#accettare la realtà
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“Il problema dei cosiddetti momenti supremi è che non ricordiamo di aver provato nulla in particolare, vivendoli, o perchè avevamo già provato abbastanza prima, o perchè il presente, a volerci piantare i piedi, è più scivoloso di una lastra di ghiaccio. Quando diciamo che viviamo solo nel presente, ci convinciamo di qualcosa di apparentemente logico e dotato di una certa nobilità, ma la realtà è più mesta e difficile da accettare, perchè le nostre radici non attecchiscono mai lì effettivamente, e a parte qualche asceta e illuminato, la vita delle persone comuni trascorre, almeno da che è finita l'infanzia, nell'anticipazione o nel rimpianto. Per questo motivo l'esperienza, che dovrebbe essere il bagaglio più sicuro e affidabile che ci portiamo dietro, è piuttosto una cosa ambigua e scoraggiante; da un lato, l'immaginazione erode i fatti ben prima che si verifichino; dall'altro, possiamo ipotizzare il significato di quei fatti solo quando ormai appartengono al passato, proprio come quegli idioti che capiscono una barzelletta qualche giorno dopo averla ascoltata e ridono tra loro”.
― Emanuele Trevi, “La casa del mago”.
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LA CENSURA AI TEMPI DEI REGIMI DEMOCRATICI
Di Ivan Surace
In perfetto stile orwelliano la neolingua ha coniato un nuovo termine per la censura tanto di moda nei secoli passati: standard della community.
Suona bene vero?
Un termine inc(u)l(o)sivo, comunitario, che ci fa sentire tutti membri dello stesso gregge in maniera allegra e positiva, contro un non meglio precisato nemico che non rispetta gli standard.
D’altronde un secolo di studi e applicazioni di public relations alla Bernays ha portato i suoi frutti, soprattutto da parte di chi ha capito come funziona la massa e che quindi, senza troppi scrupoli, utilizza tutti i mezzi che ha a disposizione per manipolarla a suo piacimento censurando, o meglio facendo scomparire, chiunque e qualunque cosa possa mettere In dubbio la propaganda di regime, la narrazione dominante.
Come ultimo esempio in questi giorni abbiamo la questione climatica.
Vi sarete resi conto di come la propaganda su questo argomento sia cresciuta in maniera esponenziale in questi ultimi anni, parallelamente alla cosiddetta transizione green, che porta con se il passaggio al “tutto elettrico” in ogni campo e alla sostituzione con l’IA, di gran parte della gestione sociale, politica economica e sanitaria della popolazione.
Stiamo assistendo alla conversione coatta della società in un grande allevamento intensivo di ultima generazione, in cui ogni singolo capo di bestiame, trasformato in un pezzo di carne senza personalità né anima, viene controllato in maniera totale e continuativa.
Comunque la si pensi, questo è il futuro che immaginano per l'umanità e che si sta progressivamente attuando in maniera totalitaria, a cominciare dai grandi centri urbani, trasmormati in vere e proprie aziende zootecniche per umani.
Ma torniamo alla questione climatica, l’intesificarsi della propaganda su questo argomento serve a giustificare e a far accettare all’opinione pubblica l’entrata in vigore di leggi e restrizioni normalmente inaccettabili in qualsiasi società democratica.
Quindi la questione climatica é il pretesto, lo storytelling, la fiction, su cui si basa la ricerca di consenso da parte del potere, per imporre il cambiamento antropologico necessario, per realizzare i loro piani di controllo totale della popolazione.
Affinché la fiction sia credibile e possa essere sostituita alla realtà, occorre eliminare tutte le eventuali prove, critiche, controversie, che contrastano, anche minimamente, con la narrazione dominante.
È in ossequio a questa logica che negli ultimi mesi su FB, in maniera discreta e disinvolta, con vera tecnica da desaparecidos, sono stati rimossi diverse pagine e profili che facevano informazione sul clima in maniera non allineata al pensiero unico e dove venivano condivisi studi, grafici e informazioni scientifiche di fondazioni come Clintel o di scienziati come Prestininzi, Scafetta, Prodi, Curry, Lindzen, Spencer, ecc.
La pagina 'Klima e scienza', solo per fare un esempio recente, é stata fatta evaporare non appena raggiunti i 10mila iscritti.
Stessa sorte a profili di privati cittadini e di gestori dei profili sopra menzionati, anch’essi fatti sparire da un giorno all’altro con estrema discrezione, al punto che se uno non ci fa caso, neanche se ne rende conto e tutto continua come se niente fosse accaduto.
La situazione é estremamente pericolosa perche da un lato si procede con le epurazioni senza sosta e dall’altro non vi è nessuna presa di coscienza di quanto stia succedendo.
Se e quando la massa si renderà conto di tutto ciò, sarà già troppo tardi.
Al limite avverrà quando l’identità digitale, il portafoglio digitale e tutte le restrizioni ad essi legate, saranno già legge e routine quotidiana e non penso si dovrà attendere molto.
Se non ci sarà un totale cambio di passo da parte della minoranza non allineata nel lottare contro questo regime, tra i più subdoli e raffinati della storia, la fine della società e dell’umanità per come l’abbiamo sempre vissuta percepita e immaginata sarà certa come la morte.
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1- Vivi ora: cioè occupati del presente piuttosto che del passato o del futuro.
2- Vivi qui: cioè occupati di ciò che è presente piuttosto che di quello che non c'è.
3- Smetti di immaginare: sperimenta la realtà.
4- Smetti di pensare quando non è necessario. Piuttosto assaggia e senti.
5- Esprimiti invece di manipolare, spiegare, giustificare o giudicare.
6- Arrenditi all'infelicità e al dolore proprio come al piacere: non restringere la tua consapevolezza.
7- Non accettare doveri oltre ai tuoi propri: non adorare idoli.
8- Prendi la piena responsabilità delle tue azioni, sentimenti e pensieri.
9- Arrenditi a essere ciò che sei.
Claudio Naranjo: Atteggiamento e prassi della terapia gestaltica, Roma 1991, pp. 22-23
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“Tra noi due, tu sei sempre stato il più colto, il più diligente, il più virtuoso, il più dotato in ogni campo, poiché possedevi anche un talento che tenevi segreto, quello della musica. Tu eri della razza di Chopin, eri cioè un essere pieno di riserbo e di orgoglio. Ma in fondo all’animo nascondevi un impulso spasmodico: il desiderio di essere diverso da quello che eri. È il tormento più crudele che il destino possa riservare a un uomo. Essere diversi da ciò che siamo, da tutto ciò che siamo, è il desiderio più nefasto che possa ardere in un cuore umano. Giacché l’unico modo per sopportare la vita è quello di rassegnarci a essere ciò che siamo ai nostri occhi e a quelli del mondo. Dobbiamo accontentarci di essere fatti in un certo modo e sapere che, una volta accettata questa realtà, la vita non ci loderà per la nostra saggezza, nessuno ci conferirà una medaglia al merito solo perché ci siamo rassegnati a essere vanitosi ed egoisti, o calvi e panciuti – no, in cambio di questa presa di coscienza non otterremo né premi né lodi. Dobbiamo sopportarci quali siamo, il segreto è tutto qui. Sopportare il nostro carattere, la nostra natura di fondo, con tutti i suoi difetti, il suo egoismo e la sua cupidigia, che non saranno corretti né dall’esperienza né dalla buona volontà. Dobbiamo accettare che i nostri sentimenti non siano contraccambiati, che le persone che amiamo non rispondano al nostro amore, o almeno non nel modo che vorremmo. Dobbiamo sopportare il tradimento e l’infedeltà, e soprattutto la cosa che ci riesce più intollerabile: la superiorità intellettuale o morale di un’altra persona.”
Sándor Márai - Le braci
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L'incoerenza di genere sfida la filosofia interpersonale
Post ad alto contenuto di imbarazzanti ovvietà da boomer e strafalcioni dettati da ignoranza becera dell'argomento riguardo i quali sono contento di discutere per saperne di più e per migliorarmi. Ne scrivo proprio per avere una discussione proficua. Abbiate pietà, sono nato e cresciuto negli anni ottanta del secolo scorso.
Seguitemi un attimo. Io sono Firewalker, ho una certa altezza, un certo peso, una certa capigliatura. Se cambio capigliatura, se ingrasso o dimagrisco, sono sempre Firewalker.
Ho avuto un incidente anni fa e ho cambiato il legamento crociato anteriore sinistro. Nonostante quel cambio, sono sempre io. Se perdo l'intera gamba continuo a essere io. Se perdo tutti gli arti sono comunque io. Se mi cambiano il cuore sono sempre io.
La leggenda vuole che ogni sette anni cambiamo tutte le cellule del nostro corpo (che poi dubito sia vera questa cosa, soprattutto per alcuni tipi di cellule, ma facciamo finta che). Comunque a 14 anni siamo sempre la stessa persona di quando avevamo 7 anni, giusto?
C'è una vecchia storiella che racconta che nel corso della manutenzione a una barca, questa piano piano vede sostituito tutto il suo legno con del legno nuovo.
E allora, quanti pezzi di me devo cambiare, quanto legno della barca devo sostituire, per fare sì che quella persona non sia più io, che quella barca non sia più la stessa barca?
Non so per le barche, ma la mia idea è che io risiedo nel mio cervello. Il mio cervello (la mia mente... la separazione tra cervello e mente è un altro paio di maniche. Per me sono la stessa cosa, facciamo finta che sia così per tutti per semplicità di discussione) decide come mi muovo, cosa faccio, come reagisco, decide il mio carattere, decide i miei interessi, decide le mie passioni, i miei amori, le mie antipatie. Io sono il mio cervello.
Probabilmente, se guardiamo la questione in maniera egoriferita, è lapalissiano, ed è per tutti così. Il problema è quando guardiamo gli altri. Se io conosco Marco, lo conosco con la sua altezza, col suo peso, con la sua capigliatura, oltre che con i suoi modi di fare e con i suoi interessi. Lo riconosco per il suo aspetto, e magari ho piacere a stare con lui per il suo cervello, ma non è quello che mi indica la sua identità, non è quello che me lo fa riconoscere. Per me Marco è un corpo esterno da me, per Marco lui è il suo cervello.
Ecco il punto del discorso.
Ci vuole un salto qualitativo da parte mia per riconoscere che Marco non è il suo braccio o il suo collo messi insieme a tutto il resto. Marco è il suo cervello. Questo salto qualitativo non è fatto da tutti, forse perché non ci pensano, forse perché non sono d'accordo con la mia affermazione "è così per tutti", ci hanno ragionato sopra e per loro ha importanza anche la corporeità. Forse è un problema culturale (inteso proprio come conoscenze delle varie sfaccettature di questo argomento).
Il fatto è che se Marco ha una incoerenza di genere e il suo cervello gli dice di essere Angela, ecco che potrebbe non accettare più le parti del corpo che ha, perché vive la sua realtà, il suo cervello, non è allineato. Qui si sfocia nella disforia di genere, che è un malessere generato da questa incoerenza di genere.
In qualunque modo la viva Angela, il fatto è che non vive da sola. È circondata da persone che gli dicono che si chiama Marco, che ha il corpo di Marco, e che magari non accetta il fatto che sia Angela a "pilotare" il corpo che vedono.
Gli altri devono far caso al fatto che Angela non è il suo corpo, ma il suo cervello. Devono improntare il rapporto con gli altri ad un livello superiore per poter notare questa cosa e, come detto, non tutti lo fanno. Anzi, per molti non è pensabile che Angela esista, esiste solo Marco, che è quello che loro vedono. E se Marco dice di essere Angela, allora ha un problema mentale (per alcuni è il demonio, per altri è una moda...), perché non è possibile che non si accorga di essere Marco, deve fare finta per forza.
Senza contare poi che, magari, la situazione è anche più complicata. Me li immagino pensare "sei Marco, cosa significa che non ti senti ne maschio né femmina?"
Non ho ancora trovato il modo migliore per rapportarmi con queste persone (quelle che non riconoscono Angela), so solo che la divulgazione è spesso osteggiata o marginalizzata in settori di nicchia, perché per capire certe cose (anche solo vagamente, come penso e spero di fare io) bisogna sbatterci la testa contro più e più volte, e non tutti c'hanno voglia di faticare su questo.
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Nella vita si muore più volte
e più volte si risorge.
Muori quando vieni tradito,
quando ti voltano le spalle.
Quando ti negano il sostegno,
una parola di conforto,
quando perdi una persona cara,
quando perdi te stesso.
Rinasci quando impari ad accettare che spesso le tue aspettative non sono la realtà, che l'eternità non esiste, che tu vali e se resti il centro del tuo mondo diverrai la mano che ti rialza, la spalla che ti sostiene,
la forza che ti fa reagire
e le parole di cui hai bisogno... ♠️🔥
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«Non voglio imparare a non aver paura, voglio imparare a tremare. Non voglio imparare a tacere, voglio assaporare il silenzio da cui ogni parola vera nasce. Non voglio imparare a non arrabbiarmi, voglio sentire il fuoco, circondarlo di trasparenza che illumini quello che gli altri mi stanno facendo e quello che posso fare io. Non voglio accettare, voglio accogliere e rispondere. Non voglio essere buona, voglio essere sveglia. Non voglio fare male, voglio dire: mi stai facendo male, smettila. Non voglio diventare migliore, voglio sorridere al mio peggio. Non voglio essere un’altra, voglio adottarmi tutta intera. Non voglio pacificare tutto, voglio esplorare la realtà anche quando fa male, voglio la verità di me. Non voglio insegnare, voglio accompagnare. Non è che voglio così, è che non posso fare altro.»
Chandra Livia Candiani
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“Proprio come ci sono cose che accadono per una ragione, ci sono altre cose che per qualche ragione… non accadono.” – Cit. Anonimo
#frase del giorno#destino#karma#c'è una ragione per tutto#accettare la vita#accettare la realtà#pensiero del giorno blog#riflessioni profonde#frasi tumblr
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Non ho mai pensato che l'amore
fosse qualcosa di facile.
Non l'ho mai pensato perché, tutto ciò che mi ha reso felice nella vita (e non solo per ciò che riguarda i rapporti e i sentimenti), ha richiesto impegno, determinazione, costanza.
Quasi nulla mi è arrivato subito... per magia.
Sarà che le più grandi soddisfazioni, le più immense gioie, sono il risultato di un percorso dove vince chi non molla.
"Vincere" magari non è sempre quello che più vorremmo (si vince anche accettando una sconfitta!), ma se ci siamo messi in gioco e non ci siamo risparmiati... beh... siamo già l'orgoglio di noi stessi.
Anche quando ci si innamora...
beh... non è mica un traguardo!
Tutt'al più è una partenza.
Una partenza del cuore,
dove tutto è un incognita e dove accettare che noi non bastiamo a noi stessi è già di per sé non facile traguardo.
Anche nei meravigliosi casi di reciproco riconoscersi, il piccolo miracolo è solo inizio.
Così non pensate che "facile" sia una situazione più di un'altra, una storia più di un'altra, una vita più di un'altra...
Anche a chi la felicità è caduta dal cielo, poi se l'è dovuta conservare. Accettarlo è presupposto per vivere nella realtà in piena consapevolezza.
Se facile e felice fossero sinonimi,
non avrebbero una lettera di differenza.
- Letizia Cherubino, Se non t’incontro nei sogni, ti vengo a cercare
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Rileggendo alcuni miei vecchi appunti, esattamente 2 anni fa mentre stavo rialzandomi da un periodo non facile, scrivevo questo:
"Se sei già morto, perché temi ancora di morire? E della morte tua che hai timore o di quella del mondo intorno a te? La senti la libertà della fine? Senti quel senso di leggerezza dovuto al nulla intorno a te? Non è necessario morire realmente per iniziare a vivere, basta accettare di morire. In silenzio e senza paura…
E invece ho paura. Ho paura perché ora sto ricominciando ad affezionarmi alla vita, ma allo stesso tempo non ricordo più cosa significhi (ammesso che l'abbia mai saputo), lottare per tenersela stretta. Non voglio perdere la mia indifferenza alla morte, ma neanche voglio morire."
In effetti non ho ancora imparato a vivere o quantomeno a tenermi stretta la vita. Tutto ciò che mi limito a fare è eseguire dei semplici compiti di autoconservazione. Paradossalmente anziché liberare la mia natura, ho finito per rinchiudermi ancor più saldamente, solo ed isolato, nella gelida gabbia della cruda esistenza, condannandomi al 41 bis di una estrema ed atarassica razionalità.
Il problema è che ogni tanto torna ad affacciarsi quell'ansia per il fallimento, passato e futuro, che mi avvolge in ogni sua forma e si lega all'angoscia dell'impotenza, alla sensazione che qualunque cosa farò non potrò mai cambiare nulla.
E sento l'inflessibile Moira che bussa, che sospira nel mio orecchio, sussurrandomi parole dolci e soavi, promettendomi quella liberazione, quella tanto agognata κένωσις soterica e catartica, quello svuotamento da quel vuoto infinitamente denso e pieno di nulla che mi soffoca e mi trascina con sé, a fondo. Come un grido che finalmente si libera, svuotandosi di quel silenzio pressante e quel dolore ammutolente, nel solito sogno in cui provo ad urlare, ma la voce non esce.
Così io le accenno un sorriso con un’espressione beata e sollevata ma allo stesso tempo procrastinatrice, prima di tornare alla notte. Quella stessa Notte novalisiana dove la fantasia creatrice è la sola realtà, dove posso tornare ad essere dio o fantasma, e dove ancora una volta cerco conforto. Nella speranza che anche stavolta la luce della mia ragione, anche se solo per il breve intervallo che separa il tramonto dall'alba, si attenui innanzi alle tenebre della mia autentica essenza.
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Accettazione e rassegnazione
Le persone spesso chiedono se accettare qualcosa che non ci piace, equivalga a rassegnarsi ad essa.
La risposta è no.
C'è una profonda differenza tra accettazione e rassegnazione.
Nell'accettazione noi accogliamo incondizionatamente la difficoltà che è sopraggiunta nella nostra vita: un abbandono, un rifiuto, un'offesa, una perdita, una delusione, un dolore.
Questo non significa che ci piaccia, ma significa che ne riconosciamo l'esistenza, la possibilità che è diventata realtà, nella nostra vita.
Non fuggiamo, non reagiamo meccanicamente, non ce ne difendiamo, non ingaggiamo una lotta con questo evento e con le emozioni che ne derivano, ma gli facciamo spazio dentro di noi per integrare tale evento all'interno della nostra visione del mondo e di noi stessi, al fine di elaborarlo e infine trascenderlo a partire da una nuova configurazione emotiva e simbolica.
Nella rassegnazione, noi percepiamo l'evento doloroso patendolo passivamente, e tale percezione rimane intessuta di rabbia sottostante alla maschera della passività, che ci rode dentro come un tarlo.
Anche se sembra che abbiamo accettato la cosa e l'abbiamo messa da parte, permangono in noi emozioni di frustrazione, rancore, odio e rabbia implosiva, le quali promuovono pensieri che ruotano in modo pressoché permanente attorno all'evento e non lo lasciano andare.
La rassegnazione impedisce, proprio per questo, una risoluzione di ciò che viviamo, perché porta avanti un conflitto tra la reazione di dolore di fronte all'evento, e la mancanza di accettazione dello stesso, la quale si traduce in una lotta con il sentire doloroso, che noi tentiamo di scacciare.
Potremmo dire che la rassegnazione è una accettazione per sfinimento.
Dunque, non è mai una reale e definitiva accettazione.
Sotto la cute, rimane sempre un briciolo di speranza delusa che tuttavia non si arrende, di rancoroso disprezzo per l'accaduto, e un senso di ingiustizia mai sopito.
©Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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“Il problema dei cosiddetti momenti supremi è che non ricordiamo di aver provato nulla in particolare, vivendoli, o perché avevamo già provato abbastanza prima, o perché il presente, a volerci piantare i piedi, è più scivoloso di una lastra di ghiaccio. Quando diciamo che viviamo solo nel presente, ci convinciamo di qualcosa di apparentemente logico e dotato di una certa nobiltà, ma la realtà è più mesta e difficile da accettare, perché le nostre radici non attecchiscono mai lì effettivamente, e a parte qualche asceta e illuminato, la vita delle persone comuni trascorre, almeno da che è finita l'infanzia, nell'anticipazione o nel rimpianto. Per questo motivo l'esperienza, che dovrebbe essere il bagaglio più sicuro e affidabile che ci portiamo dietro, è piuttosto una cosa ambigua e scoraggiante; da un lato, l'immaginazione erode i fatti ben prima che si verifichino; dall'altro, possiamo ipotizzare il significato di quei fatti solo quando ormai appartengono al passato, proprio come quegli idioti che capiscono una barzelletta qualche giorno dopo averla ascoltata e ridono tra loro”.
Emanuele Trevi - La casa del mago
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Non tutto ciò che si spezza va aggiustato. Alcune cose restano rotte, ed è giusto così. Il dolore della fine non cerca di insegnarti nulla, ma ti costringe a guardarti in faccia, a contare i pezzi che non ritroverai. È un maestro che non scegli, ma che ti ritrovi accanto, silenzioso, nel cuore della notte. La fine non è solo la perdita di una persona, è la perdita di una parte di te che non tornerà.
Il tempo non è tuo alleato, non rimette insieme i cocci. Non ti restituisce ciò che hai perso, non riscrive la storia. Ti lascia lì, a confrontarti con la realtà, nuda e cruda. Può solo accompagnarti, mentre inizi a vedere le cose per come sono davvero. E allora capisci che non sei più la stessa persona, che non vuoi più le stesse bugie che ti raccontavi.
Accettare la rottura non è una scelta, è una necessità. È smettere di illudersi che tutto possa tornare come prima. È guardare il vuoto e accettare che ci sarà per un po’. Non tutte le ferite si chiudono, non tutti i dolori passano. Alcuni restano per sempre, e va bene così. Perché solo allora impari cosa non sei più disposto a sopportare.
Il tempo non guarisce, rivela. Rivela la forza di lasciare andare, di non aggiustare. Di non voler più ricomporre ciò che ti faceva a pezzi. E allora inizi a ricostruire, ma non più per ritornare a come eri prima. Così, ciò che si spezza lo fa per ricostruire, per trovare chi sei ora, senza scuse, senza più bugie. Libero.
#zerocalcare
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Gli americani gli hanno riempito i magazzini di bombe ed Israele sparge morte e distruzione anche tra i civili libanesi. Si tratterebbe di “escalation per la de-escalation” a sentire gli strateghi di Tel Aviv. E cioè vorrebbero spaventare gli Hezbollah in modo da convincerli a smettere di colpire il Nord della Galilea e permettere agli sfollati israeliani di tornare a casa. Questo mentre è un anno che Nasrallah ripete che se Israele sigla un cessate il fuoco a Gaza, anche loro si adeguerebbero. Ma figurarsi. Netanyahu ed i suoi complici non hanno interrotto il genocidio a Gaza nemmeno per un giorno ed hanno boicottato ogni accordo con Hamas. Accettare la proposta di Nasrallah e senza aver raggiunto nessuno obiettivo militare a Gaza se non una bieca vendetta, sarebbe stata una doppia e gravissima sconfitta per loro. Israele poi tradizionalmente non tratta. O fai come dicono loro o ti aggrediscono finché non cedi. Fasciosionismo che conoscono benissimo i palestinesi. Per gli israeliani compromesso è sinonimo di sconfitta, non vogliono abbassarsi al livello di gente che ritengono inferiore e che per loro dovrebbe giusto sparire dalla circolazione. E chiunque osi mettersi di mezzo è un antisemita o un terrorista a prescindere. Ma il problema lungo il confine tra Israele e Libano è oggettivo con Hezbollah che ha la possibilità di colpire anche in futuro. Israele vuole una fascia di sicurezza tra l’altro prevista da una risoluzione ONU a seguito della guerra del 2006 e mai applicata, col mistero di cosa ci faccia il contingente italiano da quelle parti. Ma dato che Netanyahu ed i suoi complici sono dei bugiardi patologici, i bombardamenti e gli attacchi terroristici delle radioline in Libano, potrebbero in realtà essere l’ennesimo tentativo di escalation e basta. Provocare cioè gli Hezbollah in modo che una loro reazione veemente convinca gli americani ad entrare direttamente nel conflitto. Del resto bombardare a tappeto dal cielo non è servito a sconfiggere Hamas, figuriamoci Hezbollah enormemente più addestrato, equipaggiato e sparso su un territorio molto più vasto. Difficile poi pensare che gli Hezbollah non abbiamo previsto gli ormai classici bombardamenti israeliani in decenni che si preparano. Finora Libano ed Iran hanno calibrato le loro reazioni per evitare un conflitto regionale, sanno che è il sogno di Netanyahu che ha paura e pure fretta. Senza gli americani è spacciato ed è a fine corsa. Anche l’attacco di terra israeliano sembra improbabile o comunque tenuto come ultima opzione, gli analisti militari ritengono gli Hezbollah nettamente superiori sul loro terreno soprattutto rispetto ad un esercito israeliano stremato ed impegnato su più fronti. [...] Quello che doveva essere il paradiso degli ebrei si è trasformato nel loro inferno. Lo stato israeliano non è in grado di garantire nemmeno la basilare sicurezza e stabilità che ha storicamente promesso ai coloni. E dopo un anno di guerra, è in ginocchio. A livello politico, sociale, economico e se lo diventasse anche a livello militare rischia la fine. Stanotte son suonate le sirene in Galilea con oltre un milione di israeliani rinchiusi nei bunker, ulteriori sfollati e attacchi di panico. La guerra più lunga e devastante di tutta la sua storia e senza nessuna prospettiva politica all’orizzonte. Stanno cocciutamente ripetendo le solite fallimentari ricette militari da decenni. A Gaza, nei Territori Occupati e anche in Libano. Coi problemi che si aggravano invece di risolversi ed un paese mai stato così debole ed isolato. Eppure insistono a voler imporre la propria volontà con la violenza come quando sono sbarcati. Insistono a rifiutare di trattare gli altri alla pari e negoziare. Non riescono a capire che l’unica vera soluzione strategica è la pace.
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che ho dentro tutte cose in questo momento e faccio veramente fatica a saltarci fuori, a trovare un nesso, un filo da seguire, un continuum che non mi proietti tipo fucilata in tremila realtà diverse dalla mia.
procedendo con ordine non per forza cronologico: è morto il cane, mio fratello ha detto a mia madre che è una madre di merda, abbiamo cenato in un posto dove pioveva dentro, ho discusso con una delle persone più importanti della mia vita, mi sento in colpa anche solo per il semplice fatto che respiro, non voglio lasciare la mia ragazza per tornare a casa, ieri siamo andati al lago di Garda e ho fatto finta di nulla per tutto il tempo.
ho veramente tantissimo casino qui. non riesco a resettarmi, non riesco ad accettare, non riesco a dire "coraggio kla, non e successo niente, passa" non ci riesco.
non. ci. riesco.
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