramsci rivendicava con orgoglio). Nel 1917 segue gli eventi russi e diviene fervente sostenitore della rivoluzione bolscevica; nel 1919 fonda il giornale Ordine Nuovo; tra il 1919 e il 1920 definisce la linea dei giovani militanti socialisti che, a differenza del ceto politico del partito, appoggiano e promuovono le lotte operaie del biennio rosso che, con particolare forza a Torino, Milano e Genova procedono all'occupazione armata delle fabbriche e in molti casi alla loro autogestione e direzione produttiva. Dopo che l'assalto operaio al potere di fabbrica fallisce a causa dell'immobilismo/tradimento della dirigenza socialista, nel 1921 è parte del gruppo di militanti che, a Livorno, accoglie le indicazioni dell'Internazionale Comunista, proclamando la necessità di formare un'organizzazione rivoluzionaria costituita da avanguardie dedite alla promozione del conflitto operaio, per una presa del potere di tipo sovietico, fondando il Partito Comunista d'Italia e, successivamente, il giornale l'Unità. Dopo aver compiuto diversi viaggi in Unione Sovietica come rappresentante della sezione italiana dell'Internazionale, e dopo aver trascorso periodi come esule, soprattutto a Vienna, a causa delle prime repressioni fasciste dopo il 1922, torna in Italia con l'immunità parlamentare, essendo stato eletto deputato il 6 aprile 1924. Poche settimane dopo, il 10 giugno, una banda di fascisti uccide un deputato socialista, Giacomo Matteotti, e gran parte dell'opinione pubblica è turbata e scandalizzata dall'accaduto. Per protesta tutti i gruppi d'opposizione abbandonano i lavori parlamentari, ma tra essi è solo quello comunista, capitanato da Gramsci, che chiede di fare l'unica cosa sensata, ossia proclamare lo sciopero generale. I socialisti temono che il ricorso allo sciopero favorisca il desiderio diffuso di una rivoluzione di tipo bolscevico, i liberali e i cattolici temono socialisti e comunisti molto più dei fascisti, e si appellano sterilmente al Re come supposto garante di una legalità che il delitto Matteotti avrebbe infranto. Tutto questo produce uno stallo durante il quale aumenta la tensione reale nel paese, finché, il 12 settembre, il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram, per vendicare Matteotti, il deputato fascista Armando Casalini, e si scatenano le ondate della repressione più dura, con lo scioglimento di tutti i partiti d'opposizione e l'arresto di militanti e dissidenti. Lo stesso Gramsci sarà arrestato dopo due anni di sforzi nell'opposizione politica al fascismo, e si dedicherà in prigione alla scrittura della sua opera più famosa e internazionalmente conosciuta, i Quaderni del carcere. Una delle tesi contenute nei Quaderni, quella della necessità di conquistare la direzione politica della società attraverso un'egemonia culturale antagonista, verrà riletta in modo moderato dal PCI del dopoguerra, passato nelle mani di Togliatti, interessato a bloccare, su ordine di Stalin, ogni prospettiva rivoluzionaria in Italia. Una tesi ben più complessa e articolata viene banalizzata come grimaldello ideologico volto all'annacquamento della pratica rivoluzionaria (occorre conquistare l'egemonia culturale in primo luogo, quindi la presa del potere politico è rimandata...) a tutto vantaggio della coesistenza pacifica tra due superpotenze capitaliste, l'URSS (capitalismo di stato) e gli USA (capitalismo di mercato). È in questi anni che Danilo Montaldi, nato nel 1929 a Cremona, esce dal PCI di cui era militante e si dedica ad un'attività organizzativa continua e inusuale, attraverso la frequentazione attiva di gruppi cui non aderisce formalmente (Partito Comunista Internazionalista, Gruppi Anarchici di Azione Proletaria) o la fondazione di gruppi che talvolta successivamente abbandona (Gruppo di Unità Proletaria, 1957, e Gruppo Karl Marx, 1966). Se Gramsci concepì il suo compito come quello della fondazione del comunismo in Italia, inteso come prospettiva specifica nel panorama socialista (consistente, in base all'insegnamento di Lenin, nel rifiuto totale della guerra e nella direzione politica del conflitto sociale allo scopo di provocare una presa diretta del potere), Montaldi si mosse in un quadro dove la stessa soggettività comunista organizzata era divenuta compatibile con la società capitalista, trasformandosi in conservazione sociale burocratica dove era al potere e in involucro retorico di una sostanziale socialdemocrazia dove era all'opposizione. In particolare il compito del militante del dopoguerra è non solo costruire organizzazioni alternative (di qui le critiche di Montaldi ai trotzkisti, che a questo si limitavano), ma anzitutto indagare direttamente le condizioni di lavoro e di lotta della classe operaia. Negli anni della ricostruzione postbellica l'operaio è chiamato a vendere la sua forza lavoro al capitale in nome di uno sforzo presentato come trasversale alle classi, ma l'interesse alla ricostruzione è l'interesse del capitale, poiché l'operaio non può che trarre giovamento dalla distruzione del sistema esistente. L'antagonismo operaio non va però, per Montaldi, imposto intellettualmente e astrattamente dall'avanguardia ai lavoratori; l'operaio non è oggetto di studio e di intervento dei comunisti, semmai soggetto, esattamente come loro. Egli si dedica quindi a una ricerca sul campo circa le reali condizioni e aspirazioni operaie e contadine, impegnandosi affinché fossero essi stessi a raccontarsi e ad esprimere la loro realtà, negli anni in cui la sinistra ufficiale maturava invece quel distacco reale dalla classe di cui ancora oggi si vedono le conseguenze. Ne saranno risultato opere come Milano Corea. Inchiesta sugli immigrati (1960, con Franco Alasia), Autobiografie alla leggera (1961) e Militanti politici di base (1971). Questo attivismo in cui l'agitazione politica e l'inchiesta diventano una cosa sola costituirà il nocciolo della pratica che verrà battezzata "con-ricerca" da Romano Alquati e, assieme alle analisi fortemente anticonformiste della soggettività operaia di Raniero Panzieri, apriranno la strada alla grande stagione dell'operaismo italiano che, mettendo al centro la classe e il suo conflitto reale contro l'accumulazione capitalistica (anche e soprattutto al di fuori dagli orizzonti del partito e del sindacato), imporrà all'attenzione delle nuove generazione il problema della conquista dell'autonomia operaia. È qui, a ben vedere, che Gramsci e Montaldi si incontrano: entrambi hanno dovuto non soltanto vivere la contrapposizione del comunismo alle forze riformiste o democratiche – o fasciste – ma anche quella tra classe oppressa e organizzazioni esistenti della sinistra: in riferimento al tradimento del PSI durante il biennio rosso il primo, e in relazione al tradimento del PCI con la politica della coesistenza democratica il secondo. I germi dei loro scritti, come spesso accade, non hanno ancora prodotto tutta la potenza dei loro frutti (anche a causa di una loro banalizzazione scolastica, come nel caso di Gramsci, o della loro espulsione dai circuiti editoriali ed educativi, come nel caso di Montaldi) nonostante abbiano già influenzato molte generazioni; lette in prospettiva storica, restano un esempio irrinunciabile di abnegazione militante e di intelligenza rivoluzionaria. L'anticonformismo politico e l'autonomia di pensiero di entrambi è caratterizzata da ciò che il vero comunista sa di dover sempre far propria, ossia l'attitudine all'eresia, anche rispetto alla propria stessa tradizione di pensiero. Per questo tra le righe più potenti di Gramsci resteranno sempre quelle, splendide, da lui dedicate all'Ottobre Rosso: "La rivoluzione dei bolscevichi è [...] la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico [...] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili".
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