#Nati Due Volte
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gregor-samsung · 1 month ago
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" «Voi dovete vivere giorno per giorno, non dovete pensare ossessivamente al futuro. Sarà una esperienza durissima, eppure non la deprecherete. Ne uscirete migliorati. «Questi bambini nascono due volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile. La seconda dipende da voi, da quello che saprete dare. Sono nati due volte e il percorso sarà più tormentato. Ma alla fine anche per voi sarà una rinascita. Questa almeno è la mia esperienza. Non posso dirvi altro.»
Grazie, a distanza di trent’anni. "
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Giuseppe Pontiggia, Nati Due Volte, Mondadori, 2006¹¹, p. 35.
[1ª edizione: 2000]
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raffaeleitlodeo · 2 months ago
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Discorso tenuto da Daniele Leppe davanti al papa nella Basilica San Giovanni in Laterano, in data 25 ottobre 2024.
Ringrazio Sua Santità e ringrazio il Vicariato di Roma per questa opportunità unica. Nel ringraziarLa Le rappresento una realtà invisibile, quella di una trincea dove anche Dio ha abbandonato tutti.
Credo di essere la persona meno adatta a raccontare il disagio che vivono le nostre periferie.
Nella vita di tutti i giorni faccio l’avvocato. Sono nato in un quartiere popolare di Roma, figlio di un impiegato e di una casalinga, una famiglia semplice che mi ha dato la possibilità, con molto sacrificio, di studiare. Per questo ho deciso di restituire ai quartieri dove sono nato e cresciuto un po’ della fortuna che ho avuto. Ho messo a disposizione la mia professionalità per aiutare le persone più semplici, gli ultimi quei dannati che non sanno di esserlo, gli abitanti dei quartieri popolari di questa città, troppo spesso dimenticati, che troppo spesso tornano ad essere cittadini come gli altri solo in occasione delle campagne elettorali.
Al di fuori della mia attività lavorativa, esercito il mio volontariato professionale in due quartieri difficili di Roma: Tor bella monaca e il Quarticciolo.
Il primo, nato nei primi anni ‘80, rappresenta l’ultimo intervento di edilizia pubblica fatto nella capitale, che doveva essere un quartiere modello e che, invece, è diventato il terzo carcere a cielo aperto della capitale: ci vivono ben 800 persone agli arresti domiciliari.
Il secondo, il Quarticciolo, anch’esso ultimo quartiere popolare edificato, ma questa volta durante il fascismo, negli anni 40, che è rimasto tale e quale a 80 anni fa.
A Tor bella monaca collaboro con l’associazione Tor Più Bella di Tiziana Ronzio; una donna che da sola combatte una lotta senza sconti, e per questo paga lo scotto dell’isolamento umano, contro gli spacciatori, che dispensano la vita e la morte in quel quartiere. Tiziana è riuscita, da sola, a liberare dal controllo della criminalità organizzata il suo palazzo, in via santa Rita da Cascia, con un effetto domino su tutto il comprensorio di case che costeggiano la via.
Ha lottato per i suoi figli e per le persone che vivono nel suo palazzo, e per questo paga un prezzo altissimo.
Vive sotto scorta ogni ora della sua giornata perché la sua vita è in pericolo. Non può uscire da sola nel quartiere. Riceve continue minacce da parte della criminalità organizzata mentre le Istituzioni non riescono ad andare al di là di una solidarietà formale.
Non sappiamo nemmeno quante persone abitino in quel quartiere.
Le statistiche parlano di 28000 persone, ma poiché molti degli immobili pubblici sono occupati, i dati non corrispondono alla situazione reale. Nel quartiere ci sono 14 piazze di spaccio. Gli spacciatori, il primo datore di lavoro del quartiere, pagano le vedette, i pusher; le famiglie che nascondono la droga nel proprio appartamento, corrompono l’anima dei giovani e privano le persone di un futuro dignitoso.
C’è una presenza altissima di ragazze madri con figli nati da relazioni diverse, con mariti ristretti in carcere. Di anziani disabili. Di povertà, educativa e alimentare. Accanto a un tessuto sociale straordinario colpisce, nell’anno giubilare, l’assenza delle Istituzioni, che intervengono nel quartiere solo come forza repressiva e per questo sono viste come nemiche, incapaci di comprendere il disagio e le difficoltà di chi vive nella povertà.
Sembra di assistere ad una sorta di tacito patto sociale in questa città.
Nei quartieri poveri della capitale viene lasciata vita facile alla criminalità organizzata più invadente, per consentire agli abitanti della Roma bene di vivere in tranquillità.
La mia attività, in realtà, non è tanto giuridica: il più delle volte mi occupo di collegare i fili immaginari fra i poveri diseredati e le Istituzioni, per risolvere problemi che altrove sarebbero semplici, ma che in condizioni di povertà diventano insormontabili.
Le condizioni di degrado umano, abiezione, povertà, sono indicibili.
Donne che vendono il proprio corpo per comprare la droga, genitori in mano ad usurai per pagare i debiti contratti dai figli, bambini che crescono con i nonni, famiglie distrutte dalla droga e dalla povertà.
Quattro mesi fa ho partecipato ad una messa tenutasi in ricordo di un bimbo morto nel quartiere a causa dei ritardi nei soccorsi provocati dalla rottura di un ascensore e di una ragazza morta investita lungo via di Torbellamonaca.
La messa si teneva di domenica mattina, dietro la famigerata R5, un complesso popolare situato in via dell’Archeologia attualmente in ristrutturazione. Per entrare nel complesso ho contato 4 ingressi. Ognuno di questi ingressi era presidiato da spacciatori che, come in una sorta di confine immaginario, segnano l’ingresso fra il dentro e il fuori. Questo accadeva in pieno giorno, senza alcun imbarazzo, a pochi chilometri da qui.
Quando iniziai a lavorare nel quartiere ho conosciuto una donna che viveva prigioniera degli spacciatori. Il figlio aveva contratto un debito con uno di essi. Non riuscendo a pagarlo, è fuggito. Alla madre hanno bruciato l’attività imprenditoriale per vendetta. Non sa dove è andato a vivere il figlio e non vuole saperlo. Lo fa per proteggerlo. Lo sente solo con telefoni usa e getta. Lei continua a vivere nello stesso quartiere dove è cresciuto il figlio e dove riceve le minacce dei criminali per il debito contratto del figlio. Sembra un altro mondo. Siamo a 10 km da San Giovanni. Non sembra di essere in un paese ricco, in una democrazia liberale.
Il Quarticciolo, invece, è l’esempio dell’abbandono pubblico - né più né meno come Tor bella monaca - e della capacità delle persone di reagire, costruendo una speranza concreta per i più poveri.
Li collaboro con un’associazione; Quarticciolo ribelle, composta da ragazzi e ragazze che, finita l’università, hanno deciso di andare a vivere in quel quartiere, cui si dedicano giorno e notte.
Anche il Quarticciolo è una nota piazza di spaccio di Roma.
Come tutti i quartieri di edilizia popolare, la povertà economica e sociale e l’abbandono del patrimonio pubblico da parte delle Istituzioni costituiscono l’humus ideale per la proliferazione della criminalità.
In quel quartiere gli spacciatori smerciano la loro roba seduti su comode sedie agli angoli delle strade, in particolare vendono crack, che trasforma i ragazzi che ne fanno uso, in zombie che girano come morti per il quartiere. È un quartiere dove la polizia di Roma capitale ha paura ad entrare e ha bisogno di un parcheggio privato per i propri poliziotti per evitare che le macchine siano vandalizzate, dove gli spacciatori minacciano gli operai delle ditte dell’Ater in occasione dei interventi per la manutenzione degli stabili, e tanto altro ancora.
I ragazzi di Quarticciolo Ribelle costruiscono, invece, giorno per giorno, un’alternativa possibile, con il loro esempio e con le loro attività.
Nel quartiere hanno realizzato una palestra popolare dove i bambini e le bambine sono seguiti, direi accuditi, e tenuti fuori da ambienti malsani.
I familiari i che non possono permetterselo, non pagano rette. Questi ragazzi, che come detto si sono soprannominati Quarticciolo Ribelle, hanno organizzato il doposcuola per i bambini.
Hanno creato, nel deserto, un ambulatorio sociale che interviene laddove lo Stato arretra.
Cercano di creare lavori, fornendo un’alternativa concreta, con un birrificio, una stamperia.
Come dicono loro, dove tutto chiude, noi apriamo.
Supportano le famiglie nei colloqui con i servizi sociali e nei colloqui scolastici.
Collaborano con l’università nell’immaginare un possibile alternativa.
Coprono buchi.
Danno ovviamente fastidio. Innanzitutto alla criminalità, che prospera laddove è maggiore il bisogno. Ma anche alle Istituzioni. Sono sentinelle attive che denunciano, senza sconti, le loro mancanze, le loro lacune.
Raccontano di come i prezzi delle case, sempre più insostenibili, allontano i poveri dalla loro città, trasformata in una Disneyland per ricchi e turisti.
Collaboro con associazioni scomode con problematiche insostenibili.
Perché la povertà e l’abbandono sono scomode.
È più facile costruire una cancellata, un recinto, un ghetto, per occultare la realtà che dare risposte concrete ai bisogni dei poveri.
Con tristezza infinita sono costretto a constatare che gran parte degli interventi pubblici delle Istituzioni per onorare il giubileo, nato anche per la promozione della dignità di ogni persona e per il rispetto del creato, non siano stati investiti e utilizzati per dare dignità agli abitanti più sfortunati della nostra città ma per rendere più comodi, belli e sicuri i quartieri bene della Città Santa che santa non può essere se non apre gli occhi sulle povertà diffuse che la popolano.
#roma
#giubileo
#periferie
#realtà_vs_belleparole
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madreorchessa · 8 days ago
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Lavoro in uno dei punti vendita di punta dell'azienda, uno degli ultimi nati nei quali la proprietà ha deciso innovare, osare e, in generale, spendere: abbiamo la tecnologia più avanzata, il materiale più appariscente e il personale più giovane e piacente.
Tutto è nuovo ed è bello ed è in grande quantità.
Tutto eccetto i transpallet.
Il transpallet è quello strumento tramite il quale interi bancali di merce, a volte molto molto pesanti, vengono movimentati in magazzino o nello store assolvendo a una delle necessità della grande distribuzione, cioè la merce deve fluire.
Il punto vendita dove lavoro ne ha una così scarsa disponibilità che, nelle ore di maggiore intensità del lavoro, essi risultano irreperibili: chi riesce a ottenerne uno manuale (il più semplice, quello che funziona a spinta) solitamente lo fa a scapito della propria integrità e onestà, attuando raggiri e soprusi meritevoli di galera. I transpallet elettrici, invece, sono tacitamente a uso esclusivo della Drogheria, reparto che, forte della sua grandezza e dei suoi magazzinieri, ne rivendica un utilizzo assoluto con tecniche che non rifuggo dal definire mafiose; figurarsi che una volta ho viso il capo di questo reparto guidarne due elettrici contemporaneamente (cosa che, vi assicuro, è al limite della possibilità fisica e ben oltre il codice di sicurezza del lavoro), pur di non permetterne ad alcuno l'utilizzo.
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Va da se che io, introversa e stupida, non riesca a usarne praticamente mai alcuno: in generale l'idea di dover girare il negozio, tappa dopo tappa, per elemosinare l'utilizzo di un transpallet - conscia che difficilmente ne otterrò comunque uno - mi fa venire il vomito: ci sono state volte che, pur di non dovermi imbarcare in questa impresa disperata, ho preferito sbancalare a braccia pesi considerevoli per i miei 45 chili di addetta vendita (e di peggio ho visto fare a colleghi altrettanto sfortunati).
E' come se la proprietà, dopo aver speso fantastirliardi per le etichette elettroniche e il wi-fi, fosse arrivata alla voce di bilancio "cose meno cool, me indispensabili per lavorare senza infortuni" e avesse tirato una linea.
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muffa21 · 18 days ago
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Forse, trentaquattro anni sono troppi per iniziare ad aurorare. Ma al buon dio non sono mai parsi troppo pochi gli anni di suo figlio, o quelli dei mie due fratelli nati morti, per concedergli la gioia della notte senza riservargli prima la gentilezza di assaporare lo stagnante mistero del crepuscolo.
È vero: ho perso tardi i miei denti da latte. Ho dovuto prima costruire gengive abbastanza forti per poter reggere il peso delle mie zanne da cane. L’ho fatto in aule di scuola spettrali e nel paludoso labirinto della malattia mentale. Ma non è stato tempo sprecato. Soltanto tempo. Tempo. Un costrutto della mente umana che a volte assume la forma di uno sciame di cavallette. Tu, spiga di frumento solitaria, in un campo brumoso, sterminato, cullata mollemente dal grecale. Lontani, i colli lunghi delle ciminiere. Intorno, il silenzio di dio. Il Silenzio.
Aurorare a trentaquattro anni. Forse, una vergogna. Per molti, uno sperpero. Meglio, però, che vivere nell’infinito meriggiare di una vita che s’illude di non essere fragile; passata a mangiucchiare e a sbevazzare sopra le carcasse dei Maestri, teneri assassini di altri, più antichi, Maestri. Assisi sulla loro montagna di cadaveri freddi e luminosi, come scimmioni con le loro punte di selce, curvi su uno schermo a vedere una ragazzina impiastricciarsi le labbra, o Riga, nello splendore del natale, lasciata che venga assaporata da chi ha scelto, troppo tardi, l’aurora e non il mezzogiorno fasullo di un sole posticcio.
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mchiti · 4 months ago
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referendumcittadinanza.it
immaginate essere bambini nati in italia da genitori stranieri. a sei anni ti ritrovi a tradurre a tua madre cose burocratiche, l'infanzia la passi a fare la fila per i rinnovi dei permessi di soggiorno. arrivi a 18 anni e inizi l'iter per la cittadinanza. ogni anno rinnovi la richiesta pagando spese folli. poi ti chiedono una carta per cui mio padre ha fatto avanti e indietro dal marocco per due volte. vai a chiedere come procede e chi se ne occupa ti guarda dalla testa ai piedi, crede di farti un favore, insinua ironicamente che dovevano pensarci i tuoi genitori a ottenere la cittadinanza per primi. "eh ma se lei non fosse tornato per un periodo in marocco lasciando qui la famiglia" "eh ma se lei avesse lavorato continuamente" "eh ma se il suo reddito fosse stato più alto" . prendono i tuoi genitori per buoni a nulla con cui usare forme semplificate di italiano e te una fallita che non ha niente a che vedere con lo stato nel quale sei nata e a cui stai chiedendo un diritto basilare e che ti spetta. richiesta fatta a 18 anni, cittadinanza ottenuta a quasi 23. (tanto si ottiene in 24 mesi, dicono). nel frattempo mi sono laureata e, lavorando d'estate, mi ero messa da parte i soldi per l'erasmus sperando di arrivare in tempo a farlo. (non l'ho mai fatto).
questa è la vita degli italiani di seconda generazione. quindi please:
referendumcittadinanza.it
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ilpianistasultetto · 2 years ago
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STOP WAR
Le guerre hanno sempre lasciato dietro di loro milioni di amori mai finiti, mai consumati, a volte nemmeno iniziati. Ma ci pensate? Figli mai nati, baci mai dati. La luna e le stelle private degli applausi  a due corpi che fanno l'amore sotto quel loro chiarore. Quanto orrore!
@ilpianistasultetto
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lunamagicablu · 8 months ago
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Se riesci a diventare di nuovo un bambino, hai raggiunto tutto. Se non riesci a diventare di nuovo un bambino, ti è sfuggito tutto. Un saggio è un bambino nato due volte. I bambini nati una volta sola non sono realmente bambini, perché dovranno crescere. La seconda nascita è la vera nascita, poiché quando qualcuno nasce per la seconda volta dà vita a se stesso: è una trasformazione, è diventato di nuovo un bambino. Non si preoccupa delle ragioni e dei perché, semplicemente vive. Qualsiasi cosa il momento offra, si muove con esso; non ha programmi, non ha proiezioni. Vive senza pretendere nulla, e questo è l’unico modo di vivere; altrimenti, dai l’impressione di essere vivo, ma in realtà non lo sei. Osho art by Giulia Valente ********************** If you can become a child again, you have achieved everything. If you can't become a child again, you've missed everything. A sage is a twice-born child. Children born only once are not really children, because they will have to grow up. The second birth is the true birth, because when someone is born for the second time he gives life to himself: it is a transformation, he has become a child again. He doesn't care about the reasons and whys, he just lives. Whatever the moment offers, moves with it; it has no plans, it has no projections. He lives without expecting anything, and this is the only way to live; otherwise, you give the impression of being alive, but in reality you are not. Osho art by Giulia Valente 
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pollicinor · 2 years ago
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Psyco (1960) Alfred Hitchcock Il mago di Oz (1939) Victor Fleming Il padrino (1972) Francis Ford Coppola Quarto potere (1941) Orson Welles Pulp Fiction (1994) Quentin Tarantino I sette samurai (1954) Akira Kurosawa 2001: Odissea nello spazio (1968) Stanley Kubrick La vita è meravigliosa (1946) Frank Capra Eva contro Eva (1951) Joseph L. Mankiewicz Salvate il soldato Ryan (1998) Steven Spielberg Cantando sotto la pioggia (1952) Stanley Donen e Gene Kelly Quei bravi ragazzi (1990) Martin Scorsese La regola del gioco (1939) Jean Renoir Fa' la cosa giusta (1989) Spike Lee Aurora (1927) Friedrich Wilhelm Murnau Casablanca (1942) Michael Curtiz Nashville (1975) Robert Altman Persona (1966) Ingmar Bergman Il padrino - Parte II (1974) Francis Ford Coppola Velluto Blu (1986) David Lynch Via col vento (1939) Victor Fleming Chinatown (1974) Roman Polanski L'appartamento (1960) Billy Wilder Tokyo Story (1953) Yasujirō Ozu Susanna! (1938) Howard Hawks I 400 colpi (1959) François Truffaut Gangster Story (1967) Arthur Penn Luci della città (1931) Charlie Chaplin La fiamma del peccato (1944) Billy Wilder L'impero colpisce ancora (1980) Irvin Kershner Quinto potere (1976) Sidney Lumet La donna che visse due volte (1958) Alfred Hitchcock 8 1/2 (1963) Federico Fellini Ombre rosse (1939) John Ford Il silenzio degli innocenti (1991) Jonathan Demme Fronte del porto (1954) Elia Kazan Io e Annie (1977) Woody Allen Lawrence d'Arabia (1962) David Lean A qualcuno piace caldo (1959) Billy Wilder Fargo (1996) Joel e Ethan Coen Il mucchio selvaggio (1969) Sam Peckinpah Moonlight (2016) Barry Jenkins Shoah (1985) Claude Lanzmann L’avventura (1960) Michelangelo Antonioni Titanic (1997) James Cameron Notorious - L'amante perduta (1946) Alfred Hitchcock Mean Streets (1973) Martin Scorsese Lezioni di Piano (1993) Jane Campion Non aprite quella porta (1974) Tobe Hooper Fino all'ultimo respiro (1960) Jean-Luc Godard Apocalypse Now (1979) Francis Ford Coppola Come vinsi la guerra (1926) Buster Keaton In the Mood for Love (2000) Wong Kar-wai Interceptor - Il guerriero della strada (1981) George Miller Il lamento sul sentiero (1955) Satyajit Ray Rosemary's Baby (1968) Roman Polanski I segreti di Brokeback Mountain (2005) Ang Lee E.T. - L'extraterrestre (1982) Steven Spielberg Senza tetto né legge (1985) Agnès Varda Moulin Rouge! (2001) Buz Luhrmann La passione di Giovanna D'Arco (1928) Carl Theodor Dreyer La vita è un sogno (1993) Richard Linklater Bambi (1942) David Hand Carrie - Lo sguardo di Satana (1976) Brian De Palma Un condannato a morte è fuggito (1956) Robert Bresson Parigi brucia (1990) Jennie Livingston Ladri di biciclette (1948) Vittorio De Sica King Kong (1933) Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack Beau Travail (1999) Claire Denis 12 anni schiavo (2013) Steve McQueen Il matrimonio del mio migliore amico (1997) P. J. Hogan Le onde del destino (1996) Lars von Trier Intolerance (1916) D.W. Griffith Il mio vicino Totoro (1988) Hayao Miyazaki Boogie Nights (1997) Paul Thomas Anderson The Tree of Life (2011) Terrence Malick Agente 007 - Missione Goldfinger (1964) Guy Hamilton Jeanne Dielman (1975) Chantal Akerman Sognando Broadway (1966) Christopher Guest Pixote - La legge del più debole (1981) Héctor Babenco Il cavaliere oscuro (2008) Christopher Nolan Parasite (2019) Bong Joon-ho Kramer contro Kramer (1979) Robert Benton Il labirinto del fauno (2006) Guillermo del Toro Assassini nati - Natural Born Killers (1994) Oliver Stone Close Up (1990) Abbas Kiarostami Tutti insieme appassionatamente (1965) Robert Wise Malcolm X (1992) Spike Lee Bella di giorno (1967) Luis Buñuel The Shining (1980) Stanley Kubrick Scene da un matrimonio (1974) Ingmar Bergman Pink Flamingos (1972) John Waters Frank Costello faccia d'angelo (1967) Jean-Pierre Melville Le amiche della sposa (2011) Paul Feig Toy Story (1995) John Lasseter Tutti per uno (1964) Richard Lester Alien (1979) Ridley Scott Donne sull'orlo di una crisi di nervi (1988) Pedro Almodóvar La parola ai giurati (1957) Sidney Lumet Il laureato (1967) Mike Nichols
Dall’articolo "I 100 migliori film della Storia del Cinema secondo Variety: 1° Psyco, 5° Pulp Fiction, 33° 8 1/2, 45° Titanic" di Antonio Bracco
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theladyorlando · 1 year ago
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The Lady Orlando
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Orlando è così bello che a volte mi chiedo come sia possibile che esista una cosa del genere a questo mondo. Come è possibile che davvero una persona abbia dentro la testa e nel cuore così tanta bellezza, io non lo so. Mi fa essere felice perché riesco a vederla, la bellezza, è per me, e sono anche inspiegabilmente triste al pensiero che il resto del mondo non stia leggendo Orlando, in questo preciso istante. Per me Mrs Dalloway era stato memorabile. ricordo di averlo letto in metro, nei pomeriggi di ritorno dall'Università, e intanto ascoltavo Antony and the Johnsons. è stata l'unica volta che in vita mia sono riuscita a leggere qualcosa ascoltando della musica. E questo perché Virginia Woolf e quella musica si conoscono, parlano la stessa identica lingua. Quella musica è così trasparente, così profonda che mi fa pensare spesso alla morte. E così anche Virginia Woolf. Ci sono tantissimi pensieri dentro Mrs Dalloway che vanno lì senza cercare scuse, senza mezzi termini. È bellissimo. Bellissimo ma vertiginoso. E Orlando lo scrive subito dopo Mrs Dalloway: questo mi ha fatto pensare, quando l'ho scoperto, che tra i libri di uno stesso autore esiste una relazione di parentela che è inversa rispetto a quella che c'è tra i figli di una stessa madre: i primi nati non sono i più grandi; i figli maggiori sono gli ultimi partoriti dalla mente dello scrittore. per capirci, Orlando è il fratello più grande di Mrs Dalloway, e questa è una garanzia di buona condotta nel ragazzo, lui è presumibilmente maturo, assennato, serio almeno quanto la sorella, probabilmente lo è anche di più. E invece, quando lo conosci bene, vedi subito che Orlando è sbarazzino come un fratello minore. Con lui Virginia Woolf si è voluta concedere una "writer's holiday": e si sente tutto, perché lei se la concede gloriosamente. Questa è una vacanza in un hotel di cinque stelle, e l'hotel si chiama Knole. In vacanza, si sa, uno ci va spensierato e leggero, ma Virginia Woolf non lascia niente al caso, tutto è preparato e organizzato nel minimo dettaglio, prima ancora che per se stessa, per la sua compagna di viaggio, Vita. Perché in fondo questa non è solo una vacanza da scrittore, no: è una lettera d'amore. La più lunga lettera d'amore della letteratura. Ogni parola in questo libro è una parola d'amore. E di un amore invidiabile, almeno io lo invidio: perché è fatto proprio di letteratura, costruito con pezzi di quella, raccolti con cura da ogni epoca passata. E a leggere bene, è un amore fatto di poesia, ecco in realtà perché lo invidio. Poesia, proprio come nell'incipit di quella lettera bellissima in cui Virginia annuncia a Vita la sua intenzione di scrivere questo romanzo. Una poesia travestita da lettera, ché a guardar bene quelli a me sembrano proprio pentametri
Never do i leave you without thinking/
it's for the last time. and the Truth Is,/
we gain as much as we lose by this./
E Orlando è una poesia che trasuda arguzia da ogni poro, ed è travestita da narrativa che è travestita da biografia. Ogni idea dentro questo libro è una trappola, fin troppo intelligente, per far capitolare Vita: è un incallito tentativo di compiacerla, di sedurla con le parole, un corteggiamento letterario, un glorioso e velleitario occhiolino: vuole farla ridere, vuole farla innamorare. Difatti per tutto il tempo si ha la netta sensazione di essercisi seduti per sbaglio ad un tavolino che era prenotato per due. E quelle due del tavolino si guardano negli occhi e, appunto, ridono: tu se vuoi puoi pure sederti, tanto loro non ti sentono proprio.
Virginia Woolf inizia a scrivere la sua biografia proprio quando Vita Sackville-West sembra più incostante, le volta le spalle, passeggia con altre donne. Allora deve riprendersela, allora l'invenzione deve essere altissima, deve farla cadere ai suoi piedi, deve lasciarla senza parole con le uniche armi che ha, lei che non sa neanche riconoscere il davanti di un abito dal dietro: allora le regala il tempo, e le regala l'ironia. Le regala un corpo da uomo, e un paio di calze nere perché possa sfoggiarci dentro le sue gambe perfette, le più belle gambe su cui un nobiluomo si sia mai messo in piedi; le regala una vecchia regina Elisabetta, infatuata di lui; le regala una risalita del Tamigi di fronte alla nuovissima Londra di Wren; le regala le coffee houses appena fondate, e le regala i poeti. I poeti sono il suo più grande asso nella manica: sono le sue parole d'amore più irresistibili, e Virginia Woolf lo sa perfettamente. Perché è impossibile che Vita non si sciolga al pensiero di aver cenato con Pope, pranzato con Addison, e preso il tè con Swift. Meglio ancora: i poeti glieli porta dentro casa, e lì dentro Vita può finalmente ridere anche di loro, fino quasi a vergognarsene, può vederli in tutti i loro miseri difetti e in tutti i loro piccoli limiti. Può vederli umani insomma, può vederli davvero. E allo stesso tempo, mentre è così impegnata a disegnare Vita, a dirle quanto è bella, a dimostrarle quanto a fondo la conosce, quanto può riuscire a compiacerla, Virginia Woolf si sta spogliando davanti alla signora Orlando, si sta arrendendo a lei, senza pudore. Il suo amore per il 700 inglese è una confessione spudorata. È seducente persino sentirla descrivere il passaggio di secolo, l'umidità che si arrampica su per le pareti delle case insieme alle rampicanti di edera, le barbe che crescono, i tappeti che avanzano, che conquistano ancora una stanza: i matrimoni che si stringono al freddo del nuovo secolo e la conseguente, inevitabile nascita dell'impero britannico. È un libro intimo: è una conversazione a un tavolo per due.
Verso la fine di questa vacanza nel tempo, sento distintamente che Virginia Woolf comincia a prepararsi per il rientro a casa. Gli ultimi capitoli del libro sono più impegnativi, sembra quasi di sentirla ogni tanto tirare un colpetto di tosse, a far uscire la sua voce di sempre, quella della signora Dalloway, la sorella minore ma più assennata. Con quella stessa voce raccoglie finalmente tutti i fili seminati per la sua biografia fittizia e, senza curarsi di te che stai lì al tavolino, li mette in mano alla sua interlocutrice, la vera questione di questa lettera d'amore: cara Vita, ha forse senso questo mio rincorrere la tua bellezza nei secoli? esiste davvero la poesia? ha qualcosa a che vedere poi con la vita? e dimmi, Dryden può mai essere una parola d'amore? Avvicinati ancora una volta, ascolta: Dryden.
La questione era già perfettamente formulata nella meravigliosa lettera che annunciava il concepimento di Orlando: alla vigilia della scrittura, quando ancora il libro è quasi solo un'idea. Questo è un momento mitico, come quando per la prima volta si incontrano gli sguardi di due amanti della leggenda. Sto per scrivere Orlando perché non voglio più lasciarti: never do I leave you without thinking, It is for the last time. Prima ancora che Orlando abbia iniziato la sua gestazione, molto prima che abbia aperto gli occhi sul mondo, la domanda c'è già, rotonda, sbigottita: come faccio a restare con te? come faccio a tenerti per sempre? come faccio a evitare che questa sia la mia ultima lettera? come può la poesia vincere la vita, o meglio, vincere la morte?
La risposta io credo sia in quella cassaforte dove, allo scoppiare della guerra, Vita aveva nascosto i suoi smeraldi insieme al piu inestimabile dei tesori in suo possesso: il manoscritto di Orlando, che Virginia Woolf le aveva fatto recapitare a casa un giorno prima della pubblicazione del libro per il resto del mondo. Loro due sono ancora sedute a quel tavolo, e lo saranno nei secoli, a ripetersi tre semplici parole d'amore:
Addison, Dryden, Pope.
E a guardare bene, Vita Sackville-West ride e piange allo stesso tempo:
Never do i leave you without thinking, it's for the last time.
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fattidifavole · 2 years ago
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Quando iniziava a fare un po' più caldo, a volte facevamo "filone" a scuola. Tutti insieme, ci portavamo pure la Catapano che voleva sempre entrare.Ma siccome in città non si poteva camminare, si poteva incontrare uno zio, un amico di papà, sai che figura? Allora ci andavamo a nascondere giù al Lungomare. Non c'erano ancora le scale, si doveva scavalcare, e ci andavamo a mettere il più possibile vicino alla banchina dove vedevamo il porto mercantile e la rotonda, il faro di san Vito e a volte pure san Paolo, san Pietro e le montagne della Calabria, dall'altra parte del mondo. 
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Era bello perché c'era questo vecchio attracco di cemento, mezzo sprofondato e spaccato dal tempo. Alcuni prendevano la rincorsa e saltavano fino in punta e poi chiamavano "un, due, tre, stella!" e si faceva a chi arrivava prima senza bagnarsi. Qualcuno cadeva sempre nell'acqua e ridevamo. E intanto il mare ci brillava intorno, alcune navi militari sullo sfondo. Un giorno, lì seduti sulla punta dell'attracco, rimanemmo in silenzio per qualche minuto. Guardavamo il riflesso del sole sulle onde salate, immaginavamo il ritmo delle correnti e quasi si potevano sentire viaggiare sulla superficie dell'acqua i sussurri delle città portuali di mari lontani. Era intensissimo sentirsi così presi da quel potere salmastro, percepirne la storia e la forza ed il mistero, che quasi ci dissociavamo e davvero nessuno parlò per un bel pezzo. Poi all'improvviso vedemmo tutti una luce strana, come un abbaglio.  Scomparve praticamente subito, ma credo che in quel momento pensammo tutti la stessa cosa :"Stella Maris!" Lo sapevamo che era lei che ci salutava: la Madonnina che protegge i naviganti, i pescatori e tutti i bambini nati vicino al mare, ed anche noi Tarantini, per sempre cullati dal suo canto e guidati dalla luce di mille fari. Fu un momento mistico. Poi Basile fece un rutto e tutti ridemmo forte e sguaiatamente. E mi ricordo solo questo.
#mare #stellamaris #ricordi #scuola #religione #sud #margrande #lungomareN.d.A. : ogni riferimento a persone esistenti, luoghi o fatti accaduti è puramente casuale.
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gregor-samsung · 2 years ago
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“ Non ho mai capito perché nell’inconscio le ferite non si rimarginano. Quasi tutte le ferite si rimarginano, ma nell’inconscio sanguinano tutta la vita. Forse perché sono inconsce, cioè le conoscono tutti tranne l’interessato. Alfredo non si rendeva conto, almeno in apparenza, di odiare Paolo. Una volta gli avevo descritto, con pazienza, la condizione di suo fratello e l’avevo confrontata con la sua. «E allora?» mi aveva chiesto. «E allora devi aiutarlo.» «Perché, non lo faccio?» «No, tu fai il contrario.» Non dimenticherò mai il suo pianto, prima quèrulo, poi sempre più alto. Ero riuscito a interromperlo solo scuotendolo. «Ragiona!» gli avevo gridato sul viso. «L’ultima cosa che dovevi dirgli» mi aveva confortato la mia amica. «È solo l’amore che può lenire le ferite. Tu devi amarlo più di prima.» Io però lo amavo sempre meno. Era questo che mi preoccupava. Tutto si può comandare tranne ciò che si prova. Eppure gli altri non fanno che suggerirtelo. Costruiscono sistemi coerenti, postulano comportamenti matematici e traggono deduzioni inevitabili. Se ami devi reagire così. Ma io provo cose diverse. Franca se ne stupisce sempre meno, l’altra mi accusa. Quante volte ho finto di reagire come si aspettavano? Certo la mia era una finzione, ma siamo sicuri che il loro teorema fosse rigoroso? E che le reazioni che io simulavo fossero le uniche «giuste»? La vita ne sa di più che un teorema. Comunque io le sentivo ingiuste, almeno per me, e forse maturare è rispettare l’ingiustizia delle proprie reazioni. Forse maturare è sostituire alla giustizia delle convenzioni l’ingiustizia della libertà. Anche se questa - me ne sto rendendo conto - potrebbe essere l’introduzione a un manuale del criminale. “
Giuseppe Pontiggia, Nati Due Volte, Mondadori, 2006¹¹ [1ª ed. 2000], pp. 67-68.
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alonewolfr · 6 days ago
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IL VASO INCRINATO
C’era una volta, in una regione della Cina, un portatore d’acqua che si guadagnava da vivere trasportando il prezioso elemento dalla lontana sorgente al villaggio. Due volte al giorno portava il suo carico in due grandi vasi appesi alle estremità di un’asta di legno poggiata trasversalmente sulle sue spalle. Il vaso che gli pendeva sulla sinistra era intatto e arrivava sempre pieno al villaggio, mentre quello di destra aveva una piccola incrinatura e perdeva un po’ di acqua. Purtroppo l’uomo non aveva di che comperarsi un vaso nuovo, così la faccenda andò avanti per anni. Un giorno, però, il vaso incrinato prese la parola e disse al portatore: «Sono davvero mortificato, credimi. Perdo l’acqua che dovrei conservare. Ti chiedo perdono. Mi vergogno della mia imperfezione». Il portatore guardò il recipiente, lo accarezzò amabilmente e gli rispose: «Al nostro prossimo viaggio, lungo il tragitto, guarda dalla tua parte della strada». «E cosa vedrò...», chiese il vaso. «Vedrai che meravigliosa scia di fiori sono nati lungo la via, grazie all’acqua che non sei riuscito a trattenere a causa della tua imperfezione».
|| da un’antica leggenda cinese
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cwr000ng · 15 days ago
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A., classe 1948. Vive in una cascina gialla nelle colline del Monferrato, una di quelle valli dove la galaverna fa fatica ad andare vie nelle giornate più fredde. Non è mai stato sposato, non ha figli. Ha due cani a cui ha insegnato ad andare per tartufi. "Ma qui intorno non ce n'è. Se uno non ha i soldi per far le analisi al terreno, fai un buco e versaci l'aceto: se la terra fa schiuma vuol dire che è buona, se rimane come acqua lascia perdere". Due anni fa ha smesso di fumare ma ha ancora il posacenere sul tavolo. "Per gli ospiti", dice. Sul tavolo ha una pila di settimane enigmistiche, un romanzo giallo, una chiave inglese, delle bollette della luce, una bottiglia di grappa. Al muro c'è un telefono d'epoca. Ha anche un telefono cellulare, ma non risponde mai. I messaggi invece li controlla una volta alla settimana, il sabato. In due ore ho sentito parlare di molte persone che non ho mai sentito nominare, una buona parte delle quali morte, di partite di calcio, di risse, di partite di calcio finite in rissa, di pettegolezzi di paese - di quella volta che qualcuno è arrivato al bar con delle foto del prete di paese in camporella con una ragazza.
"Gliele ho strappate subito. Bisogna averci del coraggio per fare quei lavori lì".
Mi ha offerto il caffé e una grappa - più volte. Gli ho raccontato che il mio capo conosceva il film in cui ha recitato. Un americano è venuto in vacanza in Piemonte, ha scoperto l'esistenza di questi personaggi, spesso anziani, che ancora coltivano la tradizione della ricerca del tartufo e ha pensato di farci un film. In piemontese ha esclamato "a me non mi piace mica fare la star del cinema. Questo americano è venuto qua e ha pensato di farci un film, ma per noi che ci siamo nati qui nelle colline è una cosa normale, andar per boschi, i cani, le trifule". Per noi che ci siamo nati qui e ci siamo anche morti, chi prima e chi dopo. Il sole sparisce dietro la collina, la sera cala nei suoi riflessi violacei - il Monviso frastagliato che sempre mi accompagna col suo profilo di pietra. Ce ne andiamo. Lui esce a salutare, mette una coppola e aprendo il cancello ci dice "Buon anno e speriamo che sia meglio di questo".
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sounds-right · 1 month ago
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Manuel Dallori: dinner show, The Beach, Cava e innovazione. Ogni sera
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"Oggi molti sembrano puntare sui dinner show. Succede anche in Italia ma in realtà, purtroppo, non sono molti i locali che, come The Beach Luxury Club, propongono davvero spettacoli che prendono vita durante la cena. Per capirsi, un dj set o un artista che fa pianobar all'ora di cena o dopocena è difficile considerarli un vero show. Noi invece proponiamo vere performance collettive, con continuità, dal 2018".
Abbiamo incontrato Manuel Dallori, imprenditore e manager toscano che da sempre si occupa di intrattenimento, ristorazione e non solo. In realtà nel suo background c'è anche molto altro. "Nel mio percorso di crescita dovrei ringraziare molte persone. Un ruolo importante nel mio lavoro lo ha avuto la famiglia Versace, che mi ha aperto una visione completamente diversa del mondo", spiega Dallori, che oltre a gestire i suoi brand (The Beach Luxury Club, Cava Restaurants è Corporate Entertainment Director di Domina, una delle realtà italiane più affermate nel turismo nel mondo. "Non posso che sentirmi fortunato per continuare da tempo a lavorare con Domina, che offre un palcoscenico davvero internazionale, visto che i suoi resort sono frequentati da turisti di ben 32 nazionalità diverse. Se proponi un format in questo contesto, capisci subito se funziona oppure no... e soprattutto, che direzione devi prendere per andare incontro alle esigenze di persone di culture così diverse". 
C'è una vera crescita del format dinner show? 
"In diversi contesti, soprattutto quelli relativi al lusso come Lio ad Ibiza (e non solo) o l'Opera Saint Tropez il successo dei dinner show costante, anzi crescente. Purtroppo o per fortuna, però, organizzare veri spettacoli nei locali non è facile.  C'è bisogno di un vero corpo di ballo, di coreografi, di scenografi, di costumi e costumisti, di lunghe prove, di artisti che si alternano tra loro, di show che cambiano col tempo. Ecco perché molti chiamano dinner show eventi con un un solo artista". 
The Beach è un format di lusso? 
"In un certo senso sì, ma il nostro è lusso accessibile. Proponiamo serate per tutti o quasi. Abbiamo ovviamente ogni tipo di Champagne e siamo contenti che alcuni dei nostri ospiti possano regalarsi una bottiglia speciale, ma non è necessario farlo per godersi i nostri dinner show. Cerchiamo poi di sorprendere tutti, proponendo, ad esempio, sempre pasta, pane e focacce fatti in casa, regalando ai nostri clienti qualcosa di semplice e allo stesso tempo speciale". 
Come è possibile proporre spettacoli con continuità?
"E' dal 2018, quando abbiamo dovuto fermarci per un mese o due per via del Covid, che regaliamo emozioni con i nostri spettacoli. Riusciamo a farlo perché The Beach, a Sharm, è aperto tutto l'anno, mentre in Sicilia, proponiamo spettacoli dalla primavera alla fine dell'estate. Anche gli artisti hanno bisogno di continuità, per poter crescere. Dà soddisfazione vedere che artisti nati con noi poi lavorano in tutto il mondo, che so a Dubai, in tournée con il Cirque du Soleil. Mediamente, sul palco ogni sera mettiamo 12 artisti, tra ballerini, performer e coreografi. E non solo, ci vogliono anche i tecnici audio e luci, per confezionare spettacoli che emozionino davvero".
The Beach è spesso ospitato all'interno dei resort Domina, per cui il pubblico a volte è fatto da intere famiglie formate da persone di età molto diverse...
"I nostri spettacoli devono piacere a persone molto diverse tra loro, non solo per età. Anche per quel che riguarda la nazionalità. Russi, ucraini, italiani, svizzeri... hanno gusti musicali spesso molto diversi tra loro. Ad esempio, raramente proponiamo reggaeton e puntiamo più spesso su classici come quelli di Mina, o il repertorio anni '70, '80, '90"conosciuti in tutto il mondo.
Ti senti un innovatore?  
"Non mi definirei un innovatore, ma un rinnovatore. Non amo ripetermi e voglio sempre che i miei locali come gli spettacoli cambino nel tempo. Senz'altro frequento altri spazi e sono sempre alla ricerca di idee da riproporre, cambiandole sempre, a modo nostro. Senz'altro oggi fare rivoluzioni è però impossibile, mentre cambiare sempre è necessario. Ad esempio, un tempo proponevamo un numero con il fuoco all'interno del dinner show ed oggi lo proponiamo all'ingresso, come anteprima della serata. Anche i ritmi cambiano. Fino a qualche tempo fa interrompevamo la cena per lo spettacolo, oggi abbiamo creato tre momenti diversi che si mescolano quindi con l'esperienza culinaria. In certi spettacoli, ad esempio in 'Welcome to my World', osiamo un po' di più, ma sempre in modo non volgare". 
The Beach Luxury Club
https://www.instagram.com/thebeachluxuryclub/
Cava Restaurants
https://www.instagram.com/cavarestaurants_/
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mchiti · 1 year ago
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grazie alla francia coloniale oggi non è solo il primo dell'anno ma è anche il compleanno di tipo metà popolazione marocchina over 70. All'epoca dell'occupazione, i funzionari francesi facevano aspettare mesi e mesi per registrare i bambini nati. Spesso i genitori si dimenticavano la data di nascita oppure, nella miseria, non l'avevano mai saputa. E quindi quando riuscivano a registrare i bambini - mesi, a volte pure anni dopo - fissavano come data simbolica il primo gennaio. In realtà credo che fosse comune pure in Italia nelle zone molto povere fino al secolo scorso.
Insomma oggi fanno il compleanno due miei zii auguri sjhgfadksjha
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tarditardi · 1 month ago
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Manuel Dallori: dinner show, The Beach, Cava e innovazione. Ogni sera
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"Oggi molti sembrano puntare sui dinner show. Succede anche in Italia ma in realtà, purtroppo, non sono molti i locali che, come The Beach Luxury Club, propongono davvero spettacoli che prendono vita durante la cena. Per capirsi, un dj set o un artista che fa pianobar all'ora di cena o dopocena è difficile considerarli un vero show. Noi invece proponiamo vere performance collettive, con continuità, dal 2018".
Abbiamo incontrato Manuel Dallori, imprenditore e manager toscano che da sempre si occupa di intrattenimento, ristorazione e non solo. In realtà nel suo background c'è anche molto altro. "Nel mio percorso di crescita dovrei ringraziare molte persone. Un ruolo importante nel mio lavoro lo ha avuto la famiglia Versace, che mi ha aperto una visione completamente diversa del mondo", spiega Dallori, che oltre a gestire i suoi brand (The Beach Luxury Club, Cava Restaurants è Corporate Entertainment Director di Domina, una delle realtà italiane più affermate nel turismo nel mondo. "Non posso che sentirmi fortunato per continuare da tempo a lavorare con Domina, che offre un palcoscenico davvero internazionale, visto che i suoi resort sono frequentati da turisti di ben 32 nazionalità diverse. Se proponi un format in questo contesto, capisci subito se funziona oppure no... e soprattutto, che direzione devi prendere per andare incontro alle esigenze di persone di culture così diverse". 
C'è una vera crescita del format dinner show? 
"In diversi contesti, soprattutto quelli relativi al lusso come Lio ad Ibiza (e non solo) o l'Opera Saint Tropez il successo dei dinner show costante, anzi crescente. Purtroppo o per fortuna, però, organizzare veri spettacoli nei locali non è facile.  C'è bisogno di un vero corpo di ballo, di coreografi, di scenografi, di costumi e costumisti, di lunghe prove, di artisti che si alternano tra loro, di show che cambiano col tempo. Ecco perché molti chiamano dinner show eventi con un un solo artista". 
The Beach è un format di lusso? 
"In un certo senso sì, ma il nostro è lusso accessibile. Proponiamo serate per tutti o quasi. Abbiamo ovviamente ogni tipo di Champagne e siamo contenti che alcuni dei nostri ospiti possano regalarsi una bottiglia speciale, ma non è necessario farlo per godersi i nostri dinner show. Cerchiamo poi di sorprendere tutti, proponendo, ad esempio, sempre pasta, pane e focacce fatti in casa, regalando ai nostri clienti qualcosa di semplice e allo stesso tempo speciale". 
Come è possibile proporre spettacoli con continuità?
"E' dal 2018, quando abbiamo dovuto fermarci per un mese o due per via del Covid, che regaliamo emozioni con i nostri spettacoli. Riusciamo a farlo perché The Beach, a Sharm, è aperto tutto l'anno, mentre in Sicilia, proponiamo spettacoli dalla primavera alla fine dell'estate. Anche gli artisti hanno bisogno di continuità, per poter crescere. Dà soddisfazione vedere che artisti nati con noi poi lavorano in tutto il mondo, che so a Dubai, in tournée con il Cirque du Soleil. Mediamente, sul palco ogni sera mettiamo 12 artisti, tra ballerini, performer e coreografi. E non solo, ci vogliono anche i tecnici audio e luci, per confezionare spettacoli che emozionino davvero".
The Beach è spesso ospitato all'interno dei resort Domina, per cui il pubblico a volte è fatto da intere famiglie formate da persone di età molto diverse...
"I nostri spettacoli devono piacere a persone molto diverse tra loro, non solo per età. Anche per quel che riguarda la nazionalità. Russi, ucraini, italiani, svizzeri... hanno gusti musicali spesso molto diversi tra loro. Ad esempio, raramente proponiamo reggaeton e puntiamo più spesso su classici come quelli di Mina, o il repertorio anni '70, '80, '90"conosciuti in tutto il mondo.
Ti senti un innovatore?  
"Non mi definirei un innovatore, ma un rinnovatore. Non amo ripetermi e voglio sempre che i miei locali come gli spettacoli cambino nel tempo. Senz'altro frequento altri spazi e sono sempre alla ricerca di idee da riproporre, cambiandole sempre, a modo nostro. Senz'altro oggi fare rivoluzioni è però impossibile, mentre cambiare sempre è necessario. Ad esempio, un tempo proponevamo un numero con il fuoco all'interno del dinner show ed oggi lo proponiamo all'ingresso, come anteprima della serata. Anche i ritmi cambiano. Fino a qualche tempo fa interrompevamo la cena per lo spettacolo, oggi abbiamo creato tre momenti diversi che si mescolano quindi con l'esperienza culinaria. In certi spettacoli, ad esempio in 'Welcome to my World', osiamo un po' di più, ma sempre in modo non volgare". 
The Beach Luxury Club
https://www.instagram.com/thebeachluxuryclub/
Cava Restaurants
https://www.instagram.com/cavarestaurants_/
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