#Università di Tel Aviv
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storiearcheostorie · 1 year ago
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ARCHEOLOGIA / Resti carbonizzati e un prezioso specchio di bronzo: scoperta a Gerusalemme la tomba di una cortigiana di 2.300 anni fa
I resti carbonizzati rinvenuti in una grotta a sud di Gerusalemme insieme a uno specchio di bronzo apparterrebbero a giovane etèra (cortigiana) di origine greca vissuta tra la fine del IV e l'inizio del III secolo a.C. La prima scoperta di questo genere
I resti carbonizzati rinvenuti in una grotta a sud di Gerusalemme insieme a uno specchio di bronzo apparterrebbero a giovane etèra (cortigiana) di origine greca vissuta tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. La donna accompagnava un alto ufficiale dell’esercito o un membro del governo in età ellenistica. La scoperta dell’IAA – Autorità israeliana per le antichità, la prima di questo…
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danieleneandermancini · 2 years ago
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TAVOLETTE IN CUNEIFORME MOSTRANO I PRIMI ELEMENTI DELLA LINGUA AMORREA
TAVOLETTE IN CUNEIFORME MOSTRANO I PRIMI ELEMENTI DELLA LINGUA AMORREA Un team di assiriologi, gli studiosi della storia, dell'archeologia e della lingua dell'antica Mesopotamia, nella faticosa ricerca di decifrare  tavolette cuneiformi relative a idiomi comel'accadico, il sumero, l'elamita, l'aramaico e l'ugaritico, hanno recentemente effettuato una grandiosa scoperta. Nathan Wasserman, docente presso l'Istituto di Archeologia dell'Hebrew University e del Dipartimento di Antiche civiltà del Vicino Oriente, coadiuvato da Yoram Cohen del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Tel Aviv, hanno scoperto quello che definiscono un "cambiamento di paradigma" di importanza fondamentale nello studio della
Un team di assiriologi, gli studiosi della storia, dell’archeologia e della lingua dell’antica Mesopotamia, nella faticosa ricerca di decifrare  tavolette cuneiformi relative a idiomi comel’accadico, il sumero, l’elamita, l’aramaico e l’ugaritico, hanno recentemente effettuato una grandiosa scoperta. Nathan Wasserman, docente presso l’Istituto di Archeologia dell’Hebrew University e del…
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crossroad1960 · 1 year ago
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Oltre quattromila docenti e ricercatori universitari hanno firmato l’appello partito dall’Alma Mater di Bologna con cui si chiede, anche al ministro Anna Maria Bernini, di sospendere qualsiasi collaborazione con le università israeliane. Quattromila docenti e ricercatori su un totale di 57mila (dati YouTrend) sono il sette per cento: né moltissimi né trascurabili. Pierluigi Musarò, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Alma Mater, e fra i primi firmatari dell’appello, ha rilasciato alcune interviste nelle quali sottolinea con qualche vigore il carattere “pacifico” e “non violento” dell’iniziativa. Davvero interessante. Ma non capisco che cosa significhi. Si poteva forse prendere in considerazione un’iniziativa bellicosa e violenta? L’alternativa all’appello era di bombardare gli atenei di Gerusalemme e Tel Aviv? E l’avere optato per l’appello anziché per il bombardamento tratteggia la tenuta morale dei firmatari? Per carità, capisco i tic lessicali – lì dentro si parla pure di “genocidio dei palestinesi”, con abuso del termine dal punto di vista semantico, storico e penale – ma una raccolta di firme di accademici italiani perché siano sospese le collaborazioni con gli accademici israeliani, dichiarati indegni chiunque siano, comunque la pensino, a me sembra quanto di più violento si possa concepire. È il sapere che rifiuta di stringere le mani al sapere, e tradisce nel modo più brutale l’idea stessa di università, cioè di universale. Aggiungo che le lezioni oggi in Israele sono sospese: gli studenti universitari sono tutti al fronte. Che distanza drammatica fra la tragedia e la retorica. (Mattia Feltri)
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corallorosso · 4 years ago
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Le geografie stravolte di Gaza di Vittorio Arrigoni Si racconta di un anziano signore che uscito di casa per procurarsi del cibo durante una delle rare tregue mattutine, non sia stato più in grado di trovare la via del ritorno. I bombardamenti hanno modificato radicalmente la geografia di Gaza, alterandone insieme il tessuto sociale. Centinaia di famiglie che per anni hanno vissuto una accanto all’altra, costrette a evacuare verso punti cardinali differenti lungo tutta la Striscia, non hanno più alcun contatto fra loro. Per raggiungere il quartiere Tal el Hawa, a sud est di Gaza city, bisogna attraversare a piedi una superficie lunare. Lasciandosi dietro crateri e collinnette di macerie, i carri armati israeliani si sono ritirati questa mattina dopo 48 ore di assedio. A far da cornice alla desolazione, l’insalubre inconfondibile odore della morte. Arrancando fra ciò che resta di interi palazzi e case e le carcasse bruciate di automobili e ambulanze, mi sono messo alla ricerca della casa di Ahmed. Proprio a causa di questo mutamento di interi quartieri messi a ferro e fuoco dai soldati, non è stata impresa facile; ricordavo che Ahmed abitava al termine di una strada sterrata, impossibile da riconoscere ora che mi trovavo a incescipicare su di un fondo terroso di detriti masticati e risputati fuori dai cingoli dei tanks israeliani. Qualora alla fine di questa massiccia offensiva genocida si effettuasse una fotografia satellitare di Gaza city, credo sarebbe arduo convincere qualcuno che si tratta della stessa città fotografata venti giorni prima. Ahmed l’ho riabbracciato è per entrambi è stato come rivedersi dopo tanti anni, al termine di un lungo viaggio, di ritorno da un paese lontano. Purtroppo invece il nostro viaggio al termine della notte non prevede ancora albe che non siano detonate dall’odio di chi ha mobilitato generali e truppe per il nostro sterminio. Il mio amico mi ha mostrato dove è rimasto piazzato il carro armato israeliano per due giorni, proprio dinnanzi a casa sua. Per tutto questo lasso di tempo la sua famiglia ha vissuto costretta in un sottoscala, con il livido terrore che un colpo di obice seppellisse per sempre le loro esistenze. Solo ieri notte, contraddicendo agli ordine dell’apprensivo padre, Ahmed strisciando sul pavimento si è avventurato dinnanzi ad una finestra per dare uno sguardo all’inferno circostante. Ha visto il carro armato muoversi a 30 metri da lui ed andare a sbattere contro la saracinesca di un supermercato, aprire una breccia e di seguito smontare dal mezzo corazzato alcuni sodati. Li ha visti recarsi festosi a “fare la spesa”. «Hanno riempito il blindato a tal punto che facevano fatica e rientrarci dentro». Dopodiché mi ha descritto le risa, i canti di scherno, che per tutta la notte hanno intercalato le esplosioni. «Alì, Mohammed, this is a message to your Allah Akbar!». La resistenza che per alcuni giorni era riuscita stoicamente a limitare l’avanza dei mortiferi mezzi blindati israeliani, si è come eclissata nelle ultime ore. Lo scontro è impari, i kalashnikov fanno il solletico alle corazze dei tanks, al contrario i colpi di obice riescono a perforare le case da una parte all’altra. Il quartiere residenziale di Abraj Towers, popolato per lo più dalle famiglie dei professori che insegnano alle università di Al Aqsa, notoriamente vicino a Fatah, non ospitano «terroristi di Hamas». Come ne sono a conoscenza io, è ovvio che ne sono informati anche a Tel Aviv, ma per loro non conta, il quartiere è stato ridotto un cumulo di decadenti macerie. A fianco dei palazzi colpiti, l’ospedale Al Quds, dato alle fiamme nella giornata di ieri. I miei compagni, volontari dell’Ism, hanno assistito il personale medico nell’evacuare i 300 feriti ricoverati nell’altro ospedale di Gaza city, il principale, lo Shifa. Ci hanno impiegato diverse ore, specie perché per il trasposto di alcuni pazienti gravissimi sarebbe stato necessario avvalersi di ambulanze specializzate, che i palestinesi non hanno a disposizione. Con il dottor Dagfinn Bjorklind dell’ong novergese Norwac abbiamo atteso gli ultimi evacuati e posto alcune domande agli infermieri scampati all’incendio dell’Al Quds. Resoconti agghiaccianti, confermati anche dai miei compagni testimoni oculari. A duecento metri dall’ospedale stavano riversi in strada circa una trentina di corpi, molte donne e bambini, alcuni dei quali ancora in grado di produrre minimi movimenti. Non hanno potuto raggiungerli, cecchini posti sui tetti delle case sparavano a qualsiasi cosa si muovesse. Quei corpi sanguinanti per strada, erano civili in fuga dalle loro case colpite e incendiate dalle bombe. Gli snipers israeliani non hanno esitato un secondo a stenderli uno ad uno, appena inquadrati nel centro dell’occhio del loro mirino, bambini compresi. Vi confido che il mio «restiamo umani» ha vacillato spesso in questi ultimi giorni, ma resiste. Resiste come l’orgoglio, l’attaccamento alla terra natia intesa come identità e diritto alla autodeterminazione della popolazione di Gaza, dai professori universitari alla gente incontrata per strada, i medici e gli infermieri, i reporter, i pescatori, gli agricoltori, uomini e donne e adolescenti, quelli che hanno perso tutto e quelli che non avevano già più nulla da perdere, fino all’ultimo fiato in gola mi esprimono l’inshallah di una vittoria vicina, il sincero convincimento che le loro radici raggiungono profondità tali da non permetterne la recisione a nessun bulldozer nemico. Mentre scrivo uno schermo televisivo vicino riporta immagini all’interno dell’ospedale Al Shifa, uomini in lacrime si battono le mani sul viso come per arginare lo sfociare di lacrime di disperazione. A Shija’ya, est di Gaza city, un colpo sparato da un carro armato ha mietuto 7 vittime, e 25 feriti. Stavano tutti riuniti in veglia funebre per un lutto che aveva colpito la loro famiglia il giorno precedente. Ieri il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak si è scusato conil segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, per i colpi di artiglieria caduti sulla sede dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi a Gaza City (fra l’altro costruita con i soldi del governo italiano). “Si è trattato di un grave errore”, queste le sue parole. Non una richiesta di perdono per la famiglie dei 357 bambini palestinesi uccisi sino ad oggi. Evidentemente non si è trattato di un errore. Da un paramedico della croce rossa ho ascoltato il resoconto del loro arrivo sulla scena del massacro di Zaitun. Un bambino, visibilmente denutrito stava accucciato dinnanzi al corpo della madre in avanzato stato di decomposizione. Per quattro giorni si era preso cura di quel corpo come se fosse ancora vivo; l’aveva asciugato dal sangue sulla fronte e strisciando fra le macerie della loro casa si era procurato acqua, pane e dei pomodori, e li aveva messi di fianco al viso della madre morta. Pensava stesse semplicemente dormendo. I soccorsi della Croce rossa sono riusciti a raggiungere il luogo del massacro solo parecchi giorni dopo, perché impediti dai cecchini israeliani. Credo che basterebbe solo questo di episodio per far sì che domani, durante la manifestazione di Roma e la marcia di Assisi siano ben visibili cartelli e striscioni che ricordano il 729. Il numero che tutti dovremmo tenere impresso per riconoscere e boicottare i prodotti Made in Israel. Abbiamo l’opportunità di cambiare le cose senza appaltare il nostro desiderio di rimanere umani. Restiamo umani Articolo che Vittorio scrisse per il manifesto il 18 gennaio 2009 da Gaza
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aliciaandcompany · 4 years ago
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Le piante emettono ‘urla ultrasoniche’ quando vengono tagliate
Siamo abituati a considerare le piante come esseri immobili, inermi, incapaci di comunicare o di percepire l’ambiente circostante.
La realtà è però molto diversa e, se alberi e piante non fossero in grado di comunicare tra loro e reagire alle condizioni esterne non potrebbero difendersi e non avrebbero potuto sopravvivere sulla Terra per centinaia di milioni di anni.
Sappiamo da tempo che una delle strategie di difesa e comunicazione delle piante avviene grazie alla produzione di molecole volatili che fungono da richiamo per gli insetti impollinatori, da repellente per i predatori o che possono servire ad avvisare altre specie su imminenti pericoli.
Un’altra modalità di comunicazione vegetale consiste nell’emissione di ultrasuoni e proprio su questa strategia si sono concentrati i ricercatori dell’ Università di Tel Aviv.
Il recente studio ha indagato sulla capacità delle piante di generare suoni in condizioni di stress, tra cui la carenza di acqua o il taglio degli steli. I ricercatori hanno effettuato i test sulle piante di tabacco e di pomodoro, posizionando microfoni a circa 10 centimetri e sottoponendo le colture a condizioni di siccità e danni alle foglie e agli steli.
In seguito a eventi stressanti, le piante hanno emesso ultrasuoni tra i 20 e 100 kilohertz, una frequenza non percepibile dall’orecchio umano ma rilevabile da     altri organismi fino a diversi metri di distanza.
La ricerca ha evidenziato che il numero di “urla ultrasoniche” emesse dalle piante variava in base al tipo di stress cui erano sottoposte.
Le piante di pomodoro a cui è stato tagliato il gambo hanno emesso circa 25 urla all’ora, mentre quelle di tabacco che hanno subito lo stesso danno hanno generato 15 strilli ogni ora.
Quando le piante sono state private dell’acqua il numero di suoni rilevati è cambiato: nel pomodoro sono aumentati a 35 all’ora, mentre nel tabacco sono scesi a 11.
Le piante che non hanno subito alcun tipo di stress, hanno invece emesso un solo suono nell’arco di 60 minuti.
Perché le piante urlano quando sottoposte a stress e perché il numero delle urla varia in base allo stress subito? Probabilmente si tratta di una strategia per avvisare altre specie non solo del pericolo imminente, ma anche per offrire informazioni sul tipo di pericolo, così che gli altri esemplari possano mettere in atto meccanismi di difesa specifici per affrontare la situazione nel migliore dei modi.
I risultati dello studio, oltre a farci mettere in discussione l’idea che il mondo vegetale sia silenzioso, offrono uno strumento interessante che potrebbe essere sfruttato nella ricerca e in agricoltura.
Per comprendere meglio l’emissione sonora e le interazioni con l’ambiente dei vegetali sono però necessari ulteriori indagini che analizzino ad esempio l’impatto di malattie, stress salino e cambiamenti della temperatura sulla produzione dei suoni.
FONTE www.greenme.it
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telodogratis · 2 years ago
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Prima venne il fuoco e poi il pesce carpa. Come cucinava l'uomo preistorico
Prima venne il fuoco e poi il pesce carpa. Come cucinava l’uomo preistorico
AGI – Le prove più antiche dell’uso controllato del fuoco per cucinare il cibo sono state trovate da un team internazionale guidato delle principali università israeliane. La Hebrew University, Bar-Ilan University Tel Aviv University, in collaborazione con Oranim Academic College, Israel Oceanographic and Limnological Researchstitution, Natural History Museum di Londra e Università Johannes…
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pangeanews · 4 years ago
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Chi è davvero Davide: il capo di una banda di nomadi o un potente sovrano? La battaglia (politica) tra gli archeologi alla ricerca del regno perduto del re biblico
Nel X sec a.C., Gerusalemme era un luogo ostile agli agricoltori, ma occupava una posizione perfetta per i fuggiaschi. Non più di cinquemila persone abitavano quel territorio e le piccole comunità in cui si raggruppavano erano circondate da un paesaggio impervio, spaccato dai crepacci e aggrovigliato fra le querce. La pioggia era imprevedibile. A oriente, il deserto quieto e vuoto. A occidente – invitanti – vi erano le rigogliose pianure delle città-stato filistee, con le loro rotte commerciali sul mediterraneo e le ville lussureggianti. Qui invece, la vita era dura. Né ville, né monumenti, ma solo case in pietra grezza. Orde di fuorilegge vagabondavano per questa selva giudea, depredando i villaggi vicini. In odio agli egizi e temuti dai filistei, improvvisamente questi predoni offrirono il loro servizio proprio a un re filisteo. Astuto e intraprendente, egli impose un destino più alto alle sue genti. Inviò i suoi uomini in avanscoperta e fece condividere il bottino con gli anziani delle montagne, che lo resero capotribù delle colline meridionali. Arrivarono poi le conquiste di Hebron e Gerusalemme. Qui, fece trasferire la propria stirpe in quello che – nonostante la frugalità – alcuni chiamerebbero palazzo. Il suo nome era Davide.
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Orazio Gentileschi, “Davide che uccide Golia”, 1605 circa
Fresco di cattedra all’Università di Tel Aviv, Israel Finkelstein era più interessato ai processi migratori che alla storia biblica. Infatti, secondo l’archeologo israeliano i primi abitanti si insediarono in Cananea a seguito di migrazioni interne: le civiltà nomadi divennero sedentarie per qualche generazione, per poi spostarsi nuovamente e insediarsi altrove. I primi israeliti, dice Finkelstein, erano “autoctoni”; ossia Beduini. Ovviamente, nell’Antico Testamento, la Cananea è la regione in cui gli Ebrei si insediarono una volta terminato l’Esodo. Qui, Davide conquistò il suo regno e, insieme a suo figlio Salomone, fece prosperare il suo popolo e governò tutto ciò che si trovava fra le rive dell’Eufrate e il deserto del Negev. Anche se probabilmente non è durato più di una o due generazioni, il Regno Unito d’Israele rappresenta l’apogeo della civiltà israeliana. In Davide, gli ebrei vedono “la sovranità sul territorio, la leggenda dell’impero”; i cristiani invece credono che “sia collegato direttamente a Gesù e alla nascita della cristianità”; mentre nell’Islam viene riconosciuto come legittimo profeta e predecessore di Maometto. Secondo Finkelstein, Davide è “l’elemento centrale, nella Bibbia e nella nostra cultura.” Nella lunga guerra per riconciliare fatti storici e fatti biblici, l’epopea di Davide è la prima battaglia decisiva. Non esistono fonti di alcun tipo che provino l’esistenza di Abramo, Isacco o Giacobbe. Dell’Arca di Noè non è rimasta nemmeno una scheggia e le mura di Gerico sono crollate in seguito a un terremoto secoli prima della venuta di Giosuè. Tuttavia, nel 1993, un archeologo israeliano ha ritrovato un’incisione in aramaico su una tavoletta di basalto che menziona la “Casa di Davide”. Datata IX sec. a.C., rappresenta il più antico reperto riferito ad un personaggio dell’Antico Testamento: Davide non è solo il personaggio cardine della Bibbia, ma è anche l’unico di cui forse si potrebbe provare l’esistenza. Ciononostante, resta difficile fare i conti con la mancanza di reperti nell’area di Gerusalemme, che “potrebbero essere conservati in una scatola per scarpe” secondo Yuval Gadot del Università di Tel Aviv. Per ovviare a questo problema, anche Finkelstein, insieme alla medesima università di Gadot e ad altri enti, ha reso l’archeologia israeliana un’avanguardia, soprattutto attraverso l’utilizzo di tecnologie quali i test sul DNA, l’elaborazione digitale delle immagini e l’assunzione di personale forense altamente qualificato. Nonostante il progresso tecnologico, la questione resta aperta: da dove sono venuti i primi israeliti? Quando appaiono i primi segni di un culto centralizzato e monoteista? O in modo meno prosaico, ma non meno cruciale, chi era Davide? L’onnipotente sovrano descritto nella Bibbia, o un semplice Sceicco Beduino?
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William Albright, padre dell’archeologia biblica e fervido credente, oltre ad aver appreso l’ebraico da autodidatta e ad aver studiato il greco antico, il latino, l’accadico, l’aramaico, il siriaco e l’arabo al college, riteneva che le sacre scritture non fossero che un compendio di fatti verificabili. Con questo spirito e nel pieno della propria carriera, partì per la Palestina alla ricerca di prove che smentissero le critiche all’attendibilità della Bibbia e che anzi, la storicizzassero. Nel 1936, Albright passò il testimone a Nelson Glueck, un altro archeologo americano orgoglioso di scavare “con la cazzuola in una mano e la Bibbia nell’altra”. Setacciando decine e decine di ettari in Transgiordania, scopri un’antica industria di rame e confrontando alcuni cocci, lì ritrovati, con altri reperti disponibili, datò l’intero sito al X sec. a.C. Questa e altre scoperte hanno fomentato una corsa all’archeologia senza eguali in Israele. Gli ebrei volevano dimostrare l’esistenza delle connessioni fra il proprio presente e il passato. “L’archeologia ebraica attualizza il nostro passato e mostra la continuità storica del paese” così commentò il Presidente Ben-Gurion mentre il suo Capo di Stato Maggiore Yigael Yadin diventava la guida dell’archeologia nazionale. Nel 1955, Yadin varò il più grande scavo archeologico che il paese avesse mai visto, dissotterrando l’antica città di Hazor, distrutta da Giosuè e ricostruita da Salomone. Yadin si approcciò all’impresa secondo la sua competenza: reclutò duecento braccianti dal nord Africa, fece installare una rete telefonica interna per velocizzare le comunicazioni e fece costruire un sistema di rotaie ausiliarie per trasportare i detriti; era un’operazione militare. In particolare, i suoi uomini portarono alla luce un portale a sei volumi identico a quello ritrovato a Megiddo, un’altra città del tempo di Salomone. “Entrambi i portali sono stati disegnati dallo stesso architetto reale” scrisse Yadin nel ’58, convinto di essere difronte alla prova che stava cercando.
*
Guarcino, “Saul assale Davide”, 1646
A quel tempo, Finkelstein aveva nove anni e il “culto nazional popolare” per l’archeologia non arrivò fino al casolare di campagna in cui viveva con la sua famiglia. Suo padre, un immigrato ucraino con un passato da promessa dello sport, si era trasferito poco fuori Tel Aviv per cercare fortuna nell’agricoltura e aveva già pianificato il futuro del figlio: sarebbe diventato un fisico nucleare. Finkelstein, già dall’età di quattro anni, era considerato un prodigio della matematica e quando, in età adolescenziale, rivelò alla famiglia la sua propensione per l’archeologia, questi restarono basiti. “A chi interessa? A quale scopo?” gli chiese il padre fino al giorno in cui esalò il suo ultimo respiro. Così Finkelstein, nel 1970, si unì al dipartimento di archeologia di Tel Aiv e in poco tempo si costruì “la reputazione del giovane rampante di nuova generazione, che sfidava apertamente i metodi tradizionali con cui Israele portava avanti l’archeologia” commenta Römer del Collège de France. Dopo anni passati ad esaminare gli altopiani della regione, Finkelstein voleva vedere se nelle valli fossero presenti evidenze di strutture sociali diversamente sviluppate. Scelse Megiddo, il vecchio lotto di Yadin. “Il pannello di controllo del Levante” lo chiama ancora oggi a settantuno anni, con la sua profonda voce baritonale, mentre con le mani gesticola quasi a condurre una fantomatica orchestra. Prima di andare sul campo, Finkelstein passò un anno intero a prepararsi, studiando attentamente la stratigrafia e le linee temporali del territorio che si apprestava ad esaminare. Più leggeva e più non capiva nulla. Yadin aveva datato il sito all’epoca di re Salomone, ma i reperti di un palazzo ritrovati in loco, mostravano somiglianze inequivocabili con un altro edificio di Samaria la cui costruzione risaliva a un secolo dopo Salomone. Confrontando i ritrovamenti con quelli di un altro sito archeologico nella Piana di Esdraelon, si accorse che i frammenti di vasellame erano identici. Tuttavia, questo sito risaliva ai tempi della dinastia omride: “qualcosa non quadrava”, commentò Finkelstein. L’eminente archeologo iniziò quindi a ragionare su più larga scala, concentrandosi sul Regno di Israele in relazione al contesto in cui si trovava. Trecento anni prima della venuta di Davide, la Cananea era governata dagli Egizi, ma nel X sec. a.C. il Faraone si ritirò da quella regione a causa della tremenda siccità che la colpì. La stessa siccità che fece sgretolare l’impero degli Ittiti, nell’attuale Turchia, e quello di Micene, nel Peloponneso. Quali erano le probabilità che un nuovo impero tanto grande nascesse all’improvviso e per di più fra le ostili montuosità di Giuda? “Un impero necessita di una capitale; a Gerusalemme non c’è che un piccolo villaggio. Un impero ha bisogno di forza lavoro; in Giudea non c’è niente se non comunità molto ridotte. Ad un impero serve amministrazione; qui non ci sono segni di scrittura. Dov’è questo impero?” si chiese Finkelstein.
*
Tanzio da Varallo, “Davide con la testa di Golia”, 1616
Una pubblicazione del 1996 di Finkelstein su Levant proponeva una revisione della datazione dei reperti di Megiddo e molti altri in tutta l’area attraverso un’argomentazione tecnica, inequivocabile. Secondo questa tesi, tutte le rovine che provavano lo splendore del Regno Unito di Israele erano da riattribuire all’impero di Omri, che nella Bibbia viene dipinto come un sovrano marginale, ma che secondo gli studi di Finkelstein deteneva il potere sulla regione in quel periodo e di cui la Casa di Davide era probabilmente vassalla. Finkelstein, convinto di aver dimostrato il suo punto, pensava che il mondo accademico avrebbe accettato la sua teoria, passata alla storia come “cronologia breve”, ma si sbagliava di grosso. L’articolo scatenò un putiferio nell’ambiente accademico-archeologico e molti si scagliarono contro Finkelstein. Alcuni lo tacciarono di essere iniquo nelle sue valutazioni, altri di essere superbo e alcuni non riconobbero il valore scientifico del suo lavoro. Dentro e fuori dal paese, Israel Finkelstein spaccava le comunità accademiche. “Viene descritto come un glorioso regno, un impero enorme, con autori di corte, un esercito sconfinato e successi militari; poi arrivo io e dico ‘Aspetta un minuto. Erano solo dei bifolchi che vivevano nella campagna di Gerusalemme, mentre tutto il resto è solo teologia o ideologia’: è normale che ciò che dico scuota chi crede che la Bibbia sia il verbo di Dio”, disse Finkelstein commentando la reazione dei colleghi.
*
In Le Tracce di Mosè, scritto e pubblicato nel 2001 insieme allo storico e giornalista Neil Silberman, Finkelstein propone una nuova prospettiva nel modo di studiare la Bibbia, un approccio che si concentra sul periodo di scrittura dei testi sacri – attorno al 722 a.C. – invece che sui fatti narrati al loro interno. Infatti, è proprio in quel periodo che il potente Regno di Israele cadde sotto gli Assiri e si ridimensionò nel più piccolo e meridionale Regno di Giuda. In pochi anni le migrazioni da nord a sud portarono la popolazione da mille a dodicimila unità, generando un bisogno d’identità nel nuovo e disomogeneo popolo. C’era bisogno del “sogno di un’epoca d’oro – reale o immaginaria – in cui i propri antenati vivevano in territori ben definiti e nella gioia della promessa divina di pace e prosperità”. A suon di recensioni e pubblicazioni, Finkelstein iniziò un duello a distanza con William Dever, anch’egli istrione dell’archeologia biblica. I due si erano sempre scambiati critiche sagaci sulle rispettive tesi, ma quando Dever recensì il best seller di Finkelstein e Silberman sulla Biblical Archaeology Review, l’israeliano esplose. La situazione degenerò nel momento in cui Dever accusò Finkelstein di post-sionismo e questi lo prese come un attacco personale. Il dibattito valicò i confini dell’archeologia, con i due a rappresentare, più o meno involontariamente, le due correnti di pensiero relative all’interpretazione della Bibbia: minimalismo e massimalismo biblico. Seppur respingendo in toto le accuse, Finkelstein ha spiegato così la sua posizione: “l’interpretazione letterale non solo è inadeguata, ma non rende giustizia nemmeno agli autori. Solo se letti con senso critico, si coglie il genio nei Testi Sacri”.
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Negli ultimi dieci anni, la riveduta cronologia dell’antico Israele ad opera di Finkelstein ha ricevuto molteplici critiche; fra le più puntuali ci sono state quelle del sessantatreenne Yosef Garfinkel, capodipartimento di archeologia presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Affascinato dalla semplicità dei khirbe (letteralmente arabo per “rovina”), termine utilizzato per indicare palazzi e/o edifici distrutti relativamente presto dal momento della loro costruzione, Garfinkel si dice “al novanta per cento sicuro” di aver trovato l’antica città di Ziklag nel khirbe di al Ra’i. Qui, una prima squadra di archeologhi ha rinvenuto due frammenti di coccio che riportavano cinque lettere proto-cananee, mentre una seconda squadra – al lavoro su di un silo – ha ritrovato, fra i numerosi artefatti, anche quattro noccioli di oliva utili per la datazione al carbonio. Nonostante l’utilizzo delle più avanzate tecnologie, il sito gestito proprio da Garfinkel sembrava disordinato anche per un profano dell’archeologia, forse a causa della sua sconfinata e frivola curiosità, che spesso lo portava a concentrarsi su aspetti e fatti eccentrici. Cresciuto ad Haifa, Garfinkel aveva iniziato gli studi a Gerusalemme nel ’92, specializzandosi sul vasellame del neolitico e sulle origini della danza. Ha poi acquistato fama disseppellendo delle miniature antropomorfe del VI millennio a.C. vicino al fiume Giordano e da allora esposte al Louvre. Successivamente decise di cambiare ambito dopo ave notato la penuria di archeologi biblici all’Università Ebraica.  Proprio in quegli anni, arrivò la prima sferzata alle tesi di Finkelstein: a Gerusalemme Est, l’archeologa Eliat Mazar aveva portato alla luce le fondamenta delle mura di un grande edificio pubblico ai piedi del Monte del Tempio, il luogo esatto in cui, secondo i Libri di Samuele, il Re di Tiro aveva fatto costruire il palazzo di Davide. La struttura era impossibile da datare, ma allo stesso tempo era racchiusa fra gli strati di ciò che viene chiamato un sandwich archeologico: vasellame e frammenti del IX sec. sopra e reperti del XI sec. sotto. “Ho trovato il palazzo di Re Davide!” esclamò Mazar di fronte alla stampa ebraica. La risposta di Finkelstein non tardò: “Dice che si tratta di un edificio maestoso del X sec. e che si tratta del palazzo di Re Davide, ma niente di tutto ciò è vero”. Intanto, Garfinkel impaziente di gettarsi nella mischia venne illuminato da un suo studente, sicuro di aver trovato un nuovo sito molto promettente a poche decine di chilometri da Gerusalemme. Intrigato, Garfinkel decise di raggiungerlo insieme allo studente per sondarne il terreno. Si chiamava Qeiyafa e diede immediatamente i suoi frutti. Da una prima analisi, si raggiunse uno strato che conteneva ceramiche dell’Età del Ferro, ma di che secolo si trattava? “Decimo? Forse nono?” ricorda Garfinkel. Le ricerche proseguirono e in meno di un anno fu chiaro che si trattava di un’intera città. “La Pompei biblica” venne soprannominata dal suo eccentrico scopritore. Fra i cocci e gli edifici, vennero trovati alcuni carissimi noccioli d’oliva, poi spediti all’Università di Oxford per la datazione al carbonio. Se venissero datati al 850 a.C. “riceverei un dottorato ad honorem a Tel Aviv” disse scherzosamente Garfinkel, ma i noccioli avevano circa duecento anni in più. Bingo. “Il colpo di grazia ai minimalisti” era servito; la mancanza di ossa di maiale a Qeiyafa escludeva i Filistei dallo scacchiere, la posizione a sud toglieva di mezzo una possibile appartenenza al regno omride o altri imperi settentrionali e le fortificazioni con casamatta a quattro volumi, i due ingressi cittadini e la netta separazione fra edifici pubblici e privati rappresentavano la “cianografia” di quello che sarebbe diventato lo standard architettonico giudaico. Garfinkel pensava che il regno di Davide fosse relativamente ridotto, come anche Finkelstein, ma riconosceva in Qeiyafa la città biblica di Shaaraim. Se Garfinkel aveva conquistato il favore delle masse, Tel Aviv restava la roccaforte di Finkelstein e da qui arrivarono le critiche più accese all’archeologo reo d’essere “un archeologo preistorico, che mai si era occupato di questo periodo prima d’ora e che si era intromesso senza reali conoscenze in merito,” almeno secondo Lipschits, un collaboratore di Finkelstein. Poi le annose accuse di bulldozing e quelle di far sfigurare una generazione “che per anni si era preoccupata di come Israele e gli ebrei fossero percepiti”. Anche il sistema dei finanziamenti non aiutava Garfinkel. Un sistema dipendente da donatori spesso poco interessati alla ricerca in sé e per sé. Molti erano e sono religiosi, ingolositi dall’idea di spargere il verbo; altri sono simpatizzanti di destra alla ricerca di motivazioni valide che giustifichino il diritto degli ebrei alla Terra promessa. Alcuni, sono entrambe le cose. E così, Schniedewind, della University of California, Los Angeles, ha ammesso che i ritrovamenti di Garfinkel “furono determinanti, ma le sue interpretazioni… beh, tutti hanno bisogno di soldi, no?”.
*
Cima da Conegliano, “Davide con la testa di Golia e Jonathan”, 1501 circa
Così, nei primi anni ’90, una semi-sconosciuta organizzazione chiamata Elad ha iniziato a comprare e confiscare le case dei civili palestinesi a Silwan, un villaggio adiacente a Gerusalemme sotto il quale giacciono i resti della Città di Davide. Nonostante le vittime palestinesi abbiano dichiarato che David Be’eri, ex comandante dell’esercito israeliano e insegnate in una yeshiva, abbia utilizzato metodi poco ortodossi durante questo processo condotto per Elad, alla fine è riuscito a stabilirsi e a dare il via alla fase due: gli scavi. Quando in tribunale gli è stato chiesto “con che cuore” potesse scavare sotto le case della gente, lui ha risposto che “Re Davide l’aveva fatto!”, lui stava “solamente facendo le pulizie”. Il caso si risolse quando il Governo israeliano concesse la proprietà legale di Silwan a Elad, oltre che a un regolare contratto per l’istituzione della Città di Davide come parco nazionale. Sotto Netanyahu, Elad divenne il principale sponsor di scavi archeologici a Gerusalemme Est, la zona più contesa del paese. Antichissime reliquie, una piscina di Erode, un condotto acquifero costruito da re Ezechia e le mura dissotterrate da Eliat Mazar. Ci sono anche tre siti archeologici in attività che i visitatori possono ammirare da alcune piattaforme rialzate. Un’infrastruttura in grado di radunare più di un milione di persone ogni anno. Anche se Finkelstein non è d’accordo con la politicizzazione del sito, gli rende comunque merito: “se fosse stato in mano allo stato, ci avrebbero messo quattrocento anni. […] dovranno rispettare i loro programmi politici, ma ciò non interferisce con la ricerca”. Ma se anche per Finkelstein, “Gerusalemme non è Nablus” e quindi “non ci sono ragioni per cui tirare in ballo il diritto internazionale per fermare Israele dallo scavare a Gerusalemme”, i palestinesi la vedono diversamente. Gerusalemme Est è la capitale del loro stato, ma Elad ha reso impossibile la ripartizione e ora “sono i coloni a essere in controllo a Gerusalemme,” almeno secondo Jawad Siyam, che ha perso la casa dopo trent’anni di battaglie legali contro i coloni di Elad che gliel’hanno occupata. Yonathan Mizrachi, direttore del gruppo di archeologi che contestano la ricerca su suolo occupato, sostiene che “Elad ha capito molto tempo fa che l’archeologia è l’asso nella loro manica per giustificare l’occupazione da parte dei coloni israeliani”. Lasciando da parte i dilemmi morali, Finkelstein sostiene che la Città di Davide, possa non essere affatto la Città di Davide. “Vedo dell’architettura bizantina, una villa Romana e case del periodo intertestamentario,” ma niente dell’Epoca del Ferro. Sempre secondo Finkelstein, la Gerusalemme della Bibbia era situata in cima al Monte del Tempio, il luogo più sacro per la religione ebraica e sede di due delle moschee più importanti al mondo. Nel 2011, rifacendosi ad una pubblicazione del 2000 del collega tedesco Ernst Axel Knauf, Finkelstein ha pubblicato un paper secondo il quale, durante alcuni periodi, la città si è espansa verso sud, verso ciò che oggi è noto come la Città di Davide. Tuttavia, il centro della città – non più di un villaggio – rimase sempre sul monte, al punto più elevato, almeno durante il X sec a.C. Tolto Finkelstein e i due co-autori, questa teoria venne rifiutata dagli ambienti accademici per problemi di natura idrologica, ma di recente Nadav Na’aman ha rivelato di aver ritrovato un frammento di argilla ai piedi del Monte del Tempio. Il frammento conteneva del sedimento del fiume Nilo e quindi testimonia una corrispondenza fra i governatori egizi e quelli cananei durante il XIV sec. a.C. Come era arrivato fino a lì, se non rotolando dal rialzato centro cittadino? Con questo nuovo elemento, la teoria caldeggiata da Finkelstein diventa quindi un assist ai massimalisti alla ricerca di una giustificazione valida per la penuria di reperti del Regno Unito di Israele. In ogni caso, la teoria non è né verificabile né confutabile, poiché le leggi israeliane impediscono di scavare e sondare il Monte del Tempio in quanto luogo sacro.
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Un’altra ipotesi ventilata è che, in realtà, il palazzo di Davide non sia mai esistito. In questa versione della storia, accanto ai Filistei, i seguaci di re Davide si accamparono in tenda. Infatti, Erez Ben-Yosef, un altro archeologo dell’Università di Tel Aviv, ha scoperto un antico accumulo di scorie rameiche da ben diecimila tonnellate. Il principale oggetto di studio di Ben-Yosef è proprio la metallurgia, ma – avendo quarantuno anni – appartiene a una nuova generazione di archeologi imbevuta delle teorie di Michel Foucault e di antropologia sociale. Ben-Yosef è fortemente convinto che la vera chiave al mistero di Davide sia nascosta proprio nelle profondità delle miniere di Timna. Attribuite, negli anni ’30, a Salomone da Glueck, il ritrovamento di una reliquia egizia sembrava aver rimescolato le carte e stroncato questa datazione in modo definitivo. Tuttavia, Ben-Yosef e Tomas Levy della UCSD, attraverso un avanzatissimo processo di datazione al carbonio, hanno dimostrato che l’estrazione del rame prosperava in quella regione fra l’XI e il IX sec. a.C., molto dopo la ritirata degli egizi da quelle terre. I due attribuirono l’attività industriale agli Edomiti, i discendenti di Esaù e vassalli di Davide. Rifacendosi a Living on the Fringe, pubblicato da Finkelstein nel ’95, Ben-Yosef crede nell’esistenza di una “società invisibile” non percepita dagli archeologi, ma comunque reale. L’esperienza dello stesso Finkelstein con le tribù beduine del Sinai suggeriscono una semplicità sociale estrema, “senza gerarchie, senza legge”, tuttavia esistono grandi esempi di società nomadi complesse secondo Ben-Yosef. Si pensi a Gengis Khan, o in questo caso all’estrazione del rame: un’attività del genere necessità per forza di una gerarchia interna, con minatori, fonditori e trasportatori; e certamente di una struttura politica in grado di garantire il libero commercio in tutta la regione. Era come un’antica “Silicon Valley” secondo Levy e siccome si trattava di una popolazione nomade, non si lasciavano alle spalle sostanziali segni di abitazione. “Non avremmo scoperto nulla di tutto ciò, se non si fossero dati all’industria del rame,” dice Ben-Yosef, convinto che gli Edomiti non siano stati i soli a far fiorire l’attività estrattiva nella regione: Davide e Salomone potrebbero aver creato il contesto amministrativo. “La portata della produzione ci dice che si trattava di più di qualche semplice tribù” e considerare Davide solo uno sceicco beduino sarebbe riduttivo. “Ma se davvero avesse discendenza nomade, perché avrebbe mai dovuto costruire un palazzo di pietra?”.
Ruth Margalit
*Il reportage, riprodotto in parte, è stato pubblicato su “New Yorker”; la traduzione è di Giacomo Zamagni
**In copertina: Caravaggio, “Davide e Golia”, 1597, particolare
L'articolo Chi è davvero Davide: il capo di una banda di nomadi o un potente sovrano? La battaglia (politica) tra gli archeologi alla ricerca del regno perduto del re biblico proviene da Pangea.
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tmnotizie · 5 years ago
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MACERATA – E’ giunta questa mattina in città la delegazione dei rappresentanti Unesco delle Città Creative delle Media Arts. Ad accoglierli, ai Musei civici di Palazzo Buonaccorsi, il sindaco Romano Carancini e l’assessore alla Cultura e vicesindaca Stefania Monteverde.
La mattinata di lavori della delegazione, riunita nella splendida Sala dell’Eneide per avviare un confronto sullo sviluppo culturale e sulle città creative, è iniziata con un intervento del sindaco che ha illustrato la politica culturale della città partendo dal suo figlio più illustre, Padre Matteo Ricci.
“C’e un filo conduttore lungo centinaia di anni tra la genialità di Padre Matteo Ricci, la sua umanità e il racconto attuale di una piccola città come Macerata” ha affermato il sindaco Romano Carancini dopo un’introduzione in lingua inglese. “Per raccontare di noi, sento che devo iniziare proprio dal figlio più illustre di questa terra, padre ispiratore della nostra identità”.
L’intervento del sindaco è partito dalle fondamenta della storia umana e culturale della nostra città per raccontare la nuova consapevolezza acquisita nel tempo, frutto di tre concetti chiave proposti e attuati negli ultimi dieci anni, la fiducia, la partecipazione e la coralità.
“Padre Matteo Ricci, è annoverato dalla rivista americana Life come una delle cento personalità che hanno saputo influenzare di più il secondo millennio, un talento dell’umanità che ha trasmesso, grazie alle conoscenze e alle sue produzioni tecnologiche, scientifiche e letterarie, il valore dell’amicizia e l’importanza della scoperta come strumento di buone relazioni tra tutti gli uomini” ha affermato il sindaco.
“Per un periodo però la città ha dimenticato il talento e la produzione creativa e culturale di cui è capace. Per questo negli ultimi 10 anni abbiamo provato a riappropriarci del ruolo di “Atene delle Marche”, di terra ideale per l’elaborazione di cultura e produzione creativa e di proiettarci forti delle nostre fondamenta, verso il futuro. Lo abbiamo fatto attraverso la fiducia, scaturita dal riconoscimento di “Città con la miglior qualità di vita”, con il primo posto della classifica dell’ Ecosistema urbano e con l’inserimento nella short list delle 10 città finaliste a Capitale della Cultura 2020, con la partecipazione che è il tratto che ci ha distinto per metodo di lavoro. Gli Stati generali della Cultura, il progetto Macerata In-Nova e Macerata estroversa sono infatti le evoluzioni di un percorso partecipato dalla città intera.
La coralità dell’azione ha poi messo in luce il ruolo fondamentale di grandi protagonisti della città che, lavorando sinergicamente si sono sentiti parte di un tutto. Tra essi, in particolare, l’Università di Macerata, tra le più antiche in Italia, la prima impresa culturale creativa che si pone ai più alti livelli nazionali e internazionali. L’Accademia di Belle Arti, istituzione fondamentale per le politiche di sviluppo della città, spazio ideale di formazione di giovani creativi.
E ancora il Macerata Opera Festival, importante incubatore creativo per tutte le performing arts, prima scena internazionale della città e l’Istituto Confucio, ponte ideale di cammino culturale e creativo, patrimonio da preservare nel segno di Padre Matteo Ricci”.
“Abbiamo un sogno” ha concluso Carancini “quello di poter entrare a far parte della famiglia delle Città Creative Unesco, per questo oggi potrete apprezzare il talento espressivo di alcuni dei grandi protagonista cittadini. Abbiamo perso questa sfida nel 2014 forse perché non ancora pronti, ma oggi Macerata, nella sua nuova consapevolezza, vuole manifestare tutto il suo talento e prestare la sua storia e la sua esperienza a beneficio della meravigliosa ricchezza di cui l’Unesco è voce.”
Un breve saluto anche da parte del Prefetto Iolanda Rolli. “Vedete da soli quanta bellezza è presente a Macerata. Io vi auguro di approfondire tutto ciò che la città può offrire perché pur ancorata a radici profonde, Macerata è proiettata verso il futuro”.
L’assessore e vice sindaca Stefania Monteverde ha infine illustrato le tappe della giornata. “Avrete oggi la possibilità di incontrare stakeholder più importanti perché abbiamo costruito questa giornata pensando ad una crescita reciproca. Scoprirete tanti aspetti di Macerata, tanti talenti, ma anche il suo cibo e le sue fabbriche culturali”
Subito dopo ha preso il via la riunione del cluster con i delegati provenienti da Linz (Austria), Toronto (Canada), Changsha (Cina), Enghien Les Bains e Lione (Francia), Sapporo (Giappone), York (Inghilterra), Tel Aviv-Giaffa (Israele), Guadalajara (Messico), Braga (Portogallo), Dakar (Senegal), Kosice (Slovacchia), Gwanju (Sud Corea) e Austin (USA).
Dopo una breve pausa per il pranzo al via il tour della città con due stakeholder sul tema delle Media Arts, l’Università degli studi e l’Accademia di Belle arti. L’Ateneo ha organizzato incontri con due delle realtà UniMc più significative nel campo della creatività e del rapporto con altre culture e civiltà.
Il primo appuntamento si è svolto al Creabub con PlayMarche, la prima spin-off nata in seno all’ Università e attiva nel campo della valorizzazione territoriale e culturale attraverso le nuove tecnologie Michele Spagnuolo, amministratore delegato di PlayMarche, ha illustrato le più recenti realizzazioni come l’app PlayMarche 2.0 (in collaborazione con la Rainbow) per scoprire la provincia di Macerata attraverso il gioco, l’installazione multimediale a Casa Leopardi, la ricostruzione in modelli tridimensionali delle aree archeologiche.
PlayMarche ha consolidato la propria collaborazione anche con altre imprese creative come Luca Agnani Studio, che ha curato l’allestimento multimediale proposto per questa sera a Palazzo Buonaccorsi, la Rainbow e Net Cubo, per creare una rete di imprese sempre più competitiva nel settore.
Il secondo appuntamento del pomeriggio è stato con l’Istituto Confucio di UniMc, autorevole nodo di connessione con la Cina per tutto il territorio, grazie alla fitta rete di insegnamenti attivati nelle scuole superiori, non solo regionali, al coinvolgimento in progetti internazionali, ad iniziative spettacolari come l’annuale Capodanno Cinese per promuovere la conoscenza di una Paese sempre più centrale nello scenario mondiale.
Ultima tappa la visita all’Accademia di Belle Arti, anch’essa stakeholder sul tema delle Media Arts. Nell’Auditorium Svoboda la delegazione è stata accolta dalla docente di inglese Eleonora Sarti, da Francesca Cecarini, docente di Light design e da Matteo Catani docente di Applicazioni digitali per l’arte. L’ Energia creativa dell’Accademia maceratese è stata illustrata attraverso video e installazioni multimediali che hanno presentato tutte le tipologie di corsi.
Illustrato anche il nuovo progetto di Light design riguardante lo Sferisterio che come quello già realizzato al Monumento della Vittoria, nasce dalla collaborazione tra Accademia e Comune di Macerata. “Fare un investimento sulla luce è una grande sfida” ha detto l’assessore Stefania Monteverde “Ci siamo ispirati alle altre città, come Toronto, che hanno già adottato la Light Strategy perché dal confronto si ha l’opportunità di crescere”.
L’intensa giornata di lavoro delle delegazioni Unesco, che oggi hanno fatto tappa oltre che a Macerata anche in altre sette città si concluderà in serata con un evento spettacolare ispirato al mondo delle arti, della musica e dell’innovazione che si svolgerà in contemporanea nei teatri e nelle piazze di Urbino, città patrimonio dell’UNESCO, Ancona (Cinema), Ascoli Piceno (Design), Fermo (Artigianato), Macerata (Media Arts), Pesaro (Musica), Recanati (Letteratura), Senigallia (Gastronomia). Gli eventi saranno tutti collegati in diretta video con il palcoscenico del Teatro Gentile di Fabriano dove a tessere le fila sarà il talento di Neri Marcoré.
Appuntamento finale quindi alle 20,15 al cortile di Palazzo Buonaccorsi per lo spettacolo  del Comune di Macerata e del Macerata Opera Festival “Imagine Opera. Dalla tradizione al futuro”. Un suggestivo percorso musicale con l’opere liriche, con la partecipazione della pianista Cesarina Compagnoni  e il soprano Francesca Benitez, sulle arie delle opere in cartellone quest’anno al MOF, “Carmen” e “Rigoletto”.
Nella seconda parte la Salvadei Brass porterà in scena l’overture e il trionfo dell’Aida mentre sui muri del settecentesco palazzo  scorreranno le suggestive immagini del video mapping appositamente creato per l’occasione da Luca Agnani, visual designer di fama internazionale, vincitore del terzo premio al concorso di viedo mapping in 3D “Circle of Light” tenuto a Mosca nel 2013 e di una serie di riconoscimenti internazionali.
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theresawelchy · 6 years ago
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Universities with AI Programs
Australia Australian National University http://cs.anu.edu.au/ Monash University http://www.infotech.monash.edu.au/ University of Technology, Sydney http://www.it.uts.edu.au/ University of Sydney https://sydney.edu.au/ University of Melbourne https://www.unimelb.edu.au/ Belgium Ghent University https://www.ugent.be/ Katholieke Universiteit Leuven http://www.cs.kuleuven.be/cs/ Université libre de Bruxelles (ULB) http://www.ulb.ac.be/ Canada Carleton University http://www.scs.carleton.ca/research/ Concordia University http://www.cs.concordia.ca/ Dalhousie University http://www.cs.dal.ca/ McGill University http://www.cs.mcgill.ca/ Simon Fraser University http://www.cs.sfu.ca/ University of Alberta http://www.cs.ualberta.ca/~ai/ University of British Columbia http://www.cs.ubc.ca/labs/lci/ University of Calgary http://www.cpsc.ucalgary.ca/ University of Manitoba http://www.cs.umanitoba.ca/ University of Ottawa http://www.engineering.uottawa.ca/ University of Saskatchewan http://www.cs.usask.ca/ University of Toronto http://web.cs.toronto.edu/dcs/ University of Waterloo http://ai.uwaterloo.ca/ York University http://www.cse.yorku.ca/ China Nanjing University of Science and Technology http://www.njust.edu.cn/ Peking University http://english.pku.edu.cn/ Croatia Czech Technical University https://cyber.felk.cvut.cz/ Denmark Københavns Universitet – University of Copenhagen https://di.ku.dk/english/research/machine-learning/ Finland University of Helsinki http://www.cs.helsinki.fi/research/index.en.html University Of Oulu http://www.infotech.oulu.fi/Research/groups2010_2013.html Tampere University of Technology http://www.tut.fi/en/home France École d’ingénieurs – Mathématiques – Informatique http://eisti.fr/en/ École polytechnique https://www.polytechnique.edu/en/ EURECOM https://www.eurecom.fr/en/ EDHEC Business School https://master.edhec.edu/msc-data-analytics-artificial-intelligence/ Université Jean Monnet https://www.univ-st-etienne.fr/ Data ScienceTech Institute https://www.datasciencetech.institute/ Sorbonne Université http://sciences.sorbonne-universite.fr/en/index.html Germany RWTH Aachen http://www.informatik.rwth-aachen.de/ Heidelberg University https://www.uni-heidelberg.de/index_e.html University of Freiburg https://www.tf.uni-freiburg.de/en/study-programs/computer-science/m-sc-computer-science/ Humboldt-Universität zu Berlin https://www.informatik.hu-berlin.de/en/ TU Berlin https://www.tu-berlin.de/ TU Dresden http://www.ki.inf.tu-dresden.de/ HECTOR School of Engineering and Management (KIT) https://www.hectorschool.kit.edu/ Ludwig Maximilian Universität Munich https://www.en.uni-muenchen.de/ FU Berlin https://www.fu-berlin.de/ Eberhard Karls Universität Tübingen https://uni-tuebingen.de/ Université Montpellier http://www.lirmm.fr/lirmm_eng/research/departements/info/poles-de-recherche/ia/ Goethe Universität http://www.informatik.uni-frankfurt.de/index.php/en/ Greece Aristotle University http://poseidon.csd.auth.gr/ Technical University of Crete http://www.intelligence.tuc.gr/ Hong Kong University of Hong Kong https://www.hku.hk/ Chinese University of Hong Kong http://cuhk.edu.hk/ India Banasthali University http://www.banasthali.org/banasthali/wcms/en/home/lower-menu/faculties/maths-app-comp-tech/ Israel Bar-Ilan http://www.cs.biu.ac.il/ Ben Gurion University http://www.cs.bgu.ac.il/ Tel Aviv University https://en.cs.tau.ac.il/computer/ Hebrew University http://www.cs.huji.ac.il/ Technion http://www.cs.technion.ac.il/ Weizmann Institute of Science http://www.weizmann.ac.il/math/ Italy Sapienza Università di Roma https://www.uniroma1.it/ Politecnico di Milano https://www.polimi.it/en/ Japan University of Tokyo http://www.is.s.u-tokyo.ac.jp/english/ Tokyo Institute of Technology https://www.titech.ac.jp/english/education/graduate_majors/ai/ University of Tsukuba http://www.ai.iit.tsukuba.ac.jp/joining.html Keio University https://www.keio.ac.jp/en/ Malta University of Malta http://www.cs.um.edu.mt/ Netherlands Leiden University https://www.universiteitleiden.nl/en/science/computer-science/ Groningen University http://www.rug.nl/ Radbout University https://www.ru.nl/english/education/bachelors/artificial/ University of Amsterdam http://student.uva.nl/ai Tilburg University https://www.tilburguniversity.edu/ University of Utrecht http://www.uu.nl/ Radboud Universiteit https://www.ru.nl/ Vrije Universiteit http://www.cs.vu.nl/ New Zealand University of Auckland https://www.cs.auckland.ac.nz/ University of Canterbury http://www.cosc.canterbury.ac.nz/ Norway University of Oslo https://www.uio.no/english/ Romania University Politehnica of Bucharest http://aimas.cs.pub.ro/ Russia Lomonosov Moscow State University https://www.msu.ru/en/science/ Singapore National University of Singapore https://www.comp.nus.edu.sg/ Nanyang Technological University http://scse.ntu.edu.sg/ Slovak Republic Comenius University http://www.dai.fmph.uniba.sk/w/Research The Technical University of Kosice http://web.tuke.sk/kkui/en/ South Korea Seoul National University http://en.snu.ac.kr/ University of Science & Technology https://major.ust.ac.kr/bigdata_eng.do Spain Universitat de Barcelona https://www.ub.edu/web/ub/en/ Universitat Autonòma de Barcelona http://www.iiia.csic.es/ Universitat Politècnica de Catalunya http://www.cs.upc.edu/ Sri Lanka University of Moratuwa http://www.itfac.mrt.ac.lk/ Sweden Blekinge Institute of Technology https://www.bth.se/ Linköping University https://www.ida.liu.se/divisions/aiics/ University of Gothenburg https://www.gu.se/english Lund University http://ai.cs.lth.se/ Mälardalens Högskola http://www.idt.mdh.se/ai/ Royal Institute of Technology http://www.cas.kth.se/ University of Skövde http://www.his.se/english/research/informatics/research-groups/sail/ Stockholm University http://dsv.su.se/ Umeå University http://www.cs.umu.se/ Uppsala University http://www.it.uu.se/research/group/astra KTH Royal Institute of 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leolucaorlando · 6 years ago
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Nell'ambito di #PalermoCapitaleCultura dal 3 al 8 settembre si terrà fra il Castello di Falconara e Palermo una Summer School e la più importante conferenza internazionale sul pensiero di Aristotele, con sessioni pubbliche aperte a tutte. "Si tratta di una sorta di summit internazionale — proprio a Palermo, terra di incontro, ieri e oggi, fra culture e religioni diverse — di alcuni fra i maggiori storici della filosofia al mondo specialisti del pensiero di Aristotele e, insieme, di alcuni fra i maggiori filosofi analitici neo-aristotelici contemporanei, provenienti da università come New York, Yale, Oxford, Dublino, Monaco di Baviera, Sorbona, Ginevra, Lugano, Lucerna, Tel Aviv, Tunisi, Barcellona". Di seguito alcuni articoli del Corriere della Sera e di Repubblica. https://ift.tt/2Lz67XH https://ift.tt/2ogfy5h https://ift.tt/2BUJQnX
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danieleneandermancini · 2 years ago
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RICOSTRUZIONE DELLE CAMPAGNE MILITARI BIBLICHE ATTRAVERSO L'APPLICAZIONE DEL GEOMAGNETISMO TERRESTRE
RICOSTRUZIONE DELLE CAMPAGNE MILITARI BIBLICHE ATTRAVERSO L’APPLICAZIONE DEL GEOMAGNETISMO TERRESTRE
Uno studio congiunto dell’Università di Tel-Aviv e dell’Università Ebraicadi Gerusalemme, che ha coinvolto 20 ricercatori di diversi paesi e discipline, ha datato con precisione 21 strati di distruzione in 17 siti archeologici israeliani, attraverso il geomagnetismo e ricostruendo la direzione e l’intensità del campo magnetico terrestre registrato nei resti oggetto di combustione. I nuovi dati…
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jamariyanews · 7 years ago
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Muammar Gheddafi presenta la soluzione al problema palestinese.
 il 22 Ottobre 2007, Muammar Gheddafi parla della soluzione del problema palestinese in un discorso più ampio rivolto agli studenti dell' università di Cambridge. 
  ........ Dovete sapere che questa terra e' estremamente stretta.Vicino a Qalqiliya la distanza tra il fiume Giordano e il Mediterraneo non ci sono altro che 15 Km.Non posson esserci due Stati in quest'area.Non puo' esserci uno Stato che sia largo solo 15 Km.Se lo stato Palestinese si stabilisse nella West Bank,Tel Aviv e tutte le citta' litoranee sarebbero dentro la linea di fuoco delle sue mitragliatrici o dell'artiglieria di media misura.Lo spazio aereo sarebbe sotto il suo controllo.Se scoppiasse una guerra ,quello Stato sarebbe spaccato a meta'.E anche,meta'del proposto stato palestinese,la West Bank ,sarebbe completamente separate dalla Striscia di Gaza.Come sarebbe uno stato di cui, una parte e' situate sul Mediterraneo, mentre l'altra parte e' nella West Bank del Fiume Giordano?
Aggiungici la presenza di piu' di un milione di Palestinesi dentro Israele.Essi sono aumentati velocemente.Il loro numero raddoppiera'.In futuro,ci saranno tre o quattro milioni di palestinesi in Israele.Allora,E' impossibile chiedere di essere uno stato puramente Ebreo.Voi sapete che il numero dei palestinesi cresce piu'velocemente di quello degli Israeliani.Nello stato che loro chiamano Israele,ci sono un milione di Palestinesi che vive in pace e armonia con I loro vicini.Questo e' un esempio dello singolo stato che deve costituire la soluzione di quell problema.ci deve essere un singolo stato in Palestina.Il nome non e' importante .Potrebbe chiamarsi Isratina o Palestina.Qualunque il nome possa essere,cid eve essere un singolo stato per Israeliani e Palestinesi.Adesso c'e' un esempio per tutti da vedere.Ci sono un milione di Palestinesi che hanno la cittadinanza israeliana e vivono con gli Israeliani senza problemi.La violenza non viene da loro ma da quelli che vivono fuori da Israele.Mettete semplicemente,quel pezzo di terra tra il Fiume e il Mare e' pure limitato,stretto per due stati.La soluzione sta nella costituzione di un singolo stato democratico.Tutti noi nel mondo dobbiamo fare pressione sul partito che si aggrappa al razzismo religioso,razziale e linguistico.Queste sono nozioni antiquate che svaniranno a poco a poco col tempo.Queste nozioni non devono mai ostacolare gli effettivi di pace tra gli Israeliani e I Palestinesi.Essi possono coesistere.
Avete potuto essere consapevoli che Arabi e Ebrei hanno sempre convissuto.Quando gli Arabi sono stati espulsi dall'Andalusia,anche gli Ebrei sono stati espulsi.I Paesi Arabi hanno dato rifugio e protezione agli Ebrei.Parimenti quando I Romani distrussero Gerusalemme intorno all'anno 72,gli ebrei hanno cercato rifugio nella Penisola araba.Voglio dire che gli arabi hanno protetto gli ebrei per tutta la storia dalla persecuzione romana alla persecuzione gotica in Andalusia.I due gruppi sono cugini.Il profeta Abramo aveva due figli:Ismaele,antenato degli arabi e, Isacco,antenato degli ebrei.Giacobbe,anche conosciuto come Israele,era il figlio di Isacco.Lo stato e' stato chiamato dopo di lui.Percio',loro sono cugini e vicini l’uno con l’altro.Sono State altre potenze a creare animosita’ tra loro per trattare I loro interessi.Devono ancora una volta vivere insieme in uno stato.Ho pubblicato il mio Libro Bianco che chiede la costituzione di Isratina,uno stato con meta’ nome di Israele e meta’ nome della Palestina.Spero che voi abbiate la versione in inglese di questo .Il Libro chiede la costituzione di uno stato singolo e democratico.Le elezioni iniziali sarebbero supervisionatedalle Nazioni Unite.Dopo,I suoi cittadini coesisteranno.Non e’ importante se il presidente sia un ebreo o un palestinese musulmano o cristiano.Lasciate che ci sia la volonta’ e la scelta del popolo.Oggi ci sono partiti arabi in Israele.C’e’ un membro arabo nel Knesset.C’e’ un esempio da seguire.Sulla Riva Ovest ,Palestinesi e Israeliani sono parte di una singola struttura.Lo stesso vale per Gaza.Demograficamente,sono integrati.Le fabbriche israeline dipendono dalla manodopera palestinese dalla Riva Ovest a Gaza.C’e’ uno scambio di beni e servizi tra di loro.Sono completamente interdipendenti.Ci sono molte cose,come la cultura,che avvicinano Israeliani e Palestinesi gli uni agli altri.Io richiedo la costituzione di un singolo stato per far terminare questo conflitto.Tuttavia,certe condizioni devono essere affrontate.
Primo,I rifugiati espulsi nel 1948 devono ritornare alle loro case.E’ un loro diritto.Devono avere il permesso di ritornare in pace alle loro case,fattorie e villaggi.
Secondo,questo nuovo stato deve essere privo di armi di distruzione di massa.Nessuno stato nella regione deve possedere ADM(armi di distruzione di massa).Se fossero governati da Arafat o Abbas,dovrebbero essere privi di armi di distruzione di massa.Questo e’ cio’ che volevo dire sulla questione della Palestina.Vi invito a leggere il mio Libro Bianco intitolato Isratina.Avete chiesto la mia opinione sulla riforma delle Nazioni Unite.Abbiamo tutti sentito per anni di un forte desiderio di riforma delle Nazioni Unite.Comunque,tutto cio’ che e’stato rivolto in quell periodo e’ stato l’aumento nel permanente o non permanente numero di soci del Consiglio di Sicurezza.Questo sbaglia il punto,che deve essere nell’insieme la riforma delle Nazioni Unite.Le UN non sono solo il Consiglio di Sicurezza.Sono l’Assemblea Generale,la Corte Internazionale di Giustizia ,L’ECOSOC,il Consiglio d’Amministrazione fiduciaria,l’UNESCO,l’UNICEF,la FAO e tutte le altre componenti del Sistema delle Nazioni Unite.L’attuale stato degli affari non e’ democratico,illegale, e illegittimo.Il mondo deve cambiarlo.L’attuale stato e’ dittatoriale e non si presta per la causa di pace.Al contrario,e’ uno stato di terrore che minaccia la pace. http://algaddafi.org/…/muammar-al-gheddafi-parla-italiano--…
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jucks72 · 8 years ago
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Da Tel Aviv Talia Zoref, illustratrice della moda e del beauty
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Da Tel Aviv Talia Zoref, illustratrice della moda e del beauty
Talia Zoref è nata a Tel Aviv con una grande passione per la moda, l’arte e tutto ciò che è bello. Dopo aver studiato in Canada è tornata in Israele per dedicarsi al suo sogno: illustrare la moda, gli abiti e l’ambiente da sogno intorno a sé. L’abbiamo incontrata, e ci ha raccontato come ha trasformato la sua predilezione in un lavoro.
Raccontaci dei tuoi studi. Ho iniziato studiando Fashion Design alla George Brown University a Toronto, durante i miei studi però ho capito che mi sarebbe piaciuto diventare illustratrice e ho continuato a studiare Graphic Design allo Shenkar College a Tel Aviv.  Durante il percorso ho perfezionato le mie illustrazioni e ho imparato come portarle al “livello successivo”. Ad oggi posso dire sicuramente che quello che ho imparato allo Shenkar mi ha dato la possibilità di trasformare il mio talento in una professione.
Quando hai deciso di diventare un’illustratrice? Crescendo, ho sempre pensato che sarei voluta diventare stilista. Disegnavo vestiti per ore e fantasticavo sugli outfit che avrei voluto realizzare. Solamente quando ho iniziato a studiare Fashion Design in Università ho capito che la mia vera passione era per la parte creativa, e meno per la parte tecnica. Ho poi incontrato due illustratrici di moda bravissime e sono stata piacevolmente sorpresa di vedere come la mia passione sarebbe potuta diventare una professione, ed in quel momento ho capito che era quello che volevo fare. Le illustrazioni mettono insieme tutte le cose che amo: l’arte, la creatività e la moda.  Ho iniziato condividendo i miei disegni nel mio canale Instagram, ho aperto un blog e sono super motivata per il futuro.
Vivi a Tel Aviv, com’è vista la moda dalle nuove generazioni in Israele? Tel Aviv è una città sul mare con un ritmo culturale bellissimo, una straordinaria vita notturna, insieme a moltissimi negozi e un clima mite. Con queste premesse sicuramente le nuove generazioni sono molto attente ai nuovi trend. Si ricercano sempre gli ultimi look visti durante le sfilate, affinchè possano ispirare nuovi outfit e aiutare al meglio a poter esprimere se stessi attraverso la moda. Soprattutto ci sono davvero tanti designer di talento che hanno studiato allo Shenkar College, che creano collezioni bellissime ed originali. Una delle caratteristiche che più preferisco dei giovani designer di Tel Aviv è la loro abilità nel pensare al di là degli schemi.
La tua esperienza più bella fino ad adesso? Da quando ho iniziato ho ricevuto tantissimi complimenti che mi hanno davvero elettrizzata, ed è difficile sceglierne solamente una! Tuttavia, ne ho due particolarmente belle, la prima quando ho lavorato per MAC, è uno stato dei miei primi clienti più conosciuti ed importanti e ricordo che è stato un lavoro bellissimo, l’altra invece è stata partecipare alle ultime sfilate di Milano e Parigi, specie durante quest’ultima dove ho collaborato come illustratrice ufficiale. È stato davvero emozionante, e durante le sfilate di Elie Saab e di Missoni ho avuto la fortuna di assistervi direttamente dal backstage. Inoltre, mi ha riempito di orgoglio aver visto le mie illustrazioni postate in Instagram da Donatella Versace, Valentino e Moschino. Questi episodi mi hanno riconfermato che i social media sono davvero un canale incredibile perchè non puoi mai sapere chi vede i tuoi lavori quando li posti online!
Il tuo sogno più grande? Cerco sempre di raggiungere nuovi obiettivi e ammetto che ho avuto la fortuna di vedere esauditi molti dei miei sogni. Credo che il mio desiderio più grande sia continuare ad amare sempre quello che faccio e portare delle innovazioni nel mio settore. Mi piacerebbe che la gente ricominci ad apprezzare la connessione fra l’arte e la moda.
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all-allemandigiovani · 8 years ago
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Fotografi di libri: riflessioni sul rapporto tra fotografia ed editoria ad ArteFiera
di Stefano D’Alessandro
Il sabato di questa edizione di Artefiera è stato, come ogni anno, un giorno di grandissima affluenza: tantissimi i visitatori che si sono riversati nei padiglioni per assistere alle ultime novità del mercato dell'arte, presentate da gallerie italiane e internazionali. Ma questo è stato anche l'anno della fotografia. I galleristi specializzati in questo peculiare linguaggio hanno presentato, nella sezione a loro dedicata, una miscellanea di nuove proposte e autori già affermati; al piano superiore sono state allestite due mostre, una degli autori di Genda magazine producers, l'altra curata da tre gallerie; infine, lo spazio Talks ha ospitato moltissime discussioni sul tema, grazie al ciclo di incontri curato da Stefano Graziani. Uno di questi, dal titolo Libri pensati da fotografi, si è tenuto proprio sabato. L'incontro, moderato da Graziani, ha visto due relatori: Jose Pedro Cortes e Filippo Romano. E' stato Romano il primo a parlare, e l'oggetto del suo intervento è stato un libro da lui realizzato, frutto di un'esperienza in collaborazione con un ONG che lavora sul territorio di Nairobi, dal titolo Water tank.
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Come spiega l'autore, in questo lavoro il discorso estetico si mescola con fini conoscitivi: questi scatti nascono dalla volontà del fotografo di documentare il lavoro dell'ONG, per capirne i meccanismi e, soprattutto, per capire come funziona l'economia di una città africana. Tempo prima, racconta Romano, aveva letto un articolo dell'Econonomist sull'argomento; ma aveva trovato una narrazione composta unicamente da parole, fredda e impersonale. E' per questo che nasce Water tank: perché crede che con le foto possa raccontare la stessa storia, ma con un linguaggio maggiormente emozionale. Il secondo fotografo ospite, Jose Pedro Cortes, viene da Lisbona ed oltre ad essere autore è anche editore. Il suo lavoro comincia guardando quello dei fotografi già affermati; ma è dal cinema e dalla letteratura che Cortes apprende quella sequenzialità che gli permette di raccontare storie con i suoi scatti. Nel 2008 il viaggio a Tel Aviv lo segna profondamente; secondo il fotografo portoghese, lì ogni scatto ha un valore politico. E così, quando fotografa alcune ragazze che prestavano servizio militare nell'esercito, realizza un libro accostando questi scatti a quelli della città vuota; i loro giovani corpi si accostano perfettamente alla desolazione di una città verde e sensuale, ma al contempo pericolosa. Cinque anni dopo, quando visita una piccola città vicino a Tel Aviv, fotografa i suoi luoghi ancora evidenziandone la povertà e la fragilità, con lo scopo di renderli universali e condivisibili. L'ultimo progetto di cui parla si svolge in due momenti, tra il 2012 e il 2015, ed è profondamente diverso dagli altri: lo scenario stavolta è il Giappone, e il suo sguardo non è più volto alla documentazione, anzi ciò che cerca di far emergere è la sua presenza da straniero in un territorio sconosciuto; inoltre, la differenza temporale fra gli scatti dona al nuovo progetto editoriale una narratività cinematografica e una forte valenza performativa.
L'interrogativo che sembra scaturire dagli interventi dai due autori è questo: perché un fotografo dovrebbe sentire l'esigenza di fare un libro? Per Filippo Romani, la risposta è da rintracciare nelle potenzialità espressive di una narrazione per immagini, che può competere con quella tradizionale di solo parole; per Jose Pedro Cortes, invece, il libro è solo un mezzo per controllare lo sguardo di chi legge e conferire alle sue foto quella temporalità che, altrimenti, non avrebbero. Entrambi insomma, seppur con le loro differenze, hanno testimoniato coi loro contributi le potenzialità di un rapporto florido fa l'arte fotografica e quella editoriale.  
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Stefano D’Alessandro, corso di laurea magistrale in Arti Visive, Università di Bologna
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enricocassi · 8 years ago
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Lo stage è ideato e condotto da Fabrizio Paladin ed è rivolto ad appassionati, attori, registi, studiosi e drammaturghi interessati a sviluppare o approfondire le tecniche di maschera di Commedia dell’Arte e del Teatro Comico.
Il fenomeno dell’Improvvisa o Commedia zannesca o Italiana, nasce durante la prima metà del 1500 in Italia ed inaugura così il teatro dei professionisti.
Il linguaggio della Commedia dell’Arte è fisico, corporale, non letterario.
Il viso dell’attore è celato e non può più servire per definire i vari stati d’animo del personaggio.
Risulta chiaro a questo punto, vista l’impossibilità di affidare un ruolo fondante all’espressività del volto e alla parola nel trasferimento dell’informazione drammatica, che sarà il corpo, nella sua interezza, a farsi il principale portavoce dell’evento scenico.
Il metodo didattico comincia dall’analisi del movimento espressivo e delle sue componenti: forma, ritmo, velocità e forza. Da questa base si passa allo studio delle tecniche di maschera e dei personaggi fissi della Commedia dell’Arte per raggiungere la presenza scenica.
Lo “strumento maschera” è la radice del teatro e dell’arte attoriale, è la cartina tornasole della presenza scenica.
I personaggi vengono studiati nella loro funzione drammatica, nelle posture, gestualità e andamenti. Un lavoro artigianale che raggiunge la poesia attraverso l’analisi, non attraverso la magia; la risata attraverso il ritmo, non attraverso la battuta.
Il fine è respirare tutti assieme, scena e platea, un unico grande respiro.
Elementi del corso
Conoscenza del movimento: forma, ritmo, velocità, forza
Significati e simboli della maschera
Collaborazione e competizione: attore/personaggio
Pratica: postura gestualità andatura
Estetica del ritardo
Agli allievi verranno forniti batoci e maschere di cuoio tradizionali di Antonio Fava, Carlo Setti e Fabrizio Paladin.
Fabrizio Paladin
Fabrizio Paladin nasce a Treviso nel 1975. E’ attore, drammaturgo, regista e cantautore. Laureato al DAMS di Bologna, autore del libro “Il Teatro e la Maschera” ed. L’Autore Libri, Firenze 2008.
Vincitore del “Premio Omaggio a Giorgio Gaber 2004” di Termoli.
Nel 2015 riceve la nomination come miglior attore al Fringe Festival di Roma con lo spettacolo Dr Jekyll e Mr Hyde.
Nel 2016 vince il primo premio a Stazioni d’Emergenza con lo spettacolo Hamle-tronic al Teatro Galleria Toledo di Napoli.
Ha studiato con Aldo Sassi, Claudio Morganti e con Antonio Fava con il quale ha collaborato per anni come attore (con tournée in Giappone e Hawaii) e insegnante (allo Stage Internazionale di Commedia dell’Arte e alla Scuola Internazionale dell’Attore Comico di Reggio Emilia).
E’ regista e interprete di numerosi spettacoli (Dr Jekyll e Mr Hyde, Impresa Bellissima e Pericolosa, Omaggio a Giorgio Gaber, O Spettacolo Morto de fome e sono, pleno d’amor, A Commedia dell’Arte Solo Show, The Exhausting Affaires of Love, Hamlet Routine, etc..) in Italia, Austria, Germania, Slovenia, Lettonia Ucraina, Portogallo, Israele e Stati Uniti.
Dal 2001 insegna tecniche di movimento, improvvisazione, Commedia dell’Arte e Teatro Comico in prestigiose scuole e università in Europa e dal 2006 insegna negli Stati Uniti .
All’estero dicono di Fabrizio Paladin
Ilan Savir, Director Israel Puppet Center Holon – Tel-Aviv ISRAEL 2016:
E così fu martedì sera all’ Holon’s Puppet. Un masterclass ispirato e di grande forza artistica sotto la guida di Fabrizio Paladin, attore che recita in maschera i personaggi italiani della commedia dell’arte. Un masterclass di quattro ore, che vedeva Paladin impegnato tra insegnamento, direzione e performance di gran virtuosismo, davanti a sette attori partecipi e una folla di dozzine di spettatori. Intenso e generoso, condivideva conoscenza, sagezza, e osservazioni perspicaci sulla recitazione comica e l’arte dell’improvvisazione.
Amanda Huotari, Artistic Director, Celebration Barn Theater. USA 2016:
Abilmente realizzato da un maestro dell’improvvisazione, Fabrizio Paladin “The Exhausting Affairs of Love” è uno spettacolo scandalosamente giocoso che esemplifica in modo bellissimo il fascino senza tempo della Commedia dell’Arte.
Michael Pape (USA):
…Fabrizio Paladin nel suo workshop sulla Commedia dell’Arte e nella sua performance da solista si è rivelato essere un vero maestro del genere…Fabrizio ha impresso nella mia mente un nuovo standard col quale tutti gli artisti della Commedia devono ora reggere il confronto.
Aaron Cromie Mask/Movement Faculty Ira Brind School of Theatre Arts. University of the Arts. Philadelphia. (USA)
Fabrizio è nientemeno che un tesoro del Teatro Italiano ed io non posso che segnalare il suo talento, la sua guida, il suo spirito. La sua comprensione della Commedia è superata solo dalla sua abilità fisica, dal suo intelligente lavoro sulle maschere e dalla sua maestria nell’improvvisazione. Egli non vanta solamente il suo diritto di nascita ad interpretare la Commedia dell’Arte, ma diffonderne la rilevanza, la qualità artistica e l’ilarità è divenuta la sua missione.
Informazioni sullo stage
Lo stage si svolgerà nell’agriturismo La Dindina di Neviglie. La struttura ha a disposizione 3 camere doppie.
I posti verranno assegnati in ordine di prenotazione e successivamente saranno disponibili posti letto in camerata. Per la camerata il contributo sarà inferiore.
Prezzo dello stage 130 €. Lo stage è aperto anche a persone che non pernottano nella struttura ad un costo di 120 €.
I costi sono da intendersi come contributo minimo per ripagare le spese della struttura e il prezzo contenuto è un incentivo per poter promuovere questo luogo anche come spazio di ricerca teatrale residenziale.
Per chi desidera partire il lunedì mattina è possibile fermarsi una notte extra con gli stessi contributi sopra citati.
Orari del seminario
Venerdì 27 gennaio 2017, dalle ore 19.00 alle 22.00 (consigliamo l’arrivo alle ore 17.00)
Sabato 28 e domenica 30 gennaio, dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle ore 14.00 alle 18.00
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danieleneandermancini · 2 years ago
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GRAFFITI DI PELLEGRINI MEDIEVALI SCOPERTI SUL MONTE SION, GERUSALEMME
GRAFFITI DI PELLEGRINI MEDIEVALI SCOPERTI SUL MONTE SION, GERUSALEMME
Cinque secoli dopo il pellegrinaggio di Adrian von Bubenberg in Terra Santa, nel 1466 per precisione, un progetto di ricerca  di Michael Chernin e Shai Halevi dell’Israel Antiquities Authority, che documenta graffiti e iscrizioni dei pellegrini, ha identificato il nome e lo stemma di famiglia del nobile eroe svizzero su una parete nel Complesso della Tomba del re David, sul Monte Sion, a…
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