#Un Disco per la Pausa Pranzo
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undiscoperlapausapranzo · 5 months ago
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Un Disco per la Pausa Pranzo no. 10 - 28 Settembre 2017 - Chris Squire - Fish out of water - 1975
Canzoni:
Hold out your hand
You by my side
Silently falling
Lucky Seven
Safe (Canon Song)
Canzone preferita: Safe (Canon Song)
Musicisti:
Chris Squire: Voce - Basso elettrico - Chitarra a 12 corde (3 e 5) - Batteria (2)
Bill Bruford: Batteria - Percussioni
Mel Collins: Sassofono tenore (3) - Sassofoni soprano e contralto (4)
Jimmy Hastings: Flauto traverso (2)
Patrick Moraz: Sintetizzatore di basso - Organo (3)
Barry Rose - Organo a canne (1)
Andrew Pryce Jackman: Pianoforte acustico ed elettrico
Nikki Squire - Coro (1)
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micro961 · 6 months ago
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Matteo Bonechi: “L’assedio”
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Il cantautore toscano torna con un nuovo singolo, primo estratto dall’album di prossima pubblicazione “L’estate spietata”
«"L'assedio" è un brano che nasce da un momento di pausa pranzo, durante una giornata di aprile con il suo primo timbro estivo. Il pensiero vola a luglio, quando la città diventa teatro dell'invasione silenziosa del sole, costringendo i superstiti a esili diurni refrigerati, in attesa di un presunto sollievo notturno.» Matteo Bonechi
“L’assedio” di Matteo Bonechi è un viaggio musicale attraverso una giornata estiva, un assedio silenzioso del sole che trasforma la città in un deserto. Il ritmo del brano è una clave cubana, dispari negli addendi ma pari nella somma, una sincope che si regge sulla contraddizione. La contraddizione della stagione dei frutti ma anche la stagione del deserto.
Il brano è il primo singolo estratto da “L’estate spietata”, il nuovo album di Matteo Bonechi, la cui uscita è prevista per la fine dell’estate. Registrato allo Studio Volta Recordings da Simone Fedi vede alla batteria Bernardo Guerra, al pianoforte Emanuele Proietti, al contrabbasso Alessandro Berti e al trombone Enrico Allavena.
Matteo Bonechi nasce a Prato negli anni ottanta. Dal 2008 collabora come attore-musicista con la compagnia teatrale Metropopolare contribuendo con la produzione di canzoni originali ad un riadattamento della favola Rosaspina, spettacolo per bambini che conta decine di repliche in Italia. Nel 2012 incontra Andrea Franchi, batterista di Paolo Benvegnù, a cui affida la produzione artistica del suo primo disco “Sono solo tre ore che aspetto” uscito nei primi mesi del 2015. Nel 2018 interpreta “Il nostro concerto” di Umberto Bindi per il corto “Come la prima volta” di Emanuela Mascherini (festival del cinema di Venezia, Nastri d’argento). Nel 2019 è il turno di “181” un concept album su piazza Mercatale in Prato, sempre prodotto da Andrea Franchi, con la partecipazione di Riccardo Goretti, Donald Renda (Annalisa, Tananai, Vasco Rossi), Danilo Scuccimarra (Bluebeaters) e Jordi Roldan. Il 5 luglio 2024 esce il suo nuovo singolo “L’assedio”, anticipazione del nuovo album previsto per la fine dell’estate.
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dudewayspecialfarewell · 4 years ago
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Sfigato Cinasci
Sfigato Cinasci correva sbuffando come una locomotiva sotto un cielo plumbeo tra gli scarichi di benzina, maledicendo quegli esperimenti sociali degli anni ottanta che avevano portato il mezzo privato e il trasporto su gomma ad essere gli unici sistemi di trasporto che funzionassero davvero in Italia. Ottantadue macchine e cinque chilometri si frapponevano tra lui e la sua destinazione quella mattina quando il suo naso diventò una notevole crosta marroncina poggiata sul viso per colpa dell'alta saturazione di carbone, anidride carbonica, ammoniaca, oli lubrificanti e kerosene, sfusi e disciolti nell'aria, saturo di quegli odori mefitici raffreddati alla temperatura di meno due gradi centigradi. Il lavoro di Sfigato Cinasci consisteva nell'aiutare ragazzini con bisogni e disabilità specifici dell'apprendimento. Durante il suo turno di lavoro Cinasci pensava al corso d'aggiornamento obbligatorio che aveva dovuto fare due settimane prima, durante il quale un disabile in carrozzina con la mano destra sfasciata, accompagnato dalla moglie, raccontava di come aveva descritto in un suo libro e prospettato all'intera assemblea l'idea che si creasse la figura istituzionalizzata di assistente sessuale, ossia una persona che aiuti il disabile nella scoperta della propria sessualità e nel compiere l'atto sessuale. Questa figura professionale è stata descritta da Maximiliano Ulivieri, e dopo questo incontro di formazione obbligatorio vennero a galla nella memoria di Sfigato varie storie. Ad esempio mentre beveva il caffè a ricreazione, pregando che la pausa durasse un'eternità, si ricordò della storia di quest'uomo che lavorando ad una pressa si era ustionato gravemente il pene. Dopo una serie di operazioni si era ristabilito, in questo periodo a casa aveva ricevuto delle visite dalla fisioterapista, il cui lavoro se all'inizio era complesso perché doveva gestire un uomo che quasi non camminava, alla fine il suo compito si ridusse nello spalmare crema sulla zona cicatrizzata una volta a settimana. Praticamente si trattava di fare una sega ad un uomo in carrozzina, e la fisioterapista, fidanzata da lungo corso, si sentiva vessata nel fare un lavoro del genere, ma era obbligata per legge a prestare aiuto a quella persona. Diede un ultimatum dicendo all'uomo “Ti faccio una sega, ma tu rinunci al servizio”, l'uomo acconsentì ma poi non volle fare a meno, così la fisioterapista fece ricorso e vinse la causa. Questa storia fa pensare a tutto il bisogno di soldi e garanzie che i disperati possono cercare, perché per quanto i disabili hanno diritto al sesso, ciò non significa che questa cosa possa essere remunerata con i soldi di famiglie disposte a pagare una cifra al mese in cambio del lavoro di personale qualificato e bisognoso di lavoro. Un po' come la storia dell'utero in affitto per i gay o per le coppie eterosessuali: non credo che la Seredova o Belen prestino volentieri il proprio utero per favorire la causa, ma una ragazza madre disoccupata col copro mezzo sfasciato dalla prima gravidanza, non avrebbe problemi a prestare il suo corpo in cambio di una cifra considerevole. Come oggi la professione di OS raccoglie tutti coloro che hanno bisogno di un lavoro e con un minimo di qualificazione, che poi devono essere disposti a pulire il culo ai vecchi.
Mentre Sfigato tornava a casa pensava alla storia che Maximillian gli aveva raccontato il giorno della formazione dicendo che lui aveva represso la sua sessualità finché una sera in un bar ha incontrato una ragazza che chiedeva al bancone di un CD dei King Krimson, e il barista gli ha indicato Maximilian come esperto di musica, così i due sono andati a casa sua e lui le ha prestato il CS. Il giorno dopo gli amici di Maximillan l'hanno informato che quella ragazza era un escort, e gli hanno dato il suo numero, così Maximilian, immagino con i soldi dello stato, abbia preso appuntamento con una escort. I due si danno appuntamento dopo una settimana e si riconoscono sulla porta di casa di lui per via della storia del disco. Fanno all'amore, lui dice che non è stato appagante ma che è riuscito a scoprire la sua sessualità grazie a quella persona.
La terza storia Sfigato la lesse su un blog: una signora in carrozzina arrotondava lo stipendio andando a visitare gli hotel per vedere se davvero abbattessero le barriere architettoniche come dichiaravano i loro siti internet. Aveva iniziato ad inviare ad una sua amica blogger delle recensioni sugli Hotel dove soggiorna per informare il “mondo disabile” se la struttura è davvero adatta ad accogliere persone diversamente abili. Sulla situazione degli hotel la signora e la blogger decidono di farci un video da mandare al programma televisivo le Iene. Dopo una lunga lista di attesa e varie pressioni alla rete televisiva, riuscirono a mettere in scaletta il video. Secondo l'articolo Maximilian
interveni per prendersi i meriti del video, anche a fronte della sua figura di rappresentante dei diritti del “mondo disabile”. La signora lo denunciò e lui chiese che il video non venisse trasmesso.
Era una mattinata tranquilla come può esser la mattina in una scuola media, quando Sfigato, mentre stava facendo il suo solito giro di banchi venne avvicinato da una bambina che voleva parlargli all'orecchio. Lui si fermò e la bambina pareva non parlare, ma lui sapeva che a certi tipi di bambini serve tempo per formulare una frase, così si mise ad osservarla: aveva dei grandi occhi ambrati, capelli ricci ed era la bambina più obesa che avesse mai visto, il culo pieno di cellulite usciva dalla sedia come quello di una trentacinquenne nera in menopausa. Comunque la bambina gli disse di non sentirsi bene e di voler uscire. Si misero fuori dall'aula e la bambina iniziò a a raccontare che prendeva delle medicine, che era schizofrenica e che sapeva che le medicine che doveva prendere le facevano male alla pancia, il medico gli aveva detto di prendere i fermenti lattici ma erano tre mesi che la madre si dimenticava di comprarglieli e la bambina si svegliava ogni notte era le due e le tre per andare di corpo. Non mangiava, ma aveva il corpo gonfio dal cortisone e una pancia esagerata per via dell'accumulo di merda. Sfigato pensò che fosse il caso di chiamare la bidella, che continuava a ripetere “Ha la febbre! Ha la febbre!”. I professori continuavano a passare facendo finta di andare a prendere qualcosa da qualche parte per vedere come il pivellino gestisse quella patata bollente. In un mondo razionale una bambina che si trova in un evidente rischio di blocco intestinale ha bisogno di un clistere e lassativo immediato perché è evidentemente piena di merda, quindi gli si da quello che gli serve per stare bene, in un mondo come questo dove i genitori fanno dei lavori di merda e pretendono di crescere i figli tra la pausa pranzo e la sera dopocena, non puoi dire ad una bambina di dodici anni la parola “clistere”: in primo luogo perché non sa cos'è e forse è talmente rincoglionita da non sapere nemmeno dov'è il proprio buco del culo, due perché non capisce come funziona e terzo perché se la madre la sente ripetere “ dovrei farmi un clistere, me l'hanno detto a scuola” a casa potrebbe accusare la scuola di usare un linguaggio scurrile e non adatto ai bambini o potrebbe dire direttamente che in quella scuola consigliano ai bambini d'infilarsi degli oggetti cavi che sprizzano acqua nel culo, notizia che sarebbe ripresa immediatamente, perché già confezionata, da qualche blog locale che la sponsorizzerebbe su Facebook con 5 euro per far leggere il titolo, perché la gente non legge più gli articoli, né distingue tra un'accusa di reato da una condanna. Tutto ciò rende la situazione per Sfigato molto difficile, così si fa dare il numero della mamma della bambina dalla bidella e inizia a chiamare casa, la bidella vorrebbe che Sfigato gli spiegasse la situazione ma lui si defila perché ha capito il rischio, si avvicina alla bambina e gli dice di ripetere alla madre “Mi sa che stò male perché non ho preso le medicine che mi dovevi dare tre mesi fa” è una frase geniale, ha un doppio taglio: umilia la madre che sa che altri stanno ascoltato la figlia e la taccia come una che non ha a cuore la prole, e due da alla figlia i farmaci che le servono comunque per cagare. Ma è uno sforzo inutile, il giorno dopo la bambina viene ricoverata al pronto soccorso per un blocco intestinale, i professori ne parlano piano e dicono “ Forse avremmo dovuto dire alla madre di farle un clistere”.
Questa cosa cadde come un masso invisibile sopra la testa del povero Sfigato. Gli impegni settimanali lo assorbirono come il gomitolo di strade di Ungaretti assorbe l'acqua, che casca dalla tavola a per terra, ma alla fine un pomeriggio in cui si stava facendo una riunione con i colleghi civilisti iniziò a parlare della ragazzina del clistere: prima cercando di collegarla al discorso di cui stavano parlando, poi sembrò virare sulla lamentela, infine alzò al voce come a dire di aver bisogno di sfogarsi, esagerò e si scusò con i presenti, e appena arrivato a casa pianse lacrime calde. Una bambina di 12 anni aveva dovuto portare in grembo chili di merda perché non era stata curata a dovere a il posto dove passa più tempo sotto la supervisione di adulti non po' intervenire sostanzialmente perché la madre della bambina non sa un cazzo sui problemi della figlia.
Dopo essere rientrato alla sua parca mensa e sporca tana Sfigato passò non troppo tempo quando sognò di trovarsi in uno chalet sulla spiaggia, vestito con la camicia da festa insieme ad altri amici e amiche. Allo chalet tutti quando arrivano si salutano, si scambiano i convenevoli e poi si siedono a
tavola per mangiare, ma quando è l'ora di andare nessuno lo chiama, così rincorre una ragazza lungo un sentiero di pietra che s'immerge in una radura vicino alla spiaggia, il tracciato arriva fino nella hall di un hotel, che è una specie di crocevia dei vari luoghi adibiti alla festa di quella sera. Questa è una festa per soli VIP dove possono entrare solo persone selezionate e valanghe di super modelle. Il PR smontante che sta tornado a casa dopo aver passato il giorno a vendere prenvendite spiega queste cose al reseptionist della hall dell'hotel mentre Sfigato, acquattato sotto le scale, ascolta in silenzio. Sfigato, proprio perché è senza figa da parecchio tempo decide di uscire fuori, e segue il sentiero che s'immerge nella natura, finché dopo una lunga curva scorge la festa e i corpi seminudi e bagnati che si strusciano gli uni sugli altri, è un bagno frenetico e bellissimo di corpi e ormoni, osserva il bikini a fantasie nere su sfondo bianco di una ragazza, e poi si sveglia.
Sfigato vorrebbe intensamente sborrare in faccia a Angela dopo aver avuto un rapporto sessuale con lei e dopo averla vista bagnare di sperma, spruzzando liquido seminale come un gavettone su un finto tappeto persiano. Si segava su di lei e la cosa peggiore era che lei era anche la sua coinquilina. Sfigato Cinasci pensava dopo ogni sega alla faccia di lei, pensa che avrebbe dovuto chiederle di uscire, ma lui sa che lei non avrebbe accettato mai. Era una ragazza simpatica, spigliata con un mediocre senso dell'umorismo e una famiglia di fede cattolica, e aveva mediato il suo posto nel mondo. tra una pratica tipica degli intransigenti della religione e un modo di vivere che non lasciava intravedere all'apparenza i suoi valori morali ma che la faceva sembrare una semplicissima ragazza di vent'anni. Sfigato pensava di poter essere il suo Caronte nel mondo della perdizione ma più semplicemente pensava che quella doveva provare un recondito e masochista piacere nel negarsi il cazzo. La verità era che Sfigato oltre ad essere senza figa era anche molto pigro e l'idea di avere la figa in casa lo mandava in estasi, lui ora voleva la maledetta sicurezza che alberga in chi ha la ragazza ed ha già la scopata assicurata. Non ne poteva più di sbattersi per trovarsene una, avrebbe scalato pure il K2 pur di avere un minimo di sicurezze assicurate. In ogni caso pensava che poteva adattarsi a chiunque ( non pensava che chiunque avrebbe dovuto adattarsi a lui) era talmente abituato ai rifiuti che essere abbandonato non gli 'importava, l'unica cosa che contava davvero era essere svuotato e continuare per la sua strada, e se la relazione funzionava tanto meglio.
Era il 20 dicembre e Sfigato aveva ricevuto finalmente la sua lettera di accettazione per l'Amsterdam Businness School che gli era costata 300 euro di biglietto aereo, quattro lettere di raccomandazione e due anni di esami fatti alternandoli a lavori di merda. Ma c'era riuscito. Era stato ad Amsterdam in gita di quinto superiore e una cosa non si era mai perdonato: non essersi mai davvero divertito. Per quella vacanza aveva solo i soldi per permettersi una cannetta, così mentre i suoi amici scopavano con delle ragazze che erano sosia di pornostar vestite da infermiere sexy, avvocatesse etc. lui accompagnava le compagne di classe a fare shopping e le leccava la figa senza essere ricambiato e lo faceva solo per sentirsi accettato. Per due anni aveva tenuto duro, ma adesso avrebbe potuto fare un'università prestigiosa ed essere a contatto con persone ricche che gli avrebbero procurato lavori e contatti e avrebbe potuto vivere tra sesso droga e rock and roll tutta la vita. Ovviamente tutto ciò albergava nella sua immaginazione, ma finché lo rendeva felice, e dato che non rompeva il cazzo a nessuno, perché non concedergli tale illusione? Infatti una perdona abituata a sgobbare per tanti anni non farà altro che mantenere le proprie abitudini così, Sfigato si sarebbe ammazzato di lavoro in terra straniera senza vedere neanche un pelo di fica, mezzo cocktail o un avanzo di aspirina come droga, nemmeno per sbaglio.
Una sera di dicembre Sfigato stava festeggiando in casa di amici era ubriaco e quella notte si gelava, a meno sei gradi, e senti la solitudine in quella strada piena di gelo. Chiamò la Pantera che viveva a due passi da dove si trovava: era la più bella puttana che si fosse mai vista in circolazione. Lei era stata la dirimpettaia di Sfigato per circa due anni, mentre si avvicinava alla sua alcova rifletteva sul fatto che che l'ultima volta che l'aveva vista stava passeggiando per strada, fuori dall'orario di lavoro, con suo figlio di appena quattro mesi nel passeggino. Finché qualcuno di facoltoso non l'ha vista e il suo pappone non l'ha costretta agli straordinari mentre lui badava il
bambino. Sfigato compose il numero sfilandosi i guanti ma nessuno rispose, il telefono squillava a vuoto, così arrivò sotto casa sua e citofonò, gli aprì il protettore che constatò quanto fosse sbronzo il nostro protagonista, ma in fondo per lui una persona in più significava solo più soldi. Sfigato mostrò all'omone una banconota da cinquanta euro, quello rispose con un gesto che significava “ Dammene ancora”, Sfigato mollò cento euro e il protettore lo lasciò salire per le scale verso il piano di sopra. Nonostante l'ora, il freddo e il fatto che puzzasse di alcool il suo arrivo provocò grandi festeggiamenti: il primo che venne ad abbracciarlo fu il compagno della Pantera, Sfigato gettò un occhio nel lettino dove stava il piccolo che oramai aveva quattro anni, vennero a salutarlo anche una collega della Pantera e il suo ragazzo. Anche se era passato del tempo e quando erano vicini avevano fatto si e no un paio di cene, Sfigato credeva che a quella gente facesse piacere vedere una faccia nota sul posto di lavoro. Poi la Pantera prese Sfigato e andarono nella camera dei clienti, lui chiese un pompino perché tutto quel calore umano lo aveva messo a disagio: come faceva il marito a non essergli ostile? Perché aveva pensato di venire lì dove potevano rubargli il portafoglio? Avrebbe sicuramente passato i prossimi tre mesi a fare carte su carte per rifare tutti i documenti e questo solo perché gli era venuta voglia di scopare. Sfigato poggiò la mano sulla fronte della Pantera e sentì che era bollente, e mentre stava venendo nel preservativo iniziarono a venirgli tutta una serie di paranoie legate al fatto che quella donna potesse avergli attaccato la meningite, la labirintite, l'AIDS, etc. come ogni fottuto maledetto borghese che si preoccupa sempre prima dei propri affari e poi dei cazzi dei altri. Tornai a casa e il giorno partì per la casa parentale dalle mura parietali nella quale trascorrere il Natale con il parentame.
Al riguardo dei rapporti natalizi col parentame mi sorge in mente un'altra storia: quando frequentavo l' università sono andato dallo psicologo più volte per via del fatto che manifestavo una sintomatologia simile a quella dei malati di disturbo bipolare. Inizialmente l'ufficio non aveva preso in considerazione il mio caso, ma poi trovai uno psicologo che non aveva nulla da fare in quello stesso ufficio che mi pese in carico per riempirsi il tempo. Non avendo molto lavoro passava le giornate a cercare altre occupazioni. In capo a un anno era riuscito a diventare associato ad uno studio di consulenza psicologica della città di Poco Distante. E lui lavorava chiuso in questo studio durante le vacanze di Natale e quelle di Pasqua sostituendo i presunti colleghi in ferie, come un disperato perché è in questo il periodo in cui la gente deve rivedere i parenti e si deprime di più del solito nel sentire pesare su di sè i giudizi della famiglia e degli amici, che si permettono di tirare una riga su ciò che si è fatto e si mettono a fare la resa dei conti, tra una tombola e una partita a carte. In pratica tra straordinari e nuovi clienti privati che si fa questo psicologo guadagna di più durante le festività natalizie che durante tutto il resto dell'anno. Viviamo in un'epoca in cui la famiglia è diventata una fonte di morte che ci porta ad essere insicuri, titubanti, castrati e stitici di sentimenti, come potrebbe diversamente con tutti quei valori tradizionali che si porta dietro e dei quali potremmo fare a meno, anzi quei valori che dobbiamo uccidere perché non hanno più niente a che vedere col mondo di oggi e che ci rendono solo infelici.
Facciamo lavori di merda. Questo è il mio giorno libero e stò scrivendo questo racconto ma domani dovrò continuare a lavorare e questo racconto mediocre non sarà mai osannato da nessun giornale, o nessuna ragazza busserà alla mia porta per farmi un pompino per questo racconto, per come vanno le cose in Italia ora, al massimo queste parole potrebbero procurarmi un po' di fica dopo essere morto. Le cover band fatte da gente che fa lavori di merda alienanti dove sei costretto a fare RID bancari o a compilare stupidi moduli per gente stupida otto, nove, dieci, dodici ore al giorno a fine giornata non hanno la capacità di fare qualcosa di originale, infatti si attaccano alla creatività altrui a quella di artisti già scarsi, nei quali s'identificano. In pratica lavorano come delle merde e s'identificano con artisti che sono un po' meno merde di loro ma pur sempre delle schifezze. Ma c'è un motivo che accomuna me e loro: abbiamo bassissimi livelli di autostima, non ci stà bene il fatto di esser sottopagati e di fare un lavoro di merda, no a noi non ci da fastidio la merda ma ci da fastidio il fatto di essere le ultime delle merde, abbiamo anche sogni banali non desideriamo essere
dei grandi ma solo un po' meno merde degli altri.
Io ho due sedie rotte sopra l'armadio, le zampe di ferro piegate si sono staccate definitivamente dal seggiolone, e sembrano di quelle opere artistiche che crescono al centro delle pizze di cemento armato delle rotatorie. Le ho distrutte saltandoci sopra col culo, e ci salto sopra col culo perché faccio finta di suonare la batteria in camera mia con due manici di legno che originariamente servivano a mescolare l'insalata. Ma questo è solo l'antipasto: sono esattamente sette anni che faccio questo da mezz'ora a tre o quattro ore al giorno, che tamburello ovunque con le dita, bicchieri e bacchette cinesi, ma non suono la batteria. Da due anni sono ossessionato dai Black Sabbath. Ho sognato di andare in tour con loro, mi sono fatto una playlist mentale delle variazioni live che hanno fatto dei loro brani su cd, che riproporrei se avessi una mia cover band dei Black Sabbath. La cosa straordinaria è che io non solo non so suonare bene e non m'interessa andare a tempo o studiarmi tutti i ritmi possibili per suonare, a me interessa essere osservato dai miei compaesani, da amici e parenti mentre suono quella che per me è musica celestiale, quindi sicuramente non i Black Sabbath dato che ogni tentativo in Italia di farne una cover band si è trasformato in un fallimento. Ma io continuo a zompettare su questa sedia e far finta di suonare e m'immagino folle di gente che mi osannano perché sogno di poter essere accettato da tutti come lo sono tutte le rockstar che vengono accettate anche se sono dei fottuti maniaci psicopatici, ecco io quello voglio: essere accettato dagli altri pur essendo pazzo e mediocre. Poi quando rinsavisco mi metto a scrivere questa merda qua, sennò in genere un mio live finisce con un applauso scrosciante io sudato che non mi lavo, mi butto direttamente a letto e sogno una splendida ragazza che mi fa un pompino, e mi addormentato segandomi.
E ora torniamo al nostro eroe.
Sfigato era mal sopravvissuto ai festeggiamenti natalizi, soprattutto la nevrosi per essersi preso qualche malattia dalla Pantera era esplosa quando aveva registrato 38 gradi centigradi come temperatura corporea. Quella sera raggiunse a piedi un suo vicino di casa per sfogarsi, e nell'atto di gridare quanto misera fosse stata la sua vita, per rendere più pomposo il discorso decise di usare il termine meningite per identificare la possibile malattia passatagli dalla Pantera. Subito, lo sgomento del vicino di casa che lo stava a guardare, gli fece capire che quella non era stata una buona idea, in seguito una decina di persone fu informata del fatto che forse lui aveva contratto quella malattia, che se non curata è potenzialmente mortale. Ma questo non preoccupava Sfigato che era abituato a quel genere di errori. Purtroppo per lui nel paese dove soggiornava era altresì tacciato di essere un cazzaro, questa tesi era in particolar modo sostenuta da Capo che nell'ultima discussione con Sfigato al riguardo aveva citato un episodio di cazzata massima pronunciata quattro anni or sono che aveva provocato l'approvazione generale dei pochi amici di Sfigato e un mese di analisi quotidiana per lui. Il vicino di casa di Sfigato e Capo s'incontrarono al supermercato per la spesa di Natale, e il vicino parlò a Capo di quella storia della meningite. Quando Sfigato lo venne a sapere dal suo vicino rimase di sasso: il peso che aveva per lui la nomea negativa di essere un cazzaro lo distruggeva dentro, così per la semplice paura che Capo sostenesse di nuovo la tesi per cui qualunque cosa egli affermasse restava come e comunque un cazzaro, per evitare di sentirsi dire questo decise di passare il capodanno sotto le coperte guardando Gigi d'Alessio a Civitanova e trangugiando una mezza bottiglia di champagne e un bottiglione da due litri di whisky.
Sfigato tornò al suo solito lavoro che includeva inevitabilmente altre ore di formazione obbligatoria. Fu lì che incontrò Psyco. Sfigato si era inventato un'auto regola che infrangeva solo quando gli faceva comodo: si dava centoventi secondi di tempo per decidere se una ragazza gli piacesse o no, era un modo come un altro per selezionare il numero di persone che potevano entrare a contatto con il suo già delicato equilibrio fisico mentale. Psyco passò questo breve test sorridendo e sostenendo che i social fossero inutili e dannosi. La cosa sembrava a Sfigato come la parodia di un sofismo greco in chiave moderna e quasi lo intrigava stare lì a parlare con una che sosteneva una tesi per
quanto plausibile, incompatibile con la realtà che non avrebbe comunque portato ad una regressione dell'importanza dei social nel mondo della comunicazione. Decise di chiederle di uscire e lei accettò. S'incontrarono nel mezzo di una piazza , tipico posto in cui gli appuntamenti naufragano miseramente perché tra la moltitudine non ci si vede, i punti di riferimento sono differenti e soprattutto ad un certo punto ci si scazza e se ne torna a casa. Ma i due s'incontrarono in mezz'ora riuscirono ad organizzarsi la giornata, andarono a mangiare al ristorante, e una volta finito il desinare decisero di andare a casa di lei, che viveva dall'altro capo esatto della città rispetto al ristorante dove stavano. La ragazza aveva accettato in poco tempo di uscire e in meno di due ore da quando si conoscevano lui stava finendo a casa sua e la cosa lo eccitava moltissimo, credeva di poter porre finalmente fine a tutte le sue sofferenze da sfigato ma non aveva capito a che cosa stava per andare incontro. Lei iniziò a raccontare della sua vita “ Da quando sono qui a Kittesencula mi sono fatta vari scopamici: il primo era una specie di tipo che mi facevo in vacanza e che saltuariamente veniva a trovarmi qui anche d'inverno, ma me lo sono fatto mentre stavo con un altro che è stato il mio grande amore e che mi manca tanto, e prima di lui ho avuto un tipo che conosci, si chiama Balano, guida i treni “. Prese fiato e accelerò la corsa, Sfigato doveva correre per stare al passo con lei facendo strada. Continuò dicendo “ balano mi ha chiesto d'uscire perché diceva che ho un bel culo, ce l'ho no?” disse girandosi a controllare, come se le sue terga fossero cambiate nelle ultime due ore e continuando “ E poi niente siamo andati al pattinodromo e siamo diventati scopamici” . Lui stava a Milano e veniva nella piccola provincia italiana di Kittesenkula solo di tanto in tanto. La storia finì a Natale, come in un libro scritto male, con lui che va a festeggiare in Natale a Roma senza passare per Kittesenkula. Lui l'aveva sfruttata e buttata via come un tampax usato, lei glielo aveva detto e lui non l'aveva contraddetta. Il cuore di Sfigato stava battendo all'impazzata per la corsa, per il nervosismo, e non aveva ancora capito se avrebbe fatto sesso con lei oppure no, l'astinenza come una carogna lo stava divorando dall'interno, doveva rispondere in modo appropriato in modo da far colpo, ma non aveva parole, quello che lei stava dicendo sconvolgeva i suoi valori di classico tradizionalismo cattolico, era uno di quelli che credono ma non vanno in chiesa, i peggiori, e non aveva idea di come riuscire a dire qualcosa d'intelligente. Arrivarono alle porte di un parco che non conosceva, era buio e la strada era mal illuminata, faceva freddo e adesso sfigato il sangue gli si stava gelando nelle vene, le sue parole iniziavano a sembrare il belato di un agnellino, lei gli raccontava del suo ex che tutti conoscevano come quello che aveva attaccato una presa multipla cinque computer, ed era riuscito a far saltare l'impianto elettrico di una sala computer in manutenzione. Lui rise e lei gli rispose “Hai paura vero? È un luogo che non conosci sono una persona che non conosci e che ti stà sorprendendo, i tuoi valori crollano come il tuo cinismo dietro il quale nascondi delle abissali carenze di affetto”.A questo punto Sfigato era raggelato, abbassò lo guardo e con voce flebile disse semplicemente “ Ma come hai fatto a capirlo?”. Psyco ripeté la storia dei suoi scopamici più e più volte, e non la diede mai a Sfigato che aveva incontrato una donna che c'aveva messo mezz'ora a capire chi era a buttarlo via proprio perché aveva capito chi era.
A perenne ricordo di Jack London ricordiamo che lui difendeva la sua scrittura dicendo che nella vita degli uomini che fanno lavori di fatica, la vita a questi si presenta come un imbuto, che sulla sommità vedi gli uomini giovani che riescono a tenere il ritmo dei lavori pesanti, e poi anno dopo anno scendono verso il bordo dell'imbuto e guardano chi c'è di sotto, quelli che il lavoro li ha consumati e non riescono più ad andare avanti, così nella vita, secondo il grande scrittore, bisogna lavorare d'ingegno per cercare di salvarsi in modo da avere un salvagente o un paracadute che protegga dall'inevitabile caduta del tempo. Dopo questo racconto mi verrebbe d'aggiungere che anche nella via, gli eventi che ci plasmano, dovrebbero essere per lo più mirati a migliorarci e a non renderci schiavi delle paure e nevrosi, che portano al buio , alla paura e all'inevitabile caduta senza sconti.
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emaluck · 4 years ago
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Preparativi (2)
Questa cazzo di sveglia non è mai stata così assordante. Scendendo dal letto rischio quasi di cadere, mi lavo la faccia e scendo a fare colazione. Magari del Jazz può aiutare a svegliarmi, prendo un disco a caso dallo scaffale, penso fosse di Gil Evans ma in quel momento non capivo nulla: ieri sera sono andato a letto alle 3 cercando di capire come funziona il ricevitore… invano! So che devo costruire quella roba ma il mio problema è che non so nemmeno da dove iniziare.
Sorseggiando il caffè mi metto a leggere qualche pagina:
Ricevitori base di onde radio, I° capitolo
“Un ricevitore opera sempre in maniera duale ovvero opposta o inversa a quanto fa il trasmettitore in modo da ripristinare l'informazione contenuta nella sorgente informativa iniziale depurando il segnale ricevuto dalle operazioni di elaborazione messe in atto dal trasmettitore e necessarie per la trasmissione efficiente sul canale come la modulazione e la codifica di sorgente e di canale”
Neanche a dirlo mi passa la voglia di studiare molto velocemente, non ci sto capendo nulla. Decido di prendere una pausa, l’orologio segna le 12: è quasi ora di mangiare.
Se pranzo ancora una volta con pasta al tonno potrei svegliarmi a nuotare nel mare di Trapani. Purtroppo il cibo in scatola è l’unica cosa che posso mangiare, tutto ciò che scade sarà già marcito da un sacco di tempo nei supermercati, cosa darei per avere qualcosa di fresco… l’unica soluzione a questo problema è andare nei terreni fuori città a raccogliere qualcosa, mio padre ne ha uno ma io non me ne sono mai interessato, lui è l’unico col pollice verde in famiglia.
Vado in moto nella campagna di papà, arrivato lì raccolgo qualche verdura dall’orto e un po’ d’uva dal vigneto.
Sulla via del ritorno passo da un negozio della ditta Bose a prendere lo speaker per il ricevitore: rompo la porta vetri con nonchalance (ormai sono uno scassinatore esperto) ed entro nell’edificio; questo negozio per me è un mondo del tutto nuovo, fa un certo effetto vedere che i libroni con cui cerco di studiare gli elementi principali di cui sono costituiti questi aggeggi si traducano in componenti e dispositivi a volte non più grandi di un pollice; l’immenso spazio in cui mi muovo è diviso in vari reparti, all’inizio di ogni reparto pende dal soffitto un enorme cartello con su scritto il nome della sezione: è come se tutto il negozio fosse un gigantesco mobile composto da piccoli cassetti allineati uno accanto all’altro. Quando trovo il reparto audio mi metto a cercare gli speaker, purtroppo senza successo. A questo punto mi balena in mente l’idea di andare a controllare in magazzino, dopo aver trovato l’uscita che da sul retro oltrepassandola vedo una porta a vetri di un piccolo ufficio lasciata aperta: dall’esterno si può intravedere un bancone con sopra disposti in maniera ordinata dei componenti elettronici, entro nell’ufficio ed avvicinandomi al banco vedo che nella parte inferiore c’è una radio in manutenzione. Sembra che il commesso che ci stava lavorando avesse quasi finito di ripararla, resta da montare solo il pannello che copre i circuiti, una bazzecola rispetto ad assemblare una radio da zero. Dopo aver messo a posto il pannello la accendo non so per quale motivo e l’entusiasmo di un attimo fa svanisce nel rumore sordo del fruscio di fondo.
Torno a casa con la refurtiva nelle borse della moto. Decido di prepararmi qualcosa da mangiare con quello che ho raccolto e, in un gesto violento e quanto mai liberatorio, faccio cadere i libri dal tavolo.
Successivamente sparecchio e metto in ordine, il resto della giornata lo dedicherò a fare i bagagli e a preparare tutto per la partenza.
Domani sveglia all’alba. è il grande giorno!
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emanuelepinelli · 6 years ago
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Ritorno a Isengard
                                      (Romania on the road - ultima puntata)
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“Unde mergi?”
“La Sighetu”.
“Şi noi. Vii!”
Il bagaglio di Massi era stato recuperato. Qualche ultimo sporco caffè e una pinta di birra erano stati consumati, in compagnia di pensionati e di operai in pausa pranzo, dentro quei localetti cadenti, metà spacci e metà saloon, che trovavamo sul ciglio della strada o all’imbocco dei villaggi. Ci guardavano più straniti che indispettiti, i loro avventori. Nessun viaggiatore proveniente da un paese ricco si sarebbe mai andato a ficcare in posti del genere, dunque io e Massi, per loro, dovevamo essere matti, e in quanto matti, in fin dei conti, dovevamo essere innocui.
Adesso facevamo rotta verso la base. Attorno a noi, come i palchi e i corridoi di un teatro dell’opera, si aprivano i colli e i ruscelli del Maramureș. Poi abbiamo intravisto quel ragazzo che faceva l’autostop. Stessa destinazione, quasi stessa età, lo carichiamo subito.
“Ma voi non siete di queste parti. Di che regione siete?” ci chiede dopo un po’.
“In realtà siamo italiani!” sorrido. “Stiamo andando a Sighetu perché a luglio avevamo lavorato là come volontari per due settimane…” e via con tutta la nostra saga. E lui con la sua. Studiava in un liceo informatico in città, ma ogni tanto, come quel pomeriggio, andava a trovare la nonna nella sua fattoria di campagna: non avendo una macchina, ci andava in autostop.
Maramureș – Munţi Rodnei – Bucovina – Moldavia – Sighișoara – Maramureș, il nostro cerchio si stava per chiudere. Ed era stato un cerchio piccolo, se consideriamo che la Romania è estesa quasi quanto l’Italia continentale (238.000 kmq contro 260.000). “Il Pugno”, così dicono i rumeni come noi diciamo “lo Stivale”, è denso di montagne da aggirare, vallate, foreste ancora intatte, fiumi dalle anse sinuose, alture da valicare. La rete stradale, costruita in gran parte dall’Unione Europea, è tuttora gratuita e sicurissima, ma snella, quasi sempre con una sola corsia a salire e una sola a scendere. È un territorio che ti impone tempi di viaggio lenti e meditativi. E che ti impone brucianti rinunce. Come il suo Dio.
Sì, era l’ora dei rimpianti. L’ora delle occasioni perdute. Accarezzavamo con la fantasia tutte le mete alle quali avevamo dovuto rinunciare, perché erano fuori dalla nostra portata. Il Delta del Danubio, la più grande riserva di uccelli selvatici in Europa, dove ci si può muovere soltanto in barca. Oradea, perla del Liberty e della Secessione al confine con l’Ungheria. La stessa Bucarest, dove erano in corso delle proteste che la polizia ha represso nel sangue, proprio mentre a Cluj impazzava l’Untold, il più affollato festival di musica elettronica del vecchio continente.  
Non è che avevamo sbagliato tutto?
Poteva darsi.
Avevamo ancora quattro o cinque giorni prima del rientro finale in Italia. FedEle, la nostra brava puledra, la mattina dopo l’avrei portata a farsi bella all’autolavaggio e l’avrei riconsegnata. Cosa avremmo potuto fare, senza di lei? Dove andare?
Le attrazioni della zona le avevamo già più o meno visitate con il gruppo dei volontari. Quello che vedete nella foto, per esempio, è il monastero di Săpânţa, l’edificio in legno più alto d’Europa: un ibrido stupefacente fra le forme gotiche, l’impianto bizantino e il materiale prediletto dall’architettura nordica.
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Poco distante, il Cimitero Dipinto. Qui, a partire dagli anni ’70, un artista si è messo, di buona lena, a dipingere le tombe una per una: sul fronte il mestiere che faceva il defunto, sul retro la sua famiglia, e in basso il riassunto della sua vita in rime baciate.
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Le immagini sono allegre e colorate, ma le storie sono strazianti. “Marito mio, in che momento difficile ti ho lasciato!” dice una donna di cui subito sotto si scopre che è morta a 32 anni. O il violinista del paese, che racconta: “Quando arrivavo a un matrimonio e mi mettevo a suonare, io mi divertivo, a tutti piaceva e si stava bene tra amici. Ovunque facessi feste, la mia voce era conosciuta…ma quando sono tornato a casa, lungo la strada mi aspettava la morte”. Mi ha riportato alla mente un violinista rumeno che suonava per strada dietro la mia facoltà. Mi raccontava che quando era in patria si esibiva, più o meno, a un matrimonio ogni settimana. La festa durava tre giorni, e poi, con quel che aveva guadagnato, andava avanti per altri quattro, fino al matrimonio della settimana dopo…
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Non ci eravamo fatti mancare neanche i paesaggi dei Monti Apuseni, tagliati così fuori dalla civiltà che in alcuni villaggi l’elettricità è arrivata solo nel 2005. E non ci eravamo fatti mancare la miniera di Sulda, dove invece la civiltà è arrivata fin troppo, visto che sul fondo di questa vecchia cava di salgemma ora c’è un parco divertimenti con tanto di tavoli da biliardo, campi da tennis e ruota panoramica. Per non parlare, poi, delle barchette romantiche in stile Villa Borghese…insomma, quel precipizio di 150 metri oggi tutto fa immaginare meno che Balrog dalle ali incandescenti e tamburi nelle tenebre.
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Sighetu, invece, è gremita di sinistre memorie sul ‘900. Lì, data la prossimità con l’Unione Sovietica, si trovava il carcere per i prigionieri politici del regime comunista, quello che oggi è il “Memorial”. Una specie di immensa via Tasso dove hanno finito i loro giorni i membri dei “vecchi partiti” “borghesi” e “nemici del Popolo”, già provati dagli anni terribili in cui il dittatore militare Antonescu aveva consegnato il paese nelle mani di Hitler. E, a proposito di Hitler, la sinagoga di Sighetu, che in quanto città di frontiera era abitata quasi per metà da ebrei, era stata il punto di raccolta per le future vittime dei campi di sterminio. Tra di loro un ragazzo che sarebbe diventato uno scrittore premio Nobel per la pace: Elie Wiesel.
L’atmosfera che si respira per le strade è tuttora carica di pesantezza. Lungo il corso principale, appena caduto il comunismo, le varie confessioni religiose hanno fatto a gara a chi ricostruiva non la chiesa più bella, ma la chiesa più grossa, per intimidire i rivali. Sproporzionate per un paesetto di 40.000 abitanti, ti compaiono davanti tutte in fila la chiesa romano-cattolica, quella greco-cattolica, quella ortodossa, quella riformata, quella avventista…e altre che sono rimaste allo stato di scheletri di cemento abbandonati, una con una torre campanaria che pare la brutta copia di Isengard. Quando cala la notte non c’è granché da fare, cosicché tanti giovani si danno alla vita degli orchetti: chi beve, chi sniffa colla, chi allunga le mani, chi scatena risse con futili pretesti. Il lato oscuro del mondo tradizionale si svela all’ombra di quella torre, in tutta la sua tragicità: poliziotti che non usano i guanti di velluto, ospedali psichiatrici che spesso inghiottiscono criminali comuni, ragazzine che si abituano fin dalla pubertà a esercitare quel fascino ferreo e volitivo delle orientali, che in realtà si basa su un presupposto teorico ben chiaro: che il maschio sia un troglodita sciocco, da blandire, coccolare, comandare e sgridare come si fa con un animale domestico, perché provare a ragionarci sarebbe fatica sprecata. D’altro canto, non è che i maschietti si sforzino molto di smentire questo pregiudizio…in queste terre, va da sé, un’accettazione pubblica dell’omosessualità è ben di là da venire, mentre una coabitazione pacifica con i musulmani (che fino all’altroieri erano gli invasori, i taglieggiatori, gli schiavisti) è semplicemente inimmaginabile.
Una terra di missione in piena regola, questo sputo di mondo in cima al Maramureș, una terra che ha ferite, che ha bisogni, che ispira un mare di orrenda tenerezza. La famiglia Tinc, che ci dà un tetto sulla testa per la notte del 5 agosto, è un’oasi di luce, di umorismo e di apertura in questo grigiore. Si direbbe che è stata trapiantata qui da un musical di Broadway. I Ministri della nostra Repubblica la bollerebbero, indignati, come “radical chic”...e i Tinc farebbero bene ad andarne fieri.
Il parco auto del paesino è composto da vecchie Dacie Logan traballanti + una Ferrari gialla. Il che la dice lunga sul modello di “sviluppo” che si è affermato qui. A me e a Massi, però, in quel momento importava poco, visto che eravamo definitivamente appiedati.  
Un’idea, però, ci era venuta. Ci era venuta giorni prima, mentre chiacchieravamo del più e del meno, tra il sopra e il sotto del letto a castello, disturbati solo dal rumore dei grilli, nella camerata del monastero di Sihla.
“E se andassimo a Budapest?”
Perché no? Distava solo otto ore di pullman da Sighetu, e da lì avremmo potuto prendere un aereo per l’Italia ad un prezzo molto più accomodante. Inoltre, i primi giorni di agosto erano proprio quelli in cui si teneva il famoso festival di musica sulla famosa isola in mezzo al Danubio. Infine eravamo stati ospitati spesso da famiglie della minoranza ungherese, il che ci aveva incuriositi e ci aveva messo voglia di vedere almeno il meglio dell’Ungheria. Valeva la pena di fare un salto oltrefrontiera. Oltre quella contesissima frontiera.
E così, ci preparavamo a lasciare la Romania.
Ma che cosa lasciavamo, di preciso?
Lasciavamo una parte del mondo sconfitta, marginale, tagliata fuori da tutte le dinamiche che contano, inadeguata, lasciata a secco, affezionata alle sue tradizioni e insieme cosciente del suo disincanto. Una terra addolorata e ostinata, umiliata e sprezzante, dove convivono la  praticità e la contemplazione, dove ogni ragazzino sa aggiustare un motore o un orologio, ma c’è chi piange ancora sulle icone. Un popolo che ha qualcosa di magico, e che ci somiglia molto di più di quanto immaginiamo. Magari non proprio a tutti tutti noi occidentali, ma almeno a chi di noi si sente un disco rotto di canzoni fuori moda, che la modernità ha scaraventato senza troppi complimenti nel secchio della differenziata. Senza, al contempo, riuscire a deluderlo così tanto da fargli rimpiangere il vecchio mondo con le sue atrocità. Sospesi, né carne né pesce, senza un chiaro destino di fronte: c’è qualcosa, in fondo, che accomuna loro, i contadini che ancora trebbiano con la falce, e noi, i frutti rammolliti di un’istruzione superiore troppo, troppo all’antica.
Questo il bilancio filosofico. Quanto a quello economico, invece, c’era poco da rattristarsi. Se si esclude l’affitto di FedEle, avevamo speso meno di 50 euro a testa in otto giorni e 1.100 chilometri di viaggio.
A Parigi spendevo la stessa cifra per offrire a una ragazza una sola serata.
Il pulmino per “Budapeșta” è un oggetto fantasma. Una leggenda metropolitana, tipo il binario 9 e ¾. Il barista e la farmacista sostengono che passi ogni sera alle 21 davanti al cadavere del vecchio Hotel Corona. Dicono che ha nove posti, che chi prima arriva meglio alloggia. Poi, a Satu Mare, ci travaseranno su un altro pulmino più capiente. Sarà un viaggio notturno e scomodo, ma all’alba ci risveglieremo a Budapest.
In città c’è chi lo fa ogni settimana come pendolare.
Eccolo, sta arrivando, esiste davvero. Saliamo a bordo. Il sole è tramontato.
Domani saremo in un paese dalla lingua impossibile, in cui dovremo dire in inglese persino “Buongiorno” e “Grazie”. Saremo turisti. Stranieri. Intrusi. Saremo sacchi di monete con le gambe. Intorno a noi, risuoneranno le lingue di mezzo globo e gireranno le solite turiste in shorts. Nei “ruin bar” la birra ci verrà servita fredda e alla spina, ci daranno la carta delle palinke, ci spilleranno cifre astronomiche. Faremo la coda alla mostra di Frida Kahlo. Saremo tornati. Al solito andazzo, al solito mondo. E in mezzo a tutti quegli shorts e a tutta quella birra e a tutti quei soldi, soldi, soldi fino a vomitare, di tanto in tanto ci balenerà nella memoria lo sguardo perso e malinconico di Alëša. E con un’ombra di pudore ci domanderemo:
“Che cosa ci direbbe, lui, se fosse qui?”
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seminostorie · 3 years ago
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A scuola con gli Iron Maiden
È sempre bello studiare a ritmo di musica (se metal, ancora meglio!). E allora ecco a voi “una giornata a scuola con gli Iron Maiden” (rientro pomeridiano compreso).
Nel 1975, un giovanissimo Steve Harris fonda quella che, probabilmente, è la metal band più influente al mondo (anzi, toglierei il “probabilmente”): appunto, gli Iron Maiden.
Il nome deriva dalla Vergine di Norimberga, chiamata anche vergine di ferro, uno strumento di tortura del XVIII secolo.
Ciò che colpisce di più degli Iron Maiden non è tanto il successo planetario ottenuto, che è decisamente scontato, quanto l’incredibile quantità di riferimenti storici, letterari, religiosi e, in generale, culturali presenti nei loro testi.
Per questo motivo, da professore quale non sono, ho immaginato “una giornata a scuola” in loro compagnia, divisa in sette ore (perché io ho sempre fatto il rientro pomeridiano, e sono abituato così!), dove le lezioni saranno caratterizzate dall’analisi di alcune canzoni e dei relativi riferimenti.
*Suona la campanella: driiiiiiiiiin.
8.20-9.20: Storia Antica - Imperi e condottieri
Le storie di condottieri e di potere, affascinano tutti, anche gli studenti più svogliati. 
In ordine cronologico, in quest’ora, racconteremo le gesta di tre colonne portanti della storia classica:
Alessandro Magno, figlio di Filippo II, Re di Macedonia, forse il miglior condottiero di sempre. A lui è dedicato il brano “Alexander the Great”, dall’album Somewhere in Time (1986);
Da Killers (1981), il secondo album, ecco “The Ides of March”, ispirata dalla morte del grande console romano, Giulio Cesare, assassinato nel 44 a.C.;
Nello stesso album troviamo anche “Genghis Khan”, traccia che narra la storia del sovrano mongolo, che si credeva fosse figlio del dio Tengri.
9.20-10.20: Letteratura Inglese
Per la lezione di letteratura inglese, invece, ci rifacciamo a tre classici:
“The Rime of the Ancient Mariner” (Powerslave, 1984), ispirata dal poema omonimo scritto da Samuel Taylor Coleridge nel 1798; 
“The Murders in the Rue Morgue” (Killers, 1981), che trasporta in musica il famosissimo racconto di Edgar Allan Poe; 
Il brano “The Trooper” (Piece of Mind, 1983), discendete della poesia Charge of the Light Brigade, pubblicata nel 1854 da Alfred Tennyson, e che narra della Guerra di Crimea.
10.20-11:10: Letteratura Italiana
Che ci crediate o no, anche la letteratura italiana gioca un ruolo importante nei testi della band inglese. 
“Sign of the Cross”, dall’album The X Factor (1995), si ispira al romanzo (vincitore del Premio Strega 1981) “Il nome della rosa”, del Maestro Umberto Eco, pubblicato nel 1980.
Va da sé che le atmosfere gotiche intrecciate dal Maestro si sposano alla perfezione con le sonorità della Vergine di Ferro. Il risultato? Quasi dieci minuti di puro misticismo: ammaliante.
11:10-11.20: Break
Chiacchiere, brioscina e succo di frutta.
11.20-12.20: Storia del Cinema
Dopo lo spacco di metà mattina, è tempo di storia del cinema.
Il primo riferimento lo troviamo nella traccia “The Edge of Darkness” (The X-Factor, 1995). La canzone trae spunto da Apocalypse Now (1979), capolavoro di Francis Ford Coppola.
Il secondo, invece, è facilmente intuibile già dal nome della canzone: quella Quest for Fire (da Piece of Mind, 1983) che ricalca l’omonimo film (1981) del regista francese Jean-Jacques Annaud.
Infine, l’ultimo disco degli Iron Maiden, Senjutsu (2021), uscito qualche mese fa, contiene “Days of Future Past”: un brano veloce, potente e liberamente ispirato al film culto “Constantine” (2005), di Francis Lawrence e con il mitico Keanu Reeves.
12.20-13.20: Epica
Prima della pausa pranzo, la mia materia preferita: epica.
La traccia scelta è “Flight of Icarus” (Piece of Mind, 1983), che, chiaramente, racconta il famosissimo mito di Icaro.
“Fly on your way like an eagle Fly as high as the sun On your way, like an eagle Fly, touch the sun”
13.20-15.00: Lunch Time
Visto che il lunedì la mensa proponeva legumi, facciamo finta che sia martedì, quindi: penne al sugo, cotoletta e insalata.
15.00-16.00: Storia Contemporanea
Storia contemporanea. Storia contemporanea...ah! Possiamo parlare delle due guerre mondiali, attraverso ben tre brani.
Il primo è "Paschendale" (Dance of Death, 2003), che parla, appunto, della battaglia di Passchendaele (Prima Guerra Mondiale), in Belgio, avvenuta tra il luglio e il novembre 1917, e che vedeva contrapposti l’esercito britannico (e i suoi alleati) a quello tedesco. La battaglia, per la cronaca, non viene ricordata positivamente dagli inglesi.
“Aces High” (Powerslave, 1984) e “The Longest Day” (A Matter of Life and Death, 2006) sono ambientate, invece, nel Secondo Conflitto, e narrano rispettivamente la battaglia d'Inghilterra e lo sbarco in Normandia.
16.00-17.00: Drammaturgia
Oh! Siamo alla fine di questa giornata estenuante, ma ricca di... chiacchiere.
Con la speranza che questo viaggio vi sia piaciuto, chiudiamo con drammaturgia.
“Phantom of the Opera” (Iron Maiden, 1980) si ispira al romanzo di Gaston Leroux, Il fantasma dell'Opera (Le Fantôme de l'Opéra, 1910).
E per finire in bellezza, uno dei miei brani preferiti: “The Evil That Men Do” (Seventh Son of a Seventh Son, 1988), che riprende un passo del Julius Caesar di Shakespeare.
“The evil that men do lives after them, the good is oft interred with their bones”
Alla fine della giostra, restano fuori anche alcune tracce storiche, come “Run To The Hills” (da The Number of the Beast”, 1982), che narra della colonizzazione europea ai danni dei nativi americani, e “For the Greater Good of God” (da A Matter of Life and Death, 2006), ispirata dalle storie sui Templari.
Il materiale per creare un corso di ironmaidenologia c’è!
Up the Irons!
*Suona la campanella: driiiiiiiiiin.
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roberta-marcello · 4 years ago
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Bologna – 24 Dicembre 1964
POV Marcello
 
«Stai tranquillo, amore mio. Il timballo lo so cucinare. Posso affermare con assoluta certezza che è uno dei pochi piatti che mi riescono davvero bene e questa sera non avvelenerò nessuno.» sorride Roberta, mentre assaggia il sugo.
Mia moglie è piena di pregi: è una ricercatrice universitaria, un ingegnere ed è dotata di un’intelligenza fuori dal comune, però è una pessima cuoca. Per lei l’abbreviazione q.b. ha il significato di “quanto burro” e ciò rende il suo rapporto con i ricettari alquanto complicato. Non che me ne lamenti, perché vederla inveire scherzosamente contro pentole e ingredienti ogni volta che combina un disastro ai fornelli, è uno dei più grandi piaceri della mia vita. Non che per me questo abbia la minima importanza. Non mi sono innamorato di lei perché speravo di sposare una cuoca o la perfetta massaia. In realtà io non desideravo affatto sposarmi, prima di conoscere lei. Ero un donnaiolo che passava di fiore in fiore, che collezionava non solo avventure e donne, ma anche debiti sui tavoli da gioco con persone poco raccomandabili. Eppure un giorno, una ragazza completamente diversa da me è entrata con prepotenza nella mia vita e in casa di Angela, mia sorella e sua amica e ha stravolto ogni mia certezza. Roberta è una persona luminosa, un sole che penetra nella vita di chi ha la fortuna di incontrarla e la illumina. Lei non mi ha solamente cambiato, lei mi ha ispirato e indicato un cammino, un percorso ricco di valori, onestà, lavoro e tanto amore. Durante i pochi mesi del nostro fidanzamento, mi sono riferito spesso a lei come all’America che ero riuscito a trovare a Milano. Per una volta la sorte era stata dalla mia parte e Roberta non solo era la mia vicina di casa, ma lavorava come commessa a Il Paradiso delle Signore, uno dei grandi magazzini più famosi del capoluogo lombardo, situato a pochi metri dalla caffetteria che ero riuscito a rilevare insieme a Salvo, il mio migliore amico.
Mia moglie è la mia stella polare e senza di lei sarei perso, ma non è stata la sola guida che ho avuto e continuo ad avere. Per chi è cresciuto come me, con un pessimo esempio paterno che aveva contribuito a condurmi sulla cattiva strada, avere come coinquilino un uomo onesto e lavoratore come Armando Ferraris nei due anni che avevo trascorso a Milano, aveva fatto la differenza. La frase che ama ripetermi sempre è: Tu sei un bravo fioeu (figlio) e le sue parole mi hanno aiutato a non cadere in tentazione nei momenti più duri e bui.
«Dov’è Emma?» domanda Roberta, distogliendo la mia mente da alcuni ricordi non proprio piacevoli. Al solo pensiero di nostra figlia un sorriso illumina di nuovo il mio volto.
Esco dalla cucina e percorro il lungo corridoio che conduce fino al soggiorno. Seduto su una poltrona accanto al grande albero di Natale, c’è Armando che tiene tra le braccia una bambina di tre mesi con i capelli neri come l’ebano, che ha ereditato dal sottoscritto e dei grandi occhi celesti, che sono identici a quelli di sua madre e che sono la mia più grande debolezza. Emma ha solo tre mesi, ma sono convinto che abbia preso il meglio da me e da Roberta: è estrosa proprio come me ma anche determinata e razionale come la sua mamma, o almeno mi piace pensarlo. Sa già come far valere le proprie ragioni e vincere le proprie battaglie a suon di vagiti e in questo momento dovrebbe strillare come una disperata ed invece posa i suoi occhioni sorridenti su nonno Armando, che non smette di parlare con lei e di raccontarle di quel lontano 25 aprile in cui lui, ancora giovane, aveva contribuito, insieme ai partigiani, a scrivere la storia di Milano e dell’Italia intera.
«Sai, Emmina, quel giorno c’ero anch’io. Le prime barricate, gli scontri con i fascisti, che erano degli uomini cattivi e pericolosi come quelli delle fiabe che ti legge la mamma. Ricordo tutto, sai. Quella notte, la notte prima dell’insurrezione, c’era un silenzio rarefatto. Noi aspettavamo ma non sapevamo che cosa. Eravamo incollati tutti alle barricate e non riuscivamo nemmeno a respirare. Ad un certo punto è spuntato il sole ed era l’alba del 25 aprile. Emmina, nella vita bisogna lottare per ciò che riteniamo giusto e per la libertà, anche se abbiamo paura o se veniamo minacciati. La tua mamma e il tuo papà sono stati molto coraggiosi. Hanno affrontato anche loro delle battaglie difficili.» Armando è dolce mentre si rivolge a mia figlia, ma io inizio a tremare. Le racconterà davvero la storia del Mantovano? Emma è troppo piccola e sono certo che non ricorderà nulla dei racconti del nonno. Però il solo pensiero che i momenti più bui del mio passato possano giungere alle sue orecchie, mi fa soffrire. Il problema è che ancora un po’ mi vergogno del vecchio me stesso e non mi considero affatto l’eroe che descrive Armando. Penso solo di aver avuto la fortuna di trovare delle persone disposte a credere in me e a rischiare pur di aiutarmi. Lo so, è Natale e dovrei accantonare i pensieri negativi e fingere di non aver mai incrociato il mio cammino con la malavita lombarda, ma era stato proprio nel periodo natalizio che Sergio Castrese, noto nell’ambiente criminale come il Mantovano, era tornato nella mia vita, reclamando il pagamento di un debito di gioco. 60.000 lire all’epoca erano una somma elevata, soprattutto per chi come me aveva da poco rilevato una piccola attività per la quale stava ancora pagando delle cambiali. Inoltre Roberta ed io avevamo appena deciso di sposarci e di trasferirci a Bologna, dove lei avrebbe iniziato a lavorare come ricercatrice. In quel lontano dicembre del 1961 il ritorno del Mantovano era stato come una doccia fredda per me. Il passato che tornava a bussare proprio quando davanti a me iniziava ad apparire quel futuro pieno di promesse che avevo sempre sognato. Le persone come Sergio Castrese non sono solo interessate al denaro in sé, ma anche e soprattutto a reclutare manodopera, ovvero dei bravi scagnozzi di cui servirsi per compiere dei crimini e ai quali addossare tutte le colpe di fronte alla legge. Per il Mantovano, poi, io ero uno bravo. Vedeva del potenziale in me, qualcosa di completamente diverso dal ragazzo onesto ed eccezionale che ero per Armando e Roberta.
Sergio Castrese aveva la capacità di presentarsi in caffetteria sempre dopo l’orario di chiusura e quando ero solo e vulnerabile. Spesso portava con sé anche uno dei suoi scagnozzi più fidati e corpulenti. Inoltre il Mantovano non girava mai senza la sua fidata pistola, che nascondeva dentro al suo cappotto elegante e che sapevo non avrebbe esitato a usare. Quel delinquente, però, non si serviva solo della violenza ma anche di altre forme di persuasione. Sventolava davanti ai miei occhi bustarelle piene di banconote e mi ripeteva che lavorando per lui, una volta saldato il mio debito, avrei guadagnato moltissimi soldi.
« Noi due siamo uguali, Barbieri. Insieme faremo grandi cose» continuava a ripetere come un disco rotto, cercando di convincermi.
«Non sono come te» rispondevo ogni volta, provando trattenere la rabbia che sentivo crescere dentro di me.
«Sono certo che non ti accontenterai di una vita normale. Non ti immagino a sfornare biscotti rinchiuso in un piccolo bar. Non sei nemmeno adatto a una cervellona in carriera e a cambiare i pannolini a un marmocchio. Come me, tu pensi in grande. » ripeteva.
In realtà ero davvero cambiato perché il destino mi aveva donato delle persone care da amare e alle quali avevo permesso di amarmi. Roberta, Armando e Salvo mi avevano mostrato l’importanza dell’onestà, del duro lavoro e dei sacrifici. Avevano portato nella mia vita dei sentimenti puri e importanti, come l’amore e l’amicizia.
Armando mi aveva parlato di Emma, la sua defunta moglie, che era morta durante un bombardamento, mentre lui era in montagna a combattere con i partigiani. Gli anni trascorsi con lei avevano fatto comprendere al mio amico cosa fossero davvero l’amore e il romanticismo.
Una mattina mentre facevamo colazione mi aveva donato una delle sue perle di saggezza.
« Per voi giovani il romanticismo è qualcosa di astratto. Posso dirti solo questo. Sono le piccole cose, sono le vicinanze rubate e la quotidianità condivisa che rendono romantica una bella storia d’amore.» Ogni volta che Armando parla della sua amatissima moglie, io mi commuovo. Penso che Roberta sia la mia Emma, quella donna in grado di indicarti il giusto cammino e di far uscire fuori il meglio di te. Non avremmo potuto dare alla nostra bambina nessun altro nome, perché anche se non l’abbiamo mai conosciuta e il destino l’ha strappata dalle braccia di Armando troppo presto, in fondo lei è sempre stata qui con noi.
Sono le piccole cose, sono le vicinanze rubate e la quotidianità condivisa che rendono romantica una bella storia d’amore. In quel lontano dicembre del 1961 le parole di Armando rimbombavano nella mia testa, contrapponendosi a quelle del Mantovano, che invece sbatteva davanti ai miei occhi mazzi di banconote.
Conoscevo Roberta e sapevo che non aveva bisogno di una vita piena di lussi e agi. Le bastavano i nostri baci sul ballatoio del palazzo popolare in cui abitavamo, un viaggio con la Vespa che mi prestava il lattaio e il sogno di una nuova vita onesta e semplice a Bologna.
Quando Castrese si rese conto che il denaro e le lusinghe non avrebbero ottenuto l’effetto sperato, passò alle minacce e da quelle ai fatti. In pieno giorno e nei pressi de Il Paradiso delle Signore, Armando fu picchiato da alcuni balordi che distrussero anche la sua amata bicicletta. L’indomani fu invece il turno di Roberta, che durante la pausa pranzo, rischiò di essere investita da un pirata della strada. Per fortuna la mia fidanzata fu in grado di schivare l’automobile, sbattendo però la testa sull’asfalto del marciapiede.
Il Mantovano non tardò a comparire, in compagnia del suo fidato scagnozzo.
«Se tieni alla tua ragazza e ai tuoi amici, ti conviene ascoltarmi. Dovrai fare qualche viaggetto in Svizzera.» mi informò il Castrese, con la sua solita, pericolosa arroganza.
Il Mantovano aveva fatto carriera, se così potevamo definirla. Aveva iniziato ad occuparsi anche del traffico di valuta e non solo di furti, ampliando notevolmente il suo giro di affari.
Sergio Castrese non era stupido e sapeva che non avrei mai potuto tollerare di mettere in pericolo le persone a me più care.
Mi aveva in pugno ed era certo che prima o poi l’avrei contattato e avrei accettato di diventare il suo spallone.
Non era, però, il solo a conoscermi bene. I miei continui sbalzi d’umore non passarono inosservati allo sguardo attento di Armando e di Salvo.
Roberta in quei giorni aveva abbandonato i panni della ragazza razionale e poco romantica e camminava su una nuvola rosa. Organizzava gite di perlustrazione a Bologna, in cerca di una casa per noi e pianificava ogni dettaglio del mio incontro con i suoi genitori, che desideravano conoscermi. Nemmeno a lei, però, era passato inosservato il mio strano comportamento. Così una sera, in caffetteria dopo l’orario di chiusura, invece del Mantovano mi trovai davanti i volti preoccupati del mio socio, del mio coinquilino e della mia fidanzata, che per evitare ogni mia possibile fuga, avevano chiuso il locale e fatto sparire la chiave.
«Adesso ci spieghi che cosa ti sta succedendo.» Il tono di Salvo era deciso e così fui costretto ad assecondare quei tre ostinati.
Ci accomodammo a uno dei tavolini del bar.
«Non ti lasceremo andare finché non ci racconterai ogni cosa. » aggiunse Armando, mostrandosi come un padre severo e disposto a tutto per aiutare il proprio figlio in difficoltà.
Roberta fissava il semplice anello di fidanzamento che le avevo regalato.
«Se tu avessi cambiato idea, lo capirei. So che non deve essere un passo semplice per te lasciare i tuoi amici e la caffetteria per seguire me, che sono ancora all’inizio della mia carriera. Però è evidente che mi stai nascondendo qualcosa di importante. Le mie amiche continuano a ripetermi che sono io che vedo fantasmi ovunque, ma ti conosco e so che ultimamente non sei del tutto sincero con me.» il tono con cui la mia fidanzata aveva pronunciato quelle parole era triste e preoccupato.
«Non vedo l’ora di sposarti e di partire con te per Bologna. Purtroppo è tornato il Mantovano.» Fu così che iniziai a raccontare loro la lunga serie di eventi che avevano legato la mia sorte a quella del Castrese. Osservai lo sgomento, la preoccupazione e il dolore far capolino negli occhi di Roberta e dei miei due amici. Non mi giudicavano e non avevano cambiato opinione su di me, ma volevano solo aiutarmi.
«Voi siete le persone più care che ho e non desidero mettere le vostre vite in pericolo.» mormorai alla fine del mio lungo racconto.
«Io ho fatto a botte con i fascisti e ho rischiato di esser fucilato dai tedeschi. Credi che mi faccia paura un Mantovano qualsiasi? Lasciati aiutare. Mi raccomando, tu ricordati che se un bravo fioeu (figlio).» le parole che mi rivolse Armando erano piene d’amore paterno.
Anche Salvo mi diede il suo sostegno.
«Tu non sei solo una fonte di pericoli, Marcello. Sei intraprendente, solare, pieno di fantasia e un amico sempre presente. Non avremmo rilevato la caffetteria se non fosse stato per la tua intraprendenza, che si sposa a pennello con la mia ostinazione a mantenere i piedi ben piantati a terra. Sei onesto e un grande lavoratore e non devi permettere a nessuno di corromperti o ricattarti.» concluse il mio amico abbracciandomi forte.
Una sola persona, quella più importante per me, non aveva ancora espresso il suo parere, che era quello che temevo maggiormente. Lei aveva un futuro brillante davanti. Avrebbe mai potuto dividere la sua vita con uno come me, che non aveva praticamente nulla da offrirle?
Roberta, però, mi aveva letto nella mente, come era solita fare sempre.
«Non pensare nemmeno per un attimo di essere come quel delinquente o di assecondarlo. Guarda quello che sei riuscito a costruire. Hai trovato degli amici veri e hai rilevato un locale. Inoltre non se più il ragazzo scapestrato di cui mi sono innamorata. Sei responsabile, onesto e hai messo la testa a posto. Non puoi non fare la cosa giusta. Devi andare dai carabinieri e collaborare. Affronteremo insieme tutto quello che verrà.»
Mi avvicinai a lei e la strinsi in un lungo abbraccio.
«Nella buona e nella cattiva sorte.» sussurrò Roberta con dolcezza.
Le settimane che seguirono non furono facili.
Grazie al suo ruolo di sindacalista sempre pronto a lottare per i diritti dei più deboli, Armando era noto in caserma e mi mise in contatto con il Maresciallo, che era un suo amico. Diventai un collaboratore e mi impegnai ad aiutare le autorità a incastrare il Mantovano, potendo contare sul sostegno dei miei amici e sull’amore incondizionato di Roberta.
Quando Sergio Castrese finì in carcere, dove avrebbe trascorso molti anni, io e Roberta partimmo per Bologna e finalmente iniziammo la nostra nuova vita. Il mio coinquilino decise di abbandonare Milano e di venire in Emilia Romagna insieme a noi, trasferendosi in un appartamento non distante dal nostro e trovando lavoro come allenatore della squadra di ciclismo dell’Università.
Torno al presente e la voce di Armando giunge di nuovo alle mie orecchie, mentre si rivolge a mia figlia, mostrandole le luci e le decorazioni dell’albero di Natale.
«Domani il nonno ti porterà a vedere gli addobbi natalizi a Piazza Maggiore. Sempre se sopravviverò al timballo di tua madre.» Non posso fare a meno di sorridere e mi auguro, per il bene del mio amico, che Roberta non l’abbia sentito.
Sono le piccole cose, sono le vicinanze rubate e la quotidianità condivisa che rendono romantica una bella storia d’amore.
Come sempre Armando aveva avuto ragione. La felicità è racchiusa davvero nelle piccole cose: una coppia innamorata, una bambina meravigliosa, un uomo saggio che sa donare consigli preziosi e tanto amore e un Natale perfetto
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freedomtripitaly · 5 years ago
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Edward Torrez è un architetto di Chicago appassionato di musica. Accompagna piccoli gruppi di turisti curiosi in un tour da lui pensato alla scoperta di Record Row. La strada non esiste veramente, l’ha inventata lui, e spera che un giorno il suo itinerario venga riconosciuto ufficialmente ed entri a far parte dei percorsi turistici organizzati dalla municipalità. La “strada dei dischi” è un omaggio alla città della musica – soprattutto del blues – per cui Chicago è conosciuta in tutto il mondo. Edward l’ha individuata tra la Roosvelt e Michigan Avenue, la via più famosa di Chicago, meglio conosciuta come Magnificent Mile. Record Row è un tratto di strada dove erano concentrati gli studi di registrazione di tantissime band musicali. Qui venivano prodotte circa 350 etichette e avevano sede 21 distributori di musica blues, R&B, soul, rock, house, hip-hop. Oggi molti edifici sono scomparsi e al posto loro ci sono uffici ed esercizi commerciali, ecco perché Edward ha buttato giù una mappa per individuarli. Gli studi del Chess Recording Studio, oggi Blues Heaven Foundation @SiViaggia Al numero 2129 di South Michigan c’è ancora la Vee-Jay Records, la casa discografica che nel 1964 ha lanciato i Beatles negli Stati Uniti e dove gli Spaniels nel ’54 hanno registrato “Goodnite Sweetheart, Goodnite”; al 1827 c’è la One-Derful Records dove hanno registrato la loro prima canzone i Jackson 5 e dove, per la prima volta, è stata incisa la voce di un Michael Jackson ancora bambino che cantava “Big Boy”; al 2120 si trova la Chess Records, che ha visto sfilare nomi del calibro di Chuck Berry, Jimmy Rogers e persino dei Rolling Stones. La copertina del disco “Introducing The Beatles”, Vee-Jay Records, 1964 @SiViaggia A Chicago si può ascoltare musica live 24 ore su 24, anche mentre si mangia. Sono tantissimi i bar e i ristoranti dove, tra un piatto di BBQ ribs e una birra si assiste a un concerto di qualche band. Il Kingston Mines è il blues club più antico della città: qui si esibiscono gruppi 7 giorni su 7. Alla House of Blues, dove hanno registrato un album anche i mitici Blues Brothers, ci sono concerti live tutto il giorno. Imperdibile, qui, è il gospel durante il brunch domenicale. La storica House of Blues @SiViaggia Al Tortoise Supper Club fanno ottime costolette d’agnello e una impareggiabile peanut butter cake sulle note di musica jazz, mentre The Dearborn è l’indirizzo perfetto per una pausa pranzo veloce ascoltando band emergenti, e, per entrare nel “mood” americano e gustare uno dei migliori barbecue della città, fate tappa al Bub City. Nel weekend il brunch è a base di Bloody Mary e la musica che si ascolta è prettamente country. Lattine a stelle e strisce al Bub City @Choose Chicago Con i suoi grattacieli di design, il lago Michigan che sembra un mare (c’è anche la spiaggia) e il fiume che corre lento tra un edificio e l’altro, Chicago è una delle città più belle da visitare negli Stati Uniti. Per gli appassionati di architettura c’è solo l’imbarazzo della scelta. Dopo il grande incendio del 1871, furono chiamati i migliori architetti del mondo a ridisegnare la città completamente distrutta. In men che non si dica sono sorte la Sears Tower (oggi Willis Tower, con il suo iconico Skydeck al 103° piano e le passerelle di vetro da brividi, “The Ledge”), la Tribune Tower, sede dello storico “Chicago Tribune”, il John Hancock Center, con la sua terrazza panoramica al 95° piano, il Wrigley Building, le torri di Marina City, primo esempio di condominio-quartiere autosufficiente, e più recentemente la Trump Tower e l’Aqua Tower. E altri, molto più alti e molto più avveniristici, ne stanno sorgendo. Lo skyline di Chicago @123rf Sulla centralissima Wacker Drive è sorto il Chicago Architecture Center (CAC), un museo che spiega chiaramente quanto Chicago sia da sempre al centro dell’innovazione architettonica, ingegneristica e di design. Molti architetti provenienti dagli studi di qua vengono interpellati per la costruzione di grattacieli in giro per il mondo. Se ammirare la metropoli dall’alto dei suoi rooftop è impagabile, non è da meno osservarla da un altro punto di vista: quello dal basso, dal Chicago River, salendo a bordo di una mini crociera della First Lady Cruises che regala una prospettiva diversa della città che vi lascerà a bocca aperta. Uno dopo si ammirano i palazzi di vetro e acciaio, di mattoni e terracotta, di pietra e cemento, raccontati da una guida esperta che cita nomi di architetti e di studi famosi. È come ripercorrere la storia della città, passando dagli edifici futuristici alle vecchie fabbriche di cioccolato (ancora in funzione), osservando le famigliole che passeggiano lungo il riverbank o le coppie ai tavolini dei bar affacciati sul fiume. La crociera sul fiume @Barry Butler https://ift.tt/2kOwIsL Chicago, la città della musica e del blues Edward Torrez è un architetto di Chicago appassionato di musica. Accompagna piccoli gruppi di turisti curiosi in un tour da lui pensato alla scoperta di Record Row. La strada non esiste veramente, l’ha inventata lui, e spera che un giorno il suo itinerario venga riconosciuto ufficialmente ed entri a far parte dei percorsi turistici organizzati dalla municipalità. La “strada dei dischi” è un omaggio alla città della musica – soprattutto del blues – per cui Chicago è conosciuta in tutto il mondo. Edward l’ha individuata tra la Roosvelt e Michigan Avenue, la via più famosa di Chicago, meglio conosciuta come Magnificent Mile. Record Row è un tratto di strada dove erano concentrati gli studi di registrazione di tantissime band musicali. Qui venivano prodotte circa 350 etichette e avevano sede 21 distributori di musica blues, R&B, soul, rock, house, hip-hop. Oggi molti edifici sono scomparsi e al posto loro ci sono uffici ed esercizi commerciali, ecco perché Edward ha buttato giù una mappa per individuarli. Gli studi del Chess Recording Studio, oggi Blues Heaven Foundation @SiViaggia Al numero 2129 di South Michigan c’è ancora la Vee-Jay Records, la casa discografica che nel 1964 ha lanciato i Beatles negli Stati Uniti e dove gli Spaniels nel ’54 hanno registrato “Goodnite Sweetheart, Goodnite”; al 1827 c’è la One-Derful Records dove hanno registrato la loro prima canzone i Jackson 5 e dove, per la prima volta, è stata incisa la voce di un Michael Jackson ancora bambino che cantava “Big Boy”; al 2120 si trova la Chess Records, che ha visto sfilare nomi del calibro di Chuck Berry, Jimmy Rogers e persino dei Rolling Stones. La copertina del disco “Introducing The Beatles”, Vee-Jay Records, 1964 @SiViaggia A Chicago si può ascoltare musica live 24 ore su 24, anche mentre si mangia. Sono tantissimi i bar e i ristoranti dove, tra un piatto di BBQ ribs e una birra si assiste a un concerto di qualche band. Il Kingston Mines è il blues club più antico della città: qui si esibiscono gruppi 7 giorni su 7. Alla House of Blues, dove hanno registrato un album anche i mitici Blues Brothers, ci sono concerti live tutto il giorno. Imperdibile, qui, è il gospel durante il brunch domenicale. La storica House of Blues @SiViaggia Al Tortoise Supper Club fanno ottime costolette d’agnello e una impareggiabile peanut butter cake sulle note di musica jazz, mentre The Dearborn è l’indirizzo perfetto per una pausa pranzo veloce ascoltando band emergenti, e, per entrare nel “mood” americano e gustare uno dei migliori barbecue della città, fate tappa al Bub City. Nel weekend il brunch è a base di Bloody Mary e la musica che si ascolta è prettamente country. Lattine a stelle e strisce al Bub City @Choose Chicago Con i suoi grattacieli di design, il lago Michigan che sembra un mare (c’è anche la spiaggia) e il fiume che corre lento tra un edificio e l’altro, Chicago è una delle città più belle da visitare negli Stati Uniti. Per gli appassionati di architettura c’è solo l’imbarazzo della scelta. Dopo il grande incendio del 1871, furono chiamati i migliori architetti del mondo a ridisegnare la città completamente distrutta. In men che non si dica sono sorte la Sears Tower (oggi Willis Tower, con il suo iconico Skydeck al 103° piano e le passerelle di vetro da brividi, “The Ledge”), la Tribune Tower, sede dello storico “Chicago Tribune”, il John Hancock Center, con la sua terrazza panoramica al 95° piano, il Wrigley Building, le torri di Marina City, primo esempio di condominio-quartiere autosufficiente, e più recentemente la Trump Tower e l’Aqua Tower. E altri, molto più alti e molto più avveniristici, ne stanno sorgendo. Lo skyline di Chicago @123rf Sulla centralissima Wacker Drive è sorto il Chicago Architecture Center (CAC), un museo che spiega chiaramente quanto Chicago sia da sempre al centro dell’innovazione architettonica, ingegneristica e di design. Molti architetti provenienti dagli studi di qua vengono interpellati per la costruzione di grattacieli in giro per il mondo. Se ammirare la metropoli dall’alto dei suoi rooftop è impagabile, non è da meno osservarla da un altro punto di vista: quello dal basso, dal Chicago River, salendo a bordo di una mini crociera della First Lady Cruises che regala una prospettiva diversa della città che vi lascerà a bocca aperta. Uno dopo si ammirano i palazzi di vetro e acciaio, di mattoni e terracotta, di pietra e cemento, raccontati da una guida esperta che cita nomi di architetti e di studi famosi. È come ripercorrere la storia della città, passando dagli edifici futuristici alle vecchie fabbriche di cioccolato (ancora in funzione), osservando le famigliole che passeggiano lungo il riverbank o le coppie ai tavolini dei bar affacciati sul fiume. La crociera sul fiume @Barry Butler Da Record Row agli indirizzi imperdibili dove ascoltare band dal vivo, un itinerario sulle note della città statunitense che ha da sempre la musica dentro.
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teampippy · 6 years ago
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Mercoledì 20 marzo 2019
  Ci sono giri che nascono senza un vero motivo. Ci sono giri che rappresentano come delle voglie, esattamente come la voglia di un dolce, dopo cena quando sei sul divano.
Ci sono giorni in cui mi sveglio con la voglia di mangiare un piatto particolare e ci sono mattine in cui invece mi sveglio e ho voglia di arrivare in cima e ammirare la vista che solo la vetta può donarti. Sarei ipocrita a parlare solo di vette e panorami, i giri che nascono senza un particolare motivo profumano di libertà,  di spensieratezza. Sono quelli che io definisco i giri più puri, i giri che ricorderai per sempre. Da questa necessità nasce il giro di oggi. Questa voglia mi ha portato a voler salire in cima alla Sighignola più conosciuto come “Il Balcone d’Italia”.
Sono le 9.30 di un mercoledì mattina, sono vestito con tanto di caschetto e capellino Controvento in testa, per l’occasione oggi sfoggio l’evergreen “Viva La FUGA”. Sono pronto per il mio giro. La giornata è perfetta per arrivare dove mi sono prefissato. Cielo terso, neppure una nuvola. Uscito di casa spingo la bici in direzione Como, la strada per arrivarci è  sempre la solita, Saronno, Rovello poi si taglia da Bregnano e Bulgorello, si transita per strade che da sempre vedono poche auto e tante bici.
Prima di arrivare a Como la solita discesona della Napoleona fatta a tutta con il vento che sale dal lago in faccia e con le auto che non ce la fanno a non battezzarti quando ti sorpassano, ma questa è un’altra storia, ma giuro che presto vi dirò la mia su questo “odio” su questa mancanza di rispetto reciproco che c’è tra auto e bici (specie se da corsa).
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Una volta arrivato a Como mi dirigo verso Cernobbio per una colazione in riva al lago come si deve; e per come si deve, intendo caffè e brioches seduti, con il lago a fare da sfondo. Ero ignaro che a Cernobbio il Mercoledì fosse giornata di mercato in piazzetta; così, per arrivare al bar devo schivare un po’ di persone- Dopo un primo tratto fatto comunque in sella alla bici devo staccarmi dai pedali e fare gli ultimi 100 metri a piedi spingendola a mano. Consumata la colazione e dopo aver fatto una visitina alla toilette del bar sono pronto a ripartire, direzione Argegno.
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Poco prima di Moltrasio al bivio, decido di prendere quel tratto di strada che costeggia il lago, meno trafficato di auto e decisamente più emozionante, a mio parere, della strada alta. E’ un susseguirsi di sali e scendi sempre con il lago a fare da sfondo, è un pedalare diverso oggi, è un godersi il viaggio in tutte le sue forme, senza alcuna ansia, alcuna preoccupazione, fanculo alla media, alla VAM alla frequenza di pedalata, oggi conta solo la strada che fai e dove arrivi ma sopratutto conta ciò che ti terrai come ricordo da questa pedalata in solitario.
Dopo aver superato la città di Brienno, arrivo finalmente ad Argegno, sfruttando quel breve tratto di strada in discesa. Per un attimo, alla vista del bar lungo il lago ho l’instinto di fermarmi per un secondo caffè, ma alla fine desisto e tiro dritto, spingendo la bici in piedi sui pedali fino a incontrare alla mia sinistra la strada provinciale della Valle d’Intelvi. Ecco la mia strada; la imbocco. La pendenza si fa sentire da subito, si attesta intorno al 8% e non molla, neppure lungo quei due tornanti che si incontrano. Per fortuna che c’è il lago di Como a fare da sfondo, e che sfondo. Il cielo limpido permette di vedere nitidamente tutta la sua sponda, è talmente bello che quasi non mi accorgo neppure della fatica che sto facendo. La strada continua a salire secca, alleggerisco il rapporto e proseguo a salire con gli occhi fissi su quella porzione di lago che si apre davanti a me.
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Arrivato al comune di Dizzasco la strada finalmente sembra spianare quel che basta per darmi un pochino di respiro, butto un occhio al ciclocomputer e scopro che nei primi 5 km ho coqnuistato ben 600 metri di dislivello. Quella che sto percorrendo è una strada nuova, mai fatta in bicicletta. Ho già visto che, una volta conquistata la cima, il panorama è unico, l’ho visto dalle foto di tanti amici ciclisti, ho sentito i loro racconti, ed erano pieni di emozione per quella vista che questa salita regala una volta conquistata.
Il lago però non si vede più. La strada è poco trafficata ma al tempo stesso anche abbastanza dissestata, specie in alcuni punti. Lasciando l’abitato di Dizzasco la sede stradale si restringe decisamente senza però aumentare la sua pendenza (per fortuna).
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Arrivato a Castiglione d’Intelvi circa un chilometro dopo il cartello che ne annuncia il paese si apre davanti a me la strada che porta al centro città. Lungo le strade del paese non c’è anima viva, il passaggio con la bici rende la cosa piuttosto strana, a tratti surreale. Inizio a sentire la stanchezza oltre che la fame. La strada poco prima di San Fedele D’Intelvi spiana ancora diventando a tratti quasi un timido falsopiano, superati un paio di tornanti  sono nel centro del paese. Alla mia destra una serie di strutture commerciali, alla mia sinistra invece si apre un grande parcheggio. Decido di appoggiare la bici e approfittare di una comoda panchina al sole per consumare il mio pranzo. Pranzo, insomma, un toast con due fette di prosciutto cotto.
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Finito il mio pranzo, decido di non regalarmi neppure un caffè. Rimonto in sella e riprendo a pedalare. Con la pacia piena mi sembra di stare meglio, la pausa di un quarto d’ora ha aiutato. Mi manca poco meno della metà per arrivare in cima.
Prima di arrivare al paese di Pellio mi balza in mente di fermarmi, girare la bici e tornare a casa. Mi rispondo che sarei un pazzo a fermarmi ora. Proprio ora che sono arrivato a Pellio, che mancano dieci chilometri per la vetta. Dieci chilometri per vedere con i miei occhi dal vivo quella straordinaria vista. Dieci chilometri per mettere in bacheca un’altra salita conquistata. No. Non posso girare la bici e tornare verso casa. Significherebbe aver buttato nel cesso tutta la fatica fatta per arrivare in cima. Non posso mollare ora.  Proprio mentre me lo ripeto come un mantra sento che la strada sta lentamente riprendendo a salire con decisione.
Supero il bivio, che se imboccato porta in Svizzera,  proseguo lungo la stada che si apre alla mia destra, seguo le indicazioni riportate da un cartello che recita “Balcone d’Italia”. Arrivo finalmente a Lanzo. Ora i chilometri mancanti sono sei, ma saranno decisamente i più faticosi, in particolar modo gli ultimi quattro. Altro problema serio sono le condizioni della strada. Pieno di buche, in alcuni punti davvero spaventose. Ci sarà da stare attenti in discesa.
Mancano ancora tre chilometri. Ecco questi tre chilometri sono stati per me interminabili. Colpa del bosco in cui la strada corre o colpa mia che ho “smania” di arrivare in cima. Il passaggio dentro al bosco è suggestivo e particolarmente fresco. Arrivato ad un tornante la vista si apre sul Lago di Lugano, semplicemente spettacolare.
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Mancano però ancora due chilometri per la cima. Mancano due chilometri per arrivare sul balcone. Due chilometri lungo una strada sempre più dissestata e con un profumo di salamella nell’aria che, ad essere onesti mi ha particolarmente aiutato a rendere più breve la percorrenza. Quel profumo di salamella mi ha fatto ricordare che in uno dei tanti racconti ascoltati, qualcuno mi disse che in cima c’era un magnifico chiosco che spesso faceva salamelle alla griglia. Mi sono alzato sui pedali e, cercando di schivare più buche possibili arrivo finalmente in cima.
Gente, che roba assurda! Che panorama! Per un attimo ho smesso di respirare, perchè quel mio respiro affannoso rovinava il momento.
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Nel frattempo scopro che il chiosco posto in cima è chiuso e che il meraviglioso profumo di salamelle arriva da uno dei barbecue posti nel piccolo parco giochi subito sotto al balcone. Beh, che ci crediate o no, con questa vista, con questo profumo di vittoria per essere arrivato in cima, la mancanza di quella salamella, sognata e assaporata con il pensiero passa in secondo piano.
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  Davvero senza parole. Un posto e una vista che ad oggi conquistano il primo posto per distacco.
Dopo aver consumato una barretta e un fantastico gel (ah, ho trovato un gusto top, caramello salato, raga, è buonissimo) sono pronto per tornare verso casa. Discesa che nella prima parte risulta particolarmente complicata da affrontare per via delle sopra citate buche. Una volta arrivato a Lanzo il fondo stradale torna ad essere più percorribile, così da poter divertirmi in sella all Peppa. Come già successo in passato, la bici in discesa sembra facilissima da governare. Il suo sterzo rende le traiettorie più semplici da prendere e la sicurezza dei freni a disco fanno il resto. Ovviamente lungo la discesa c’è tempo anche per imboccare la strada sbagliata. Per fortuna me ne sono accorto quasi subito.
Arrivato nuovamente ad Argegno, con 98 km nelle gambe, e quasi 2000 metri di dislivello, penso che potrei anche chiuderla in stazione a Como, saltare sul primo treno diretto a Milano e trascinarmi da Garibaldi o Centrale fino a casa. Che #FreedomRide del cazzo sarebbe? Provo a convincermi che alla fine saranno solo 40 Km in più di strada quasi tutti piatti. Arrivo ad un ragionevole compromesso. Niente treno ma neppure salita di San Fermo. Per tornare a casa passero da Via Rimoldi, quella via che si apre a destra una volta terminata Via Grandi, per farla più semplice la via che corre parallela alla Napoleona. Una salita più corta rispetto a quella di San Fermo e anche più pedalabile. terminata questa, prima di arrivare a casa, ne mancano ancora due, quella di Fino e quella di Lomazzo, che sono poi dei piccoli strappetti, insomma dai, il peggio è davvero alle spalle.
Mentre pedalo verso casa mmi viene difficile non pensare a quel panorama visto dal vivo un’ora prima. Un panorama ancora una volta conquistato in sella con le mie gambe.
    Sighignola, sul Balcone. Ci sono giri che nascono senza un vero motivo. Ci sono giri che rappresentano come delle voglie, esattamente come la voglia di un dolce, dopo cena quando sei sul divano. Mercoledì 20 marzo 2019 Ci sono giri che nascono senza un vero motivo. Ci sono giri che rappresentano come delle voglie, esattamente come la voglia di un dolce, dopo cena quando sei sul divano.
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ggdbonlineshop-blog · 6 years ago
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undiscoperlapausapranzo · 5 months ago
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Un Disco per la Pausa Pranzo no. 14 - 4 Ottobre 2017 - Talking Heads - Remain in light - 1980
Canzoni:
Born under punches (The heat goes on)
Crosseyed and painless
The Great Curve
Once in a lifetime
Houses in motion
Seen and not seen
Listening wind
The Overload
Canzone preferita: Once in a lifetime
Musicisti:
David Byrne: Voce - Tastiere - Chitarre - Basso elettrico - Percussioni
Jerry Harrison: Tastiere - Chitarre - Percussioni - Cori
Tina Weymouth: Tastiere - Basso elettrico - Percussioni - Cori
Chris Frantz: Tastiere - Batteria - Percussioni - Cori
Brian Eno: Tastiere - Chitarre - Basso elettrico - Percussioni - Cori
Adrian Belew: Chitarra elettrica e Sintetizzatori (2, 3, 7 e 8)
Robert Palmer: Percussioni
José Rossy: Percussioni
John Hassell: Tromba - Ottoni
Nona Hendryx - Cori
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sounds-right · 8 years ago
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Pelledoca Milano l'estate '17 sta per cominciare: venerdì 5/5 White Party, 7/5 Dite, domenica infernale
Pelledoca Milano, meeting point  nel verde del Parco Forlanini, a due passi da Linate, si prepara ad inaugurare la stagione estiva in grande stile. Aperto anche a pranzo per una pausa rilassante,  si presenta in grande stile anche nei suoi grandi spazi esterni, venerdì 5 e domenica 7 maggio 2017.
Venerdì 5/5 White Party @ Pelledoca Milano Il 5 maggio va in scena uno scatenato White Party, un evento che farà cambiare faccia al locale. Per l'occasione, infatti, Pelledoca assume un aspetto… invernale: fa già abbastanza caldo e l'estate sembra già iniziata, ma al Pelledoca si potrà provare il brivido di un classico weekend di gennaio, ovviamente da vivere sugli sci… Brividi di ghiaccio sulla pelle, insomma, per chi avrà voglia di provarli. Ai piatti arriva il funambolico Erik Stefler, in forte crescita come dj e producer, visto che ormai suona in mezza Italia… e lui c'è con la scatenata animazione Crazy Dolls. Si cena dalle 20.30 e, da mezzanotte, tutti in pista con il dj residente Peter K, Giancarlo Romano alla voce e pure Ricky Espino, specializzato in reggaeton. Solo un consiglio: è una buona idea vestirsi di bianco, visto il tema snow della serata. 7/5 Dite Domenica Infernale @ PelleDoca Milano Già aperto dal giovedì al sabato, Pelledoca per la primavera estate 2017 allunga la sua proposta e chiude il weekend in bellezza, con una domenica sera che inizia già all'ora dell'aperitivo, alle 19:00. Chi vuol cenare invece lo può fare dalle 20 e 30. Il party inaugurale del 5 maggio è Dite, che trasforma il locale in una città "infernale" che va dal sesto al nono cerchio dell'inferno Dantesco. Qui tutto può accadere ed e i vizi capitali sono protagonisti: malizia, lussuria, gola… Ognuno può scegliere la sua debolezza. Colore dominante? Ovviamente il rosso, accompagnato da musica scatenata. Fino a mezzanotte musica happy con Peter K e Giancarlo Romano alla voce, più tardi reggaeton & dintorni con Ricky Espino e Ricky Trauma. Animazione by Crazy Dolls.
Pelledoca Viale Forlanini, 121 - 20134 Milano info e prenotazioni 027560225 http://www.pelledoca.org https://www.facebook.com/PELLEDOCAMILANO
Un disco restaurant da… Pelledoca, a Milano. In cui ballare ogni giovedì, venerdì, sabato e domenica sera, dopocena, in un'atmosfera scatenata, ma sempre con un certo stile. Pelledoca è un luogo in cui vivere serate ricche di emozioni e sensazioni, in un ambiente informale che regala da anni qualità e divertimento. Il giovedì è dedicato soprattutto alla live music e chi arriva presto può anche godersi un ricco buffet. Ogni venerdì al Pelledoca invece c'è la musica di Peter K, mentre alla voce arriva Giancarlo Romano, che è anche il direttore artistico del club. Il sabato spesso in console c'è pure il reggaeton di Ricky Espino, uno dei veterani di questo genere oggi così in voga. La Domenica è Dite, un party 'infernale' che inizia già all'ora dell'aperitivo… Immerso nel verde di parco Forlanini, sulla strada che da Linate porta in città, Pelledoca è ormai un format rodato e dedicato ad un pubblico adulto che ha voglia di vivere sera e notte in un'unica location, tra musica, balli sfrenati, buon cibo e ottimi drink, in un'atmosfera colorata da tanta allegria. Dopo l'aperitivo, si cena tra amici, si danza sui tavoli e ci si lascia trasportare fino a tardi in un viaggio spensierato di puro svago. La cucina è mediterranea, semplice e genuina. Propone piatti in cui la materia prima è sempre fresca e di primissima scelta. Si spazia dai crudi di pesce alle tartare, dalle burrate alle fiorentine, da gustare alla carta o in formule fisse con menu alla portata di tutte le tasche. Il locale da settembre 2016 è aperto anche a pranzo, dal lunedì al venerdì. Da fine gennaio 2017 è aperto anche dal lunedì al mercoledì sera come ristorante d'eccellenza. In cucina spesso c'è Gianni Tota, VIP chef richiesto da star internazionali del mondo dello spettacolo, moda e musica.
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djs-party-edm-italia · 8 years ago
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Pelledoca Milano l'estate '17 sta per cominciare: venerdì 5/5 White Party, 7/5 Dite, domenica infernale
Pelledoca Milano, meeting point  nel verde del Parco Forlanini, a due passi da Linate, si prepara ad inaugurare la stagione estiva in grande stile. Aperto anche a pranzo per una pausa rilassante,  si presenta in grande stile anche nei suoi grandi spazi esterni, venerdì 5 e domenica 7 maggio 2017.
Venerdì 5/5 White Party @ Pelledoca Milano Il 5 maggio va in scena uno scatenato White Party, un evento che farà cambiare faccia al locale. Per l'occasione, infatti, Pelledoca assume un aspetto… invernale: fa già abbastanza caldo e l'estate sembra già iniziata, ma al Pelledoca si potrà provare il brivido di un classico weekend di gennaio, ovviamente da vivere sugli sci… Brividi di ghiaccio sulla pelle, insomma, per chi avrà voglia di provarli. Ai piatti arriva il funambolico Erik Stefler, in forte crescita come dj e producer, visto che ormai suona in mezza Italia… e lui c'è con la scatenata animazione Crazy Dolls. Si cena dalle 20.30 e, da mezzanotte, tutti in pista con il dj residente Peter K, Giancarlo Romano alla voce e pure Ricky Espino, specializzato in reggaeton. Solo un consiglio: è una buona idea vestirsi di bianco, visto il tema snow della serata. 7/5 Dite Domenica Infernale @ PelleDoca Milano Già aperto dal giovedì al sabato, Pelledoca per la primavera estate 2017 allunga la sua proposta e chiude il weekend in bellezza, con una domenica sera che inizia già all'ora dell'aperitivo, alle 19:00. Chi vuol cenare invece lo può fare dalle 20 e 30. Il party inaugurale del 5 maggio è Dite, che trasforma il locale in una città "infernale" che va dal sesto al nono cerchio dell'inferno Dantesco. Qui tutto può accadere ed e i vizi capitali sono protagonisti: malizia, lussuria, gola… Ognuno può scegliere la sua debolezza. Colore dominante? Ovviamente il rosso, accompagnato da musica scatenata. Fino a mezzanotte musica happy con Peter K e Giancarlo Romano alla voce, più tardi reggaeton & dintorni con Ricky Espino e Ricky Trauma. Animazione by Crazy Dolls.
Pelledoca Viale Forlanini, 121 - 20134 Milano info e prenotazioni 027560225 http://www.pelledoca.org https://www.facebook.com/PELLEDOCAMILANO
Un disco restaurant da… Pelledoca, a Milano. In cui ballare ogni giovedì, venerdì, sabato e domenica sera, dopocena, in un'atmosfera scatenata, ma sempre con un certo stile. Pelledoca è un luogo in cui vivere serate ricche di emozioni e sensazioni, in un ambiente informale che regala da anni qualità e divertimento. Il giovedì è dedicato soprattutto alla live music e chi arriva presto può anche godersi un ricco buffet. Ogni venerdì al Pelledoca invece c'è la musica di Peter K, mentre alla voce arriva Giancarlo Romano, che è anche il direttore artistico del club. Il sabato spesso in console c'è pure il reggaeton di Ricky Espino, uno dei veterani di questo genere oggi così in voga. La Domenica è Dite, un party 'infernale' che inizia già all'ora dell'aperitivo… Immerso nel verde di parco Forlanini, sulla strada che da Linate porta in città, Pelledoca è ormai un format rodato e dedicato ad un pubblico adulto che ha voglia di vivere sera e notte in un'unica location, tra musica, balli sfrenati, buon cibo e ottimi drink, in un'atmosfera colorata da tanta allegria. Dopo l'aperitivo, si cena tra amici, si danza sui tavoli e ci si lascia trasportare fino a tardi in un viaggio spensierato di puro svago. La cucina è mediterranea, semplice e genuina. Propone piatti in cui la materia prima è sempre fresca e di primissima scelta. Si spazia dai crudi di pesce alle tartare, dalle burrate alle fiorentine, da gustare alla carta o in formule fisse con menu alla portata di tutte le tasche. Il locale da settembre 2016 è aperto anche a pranzo, dal lunedì al venerdì. Da fine gennaio 2017 è aperto anche dal lunedì al mercoledì sera come ristorante d'eccellenza. In cucina spesso c'è Gianni Tota, VIP chef richiesto da star internazionali del mondo dello spettacolo, moda e musica.
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Cost Milano: 11/1 Socialize, 12/1 Casa Smaila, 13/1 Friday Night Party 14/1 Bombonera Party
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Dopo un capodanno scatenato e qualche giorno di pausa, tornano i party e l'eleganza di Cost Disco Restaurant Milano, in zona Corso Como. L'11 gennaio 2017 l'evento è, come ogni mercoledì, Socialize. Il Cost si propone come luogo per socializzare e fare nuove conoscenze "come si faceva una volta" e non solo in maniera virtuale attraverso i "social" tanto in voga. La formula rimane sempre quella che ha riscosso successo in questi anni, aperitivo, cena e dopocena con live e dj set. Gli orari però saranno anticipati con apertura per l'aperitivo a partire dalle 19.00, proprio per offrire uno spazio di ritrovo ad amici e colleghi che lavorano nei pressi del Cost per un aperitivo alla "vecchia maniera". Alle 20.00 apre la cucina con la possibilità di cenare in compagnia o di partecipare alle cene per socializzare a cura dell'organizzazione "La cena degli sconosciuti". A seguire il piano bar live music show con il piano e la voce di Lorenzo Zambianchi. L'evento ospita anche il compleanno di Lorella Maselli.
Giovedì 12 gennaio invece torna Casa Smaila, che ormai è un classico: Umberto e suo figlio Rudy danno spettacolo con canzoni che tutti conosciamo e finalmente possiamo cantare. La loro band fa spettacolo e contemporaneamente mette il sorriso. (nella foto Rudy Smaila)
Venerdì 13 per Friday Night Party il ritmo parte già durante la cena, dalle 21. Mentre come ogni sera l'aperitivo inizia già alle 20. Più tardi si balla fino a tarda notte con dj set (happy music). Cena "A la Carte" oppure Menu Guidato a €40,00, con possibilità di scelta tra carne e pesce (antipasto, primo, secondo, acqua, caffè, una bottiglia di vino ogni 4 persone).
Sabato 14  prende invece vita uno scatenato Bombonera Party con Ale Zeus alla voce. Cost Milano ospita infatti ospita il dinner live show che ha animato le nottate estive della "isla", ovvero di Formentera.
Il servizio del pranzo, dal lunedì al venerdì, riprende da lunedì 9 Gennaio con i consueti orari e modalità.
Ristorante Cost Lunch, Dinner, Music and Drinks 0262690631 [email protected] via Tito Speri 8 Milano www.facebook.com/CostDiscoRestaurantMilano www.ristorantecost.it
Cost è uno spazio situato nei pressi di Corso Como, uno dei poli del divertimento notturno tra i più frequentati e noti di Milano. Nato nel 2012 grazie alle energie ed alle idee di Carlo Luardi e Federico Culpo, rispettivamente due giovani imprenditori con già diverse esperienze nell'ambito della ristorazione e dell'intrattenimento, Cost è perfetto soprattutto per vivere serate complete, che iniziano all'aperitivo e finiscono a tarda notte. Fra divani Chesterfield, alti soffitti e grandi vetrate, eleganti lampadari anni '20 in cristallo e tappezzerie damascate, Cost coniuga l'ambiente ricercato e la cucina dai sapori mediterranei. E' un locale poliedrico, uno spazio perfetto anche per eventi aziendali e privati. Aperto sin dall'aperitivo prosegue con la cena, che qui è sempre uno scatenato dinner show, per poi concludersi con la serata a base di musica da ballare e cocktail. Il locale è aperto a pranzo dal lunedì al venerdì e dal mercoledì al sabato sera (dalle 20 alle 3 del mattino). Tra i party più attesi al Cost c'è il giovedì Casa Smaila, che ormai è un classico: Umberto e suo figlio Rudy danno spettacolo con canzoni che tutti conosciamo e finalmente possiamo cantare. C'è anche il nuovissimo mercoledì Socialize, un aperitivo after work che diventa lo spunto per socializzare di persona e non solo sui social network. L'apertura è anticipata alle 18 e 30 e chi vuol può restare per cena, partecipando alla Cena degli Sconosciuti, accompagnata dal piano e dalla voce di Lorenzo Zambianchi. Ogni venerdì al pianoforte invece c'è Riky Acevedo, grande intrattenitore e più tardi dj set con musica revival e dance radiofonica. Il sabato infine il party è La Musica è Servita. Il dinner show è curato da ospiti del calibro di Pago, Rosario Rannisi, mentre più tardi si balla col dj set di Lorenzo de Lollis.
Aperitivo: €.12,00 con consumazione, zona d'appoggio nell'area lounge e guardaroba. Cena "A la Carte" oppure Menu Guidato a €40,00, con possibilità di scelta tra carne e pesce (antipasto, primo, secondo, acqua, caffè, una bottiglia di vino ogni 4 persone). Ingresso Dopo Cena: €.15,00 con consumazione. Business Lunch All You Can Eat 10 euro dalle 12 alle 14 (dal lunedì al venerdì). Parcheggio convenzionato: 5 euro (Autoterminal, via Tocqueville 3).
La cucina di Cost La cucina è schiettamente italiana, fatta non per stupire, ma per svelare sapori, gusti antichi, nascosti, dimenticati o oscurati dalle mode del momento senza togliere importanza alle materie prime, prettamente stagionali e di prima qualità. Una cucina "italiana", felice sintesi tra memoria gustativa e gusto contemporaneo, insomma, da "annaffiare" con gli ottimi vini della cantina. Per una cena completa si consigliano: antipasto di petto d'oca affumicato con coulisse di frutti rossi, risotto agli asparagi con fiori di zucca e formaggio di capra, ma anche ravioli al brasato con funghi porcini, tagliata di petto d'anatra con spinacino fresco all'uvetta e tartare di fragole e cioccolato fondente. Ottimo anche il menù fisso, che può essere di carne o pesce.
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undiscoperlapausapranzo · 5 months ago
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Un Disco per la Pausa Pranzo no. 13 - 3 Ottobre 2017 - Frank Zappa - Hot rats - 1969
Canzoni:
Peaches en regalia
Willie the pimp
Son of Mr. Green Genes
Little umbrellas
The Gumbo Variations
It must be a camel
Canzone preferita: Peaches en regalia
Musicisti:
Frank Zappa: Chitarre - Basso all'ottava - Percussioni
Ian Underwood: Pianoforte - Organo - Flauto Traverso - Sassofoni - Clarinetti
Captain Beefheart: Voce (2)
Max Bennett: Basso elettrico (2-6)
Shuggie Otis: Basso elettrico (1)
John Guerin: Batteria (2, 4 e 6)
Paul Humphrey: Batteria (3 e 5)
Ron Selico: Batteria (1)
Don "Sugarcane" Harris: Violino (2 e 5)
Jean-Luc Ponty: Violino (6)
Lowell George: Chitarra ritmica
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undiscoperlapausapranzo · 5 months ago
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Un Disco per la Pausa Pranzo no. 12 - 2 Ottobre 2017 - Dire Straits - Love over Gold - 1982
Canzoni:
Telegraph Road
Private investigations
Industria desease
Love over Gold
It never rains
Canzone preferita: Telegraph Road
Musicisti:
Mark Knopfler: Voce - Chitarre
Hal Lindes: Chitarre
John Illsley: Basso elettrico
Alan Clark: Tastiere
Pick Withers: Batteria
Ed Walsh: Programmazioni
Mike Mainieri: Vibrafono e Marimba (2 a 4)
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