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Los pueblos judío y persa
🇪🇸 Una guerra a gran escala en Oriente Medio, desencadenada por un conflicto entre Israel e Irán, podría resultar en paisajes devastados, un alto número de muertes y miles de desplazados, además de generar una nueva situación geopolítica en una región aún afectada por la revolución islámica iniciada por el ayatolá Jomeini en enero de 1979, cuando regresó a Teherán desde su exilio en París. Este evento transformó a Irán, que pasó de ser un aliado de Occidente, especialmente de Estados Unidos, a tomar como rehenes a los diplomáticos de la embajada estadounidense en Teherán. Los movimientos antioccidentales han afectado profundamente la democracia estadounidense, ejemplificado por los ataques del 11 de septiembre de 2001. Los conflictos en países como Afganistán, Siria, Irak, Yemen y Líbano reflejan un choque de civilizaciones latente. Si Israel entra en guerra con Irán, la situación podría cambiar radicalmente, con Estados Unidos respaldando a Israel, independientemente del resultado de las elecciones del 5 de noviembre. El primer ministro israelí, Benjamin Netanyahu, ha expresado que el verdadero enemigo de Israel es el gobierno iraní, no el pueblo persa, y ha indicado que un conflicto con Irán podría llevar a un cambio de régimen en Teherán, alterando el equilibrio en la región. Sin embargo, las consecuencias de estas guerras suelen ser duraderas, dejando cicatrices de resentimiento y odio que perduran a lo largo del tiempo, mientras que desde el 7 de octubre pasado, las muertes se cuentan por decenas de miles.
🇺🇸 A large-scale war in the Middle East, triggered by a conflict between Israel and Iran, could result in devastated landscapes, a high death toll, and thousands of displaced people, leading to a new geopolitical situation in a region still affected by the Islamic Revolution initiated by Ayatollah Khomeini in January 1979 when he returned to Tehran from exile in Paris. This event transformed Iran from a U.S. ally to one that took American embassy diplomats hostage in Tehran. Anti-Western movements have deeply impacted American democracy, exemplified by the September 11, 2001 attacks. Conflicts in countries such as Afghanistan, Syria, Iraq, Yemen, and Lebanon reflect a latent clash of civilizations. If Israel goes to war with Iran, the situation could radically change, with the U.S. backing Israel regardless of the outcome of the November 5 elections. Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu has stated that Israel’s true enemy is the Iranian government, not the Persian people, and has suggested that a conflict with Iran could lead to regime change in Tehran, altering the balance in the region. However, the consequences of such wars are often long-lasting, leaving scars of resentment and hatred that endure over time, while since October 7, the death toll has reached tens of thousands.
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Perché non ci si può schierare in nessuno dei fronti artificiali del gangsterismo globale
Il distacco cognitivo rispetto alla realtà si fa sempre più massiccio; lo schema Buoni-Cattivi resta dominante e non lascia scampo ai neuroni in nessun campo. Se le oligarchie sono ai ferri corti nel ridisegnare la mappa delle spartizioni mondiali, la sceneggiata dei “blocchi” tiene banco indisturbata, ma è assurda, tanto i presunti blocchi sono intrecciati tra di loro. Tutti dipendono in misura diversa dagli altri e non esistono in nessun campo delle spartizioni nette e dei fronti contrapposti. Le sceneggiate per le plebi servono, appunto, alle plebi. Questo vale per l’Ucraìna, per i BRICS e per Gaza. Tanto per fare qualche esempio alla rinfusa. Per quelli del Blocco B (stracciomondismo antioccidentale) Israele deve essere attaccata a parole e i palestinesi difesi a parole. Per quelli del Blocco A (occidentalismo antipovero) Israele dev’essere giustificata e al massimo censurata, ma la Palestina dev’essere garantita solo con qualche formuletta dialettica.
Poi andiamo a verifica. Nel Blocco B troviamo tanto la Russia quanto alcuni paesi degli Accordi di Abramo, ovvero i maggiori esportatori in Israele, nonché suoi alleati strategici. Israele del resto si è sempre rifiutata di armare l’Ucraìna e ha anche inviato dei volontari tra le truppe russe. L’Unione Europea ha invece aumentato gli aiuti a Gaza. Siamo noi italiani a portarli, e adesso è partita una macrospedizione coordinata tra Francia e Giordania che, sicuramente vanta il più occidentalista dei governi mediorientali. Il segretario di Stato americano, Blinken, che è israelita, ha iniziato un tour per coordinare gli aiuti a Gaza. Il che non significa che lo schema vada rovesciato. Non è che l’immaginario Blocco A sia più vicino ai palestinesi (o meglio meno lontano da loro) di quanto lo sia l’inesistente Blocco B. È tutta una pagliacciata in cui s’intrecciano interessi al contempo comuni e divergenti tra le varie oligarchie. Le quali su una cosa concordano: i loro fatti non collimano mai con le loro dichiarazioni.
Anche l’alleanza contro i pirati yemeniti houti nel Mar Rosso è composita e, per la prima volta da tanto tempo, annovera insieme gli alleati della guerra mondiale: Italia, Germania e Giappone. Era già accaduto una quarantina di anni fa con l’opposizione al blocco all’Iran voluto dagli americani. È un groviglio difficile da districare e mi rendo conto che sia complicato prendere posizioni che non siano viscerali e non partano da un qualcosa di positivo ma dalla presunzione di scegliere, tra le varie schifezze, il “male assoluto” contro cui illudersi di ergersi, tifando per un altro bandito. Un po’ come se nella guerra tra palermitani e corleonesi ci si fosse schierati pretendendo che il clan considerato meno peggio stesse facendo la lotta alla Mafia.
Hamas, come l’Isis e tutta la galassia dei terroristi islamisti, non è compatta ed ha vari clan e capi che si combattono tra loro. Tra qualche tempo scopriremo quale componente si era accordata con Tel Aviv per scatenare, con il massacro del 7 ottobre, la macelleria di massa su Gaza (Hamasrael…). Lo scopriremo perché sarà quella che assumerà il comando della Palestina ridimensionata, così come ci renderemo conto di quanto avranno inciso in tutta questa tragedia concordata a tavolino i giacimenti di gas sottomarino e l’ipotetica apertura del Canale Ben Gurion (cui i blocchi alterni di Suez e del Mar Rosso sono provvidenziali). Si vedrà come si svilupperanno gli Accordi di Abramo e se riuscirà la mossa di impedire il ravvicinamento tra Arabia Saudita e Iran.
In qualche modo proprio l’Iran è nell’occhio del ciclone. Ma non è un motivo sufficiente per simpatizzare per un regime imperialista che pretende di parlare nel nome di un dio. L’attentato sulla tomba di Suleimani non deve farci dimenticare di che personaggio stiamo parlando. Coordinava i suoi nell’Iraq invaso, smembrato, occupato e retto da un governo fantoccio messo insieme da Teheran e dagli americani. Per quasi mezzo secolo l’Iran ha svolto una politica che ha favorito gli interessi americani nell’area e ha combattuto tutti i governi socialnazionali e filoeuropei. Provò ad invadere l’Iraq nel 1980 per impedire la realizzazione del nucleare iracheno con tecnologia francese e aiuto italiano. La stessa Siria partecipò fin dal 1977, con un attentato a Baghdad, all’offensiva israelo-americana contro l’Iraq e l’Europa. E se gli ayatollah stanno a Teheran lo debbono proprio alla necessità israelo-americana di allora, di cui (Irangate docet) furono consapevoli esecutori.
Comprendo che assistere a una serie di macellerie perpetrate per conto di oligarchie criminali non sia piacevole e si vorrebbe che qualcosa cambi. Ma se ciò accadrà, prescinderà dai gangsters. Non ce n’è uno che sia meglio degli altri, così come non ce n’è nessuno che una volta o l’altra non svolga una funzione positiva da qualche parte. Perfino la Russia e l’Iran sono riusciti a farlo in Siria, il che è davvero tutto dire visto che per il resto sono anche peggio degli americani! Quel che è certo è che non si può stare con nessuno dei banditi. Ed è ormai così evidente, almeno per l’inconscio, che neppure l’individuazione del Nemico da cui identificarsi per contrapposizione sta facendo l’unanimità in nessuno dei conflitti, e questo non per effetto di propaganda ma per rifiuto istintivo di accodarsi a una qualche bestia idrofoba e bugiarda. Dobbiamo crescere noi. Crescere spiritualmente, esistenzialmente, concettualmente: dobbiamo farlo in Europa e per la Civiltà. Solo questo conta, solo questo è. La lotta tra gli imitatori goffi dei titani – comunque nemici dell’Olimpo – non può essere la nostra.
G.Adinolfi
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Per la santa inquisizione dei Santoro, Vauro, Travaglio Berlusconi era il male assoluto, gli hanno vomitato addosso di tutto, accuse di ogni genere, e spesso anche a ragione. Ora, nell’accanimento ideologico antioccidentale lo santificano per essere lo zerbino del sanguinario tiranno nazistalinista Putin. Nauseante e grottesco🤡
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El momento liberal
Por Alexander Dugin
Traducción de Juan Gabriel Caro Rivera
Charles Krauthammer, un experto estadounidense en relaciones internacionales, escribió un artículo programático titulado «El momento unipolar» (1) en el número de 1990/1991 de la prestigiosa publicación globalista Foreign Affairs, en el que ofrecía una explicación del fin del mundo bipolar. Tras el colapso del bloque del Pacto de Varsovia y la desintegración de la URSS (que aún no se había producido en el momento de la publicación de su artículo) surgiría un orden mundial en el que Estados Unidos y los países del Occidente colectivo (OTAN) serían el único polo que gobernaría el mundo, estableciendo sus reglas, normas, leyes y equiparando sus propios intereses y valores a los del resto del planeta mediante acuerdos vinculantes. Esta hegemonía mundial establecida de facto por Occidente fue denominada por Krauthammer el «momento unipolar».
Poco después, otro experto estadounidense, Francis Fukuyama, publicó un manifiesto similar titulado el «fin de la historia» (2). Pero a diferencia de Fukuyama, que se apresuró a proclamar que la victoria de Occidente sobre el resto de la humanidad ya había tenido lugar y que en adelante todos los países y pueblos aceptarían sin rechistar la ideología liberal y aceptarían el dominio exclusivo de Estados Unidos y Occidente, Krauthammer fue más comedido y cauto y prefirió hablar de «momento», es decir, de una situación de facto con respecto al equilibrio de poder internacional, pero no se precipitó a decir que este orden mundial unipolar sería duradero. Todos los signos de la unipolaridad se encontraban presentes: aceptación incondicional por casi todos los países del capitalismo, la democracia parlamentaria, los valores liberales, la ideología de los derechos humanos, la tecnocracia, la globalización y el liderazgo estadounidense. Pero Krauthammer, observando tal estado de cosas, decidió decir que existía la posibilidad de que no se tratara de una realidad estable, sino sólo de una etapa, una cierta fase, que podría convertirse en un modelo a largo plazo (en cuyo caso Fukuyama tendría razón) o incluso podría llegar a su fin, dando paso a otro orden mundial.
En 2002-2003 Krauthammer retomó su tesis en otra prestigiosa publicación, pero ya no globalista sino realista, National Interest, donde publicó un artículo titulado « Sobre el momento unipolar» (3), argumentando que después de diez años la unipolaridad había sido un momento y no un orden mundial duradero, ya que pronto surgirían modelos alternativos debido a las crecientes tendencias antioccidentales en el mundo que se podían observar en los países islámicos, en China, en una Rusia fortalecida, donde el presidente Putin había llegado al poder. Los acontecimientos posteriores han reforzado aún más la tesis de Krauthammer de que el momento unipolar ha llegado a su fin y que Estados Unidos no ha conseguido que su liderazgo mundial, el cual poseía en la década de 1990, sea duradero y sostenible: el poder de Occidente ha entrado en un periodo de declive y decadencia. Las élites occidentales no supieron aprovechar la oportunidad de dominar el mundo, que estaba prácticamente en sus manos, y ahora es necesario participar en la construcción de un mundo multipolar con estructuras diferentes, sin pretender poseer la hegemonía, en caso de que no se quiera permanecer en absoluto al margen de la historia.
El discurso de Putin en Múnich en 2007, el ascenso al poder en China de un líder fuerte como Xi Jinping y el rápido crecimiento de su economía, los acontecimientos en Georgia en 2008, el Maidan ucraniano, la reunificación de Rusia con Crimea y, finalmente, el inicio del Nuevo Orden Mundial en 2022 y una gran guerra en Oriente Próximo en 2023 no han hecho sino confirmar en la práctica que los prudentes análisis de Krauthammer y Samuel Huntington (4), siendo este último el que predijo un «choque de civilizaciones», estaban mucho más cerca de la verdad que Fukuyama, que era demasiado optimista (frente al Occidente liberal). Ahora resulta obvio para todos los observadores sensatos que la unipolaridad fue sólo un «momento» y que este momento está siendo sustituido por un nuevo paradigma: la multipolaridad o – más cautelosamente – el «momento multipolar» (5).
Hemos traído a colación esta discusión con la intención de subrayar el significado del concepto de «momento» en el análisis de la política mundial. A continuación, vamos a retomar el tema.
¿Momento o no momento?
El debate sobre si estamos hablando de algo irreversible o, por el contrario, temporal, transitorio e inestable en el caso de tal o cual sistema internacional, político e ideológico tiene una larga historia. A menudo, los defensores de una teoría insisten vehementemente en la irreversibilidad de los regímenes y transformaciones sociales con los que están de acuerdo, mientras que sus oponentes, o simplemente los escépticos y observadores críticos, plantean la idea alternativa de que se trata sólo de una cuestión de momento.
Las revoluciones socialistas del siglo XX – en Rusia, China, Vietnam, Corea, Cuba, etc. – contradijeron el marxismo. Pero la revolución mundial no se produjo y empezaron a existir dos sistemas ideológicos en el mundo: el mundo bipolar comenzó a existir desde 1945 (tras la victoria conjunta de comunistas y capitalistas sobre la Alemania nazi) hasta 1991. En esta confrontación ideológica cada bando argumentaba que el bando contrario no era el destino de la humanidad, sino simplemente un momento, no el fin de la historia, sino una fase dialéctica intermedia. Los comunistas insistían en que el capitalismo se derrumbaría y el socialismo reinaría en todas partes y que los propios regímenes comunistas «existirían para siempre». Los ideólogos liberales les respondieron: no, el momento histórico es el comunismo, el comunismo no es más que una desviación frente al camino burgués de desarrollo, un malentendido y el capitalismo existirá para siempre. Esta es, de hecho, la tesis de Fukuyama sobre el «fin de la historia». En 1991 parecía que tenía razón. El sistema socialista se derrumbó y las ruinas de la URSS y China se precipitaron a abrazar el libre mercado, es decir, se pasaron al capitalismo, confirmando las predicciones de los liberales.
Por supuesto, algunos marxistas marginales creen que aún no es de noche, que el sistema capitalista fracasará y entonces llegará la hora de la revolución proletaria. Pero esto no es seguro. Al fin y al cabo, cada vez hay menos proletarios en el mundo y, en general, la humanidad va en una dirección completamente distinta.
Las opiniones de los liberales, que, siguiendo a Fukuyama, consideraban que el comunismo no era más que un momento y que proclamaron que el «capitalismo sería el fin de la historia» al parecer tenían razón. Los parámetros de la nueva sociedad, en la que el capital alcanza la dominación total y real, fueron interpretados de diversas maneras por los posmodernistas, que propusieron métodos extravagantes para luchar contra el capitalismo desde dentro. Entre ellos, el suicidio proletario, la transformación consciente del individuo en un inválido o en un virus informático, la reasignación de género e incluso el especismo. Todo esto se ha convertido en el programa de la izquierda liberal estadounidense y cuenta con el apoyo activo de la cúpula dirigente del partido demócrata: el wokismo, la cultura de la cancelación, la defensa de la ecología, los transgéneros, el transhumanismo, etc. Pero tanto los partidarios como los detractores del capitalismo victorioso están de acuerdo en que no se trata sólo de una fase del desarrollo que será sustituida por otra cosa, sino que es el destino y la etapa final de la formación de la humanidad. Sólo la transición a un estado posthumano – lo que los futurólogos llaman «singularidad» – puede ir más allá. La propia mortalidad del hombre queda aquí superada en favor de la inmortalidad mecánica de la máquina. En otras palabras, bienvenidos a la Matrix.
Así, en la batalla de dos sistemas ideológicos, ganó la burguesía, que es la creadora del paradigma dominante del fin de la historia.
La importancia de Trump en la historia mundial
Sin embargo, la posibilidad misma de aplicar el término «momento» en la época de la «victoria global del capitalismo» abre una perspectiva muy especial, aún poco pensada y desarrollada, pero cada vez más clara. ¿No deberíamos asumir que el colapso franco y evidente del liderazgo occidental y la incapacidad de Occidente para ser una instancia universal de poder legítimo de pleno derecho tienen una dimensión ideológica? ¿No significa el fin de la unipolaridad y de la hegemonía occidental el fin del liberalismo?
Esta consideración se ve confirmada por un acontecimiento político crucial: el primer y segundo mandato de Donald Trump como presidente de Estados Unidos. La elección de Trump como presidente por parte de la sociedad estadounidense implica una crítica abierta al globalismo y al liberalismo como expresión del Occidente unipolar y revela que ha madurado una masa crítica de insatisfacción tanto ideológica como geopolítica frente al dominio de las élites liberales. Además, el hecho de que Trump eligiera como vicepresidente de EE.UU. a J.D. Vance deja claro que este ha abrazado la «derecha posliberal». El liberalismo fue considerado como un término negativo a lo largo de la campaña electoral de Trump, aunque se utilizó para referirse al «liberalismo de izquierdas» como ideología del Partido Demócrata estadounidense. Sin embargo, en los círculos del «trumpismo de base» el liberalismo se ha ido convirtiendo en un término negativo y ha pasado a verse como algo inseparable de la degeneración, la decadencia y la perversión de las élites gobernantes. En la ciudadela del liberalismo – Estados Unidos – ha triunfado por segunda vez en la historia reciente un político extremadamente crítico con el liberalismo y sus partidarios no tienen reparos en demonizar directamente esta corriente ideológica.
Así, podemos hablar del fin del «momento liberal», del hecho de que el liberalismo, que parecía haber vencido históricamente y derrotado de una vez por todas a la ideología, resultó ser sólo una de las etapas de la historia mundial y no su fin. Y más allá del liberalismo – después del final del liberalismo y al otro lado del liberalismo – surgirá gradualmente una ideología alternativa, un orden mundial diferente, un sistema de valores diferente. El liberalismo resultó no ser un destino, no el fin de la historia, no algo irreversible y universal, sino sólo un episodio, sólo una época histórica con un principio y un fin, con límites geográficos e históricos claros. El liberalismo se inscribe en el contexto de la modernidad occidental. Ganó batallas ideológicas con otras variedades de esta modernidad (el nacionalismo y el comunismo), pero al final se derrumbó, llegó a su fin. Y con él llegó el fin del momento unipolar de Krauthammer y el ciclo aún más extenso del dominio colonial exclusivo de Occidente a escala planetaria que comenzó con la época de los grandes descubrimientos geográficos.
El mundo Postliberal
El mundo está entrando en una fase postliberal. Sin embargo, esta fase posliberal no coincide en absoluto con lo planteado por el comunismo. En primer lugar, el movimiento socialista a escala mundial se ha derrumbado y sus puestos de avanzada – la URSS y China – han abandonado sus teorías con tal de adoptar en mayor o menor medida elementos del capitalismo. En segundo lugar, la principal fuerza motriz actual responsable del colapso del liberalismo son los valores tradicionales y las identidades profundas de las distintas civilizaciones.
La humanidad ha comenzado a superar el liberalismo no a través del socialismo – el materialista y la tecnología –, sino a través del renacer de estratos culturales que la modernidad occidental consideraba superados, desaparecidos, abolidos, es decir, a través de la premodernidad, que resultó que no había sido destruida y no mediante la posmodernidad, la cual no es sino una continuación de la modernidad occidental. El postliberalismo es algo muy diferente a cómo el pensamiento progresista de izquierdas imaginaba el futuro. En general, el postliberalismo pone entre paréntesis el dominio occidental nacido de la Modernidad y lo considera simplemente como un fenómeno temporal, una fase que no es universal e intemporal. La Modernidad no fue sino una etapa transitoria de una determinada cultura que apoyándose en la fuerza bruta y en la tecnología logró durante un cierto periodo de tiempo imponer su liderazgo a escala planetaria, creyendo que así podría universalizar sus principios, técnicas, métodos y objetivos. Esa es la historia del imperio más exitoso del mundo moderno, pero la hegemonía occidental ha llegado a su fin después de cinco siglos y la humanidad ha vuelto (tímidamente) al estado anterior antes de que se produjera el dramático ascenso de Occidente. El liberalismo, por su parte, se ha convertido históricamente en la última forma de imperialismo planetario de Occidente tras haber absorbido todos los principios básicos de la modernidad europea y haberlos llevado hasta sus últimas conclusiones lógicas: ideología de género, wokismo, cultura de la cancelación, teoría crítica de la raza, transgénero, quadrobers, posthumanismo, posmodernismo y «ontología orientada hacia los objetos». El fin del momento liberal es algo más grande que el simple fin del liberalismo: es el fin de la hegemonía exclusiva de Occidente sobre la humanidad. Es el fin de Occidente.
Hegel y el momento liberal
Hemos hablado varias veces del «fin de la Historia», pero no nos hemos detenido a examinar el origen de esa teoría. Este concepto fue planteado por Hegel y únicamente tiene sentido si examinamos su filosofía de la historia. Tanto Marx como Fukuyama se basaron en Hegel, pero el comunismo y el liberalismo modificaron profundamente el alcance de las tesis hegelianas. Según Hegel el fin de la historia no puede ser pensado dejando de lado su principio. Al comienzo de la historia Dios se encuentra oculto para sí mismo. Por lo tanto, pasa (a través de la negación de sí mismo) a la naturaleza y luego de la naturaleza, debido al principio dialéctico de Dios, a la historia. La historia es el despliegue del espíritu. Poco a poco, la historia va dando a luz distintos tipos de sociedades. Primero, las monarquías tradicionales, luego las democracias y las sociedades civiles y después llega la época del gran imperio del espíritu. En cada etapa Dios se manifiesta en la historia y en la política de forma cada vez más clara. El fin de la historia, según Hegel, es cuando Dios se manifiesta plenamente en el Estado, pero este no es un Estado ordinario, sino un Estado gobernado por los filósofos, por el espíritu. Tal Estado viene precedida por la creación de una sociedad civil dispersa y atomizada (el liberalismo), en el cual la naturaleza ya ha sido completamente superada y el espíritu aún no ha encontrado su manifestación más elevada, el cuál solo es posible de alcanzar mediante el imperio. Ahora está claro que Hegel entiende el liberalismo precisamente como un momento que domina debido a la disolución de los antiguos Estados y antes de la creación de un nuevo y verdadero Estado que pone fin a la historia.
Los marxistas y los liberales no creen en Dios, por lo que descartan este principio de Hegel, rechazando su comienzo: el Dios-en-sí. Reemplazan a Dios con la naturaleza, que sería el verdadero comienzo. La naturaleza (no está claro por qué...) se desarrolla y da lugar a la sociedad. Luego la sociedad da nacimiento a la historia y se convierte en sociedad civil, es decir, liberalismo. Los liberales se detienen ahí (según Fukuyama, el fin de la historia llega cuando toda la población de la Tierra se convierte en una «sociedad civil»). Los marxistas, en cambio, sostienen que dentro de la «sociedad civil» (¡pero sin ir más allá!) existe una fase de orden capitalista con clases sociales y otra de orden comunista sin clases sociales. En ambos casos el fin de la historia es precisamente la «sociedad civil». En ninguno de los dos casos se plantea la existencia de un imperio espiritual al final de la historia. Esto es lógico, pues al eliminar el principio (Dios) de la teoría de Hegel, se niega también el fin (el imperio del espíritu). Habiendo comenzado con la naturaleza (en Hegel es el segundo momento, no el primero), se terminan con la sociedad civil (en Hegel no es el fin de la historia, sino la fase precedente, es decir, el «momento liberal» propiamente dicho).
Y aunque el liberalismo también es sólo un momento para los marxistas, en la interpretación más general (hegeliana) de la «sociedad civil» sigue siendo algo preliminar, sobre todo porque el mismo Hegel no estaba familiarizado con la interpretación distorsionada que hizo Marx de su propia doctrina (no se sabe qué clase de discípulos tienen los grandes filósofos).
Así, en el contexto de la filosofía de Hegel, el momento liberal abarca toda la «sociedad civil» (incluida la sociedad comunista, que a finales del siglo XX resultó ser sólo una desviación del liberalismo y en la década de 1990 volvió a su matriz burguesa capitalista).
Aplicando el modelo completo (no truncado, no reducido) de la filosofía de la historia de Hegel a la cuestión que estamos considerando, obtenemos la aclaración que nos faltaba sobre qué es exactamente lo que puede venir después del liberalismo, cuyo final Hegel previó y, además, consideró inevitable, porque si Dios (alfa) está al principio de todo, también debe estar al final de todo (omega). Hegel consideraba que esta encarnación de Dios al final de la historia era algo análogo a lo que hoy se suele llamar el Estado-civilización. Es decir, el fin del liberalismo no es en absoluto el fin de la historia, sino el fin de una determinada etapa, que tiene su propio significado en el contexto general del cambio de ciclos y épocas, y que es un preludio necesario (aunque negativo) a la instauración del imperio del espíritu.
Postmodernidad y monarquismo
En este contexto, el monarquismo adquiere un significado especial. No en retrospectiva, sino en perspectiva: el monarquismo del futuro. La democracia liberal y la era de la república se han agotado. Los intentos de construir una república mundial han fracasado por completo. En enero de 2025 se sellará definitivamente este fracaso.
Pero, ¿qué vendrá después? ¿Qué parámetros tendrá la época posliberal? Esta pregunta sigue completamente abierta. Pero la mera idea de que todo el contenido de la modernidad europea – ciencia, cultura, política, tecnología, sociedad, valores, etc. – no era más que un simple episodio, que desembocó en un final vergonzoso y miserable, muestra lo inesperado de este futuro postliberal tras el fin del momento liberal.
Hegel nos da una pista de cómo será: una época de monarquías. Y hay indicios claros de que su filosofía (la versión completa y no la truncada defendida por los liberales y marxistas) tenía toda la razón
La Rusia actual, aunque formalmente sigue siendo una democracia liberal, ha tomado partido por lo valores tradicionales y es, en la práctica, una monarquía. El hecho de que tengamos un único líder nacional, la inamovilidad del poder supremo y nuestra confianza en los fundamentos espirituales, la identidad y la tradición son requisitos previos para que se dé una transición a la monarquía, no desde una perspectiva formal, sino desde el punto de vista de los principios. Claro, no se trata de una monarquía nacional, sino de un imperio del espíritu, la restauración del Katechon, la Tercera Roma, la capital de la civilización ortodoxa. Desde un punto de vista histórico y geopolítico esto incluye el legado de Gengis Khan. El fin de la historia será ruso o no será. En cualquier caso, el momento liberal de la política rusa ha pasado irrevocablemente y la premodernidad rusa será cada vez más relevante.
Otros Estados-civilización también están avanzan gradualmente en la misma dirección. Narendra Modi cada vez presenta más y más los rasgos distintivos del Devaraja o Chakravartin, el monarca sagrado, asemejándose al décimo avatar, Kalki, que viene a poner fin a la Edad Oscura, la época de la decadencia y la degeneración, que coincide exactamente con el momento liberal que Modi ha llamado a superar en su lucha por restaurar el Hindutva, la identidad india. Del primer avatar al décimo, de nuevo, como sostiene Hegel, se produce una continuidad entre el alfa y el omega.
En la actual China comunista el liderazgo de Xi Jinping muestra cada vez más los rasgos de la restauración de un imperio confuciano tradicional. Y su líder asume el arquetipo del Emperador Amarillo. La China contemporánea tiene todos los motivos para avanzar hacia la creación de un imperio hegeliano del espíritu. Y el marxismo puede ser muy útil aquí, sólo hay que dar un paso y completar hasta el final la versión marxista truncada y por tanto contradictoria de la lectura de Hegel. Al principio existía Dios (digamos, Pangu). Al final habrá «Tianxia» (天下) -- la doctrina del eterno sagrado Imperio Celestial.
El mundo islámico también necesita integrarse. El Califato de Bagdad 2.0 podría ser un punto de referencia, porque fue en la época abasí cuando tanto la civilización islámica como el Estado islámico alcanzaron su apogeo.
Es muy posible suponer la creación de un imperio africano y de un imperio latinoamericano. No es casualidad que América Latina esté representada en el BRICS por Brasil, el único territorio colonial de la historia que durante cierto tiempo paso de ser una periferia a ser el centro: la capital del Imperio portugués.
Por último, por qué no considerar un giro aparentemente paradójico de la política norteamericana hacia el monarquismo. El filósofo norteamericano Curtis Yarvin lleva mucho tiempo hablando de la necesidad de una monarquía en Estados Unidos. Hasta hace muy poco se le consideraba una figura marginal extravagante. Pero luego resultó que sus ideas influyeron mucho en el futuro vicepresidente de Estados Unidos, James David Vance. ¿Y no es Donald Trump una especie de monarca? Donald Primero. También tenemos a Donald Trump Jr., un joven notable llamado Barron Trump. En un mundo post-liberal, todo es posible. Incluso un giro monárquico.
El futuro está abierto
El mismo término «momento liberal», si pensamos en su contenido, tiene un tremendo potencial revolucionario en la esfera del pensamiento político. Lo que se pensaba que era el destino, la inevitabilidad, la ley de hierro de la historia, resulta ser sólo una pincelada en medio de un lienzo mucho más amplio y rico. Esto significa que la humanidad dispone de una libertad infinita de imaginación política: ahora todo es posible. El regreso al pasado, incluida la antigüedad más remota, la restauración de los reinos sagrados, incluidos los imaginarios, el descubrimiento de nuevos caminos, el desenterramiento de las identidades olvidadas y la libre creación de otras nuevas. Sólo hay que dejar de lado el liberalismo y sus dogmas, pues el mundo está cambiando.
En lugar del fatalismo que pregonaba la sustitución de las personas por las máquinas (Singularidad), el tecnoapocalipsis y el armagedón nuclear, se abre ante nosotros un horizonte desconocido. Desde este punto podemos ir en cualquier dirección: la dictadura del determinismo histórico queda derrocada. Comienza la pluralidad de los tiempos. Y Hegel con su imperio del espíritu y el establecimiento de monarquías de nuevo tipo es sólo una de sus posibilidades. Una perspectiva atractiva, pero no la única. Seguramente, gracias a la diversidad de civilizaciones que tiene la humanidad existirán otras formas de superar el momento liberal.
Notas:
[1] Krauthammer Ch. The Unipolar Moment // Foreign Affairs, 70.1, 1990/1991. P. 23-33.
[2] Fukuyama F. The End of History and the Last Man. NY: Free Press, 1992.
[3] Krauthammer Ch. The Unipolar Moment Revisited // National Interest, 70, 2002/2003: P. 5-17.
[4] Huntington S. The Clash of Civilizations?// Foreign Affairs, summer 1993. P. 22-47.
[5] Савин Л. Многополярный момент [https://www.geopolitika.ru/article/mnogopolyarnyy-moment]
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Come sempre devo scrivere qualcosa che ad alcuni darà fastidio, e mi dispiace, ma mi bolle il sangue quando sento parlare di questo argomento basandosi solo su una o l'altra narrazione politica, oppure sulla propria "preferenza", quando bisognerebbe farlo da un punto di vista tecnico.
Se vogliamo parlare della decisione della Corte Penale Internazionale, che ci può piacere o no, con cui possiamo essere d'accordo o no, bisogna dire che è tutto nella norma.
Calma, non saltare dalla poltrona, mi spiego.
Se leggete le convenzioni di Ginevra, vedrete che entrambi gli Stati e i gruppi armati aventi determinate caratteristiche (controllo di parte di un territorio, ecc) sono entrambi vincolati dal diritto internazionale. Le convenzioni si applicano anche a loro.
La Corte non fa dei ragionamenti politici, ma giuridici. La legge è uguale per tutti quelli che la devono rispettare, quindi, essa non fa che valutare ed agire in base a quelle norme.
Chiariamo, dunque, alcuni punti.
"È sbagliato mettere Israele, paese democratico, ecc, sullo stesso piano di Hamas". Vero, da un punto di vista politico, etico, ecc. Falso, dal punto di vista del diritto poiché entrambi sono vincolati dalle stesse norme.
"Questa è una decisione antisemita, contro lo stato di Israele". Falso, la CPI non persegue gli Stati, quello lo fa la CIG dell'ONU, la Corte Penale Internazionale persegue gli individui, cioè Netanyahu e il ministro in questo caso. Quindi non è un mandato contro Israele, questo deve essere chiaro.
"La CPI è antioccidentale". Falso, è la stessa corte che ha emesso il mandato contro Putin, tra l'altro lo stesso procuratore, mandato che viene sbandierato da mesi da tutti noi. Anche dagli Stati Uniti, che non vi aderiscono e l'hanno sempre osteggiata. La Corte non può avere credibilità solo quando ci piace quello che fa.
È proprio questo tipo di atteggiamento che la indebolisce, quando credo che noi, almeno noi europei, vorremmo fosse un organo in grado di perseguire efficacemente gli individui che violino il diritto di guerra, quegli umani, ecc.
Ecco, questi sono i dati oggettivi da un punto di vista tecnico, poi ognuno - anch'io stesso - può essere o non essere d'accordo. Ogni Paese può esprimere la propria indignazione o apprezzamento per questa decisione. Questo però è un aspetto politico. La Corte, ricordate, non parte da questi presupposti, ma da quelli giuridici. Rileva o non rileva violazioni, se si, procede. Tutto qui.
(Han Skelsen, da X)
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Andrew Korybko* Como dijo Putin imitando a Modi, “los BRICS no son una alianza antioccidental; simplemente son no occidentales”, lo cual es importante que los observadores recuerden, ya que a menudo se los presenta erróneamente como antioccidentales. Continue reading Putin elogió a India durante su encuentro con periodistas destacados del BRICS
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Ucrania (y Occidente) están perdiendo la guerra... pero, la situación ucrania se ha complicado aún más durante el último mes. Porque las guerras en Israel-Gaza y Ucrania están estrechamente relacionadas porque representan dos frentes de una guerra global por poderes en la que se enfrenta Occidente, contra un frente que abarca a Rusia, China e Irán... Por eso Occidente no puede aceptar una derrota p��blica en Ucrania en este momento... Putin está presionando a Estados Unidos para que asigne recursos a Israel en lugar de a Ucrania... en última instancia, al igual que en Ucrania, es difícil ver cómo Occidente puede ganar en Gaza. Incluso si Israel logra erradicar completamente a Hamás, el elevado número de muertes de civiles sólo endurecerá los sentimientos antioccidentales en la región y más allá. Si Occidente creía que alentar la guerra reavivaría su menguante influencia en Europa del Este y Medio Oriente, en ambos frentes, parece que estamos librando una batalla perdida (Thomas Fazi)
#ucraniaguerra#guerradepalestina#unioneuropeadecadencia#unioneuropea#imperialismonorteamericanofinal#imperialismonorteamericano
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Sentimenti antioccidentali e populismo internazionale
Ogni scusa è buona per dare addosso all'Occidente. Il mito antioccidentale aggiunge al classico campionario delle accuse anche quella climatica. Il tribunale green e woke persuade personaggi sempre più autorevoli e sbarca fino in Vaticano. «Se invoco il giudizio finale del Signore è solo per rispetto delle vittime, sapendo bene che – in quanto occidentale privilegiato – io appartengo ai carnefici». Così sentenziava nel 2004 Enzo Bianchi, all’epoca priore della comunità di Bose, allineandosi alla schiera dei cattolici italiani che già allora condannavano senza possibilità di remissione l’Occidente, militanti in prima linea nella quinta colonna, nel fronte interno che dal secondo dopoguerra ha scelto di descrivere l’Occidente come la peggiore delle civiltà, di far credere che sia responsabile – per avidità, egoismo, assenza di valori umani – di tutti i danni e le sofferenze dell’umanità nei secoli. L’intenzione è che chi nasce in Occidente si vergogni, si senta in colpa, disprezzi se stesso e le generazioni che lo hanno preceduto e chi vive oltre i suoi confini nutra sentimenti sempre più ostili, di rivalsa nei suoi confronti e si senta legittimato a combatterlo. Molti oggi sono convinti delle “colpe” storiche che gli vengono attribuite: tratta transatlantica degli schiavi africani, invasione e colonizzazione degli altri continenti, sfruttamento e depredazione delle loro risorse, imposizione di inaudite discriminazioni di genere. Nel frattempo a queste è stata aggiunta l’accusa, che in un certo senso le riassume tutte, di inquinare irrimediabilmente il pianeta e di provocare cambiamenti climatici gli irreparabili effetti avversi dei quali ricadrebbero su popolazioni innocenti. Gli argomenti degli attivisti antioccidentali hanno via via persuaso personaggi sempre più autorevoli per carica, ruolo e posizione sociale. «Sono profondamente consapevole dei miei limiti personali. Sono anziano, bianco, occidentale e uomo! Non so che cosa sia peggio! Tutti questi aspetti della mia identità limitano la mia comprensione. Vi chiedo quindi perdono per l’inadeguatezza delle mie parole». Pronunciate sul serio o per rompere il ghiaccio, è con queste frasi inopportune che il frate domenicano Timothy Radcliffe ha introdotto la sua prima meditazione il 1° ottobre rivolgendosi ai partecipanti all’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi.
Su temi di importanza cruciale persino il Papa, suprema autorità morale, dimostra quanto profondamente le ideologie antioccidentali abbiano cambiato la rappresentazione dei fatti. In Laudate Deum, l’esortazione apostolica sulle questioni ambientali rivolta «a tutte le persone di buona volontà», dopo aver liquidato come «sprezzanti e irragionevoli» le opinioni di chi dà credito agli innumerevoli scienziati che ritengono mera congettura la teoria del riscaldamento globale di origine antropica e, dati alla mano, respingono quella secondo cui i fenomeni atmosferici estremi si siano moltiplicati, afferma: «un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, come avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in diverse regioni della Terra. I gruppi umani hanno spesso creato l’ambiente, rimodellandolo in qualche modo senza distruggerlo e metterlo in pericolo». Invece, prosegue, sono un «fatto innegabile» le conseguenze negative dello «sfrenato intervento umano sulla natura negli ultimi due secoli». Laudate Deum termina con la denuncia esplicita dello «stile di vita irresponsabile legato al modello occidentale». La capacità delle società indigene di vivere in armonia con la natura è un mito usato per denunciare quello occidentale come un modello di sviluppo che produce ricchezza violando la natura. L'usura delle terre africane, ad esempio, la loro fragilità sono il risultato di un processo millenario. Derivano dal loro sfruttamento senza apporti di fertilizzanti, senza effettuare opere di bonifica, di raccolta e canalizzazione delle acque piovane, quasi senza aiuti animali e meccanici, utilizzando attrezzi rudimentali. Una delle conseguenze più evidenti è l'estensione del deserto del Sahara formatosi circa 10.000 anni fa a causa di variazioni climatiche che l'uomo, nei secoli, ha assecondato invece di contrastare. Nella sua visita a Marsiglia il 22 e 23 settembre, parlando con il presidente francese Emmanuel Macron e con il ministro dell’interno Gèrald Darmanin, il Papa invece ha affrontato il problema dell’emigrazione. La chiusura del porti, l’indisponibilità ad accogliere, ha detto, è la naturale conseguenza del ricorso a un lessico emergenziale, all’uso di espressioni come «invasione» ed «emergenza» che «alimentano le paure della gente»; non quindi del fatto che si tratti di ingressi illegali che solo in minima parte si giustificano per condizioni disperate. Ma soprattutto hanno colpito le sue parole contro l’Europa sulla quale – ha detto – ricade la colpa dell’immigrazione illegale perché «il mare nostrum grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e spreco, mentre dall’altro vi sono povertà e precarietà». Non considera il Papa, sopraffatto dalle rappresentazioni parziali dell’attuale assetto mondiale, quanta povertà affligge l’Europa, quanti europei si ingegnano con crescente difficoltà a far bastare il denaro di cui dispongono, quanti ogni mattina consultano le app che aggiornano sulle offerte nei supermercati dei prodotti di prima necessità, senza però che arrivino a soccorrerli migliaia di organizzazioni non governative e di dipendenti delle agenzie Onu e anzi raggiunti da continue richieste di aiuti per quelle che operano in altri continenti. Né considera quanta opulenza ostentata, per giunta frutto di ricchezze mal guadagnate, e quanto spreco di risorse gridano giustizia sull’altra sponda, quella africana. Tutto concorre a far credere che solo l’insicurezza dell’Occidente, la sua destabilizzazione possano portare giustizia, mentre il modello occidentale così tanto criticato, per i suoi valori fondanti dovrebbe essere invece indicato a esempio perché proprio negli ultimi due secoli è riuscito a lottare contro la povertà, a prolungare la vita, a consentire di viverla in condizioni migliori. Ma soprattutto – cosa che nessuno dice o rivendica mai – perché è l’unico modello di società che afferma come principio irrinunciabile il diritto di ognuno a contribuire con il suo lavoro e i suoi talenti alla creazione della ricchezza e a goderne i frutti. Read the full article
#cambiamentoclimatico#ccidente#desertodelsahara#destabilizzazione#ideologieantioccidentali#marenostrum#mitoantioccidentale#padreradcliffe#PapaFrancesco
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Regardez "Manifestantes antioccidentales intentaron colocar la bandera de Georgia y quemaron la de la UE" sur YouTube
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Discorso di Putin alla nazione: nessuna nuova strategia, punta sullo scontro e sulla stabilità
MOSCA – Non ci sono nuove strategie. Né su come vincere in Ucraina, né su come uscirne. Il presidente russo Vladimir Putin martella sui soliti tasti: la retorica antioccidentale e anticoloniale, la resilienza dell’economia davanti alle sanzioni, la forza del popolo russo. Rompe ulteriormente con l’Occidente annunciando la sospensione del Nuovo Trattato Start sul disarmo nucleare. E chiede al…
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#aggiornamenti da Italia e Mondo#Mmondo#Mmondo tutte le notizie#mmondo tutte le notizie sempre aggiornate#mondo tutte le notizie
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La guerre "tire ses racines de la Révolution orange, vécue par Poutine comme une humiliation"
Un an après le déclenchement par la Russie d’une guerre de haute intensité en Ukraine, France 24 s’intéresse à la rhétorique antioccidentale maniée par Vladimir Poutine pour justifier l’agression, dont les racines remontent au début des années 2000, comme l’explique l’historienne Françoise Thom, spécialiste de la Russie postcommuniste. Le 24 février 2022, un discours de Vladimir Poutine est…
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E LA BELLA LIZA OSTANINA SAREBBE NATA VICINO AD UN SITO DI ESPERIMENTI ATOMICI E DISASTRI AMBIENTALI IMMANI COME CELJABINSK, SOLO PERCHE’ CRESCESSE RESTANDO LONTANA DAGLI OCCHI INDISCRETI DEL MERETRICIO EUROPEO ?!?..
O PERCHE’ INVECE LA SUA FAMIGLIA ERA STATA AFFILIATA NEL DOPOGUERRA AD UNA LOBBY CHE AVEVA RIFONDATO, RIEDIFICATO, RICOSTRUITO UN’INDUSTRIA DI FUCILI D’ASSALTO GRAZIE AGLI INGEGNERI DEGLI STG44 NAZISTI CON ZVASTIKA ..AD UN GENERALE CHE NON NE CAPIVA NIENTE E CI MISE SOPRA IL SUO NOME MORENDO NEL 2013 E CON BUONA PACE DEL MONDO INTERO DELLE NAZIONI UNITE IN UN SILENZIO TOMBALE CHE NON POTRA’ MAI TESTIMONIARE NULLA SULLA CECENIA O SUI CRIMINI DI QUELLA GLORIOSA IMPRESA & FABBRICA D’ARMI CHE HA CAMBIATO IL VOLTO AL MONDO, ALLA STORIA E ALLE GUERRE DEGLI ULTIMI 70 ANNI ANCHE NEI BALCANI ..E COL NOME SBIANCHETTATO PER SEMPRE COME NELLA DINASTIA DEI WINDSOR QUANDO DECISERO DI EMANCIPARSI DA QUELLE RADICI CRUCCHE SPUTANDO DISCORSI E POMPA MAGNA PER CANCELLARE LE ATROCITA’ DEI LORO SPETTRALI DISSENNATORI SASSONIA COGURGO GOTHA .. DAL 2013 QUOTANDOSI ADDIRITTURA COME UNA SCALATA DA HOLDING IN KALAŠNIKOV KONCERN DA QUEL NOME SCOMODO IN BUONI RAPPORTI COL TERRORISMO ANTIOCCIDENTALE “IŽMAŠ”, PERCHE’ IN FONDO SONO FILOCCIDENTALI PUTTANIERI SOVRANISTI AMANTI COMUNISTI E CONVINTI NAZIONALISTI SOTTO LA STESSA BANDIERA DI BATTLEFIELD V DEI FOTTUTI NAZISTI BILINGUE CHE CASUALMENTE SI ERANO RIPASSATI QUELLA GRANDISSIMA SCASSATISSIMA ARCIDUCHESSA PORCAGLIOLA DI MONA LIZA PERCHE’ COLEI CHE TUTTO VOLLE UNA NULLITA’ STRINSE AL SENO COME UNA CHE VOLEA SOLTANTO DIVENIRE ESPERTA NELL’AMORE DI UN PRINCIPE MEZZOSANGUE
CHE PIAGNE E FOTTE WILLY.. IL COYONE... BY RAF
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Da Silvia ad Aisha: i misteri di una conversione 11 MAGGIO 2020 È un’angoscia profonda quella che probabilmente ha dettato una scelta del genere. Ora è libera sia di accettarla consapevolmente sia di liberarsene DI TAHAR BEN JELLOUN La conversione all’islam di Silvia Romano pone diversi interrogativi. Il primo consiste nel sapere quali rapporti intrattenevano con lei i jihadisti somali del gruppo al-Shabaab, che l’hanno rapita il 20 novembre 2018 nel Sudest del Kenya. Dopo la sua liberazione, la ragazza ha dichiarato che «sono stata forte e ho resistito». Ma quando si resiste non si sposa l’ideologia o la religione del proprio carnefice. Che cosa è successo nello spirito di questa giovane operatrice umanitaria durante i 536 giorni della sua prigionia? Perché ha scelto l’islam? Dice che è una scelta libera. Dobbiamo crederle. Ma una domanda sorge spontanea: perché aderire a questo islam che rapisce, terrorizza e ti priva della libertà gettando in una grande angoscia la tua famiglia e i tuoi cari Silvia Romano è comparsa in tenuta islamista, vale a dire la tenuta di un islam rigorista, integralista e antioccidentale. Il velo, l’ibaya (una sorte di djellaba lunga) sono dei simboli recenti di un islam duro, un islam protestatario e identitario. E l’islam che anima una parte dei ragazzi delle banlieues che sono partiti a combattere nelle fila dello Stato islamico in Siria e in Iraq. È normale che si possa essere sedotti dai testi religiosi. La lettura intelligente del Corano può essere un arricchimento intellettuale e spirituale. Bisogna però evitare di farne una lettura letterale, cioè gretta e intollerante. Il rito dominante in Arabia Saudita, in Qatar e in diversi altri Stati è il rito wahhabita, dal nome di un teologo del XVIII secolo, Mohammed ‘abd-al Wahhab, che propugnava un islam di un rigore assoluto: al ladro si mozza la mano, alla moglie adultera si taglia la testa e così via. Il gruppo al-Shabaab agisce in nome di questa ideologia dell’intolleranza totale e spietata. I giovani che compiono questi atti terroristici sono dei jihadisti, cioè dei militanti pronti a sacrificarsi per far trionfare l’islam in ogni parte del mondo. Nell’islam, la parola jihad ha due significati: il primo consiste nel pretendere dal credente che faccia uno sforzo su di sé per superare il suo egoismo e le sue debolezze. È un significato nobile e umanista. Il secondo significato sta a denotare la lotta contro l’aggressore: si parte per il jihad quando il Paese o la religione sono sotto attacco e rischiano di crollare. È il secondo significato a essere in voga oggi tra gli islamisti armati, che siano i Talebani in Pakistan, i soldati dello Stato islamico o i semplici militanti per la causa di un islam identico a come comparve nel VII secolo in Arabia Saudita. Allora, come e perché una donna moderna, occidentale, che è stata privata della libertà e non sa se la sua vita sarà rispettata, ha potuto scivolare verso l’islam? Spesso i convertiti abbracciano una religione e vi si dedicano anima e corpo, al punto di non avere più nessuna distanza fra i testi e la fede, fra lo spirito e la lettera. Ora che è stata liberata Silvia proseguirà il suo progetto umanitario o cercherà di diffondere intorno a sé un islam scoperto in condizioni quanto meno strane? Silvia Romano è diventata Aisha, in riferimento alla moglie del profeta Maometto, la figlia del suo fedele compagno Abu Bakr, scelta quando aveva soltanto 9 anni e sposata appena cominciò ad avere il ciclo. Aisha era la sposa preferita del profeta. Ebbe una grande influenza su di lui e quando rimase vedova condusse una guerra senza quartiere contro le tribù che contestavano il messaggio dell’inviato di Dio. Fu una donna eccezionale e per questo il suo nome è così diffuso nel mondo islamico. Silvia/Aisha è diventata un personaggio che confonde le piste. Convertirsi a una religione dopo una riflessione matura, con cognizione di causa, per convinzione vera e profonda è una cosa assolutamente normale e ammessa. Ma convertirsi dopo aver passato così tanti mesi sotto la pressione di mercenari che utilizzano l’islam come copertura per estorcere denaro a uno Stato, è una scelta che apre un dibattito. L’isolamento, il terrore, la paura di essere uccisi sono ingredienti che a volte perturbano la ragione e la libertà di spirito. Non pensi più allo stesso modo quando sei libero e quando sei privato di ogni libertà, con in più la minaccia di perdere la vita. È un’angoscia profonda quella che probabilmente ha dettato a Silvia una scelta del genere. Ora è libera sia di accettarla consapevolmente sia di liberarsene.
Da Silvia ad Aisha: i misteri di una conversione | Rep
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Siamo sicuri che sia stata davvero per tutti una marcia per la pace?
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El momento liberal: del «fin de la historia» a Trump
Por Alexander Dugin
Traducción de Juan Gabriel Caro Rivera
Charles Krauthammer, un experto estadounidense en relaciones internacionales, escribió un artículo programático titulado «El momento unipolar» en el número de 1990/1991 de la prestigiosa publicación globalista Foreign Affairs, en el que ofrecía una explicación del fin del mundo bipolar. Tras el colapso del bloque del Pacto de Varsovia y la desintegración de la URSS (que aún no se había producido en el momento de la publicación de su artículo) surgiría un orden mundial en el que Estados Unidos y los países del Occidente colectivo (OTAN) serían el único polo que gobernaría el mundo, estableciendo sus reglas, normas, leyes y equiparando sus propios intereses y valores a los del resto del planeta mediante acuerdos vinculantes. Esta hegemonía mundial establecida de facto por Occidente fue denominada por Krauthammer el «momento unipolar».
Poco después, otro experto estadounidense, Francis Fukuyama, publicó un manifiesto similar titulado el «fin de la historia». Pero a diferencia de Fukuyama, que se apresuró a proclamar que la victoria de Occidente sobre el resto de la humanidad ya había tenido lugar y que en adelante todos los países y pueblos aceptarían sin rechistar la ideología liberal y aceptarían el dominio exclusivo de Estados Unidos y Occidente, Krauthammer fue más comedido y cauto y prefirió hablar de «momento», es decir, de una situación de facto con respecto al equilibrio de poder internacional, pero no se precipitó a decir que este orden mundial unipolar sería duradero. Todos los signos de la unipolaridad se encontraban presentes: aceptación incondicional por casi todos los países del capitalismo, la democracia parlamentaria, los valores liberales, la ideología de los derechos humanos, la tecnocracia, la globalización y el liderazgo estadounidense. Pero Krauthammer, observando tal estado de cosas, decidió decir que existía la posibilidad de que no se tratara de una realidad estable, sino sólo de una etapa, una cierta fase, que podría convertirse en un modelo a largo plazo (en cuyo caso Fukuyama tendría razón) o incluso podría llegar a su fin, dando paso a otro orden mundial.
En 2002-2003 Krauthammer retomó su tesis en otra prestigiosa publicación, pero ya no globalista sino realista, National Interest, donde publicó un artículo titulado « Sobre el momento unipolar», argumentando que después de diez años la unipolaridad había sido un momento y no un orden mundial duradero, ya que pronto surgirían modelos alternativos debido a las crecientes tendencias antioccidentales en el mundo que se podían observar en los países islámicos, en China, en una Rusia fortalecida, donde el presidente Putin había llegado al poder. Los acontecimientos posteriores han reforzado aún más la tesis de Krauthammer de que el momento unipolar ha llegado a su fin y que Estados Unidos no ha conseguido que su liderazgo mundial, el cual poseía en la década de 1990, sea duradero y sostenible: el poder de Occidente ha entrado en un periodo de declive y decadencia. Las élites occidentales no supieron aprovechar la oportunidad de dominar el mundo, que estaba prácticamente en sus manos, y ahora es necesario participar en la construcción de un mundo multipolar con estructuras diferentes, sin pretender poseer la hegemonía, en caso de que no se quiera permanecer en absoluto al margen de la historia.
El discurso de Putin en Múnich en 2007, el ascenso al poder en China de un líder fuerte como Xi Jinping y el rápido crecimiento de su economía, los acontecimientos en Georgia en 2008, el Maidan ucraniano, la reunificación de Rusia con Crimea y, finalmente, el inicio del Nuevo Orden Mundial en 2022 y una gran guerra en Oriente Próximo en 2023 no han hecho sino confirmar en la práctica que los prudentes análisis de Krauthammer y Samuel Huntington, siendo este último el que predijo un «choque de civilizaciones», estaban mucho más cerca de la verdad que Fukuyama, que era demasiado optimista (frente al Occidente liberal). Ahora resulta obvio para todos los observadores sensatos que la unipolaridad fue sólo un «momento» y que este momento está siendo sustituido por un nuevo paradigma: la multipolaridad o – más cautelosamente – el «momento multipolar».
El debate sobre si estamos hablando de algo irreversible o, por el contrario, temporal, transitorio e inestable en el caso de tal o cual sistema internacional, político e ideológico tiene una larga historia. A menudo, los defensores de una teoría insisten vehementemente en la irreversibilidad de los regímenes y transformaciones sociales con los que están de acuerdo, mientras que sus oponentes, o simplemente los escépticos y observadores críticos, plantean la idea alternativa de que se trata sólo de una cuestión de momento.
Esto se remonta al marxismo. Mientras que para la teoría liberal el capitalismo y el sistema burgués son el destino de la humanidad que se impondrá y nunca acabará (ya que el mundo sólo puede ser liberal-capitalista y poco a poco todos se convertirán en clase media, es decir, burgueses), los marxistas veían el capitalismo como un momento del desarrollo histórico. Era necesario superar el momento anterior (feudal), pero a su vez el capitalismo debía ser superado por el socialismo y el comunismo y el poder de la burguesía tendría que ser sustituido por el poder de los trabajadores, la destrucción de los capitalistas y de la propiedad privada para que únicamente prevaleciera una humanidad compuesta por proletarios. Para los marxistas, el comunismo no era un momento, sino, de hecho, «el fin de la historia».
Las revoluciones socialistas del siglo XX – en Rusia, China, Vietnam, Corea, Cuba, etc. – contradijeron el marxismo. Pero la revolución mundial no se produjo y empezaron a existir dos sistemas ideológicos en el mundo: el mundo bipolar comenzó a existir desde 1945 (tras la victoria conjunta de comunistas y capitalistas sobre la Alemania nazi) hasta 1991. En esta confrontación ideológica cada bando argumentaba que el bando contrario no era el destino de la humanidad, sino simplemente un momento, no el fin de la historia, sino una fase dialéctica intermedia. Los comunistas insistían en que el capitalismo se derrumbaría y el socialismo reinaría en todas partes y que los propios regímenes comunistas «existirían para siempre». Los ideólogos liberales les respondieron: no, el momento histórico es el comunismo, el comunismo no es más que una desviación frente al camino burgués de desarrollo, un malentendido y el capitalismo existirá para siempre. Esta es, de hecho, la tesis de Fukuyama sobre el «fin de la historia». En 1991 parecía que tenía razón. El sistema socialista se derrumbó y las ruinas de la URSS y China se precipitaron a abrazar el libre mercado, es decir, se pasaron al capitalismo, confirmando las predicciones de los liberales.
Por supuesto, algunos marxistas marginales creen que aún no es de noche, que el sistema capitalista fracasará y entonces llegará la hora de la revolución proletaria. Pero esto no es seguro. Al fin y al cabo, cada vez hay menos proletarios en el mundo y, en general, la humanidad va en una dirección completamente distinta.
Las opiniones de los liberales, que, siguiendo a Fukuyama, consideraban que el comunismo no era más que un momento y que proclamaron que el «capitalismo sería el fin de la historia» al parecer tenían razón. Los parámetros de la nueva sociedad, en la que el capital alcanza la dominación total y real, fueron interpretados de diversas maneras por los posmodernistas, que propusieron métodos extravagantes para luchar contra el capitalismo desde dentro. Entre ellos, el suicidio proletario, la transformación consciente del individuo en un inválido o en un virus informático, la reasignación de género e incluso el especismo. Todo esto se ha convertido en el programa de la izquierda liberal estadounidense y cuenta con el apoyo activo de la cúpula dirigente del partido demócrata: el wokismo, la cultura de la cancelación, la defensa de la ecología, los transgéneros, el transhumanismo, etc. Pero tanto los partidarios como los detractores del capitalismo victorioso están de acuerdo en que no se trata sólo de una fase del desarrollo que será sustituida por otra cosa, sino que es el destino y la etapa final de la formación de la humanidad. Sólo la transición a un estado posthumano – lo que los futurólogos llaman «singularidad» – puede ir más allá. La propia mortalidad del hombre queda aquí superada en favor de la inmortalidad mecánica de la máquina. En otras palabras, bienvenidos a la Matrix.
Sin embargo, la posibilidad misma de aplicar el término «momento» en la época de la «victoria global del capitalismo» abre una perspectiva muy especial, aún poco pensada y desarrollada, pero cada vez más clara. ¿No deberíamos asumir que el colapso franco y evidente del liderazgo occidental y la incapacidad de Occidente para ser una instancia universal de poder legítimo de pleno derecho tienen una dimensión ideológica? ¿No significa el fin de la unipolaridad y de la hegemonía occidental el fin del liberalismo?
Esta consideración se ve confirmada por un acontecimiento político crucial: el primer y segundo mandato de Donald Trump como presidente de Estados Unidos. La elección de Trump como presidente por parte de la sociedad estadounidense implica una crítica abierta al globalismo y al liberalismo como expresión del Occidente unipolar y revela que ha madurado una masa crítica de insatisfacción tanto ideológica como geopolítica frente al dominio de las élites liberales. Además, el hecho de que Trump eligiera como vicepresidente de EE.UU. a J.D. Vance deja claro que este ha abrazado la «derecha posliberal». El liberalismo fue considerado como un término negativo a lo largo de la campaña electoral de Trump, aunque se utilizó para referirse al «liberalismo de izquierdas» como ideología del Partido Demócrata estadounidense. Sin embargo, en los círculos del «trumpismo de base» el liberalismo se ha ido convirtiendo en un término negativo y ha pasado a verse como algo inseparable de la degeneración, la decadencia y la perversión de las élites gobernantes. En la ciudadela del liberalismo – Estados Unidos – ha triunfado por segunda vez en la historia reciente un político extremadamente crítico con el liberalismo y sus partidarios no tienen reparos en demonizar directamente esta corriente ideológica.
Así, podemos hablar del fin del «momento liberal», del hecho de que el liberalismo, que parecía haber vencido históricamente y derrotado de una vez por todas a la ideología, resultó ser sólo una de las etapas de la historia mundial y no su fin. Y más allá del liberalismo – después del final del liberalismo y al otro lado del liberalismo – surgirá gradualmente una ideología alternativa, un orden mundial diferente, un sistema de valores diferente. El liberalismo resultó no ser un destino, no el fin de la historia, no algo irreversible y universal, sino sólo un episodio, sólo una época histórica con un principio y un fin, con límites geográficos e históricos claros. El liberalismo se inscribe en el contexto de la modernidad occidental. Ganó batallas ideológicas con otras variedades de esta modernidad (el nacionalismo y el comunismo), pero al final se derrumbó, llegó a su fin. Y con él llegó el fin del momento unipolar de Krauthammer y el ciclo aún más extenso del dominio colonial exclusivo de Occidente a escala planetaria que comenzó con la época de los grandes descubrimientos geográficos.
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Back to the future. La buona notizia, nel 2024, è che molte delle sfde dirette alla liberaldemocrazia non sono tra loro collegate, anzi, sono talmente opposte le une alle altre che si può sperare di campare per un po’, forse per un bel po’, sui reciproci antagonismi degli avversari della società aperta. Si vede come difficilmente il collante antioccidentale possa bastare a tenere mondi diversissimi come quello cinese e quello islamico e quello dell’ortodossia sciovinista russa alleati a lungo termine; la radicale diversità dei due più popolosi Paesi del pianeta, l’India e la Cina, è lampante; e in Europa, la sinistra illiberale e la destra autoritaria possono condividere moltissimo nelle loro pulsioni, ma restano comunque due cose differenti.
La cattiva notizia è che, come notava il grande Jean-François Revel, non si intravede un’ombra di soluzione per il paradosso più grande: che «una parte importante di ogni società è costituita da persone che vogliono attivamente la tirannia: per esercitarla o – molto più misteriosamente – per sottomettersi a essa». La libertà continua a farci paura. Speriamo che ce ne faccia di più la prospettiva di ritrovarci senza di essa.
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