#The Velvet Undergound
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Storia Di Musica #292 - The Jesus And Mary Chain, Psychocandy, 1985
La Scozia è patria di cose meravigliose: il single malt, il tweed, il mostro di Lochness e nella Glasgow enigmatica e pazza degli anni '80 di un duo di fratelli che mettono su una band che, nel modo apparentemente più facile del mondo, cambia in parte la storia del rock. William e Jim Reid sono dell'East Kilbride, la periferia desolata della città, ma sanno suonare di base la chitarra. Sono di poche parole, ma un giorno William, leggenda vuole mentre legge un annuncio sulla confezione del latte (usanza molto comune nei paesi anglosassoni) metta insieme, senza un motivo apparente, le parole Jesus, Mary e Chain: The Jesus And Mary Chain. Non c'è nessuna correlazione religiosa o ideologica, e dopo un po' di tentennamenti, riconoscono che suona bene e non ha nessun riferimento ad altre band. Poche settimane dopo trovano un batterista, Murray Dalglish e un bassista, Douglas Hart. Autoproducono il primo brano, Upside Down, che racchiude tutta la pazzia semplice ma destabilizzante della loro musica: pochi accordi semplicissimi, testi basici e spesso no-sense, ma costruiti su un muro di effetti di chitarra, tra fuzz, distorsioni, feedback che le rende stranianti ma straordinariamente affascinanti. E poi aggiungono le loro esibizioni: sin dai primi concerti, brevissimi (a volte un quarto d'ora appena) dove al pubblico, all'inizio poche decine di spettatori, viene sparata in faccia una montagna di suono distorto, a tratti disturbante, che copre le poche parole dei loro testi. A ciò si aggiunge lo spirito selvaggio dei fratelli Reid, che suonano spalle agli spettatori, e che spesso sfasciano gli strumenti a fine esibizione. Tutto questo rende i loro concerti i luoghi perfetti per una rissa, e a tal riguardo "memorabile" il loro concerto del il 15 marzo 1985, durante l'esibizione al North London Polytechnic, crisi fomentata anche dall'esibizione del gruppo precedente, i Meat Whiplash, i quali non contenti del "calore umano" degli spettatori lanciarono una bottiglia tra il pubblico: mentre salivano sul palco i nostri, la rissa era già cominciata, in un locale molto sovraffollato rispetto alla capienza ufficiale, con risultato finale che la strumentazioni del locale fu distrutta dagli esagitati, 4 feriti, 60 contusi, centinaia di denunce e la stampa che garrula scrisse che la band poteva cambiare nome in The Jesus And Mary Chain Riot. Prima di quella esibizioni, con il fiuto dell'esperto, erano già stati messi sotto contratto da Alan McGee, il fondatore dell'etichetta Creation, e specialista nel trovare nuovi talenti musicali. McGee nel 1984 ripubblica Upside Down, con b side Vegetable Man (una cover di Syd Barret) che va nella leggendaria classifica di John Peel sui 50 brani più interessanti dell'anno, la Festive Fifthy, al numero 37. I nostri di fatto inventano il noisy pop. Rivoltando un motivetto alla Ramones con sullo sfondo, come i leggendari muri sonori spectioriani, fischi artificiali, distorsioni, feedback. Psychocandy, nel 1985, prodotto dalla stessa band, ne è l'apoteosi. Una volta lessi, non ricordo più dove, che questo disco era una combinazione perfetta tra dolcezza e dolore, come se un miele all'inizio dolce dia emorragie ai padiglioni auricolari. Unendo in un mondo parallelo il punk, che già sembrava morto, con la musica industriale degli Einstürzende Neubauten, il pop più leggero, con la decadenza drammatica e la potenza dei Velvet Undergound e degli Stooges, il disco è una pietra miliare di 38 minuti.
Il disco sfoderò tre singoli: Never Understand, singolo dell'anno 1985 per il New Musical Express, che è la canzone definitiva su cosa si possa fare con i feedback; You Trip Me Up, con meraviglioso video musicale filmato nell'Algarve portoghese, è invece una cascata di distorsioni; Just Like Honey è l'archetipo della loro musica, una ballata conturbante (I'll be your plastic toy\For you\Eating up the scum\Is the hardest thing for\Me to do\Just like honey) con la seconda voce di Karen Parker, rimane una delle ballate degli anni '80, e fu usata con successo da Sofia Coppola nel finale di Lost In Translation, e successivamente in altri film, serie tv, pubblicità. Taste The Floor, le incredibili It's So Hard (dalle atmosfere Joy Division), In A Hole (apocalittica), la desolante Inside Me stridono quando si danno alle ballate pop, nelle splendide The Hardest Walk e nell'altrettanto magica Sowing Seeds oppure nel quasi omaggio alle canzoni-racconti di Lou Reed nella magica Cut Dead. Alla batteria, al posto di Dalglish, secondo la leggenda suonando in piedi come Mo Tucker dei VU, c'è Bobby Gillespie, affascinato dalla formula magica dei fratelli Reid, che però se ne andrà subito, a fondare un'altra perla della musica di quegli anni, i Primal Scream.
Ritorneranno, dopo la furia nichilista, nel 1987. con Darklands. Il rumore, che molti ascoltando Psychocandy pensavano fosse dovuto ad un vinile danneggiato, o alla puntina del giradischi difettosa, se ne è andato, e rimane l'atmosfera di pop decadente di base: il cambio è quasi storico, ma la classe dei fratelli rimane in acquerelli malinconici di cieli primaverili (April Skies), nella gioia quando piove che a Glasgow dovrebbe essere diffusa (Happy When It Rains, singolo di successo). Darklands va meglio in classifica di Psychocandy, che rimane nel cuore dei fan e sarà il seme da cui, qualche anno dopo, nascerà un altro fiore meraviglioso e rumoroso, lo shoegaze dei My Bloody Valentine di Kevin Shields (altra scoperta di McGee). Diventeranno entrambi un simbolo di una gioventù alienata e ribelle, che ne cantava miserie e splendori, in una sorta di tentativo di comunicare la dolcezza impacchettata nel filo spinato. Un disco da ascoltare per capire un periodo, e una parte di quello che succederà dopo.
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L.S. Dunes at Velvet Undergound
November 11th, 2022
Photo Credit: Joanna Glezakos
By Aesthetic Magazine
#ls dunes#frank iero#tucker rule#anthony green#travis stever#tim payne#toronto#velvet underground#november 2022#2022#I've been looking for picture 5 for several days#shaggy frank#denim vest frank: orange logo button#ghost metallic guitar#poppy backdrop#scorpion drum#maybelline hair#aesthetic magazine#joanna glezakos
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christian bale needs to start doing campy silly stuff a la newsies and velvet undergound again ENOUGH with the dudebro movies
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WILL HERMES: “LOU REED RE DI NEW YORK” (parte I)
Cominciamo da un dubbio: le 771 pagine del possente libro di Wille Hermes, ci restituiscono un Lou Reed visto al microscopio. Un lavoro immane di ricostruzione, quasi maniacale, della vita di Reed, della sua sfera privata, dei rapporti con i Velvet Undergound e con Andy Warhol che può lasciare anche qualche dubbio. E' pur vero che Will Hermes, collaboratore della rivista "Rolling Stones" e del "New York Times", ha potuto lavorare sui materiali che la famiglia di Reed ha reso disponibili e che sono attualmente conservati presso la New York Public Library, ma nonostante questo è difficile credere ad una ricostruzione fedele al reale di dialoghi, confessioni, serate, atteggiamenti, persino rapporti intimi, come se la vita di Lou Reed si fosse svolta in una sorta di faraonico "Grande Fratello" che copra quasi settant'anni della sua vita.
Al di là di questa considerazione preliminare e del tutto personale, il libro di Hermes è oltremodo interessante e rivelatore di fatti e cirocostanze, atteggiamenti e convinzioni di questo gigante della controcultura Underground e della sua musica. Molto complesso anche sintetizzare in un post (di lunghezza accettabile), il succo dell'intero lavoro di Hermes. Certamente, dalla lettura, emerge un affascinante parallelismo tra la convulsa e maledetta vita di Lou Reed e il profilo di una città, New York City, che hanno riempito la scena della musica d'avanguardia, dell'arte, del cinema e del costume dalla metà degli anni Sessanta fino al Duemila e oltre. Del resto anche il titolo allude ad un regnante e al suo regno in maniera piuttosto inequivocabile. Ma ci sono anche altre storie che scorrono come fiumi carsici in questo volume e nella vita di Lou Reed e molti artisti della sua generazione: la storia della dipendenza dalla droghe e qualche volte dall'alcol di Reed e di moltissimi musicisti e addetti ai lavori della sua generazione e le rivendicazioni nascenti della “Queer Culture” che si affacciava massicciamente in quegli anni, soprattutto negli ambienti legati all’arte e alla musica. Lou Reed incontrò gli stupefacenti molto presto e non se ne liberò mai e Will Hermnes ne rende conto puntualmente, anzi con una precisione quasi maniacale a partire dagli anni della Syracuse University, dove Reed studiava giornalismo e dove ebbe il fondamentale incontro con lo scrittore Delmore Scwartz, anch’egli dipendente dall'alcol. Gli anni dell'università videro anche la nascita del suo primo gruppo musicale, "The Shades"; il secondo gruppo non ha bisogno di nessuna presentazione perchè si chiamava, come tutti sanno, "Velvet Undergorund", gruppo che paradossalmente, come sottolinea Hermes, non aveva alcuna possibilità di avere un pubblico di massa, benché figli della propria epoca e facenti parte di un panorama musicale dominato dal rock e dal pop in tutte le loro multiformi sfaccettature,perché erano troppo sofisticati per piacere a tutti, troppo cerebrali, troppo incuranti del pubblico. Un gruppo che già nel 1966 aveva una batterista donna, Maureen Tucker, non poteva andare lontano nel mondo maschilista della musica. Il libro indaga e descrive fin troppo dettagliatamente, come si diceva i rapporti di Reed con Sterling Morrison, Nico, John Cale. (Continua)
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Dollar Bin #3:
Fairport Convention's Angel Delight
This album has never looked promising. John, Paul and George didn't break up and then let Ringo call himself The Beatles; Lou, Cale, Sterling and Mo didn't want what's his name to make a record and claim it was by the Velvet Undergound. And Dave Swarbrick had about as much of a right to lead Fairport Convention in 1970 as Lepidus had to lead the Roman Empire in 48 BCE. Right?
Well, let's dive back into the dollar bin and find out.
A year earlier, when Sandy Denny left Fairport to form Fotheringay with her loser boyfriend and Ashley Hutchinson beat his own retreat to assemble the first and greatest incarnation of Steeleye Span, there was still plenty to love about Fairport Convention. Richard Thompson, the band's gawky genius, was writing increasingly uncanny and harrowing songs. Now Be Thankful and Farewell, Farewell are so good that it seems like the band's pimply medieval apprentice had snuck off with the spell books and everyone's maidenhead. He was even learning, reluctantly, to sing.
What's more, the band's producer, Joe Boyd, was still firmly in the mix. Boyd had already played a role in many of the greatest records from the whole wonderful era, from The Hangman's Beautiful Daughter to Five Leaves Left. Thompson and Boyd made the band still vital.
What's even more, Fairport had already shown it could weather change. Two lead singers had already come and gone prior to Denny decamping. And, just before she left, they turned a fatal car crash into Liege and Leif, the founding, and greatest, record in the history of Folk Rock.
But in 1971, after a solid and occasionally brilliant 5th record and a (retrospectively anyway) historic tour of the US that saw Fairport blowing away Linda Ronstadt before inviting her on stage to play whatever she wanted with them, Thompson followed his muse right out of the convention's Full House and left Swarb in charge. Boyd was no fool; he hightailed it out of there as well. Dave Swarbrick, a homely but masterful fiddle player hooked on "diet pills" (as in Speed), was now the front man of one of the greatest rock bands in history. Uh-oh.
The cover for the next record, Angel Delight, is fitting: there they are, (see above), the lads left behind by everyone important, grinning savant-like midst the remains of a burnt out house. The joke is apt but discouraging: see here, the cover declares, the losers left behind in the wreckage.
And just take a look at these hobbits !
Seriously, doesn't this look like a Multiverse alternative of Aragorn (that's Thompson, in the middle) with Tolkien's plucky halflings? Moving right to left we've got the drummer, Dave Mattacks, standing in for Merry: Mattacks is the awkward, moody one in the fellowship with a forever kink in his neck, too shy to take off his looking glasses or his granddad's coat. Next up it's Dave Pegg, oddly tall for a hobbit, whose grandfather, legend has it, once rode a horse.
Beside Aragorn/Thompson we've got Swarb himself. Forever enveloped pipe smoke, he's a merry trickster whose sideburns run all the way down his four foot frame to his giant, hairy feet.
Finally, there's Simon Nicol at furthest left. After Thompson leaves he's the only guy not named Dave in the band, and they all lived together! Just imagine the conversation at dinner.
Nicol, looking up from his kippers on toast: "Dave?"
All three Daves, eagerly: "Yes Simon?"
Nicol: "Never feckin' mind."
Though Nicol was the only founding member left at this point, he was just 20, a young Took still not old enough for pipe weed. Clearly he's the only guy in the band with a chance of one day getting himself an elf wife.
Without Thompson, Denny, Boyd, Hutchings or even Ian Matthews, there's none of Frodo's constipational anxiety, let alone Gandalf's enormous eyebrows, left to be found in this band. If there's a ring of power to protect they've already lost it.
But drop the needle on side 1 and Angel Delight sounds instantly promising. Swarb's has clearly learned to sing and we bounce along merrily to the opening track, Lord Marlborough. Perhaps these hobbits know the way to Mordor after all!
Don't get too excited. Track 2, Sir William Gower, finds them playing like Fatty Bolger. The song surely records the exploits of yet another British miscreant, war hero or goofball but it's hard to care when the noodling melody sounds like the band is sitting in an 80's middle school circle at midnight, crank calling confused old ladies who happen to answer the seven digit meandering melodies the boys are making up on their parents' push-button phone. Swarb calls out the numbers while the other boys cackle and chase: 7! 8! 3! 4568! "Hello!" Swarb hollers into the phone. "Sorry to call so late mam. May I speak with a Sir William Gower please? What's that now? Wrong number? Well, what about a Mr. Head? First name Dick?"
The boys may fall over laughing but the song is a plodding bummer. So let's skip ahead to some greatness. Wizard of the Worldly Game isn't a dollar store tabletop Harry Potter knock off for 2-4 players that currently ranks last on Board Game Geek. It's a downright magestic song. Youtube contains zero tracks from this entire album (perhaps Muggles are forbidden to hear Angels Delight unless they brave the dollar bin) so I can't play it for you here. But it's lovely, with Swarb's tenor rising from tender to belting as the boys emerge from their respective holes on Bagshot Row to encircle him in stately harmony. Nicol is no Thompson on the electric guitar, but he knows it, and his solos here are patient and wonderful.
Journeyman's Grace, one of several songs co-written by Thompson before his departure, wraps up side 1 and it's a barnburner, with lyrics that are as oddly captivating and ineffable as anything Thompson would go on to write in his prestigious career:
Leave my weary flesh and bone to a circle made of stone Take me to the mountains for my pleasure. And if the dead man won't depart, drive a stake into his heart And let me ere deliver him his leisure.
The band hands the song's lead vocals back and forth like a hot tater, and listen to Swarb on the final chorus, hitting a high note and holding on like a puffed up Disney rooster.
Let's wrap up this visit to the dollar bin with a concert performance of the song from this era. Watch Swarb shuffle! Turns out the guy's yet another Fairport genius, and the band is in good hands after all.
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#sandy denny#fairport convention#richard thompson#disney rooster#fatty bolger#david swarkbrick#Youtube
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i made a playlist for those mornings where it's too cold to go outside but not quite cold enough to snow and the sky threatens rain and you're sitting by a window drinking coffee while the weight of the past sits like a rock in your belly and the promise of the future weighs heavily on your shoulders
the velvet undergound it on it three times
#spotify#playlists#spotify playlist#indie rock#classic rock#ethel cain#sierra ferrell#iron & wine#father john misty#the velvet underground#the replacements#frank ocean#and more!#music recs
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27, 25, 21, 16, 13 (post the pic!!), 11, 7 and 3 for the band ask thing!
27. Similarly, which decade had the worst bands- 60s, 70s, 80s or 90s? Fuck, okay, I would say the 90s, but then again, Nirvana. But like, Hanson and the other cheesy boy bands that I can’t stand. 25. Is there a band you seem to love that everyone else hates? Vise versa? Not that I know of. Maybe The Velvet Underground, but eh. 21. What is your best friend's favorite band? It could be New Order but I think it's Oasis. 16. What are your top five favorite bands? (I'm going as current) Nirvana, Foo Fighter, Vision Video, The Velvet Undergound, and Alice in Chains. 13. Post your favorite group picture of your favorite band. Here you go!
11. What's your least favorite album by your favorite band? Given that they only had three albums, I'd say Nevermind. (Still pretty damn good, it just has a lot of overplayed stuff.) 7. Who's the hottest member of your favorite band? I'm gonna go with Dave Grohl. (Sorry, Kurt.) 3. What is an overrated song by your favorite band? Smells Like Teen Spirit.
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i think cassie from skins would love candy says by the velvet undergound
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didn't know i needed a velvet undergound song about being trans today until i heard it i guess
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been thinking about this girl i went to sixth form with, i think her name was bethan and she looked exactly like a china doll. she burnt 'loaded' by the velvet undergound onto a cd for me one time and we bonded over 'poses' by rufus wainwright. one time in english the white of her eye had gone completely red and i don't think i asked her about it because i felt like it would be rude. i hope she's doing well
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The Velvet Undergound (formed in New York City, New York, U.S.A., 1964)
A promotional photograph of American rock band The Velvet Underground circa 1966. The band members are positioned around a Vox brand amplifier. Clockwise from top left: Lou Reed, Sterling Morrison, John Cale, Maureen Tucker and Nico.
#The Velvet Undergound#Nico#1966#Vox amplifier#U.S.A.#New York#New York City#Lou Reed#Sterling Morrison#John Cale#Maureen Tucker
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The Velvet Underground - Stephanie says
“But she's not afraid to die The people all call her Alaska Between worlds so the people ask her 'Cause it's all in her mind It's all in her mind”
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