#Tito Sotto
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#maja salvador#tito sotto#joey de leon#allan k#filipino#filipino fc#asiancentral#userthing#kapuso#kapamilya#december 2023
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LE FOIBE E PERTINI
Pertini e' ritenuto da molti, troppi, il miglior presidente d'Italia e sapete perche'? Perche' ai mondiali di calcio del 1982 alzo' la coppa vinta dall'Italia in quell'occasione!!!
Nella realta' questo essere non si e' mai ritenuto italiano e per l'Italia non fece mai nulla. Au contraire! Fece un discorso il 31 dicembre alla nazione con un bambino arabo di Gaza....tanto per abituarci alla futura invasione progettata dai comunisti come lui...
Ma raccontare gli orrori di Pertini -come raccomandare lo stupro delle italiane durante la seconda guerra mondiale e stupratore lui stesso...e' davvero lungo...qui ve lo voglio raccontare in relazione alla tragedia delle Foibe e di Porzûs che agli inizi degli anni '80 erano solo appena sussurrate negli ambienti della destra extraparlamentare e completamente ignorate dalla storiografia ufficiale, comunista-partigiana. Parlare di queste tragedie che imbrattavano l'ideologia della Resistenza si rischiava di essere bollati fascisti e revisionisti. Esattamente come oggi.
Ebbene, Tito, il dittatore jugoslavo comunista, morì nel 1980. L'allora presidente Sandro Pertini — il presidente più amato dagli italiani... e credo dagli ex jugoslavi — anziché restarsene al Quirinale, andò a rendergli omaggio, ignorando (si fa per dire) del tutto quel che accadde nell'Istria tra il '43 e il '45. Ignorando la tragedia delle Foibe e quanto i comunisti, sotto gli ordini diretti di Tito, combinarono a danno degli italiani, colpevoli solo di essere italiani. Nessun capo di Stato che avesse avuto un minimo di senso nazionale avrebbe mai reso omaggio al macellaio del suo popolo. Ma Sandro Pertini lo fece. E non si limitò a rendergli omaggio con la sua presenza, ma baciò persino il suo feretro e la bandiera nel quale era avvolto.
Questo fece Sandro Pertini, nonostante le urla di sangue e dolore degli infoibati e degli esuli che fuggirono dall'Istria e Dalmazia. E questo fu solo un episodio (forse il più eclatante). Da bravo socialista partigiano, appartenente alla vecchia scuola (quella di Nenni e Matteotti), Pertini concesse persino la Grazia a Mario Toffanin, altrimenti noto come il 'Giacca'. Un partigiano che durante la guerra aveva compiuto (con la complicità di altri partigiani comunisti) la strage di Porzûs per la quale, nel 1954, la Corte d'Assise di Lucca lo aveva condannato all'ergastolo. Pena a cui erano stati sommati altri trent'anni di reclusione per sequestro di persona, rapina aggravata, estorsione e concorso in omicidio aggravato e continuato. Mario Toffanin, tuttavia, non sconterà mai queste pene, perché riuscirà a riparare in Jugoslavia, godendo persino della pensione italiana che la Grazia di Pertini gli aveva permesso di percepire dall'estero (l'ex partigiano infatti non rientrerà mai più in Italia).
Che differenza c'e' tra lui e Napolitano? Tra lui e i nazisti?
Che vergogna la memoria corta degli italiani...
Che questa giornata della memoria possa re-insegnare la storia agli italiani, e mettere finalmente Pertini la' dove merita, nell'elenco dei criminali!
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Quel garofano rosso infilato nell’occhiello
Nel maggio del 1945, quando nel mondo intero, nelle strade e nelle piazze di tutte le città liberate, si festeggiava la fine della guerra e si esultava per la Liberazione, ho vissuto i momenti più tragici e dolorosi della mia adolescenza. Avevo 14 anni.
Una cappa di terrore e di angoscia era calata sulla mia italianissima città e sulla sua italianissima gente. Ho visto colonne di finanzieri, carabinieri, soldati di tutte le armi, uomini e donne, transitare laceri, sporchi, affamati e assetati, avviati verso chissà quale destino. Erano scortati da soldataglia rozza e ignorante, con la stella rossa sul berretto e armata fino ai denti che sbraitava urlando in una lingua che non conoscevo, ma sapevo essere slava. Erano le avanguardie dell’esercito di Tito che, a marce forzate, avevano raggiunto Fiume combattendo. Tito aveva spinto le sue truppe a occupare il più presto possibile quanto più territorio italiano possibile, in quanto le sue mire espansionistiche ipotizzavano il confine tra l’Italia e la sua Jugoslavia, sull’Isonzo. Voleva Trieste, Udine, Gorizia e tutta quella parte di Venezia Giulia che lui definiva impropriamente “Slavia veneta”.
Ho saputo di “giudici popolari” semi-analfabeti che decidevano, a guerra finita, della vita e della morte di persone il cui unico delitto, molto spesso, era solo quello d’essere italiani. Condannati da tribunali del popolo costituiti in fretta e furia e composti da gente qualsiasi, purché di provata fede comunista.
I primi giorni dopo l’occupazione della mia città (il 2 maggio del 1945) con le liste di proscrizione già preparate, iniziava il calvario degli italiani. Arresti, deportazioni, infoibamenti. Anche nella mia famiglia si piange uno scomparso, prelevato la mattina del 4 maggio da casa e di cui non si è saputo più nulla. Probabilmente, come tanti altri infelici, avrà vissuto gli ultimi istanti della sua vita soffocato dall’angoscia sull’orlo di una foiba.
La guerra era finita, ma vivevamo ancora nella ristrettezza e nel terrore: parlare, lamentarsi era pericoloso, criticare il regime poteva costare la vita o la deportazione. Essere italiano era una colpa e molti, anche da me conosciuti, amici di mio padre, vicini di casa, ex questurini, impiegati pubblici, professionisti, insegnanti, vigili urbani, dipendenti comunali ecc., erano considerati èlite e quindi fascisti e nemici del popolo.
Il 1.mo maggio del 1948 mio padre decise di scendere al bar sotto casa, per trascorrere qualche momento di svago. Fu avvicinato da un individuo, palesemente ubriaco e conosciuto da tutti come uno sbandato, che gli infilò un garofano rosso nell’occhiello. Mio padre (che non volle mai iscriversi al partito fascista) non gradì il gesto di quell’individuo che fino a pochi giorni prima aveva scondinzolato dietro ai tedeschi, raccattando i loro avanzi e facendo il buffone, qual’era. Si tolse, quasi di nascosto il garofano e lo appoggiò sul tavolo. Questo gesto gli costò una denuncia e un mese di lavori forzati (denominati “lavoro rieducativo”) che scontò nel carcere cittadino, segando legna da ardere in coppia con un altro detenuto, muniti di un segaccio da boscaiolo di grandi dimensioni per dieci ore al giorno. Seppe dopo, da un vicino di casa, ufficiale della milizia popolare in quanto studente di scuola superiore, che il tribunale lo aveva accusato di “scarsa simpatia per il partito”. Se l’accusa fosse stata “nemico del popolo” avrebbe corso il rischio di finire in una foiba.
A settembre riaprirono le scuole. Avevo finito in modo fortunoso la terza d’avviamento commerciale e non potevo continuare la scuola in lingua croata. L’autorità cittadina escogitò, per noi italiani, una forma insolita: al mattino a scuola, al pomeriggio in fabbrica a lavorare. Fui mandato al Siluruficio Witheead, (vanto della mia città e del mio paese) al reparto meccanici, aggiustaggio, revisione motori, fonderia e torneria. Alla fine dell’anno 1947/48, non ebbi documento ufficiale. Solo un libro il cui retro di copertina riportava una semplice dichiarazione di frequenza.
Nevio Milinovich, esule da Fiume
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lo sberleffo
Nel frattempo era diventato normale che fosse l'esercito a scegliere l'imperatore e grazie alla profezia dell'ebreo romano Giuseppe Flavio, Vespasiano non era stato colto di sorpresa. Ha accettato la nomina come se non ci tenesse granché ma, visto che l'imperatore qualcuno doveva pur farlo, tanto valeva che lo facesse lui. Non ha avuto fretta di tornare a Roma, non più di quanta ne avesse avuta di attaccare Gerusalemme. Come il generale Kutuzov in Guerra e pace, Vespasiano non amava agire di fretta, preferiva prendere tempo. Tutti facevano affidamento su di lui perché ristabilisse l'ordine, e lui l'avrebbe ristabilito con i suoi tempi, con la sua astuta bonomia da mulattiere. Si è fatto aspettare qualche mese, e alla fine è partito lasciando al figlio Tito il compito di liquidare i conti con Gerusalemme. Giuseppe Flavio aveva puntato sul cavallo vincente. In questo periodo, in omaggio al nuovo imperatore, ha sostituito il nome ebraico Yosef ben Matatyahu con quello romano con cui lo conosciamo noi, e la condizione di prigioniero di guerra con quella di una specie di commissario agli affari ebraici presso Tito, nominato generalissimo per l'Oriente. Nell'entourage di Tito Giuseppe ha ritrovato due vecchie conoscenze: il reuccio Agrippa e sua sorella Berenice - diventata amante del generalissimo. Possiamo dire che Berenice e Agrippa erano, come Giuseppe, collaborazionisti, ma non cinici farabutti. Erano spaventati da quello che accadeva sotto i loro occhi e hanno fatto tutto il possibile per difendere davanti ai romani la causa del loro popolo e davanti al loro popolo la causa dei romani. A parte questo, se la passavano bene, sempre dentro i palazzi del potere, sempre dalla parte giusta della barricata. Innamoratissimo di Berenice, Tito avrebbe voluto farle un piacere mostrandosi conciliante, ma da un lato è difficile mostrarsi conciliante quando si hanno di fronte dei pazzi scatenati, perché tali erano ormai diventati gli abitanti di Gerusalemme sotto assedio, dall'altro la tabella di marcia che gli aveva lasciato il padre prima di tornare a Roma era molto chiara: bisognava inaugurare il regno con una grande e significativa vittoria, e far vedere che non si poteva sfidare Roma impunemente. Bisognava, come ha detto Vladimir Putin a proposito della situazione non molto diversa in Cecenia, inseguire i terroristi fin dentro i cessi. Così è stato.
Giuseppe, che scriveva per celebrare la gloria di Tito, dice che questi aveva raccomandato di fare una strage, ma contenuta, e proibito di distruggere il Tempio. Ma Tito non poteva badare a tutto di persona: il Tempio è stato incendiato, e le donne e bambini che vi si erano rifugiati dentro bruciati vivi. Fra ribelli, abitanti e pellegrini, si sono contate alcune centinaia di migliaia di morti e i sopravvissuti venduti come schiavi a privati o, i più ribelli, risparmiati in vista del trionfo che si stava preparando a Roma.
Quando non è rimasto più nessuno da uccidere, il buon Tito ha fatto distruggere la città, abbattere le mura, radere al suolo il Tempio. Sul piano ingegneristico, non è stata una passeggiata. Bisognava pur mettere da qualche parte i colossali blocchi di pietra caduti a terra, ma dopo aver riempito fino all'orlo il burrone che all'epoca separava il Tempio dalla città alta, i romani si sono rassegnati a lasciare tutto ammucchiato alla rinfusa. I diversi invasori - romani, arabi, crociati, ottomani - che nel corso dei secoli successivi hanno conquistato e riconquistato la città hanno preso da quel mucchio il materiale per ricostruirla come volevano, rivendicando ogni volta il merito dell'opera. In quel gigantesco Lego l'unica cosa rimasta sempre in piedi è il muro di cinta occidentale del Tempio, al quale ancora oggi gli ebrei affidano le loro preghiere. La conclusione di Giuseppe (ma ricordiamoci chi era) è che "la città fu abbattuta dalla rivoluzione, e poi i romani abbatterono la rivoluzione". Vale a dire: a cominciare sono stati gli ebrei, e i romani, per ristabilire la pace, non hanno avuto scelta. Si può dire la stessa cosa anche in un altro modo, come fa il comandante bretone Calgaco di cui Tacito ci ha lasciato queste parole, riferite ai romani: "Dove fanno il deserto, lo chiamano pace".
-Emmanuel Carrère - Il Regno
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Integerrimi
Racconta Tito Livio:
La censura si era resa necessaria non solo perché non si poteva più rimandare il censimento che da anni non veniva più fatto, ma anche perché i consoli, incalzati dall’incombere di tante guerre, non avevano il tempo di dedicarsi a questo ufficio. Fu presentata in senato una proposta: l’operazione, laboriosa e poco pertinente ai consoli, richiedeva una magistratura apposita, alla quale affidare i compiti di cancelleria e la custodia dei registri e che doveva stabilire le modalità del censimento. (Ab Urbe Condita, IV, 8).
La magistratura Censorea venne istituita nel 443 a.C., durante il regime repubblicano di Roma: Censura deriva da una concrezione tra CĒNSEŌ, “dare un’opinione, giudicare, valutare” e il suffisso -TŪRA, necessario per formare un sostantivo a partire da un verbo. I magistrati censori non solo facevano i censimenti (necessari sia per il sistema fiscale che per quello militare), ma erano anche guardiani della CURA MORUM, cioè i costumi del singolo e della collettività ed avevano poteri particolari: erano decisivi nelle assegnazioni degli appalti per i lavori pubblici, ed erano loro a concedere in affitto i terreni statali e avevano incarico di nominare i candidati che si potevano candidare al seggio del Senato, Massima Istituzione di Roma, nelle famose Lectio Senatus.
Il significato odierno si deve ad uno di questi poteri antichi, e ad uno rinascimentale: si racconta che i censori potevano tagliare con una cesoia apposita gli abbellimenti che ritenevano troppo distante dalla Cura Morum, tanto che come antonomasia dell'integerrimo amico della sobrietà si ricorda Marco Porcio Catone, detto il Censore, proprio per il ruolo che svolgeva al tempo.
Durante il Rinascimento, precisamente nel 1515, Papa Leone X, nato Giovanni di Lorenzo de' Medici, secondogenito di Lorenzo Il Magnifico, emanò una bolla, Inter Sollicitudines, dove si stabilisce che essendo la stampa "inventato per la gloria di Dio, la crescita della fede e la propagazione delle scienze utili” ma con la paura che possa diventare “un ostacolo alla salvezza dei fedeli in Cristo”, decide che nessuno può stampare un libro senza l'autorizzazione del vescovo locale (o del Vicario del Papa, se si tratta di libri da stampare nello Stato della Chiesa), sotto pena di scomunica. Nasceva così l’imprimatur, ossia il visto ecclesiastico per la stampa dei libri. Di pochi anni dopo, nel 1559, è il primo Indice dei Libri Proibiti, il quale fu per l'ultima volta aggiornato nel 1959 prima del Pontificato di Papa Giovanni XXIII.
Gli uomini potrebbero fare a meno dell'arte, ma non i censori. Stanisław Jerzy Lec
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"La prima volta in cui ho visto il tuo volto ho pensato Stato cielo... se esiste un Dio deve aver sicuramente toccato il suo viso..." spense la sigaretta dentro al posacenere e continuò sbuffando il fumo dell'ultimo tito "ed ora guardati, sei qui sul mio letto e mi guardi con occhi pieni di amore..." il sole strava tramontando, la danza delle luci stava per volgere al suo termine abbracciando definivamente la notte "...quel momento" disse dopo qualche istante di silenzio "quel momento è stato sette anni fa e durante tutto questo percorso di vita ho continuato a disegnarti dentro ai miei sogni" mentre parlava una barriera stava cascando, stava aprendo il cuore senza volontà e le parole si aggacciavano l'una all'altra senza riflessione. "Ora capisco, ora vedo e sento come mai ho fatto in vita mia..." ed ogni cosa che diceva era intrisa di una verità a lui inspiegabile; quel volto era il primo quadro dipinto da Leonardo, il primo blocco di marmo scolpito da Michelangelo, la prima iconografia sacra dipinta da Giotto, la rivoluzione umana sotto forma di perfezione, l'uovo appeso ad un filo rappresentato da Mantegna nella Pala di Brera, era la perfetta scissione tra il suo desiderio e la realtà della vita. Era tutto ciò che l'uomo aspirava di beato e divino.
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This is the Summer Station ID of ABS-CBN in 2007. The Summer Station ID was themed “Piliin Mo Ang Pilipinas”.
The Summer Station ID theme song was performed by Filipina OPM singer and songwriter Regine Velasquez featuring Filipino singer, songwriter, rapper, dancer, television host, actor and comedian Ogie Alcasid who is Regine Velasquez's husband when they got married in December 30, 2005 which was 1 day before Ogie Alcasid's birthday. Somehow, They had their first child who was born in May 1, 2007. Also starting in June 1, 2007, The theme “Piliin Mo Ang Pilipinas” can be heard on DZMM Radyo 630 and various radio stations nationwide.
The Summer Station ID features Ritz Azul, Alice Dixson, Arcee Muñoz, Tuesday Vargas, Eula Caballero, AiAi de las Alas, Cherry Pie Picache, Carmina Villaroel, Eugene Domingo, Nora Aunor, Lucho Ayala, Gil Cuerva, Rainier Castillo, Raymond Bagatsing, Bayani Agbayani, JC de Vera, Martin Escudero, Gerald Anderson, Sef Cadayona, Edgar Allan Guzman, Cherie Mercado, Kara David, The Tulfo Brothers, Bernadette Sembrano, Mariz Umali, Kim Atienza, Jiggy Manicad, Ted Failon, Arnold Clavio, “Kabayan” Noli de Castro, Marc Logan, Vicky Morales, DingDong Dantes, Marian Rivera, Andi Eigenmann, Dominic Roco, Felix Roco, Bong Revilla, Jayson Gainza, Zanjoe Marudo, RJ Padilla, Tito Sotto, Vic Sotto, Joey de Leon, Heart Evangelista, Erich Gonzales, Dimples Romana, Robin Padilla, Carl Cervantes, JM de Guzman, Jeric Gonzales, AJ Perez, Judy Ann Santos, Roxanne Guinoo, Jodi Sta. Maria, Oyo Boy Sotto, Gian Sotto, McCoy de Leon, Jhong Hilario, Rico Barrero, Tom Rodriguez, Paolo Serrano, RK Bagatsing, Kristine Hermosa, Meg Imperial, Carla Abellana, Bianca Umali, RR Enriquez, Princess Ryan, Dianne Medina, Barbie Forteza, Maine Mendoza, Catherine Bernardo, Edu Manzano, Jericho Rosales, John Lloyd Cruz, Julia Montes, Angel Locsin, Coleen Garcia, Shaina Magdayao, Ellen Adarna, Louise de los Reyes, Jessie Mendiola, Ivana Alawi, Maja Salvador, Vhong Navarro, Billy Crawford, Teddy Corpuz, Aga Muhlach, Sid Lucero, Onemig Bondoc, Diether Ocampo, John Prats, Joem Bascon, Jose Manalo, Wally Bayola, Kim Chiu, Xian Lim, Luis Manzano, Matteo Guidicelli, Rocco Nacino, Enchong Dee, Benjamin Alves, IC Mendoza, Dennis Trillo, Coco Martin, Gardo Versoza, Patrick Garcia, Carlos Agassi, Eric Fructuoso, Long Mejia, Mariel Rodriguez, Krystal Reyes, Toni Gonzaga, Camille Prats, Jennylyn Mercado, Arra San Agustin, Rufa Mae Quinto, Valerie Concepcion, Claudine Barretto, Daniel Padilla, Alwyn Uytingco, Ryan Agoncillo, including DJ Willie Revillame, Regine Velasquez and her husband Ogie Alcasid when they got married in December 30, 2005. The Summer Station ID features the supergroup Bravo All-Stars, child actors Angelica Panganiban, Alex Gonzaga, Cristine Reyes, Nash Aguas, Valeen Montenegro and the Goin Bulilit original cast members from TV5. The Summer Station ID also features British boy band One Direction in their pre-debut and Australian born American actor, producer and comedian Will Smith who portrayed Jack Frost in the 2002 movie Frozen as a special guest. Red, Green, Blue and Black Balloons will also be scattered around the world to literally bring forth the summer fun.
The Summer Station ID was filmed in Hollywood, Quezon City, London, Italy, France, Australia, Kenya, Baguio, Boracay and New York in June 2006 whenever the ABS-CBN, GMA and TV5 crew members are having a hot summer day into a big summer party.
The Summer Station ID clips will be re-used in the 2013 Summer Station ID of TV5 which is “Bida Best sa Tag-Araw”, The 2014 Summer Station ID of TV5 which is “Pinoy Summer, Da Best 4 Eva!” and the I Gotta Feeling music video from the future movie Ready Player One which will be releasing in March 21, 2013 from Walt Disney Pictures, Walt Disney Animation Studios and Pixar Animation Studios. However, The Summer Station ID reuses the clips of the music videos from those deleted songs Without Me by Dr. Dre and The Real Slim Shady by DMX from the movie Frozen where Luis Manzano, Xian Lim, Zanjoe Marudo, Matteo Guidicelli, DingDong Dantes and Will Smith as Jack Frost were seen.
But somehow, This is the only Summer Station ID to feature the crew members from ABS-CBN, GMA and TV5.
#abs-cbn#summer station id#piliin mo ang pilipinas#in the service of the filipino#choose philippines
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Il documento sulle foibe redatto dai partigiani italiani, sloveni e croati è stato pubblicato ieri ma è (giustamente) passato sotto silenzio. (L)a musica che i partigiani suonano dal 2004 (anno in cui è stato istituito il Giorno del Ricordo) è sempre la stessa. Ed è sempre stonata.
A leggere il documento, infatti, (si passa furbettamente dal becero negazionismo degli anni del PCI a) “giustificare” il comportamento dei partigiani titini. (...)
Scrive l’Anpi: “Furono uccisi molti responsabili di crimini, ma anche persone innocenti e persino alcuni collaboratori del movimento di liberazione. In altri casi le foibe furono causate da una cieca volontà di vendetta ed in altri ancora da veri e propri delinquenti. Condanniamo le esecuzioni sommarie e rispettiamo il dramma dell'esodo che ha colpito tanti italiani che vivevano in Istria e in Dalmazia; prendiamo anche atto che la ricerca storica dimostra che vi sono state e persistono pesanti esagerazioni e strumentalizzazioni (...)”.
La ricerca storica dimostra, sic. Bene: guardiamo ai numeri. Parlando della Slovenia, c’è una fossa o foiba ogni 27 chilometri quadrati, con una media di 135 vittime ciascuna, secondo le stime di una loro commissione governativa. Altri numeri: a guerra finita, Tito fece massacrare 250mila persone, soprattutto (sloveni serbi e croati che) avevano combattuto dalla parte sbagliata della storia e civili, ma pure migliaia di italiani, spazzati via e nascosti nelle viscere della terra in nome di una pulizia etnica (...) attuata con ferocia (...).
Il problema, giustamente afferma l’Anpi, non è solamente italiano. (...) (L)a strada per portare il paradiso comunista in terra è sempre lastricata di pietre con inciso il nome di centinaia di migliaia di morti spariti per sempre nel nulla.
da https://www.ilgiornale.it/news/nazionale/riparte-l-assalto-dei-partigiani-foibe-solita-storia-2115233.html
Fu pura pulizia etnica. Avidità.
Due lezioni: la prima, la Storia si ripete quando la travisi, e infatti la pulizia etnica se la sono ri-ciucciata per bene, da quelle parti.
La seconda: l'unico motivo per cui un comunista non ti massacra per derubarti e violentare, è la paura. Appena si sente "coperto", lo fa. E s'inventa scuse per "giustificare".
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7 Febbraio 1944, Lunedì
Moriva a Fiesole, uccisa durante i bombardamenti, il soprano e attrice cinematografica LINA CAVALIERI
Offrendo ancora bambina ai passanti le violette per un baiocco e un sorriso gratis. Spesso "passa ponte" e, di nascosto dei genitori, a 13 anni, già donna e con i riccioli neri fluenti, s' intrufola al Baraccone delle Meravigliea piazza Pepe, rifacendo il verso alla sciantosa. Così la scopre un maestro di canto, che convince i genitori a farle educare la voce. Basta poco e debutta in abitino di cretonne alla Torre di Belisario a Porta Pinciana; solo un piattino passando tra il pubblicoa fine spettacolo per la "chetta", la questua. Ma è brava e bella, e allora la invitano al Grande Orfeo,e da lì al Salone Margherita. Niente più piattino, ma un contratto e un boa di struzzo. E diventa la diva del pubblico borghese del caféchantant di Roma, esaltata pure da Trilussa: «Fior d' orchidea,/ il bacio dato sulla bocca tua/ lo paragono al bacio d' una dea». Che la qualifica un personaggio di Roma. Ma eccola richiesta a Napoli e Milano; la sua bellezza e il suo modo di cantare seducente nel giro di dieci anni la portano a Parigi per le Folies-Bergères, a Londra per l' Empire, a Vienna per l' English Garden. Arriva a competere con la Bella Otero, ma finisce per essere lei la più bella del mondo, secondo la qualifica che le assegna D' Annunzio nel 1899 nella dedica di una copia del Piacere, definendola «massima testimonianza di Venere in Terra». Ormai ha migliorato tanto la sua voce da trasformarsi in cantate lirica, debuttando nel 1900 nella Bohème al San Carlo di Napoli. Sulla scena è splendido vederla più che udirla, fra portamento sensuale e sontuose acconciature. Famoso per audacia resta il bacio a Enrico Caruso sul palcoscenico del Metropolitan Opera di New York, al termine del duetto della Fedora. Da allora Lina negli Stati Uniti è "The kissing primadonna". E si diverte a sposarsi. Quattro matrimoni per quattro divorzi. Nel 1899 con il principe russo Aleksandr Bariatinsky; nel 1908 per soli 8 giorni con il milionario americano Robert Winthrop Chanler; nel 1913 con il tenore francese Lucien Muratore; nel 1927 con il pilota automobilistico Giuseppe Campari. E tanti altri amori, dall' industriale Davide Campari che la segue in tournée per pubblicizzare il suo aperitivo, al re del Kazan che la sposerebbe se abbandonasse le scene, ai cantanti Mattia Battistini e Tito Schipa, a Guglielmo Marconi. Fino al suo impresario Arnaldo Pavoni, con il quale passa gli ultimi anni tra la villa della Cappuccina a Rieti e quella di Fiesole. Il 7 Febbraio 1944, durante un attacco aereo su Firenze, una bomba distrugge la villa, seppellendola sotto le macerie con Pavoni e la cameriera. Gina Lollobrigida la rievocherà nel film "La donna più bella del mondo" del 1955. Era nata a Viterbo il 24 dicembre 1875.
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«[...] Che questi drusi ci hanno rovinato la vita, ci hanno rovinato. Ben per noi che tutti coloro che hanno liberato l’Istria sono andati a farse ciavar», commentava nonna.
«No, resteranno qui. Come sono sempre restati i più forti; e loro, i più forti, fisseranno le regole», ribatteva piano mio padre. Parlava rivolto alla finestra, senza foga o ira. Poi, dimenticando per un momento quella tristezza che sarebbe durata finché durava la vita, dimenticando che mai e poi mai sarebbe finita, metteva mano all’Italia; ritagliava angoli d’Italia, chiudeva la porta di casa, ché «in gioia e in lutto, la casa è tutto», cosicché tutti i posti che non c’erano più servivano a far brillare l’unico che c’era: la cucina Italia. La cucina diventava un’invenzione, una fiaba: papà accendeva la radio e faceva entrare l’Italia, con la radio a sei valvole noi eravamo sempre Italia. Prego, s’accomodi, lei è la benvenuta, e lei cantava e suonava, e diceva tutto quello che il cuore desiderava o che paventava, anche il discorso di Togliatti: «Mandiamo dal nostro Congresso un saluto ai popoli della Jugoslavia, ai comunisti jugoslavi, al loro grande capo ed eroe nazionale, il Maresciallo Tito...». Allora papà spegneva la radio, accendeva una sigaretta, girava la manovella del giradischi e metteva la sua canzone preferita. Il fonografo si metteva in moto, la puntina strisciava in cerca del suono e quando si metteva a raschiare arrivavano le voci di Petrolini e di Mistinguette, il cane sotto la tromba – simbolo dei dischi della «Voce del Padrone�� –, se ne stava inchiodato dalla meraviglia ad ascoltare Caruso o il comico Angelo Cecchelin, che soleva deliziare spesso il proletariato polesano al teatro Ciscutti. Papà ascoltava e canticchiava qualche aria più nota, mentre batteva il tempo con il piede.
Anna Maria Mori & Nelida Milani, Bora. Istria, il vento dell’esilio
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GUIDA PSICOLOGICA ALLA REALIZZAZIONE DEI SOGNI: COME TRASFORMARE I DESIDERI IN REALTÀ
La realizzazione dei sogni è un percorso che coinvolge tutti noi, poiché chi non sogna❓Tuttavia, spesso i sogni rischiano di rimanere confinati nella dimensione dell'immaginazione. Come possiamo trasformarli in una tangibile realtà❓Questo articolo esplora, in chiave psicologica, i passi pratici per rendere concreti i nostri sogni, affrontando le sfide e sfruttando la motivazione intrinseca.
Scoprire i Desideri: Il punto di partenza è la consapevolezza dei nostri veri desideri. Cosa ci entusiasma e ci rende felici al solo pensiero❓Rispondere sinceramente a queste domande è cruciale. Trasformare questi desideri in progetti concreti, scrivendoli su carta, è il primo passo per accrescere la forza motivazionale.
Credere e Scegliere Obiettivi Realistici
La convinzione di poter raggiungere l'obiettivo è fondamentale. Definire obiettivi realistici e concreti, stabilendo traguardi accessibili, è la chiave per evitare scoraggiamenti iniziali. La fiducia in sé stessi è il fondamento per superare le sfide.
Trasformare l'Idea in Azione
Trasferire l'obiettivo su carta conferisce concretezza. Riportare i vantaggi che deriverebbero dal raggiungimento del sogno aggiunge motivazione. Elenchiamo tutti i benefici e le soddisfazioni attese, alimentando la determinazione.
Affrontare Ostacoli con Determinazione
Gli ostacoli sono inevitabili, ma superarli è parte del percorso. Identificare e elencare gli ostacoli, classificandoli in ordine di difficoltà, permette di concentrare le energie sulla sfida principale. La risoluzione graduale degli ostacoli rende il cammino più gestibile.
Coinvolgere le Persone Giuste
Intraprendere grandi imprese richiede il sostegno di persone fidate. Stilare una lista delle persone che possono contribuire al raggiungimento del sogno e coinvolgerle è fondamentale. Motivarle e condividerne l'entusiasmo può fare la differenza.
Piano d'Azione Dettagliato
Scrivere un piano d'azione dettagliato, indicando chiaramente cosa fare e quando, è cruciale. Organizzare le attività in base alla loro priorità offre una guida pratica per il percorso.
Persistere con Pazienza e Determinazione
Il viaggio per realizzare i sogni richiede pazienza e determinazione. Non bisogna mai smettere di avanzare, anche di fronte alle difficoltà. La costanza e il coraggio sono fondamentali per affrontare le sfide lungo il percorso.
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Roma - Mura Serviane - VI sec. a. C.
La tradizione vuole che Roma, sorta sulle rive del Tevere per sfruttare il passaggio fra le colonie etrusche, abbia vissuto i primi secoli della sua storia sotto un ordinamento monarchico con i seguenti sovrani:
- Romolo che avrebbe regnato dal 753 a.C., anno della fondazione di Roma, al 713 ed avrebbe definito il pomerium sul Palatino, creato il Senato di 100 membri come assemblea dei capi dei consorzi gentilizi (patroni e clienti) che si erano uniti nella città;
seguito, dopo il “ratto” avvenuto al Circo Massimo sotto il regno di Romolo, dalla coreggenza con il sabino Tito Tazio (750 a. C. - 745 a. C.) e dai sovrani di origine sabina:
- Numa Pompilio (713-670)
- Tullo Ostilio (670-638) sotto il quale, anche grazie all’episodio degli Orazi e Curiazi, venne sconfitta Alba Longa (665 a. C.) e costruito il porto di Ostia (640 a. C.)
- Anco Marzio (detto anche Anco Marcio, 638-616) che costruì il primo ponte sul Tevere e vi pose a custode il “pontifex”
seguito dagli ultimi di origine etrusca:
- Tarquinio Prisco (616-578) sotto il quale si bonificò l’area sotto il Palatino grazie alla Cloaca Maxima e si migliorò l’agricoltura
- Servio Tullio (578-534) che costruì le Mura Serviane (prima le difese erano date dai singoli colli) ampliò a 300 i membri del Senato e riformò, dall'originario assetto tribale a suddivisioni fondate su classi socio-economiche, introducendo la falange oplitica, attribuendo più diritti ai cittadini che potevano armarsi in modo più efficace e costituendo i comizi centuriati rappresentativi del “popolo in armi”
- Tarquinio il Superbo (534-509) che affermò la leadership romana nel Lazio, concluse accordi commerciali con la colonia greca di Cuma (presso Pozzuoli) e con Cartagine.
La cacciata di Tarquinio il Superbo fu dovuta, secondo la leggenda, alla violenza perpetrata dal figlio a Lucrezia, moglie del nobile Collatino. In realtà, la fine del periodo monarchico determinò l’ascesa del potere aristocratico concentrato nel Senato e nella magistratura annuale dei due Consoli. I primi due furono proprio Collatino e Giunio Bruto.
Inoltre, il fatto che Tarquinio si fosse riparato presso il lucumone degli Etruschi Porsenna indica anche la resa dei conti fra Roma e quella popolazione: le prove di Muzio Scevola e Orazio Coclite e la vittoria, nel 496 a. C., al Lago Regillo segnano anche l’affermazione di Roma nell’Italia Centrale.
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Nella "Vita quotidiana a Roma all'apogeo dell'Impero" Jérôme Carcopino si domanda quanti fossero gli abitanti della capitale nel primo secolo. Dopo aver riempito tre lunghe pagine per riportare, discutere e infine demolire le ipotesi avanzate dai colleghi, Carcopino propone, scusandosi per l'imprecisione, un numero "che oscilla fra 1.165.050 e 1.677.672 abitanti". Una forbice stupefacente, ma quale che fosse l'estremo più realistico, Roma era comunque la città più popolosa della terra: una metropoli moderna, una vera torre di babele, e torre va qui inteso in senso letterale, poiché, sotto la costante pressione di quegli immigrati che Giovenale non sopportava più di vedersi sempre intorno con le loro strane usanze, Roma era stata l'unica città del mondo antico a crescere in altezza.
Tito Livio racconta che un giorno un toro, scappato dal mercato del bestiame, è salito per le scale di un edificio fino al terzo piano e poi si è lanciato nel vuoto seminando il panico fra i vicini: questo terzo piano, Tito Livio lo menziona en passant, come una cosa normale, mentre in qualsiasi altra città dell'epoca sarebbe stato fantascienza. Nell'ultimo secolo i palazzi si erano talmente sviluppati in altezza che erano diventati così poco sicuri che l'imperatore Augusto aveva vietato di superare il limite di otto piani - decreto che gli imprenditori edili cercavano di aggirare in ogni modo.
Ho chiarito questo punto perché quando leggiamo negli Atti che a Roma Paolo ha avuto il permesso di affittare un piccolo alloggio non dobbiamo pensare a una di quelle case a un piano in cui aveva sempre abitato nelle medine del Mediterraneo, ma a un mono o bilocale in uno di quei casermoni di periferia che oggi conosciamo a memoria, dove si ammassano poveri e clandestini: speculazioni di profittatori che hanno risparmiato su tutto, già degradate prima di essere terminate, insalubri, con pareti sottili come carta per non sprecare spazio e scale dove la gente piscia e caca senza che nessuno pulisca. Solo nelle belle dimore orizzontali dei ricchi c'erano dei veri cessi, sorta di salotti con decorazioni lussuose e sedie disposte a cerchio in modo da liberarsi discorrendo amabilmente. Gli indigenti che abitavano nei condomini dovevano accontentarsi delle latrine pubbliche, che erano lontane - e le strade diventavano pericolose appena si faceva buio: prima di andare a cena fuori, dice ancora Giovenale, era meglio fare testamento.
-Emmanuel Carrère (Il Regno)
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«Le parole si riversano a migliaia
dai dizionari appena li apri
come formiche nere, rosse, bianche
quando calpesti un formicaio.
Come trovare, come scegliere
in quell’affollamento di parole
l’unica che serve,
come salvarsi dalla moltitudine
delle altre che ti si appiccicano addosso
cercando di sopravvivere.
Ma sotto la lingua le parole impronunciate,
le solitarie, che non escono dalla bocca,
quelle ti rodono dentro
lasciando carcasse rinsecchite
di uomini che tentarono di parlare
quand’era ormai troppo tardi.
Finché posso
combinare anche solo due parole
esisto» (Titos Patrikios)
#parole impronunciate#solitarie#evocate nel rimpianto#che non escono dalla bocca#che rodono dentro#non dette al momento giusto#quando è ormai tardi#titos patrikios
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