#Storia dell'Urss
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" Esiste una fondamentale differenza [...] fra l’Ucraina e gli Stati baltici. Non credo che Putin voglia rimettere in discussione la loro indipendenza. Ma nei rapporti con le tre Repubbliche del Nord ha adottato una linea scopertamente nazionalista. Uno dei più frequenti motivi di incidenti fra la Russia e i suoi piccoli vicini è quello dei molti memoriali in onore dei grandi bolscevichi e dei caduti sovietici nella seconda guerra mondiale, costruiti nel mezzo secolo che ha preceduto il collasso dell'Urss. Per Putin quei monumenti sono intoccabili. Se i Baltici vogliono eliminarli o relegarli in una foresta, Putin reagisce come se fosse stato commesso un reato di lesa maestà e lascia intendere che certi affronti non resteranno impuniti. È accaduto ancora una volta nel Maggio del 2016 per una targa in memoria dell'equipaggio di un aereo russo caduto in Estonia qualche anno fa, sfregiata dalla popolazione locale.
Con l’Estonia, in particolare, gli screzi sono stati numerosi. Il più grave è quello della tempesta cibernetica che la Russia ha scatenato sul Paese nel 2007. Dopo la rimozione di un monumento al soldato sovietico da una piazza di Tallinn, l’offensiva degli hacker russi ha colpito per tre settimane la presidenza, il Parlamento, quasi tutti i ministeri, le sedi dei partiti politici, tre palazzi che ospitano redazioni giornalistiche, radiofoniche e televisive, due banche e parecchie imprese del mondo della comunicazione. Per premunirsi contro altri attacchi l’Estonia, più recentemente, ha creato una sorta di deposito informatico nel Regno Unito dove ha collocato tutto ciò che può garantire la continuità di uno Stato ciberneticamente occupato da una potenza ostile: i certificati di nascita della sua popolazione, gli archivi dei ministeri e delle banche. "
Sergio Romano, Putin e la ricostruzione della grande Russia, Longanesi, 2016¹. [Libro elettronico]
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Fly Me to the Moon: Scarlett Johansson, Channing Tatum o di come vendere l'idea dell'America
Tra verità e finzione, Fly Me to the Moon - Le due facce della luna ci porta in un periodo sociale molto simile a quello contemporaneo. Con la differenza che oggi non c'è nessun sogno da raggiungere.
Citando fin dal titolo una famigerata canzone resa celebre da Frank Sinatra (il primo a cantarla fu Kaye Ballard nel 1954), e scelta da Buzz Aldrin come brano ufficiale del volo Apollo 11, quello di Greg Berlanti è un piacevole divertissment sugli eventi che hanno preceduto l'allunaggio. Come se stesse attraversando l'altro lato della Luna, Fly Me to the Moon - Le due facce della luna è cinema che mischia la commedia all'epica, la farsa alla realtà, confondendo (volutamente) i fatti, tra verità e smaccata finzione.
Scarlett Johannson è Kelly Jones, versione al femminile di Don Draper
Con un avviso ai naviganti: se quello di Berlanti, poi, è un enorme giocattolo, bisogna allora affrontarlo con una propedeutica leggerezza, senza cercare la veridicità o la precisione. Dall'altra parte, tra il fascino degli Anni Sessanta e l'attitudine alla romanticizzazione storica (e con i 60s è facile), Fly Me to the Moon, a tratti, sveste la maschera della commedia facendosi disamina sulle attitudini americane: il profitto, l'apparenza, il sogno che diventa competizione, per un archetipo narrativo dall'animo pop, che convince molto di più della traccia divertita, a volte poco centrata, ma comunque coerente con la brillante sceneggiatura firmata da Keenan Flynn e Bill Kirstein.
Fly Me to the Moon, l'altro lato della Luna con Scarlett Johansson e Channing Tatum
Channing Tatum al memoriale per le vittime dell'Apollo 1
Il gancio di Fly Me to the Moon, essenzialmente, si allunga fino ad un parallelo contemporaneo, mettendo in correlazione (tramite un'attenta visione), sia gli States dell'epoca che quelli odierni. Prima del 21 luglio del 1969 gli Stati Uniti d'America stavano vivendo il peggior momento della loro storia. Se la rabbia e l'indignazione aumentavano, complice il dislivello sociale, la lotta di classe e l'assurda violenza perpetrata in Vietnam, la corsa allo spazio (contro i cattivi per eccellenza dell'URSS) poteva essere il diversivo perfetto, la distrazione di massa che avrebbe risollevato l'immagine del Paese. Per certi versi, oggi gli USA vivono una situazione simile, con un calo della popolarità enfatizzato da improbabili dibattiti televisivi (ed ogni riferimento alla campagna elettorale 2024 è assolutamente voluto) e da candidati oggettivamente impresentabili.
Nella stazione di controllo di Cape Canaveral, il Kennedy Space Center
Per risollevare le sorti della missione, e in un certo senso "vendere l'idea stessa dell'America", l'amministrazione Nixon chiama Kelly Jones (Scarlett Johansson), pubblicitaria di Madison Avenue che tanto ricorda il Don Draper di un capolavoro intitolato Mad Men. La sfida per Kelly è complicata: far credere agli americani che la corsa allo spazio sia fondamentale per il States. Grazie alla sua esperienze nel marketing, escogiterà una campagna di comunicazione ad hoc, creando quello che adesso definiremmo come hype (scusate, ho dovuto). Insomma, giustificare la spesa come se fosse una questione di identità nazionale. Nel farlo, si scontra (almeno all'inizio) con Cole Davis (Channing Tatum), il responsabile della missione NASA ancora scosso dal drammatico incidente dell'Apollo 1, in cui persero la vita tre astronauti.
Verità, menzogna e un passato in cui rifugiarsi
Ancora Scarlett Johannson in una scena dal film
Dunque, se la menzogna in Fly Me to the Moon è palesemente al centro del film, la traccia reale mantiene coesa la sceneggiatura: in effetti, la NASA, nei mesi immediatamente precedenti allo sbarco sulla Luna, mise in piedi un'agguerrita campagna di comunicazione, a cui ammicca l'opera di Greg Berlanti. Il tono, come detto, è di quelli divertiti, quasi dilettevoli, e si affida quasi totalmente all'alchimia tra Channing Tatum e Scarlett Johansson; un'alchimia che ricalca il modus operandi tipico di una commedia romantica, e per questo universale. Un bilanciamento umorale comunque complesso da gestire, tanto che a tratti la struttura del film sembra cedere, seguendo tracce non totalmente congrue.
Alchimia e talento: Scarlett Johannson e Channig Tatum
Resta però l'ottimo livello produttivo, avallato da una calorosa atmosfera che riesce a coinvolgere, sebbene il contesto di per sé sia già marcatamente galvanizzante e cinematografico. Ed è curiosa la strada (più o meno inventata) che segue l'allunaggio fake, organizzato preventivamente dalla NASA negli hangar di Cape Canaveral, qualora Neil Armstrong incappasse in qualche problema (la menzione va alla scenografia di Shane Valentino, che ha ricreato il set). Ma ciò che convince di più (e meglio) di Fly Me to the Moon - Le due facce della Luna è proprio il panorama legato alla conformità sociale degli Stati Uniti, come se fosse un paese basato sullo slogan e sulla pubblicità, re-immaginando un sogno (e la luna è il sogno per eccellenza) come persuasione e paradigma politico.
Stesso concetto, applicabile al 2024: una crisi di valori sovrapponibile a quella del 1969, se non più drammatica (basti considerare la spaccatura ideologica, cavalcato tanto da Biden quanto da Trump) e, a ragion veduta, teoricamente insanabile. Con una dolorosa differenza: se il sogno, all'epoca, era tangibile, oggi non c'è più nessuna Luna da raggiungere. Ancora una volta, il passato al cinema (vero o finto che sia) è una tana in cui rifugiarsi.
Conclusioni
In conclusione Greg Berlanti rivede l'allunaggio partendo da una verità che poi diventa finzione, miscelando la narrazione al meglio delle possibilità. Il resto, la fa la coppia composta da Channing Tatum e Scarlett Johansson, oltre al grande fascino di un'epoca storica decisamente cinematografica. Se i toni umoristici a volte esagerano, la cosa migliore di Fly me to the Moon è il sommesso parallelo tra passato e presente, incentrato sul profilo in crisi degli Stati Uniti d'America. Oggi come ieri, il Paese è in crisi d'immagine: se nel 1969 la Luna era il sogno, adesso non c'è sogno che regga sotto il peso di una società e di una politica che ha perso le loro rispettive identità.
👍🏻
La chimica tra Tatum e Johansson.
Il fascino dei 60s.
Il tema, sempre molto cinematografico.
Il sapiente mix tra verità e finzione.
👎🏻
L'umorismo spesso punta all'esagerazione.
L'approccio farsesco, a volte, non ha il giusto tono.
#fly me to the moon#channing tatum#scarlett johansson#recensione#recensione film#movie review#review
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LO SGUARDO ALTRUI
Nei rapporti con gli altri il fattore fondamentale per consentire l'instaurarsi di rapporti pacifici e di mutua comprensione è la capacità di mettersi nei panni altrui, di guardare il mondo circostante anche con gli occhi dell'altro, dalla sua prospettiva.
Non è un esercizio facile, ma è l'esercizio etico primario che sta alla base di tutte le etiche tradizionali come formula della reciprocità. Questa prassi è stata tuttavia progressivamente erosa nella cultura occidentale (in particolare americana). Non è sempre stato così, ma oggi lo sguardo occidentale è addestrato a concentrarsi su quali possano essere i lati da cui l'altro potrebbe avermi offeso, dal mio punto di vista, posto come ultima autorità.
Spostato sul piano della politica estera questo unilateralismo etico nell'opinione pubblica si esprime in forme di "imperialismo ingenuo", che farebbero tenerezza se non lasciassero dietro di sé una scia di morte e distruzione.
Ora, qualcuno ancora oggi continua a chiedersi: "Cosa mai avrà avuto da temere la Russia in Ucraina? E' chiaro che si tratta di un pretesto per invadere l'Europa." "E cosa mai avrà da temere la Cina per armarsi?" "E cosa mai avranno da temere l'Iran, o la Corea del Nord, o il Venezuela," ecc. ecc.?
Perché, giusto cielo, ci odiano tanto, noi che siamo manifestamente lo standard della civiltà e cavalleria?
Per approssimare una risposta può aiutarci soffermare un momento lo sguardo su alcuni dettagli.
Ad esempio.
Gli USA sono il paese al mondo maggiormente coinvolto in conflitti bellici nel corso della sua storia; e sono peraltro il paese con l'esercito di gran lunga più potente al mondo, spendendo da soli più della somma dei successivi 15 paesi più militarmente sviluppati al mondo (800 miliardi di dollari/anno per gli USA, contro i 293 della Cina, i 76 dell'India, i 65 della Russia, i 56 della Germania, ecc.; dati 2021).
Gli USA hanno inoltre fomentato sistematicamente un'infinità di colpi di stato verso governi sgraditi (spesso vantandosene post hoc).
E quando i regime changes non riescono in forma indiretta, nutrendo le proprie quinte colonne, si passa spesso allo stadio successivo, dell'intervento diretto.
Il canone, divenuto oramai classico, del'interventismo americano è infatti rappresentato da un'operazione in due tempi: in prima istanza si alimentano e finanziano le proteste (sempre sedicenti "democratiche") all'interno del paese X; in seconda istanza si utilizza come giustificazione ad intervenire il fatto di essere "invocati dalla minoranza oppressa nel paese X".
Questo giochino, sempre spalleggiato dai media a gettone, è uno schema universalmente noto e discusso ovunque, tranne in Occidente.
Qui da noi i probi raddrizzator di torti, Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo sotto l'ascella, sono invece sempre sinceramente stupiti di come ovunque la giungla extraoccidentale pulluli di malvagi oppressori, e di oppressi desiderosi di essere liberati da noi.
Se pensiamo che il segno distintivo del controllo militare imperialistico è la presenza di basi miltari al di fuori del proprio territorio, è utile ricordare che i paesi da noi descritti come proverbialmente aggressivi e guerrafondai (Russia, Cina, Iran, Corea del Nord) possiedono tutti assieme una manciata di basi militari extraterritoriali (6 la Russia, 4 la Cina, tutte in paesi loro prossimi). Gli USA da soli possiedono invece oltre 800 basi militari extraterritoriali, distribuite su tutti i continenti.
Infine, come impeccabilmente documentato da Daniele Ganser (ne "Le guerre illegali della NATO"), dopo la caduta dell'URSS, la Nato, non si è limitata ad espandersi massivamente, in particolare verso Est, ma è intervenuta ripetutamente con iniziative di aggressione verso paesi terzi (iniziative non difensive, in violazione della funzione originaria dell'alleanza).
Ed è per queste, e altre, ragioni che sarebbe utile smettere di continuare a scandalizzarci della pagliuzza nell'occhio altrui senza notare il trave nel nostro.
Da occidentali spiace dirlo, ma nonostante il profluvio di autoassoluzioni hollywoodiane, da tempo agli occhi del resto del mondo gli USA appaiano come il bullo del quartiere e la Nato come la sua gang.
Andrea Zhok
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(via Oscar 2025 Miglior film internazionale: l'Armenia seleziona Yasha e Leonid Brezhnev )
L'Armenia porta agli Oscar2025 la toccante storia di Yasha, un ex comunista che, incapace di accettare la fine dell'URSS, si rifugia in un mondo di fantasie. La tragicommedia di Baghdasaryan, vincitrice di 5 Anahit Awards (gli Oscar armeni) esplora il tema della nostalgia per il passato e della difficoltà di adattarsi al presente.
Lo scorso anno l'Armenia inviò Amerikatsi di Michael A. Goorjian che riuscì ad entrare nella shortlist dei semifinalisti, ma senza poi ottenere la candidatura.
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La Russia ha dimenticato in fretta come la vittoria nella Grande Guerra Patriottica abbia beneficiato anche di un apporto affatto marginale da parte del suo più grande nemico storico: gli Stati Uniti.
Dal 1941 al 1945, il Lend-Lease Act fornì beni all'Unione Sovietica per un valore 11,3 miliardi di dollari dell’epoca (circa 180 miliardi di dollari nella valuta attuale).
Nel novembre 1941, in una lettera al presidente degli Stati Uniti Roosevelt, Stalin scrisse:
“La sua decisione, signor presidente, di concedere all'Unione Sovietica un prestito senza interessi del valore di 1.000.000.000 di dollari per far fronte alle consegne di munizioni e materie prime all'Unione Sovietica è accettata dal governo sovietico con sincera gratitudine come aiuto vitale all'Unione Sovietica nella sua tremenda e onerosa lotta contro il nostro nemico comune: il sanguinario hitlerismo.”
In termini quantitativi, si è trattato dell’invio di mezzi e materiali nei quantitativi di seguito indicati:
► 400.000 jeep e camion;
► 14.000 aeroplani;
► 8.000 trattori;
► 13.000 carri armati;
► 1,5 milioni di coperte;
► 15 milioni di paia di stivali da combattimento;
► 107.000 tonnellate di cotone;
► 2,7 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi;
► 4,5 milioni di tonnellate di cibo.
Molti degli aerei furono trasportati direttamente dagli Stati Uniti all’Unione Sovietica lungo la rotta settentrionale attraverso l’Alaska e la Siberia, altri furono imballati e spediti nel Golfo Persico, dove vennero assemblati e trasportati in Russia.5 Ai mezzi e materiali sopraelencati, vanno aggiunti 350 locomotive, 1.640 pianali e quasi mezzo milione di tonnellate di rotaie e accessori, assali e ruote, il tutto per il miglioramento delle ferrovie che garantivano il sostegno logistico all’Armata Rossa sul fronte orientale. E ancora: chilometri di cavi telefonici da campo, migliaia di telefoni e migliaia di tonnellate di esplosivi, macchine utensili e altre attrezzature per aiutare i Russi a produrre i propri aerei, fucili, proiettili e bombe.
Dalla Guerra Fredda fino ai giorni nostri, molti politici sovietici e russi hanno ignorato o minimizzato l’impatto dell’assistenza americana all’URSS, così come l’impatto dell’intera guerra condotta dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, con tutto il Commonwealth, contro i nazisti.
La prima valutazione storica ufficiale del ruolo del Lend-Lease è stata data dal presidente del Comitato di Pianificazione Statale Nikolai Voznesensky nel suo libro L’economia militare dell’URSS durante la guerra patriottica, pubblicato nel 1948:
“...Se confrontiamo la dimensione delle forniture di beni industriali degli Alleati all'URSS con la dimensione della produzione industriale presso le imprese socialiste dell'URSS nello stesso periodo, si scopre che la quota di queste forniture rispetto alla produzione economica interna durante la guerra è stata solo del 4% circa.”
La cifra del 4% è stata pubblicata senza dettagli ed è contestata.
“Per chi fosse interessato alla storia, c'era un dato canonico: le forniture Lend-Lease ammontavano al 4% del volume della produzione industriale dell'URSS durante la guerra. Fu pubblicato senza ulteriori commenti nel suo libro "L'economia militare dell'URSS durante la guerra patriottica" dal presidente del Comitato di Pianificazione dello Stato, Nikolai Voznesensky, poi fucilato in seguito all’Affare di Leningrado.8 Non è chiaro come Voznesensky e i suoi collaboratori abbiano calcolato queste percentuali. Era difficile stimare il PIL sovietico in termini monetari a causa della mancanza di convertibilità del rublo. Se fosse una questione di unità di materiali, allora non è chiaro come i carri armati siano stati paragonati agli aeroplani e il cibo all'alluminio.
Di fatto, questo dato espresso in maniera così assertiva è diventato la caratteristica principale con cui il Lend-Lease è stato descritto nelle opere storiche sovietiche. La valutazione di Voznesensky contraddice chiaramente i dati pubblicati nell’era post-sovietica sul volume della produzione sovietica e sul volume delle consegne nel quadro del Lend-Lease.
La Breve Storia della Grande Guerra Patriottica, anch'essa del 1948, riconosceva sì le spedizioni del Lend-Lease, ma concludeva: "Nel complesso questa assistenza non fu abbastanza significativa da esercitare in alcun modo un'influenza decisiva sul corso della Grande Guerra Patriottica".
Nel 2015, Nikolaj Ryžkov, l'ultimo capo del governo dell'Unione Sovietica, riferendosi all’assistenza fornita all’URSS con il Lend -Lease Act ha dichiarato che "si può affermare con sicurezza che non ha svolto un ruolo decisivo nella Grande Vittoria".
Tali valutazioni, però, sono contraddette dalle opinioni dei sovietici che sono stati protagonisti della guerra. Già nelle parole di Stalin sopra riportate è presente la riconoscenza nei confronti degli Stati Uniti per il significativo sostegno materiale ricevuto. Un altro riscontro lo si può trovare in occasione della Conferenza di Teheran del 1943, quando Stalin, durante una cena di gala in onore del 69° compleanno di Winston Churchill, brindò al programma del Lend-Lease con Churchill e Roosevelt. Delle parole pronunciate dal dittatore sovietico esistono varie traduzioni da fonti inglesi e riprese dai commentatori russi. Le diverse versioni, tuttavia, non differiscono nella sostanza per cui senza le “macchine” approvvigionate dall’America, l’esito del conflitto per la Russia sarebbe stato ben diverso. Di seguito riporto una delle traduzioni accreditate ed esemplificative:
“Voglio dirvi cosa hanno fatto il presidente e gli Stati Uniti per vincere la guerra, dal punto di vista russo. Le cose più importanti in questa guerra sono le macchine. Gli Stati Uniti hanno dimostrato di poter produrre tra gli 8.000 e i 10.000 aerei al mese. La Russia può produrre al massimo 3.000 aerei al mese. L'Inghilterra ne produce 3.000-3.500 al mese, per lo più bombardieri pesanti. Così, gli Stati Uniti sono un paese di macchine. Senza questi veicoli Lend-Lease, avremmo perso questa guerra.”
A testimoniare il pensiero di Iosif Stalin in merito al Lend-Lease, vi è anche l’autorevole di Nikita Chruščëv parere condiviso con quello del dittatore. L’analisi dei fatti prospettata da Chruščëv è lucida e, tutto sommato, onesta:
“La Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per fornirci assistenza materiale di ogni tipo, principalmente assistenza militare, sottoforma di armamenti e altro supporto materiale necessario per la condotta della guerra. Abbiamo ricevuto molto aiuto. Non si è trattato, naturalmente, di generosità da parte della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, né volevano aiutare i popoli dell'Unione Sovietica, tutt'altro. Ci hanno aiutato a distruggere le risorse del nemico comune. In tal modo, hanno combattuto con le nostre mani, con il nostro sangue, contro la Germania hitleriana. Ci hanno pagato per poter continuare a combattere, ci hanno pagato con armi e materiali. Dal loro punto di vista, era ragionevole. Ed è stato davvero ragionevole, ed è stato vantaggioso per noi. Dopotutto, è stata dura per noi in quel momento, abbiamo pagato un prezzo molto alto in guerra, ma dovevamo farlo, perché altrimenti non saremmo stati in grado di combattere. È sorto un interesse reciproco e abbiamo stabilito e continuato a sviluppare buone relazioni e fiducia reciproca.
Vorrei esprimere la mia opinione e parlare apertamente dell'opinione di Stalin sulla questione se l'Armata Rossa e l'Unione Sovietica sarebbero state in grado di far fronte alla Germania di Hitler e di sopravvivere alla guerra senza l'aiuto degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Prima di tutto, vorrei parlare di alcune osservazioni fatte da Stalin, che ha ripetuto più volte quando abbiamo avuto "libere conversazioni" tra di noi. Ha detto senza mezzi termini che se gli Stati Uniti non ci avessero aiutato, non avremmo vinto la guerra: faccia a faccia con la Germania di Hitler, non avremmo resistito al suo assalto e avremmo perso la guerra. Nessuno ha mai trattato ufficialmente questo argomento nel nostro paese, e non credo che Stalin abbia lasciato tracce scritte della sua opinione da nessuna parte, ma continuo a sostenere che ha ribadito questo aspetto più volte nelle conversazioni avute con me. Non ha parlato specificamente di questa questione, ma quando stavamo semplicemente parlando, discutendo di questioni di politica internazionale, presenti e passate, e passando al tema di ciò che abbiamo dovuto affrontare durante la guerra, questo è quello che ha detto. Quando ho sentito i suoi commenti, ero completamente d'accordo con lui, e ora sono lo sono ancora di più.”
La rilevanza di questo accordo è stata anche sottolineata dal membro del Politburo Anastas Mikoyan, di Commissario del Popolo per il Commercio Estero dell'URSS durante la guerra e, nella sua funzione, dal 1942 incaricato di ricevere le forniture alleate assegnate con il Lend-Lease:
“Quando iniziarono ad arrivarci lo stufato americano, il burro, le uova in polvere, la farina e altri prodotti, che significativo apporto calorico ricevettero immediatamente i nostri soldati! E non solo i soldati: qualcosa è arrivato anche nelle retrovie. Oppure prendiamo la fornitura di autoveicoli. Tenendo conto delle perdite lungo il percorso, per quanto possa ricordare, alla fine abbiamo ricevuto circa 400.000 autoveicoli di prima classe per l'epoca come Studebaker, Ford, Willis e mezzi anfibi. Tutto il nostro esercito si è effettivamente ritrovato su ruote, e che ruote! Di conseguenza, la sua manovrabilità è aumentata ed è cresciuto notevolmente il ritmo dell'offensiva. … Senza il Lend-Lease probabilmente avremmo combattuto per un altro anno e mezzo.”
Da parte americana, poi, il Segretario di Stato Edward R. Stettinius, riferì le ragioni addotte senza ipocrisie dal senatore Walter F. George, presidente della Commissione Finanziaria durante il periodo bellico, del perché valeva la pena spendere soldi per il programma Lend-Lease:
“La Nazione ora spende circa 8 miliardi al mese. Se non fosse stato per i preparativi che abbiamo fatto in questi mesi, guadagnando tempo, la guerra, ne sono convinto, sarebbe durata un anno in più. Spendiamo fino a 100 miliardi di dollari all'anno in guerra e, inoltre, perdiamo un numero enorme di vite dei migliori figli del paese. Anche se abbreviassimo la guerra di soli sei mesi, risparmieremmo 48 miliardi di dollari, avendone spesi solo 11 (con il Land-Lease, n.d.a.) e il sangue dei nostri soldati e le lacrime delle nostre madri non hanno prezzo...”
Prima di concludere, voglio ricordare anche il Progetto Hula, un programma parallelo al Lend-Lease, durante con cui gli Stati Uniti trasferirono navi militari all'Unione Sovietica in previsione che i Sovietici si unissero alla guerra contro il Giappone, in particolare in preparazione alle invasioni sovietiche pianificate del sud di Sachalin e delle isole Curili. Con sede a Cold Bay, in Alaska, il progetto fu attivo durante la primavera e l'estate del 1945. Si è trattato del programma di trasferimento più grande e ambizioso della Seconda Guerra Mondiale.
Dopo aver ricevuto dall’Unione Sovietica un elenco delle attrezzature necessarie - che gli Americani chiamarono in codice MILEPOST- gli Stati Uniti iniziarono il lavoro per soddisfare i requisiti sovietici in aggiunta alle assegnazioni annuali previste con il Lend-Lease.
Secondo la legge statunitense, tutte le navi trasferite all'estero tramite Lend-Lease dovevano essere restituite alla custodia statunitense dopo la conclusione della II Guerra Mondiale e, nel febbraio 1946, gli Stati Uniti iniziarono i negoziati con l'Unione Sovietica per la restituzione delle navi trasferite. Tuttavia, con l'inizio della Guerra Fredda, le relazioni tra l'Unione Sovietica e gli alleati occidentali si deteriorarono rapidamente, ostacolando il ritorno delle navi.
Paradossalmente, la Marina degli Stati Uniti in realtà non voleva riprendere in consegna le navi perché non erano più utili e sarebbe stato costoso prenderle in custodia e smaltirle; di conseguenza alcune navi subirono un trasferimento meramente amministrativo sotto la custodia degli Stati Uniti, per rispettare quanto stabilito dalla legge. L'Unione Sovietica trasferì due dragamine alla Repubblica Popolare Cinese; delle altre 97 navi del Progetto Hula 81 furono vendute all’Unione Sovietica come rottami e 16 furono affondate al largo di Nakhodka.18
A quali conclusioni si può arrivare, guardando oltre i meri aspetti fattuali della storia passata e presente?
La Russia dovrebbe riflettere sul proprio passato e, al di là delle proprie ragioni para-imperiali, comprendere l’entità del danno causato da una visione antistorica del presente, con il tentativo di annessione dell’Ucraina al proprio “impero”. Non deve destare stupore che gli Stati Uniti abbiano voluto applicare una forma di Lend-Lease nei confronti dell’Ucraina.
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I think dugin has been wrongfully judged in the West and characterized as a monster he isn't. Not all of his positions are agreeable, but that's a long way from what he is called in the west
The post is machine translated
Translation is at the bottom
The collective is on telegram
⚠️ ALEKSANDR GEL'EVIČ DUGIN: "VOGLIO INCHINARMI DI FRONTE ALLA GRANDEZZA E ALLA SAGGEZZA DEL PARTITO COMUNISTA CINESE" ⚠️
🇷🇺 Il 24/06 del 2021, Aleksandr Gel'evič Dugin - Filosofo Russo, e Presidente del Movimento Internazionale Eurasiatico, ha tenuto un discorso presso un Seminario sulla Fondazione del Partito Comunista Cinese, organizzato dall'Accademia Cinese delle Scienze Sociali 🇨🇳
🐰 Il filosofo Russo, invitato dall'Università Fudan di Shanghai a tenere una serie di lezioni sul Tema della Geopolitica e del Multipolarismo, ha dichiarato di volersi «inchinare di fronte alla grandezza e alla saggezza del Partito Comunista Cinese», che non ha seguito l'esperienza fallimentare del PCUS, ha avuto successo e ha reso la Cina un Paese prospero ⭐️
💬 «Uno dei migliori aspetti del CPC è che ha preservato la sovranità della Cina. Rispetto al PCUS, il CPC ha ottenuto molto successo. [...] Le riforme del CPC non hanno portato alla distruzione del Paese, l'hanno reso più prosperoso» 🚩
😈 Partendo dall'analisi della Teoria e la Praxis del Presidente Mao Zedong e del Compagno Deng Xiaoping, il filosofo ha ricordato come l'Ideologia del CPC sia «strettamente correlata alle tradizioni storiche della Cina e alla Cultura del Popolo Cinese», e che il Socialismo con Caratteristiche Cinesi rappresenta «una continuazione della Civiltà Cinese, è avanzato e pionieristico» 🇨🇳
🐰 La Cina, ha sottolineato Dugin, ha attraversato pericoli complicati e deviazioni, ma è sempre stato in grado di correggere il proprio percorso di sviluppo, adattandosi ai tempi, al contrario del PCUS: «Voglio inchinarmi di fronte alla saggezza e alla grandezza del Partito Comunista Cinese, non hanno imitato il nostro percorso e non sono andati a perire, invece sono diventati più ricchi e più forti» 🥳
🇷🇺 Dugin ha dichiarato che la Russia non è ancora riuscita a «sfuggire all'ombra della disintegrazione dell'URSS», e che il CPC ha tratto importanti lezioni dal fallimento del PCUS, senza ripetere gli errori di Gorbačëv 🤔
⭐️ Xi Jinping: "Il PCUS ha negato Lenin e Stalin, ha dimenticato la sua Storia, e alla fine il Partito si è spezzato, l'URSS - un grande Paese socialista - si è disintegrata" 🇨🇳
🐰 Dopodiché, Dugin ha analizzato il concetto di Egemonia e anti-Egemonia di Antonio Gramsci, in relazione «all'intensificazione dell'egemonismo neo-liberale guidato da Trump e Biden», e ha dichiarato che Cina e Russia sono due Paesi che combattono tale egemonia, ma che la Russia - contrariamente alla Cina - è ancora impantanata a causa delle numerose figure liberali nel Governo Russo 🥱🇷🇺
🤝 Il filosofo ha sottolineato l'importanza della Cooperazione tra Cina e Russia, affermando come essa possa realizzare un percorso di sviluppo sovrano, democratico e indipendente, opposto all'egemonia statunitense ⭐️
💬 «Quando ho passeggiato per Shanghai, ho visto che non c'è discriminazione, non ci sono spacciatori, non c'è arretratezza. La Cina è una società con una Cultura Tradizionale, un grande Paese sviluppato sulla base del Comunismo»
🤔 Sul Tema del Multipolarismo, Dugin ha sottolineato che Cina, Russia e USA sono ora i tre principali poli del Mondo, ma che si dovrebbe consentire ad altri poli, come l'Africa, di emergere e partecipare agli affari del Mondo 🤧
🌸 Iscriviti 👉 @collettivoshaoshan
⚠️ ALEKSANDR GEL'EVIČ DUGIN: "I WANT TO BOW TO THE GREATNESS AND WISDOM OF THE COMMUNIST PARTY OF CHINA" ⚠️
🇷🇺 On 24/06 2021, Aleksandr Gel'evič Dugin - Russian Philosopher, and President of the International Eurasian Movement, gave a speech at a Seminar on the Foundation of the Communist Party of China, organized by the Chinese Academy of Social Sciences 🇨🇳
🐰 The Russian philosopher, invited by the Fudan University of Shanghai to give a series of lectures on the topic of Geopolitics and Multipolarity, declared that he wanted to "bow before the greatness and wisdom of the Chinese Communist Party", which did not follow the failed experience of the CPSU, it was successful and made China a prosperous country ⭐️
💬 «One of the best aspects of the CPC is that it preserved China's sovereignty. Compared to the CPSU, the CPC has achieved much success. [...] The reforms of the CPC did not lead to the destruction of the country. They made it more prosperous» 🚩
Starting from the analysis of the Theory and Praxis of Chairman Mao Zedong and Comrade Deng Xiaoping, the philosopher recalled how the ideology of the CPC is "closely related to the historical traditions of China and to the culture of the Chinese people", and that the Socialism with Chinese Characteristics represents «a continuation of Chinese Civilization, it is advanced and pioneering» 🇨🇳
🐰 China, Dugin underlined, has gone through complicated dangers and detours, but it has always been able to correct its development path, adapting to the times, unlike the CPSU: «I want to bow down before the wisdom and greatness of the Party Communist Chinese, they didn't imitate our path and they didn't go to perish, instead they became richer and stronger" 🥳
🇷🇺 Dugin stated that Russia has not yet managed to «escape the shadow of the disintegration of the USSR», and that the CPC has learned important lessons from the failure of the CPSU, without repeating Gorbachev's mistakes 🤔
⭐️ Xi Jinping: "The CPSU denied Lenin and Stalin, forgot its history, and in the end the Party broke up, the USSR - a great socialist country - disintegrated" 🇨🇳
🐰 After that, Dugin analyzed Antonio Gramsci's concept of Hegemony and anti-Hegemony, in relation to «the intensification of neo-liberal hegemonism led by Trump and Biden», and declared that China and Russia are two countries fighting this hegemony, but that Russia - contrary to China - is still bogged down by the numerous liberal figures in the Russian Government 🥱🇷🇺
🤝 The philosopher underlined the importance of cooperation between China and Russia, stating how it can achieve a sovereign, democratic and independent development path, opposed to US hegemony ⭐️
💬 "When I walked around Shanghai, I saw that there is no discrimination, there are no drug dealers, there is no backwardness. China is a society with a Traditional Culture, a large country developed on the basis of Communism»
🤔 On the topic of Multipolarity, Dugin stressed that China, Russia and the USA are now the three main poles of the world, but that other poles, such as Africa, should be allowed to emerge and participate in world affairs 🤧
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la dissoluzione dell'URSS
La sera del 25 dicembre 1991, in un discorso televisivo di poco più di dieci minuti, Mikhail Gorbaciov, dopo aver spiegato la necessità ineludibile delle riforme intraprese dalla primavera del 1985, aver rivendicato la loro valenza storica e ribadito di essersi battuto per la sovranità delle repubbliche ma anche per la conservazione della loro Unione, prende atto che è prevalsa la linea di disgregazione dello Stato e rassegna le dimissioni da presidente dell'URSS. La bandiera rossa con la falce e il martello viene ammainata dal palazzo del Cremlino e il 26 dicembre 1991 l'URSS viene ufficialmente sciolta. Dalla dissoluzione dell'URSS nascono Stati indipendenti in Europa (Ucraina, Moldavia, Bielorussia, Estonia, Lettonia e Lituania), nel Caucaso (Georgia, Armenia e Azerbaigian), in Asia centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan) e, nella maggior parte di quello che era stato il territorio sovietico, la Federazione Russa. Significato della fine dell’URSS La dissoluzione dell'URSS è un evento di enorme portata storica che sconvolge l'ordine mondiale e pone fine all'epoca bipolare. Non è però solo un evento storicamente determinato, è anche un processo per comprendere il quale occorre tener conto dell'accumularsi e dell'intrecciarsi progressivo nel tempo di una molteplicità di aspetti, cause e fattori di crisi. Occorre considerare:
fattori di lungo periodo: l'arretratezza economica che è la condizione di partenza dell'esperienza sovietica e poi il deficit da superare a tappe forzate),
fattori di breve periodo: la stagnazione degli anni Settanta o la mancata ristrutturazione tecnologica dell'apparato produttivo,
fattori contingenti (come la perestrojka, l'esplodere dei nazionalismi o gli eventi degli ultimi mesi dell'URSS) che caratterizzano in modo più o meno persistente la storia sovietica: il rigido modello di potere burocratico-centralistico, la sovrapposizione fra partito e Stato, i limiti della pianificazione, lo sviluppo prioritario dell'industria pesante, la compressione dei consumi, il fallimento dei tentativi di riforme, la doppia economia, la formazione di una burocrazia privilegiata, la corsa agli armamenti, i problemi della democrazia, la spoliticizzazione e la crisi dei valori socialisti…,
fattori indotti in vario modo dall'esterno (come la guerra fredda o la rivoluzione informatica connessa alla crescente globalizzazione dell'economia).
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nessuno ha "sfasciato la Russia": la Russia si è sfasciata da sola.
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Allora la prima parte di video mi piace ( anche se è drammatica) Stalin non era un santo laico ma non era nemmeno il demone rosso ( questo dimostrato dai documenti declassificati Russi e Foia Cia [ molti del KGB si svendero alla Cia per sopravvivere e gli regalarono molti documenti tra cui sui gulag e Stalin] ) studiate i saggi di Grover Furr ( su Stalin) poi Leo zagami ( sull'Italia e Europa)
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Gli Ultimi Giorni dell'URSS (24 Foto) Queste immagini possono sembrare uscite... - Guarda tutte le foto di questa galleria su worpho.com #Interessante #Luoghi #Russia #Storia
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21.02.2022
Il presidente russo dichiara in diretta tv che l'Ucraina non ha motivo di esistere, ne approfitta anche per un delirio camuffato da lezione di storia per rivendicare il momento di una nuova grande Russia la quale secondo lui è stata derubata con la caduta dell'URSS.
È un messaggio contro l'Ucraina, contro l'Europa, la NATO e gli USA.
Stranamente silenzio da tutti i filo-russi europei e nostrani.
Questo è il presente di mio figlio.
Non era il futuro che avevo in mente.
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" Un giorno - era di maggio - che la Città [Kiev] si svegliò risplendente come una perla nel turchese, e il sole rotolò fuori per illuminare il regno dell'etmano, e i cittadini erano già in moto, come le formiche, per i loro affarucci, e gli assonnati commessi dei negozi cominciavano ad alzare fragorosamente le saracinesche, un rombo terribile e sinistro attraversò la Città. Era di timbro inaudito - né di cannone né di tuono, ma così forte, che parecchie finestre si aprirono da sé e tutti i vetri tremarono. Il rombo si ripete, attraversò di nuovo tutta la Città alta, si riversò a ondate nella Città bassa, a Podol, e, attraverso l'azzurro e magnifico Dnepr, si perde nei lontani spazi moscoviti. I cittadini si svegliarono e nelle strade cominciò lo scompiglio. Dilagò in un istante, perché dalla Città alta, Pečersk, arrivò di corsa, urlando e ululando, della gente insanguinata e dilaniata. E il rombo si ripeté una terza volta e così forte che nelle case di Pečersk cominciarono a cadere fragorosamente i vetri e il terreno tremò sotto i piedi. Molti videro allora delle donne correre con la sola camicia indosso, gridando con voci terribili. Ben presto si seppe da dove era venuto quel rombo. Era venuto da Lysaja Gora, fuori della Città, sul Dnepr, dove si trovavano depositi colossali di munizioni e di polvere. A Lysaja Gora era avvenuta un'esplosione. Per cinque giorni la Città visse aspettando terrorizzata da Lysaja Gora l'ondata dei gas asfissianti. Ma le esplosioni cessarono, i gas non si sparsero, la gente insanguinata scomparve, e la Città riacquistò il suo aspetto pacifico in ogni sua parte, ad eccezione del piccolo angolo di Pečersk dove erano crollate alcune case. Inutile dire che il comando tedesco ordinò una severa inchiesta, e inutile dire che la Città non seppe nulla sulle cause dell'esplosione. Correvano voci diverse. - L'esplosione è stata provocata dalle spie francesi. - No, è stata provocata dalle spie bolsceviche. Si finì col dimenticare l'esplosione. "
Michail Bulgakov, La guardia bianca, traduzione di Ettore Lo Gatto, Einaudi, 1967; pp. 59-60.
Nota: la prima pubblicazione incompleta di Belaja gvardija [Белая гвардия] avvenne a puntate sulla rivista letteraria sovietica Rossija nel 1925 e l'opera teatrale ricavata dall'autore sulla base delle prime due parti riscosse subito un enorme successo (si dice che lo stesso Stalin vi assistette almeno una ventina di volte). Nel 1927 l'opera completa fu stampata a Parigi mentre una edizione censurata venne diffusa in Urss solo 1966. Come molte opere sgradite al regime La guardia bianca fu conosciuta nella sua interezza dai cittadini sovietici solo nel 1989.
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Michail Gorbačëv
Un russo d'altri tempi.
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Parlare di un uomo russo, parlare di un grande uomo russo, in tempi come questi, in cui questo tipo di persona, pare essersi definitivamente estinta all'interno della attuale Federazione Russa, mi fa uno strano effetto.
Mi commuove, intanto.
Mi colpisce la morte di questa brava persona che rispondeva al nome di Michail Gorbačëv.
Questo signore attempato che negli ultimi anni era totalmente scomparso dagli schermi e dalla cronaca dei quotidiani e se ne era andato, in punta di piedi dal palcoscenico della politica internazionale.
Ricordo anzi che nelle rare interviste appariva ormai come un anziano nonno, un sopravvissuto di un altro secolo. Un uomo che con dignità teneva stretti i suoi ideali, i sogni che aveva avuto, quelli di poter riformare il socialismo sovietico, pur sapendo che sarebbe stata una partita difficilissima.
Cosi l'ho sempre percepito: un uomo dotato di grande energia, di umanità ma anche di buon senso. Un uomo cresciuto sulla terra, legato all'agricoltura e ad una saggezza antica. E soprattutto, una persona, consapevole di aver svolto, nei limiti delle sue possibilità, il compito che la Storia gli aveva riservato.
Era questa l'impressione che dava, sentendolo parlare. Per noi occidentali, anzi, era quasi inspiegabile che un politico avesse accettato di farsi da parte senza recriminare, ad un certo punto, in nome di un bene superiore: evitare una guerra civile.
Perchè è questo, che successe nella Russia dei primi anni 90. Gorbaciov, davanti al colpo di stato promosso da Boris Elsin e da buona parte del Parlamento per estrometterlo definitivamente, scelse di evitare lo scontro armato. Qualcuno lo definì un "perdente", un illuso, uno che aveva osato pensare a una graduale trasformazione democratica, dell'URSS di fine anni 80. Una nazione drammaticamente fossilizzata in schemi autoritari e in un'economia ormai arcaica e paralizzata.
Una imbarazzante macchina statale che ormai non rispondeva più ne ai bisogni dei burocrati al potere nè a quelli dei cittadini.
Gorbaciov è morto a 91 anni e ha avuto la sventura di avere il tempo (gli ultimi 6 mesi) di vedere in quale infernale meccanismo stesse precipitando la Federazione Russa di oggi, sotto i deliranti diktat del nuovo dittatore del Cremlino
Vladimir Vladimirovič Putin, il sanguinario ex agente del Kgb, sta infatti scrivendo negli ultimi mesi, un'assurda e orribile nuova pagina della tormentata storia russa.
Una pagina degna dei peggiori momenti del nazismo hitleriano.
Ecco... se ne va un personaggio storico che ha tentato fino all'ultimo (dal 1985 sl 1991) di rinnovare la politica e la società russa, introducendo una maggiore trasparenza (glasnost) e una nuova legalità che si sposasse ad una diversa organizzazione dello Stato (perestroika).
Un nuovo Ordinamento, che fosse capace di rispettare la sfera privata dell'individuo, e riequilibrasse lo strapotere dello Stato sovietico.
Gorbaciov non c'è riuscito.
L'URSS è crollata, gli si è disgregata fra le mani, rischiando di precipitare in una terribile guerra civile.
Mickail lo sentì questo rischio. E per evitarlo, preferì ritirarsi lui, dalla scena politica. Gorbaciov si ritirò dalla politica nel 1992, dedicandosi alla Fondazione di studi politici e sociali, che porta il suo nome.
Ma al di là della sfera politica, a me colpisce la sua figura di persona. La sua dignità e la forza con la quale ha sempre parlato dell'amore della sua vita: sua moglie Raisa. In ogni intervista, in ogni viaggio, in ogni colloquio aveva questo coraggio di parlare liberamente del rapporto che gli aveva cambiato la vita: l'incontro con questa donna che lo aveva sempre sostenuto in ogni grande prova che aveva dovuto affrontare.
Anche dopo la prematura scomparsa di Raisa, parlando di lei, lui emanava una luce, una tranquilla energia, una sensazione di forza umana che niente e nessuno poteva indebolire
Chiunque lo ascoltasse non poteva non cogliere questa sua insolita umanità
Ecco perchè, ora che ci ha lasciato mi viene da considerarlo come un "nonno" che forse aveva perduto delle battaglie nella vita, ma aveva vinto in cambio, una vita degna e colma di gratificazioni.
Questa, la sensazione che mi arriva pensando a Michail Sergeevič Gorbačëv, alla sua simpatia e alla carica di umanità che ha sempre saputo trasmettere.
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Buon viaggio, Michail...
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CENT'ANNI DI COMUNISMO
Nessuno, il 24 febbraio scorso, ha festeggiato il centenario del partito nazista di Hitler, così come nessuno, il 21 gennaio prossimo, celebrerà propriamente il centenario del Partito Comunista, sezione italiana dell’Internazionale comunista legata alla Rivoluzione d’ottobre. Il paragone ci sta tutto: sono stati, entrambi, due partiti totalitari e corresponsabili delle peggiori atrocità del Novecento. Sul centenario comunista uscirà qualche libro: uno l’hanno già scritto Ezio Mauro e Mario Pendinelli per Marsilio («Quando c’erano i comunisti», titolo che infatti parla al passato) e un altro sta per pubblicarlo Emanuele Macaluso, che ha 97 anni. Le ombre di morte e atrocità che accompagnano questi totalitarismi sono le stesse per cui in Italia un serio partito fascista non esiste più (sarebbe fuorilegge) ma è anche la ragione per cui in Italia anche i comunisti non esistono più (sono assenti dal Parlamento) e non si trova quasi più nessuno disposto ad ammettere di essere stato comunista. Restano le accuse incrociate di essere «fascista» o «comunista» intese come insulti: ma la prima è la proiezione di un’ombra di settant’anni fa, la seconda è un’eredità di ieri che pesa ancora sulla società italiana, anche perché, come insegna una nota legge fisica, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. In che cosa?La maggior parte degli ex comunisti ha optato per la versione di Walter Veltroni: «Eravamo solo i ragazzi di Berlinguer», cognome che ancor oggi suscita applausi per mera ignoranza o perché molti, in realtà, applaudono solo alla loro giovinezza. Peccato che anche qui - detto senza acrimonia - i più ignorino o rimuovano ciò che Berlinguer effettivamente disse e fece, tanto che certe «operazioni nostalgia» funzionano ancora benché recitino un copione surreale. Uno può rimpiangere chi vuole: ma la sinistra di Berlinguer, storicamente, è quella che perse il referendum sulla scala mobile, che scelse di non schierarsi con gli Stati Uniti, che flirtò ancora con i sovietici che intanto puntavano missili nucleari contro di noi, è la sinistra che non volle trattare durante il rapimento di Aldo Moro e che rifiutò ogni riformismo che era invece cavallo di battaglia di Craxi. Il quale fu odiato per molte ragioni, ma la principale fu che l’Occidente guardava a lui come una sinistra schierata dalla parte giusta, come diverse interviste fatte a Massimo D’Alema hanno ricordato. Purtroppo, nella recita generale, persino Matteo Renzi è riuscito a sostenere che Berlinguer «è stato il leader che per primo ha portato la sinistra italiana dalla parte giusta della storia»: il contrario perfetto della verità, perché le posizioni di Berlinguer su mercato e imprese e liberalismo erano da suicidio; ancora negli anni Settanta, a congresso, sosteneva che «è universalmente riconosciuto che nell’Urss esiste un clima morale superiore, mentre le società capitalistiche vengono sempre più colpite da un decadimento di idealità e valori etici e da un processo di corruzione e degrado». Il partito della «questione morale» berlingueriana, ricordiamo, prendeva segretamente rubli dall'Unione Sovietica, e il famoso il famoso «strappo da Mosca» non impedì al Partito di incamerare rubli sino a 1989 inoltrato, quando crollò tutto l'Est e il Pci dovette umiliarsi a cambiare nome. Saranno stati solo i ragazzi di Berlinguer, ma Berlinguer si schierò contro gli euromissili in risposta alla minaccia dell'Urss, cercò di salvaguardare lo zoccolo duro comunista e perse di vista i ceti emergenti, rimase assolutamente comunista («l’eguaglianza è molto più importante della libertà») e per lustri la sua sinistra bloccò ogni opera e infrastruttura pubblica che fosse più grande di una capocchia di spillo. Il 21 gennaio prossimo, a ben pensarci, si finirebbe per festeggiare la nascita di un partito che bloccò il nucleare (non da solo) ma che era anche contro la televisione (quella a colori in particolare) e contro l’automobile, contro l’Autostrada del Sole, contro la metropolitana, contro i grattacieli, contro i ponti e i sottopassaggi, contro l’alta velocità in ogni sua forma, contro i computer, contro l’automazione del lavoro, contro il part-time, contro tutto ciò che si è rivelato causa e conseguenza della modernizzazione di un Paese che oggi ci si lamenta non sia sufficientemente modernizzato: chissà come mai. I figli di Berlinguer erano comunque parte di una sinistra che condannava la famosa società dei consumi, e ricordarlo non è preistoria. L’Unità del 3 ottobre 1964: «Abbiamo l’autostrada, ma non sappiamo a che serve». L’Unità dell’8 gennaio 1977: «Gli investimenti in autostrade hanno aperto una falla difficilmente colmabile, a detrimento di investimenti la cui mancanza determina continui danni economici ed ecologici». Avevano già requisito la questione ecologica. Il 1977 del resto è l’anno in cui Berlinguer – alla vigilia di una straordinaria fase di espansione mondiale dell’Italia – dettava un’altra parola d’ordine: «Austerità… il mezzo per porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale».Non è un articolo storicheggiante, questo, non stiamo urlando «100 milioni di morti» e arrivederci: ricordiamo solo che negli anni Sessanta il tram era definito di sinistra e la metropolitana di destra, che la sinistra progressista si oppose a ogni sviluppo urbanistico verticale, a tutti i progetti di Alta velocità ferroviaria, alla variante di valico Firenze-Bologna, all’aeroporto della Malpensa, al progetto Mose per salvare Venezia, persino, come detto, alla televisione a colori che secondo l’Unità, nel 1977, era «caldeggiata dagli industriali» ma c’erano dubbi su «quando introdurla… chiarire se il Paese può sopportare questa spesa». La tv a colori ce l’aveva da decenni tutto il mondo occidentale. E non stiamo neanche a citare l’opposizione alle prime tv commerciali e a «un pluralismo televisivo illegale, incostituzionale e tecnicamente impossibile» (l’Unità). Già. Chi applaudiva ai pretori che spegnevano le tv di Berlusconi? chi si battè contro gli spot televisivi perché «non si interrompe un’emozione», come disse proprio Walter Veltroni?Rimosso tutto questo, dimenticata o falsificata la Storia, si riciccia allora il famoso «eurocomunismo» berlingueriano, oggetto misterioso che si rivolse ai partiti comunisti di Francia e Spagna e a un certo punto anche Inghilterra: sappiamo che doveva essere un progetto marxista intermedio al leninismo e al socialismo, e che, insomma, voleva reinventare il comunismo. Ma in realtà non sappiamo altro, a parte che una vera rottura con l'Unione Sovietica alla fine non vi fu, e che non fu mai sviluppata una strategia politica chiara e riconoscibile. L’unica cosa certa, e realizzata a livello europeo solo oggi, è che al posto del comitato centrale c'è un comitato economico e finanziario, e al posto dei proletari ci sono milioni di correntisti.Oggi dicono che «se ne occuperanno gli storici», ma forse è proprio questo a terrorizzare: che gli storici, com'è già accaduto, possano farsi soffocare da un conformismo il quale, per diradarsi, ha bisogno di decenni. Dicono «la Storia»: ma basta guardare a quanti poveracci, ancora, liquidino certi governi della Prima Repubblica come una fabbrica di debito pubblico e non (anche) come un motore della modernizzazione italiana dal Dopoguerra, quella che ci fece raggiungere il quinto posto tra i paesi industrializzati; basta guardare a quanti «ragazzi di Berlinguer» celebrino ancora Berlinguer che non ebbe ragione su niente. Basta guardare, chiediamo scusa, persino a questo governo: è composto in massima parte da ex comunisti o postcomunisti oltreché da grillini, una somma che, con la stessa e ipocrita aura di superiorità, favorì quell'antipolitica e quel qualunquismo che non si riversarono in una pulsione rivoluzionaria: si riversarono prima nel giustizialismo e poi nell’antipolitica. Insomma: i comunisti non esistono più, però sono al governo. E li riconosci anche con la mascherina.
Filippo Facci
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DIRE "RUSSIA", OGGI, EQUIVALE A DIRE LAGER, A DIRE DITTATURA SANGUINARIA, A IMPERIALISMO SOVIETICO PEGGIO CHE DURANTE LA STORIA DELL'URSS, SIGNIFICA STERMINIO DI MASSA CONTRO LE POPOLAZIONI UCRAINE, STUPRO MASSICCIO E PROLUNGATO DELLE RISORSE NATURALI DEL PIANETA.
IL MALE ASSOLUTO PERPETRATO NON PER FAVORIRE IL POPOLO RUSSO CHE CONTINUA A VIVERE NELLA POVERTÀ, MA SOLO PER INSEGUIRE I PROPRI DISEGNI DI POTERE E DI DESPOTA ASSOLUTO.
Per questo, confido ogni giorno "che una mano santa" faccia un favore a tutto il mondo , facendo saltare in aria l'autore e unico responsabile di questi 25 anni di sfacelo che è la storia russa nel 21esimo secolo!
Che sia un islamico, che sia un ceceno, che sia un antifascista russo, che sia un oppositore seguace di Navalny, sarà sempre e per sempre una vera benedizione, colui che libererà il pianeta da questo ectoplasma di nome:
Vladimir Vladimirovič Putin!
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Cumberbatch è magnifico mentre Wynne si trasforma gradualmente da garzone riluttante e mite a una spia amatoriale freddamente efficiente, sempre più sfacciata e ostinatamente dedita, capace di improvvisazioni creative in situazioni difficili mentre sviluppa un'amicizia genuina e la fiducia con Penkovsky, che è affranto deve diventare un traditore della sua amata patria ma è convinto di fare la cosa giusta. Gli uomini incontrano persino le famiglie dell'altro, con le loro mogli e figli credendo di essere solo due uomini d'affari che sono diventati amichevoli quando in realtà sono partner in una missione in corso sempre più pericolosa che potrebbe salvare milioni di vite carcere o essere giustiziato. C'è anche spazio per un intermezzo in cui i due uomini vedono una compagnia di balletto russa che esegue "Il lago dei cigni", un classico film della Guerra Fredda.
Certo, sappiamo già come si è svolto il teso conflitto tra Stati Uniti e sovietici nei primi anni '60, ma la maggior parte di noi probabilmente non conosceva le storie di Wynne e Penkovsky, che provenivano dagli estremi opposti del mondo politico ma lavorato insieme per aiutare a prevenire una guerra globale. “The Courier” è un degno tributo a questi due bravi uomini. Benedict Cumberbatch è una buona noia. Nonostante quel volto distintivo e quel ronzio basso e sensuale di una voce - o forse proprio a causa loro - c'è una robustezza confortante in lui che lo rende ideale per interpretare persone ordinarie in modo clamoroso. In The Courier di Dominic Cooke, Cumberbatch interpreta un insignificante uomo d'affari britannico che viene coinvolto in un elaborato piano di spionaggio della Guerra Fredda all'inizio degli anni '60. È il tipo di ruolo per il quale un attore straordinario e imprevedibile semplicemente non farà. Un Daniel Day-Lewis o un Gary Oldman sarebbero completamente persi nella parte. Hai bisogno di un grande attore che possa comunque trasudare convenzionalità.
Cumberbatch è piuttosto attraente nei panni di Greville Wynne, un ingegnere e venditore senza pretese e deferente i cui frequenti viaggi di lavoro nell'Europa orientale negli anni '50 hanno spinto i servizi di spionaggio americani e britannici ad arruolarlo nel traghettare i messaggi del colonnello Oleg Penkovsky (Merab Ninidze), un superiore. nell'agenzia di intelligence militare dell'URSS. Questi sforzi portarono a informazioni chiave sull'accumulo militare sovietico a Cuba, che portò il mondo sull'orlo di una guerra nucleare nel 1962 ma finì anche per stabilire una linea diretta tra Mosca e Washington, presumibilmente salvando così il pianeta da future calamità. È una delle storie di spionaggio più straordinarie del XX secolo, ma The Courier la presenta saggiamente come una storia di lealtà personale invece che geopolitica o spionaggio.
Cooke e lo sceneggiatore Tom O'Connor danno persino alla relazione tra Greville e Oleg l'aura sottile di una storia d'amore clandestina. Camminando per una strada buia di Mosca una notte dopo il loro primo incontro, con le loro voci spezzate dall'attesa e dalla paura, gli uomini chiacchierano a bassa voce. "Possiamo parlare qui, è sicuro", dice Oleg, poi continua: "Ho sognato questo momento da molto tempo. Vorrei poterti dire quanto questo significa. " Dopo aver consegnato Oleg (nome in codice "Ironbark", che era il titolo originale del film, molto più evocativo quando è stato presentato per la prima volta al Sundance lo scorso anno) nella stanza d'albergo dove il suo gestore della CIA, Emily (Rachel Brosnahan), sta aspettando, la porta lentamente, agonizzante si chiude il viso di Greville, e non è difficile immaginarlo come un amante licenziato. Inoltre, man mano che i suoi viaggi a Mosca diventano più frequenti, l'impazienza di Greville con la sua famiglia a casa cresce e sua moglie, Sheila (Jessie Buckley) inizia a sospettare che potrebbe esserci un'altra donna nella foto. Questa nozione del legame di spionaggio come una specie di relazione amorosa non è economica o priva di significato. (Inoltre, non è una novità; questo è il territorio privilegiato di John le Carré.) L'amore platonico che si sviluppa tra questi due uomini diventa critico più avanti nella storia, poiché la loro situazione diventa più disperata. Il film crea suspense non sulle rivelazioni di Oleg - anche la crisi missilistica cubana è per lo più trattata come rumore di fondo - ma sulla natura sempre più codipendente della relazione tra lui e Greville. Uno diventa la chiave dell'altro, il che rende ogni svolta nella loro amicizia molto più tesa.
Cumberbatch è fantastico, ma la vera attrazione qui è il grande attore georgiano Ninidze, che può trasmettere le informazioni di un intero romanzo con solo un paio di sguardi. All'inizio del film, Oleg porta Greville al balletto. Là, su un sedile del balcone, c'è il leader sovietico Nikita Krusciov, l'uomo il cui crescente potere e follia ha già terrorizzato questo ufficiale di carriera sovietico ed eroe di guerra in una vita di tradimento. Oleg guarda l'orco sopra di lui con estremo terrore e, guardando Ninidze, possiamo praticamente sentire la fossa aprirsi nel suo stomaco. Quindi, Oleg si rivolge al palco - un palcoscenico che non vediamo mai - e il suo sguardo inizia a cambiare, i suoi occhi improvvisamente prendono vita con la luce sognante di un futuro migliore.
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IL PATTO CHE PATTO NON E'
Innaro ha ragione: negli ultimi 30 anni la Nato si è allargata a Est. A essere precisi, negli ultimi 23 anni (se si esclude la Germania orientale dopo l'unificazione): ha cominciato nel 1999 con Polonia, Repubblica ceca e Ungheria. Ed è proseguito con gli altri Paesi europei ex alleati dell'Unione sovietica (nel quadro del Patto di Varsavia), e anche con Stati che facevano parte dell'Urss, come Lituania, Lettonia ed Estonia.
Putin ha torto: il presidente russo, così come aveva provato a fare il suo predecessore Boris Eltsin, ha più volte sostenuto che questo allargamento dell'Alleanza atlantica è un tradimento dell'accordo raggiunto il 9 febbraio 1990 tra il segretario di stato americano James A. Baker e l'ex leader sovietico Mikhail Gorbachev. Che Baker abbia detto a Gorbachev che la Nato non si sarebbe mossa "di un pollice" verso Est è probabilmente vero. Usiamo il "probabilmente" perché il cosiddetto "accordo" in realtà è una conversazione privata riportata da altri.
Ma a prescindere da questo, come ha ricostruito la professoressa di storia internazionale della London School of Economics, Kristina Spohr, "i colloqui del febbraio 1990 non hanno mai riguardato l'espansione della Nato nell'Europa orientale". D'altra parte, sia l'Urss, sia l'alleanza del Patto di Varsavia esistevano ancora all'epoca. Quei colloqui riguardavano semmai il futuro della sola Germania dell'Est in vista dell'unificazione con l'Ovest, e furono propedeutici a un trattato (stavolta scritto, firmato e dunque verificabile), che in effetti conteneva dei limiti al dispiegamento Nato nell'ex Ddr.
Quel trattato, ribattezzato "Due più quattro", è stato ripreso da Eltsin per cercare di ottenere da Usa e Europa un impegno formale per limitare una eventuale espansione dell'Alleanza a Est: non ci riuscì,come dimostra il Nato Russia Founding Act del 1997. Con quell'atto, scritto e firmato da Eltsin (di cui Putin all'epoca era tra i più stretti colleaboratori), Mosca si impegnò al "rispetto per la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale di tutti gli Stati e il loro diritto intrinseco di scegliere i mezzi per garantire la propria sicurezza".
Il diritto di un popolo
E qui arriviamo al punto: chiarito che le accuse russe di tradimento da parte dell'Occidente non si basano né su accordi politici, né su trattati di diritto internazionale, la vera questione riguarda l'Ucraina, gli ucraini, e la loro sovranità. Come potrebbe una conversazione fatta 32 anni fa tra due politici (di cui uno leader di un Paese che non esiste più) impedire a un popolo di 44 milioni e passa di decidere quali alleanze internazionali stringere per difendere la propria sicurezza e il proprio futuro? Tali alleanze potranno pure essere sbagliate, ma non ci risulta che Kiev abbia dichiarato guerra alla Russia. E poi, anche se Washington e Mosca avessero fatto un patto scritto (32 anni fa come oggi), da quando è diventato giusto o giustificabile che due Stati decidano le sorti di un Paese terzo?
Quest'ultima domanda la vorremmo porre a chi fino a ieri si stracciava le vesti per difendere il diritto all'autodeterminazione della Catalogna, o della Palestina, o ancora di Hong Kong, e oggi invece si fa megafono della narrativa del tradimento della Nato che Putin sta usando per giustificare l'invasione in Ucraina.
L'Ucraina non è una democrazia compiuta, ma da quando l'Unione sovietica si è disciolta, ha avuto 7 presidenti diversi, alcuni filorussi, altri meno o filo-occidentali. La Bielorussia, il Paese ex sovietico più vicino a Mosca, ha conosciuto finora un solo presidente in quasi 30 anni, l'autoritario Alexander Lukashenko. Non sappiamo in quale dei due Stati il collega Marc Innaro preferirebbe vivere. Noi, in tempi di pace, non avremmo dubbi.
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ricapitolando: l
la Nato si è espansa ad est. Ma non ha violato nessun accordo scritto.
l'accordo del 1990 preso a pretesto per l'invasione era un accordo INFORMALE e tale è rimasto.
nel 1990 fu FIRMATO un trattato (vero) che riguardava il futuro della sola Germania est in vista dell'unificazione: i limiti al dispiegamento NATO riguardavano il territorio ex-Ddr.
nel 1997 abbiamo il Founding Act Nato-Russia dove Eltsin si impegna a rispettare la sovranità e l'integrità degli ex-satelliti ( e firma).
Sconcerta il fatto che il Memorandum di Budapest 1994 (dove l'Ucraina cede alla Russia le sue armi nucleari in cambio del riconoscimento dell'indipendenza) sia sparito dalla scena.
c'est tout......;-)
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