#Museo Fellini
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La Rimini di Fellini in bicicletta.
Il New York Times l’ha inserita nella classifica dei posti assolutamente da visitare. La riapertura del Cinema Fulgor dove il maestro Fellini, ancora adolescente, guardò i suoi primi film. Biglietto da visita per scoprire la Rimini Felliniana. Che il cinema di Federico Fellini sia edificato sulla memoria riminese dell’infanzia e della giovinezza, è un fatto noto. “Rimini è una dimensione della…
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Life is a combination of magic and pasta.
-- Federico Fellini
(Taormina, Italy)
#magic#pasta#museo della pasta#federico fellini#travel photography#restaurant#taormina#italy#quote#street photography
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Folon Firenze
Skira, Milano 2005, 270 pagine, 24x30cm, ISBN 9788876243745
a cura di Marilena Pasquali
euro 39,00
email if you want to buy [email protected]
Il catalogo dell’esposizione dedicata all’artista belga presenta circa duecentocinquanta opere comprendenti celebri acquerelli, sculture e serigrafie.
Pubblicata in occasione della più importante mostra antologica mai realizzata in Italia, dedicata all’artista belga Jean-Michel Folon, una completa e aggiornata monografia su questo indiscusso protagonista della scena internazionale dalla straordinaria intensità espressiva e poetica.
Curato da Marilena Pasquali, il volume (catalogo dell’esposizione fiorentina realizzata a quindici anni dalla prima mostra pittorica di Folon al Museo Marino Marini) presenta circa duecentocinquanta opere comprendenti i celebri acquerelli, piccoli objets ricchi di fantasia e di ironia, e, soprattutto, le sculture – monumentali o di dimensioni più ridotte – che costituiscono una vera e propria rivelazione. L’artista noto in tutto il mondo per i suoi acquerelli e per la sua attività grafica, a partire dagli anni Novanta (dalla mostra al Metropolitan di New York, tappa significativa del suo percorso artistico) si è dedicato alla scultura con esiti di altissimo livello pienamente riconosciuti dalla critica e dal pubblico internazionale. A differenza del senso di equilibrio e della luce che emanano dalla sua produzione pittorica, nella scultura emerge il lato oscuro dell’artista, la leggerezza lascia il posto all’inquietudine, l’armonia si tinge dei colori del timore per l’esistenza. In questa trasformazione vengono alla superficie le sue radici nordiche. Ma nelle sculture, tuttavia, rimane quella tensione di Folon alla luce, all’aria, allo spazio. Come egli stesso osserva:” Toutes mes sculptures régardent le ciel, c’est une façon de mettre le ciel dans la sculpture”. La monografia propone un percorso evocativo e tematico in cui trovano spazio i soggetti preferiti da Folon – il Volo, la Mano, il Viaggio, lo Sguardo, la Testa, il Totem, gli Uccelli – illustrati attraverso acquerelli, sculture, objects, serigrafie e affiches. Folon Firenze – titolo che richiama il rapporto di Folon con Firenze e la Toscana, rapporto di elezione iniziato molto tempo fa, già negli anni Cinquanta quando l’artista appena ventenne girava per la regione in autostop – comprende i testi di Federico Fellini, Jean-Michel Folon, Marilena Pasquali, Ray Bradbury, Emilio Tadini, il catalogo degli acquerelli e delle sculture, la biografia dell’artista (a cura di Federica Filippi Gabardi) e i riferimenti bibliografici.
Firenze, Forte di Belvedere e Sala d’Arme di Palazzo Vecchio 13 maggio – 18 settembre 2005
30/04/24
#Folon#mostra Firenze 2005#250 opere#artist books#acquerelli#il Volo#la Mano#il Viaggio#lo Sguardo#la testa#il Totem#gli Uccelli#artnexhibition catalogue#fashionbooksmilano
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Case di personaggi famosi da visitare
Più di 90 case di personaggi famosi sparse in tutta Italia aperte al pubblico. E' l'iniziativa organizzata dall'Associazione Nazionale Case della Memoria. La terza edizione delle Giornate nazionali delle case dei personaggi illustri si svolgerà oggi, 6 aprile, e domani. I visitatori potranno entrare nelle case in cui scrittori, musicisti, scienziati hanno vissuto anche solo parte della loro vita e scoprire il loro lato più intimo. Case di personaggi famosi: scrittori e poeti Se vi trovate nei pressi di Forlimpopoli, in provincia di Forlì-Cesena, non potete perdere Casa Artusi, sede dell'omonima Fondazione, un vero e proprio museo della cucina di casa. Pellegrino Artusi è il padre indiscusso della cucina moderna, il suo manuale "La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene" è presente ancora oggi nelle case degli italiani. Nella sua casa, un edificio di 2800 metri quadri ricavata dalla ristrutturazione del complesso monumentale della Chiesa dei Servi, trovano posto una scuola di cucina, una bottega, un ristorante ed enoteca. La casa di Tonino Guerra, a Pennabili in provincia di Rimini, è piena di cimeli di ogni tipo: un’antica chiave, uno scettro africano, un amuleto sciamano. Alle pareti si possono ammirare, accanto ai suoi pastelli e bozzetti, un disegno colorato di Wim Wenders, un acquarello di Michelangelo Antonioni, un De Chirico oltre a diverse opere di artisti russi. Le lettere di Pasolini, Natalia Ginzburg, Calvino, Fellini (solo per citarne alcuni) testimoniano la sua fortunata carriera di scrittore e di sceneggiatore. Politici e patrioti L’8 agosto 1867, la villa Tinti-Fabiani di Castelfiorentino, in provincia di Firenze, ospitò, anche se solo per una notte, il generale Giuseppe Garibaldi impegnato a raccogliere adesioni in Toscana in vista dell'imminente attacco allo Stato Pontificio. La villa conserva ancora la stanza in cui Garibaldi pernottò con gli arredi originali. A Ghirlaza, in provincia di Oristano, è possibile visitare la casa in cui Antonio Gramsci trascorse la sua infanzia e l'adolescenza. Acquistata dal PCI nel 1965, la casa è diventata il “Centro di documentazione e ricerca sull’opera gramsciana e sul movimento operaio”, un luogo che celebra la memoria dell'uomo, del politico, dell'ideologo, del suo pensiero e della sua opera nota in tutto il mondo. Papi , Santi e testimoni Tra le dimore visitabili in Sicilia vogliamo segnalarvi la casa di don Pino Puglisi e del giudice Rosario Livatino, entrambi beatificati dalla Chiesa. A Palermo, l'appartamento in cui don Puglisi visse dal 1969 al 1993 è diventata un Museo che testimonia la sua vita al servizio del prossimo e un centro di crescita spirituale. La casa del Giudice Rosario Livatino sita a Canicattì, in provincia di Agrigento, testimoniano la sua fede religiosa e la tempra morale. Valori che hanno segnato la sua carriera da magistrato fino alla morte avvenuta per mezzo della mafia. Cantanti e personaggi dello spettacolo Quasi vent'anni fa veniva realizza a Modena la Casa Museo Luciano Pavarotti. La villa in cui il maestro visse gli ultimi anni della sua vita conserva tutti gli oggetti a lui appartenuti e i ricordi legati alla sua carriera. Ambienti realizzati secondo le sue minuziose indicazioni che testimoniano perfettamente la sua personalità. La casa di campagna della famiglia Tognazzi a Velletri, invece, è la sede del Museo dedicato a Ugo Tognazzi. Un luogo dov'è possibile respirare aria di cinema grazie alla Fondazione dedicata all'attore romano simbolo indiscusso del cinema italiano. In copertina foto di Michele Bitetto su Unsplash Read the full article
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Luoghi dell’Anima 2023 a Rimini
Dal 10 al 17 giugno, Santarcangelo di Romagna, Rimini e Pennabilli ospiteranno la quarta edizione del Festival internazionale del cinema sui territori e la bellezza Luoghi dell'anima - Italian Film Festival, ideato in occasione del centenario della nascita del poeta, scrittore e sceneggiatore Tonino Guerra. Ideato da Andrea Guerra, per valorizzare le opere cinematografiche in cui l’ambientazione è protagonista, nell’osmosi tra territorio, memoria, immaginazione e racconto. Scopo del Festival è mettere in evidenza quella perfetta fusione di spirito e materia che i luoghi dell’anima rappresentano e che abita nella complessità e nella diversità delle storie del cinema, attraverso la sperimentazione di nuovi linguaggi e un lavoro di ricerca sui temi della resilienza ambientale e umana, contribuendo così alla riflessione sociale e antropologica, culturale e artistica. Nel connubio tra Luoghi dell’anima e Musica, tra Cinema e Letteratura saranno presenti molti protagonisti della scena artistica non solo italiana, come Ferzan Ozpetek, Noemi, Pupi Avati, Luigi Lo Cascio, Riccardo Milani, Carmen Yanez Sepùlveda, Caterina Caselli, Noemi, Omar Pedrini, Tosca e Rossana Luttazzi. Saranno 5 titoli a contendersi i premi del Concorso per lungometraggi Opere Prime e Seconde, giudicati dalla Giuria presieduta dal giornalista e sceneggiatore Andrea Purgatori con le registe e sceneggiatrici Elisa Amoruso e Francesca Comencini, e sono rispettivamente Romantiche di Pilar Fogliati, Io vivo altrove di Giuseppe Battiston, Piano piano di Nicola Prosatore, Margini di Niccolò Falsetti, Settembre di Giulia Steigerwalt. Gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, insieme ai membri di La valigia dell’attore, centro di cinema e teatro di Santarcangelo di Romagna e le spettatrici e gli spettatori che li visioneranno al Museo Il Mondo di Tonino Guerra, sceglieranno invece i vincitori del Concorso Cortometraggi guidati dal Presidente di giuria il professor Raffaele Milani. Oltre ai Lungometraggi e Corti in competizione, nel ricco cartellone figurano 6 Proiezioni Speciali e 4 film nella sezione internazionale, che sono Terra e polvere di Li Ruijun, Godland-Nella terra di Dio di Hlynur Palmason, La pantera delle nevi di Marie Amiguet e Vincent Munier, Tempo di viaggio di Andrej Tarkovskij e Tonino Guerra. Momenti speciali sono previsti nelle serate all’Arena Sferisterio di Santarcangelo di Romagna all’insegna di proiezioni, interviste, premiazioni e concerti live e per il gran finale di sabato 17 giugno, dopo l’assegnazione dei riconoscimenti, salirà sul palcoscenico Tosca con la sua band. Uno sguardo ravvicinato è rivolto infine alla selezione Emilia Romagna dedicata al cinema del territorio finanziato dall’Emilia-Romagna Film Commission con 4 lungometraggi e 2 cortili, mentre gli appuntamenti pomeridiani che si terranno nel Cortile del Fellini Museum di Rimini ospiteranno gli autori di recenti monografie editoriali o discografiche. Read the full article
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Fellinia y el MAR homenajean a Fellini
Para conmemorar el centenario del nacimiento del cineasta Federico Fellini y revivir su lúcido imaginario, el Museo MAR y Fellinia Tierra de Cine proyectan "Amarcord" (Francia -Italia 1973), su filme más personal y ganador del Oscar a mejor película extranjera en 1974. Su mirada regresa a Rímini, su ciudad natal, retratando la Italia fascista de los años 30' con una galería de personajes tan singulares como entrañables.
La función es el martes 21 de enero a las 18 en el Museo Mar, Av. Félix U. Camet y López de Gomara, Mar del Plata. La entrada es libre y gratuita hasta colmar la capacidad de la sala de 200 personas. Apta para mayores de 13 años.
Auspician la Federación de Sociedades Italianas de Mar del Plata y Zona - TERRA Tracce dell' Emilia Romagna nella Repubblica Argentina.
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Rimini: finalmente completato il Fellini Museum. Apre il Palazzo del Fulgor
Rimini: finalmente completato il Fellini Museum. Apre il Palazzo del Fulgor
LA TERZA SEDE DEL MUSEO DEDICATO AL GENIO CINEASTA, DOPO CASTEL SISMONDO E PIAZZA MALATESTA, È NELL’EDIFICIO SETTECENTESCO DEL LEGGENDARIO CINEMA FULGOR. Sala dedicata a La dolce vita, Fellini Museum, Rimini Photo Lorenzo Burlando Il cinema immortalato in Amarcord apre al pubblico come terzo polo del Fellini Museum. Parliamo del celebre cinema Fulgor, incastonato nel settecentesco Palazzo…
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L'omaggio di Rimini a Federico Fellini: apre il museo dedicato al Maestro
Viaggio onirico alla scoperta di Federico Fellini grazie al nuovo museo che Rimini dedica al Maestro: un percorso espositivo diffuso, che attraverso il centro riminese
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Rimini - Castelsismondo ieri sera in occasione dell’inaugurazione del museo Fellini
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Il Grande Risveglio della fotografia Italiana dal secondo dopoguerra agli anni '80 alla villa Giovannina di Carità di Villorba
di Carlo Maccà
-- L'edificio della Barchessa nel parco di villa Giovannina a Carità di Villorba, a pochi chilometri dall'uscita Treviso Nord dell'autostrada Venezia-Belluno, contiene uno spazio espositivo attualmente gestito dall'associazione culturale Mandr.agor.art (https://mandragorarte.it) che vi organizza "mostre d’arte, eventi culturali ed anche conferenze con un focus particolare nei confronti della storia della fotografia" (recentemente, Tina Modotti - Fotografa e Rivoluzionaria. e Dorithea Lange - American Exodus).
- Barchessa di villa Giovannina, Il II° Salone espositivo
Fino al 17 ottobre la Barchessa ospita la mostra Il Grande Risveglio! la fotografia Italiana dal secondo dopoguerra agli anni '80, prodotta e curata da Dionisio Galvanin, intenditore e collezionista d'arte e soprattutto di fotografia, che affianca alla professione di commercialista l'attività di esperto e di scrittore sulla storia di questa arte. Personaggio che già fotopadova.org conosce dalla mostra del 2019 Fini e Confini. Dal Paesaggio al Territorio (Museo del Paesaggio, Boccadasse di Torre di Mosto, 2019).
-- La prima sala. Al totem, opere di Adriano Altamira (1972, sopra) e di Carlo Alfano (1976, sotto).
Quanto segue è nient'altro che una volgarizzazione del tutto personale da parte dell'estensore di questa nota di quanto si evince dal ricco e dottamente istruttivo materiale presente in mostra: cartelloni illustrativi delle 6 sezioni tematiche/temporali in cui sono suddivisi opere e autori; 109, opere, alcune delle quali sono composte da più fotografie o da materiali disparati (vedasi immagine qui sopra), tutte vintage, alcune opera unica, evidentemente provenienti dalla inesauribile collezione del curatore; 96 Autori, alcuni presenti in più sezioni - un esempio per tutti, il poliedrico e longevo Nino Migliori, al quale auguriamo di continuare a sorprenderci.
Già durante la seconda guerra mondiale, con Visconti, De Sica e Blasetti la cinematografia italiana cominciava a staccarsi dai telefoni bianchi e dalla propaganda di regime senza peraltro affidarsi all'imitazione dei film americani e francesi che dominavano nel mondo e ponendo i semi di quello che sarebbe diventato il nostro, originale Neorealismo. Un po' più tardi anche la nostra fotografia cominciò a svegliarsi dal torpore in cui era caduta da anni: prima col Neorealismo (debitrice al nostro cinema, ma anche alla generazione statunitense della Farm Security Administration e alle riviste internazionali che finalmente cominciarono a raggiungere i nostri scrittori), poi col paparazzismo, fenomeno tipicamente nostrano.
Agli inizi, molti degli innovatori uscivano da qualche fotoclub più avvertito. Ma in breve se ne distaccavano, mentre la fotografia amatoriale sopravviveva ferma alle prime conquiste, forse assimilate malamente (e forse è rimasta ancora lì, nonostante l'avvento del digitale; o magari, proprio per questo, regredita).
La successiva stagione del paparazzismo ebbe come unica e tardiva la spesso pretenziosa fotografia di strada o, più elegantemente, Street Photography.
-- Franco Pinna. Fellini sul set di Giulietta degli Spiriti, 1965.
Venne il tempo della contestazione. I fotografi professionisti passarono dai set della Dolce Vita alle piazze e alle Università. I fotografi-artisti, presto raggiunti da molti artisti che usavano la fotografia come attrezzo per comporre le componenti delle proprie immagini, immersero nel flusso contestatario collo scopo non di fare, ma disfare l'arte, e assieme a questa la fotografia. In quel tempo si è affermato l'uso del mezzo fotografico puramente come mero attrezzo per fare arte figurativa e, talvolta, sfigurativa. Uso che coll'avvento del digitale si è generalizzato fino a invadere il settore amatoriale, che nel frattempo era rimasto impermeabile alle successive novità rivoluzionarie, in particolare all'arte concettuale.
A partire dagli anni 80, mentre l'arte in senso stretto se ne va per i fatti propri (pur continuando sfruttare in varie forme e diversi modi l'attrezzo fotografico, si veda Christo, Sandy Skoglund et al.) in Italia si assiste, soprattutto nella fotografia di paesaggio urbano e d'ambiente, ad una riappacificazione (pur temporanea) fra l'avanguardia della fotografia vera e propria e la tradizione, esente da atteggiamenti e teorizzazioni postmoderni ("defiantly free of postmodern attitudes and theorizing" come viene qualificata la contemporanea opera del fotografo degli U.S.A. Robert Adams:
https://fraenkelgallery.com/artists/robert-adams
è disponibile un utile "atlante degli autori in mostra" i cui in i loro nomi sono incolonnati sotto i titoli dei cinque settori in cui l'esposizione è suddivisi. Da ciascun nome è possibile risalire ad una scheda che inquadra brevemente l'attività dell'artista. Si trova al sito:
https://mandragorarte.it/index.php/2021/09/08/mostrailgranderisveglio
All'ingresso la cortesissima Maria Francesca vi informerà sulla mostra, sull'organizzazione, sui contenuti e vi illustrerà il percorso da seguire. è in vendita il catalogo che contiene, dopo puntuali introduzioni ai 5 settori storico-tematici, le immagini di tutte le opere esposte, senza, però, che la stampa renda il giusto onore a molte di queste. Molto valida appare l'opera del Galvanin Homini & Domini - Il corpo nell'arte fotografica, ivi disponibile, ricca di informazioni e puntuali commenti sui numerosi fotografi che dall'800 fino al 2011, data della pubblicazione, si sono occupati di temi che coinvolgono la rappresentazione del corpo umano. Per ognuno di questi è presentata almeno un'immagine particolarmente significativa, anche se per apprezzare pienamente questa e l'autore (spesso malamente noto al pubblico amatoriale (e questo è uno dei pregi e delle utilità del libro) occorrerà l'aiuto della Rete.
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ENTREVISTA CON ALFRED HITCHCOCK (1972)
Algunas reflexiones sobre la noción de autor
ALFRED HITCHCOCK.—Nunca pienso en los films que hago como si fueran mis films. No poseo esta vanidad o este egoísmo. Si hiciera películas para mi propia satisfacción, ciertamente serían muy diferentes de las que ustedes ven. Serían mucho más dramáticas, quizás sin humor, más realistas. La razón por la que, digamos, me he especializado en el suspense es una razón estrictamente comercial. El público espera de mí un determinado tipo de historia y no quiero decepcionarle.
El «autor-realizador», instintivamente, aborda siempre un cierto tipo de tema. En mí, esta constante es una especialización. Sé muy bien que cuando el público va a ver un film con la firma de Hitchcock, si no halla en él alguno o varios crímenes, se siente decepcionado. Es una regla a la que no escapan tampoco los críticos. Hace mucho, en 1949, acepté hacer un film-vehículo para Ingrid Bergman, Under Capricorn (Atormentada). Pues bien, no funcionó. Cuando se estrenó, un crítico de Hollywood escribió: «Tenemos que esperar ciento cuatro minutos antes de sentir el primer estremecimiento.» Ahora bien, yo no quería hacer de ninguna manera una película con «estremecimientos». Por exigencias del guion había en un determinado momento un plano de una cabeza momificada colocada sobre un lecho, pero esto era todo. Si esta frase se me ha quedado grabada en la memoria es porque demuestra el mecanismo del pensamiento del público y de la crítica en relación con mi obra. Un día, a propósito de The Birds (Los pájaros), Fellini me hizo esta observación: «Jamás hubiera tenido el valor de hacer esperar al espectador tanto tiempo antes de mostrarle el primer pájaro.» Incluso las personas que ejercen el mismo oficio que yo pueden sentirse decepcionadas si desde el principio no encuentran mi marca de fábrica: cuchillos, gargantas cortadas..., «estremecimientos».
PREGUNTA.—Su teoría sobre los «autores» la encontramos en boca de Joan Fontaine en Rebecca: «Mi padre pintaba siempre la misma flor porque estimaba que cuando un artista había encontrado su tema tenía un solo deseo: no pintar nada distinto a éste...»
HITCHCOCK.—Sí. Esto es muy evidente en los pintores. Podemos constatarlo plenamente cuando vamos a visitar un museo. Al mirar los cuadros de diferentes maestros notamos que cada uno de ellos tiene un estilo que le es propio. Al primer vistazo se reconoce un Rousseau o un Van Gogh, un Klee... Entonces, yo me pregunto por qué no se reconoce siempre la marca de un director (director) o de un realizador (maker) —no me gusta la palabra director, porque me parece errónea y prefiero la palabra maker—. Pues bien, creo que una de las principales razones de esta imposibilidad de identificar el sello de un realizador es que la mayor parte de ellos carece de estilo. De la calidad y del valor del tema depende generalmente la calidad y el valor del film que dirigen. En cuanto a mí, el contenido de una historia, la intriga, apenas me interesan. Lo que me apasiona es la forma de contar. Y lo que me atrae es descubrir qué cosa provocará una emoción fuerte en el espectador y cómo hacérsela experimentar.
Por otra parte, considero que en todos los terrenos artísticos pretendemos crear una emoción. La importancia de una obra de arte, sea cual sea ésta, radica en suscitar una reacción. Poco importa la clase de reflejo que provoque. Desde el momento en que se dice «me gusta» o «detesto», ello significa que no se es indiferente. Me gusta mucho la historia de esta joven pareja que va a visitar un museo de arte moderno. Se detienen, perplejos, frente a un cuadro abstracto, cuando de pronto una mano, señalándolos con el índice, surge del cuadro y les dice: «¡Tampoco yo les comprendo a ustedes!»
Un realizador puede repetirse como lo hace un pintor. Si ustedes me preguntaran: «¿Por qué Boudin ha pintado siempre el borde del mar y nunca el zoo?», yo les respondería: «Simplemente, porque no tenía más ganas de pintar el zoo que las que tengo yo de hacer una comedia musical.»
De todos los colores...
HITCHCOCK.—Cuando un crítico no es muy profundo —fenómeno menos raro de lo que podría creerse—, se limita a contar la historia de la película que ve. Considera que narrar unos acontecimientos es hacer «crítica». Esta me parece una actitud muy perezosa, a menos que sea una forma de disimular una profunda ignorancia. ¿Por qué un crítico de cine tendría que ser distinto de un crítico de pintura? Se da por sabido que un crítico de pintura tiene que conocer su tema, ¿no es así? Tiene que saber, por ejemplo, que Cézanne es uno de los precursores del movimiento artístico moderno. Que para él lo más importante era traducir sus sensaciones visuales... También yo cuando me enfrento con un guion siento idénticas necesidades.
Muchas veces, cuando acabo de terminar una película, me pregunto por qué la he hecho y desearía no haberla rodado. Quizás ello se deba a que no me gusta estar obligado a ir al estudio cada mañana para decir que éste no es el color adecuado y que necesito otro y para corregir todo lo que está equivocado. Para mí, toda la construcción de un film tiene que hacerse durante la elaboración del guion. A menudo, a propósito del teatro, se repite que una comedia no existe antes de ser interpretada ante un público. Que la obra se vuelve un todo en el momento en que el público y el creador se unen... Pero soy demasiado profundo esta mañana, ¿no les parece? Háganme otra pregunta.
PREGUNTA.—Lo que me gusta en sus películas es la precisión de su puesta en escena. Incluso en películas menores como Dial M for Murder (Crimen perfecto) y To Catch a Thief (Atrapa a un ladrón), usted consigue en algunos segundos —con los planos de obertura— sumergirnos plenamente en el tema...
HITCHCOCK.—Siempre. Vean Frenzy (Frenesí): en el primer plano se ve un cuerpo flotando en el Támesis y uno comprende que no se trata de una comedia de salón...
PREGUNTA.—Género que usted ha abordado sólo una vez en su vida: en 1941, con Mr. and Mrs. Smith (Matrimonio original).
HITCHCOCK.—Sí, es verdad. Pero deben convenir en que no se trataba realmente de un film para mí. Acababa de terminar Rebecca y Foreign Correspondent (Enviado especial), cuando Carole Lombard, con la que había trabado amistad, me dijo: «¿Por qué no me diriges en una película?» Acepté su proposición. El guion estaba escrito para alguien distinto a mí, pero como mi oficio era realizar películas, lo cogí, fui al plato, grité «¡motor!», «¡corten!» y lo rodé. Tan sencillo como esto. ¿Les parece una comedia triste? Quizás. Esto debe reflejarse en el rostro del patrón del pequeño restaurante al que van Robert Montgomery y Carole Lombard...
Ben Hecht y Raymond Chandler
HITCHCOCK.—Sí. Ben Hecht trabajó para mí en Spellbound (Recuerda) y Notorious (Encadenados). Era un guionista extraordinario y un hombre maravilloso. Discutíamos mucho tiempo antes de poner la menor cosa sobre el papel. A veces se volvía muy perezoso y me decía: «Vale, Hitchie, escribe los diálogos que quieras y luego yo los corregiré.» Ben era como un jugador de ajedrez. Podía trabajar en cuatro guiones a la vez. Además, tenía a cuatro «negros» que escribían para él.
En cuanto a Raymond Chandler, nuestra colaboración fue mucho menos feliz (1). Al cabo de un tiempo, tuve que renunciar a trabajar con él. A veces, cuando intentábamos encontrar ideas para una escena, se me ocurría hacerle una sugerencia. En lugar de estudiar si era buena, muy disgustado, me hacía notar: «Si puede conseguirlo por sí solo, ¿por qué demonios me necesita?» Rehusaba toda colaboración con el realizador.
«In the car, coming to the studio»
PREGUNTA.—El llorado Fernand Gravey me contó la respuesta que usted le dio a propósito de la escena de lucha cerca del horno de Torn Curtain (Cortina rasgada)...
HITCHCOCK.—He aquí toda la historia: descontento del guion, yo quería retrasar el rodaje, pero esto no era posible por problemas de fechas de Miss Andrews. A propósito de Miss Andrews, por otra parte, quiero decirles que había intentado en vano prescindir de sus servicios, alegando que era una cantante y no una «sabia», pero el estudio la consideraba como un valor seguro del box-office.
Entre tanto, Newman, que había leído el guion y lo encontraba malo —cosa que yo ya sabía— me envió una carta para plantearme cuestiones que le preocupaban. Entre ellas había una particularmente estúpida que, una vez más, me ha demostrado que los actores son «ganado»: «Cuando peleo con Gromek, junto al horno, ¿por qué la granjera, que se encuentra en el otro extremo de la cocina, piensa inmediatamente en abrir el gas para ayudarme a matarlo? Y, sobre todo, ¿en qué momento se le ocurre esta idea?» Más tarde, cuando nos encontramos, Newman me explicó que habría sido más normal que esta idea surgiera en la mente de la mujer si ésta se encontraba cerca del horno, porque sólo habría tenido que bajar la cabeza para descubrir el arma del crimen al alcance de los dos hombres que estaban luchando. Alucinado, le volví la espalda y me fui. A la mañana siguiente, al llegar al estudio, le dije: «Paul, he solucionado el problema de la granjera. ¿Sabe cuándo se le ocurre la idea de meter en el horno la cabeza de Gromek? En su coche, cuando va al estudio.»
PREGUNTA.—¿Qué otra actriz le hubiera gustado en lugar de Julie Andrews?
HITCHCOCK.—Eva-Marie Saint. Está formidable en North by Northwest (Con la muerte en los talones). Helen Rose, que hacía el vestuario del film, había confeccionado su guardarropa, pero al ver las pruebas en la pantalla yo había constatado inmediatamente que no era posible utilizarlo. Helen Rose había vestido a la actriz sin tener en cuenta al personaje, el de una mujer mantenida por un hombre rico. En compañía de Eva-Marie me dirigí a un gran modisto y actué exactamente como un hombre rico que mantiene a una mujer: supervisé la elección de su guardarropa en todos sus detalles...
PREGUNTA.—¿Exactamente igual como hacía James Stewart con Kim Novak en Vértigo?
HITCHCOCK.—Sí, salvo en el detalle de que James Stewart no discutió el precio de los vestidos, mientras que yo intenté por todos los medios obtener una rebaja, pretextando las necesidades del film. Pero me contestaron secamente que tenía que pagar el mismo precio que la señora Henry Ford. ¡Y es lo que hice!
Vértigo
PREGUNTA.—En Vértigo sus problemas con Kim Novak fueron de otra índole, ¿no es así?
HITCHCOCK.—Sí, me fue muy difícil conseguir lo que quería de ella, porque Kim tenía la cabeza llena de ideas personales. Pero como estoy contento del resultado... De todas formas, el papel estaba previsto para otra actriz. Vera Miles, que ya había utilizado en The Wrong Man (Falso culpable). Estábamos a punto de rodar, con su vestuario terminado, estudiados y elegidos los distintos colores del pelo, etc., cuando Vera, en lugar de aprovechar la oportunidad de su vida, ¡se quedó encinta! Con esta película se hubiera convertido en una estrella, pero no supo resistir al Tarzán de su marido, Gordon Scott.
PREGUNTA.—¿Cómo rodó el admirable travelling circular en Vértigo cuando James Stewart siente que en Judy, la chica que está a punto de besar, hay algo que le recuerda a Madeleine, la mujer que amaba? El presente y el pasado se funden con el decorado...
HITCHCOCK.—Ante todo, quería probar que si un hombre se acuerda de algo, siente este recuerdo, no lo contempla, como hemos visto en tantas películas en forma de los tradicionales «flashes-back». Quería a un hombre con una mujer entre sus brazos, experimentando una sensación idéntica a la del momento original. Para obtener esto, hice construir los decorados de una habitación de hotel y de una granja y los reuní en el mismo plató. Luego, hice construir las paredes de fondo que vemos en la pantalla, primero las del hotel y luego las de la granja. Instalé a los actores sobre una mesita giratoria e hice que cada cosa se moviera circularmente.
Topaz
HITCHCOCK.—Es un film muy complejo que no lleva solución en sí mismo. La mejor escena, o sea, la secuencia en el estadio Charlety, no figura en la versión definitiva. Cuando el héroe llega a su casa para decirle a su familia que Piccoli quiere batirse en duelo, le responden que es una locura, porque es un «deporte» que ya no se practica. Y pregunta al yerno: «¿Cuándo tuvo lugar el último duelo en París?» «Hace cuatro o cinco años, responde, entre el marqués de Cuevas y Serge Lifar.» Entonces, el actor principal (2) explica a sus parientes que no se trata de un duelo tradicional, que se detiene con la primera gota de sangre, ya que el hombre que lo ha provocado quiere matarle realmente. Hace muchísimo tiempo, me acuerdo de haber visto en una revista —quizás en Paris-Match, pero no puedo afirmarlo rotundamente— la foto de un duelo en un estadio vacío. La imagen de estos dos hombres rodeados por las filas de asientos vacíos, solos en el centro del campo, al fondo del cual destacaba la publicidad de Dubonnet, me fascinó. Y ésta es la escena que rodé para Topaz en Charlety. En lo más alto de las gradas había situado a un tipo con un fusil de alta precisión, mirando el campo de juego. En el momento en que los dos hombres iban a batirse, apuntaba a la espalda de Piccoli y disparaba, para desaparecer después. A los aterrorizados testigos el héroe les decía: «Los rusos lo han matado. Ya no les era útil.» Este era el auténtico final de la película. ¿Y saben por qué lo cortaron? ¿Porque no le gustaba a la mujer del productor? No, lo suprimí tras una «preview» en Estados Unidos. El final que conocen ustedes, en el que Piccoli se suicida, es un final de compromiso. Un horrible compromiso.
PREGUNTA.—¿Dónde rodó usted la secuencia del hotel de los cubanos en New York?
HITCHCOCK.—Totalmente en estudio. Quería rodarla en el auténtico «Hotel Teresa», situado en la Séptima Avenida, en el corazón de Harlem, pero había sido transformado en edificio para oficinas. Pensé en utilizar el exterior del inmueble, colocando a la entrada la placa con «Hotel Teresa» y decorando la recepción. Pero, en el último minuto, cuando todo estaba dispuesto, John Lindsay, el alcalde New York, no nos concedió permiso para rodar allí. Pensaba que le habría sido imposible evitarnos toda una serie de problemas que se nos habrían presentado. Así, nos vimos obligados a reconstruirlo todo en el estudio. Pero mantuvimos las mismas proporciones que en la realidad. Evitamos la trampa de las miniaturas. Para rehacer fielmente los decorados utilizamos fotos y postales de la época en que Fidel Castro habitaba en el hotel.
PREGUNTA.—¿Cómo concibió las escenas con Castro y el Che?
HITCHCOCK.—Encontramos un documental en 16 milímetros en el que aparecían todos estos personajes de la revolución cubana. Hice construir, en exteriores, una plataforma absolutamente idéntica a la que se veía en esta película y le pedí a mi director de fotografía que filmara en las mismas condiciones técnicas a los actores que yo había colocado en el estrado. Para acabar, mezclé mis escenas con las del documental y lo hice ampliar todo a 35 mm.
PREGUNTA.—Cuando Juanita (Karen Dor) muere, es una flor que se abre...
HITCHCOCK.—Sí, en efecto... Justo antes de que John Vernon la mate, la cámara efectúa un travelling hacia arriba muy lento que sólo se detiene en el momento en que ella se desploma. Yo había dispuesto alrededor del vestido de Karen Dor cinco hilos de algodón que eran maniobrados por cinco hombres fuera de campo. En el momento en que ella se desplomaba, los hombres tiraban de los hilos y el vestido de desplegaba como una flor que se abre... Era un contrapunto. Aunque se trate de una muerte, quería que fuese muy bella.
¿Saben ustedes por qué, después de Topaz, siempre tengo miedo de coger un avión en Estados Unidos? Porque temo que lo secuestren. No me gustaría encontrarme de pronto en Cuba, aunque quizás allí fuera mejor recibido que en Rusia, país en el que estoy proscrito. ¿Sabían ustedes que mis películas están todas ellas prohibidas en la Unión Soviética? Al parecer allí consideran que Mr. Hitchcock es un anti-humanista. ¿Divertido, verdad? Quizás ahora que Nixon le ha ofrecido un Cadillac a Brejnev las cosas cambien un poco...
PREGUNTA.—Volviendo a Topaz, ¿cómo rodó usted la escena de los pájaros que transportan los trozos de pan abandonados por los espías occidentales?
HITCHCOCK.— Para hacer esta escena contraté a Ray Berwick, el hombre con el que había trabajado en The Birds. Fijó los trozos de pan en el pico inferior de los pájaros. Así de sencillo.
Frenzy
PREGUNTA.— Richard Blaney (Jon Finch), personaje principal de Frenzy es, como todos sus héroes, acusado de crímenes que no ha cometido. Pero, al contrario que otros protagonistas de películas precedentes, no resulta muy simpático para el público. ¿Por qué?
HITCHCOCK.— Porque es un «born-looser». Quise que el público no estuviera de su parte más que al final de la película. Blaney es un joven airado, un violento; necesitamos cierto tiempo para simpatizar con él. La vida ha sido muy dura con él. Su mala suerte le lleva a ser condenado a veinticinco años de prisión, siendo inocente. Sabiéndose perdido y conociendo la auténtica identidad del criminal, decide justificar su condena y usar de un derecho casi bíblico: «ojo por ojo, diente por diente». Y huye de la prisión para matarlo. Pero todos estos elementos están en la película en un grado secundario. Mi objetivo es divertir al público y no ponerle serio. Ir al cine es como ir al restaurante. Es preciso que una película satisfaga tanto al cuerpo como a la mente.
PREGUNTA.— En Frenzy hay personajes tan innobles como Bob Rusk (Barry Foster). Pienso, por ejemplo, en el patrón del pub «El Globo», Forshyte (Bernard Cribbins).
HITCHCOCK.—Sí, es verdad. Es particularmente horrible. Pero no hay que olvidar que está enamorado de la camarera y que sus sentimientos orientan su conducta. En cuanto al asesino, es normal que parezca educado y simpático; en caso contrario, no podría intimar con ninguna de sus víctimas. Muchos realizadores cometen el error de hacer del «malo» un señor más bien feo con un ridículo bigote negro y que no duda en darle una patada al perro que pasa por su lado. Pero todo esto es cosa del pasado, de cuando había la costumbre de iluminar con una luz verde el rostro del traidor. El cine ya no está en sus balbuceos. El oficio ha evolucionado y se tiene una concepción totalmente diferente de la forma de tratar un drama. Antes, siempre había que prevenir al espectador de qué lado se encontraban los protagonistas. ¿Quiénes eran los buenos, quiénes los malos? Hoy en día nos hemos vuelto más realistas y podemos profundizar mejor. En mi historia, es evidente que el asesino tiene que ser bastante simpático, incluso seductor... Si le hubiera dado rasgos más duros y un aire de obseso sexual, todas las chicas que se encontraran con él tendrían que salir huyendo. Todo esto no lo he adivinado: es el resultado de un análisis profundo. He estudiado numerosos casos en los que figuraban asesinos de este tipo. Todo el mundo sabe que uno de los insectos más seductores para sus víctimas es la araña. Para ilustrar mejor esta idea, hay incluso una expresión: «Will you come into my parlour, said the spider to the fly» («Quiere venir a mi tocador, le dijo la araña a la mosca»). Los cuentos infantiles, por otra parte, muchas veces nos ponen en guardia contra las falsas apariencias. Así, en «Caperucita roja» tenemos a la simpática abuelita que es un lobo, en «Blancanieves» la encantadora viejecita de las manzanas es la bruja... ¿Y no hay una expresión que dice «un lobo con piel de oveja»? Todas estas consideraciones me han conducido a hacer de mi asesino un ser encantador a quien una chica puede recibir encantada en su apartamento.
PREGUNTA.—¿No cree que la secretaria de Mrs. Brenda Blaney habría hecho quizá la felicidad de Bob Rusk... si hubiera sido su tipo de mujer?
HITCHCOCK.—Es muy posible. En todo caso, habría dado una escena muy interesante al verles hacer el amor juntos.
PREGUNTA.— Después del crimen de Mrs. Blaney y del de Babs, la camarera, la cámara se queda sola durante un tiempo. En el primer caso, espera abajo que la secretaria de la víctima —a quien acabamos de ver entrar en la casa— grite para anunciar el descubrimiento del cadáver. En el segundo, baja retrocediendo las escaleras (vacías) que conducen al apartamento de Bub Rusk tras haber abandonado a este último a la puerta que ha franqueado con Babs con intención de matarla.
HITCHCOCK.—En el primer caso le digo al público: «Han visto ustedes muchas películas en las que se descubre un cadáver. Invariablemente, la mujer que encuentra el cuerpo grita en primer plano su terrible descubrimiento. Esta vez, será distinto». He querido que el público —ya al corriente de los acontecimientos— imagine el horror de la secretaria y calcule aproximadamente cuando oirá el grito. En el segundo crimen, quería que se notara que cuando Bob sube por la escalera detrás de Babs no sonríe. Hay que decirse: «Está reflexionando sobre la forma de suprimirla. ¿Le ofrecerá primero una copa?». Antes de que desaparezca con la camarera, le oímos pronunciar la misma frase que dirigió a Mrs. Blaney: «Es usted mi tipo de mujer». A partir de este momento sabemos con toda seguridad que la chica no saldrá viva de su apartamento. En el momento de esta revelación, yo, el «maker», intervengo ante los espectadores: «Todos ustedes saben qué ocurrirá. No pueden hacer nada para impedir los hechos. Ustedes no pueden saltar de la butaca, correr hacia la pantalla, subir las escaleras, derribar la puerta y gritar: «¡Deténgase, no la mate!». Ustedes no pueden hacer nada y su impotencia forma parte del suspense. «¡Salgamos de aquí!» ¿Qué hacer en este caso? Nos retiramos de puntillas... En el momento en que llegamos a la calle levantamos la mirada hacia la ventana del apartamento de Bob Rusk, acechando un grito de socorro. Pero en la calle descubrimos que el tráfico es tan fuerte (en este momento he subido exprofeso el sonido) que nos damos cuenta de que aunque Babs gritara sería inútil: ¡no oiríamos nada!
PREGUNTA.—Sus asesinos son muchas veces psicópatas con una homosexualidad latente...
HITCHCOCK.—Normalmente, un psicópata es un impotente sexual. Sólo goza con las mujeres en el momento de estrangularlas. Hubo un caso célebre en Londres, con alguien llamado Christie (3), acusado de haber matado a ocho mujeres y haber escondido sus cuerpos bajo el suelo de su casa. Durante el proceso, cuando el fiscal le preguntó si el acto sexual había tenido lugar antes, durante o después de la muerte, respondió: «Durante, creo».
PREGUNTA.—¿Qué le interesó del libro de Arthur La Bern?
HITCHCOCK.—¡Las patatas!
PREGUNTA.—Buena respuesta...
HITCHCOCK.—Saben, para mi propia satisfacción creadora, si como tela de fondo tengo un mercado de frutas y legumbres, éste tiene que tener una función dramática. La historia debe venir de la tela de fondo. En el caso de Frenzy parte de las patatas. A partir de este dato he construido los diferentes compartimientos del relato: la secuencia del camión, la parada de los camioneros, etc. Gracias al polvo de las patatas uno se dice que quizá la policía descubra una pista que la conduzca al verdadero asesino.
PREGUNTA.—Debe ser difícil para usted, tras haber trabajado con tantos grandes actores, encontrar jóvenes capaces de reemplazarlos.
HITCHCOCK.—En parte es verdad. Pero lo que me inquieta más es encontrar historias originales y, sobre todo, nuevas formas de matar.
PREGUNTA.—¿Por qué no rodó Titanic, la película que debía ser el arranque de su carrera americana?
HITCHCOCK.—Abandoné este proyecto para hacer Rebecca. En Titanic sólo había un plano que me apasionaba y si hubiera rodado la película lo habría hecho sólo por este plano: un grupo de hombres sentados alrededor de una mesa juegan a las cartas. Sobre la mesa hay un vaso de whisky. Primer plano del vaso. Vemos cómo se inclina el nivel del líquido. ¡Oímos algunas risas! (4).
Entrevista realizada por Rui Nogueira y Nicoletta Zalaffi. (Traducción: Ignasi Bosch)
Traducción publicada en la revista “Contracampo” nº 23, septiembre-1981.
(1) Chandler escribió para Hitchcock el guion de Strangers on a Train (Extraños en un tren).
(2) Se traía del autor Frederick Stafford, cuyo nombre Hitchcock jamás pronuncia.
(3) Este caso inspiró la película 10 Rillington Place (El estrangulador de Rillington Place), de Richard Fleischer (1970).
(4) Esta entrevista, realizada en mayo de 1972, apareció en Ecran 72, nº 7, julio-agosto.
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MÁLAGA!! 🖤🖤🖤 Mañana a las 19:30 os espero con @maximohuerta y @lunwerg en el auditorio del museo @thyssenmalaga para una charla sobre nuestro último libro (link en bio) VIVA LA DOLCE VITA 🖤 En imagen: Anita Eckberg y su famoso paseo nocturno en la Fontana de Trevi en la peli homónima de Fellini . Os esperamos!! #vivaladolcevita #illustration #mariaherreros (en Museo Carmen Thyssen Málaga) https://www.instagram.com/p/B9WqOZzCKpM/?igshid=14r0h21vdvo4v
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"È vero. Io sento le città come una condizione di esistenza, e questo deriva dalla mia esperienza dell'America, dove le città hanno assunto una estensione enorme. Alcune, mi piacciono moltissimo. A San Francisco, a Houston o a New York avrei tutto ciò di cui sento il bisogno, fisicamente e psicologicamente, una città che mi circonda. Solo che, allo stesso tempo, in America si percepisce la mancanza di qualcos'altro, che non ha niente a che vedere con l'urbanistica. E allora si torna in Europa, in Germania, e di fatto non c'è proprio scelta. Anche qui ci sono grosse mancanze. Monaco è troppo angusta, legata alle proprie radici, un museo; Amburgo è fredda, poco ospitale, Dusseldorf ha un'aria frivola, da nuovi ricchi; Francoforte è così informe che alla fine resta solo Berlino come luogo adatto per vivere." - Wim Wenders . . . Alcuni dei nuovi arrivi, e presto altri ancora tra cui il Libro dei sogni di Fellini. #libro #libri #libreriaonline #libreria #book #books #bookstagram #cit #citazione #seunanottedinvernounlibro #libriusati #librirari #instabook #instabooks #bookshop #bookpride #letteratura #libriusati #saggi #saggistica #leggere #lettura #narrativa #virginiawoolf #wimwenders #shopenhauer #martinheidegger #giannicelati https://www.instagram.com/p/B8jnTcmoJ4J/?igshid=6kd4w6ro3n4k
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A Rimini una biennale per celebrare il Disegno
A Rimini una biennale per celebrare il Disegno
Fino al 15 luglio Rimini ospita per la terza volta una delle manifestazioni internazionali più importanti legate al disegno: la Biennale del Disegno, che offre una molteplicità di contenuti che si snodano in giro per la città. Quest’anno sarà Visibile e Invisibile, Desiderio e Passione il filo conduttore che riunirà artisti, curatori ma soprattutto appassionati di disegno nella città che ha dato…
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Bailemos dulcemennte: William Kentridge en Oaxaca
Juan Pablo Ruiz Núñez
Para Lizette Mar Flores
Un hombre camina agitando una bandera. Detrás suyo avanza --de derecha a izquierda-- una banda de música de metales; luego varias personas que, como estandartes, cargan elementos naturales o, rostros de personas. Todo ello en dibujos al carboncillo animados o sombras de personas proyectadas, bajo una escala de grises-sepias portentosa. A partir de ahí, seguirán apareciendo varios personajes, entre ellos, una bailarina con un rifle de asalto que a la vez interpreta pasos de danza clásica. Paulatinamente surgirán más músicos y gente, parte de una manifestación entre festiva y doliente.
La videoinstalación de William Kentridge, More Sweetly Play the Dance (Interpreta la danza más dulcemente), es una obra mayor, por la profundidad e intensidad con la que desarrolla sus temas y variaciones, como en sus dimensiones y en su manufactura –evidencia las múltiples manos con las que fue diseñado-realizado-producido. De los temas, unos son más evidentes que otros: el apartheid y las décadas de opresión en Sudáfrica; el esclavismo en el continente americano tanto en EUA como en las antiguas colonias españolas; los procesos de liberación y de lucha política en su región pero extensivos al mundo.
Se trata de una proyección de ocho canales, simultáneos, en un carril continuo, como un gran panel, propiamente un políptico en movimiento. La proyección muestra un desfile de distintas personas-cuerpo que representan arquetipos de la historia reciente y no tanto. Esta coreografía en clave de teatro de sombras es una danza de la muerte: esqueletos y siluetas de personas, algunos trabajadores, músicos, algunos sacerdotes, que bailan una música envolvente. Ciertos personajes cargan objetos sobre sus hombros (sugiriendo migrantes en diáspora), mientras otros, exultantes, ondean banderas, todo ello sin dejar de danzar-andar.
Han hablado de esta pieza como un gran mural en movimiento (los ocho paneles suman 45 m lineales). La proyección multicanal nos sumerge en la sensación del interior de una cueva donde mirar sombras producidas por el fuego; fuego jalonado por corrientes de aire, el fuego vivo recién encendido, pero también el fuego débil de la fogata extenuada. Montado en la planta alta de la antigua fábrica de textiles que alberga el Centro de las Artes de San Agustín (CaSa), busca generar una experiencia de inmersión. El espectador puede caminar, detenerse por momentos pero continuar su recorrido. Aunque también puede quedarse en alguno de los extremos o en la zona central y sólo observar-escuchar. Según se mire y qué se mire de cada una de las secciones la experiencia cambia.
Puede leerse que, dentro de las múltiples modos de asir esta obra, los personajes que la habitan protestan contra la corrupción política, contra la explotación, la desigualdad económica; personas lo suficientemente desafortunadas como para llenar los periódicos y boletines de noticias --dice Kentridge. Muchos hechos habituales de la realidad política, extraídos de los medios, los transmuta en poderosas alegorías poéticas. Su técnica distintiva consiste en fotografiar sucesivos añadidos o borraduras a sus dibujos, y luego grabar las escenas y montarlas minuciosamente para articular un continuum.
Los dibujos en movimiento o las películas dibujadas a las que nos tenía habituados William Kentridge --ese cine paleolítico nombrado por él mismo-- alcanza un nuevo estadio con More Sweetly Play the Dance. En su trayectoria las reflexiones han ido del colonialismo, sus huellas en el cuerpo-los cuerpos, el conflicto entre el pasado y presente y el posicionamiento ético del artista. La relación de la obra de Kentridge con la realidad sociopolítica circundante siempre ha sido explícita: “estoy interesado en el arte político, es decir, un arte de la ambigüedad, de la contradicción, de gestos incompletos y finales inciertos”, evitando dogmas y la militancia abierta. “Los imperativos del mundo exterior se filtrarán en tu obra: el trabajo mostrará quién eres, y si existe un interés político se manifestará en tu trabajo. Pero comenzar con un manifiesto político es una muy mala manera de aproximarse al arte”.
En More Sweetly Play the Dance son claras las relación con las danzas de la muerte medievales. Me recordó la secuencia final de El séptimo sello, de Bergman, o el desfile de los payasos-músicos de Ocho y medio, de Fellini, que el propio Kentridge menciona en el catálogo de la exposición. Pensé en pinturas clave como la de los ciegos de Brueghel el viejo; además de fotos de diversas protestas en el mundo como una conmemoración del Bloody Sunday en Londonderry (Irlanda del Norte), en los 90; de una marcha por los 43 estudiantes desaparecidos de Ayotzinapa, en Chilpancingo (Guerrero), de 2015; o una fotografía de 1948 de refugiados palestinos expulsados de sus tierras. También pueden hallarse referencias de guerras, violencia histórica, hegemonía colonial y ocupación mental, segregación social y racial sufrida tanto en África como en buena parte del mundo.
En cuanto a la danza, el eje medular de esta obra, Kentridge nos amplía: “hay algo siempre utópico en la danza: la coordinación de los músculos, los tendones, la intención y el deleite que construye el movimiento rítmico de las personas. Por supuesto, hay una ironía en un baile a la vez a favor y en contra de la muerte. La muerte llevando a sus compañeros a su final, y la idea medieval de que si uno bailaba furiosamente, si había suficiente energía liberada durante el baile, uno podría mantener a la muerte a raya”.
Mientras tanto, la banda sonora --creada por el African Immanuel Essemblies Brass Band– provoca una sensación emotiva como inquietante. Si bien hay partes que como espectador no sudafricano pierdo, desde la emoción-reflexión alimentadas por la música y lo que los simbolismos sugieren, aparecen bastantes alegorías identificables: desde la tradición griega occidental pasando por la compleja historia del colonialismo europeo padecido por África durante el XVIII y XIX, siglos de expolio, esclavismo, más lo acumulado durante el XX y lo que llevamos del XXI: genocidios por aquí y acullá, extractivismo, devastación ecológica, miles de muertes por enfermedades y empobrecimiento galopante. África, origen de la especie humana.
A pesar de ello bailemos, dulcemente, no dejemos de hacerlo, si no estaremos del todo perdidos, como ya advertía la gran Pina Bausch.
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La magnífica video instalación de William Kenttridge pudo verse en Oaxaca en el Centro de las Artes de San Agustín Etla (CaSa). Antes de llegar a México se presentó en el EYE Film Museum de Ámsterdam (2015), la Galería de Arte Marian Goodman de Londres (2016) y el Museo de Arte de Cincinnati (2017).
Esta muestra formó parte de la programación Hacer noche, una exploración de la muerte por más de 30 artistas sudafricanos que buscó forjar conexiones interculturales. La video instalación de Kentridge fue el centro culminante. Además, pudieron verse en Oaxaca piezas de Nicholas Hlobo, Kendell Geers, Jackson Hlungwani, Tracey Rose, Zanele Muholi, David Goldblatt, Athi-Patra Ruga, Jo Ratcliffe y Pieter Hugo, entre otros.
[Publicado originalmente en La Tempestad, versión ligeramente editada]
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Sui binari di Federico Fellini
Sui binari di Federico Fellini
Nell’anfiteatro del polo museale di Pietrarsa andrà in scena una pièce teatrale ispirata al grande Federico Fellini PORTICI | CITTÀ METROPOLITANA DI NAPOLI – Al Museo Ferroviario di Pietrarsa torna, dopo il successo registrato a giugno, Sui binari di Federico, allestimento teatrale con storie di incontri ispirate dai film del grande regista Federico Fellini. Domenica 28 agosto gli attori…
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