#Relazioni persuasive
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Un breve Viaggio nella Programmazione Neuro-Linguistica (PNL): Comunicazione Efficace e Relazioni Persuasive
🔊🔊🔊La Programmazione Neurolinguistica al servizio di chi vuole comunicare bene ed efficacemente! 🌟🌟🌟🌟🌟
Nel mondo della comunicazione, poche metodologie hanno influenzato l’arte di interagire con gli altri tanto quanto la Programmazione Neuro-Linguistica, meglio conosciuta come PNL. Con il suo focus sulla comprensione delle dinamiche cognitive e linguistiche che guidano il comportamento umano, la PNL offre strumenti preziosi per comunicare in modo efficace e stabilire relazioni…
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Tecniche di persuasione di Cialdini
Il dottor Robert Cialdini è un psicologo sociale e professore emerito presso l'Arizona State University, noto per il suo lavoro sulla persuasione e sull'influenza sociale. Nel suo libro "Influence: The Psychology of Persuasion", Cialdini descrive sei principi chiave che governano la persuasione: la reciprocità, la scarsità, l'autorità, la simpatia, la conformità di gruppo e la consistenza.
Il principio della reciprocità sostiene che le persone hanno una tendenza innata a ricambiare i favori ricevuti. Ad esempio, se qualcuno ci offre qualcosa gratuitamente, siamo più propensi a fare qualcosa per loro in futuro.
Il principio della scarsità sostiene che le cose che sono rare o che stanno per finire hanno un maggiore valore per noi rispetto a quelle che sono abbondanti. Ad esempio, se un'offerta è limitata nel tempo o nella quantità, è più probabile che le persone si sentano spinte a acquistarla.
Il principio dell'autorità sostiene che le persone hanno una tendenza a rispettare e a seguire le figure di autorità. Ad esempio, se un medico ci consiglia un determinato trattamento, siamo più propensi a seguire il suo consiglio rispetto a quello di uno sconosciuto.
Il principio della simpatia sostiene che le persone hanno una tendenza a fare affari o a cooperare con quelli che trovano simpatici. Ad esempio, se un venditore ci sembra cordiale e amichevole, siamo più propensi a comprare da lui.
Il principio della conformità di gruppo sostiene che le persone hanno una tendenza a conformarsi alle azioni e alle opinioni degli altri. Ad esempio, se vediamo che tutti i nostri amici stanno comprando un determinato prodotto, siamo più propensi a farlo anche noi.
Infine, il principio della consistenza sostiene che le persone hanno una tendenza a essere coerenti con le loro azioni e le loro parole. Ad esempio, se ci impegniamo a fare qualcosa, siamo più propensi a seguire attraverso con essa.
In generale, i principi di persuasione di Cialdini ci insegnano che le persone hanno tendenze innate a rispondere in determinati modi a determinati stimoli. Comprendere questi principi ci consente di utilizzare le tecniche di persuasione in modo più efficace nella comunicazione e nelle relazioni
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Il punto da cui vorrei partire in questa riflessione è quello che ci porta a chiederci perché così tante imprese si impegnano pubblicamente, almeno a parole, per mezzo di elaborati argomenti, codici condivisi e dichiarazioni persuasive, a perseguire finalità diverse dalla semplice massimizzazione del profitto. E perché così tanti manager e lavoratori sembrano dare una profonda importanza a tali dichiarazioni? Perché, oggi, sembra meno scontato di un tempo quello che Milton Friedman affermava in un famoso articolo sul New York Times del settembre del 1970, e cioè che “la responsabilità sociale dell'impresa è quella di aumentare i suoi profitti”? Perché, stando, per esempio, ai dati del “2018 Deloitte Global Human Capital Trends Report”, stiamo osservando in questi anni un cambiamento epocale nel ruolo delle imprese nei mercati globali. Se le relazioni contano più del risultato Queste, infatti, sono sempre meno di frequente valutate attraverso le metriche tradizionali delle performance finanziarie o della qualità dei loro prodotti e servizi e sempre più sulla qualità della relazione tra imprese e dipendenti, i clienti e le comunità di riferimento. (...) Il fattore appartenenza La versione 2020 del “rapporto Deloitte” sottolinea l'importanza che i lavoratori si sentano sempre di più “appartenere” all'impresa, e per questo è sempre più importante rinforzare la loro impressione di sentirsi trattati equamente, di essere inseriti in una rete di relazioni sociali e di essere nelle condizioni di poter dare un contributo significativo alla riuscita del loro team e dell'impresa stessa. (...) L'appartenenza a qualcuno o a qualcosa si gioca in un equilibrio sottile tra la valorizzazione dell'unicità individuale e l'appiattimento verso una identità collettiva; tra la generazione di senso comunitario e l'annientamento della differenza che genera la nostra identità. (...) Il valore dell’autenticità (...) Autenticità, in questo contesto, indica essenzialmente la non-strumentalità di certi comportamenti. (...) Questo non significa pretendere dalle imprese un atteggiamento umanitario, significa solo chiedere che le vere ragioni dell'agire siano trasparenti ed evidenti. (...) Fingere è la cosa peggiore. Al di là dei pochi casi isolati, di imprese capaci di costruire un rapporto realmente generativo di senso per i propri dipendenti, il quadro generale sembra piuttosto sconfortante. (...) La (con)fusione degli ambiti di vita e di lavoro genera nuove domande e nuovi obblighi da parte del lavoratore, eppure, fatto curioso, nessuna responsabilità da parte dell'impresa che si vede acquisire, come per legge naturale, solo nuovi diritti. In questo clima quasi-religioso si sviluppano riti e retoriche nuove, liturgie avvolgenti, promesse totalizzanti. I pericoli di una cultura tossica (...) Una cultura tossica, dove l'entusiasmo dei giovani sfuma nel fervore dei martiri, che fa dell'autenticità un mantra e dell'inautenticità una pratica costante. (...) Gioia che solamente promette ma, di fatto, distrugge. Come ogni esperienza totalizzante, in fondo, elimina la responsabilità e quindi la bellezza della personale libertà. I rischi di un lavoro “smart” – per venire ad una implicazione di grande attualità - che si insinua nelle dinamiche familiari e al tempo stesso depotenzia la dimensione sociale del nostro quotidiano, sono rischi assolutamente reali, ma non dipendono tanto dalla modalità lavorativa – a casa, da remoto, via computer – quanto dalla cultura manageriale ed economica, più in generale, che la determina e concorre a definirla. (...) il nostro bisogno di narrare il mondo secondo modalità che assegnino significato al nostro posto in esso, ci può portare a costruire modi di stare al mondo che distruggono la stessa possibilità di trovare proprio quel significato più autentico. (...) lo “sviluppo” della civiltà ci ha portati ad un'era di maggiore individualismo, al predominio della ragione strumentale e ad una radicale perdita di libertà. Umanizzare ma senza doppi fini (...) L'umanizzazione del lavoro, se non ricercata in maniera autentica, libera e non-strumentale, rischia di trasformarsi in una de-umanizzazione, non solo del lavoro, ma della vita stessa. Quando parliamo di sviluppo, ad ogni livello, credo non si possa prescindere dal trovare una risposta soddisfacente a questa fondamentale contraddizione della contemporaneità, insieme nelle sue sfere economica, sociale e politica.
https://www.ilsole24ore.com/art/quando-capitalismo-diventa-religione-e-lavoro-pretende-tutto-ADrs0Df
l’articolo centra un punto assolutamente fondamentale della (non) etica eticissima dell’ipocrisia schiacciante vigente nel mondo del lavoro odierno.
Solo, che czz. ci azzecca spacciare tutto questo come “capitalismo che diventa religione”? Ma è l’esatto opposto caro Pelligra: questi sono gli effetti perversi della l’irruzione dell’ ETICA SOCIALISTA nel mondo delle imprese, è la resa delle aziende al mood “Terzo Settore” decrescista, è un tentativo ipocrita e squallido di mitigazione tipicamente liberal, “sto qui per guadagnare ma non posso dirlo”, o peggio: fanno parte della TRATTA ma lo vestono di gran buonismo. Nulla di nuovo sotto il sol dell’Avvenire socialista.
Sarei un po’ stanchino di gente che analogamente a codesto, “narra” ed edulcora la realtà come gli piacerebbe che fosse, identificando il capro espiatorio standard (rassismo, fassismo, CAPITALISMO), quando invece è evidente che un ritorno al capitalismo classico del profitto del lavoro e del risparmio invece sarebbe la SOLUZIONE (avversata dai poteri buro- finanziari schiaccia persone e schiaccia nazioni dei bailout). Fanno come quelli che il vairus non si deve assolutamente definire “cinese” ma si può dire “il virus di Trump”.
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Alcyon Pleiadi 84:Gente Tossica, Conflittiva, Esplosiva, Manipolatrice, Famiglia dissociata, Millennial Viviamo in un’epoca nella quale esistono ovunque persone problematiche e difficili, bellicose e belligeranti con tutti. Persone che protestano per tutto, che sminuiscono e disprezzano, persone narcisiste ed egocentriche che si sentono importanti mettendosi in risalto e criticando gli altri, etc., danneggiando così le relazioni sia familiari che sociali. E quale sarebbe la soluzione per risolvere questa situazione così abituale?Solo nel momento in cui riusciremo ad identificare il modus operandi di queste persone emozionalmente esplosive, persone tossiche con la loro carica di risentimenti, rabbia e arrabbiatura costante come forma di comunicazione e comportamento quotidiano, riusciremo a vivere in armonia e stabilità emozionale.Questo è il motivo per cui dovremmo saperci relazionare adeguatamente con le persone e così evitare contrattempi perché siamo immersi in un mondo di cinismo e ipocrisia in cui risaltano gli atteggiamenti sleali ed ogni tipo di simulazione.D’altro canto esistono anche persone manipolatrici e persuasive, che attraverso complimenti e promesse maneggiano le masse e fanno parte degli affari, gli educatori che con le loro prediche e risorse cercano di persuadere l’uditorio ed è dove spuntano le dipendenze e la crescente pedofilia di perversi provenienti sia dal clero religioso che dagli stessi politici corrotti....E che ruolo giocano in questo le famiglie? Continua ad essere attuale il pilastro della società? Che cosa succede con le famiglie disfunzionali, nelle quali esiste manipolazione emozionale, violenza, genitori autoritari o permissivi? E sull’aumento di divorzi, di giovani che decidono di non sposarsi, i nuovi millennial che non vogliono alcun tipo di impegno...? E che cosa sta succedendo con le relazioni interpersonali dove abbonda una emotività esagerata, persone tossiche portatrici di emozioni negative, criticone, condotte nevrotiche e una manipolazione come non è mai esistita prima? #sadefenza https://www.youtube.com/watch?v=z1KYoxLAIAY
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Erasmus ante litteram: il Ferdinandeo, primo ponte sospeso in ferro d’Italia resiste anche alle bombe da quasi duecento anni
di Lucio Sandon
Nella seconda metà del settecento Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, consorte di Ferdinando IV inviò alcuni giovani studiosi napoletani in un lungo viaggio nelle città più importanti d’Europa a spese della corona: dovevano occuparsi di esplorare le più moderne realizzazioni industriali. Il viaggio durò circa dieci anni, e tra le altre relazioni scientifiche riportate in patria l’ingegner Carminantonio Lippi da Casalvelino, presentò alla regina un progetto di fattibilità di un ponte sospeso costruito completamente in metallo, cosa che all’epoca suscitò molte perplessità e polemiche, in quanto sembrava un progetto assurdo.
Non la pensavano così i sovrani dell’epoca: il direttore nazionale del Regio Corpo delle Strade e dei Ponti, Carlo Afan de Rivera, venne incaricato di studiare la possibilità di eseguire tale opera di spettacolare ingegneria. Fu così che uno dei migliori tecnici dell’epoca, il lucano Luigi Giura, venne inviato in un altro viaggio per il continente, onde relazionare sui ponti in ferro già esistenti. Dalle sue risultanze il de Rivera si persuase dell’importanza economica, politica e sociale dell’opera, che avrebbe confermato il Regno delle Due Sicilie tra le prime potenze industriali del tempo.
Fu Francesco I di Borbone che nel febbraio 1828 conferì all’ingegner Giura l’incarico di progettare un ponte sospeso in ferro sul fiume Garigliano, proprio nei pressi dell’antica città sannita di Minturnae: due mesi dopo Giura consegnava i dettagli del suo progetto il quale venne subito approvato e finanziato dalla Direzione Nazionale delle Strade e dei Ponti e presentato Francesco di Borbone, che comandò l’avvio delle gare di appalto. Queste ultime dovevano essere rigorosamente limitate a ditte e materiali del Regno delle Due Sicilie, nonostante le tenaci opposizioni incontrate dovute soprattutto alle clamorose innovazioni previste.
I lavori iniziarono il 20 maggio dello stesso anno, dopo tre mesi dalla presentazione del piano industriale.
L’ispirazione del progetto del Giura era partita da due ponti già realizzati: uno sul fiume Tweed tra Scozia e Inghilterra, e l’altro sul Menai, tra l’isola di Anglesey e la terraferma del Galles. Venne scartato quello del Pont des Invalides a Parigi, che presentava grossi problemi di stabilità e sicurezza.
La geniale soluzione ai problemi di costruzione risiedeva nella qualità e dimensione dei tiranti. La precisione degli ingegneri e dei fonditori duosiciliani uniti all’ottimo acciaio prodotto a Mongiana, fiore all’occhiello dell’industria siderurgica borbonica, permisero l’esecuzione perfetta del ponte nonostante le critiche di alcuni insigni esperti del tempo: I viaggiatori ne dicono che tal generazione di ponti vien costumata da’ Cinesi, e da’ Peruani. I primi con verace catene, e colle funi i secondi. I Cinesi, però, ed i Peruani, non sono le nazioni le più culte della terra, e perciò i loro prodotti risentir debbono della debolezza de’ loro ingegni. Ecco perché gli Europei che da più tempo trafficano nella Cina e nel Perù, e che han riportata tra noi l’esistenza di tali ponti non han creduto esser ben fatto imitarli, e l’hanno trascurati, e messi nel numero delle cose di cui non debba farsene conto.
Durante la costruzione del manufatto, il governo inglese per tramite del giornale The Illustrated London News espresse più volte perplessità sulle capacità progettuali e costruttive dei napolitani, ma fu proprio il re Ferdinando II nel frattempo succeduto al padre, a difendere l’opera di Luigi Giura con la frase:
«Lassate fà ‘o guaglione!»
Cioè permettete al giovane ingegnere di proseguire i lavori.
‘O guaglione costruì un ponte più bello di come appariva nei disegni: slanciato, leggero, resistente, stabile, sicuro, e attesissimo dagli utenti in una zona di fiorente commercio.
La forma della struttura era il frutto di una lunga serie di equazioni matematiche, ma la limitazione dell’eccessiva elasticità del ferro era stato invece un problema risolto a Napoli insieme agli ufficiali del Genio Navale di Napoli, nello stabilimento ora dismesso del Ponte della Maddalena.
Le maglie metalliche fortemente nichelate vennero fatte costruire dalle fonderie calabresi di Mongiana e sottoposte a uno speciale stiramento mediante un’apposita macchina ad “astatesa” progettata dallo stesso Giura. Ogni maglia e ogni barra di ferro con questo trattamento cedevano elasticità ma acquisivano una rigidità forzata che assicurava all’intera struttura una resistenza mai sperimentata prima di allora.
Il primo ponte a catenaria in metallo realizzato in Italia venne ultimato il 30 aprile 1832 con grande risalto mediatico, ma l’ingegnere Giura decise di attendere qualche giorno, onde assicurare il rassodamento perfetto dei materiali, anche se da più parti e specialmente dall’Inghilterra giungevano giornalmente commenti catastrofici volti a dimostrare che il collaudo non avveniva per paura dell’imminente crollo della struttura.
Il dieci di maggio del 1832, invece, il ponte venne inaugurato dal re in persona: era lungo ottanta metri e largo quasi sei. Le quattro colonne sulle rive erano alte sette metri e avevano un diametro di due metri e mezzo alla base.
L’intera opera era costata appena settantacinquemila ducati, corrispondenti all’incirca a meno di due milioni di euro.
Per reagire alle provocazioni inglesi e per dimostrare le capacità delle maestranze napoletane, Ferdinando II organizzò una sfarzosa cerimonia di inaugurazione: autorità civili, ecclesiastiche e militari, compreso l’intero corpo diplomatico, assistevano lungo le rive del fiume alle operazioni di collaudo. Il re si presentò di persona davanti al ponte, seguito da due squadroni di lancieri a cavallo e da sedici pezzi di artiglieria con relativo carriaggio.
Ferdinando raggiunse il centro dell’opera e ordinò agli squadroni di passarvi più volte avanti e indietro: al trotto, poi al galoppo ed infine alla carica. Quindi passarono i pesantissimi cannoni, causando le maggiori sollecitazioni alle strutture. Al termine della prova il re non evitò peraltro di fare contro gli iettatori d’Oltre Manica alcuni eloquenti gesti scaramantici, che vennero assai apprezzati dal pubblico presente e molto meno dall’ambasciatore della Corona inglese.
Il vescovo di Gaeta benedì la costruzione, poi si aprirono i festeggiamenti con fuochi d’artificio, canti e balli.
Durante la battaglia del Garigliano, dal 25 ottobre al 2 novembre 1860 il ponte Real Ferdinando fu la scena di cruenti scontri a fuoco: mentre l’esercito borbonico ripiegava su Gaeta, gli invasori piemontesi cercarono di assalirlo alle spalle, ma il 29 ottobre trovarono ad attenderli sul ponte le truppe del generale Matteo Negri, che riuscì a fermare i bersaglieri ma fu ferito a morte da una granata.
Nella notte del 2 novembre, a seguito del tradimento della flotta francese che diede via libera al bombardamento dal mare da parte delle navi piemontesi, venne sferrato un nuovo attacco da terra sul ponte, dove due compagnie di Cacciatori guidate dal capitano Domenico Bozzelli resistettero fino all’ultimo uomo, permettendo così alle ultime truppe borboniche di mettersi in salvo a Gaeta.
Nel corso della seconda guerra mondiale il ponte sul Garigliano venne minato in due punti e fatto saltare in aria il 14 ottobre 1943 dall’esercito tedesco attestato lungo la linea Gustav e in ritirata verso Roma dopo l’Armistizio.
La campata crollò, ma i piloni e le relative basi non subirono danni irreparabili per cui, anche se dopo oltre cinquant’anni, il Real Ferdinando è tornato al suo splendore iniziale, con le coppie di sfingi che ne sorvegliano gli ingressi, segnando il confine tra la Campania e il Lazio.
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Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.
Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto “Cuori sui generis” 2019.
Sempre nel 2019, il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia” è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109. Nel 2020 il libro “Cuore di Ragno” è stato premiato come Miglior romanzo storico al prestigioso XI Concorso Letterario Grottammare
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Il Potere della Comunicazione Persuasiva
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