#Modena carcere
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A scuola di gelateria nel carcere di Vercelli
Ha fatto tappa in Piemonte il Progetto Nazionale “SI SOSTIENE in carcere”, promosso da Soroptimist International d’Italia con Fabbri 1905 per il reinserimento in società di detenute attraverso corsi professionali di gelateria artigianale. Nel corso del 2025 saranno coinvolti 8 istituti penitenziari femminili in tutta Italia. Fabbri 1905 rafforza il proprio impegno a favore delle pari opportunità…
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PRIMA PAGINA Gazzetta Di Modena di Oggi sabato, 01 marzo 2025
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A Roma un uomo è finito in carcere per un errore dell’intelligenza artificiale di un sistema di riconoscimento facciale collegato a una telecamera di una gioielleria (1). A Milano il comune vuole acquistare un sistema di intelligenza artificiale per individuare e multare chi usa lo smartphone mentre guida (2). A Napoli una testata giornalistica ha sottoposto ChatGpt a una prova di dialetto napoletano concludendo che il software ha svolto il lavoro in modo più che sufficiente (3). A Milano alcuni giornalisti hanno usato l’intelligenza artificiale per realizzare un’intervista virtuale con il ciclista Luigi Ganna, morto nel 1957, il quale si è rammaricato per non aver potuto usare le attuali biciclette tecnologiche (4). A San Benedetto del Tronto (Ascoli) un esperto di economia ittica ha avvisato i pescatori che l’intelligenza artificiale troverà da sola le aree di mare più pescose (5). In una scuola di Lecco è partito un progetto per usare in classe l’intelligenza artificiale (6) fornita da Google (7). In una scuola di La Spezia un professore si è accorto che dal controsoffitto cadevano calcinacci e ha fatto evacuare l’aula, dove subito dopo il controsoffitto è crollato (8). A Roma una scuola dell’infanzia è stata chiusa per la presenza di serpenti e topi (9). A Lecce durante un incontro scuola-famiglia una donna ha preso a pugni una professoressa perché riteneva che avesse dato al figlio un voto troppo basso (10). In una scuola di Carrara uno studente di 15 anni ha salvato la vita di una bidella che stava per essere soffocata da una merendina praticandole una manovra appresa dalla madre infermiera (11). Alle isole Tremiti (Foggia) la scuola elementare ha riaperto dopo vent’anni grazie a una maestra precaria che ha accettato l’incarico (12) trasferendosi in un paese di 131 abitanti (13). A Trapani il 10,47 per cento dei ragazzi non finisce gli studi, facendo della città siciliana quella con la più alta dispersione scolastica in Italia (14). In Abruzzo l’84 per cento dei ginecologi degli ospedali pubblici non pratica l’interruzione di gravidanza, facendo della regione quella dove è più difficile abortire in Italia (15). A Perugia una donna ha denunciato di aver vissuto un’odissea girando per tre diverse strutture sanitarie per ottenere l’interruzione di gravidanza (16). A Torino c’è stata una manifestazione di donne contro la cosiddetta “stanza dell’ascolto” dell’ospedale Sant’Anna dove gli antiabortisti cercano di convincere le donne a non interrompere la gravidanza usando a questo scopo soldi pubblici (17). A Rapallo (Genova) un uomo che non aveva ottenuto l’eutanasia si è tolto la vita acquistando un kit per il suicidio sul dark web (18). A Vicenza un uomo con un grave tumore ha rivelato di essere andato in Svizzera per ottenere cure palliative con l’Lsd (19) e l’Associazione Coscioni ha chiesto che le terapie psichedeliche vengano autorizzate anche in Italia (20). A Vernio (Prato) una donna di 82 anni ha soffocato con un cuscino il marito malato di Alzheimer (21). Nell’ospedale di Baggiovara (Modena) è in corso l’Alzheimer fest che prevede momenti di svago e la cena finale “Non ti scordar di me” (22). A Bergamo per la Festa dei nonni i gelatai hanno regalato agli ospiti delle rsa centinaia di coni e coppette con un gusto a basso indice glicemico (23). A Peschici (Foggia) una gelateria ha iniziato a proporre il gusto alle cime di rape perché è adatto all’autunno (24). A Milano gli operatori della moda hanno convenuto che quest’autunno bisogna avere nell’armadio almeno un capo bordeaux (25), giacche in stile navajo (26) e cardigan da abbinare ai jeans (27), mentre per quanto riguarda il beauty il rossetto dev’essere color vinaccia o castagna (28). [...]
[...] Continua su: L’innocente arrestato dall’intelligenza artificiale e altre storie - Internazionale
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Nuova aggressione nel Carcere Sant’Anna (Modena): Polizia Penitenziaria in prima linea tra violenze e sovraffollamento
Un’altra grave aggressione all’interno del Carcere Sant’Anna di Modena ha riportato alla luce l’incessante emergenza che affligge gli istituti penitenziari italiani. Nonostante le reiterate denunce dell’OSAPP (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), le violenze contro il Personale di Polizia Penitenziaria continuano a essere all’ordine del giorno. L’ultimo episodio si è…
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26 set 2023 15:54
“SONO SOPRAVVISSUTO AGLI ANNI 70, ALLE BRIGATE ROSSE E A LOTTA CONTINUA FACENDO DEL ROCK IN ITALIANO” – VASCO SI RACCONTA IN UN DOC SU NETFLIX: “SONO STATO IN CARCERE 22 GIORNI. IO, L’UNICO DENUNCIATO DAL PROPRIO SPACCIATORE. C’ERA UN MONDO CHE MI VOLEVA FERMARE. NEI '90 HO MESSO SU FAMIGLIA. HO AVUTO TRE MALATTIE MORTALI, NEL 2015 SONO ANDATO IN COMA E MI HANNO PRESO PER UN PELO. PERÒ NON SONO UN SOPRAVVISSUTO MA UN SUPERVISSUTO” – LA NUOVA CANZONE “GLI SBAGLI CHE FAI” - VIDEO -
Marinella Venegoni per laStampa - Estratti
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Quando parla di sé come rockstar, il suo tono non è trionfalistico ma allegro e risolto. Vasco Rossi - Il supervissuto che Netflix manderà in onda da domani, è un fior di documentario di raro impatto proprio per la volontà del protagonista di raccontare la sua intera vita dal sofà di una stanza, come se ci fossimo pure noi. Ci sono sequenze brevi di stadi sempre più pieni, pezzi di canzoni, ma mai aggettivi superlativi. Che bella idea, non essere celebrativi.
Qui siamo fuori dall’hype, da glamour e furbizie del filone biografico prevalente, spesso gonfiato e deludente, dedicato ai big della musica. Vasco si è tenuto accanto, anche qui, coloro che fanno parte della sua vita quotidiana. A partire dal regista Pepsy Romanoff.
Che dice Vasco
La serie è stata girata quando la pandemia stendeva il suo manto minaccioso sulle nostre vite. Si sono chiusi negli archivi, hanno tirato fuori i filmini e le pizze dell’infanzia, hanno girato per le case che Vasco ha frequentato, le finestre che ha aperto e si capiscono dal periodo gli squarci desertici di strade e piazze immutate dove Albachiara scendeva dal pullman.
«Per una volta volevo raccontare la mia versione. Ho scelto lo schermo invece che il libro, che magari poi arriverà, chissà. Per una volta mi son messo in gioco, parlo in prima persona: dovevo e volevo fare questa esperienza. Mi ritengo un navigato influencer, ma dentro ogni episodio c’è stato un intenso lavorio interiore».
Zocca e l’infanzia
«Ho passato un’infanzia felice a Zocca, con la mia mamma e la sua amica Ivana. Avevo cantato e vinto il concorso canoro L’usignolo d’oro». Nei filmati, c’è un bel bambino con gli occhi vispissimi. Vasco mostra il palco dell’esibizione: «Vinco e accedo alle finali di Modena, dove se venivi dalla montagna ti consideravano di serie B. Sono cresciuto al Bar Trieste finché non è morto mio padre. A 7 anni mi sono innamorato di Anna Maria, la figlia del proprietario del bar». Si lanciavano segnali, un giorno la vede fredda e le chiede: «È ancora così?».
E lei: «No». Rivela che «Ho guardato dentro casa tua» in Senza parole, allude all’occhiata buttata dentro la porta aperta da lei che se ne andava.
Nei paesi, la vita è tutta nei bar. «All’Olimpic c’era il juke box. Con i Falchi facevo le canzoni, ero il fighetto del paese». Crescono, lui e gli amici. Quando vengono a sapere che a Milano c’è una radio Fm, vanno a vederla: «Abbiamo subito fondato Punto Radio». Floriano Fini, il suo manager-filosofo, amico d’infanzia: «La prima volta sento una voce cantare “I tuoi occhi sono fari abbaglianti e io ci sono davanti”. Era un bambino di 6-8 anni, era lui». Vasco ricorda poi il papà, camionista e spesso assente: «Mi aveva comprato la macchina prima della patente. Ma è morto poco dopo. L’ultima volta che l’ho visto mi ha montato le doppie finestre nella casa dove andavo a stare».
La politica
C’è un preambolo illuminante: «Sono sopravvissuto agli Anni 70, alle Brigate Rosse e a Lotta Continua. Io ero un indiano metropolitano che cercava di migliorare se stesso e mi sembravano matti quelli che si chiamavano Potere Operaio. Sono sopravvissuto facendo del rock in italiano e pezzi generazionali. Nei Novanta ho messo su famiglia. Sono sopravvissuto a tre malattie mortali, nel 2015 sono andato in coma e mi hanno preso per un pelo. Però non sono un sopravvissuto ma un supervissuto».
Il tg dà la notizia dell’arresto: «Sono in un locale, mi portano a casa e dicono: daccela subito altrimenti la troviamo. Erano 20/30 grammi di cocaina, la compravo ogni tanto. Sono stato in carcere 22 giorni ed erano come 22 mesi, 5 giorni di isolamento, l’astinenza. L’unico denunciato dal proprio spacciatore, c’era un mondo che mi voleva fermare e intanto usciva Va bene va bene così. L’ho vissuto con lo spirito dell’esploratore».
La moglie e il figlio Luca
Laura Smidth parla del primo incontro, a 17 anni, con il futuro marito; era con tre amiche, invitate da Massimo Riva. Lei, dice Vasco: «per dispetto comincia ad insultarmi. E io me ne vado a letto». È così che, tempo dopo, lo sciupafemmine rock si innamora della bionda fanciulla dalle minigonne cortissime: «La prima volta a cena l’ho amata subito alla follia». Ed ecco il figlio Luca, 33 anni, un artista visuale: «Stimo la resilienza di mio padre, nei momenti difficili è andato avanti».
La canzone-sigla
S’intitola Gli sbaglia che fai l’inedito che fa da sigla alla serie. Spiega Vasco, citando Battiato: «È una canzone sulla condizione umana, alla continua ricerca di un “centro di gravità permanente” che non può esistere e di un senso che non sempre c’è. Tutti gli artisti fanno questo, ti portano in un mondo altro».
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Alice Neri, per la Cassazione Gaaloul resta in carcere: “I 5 punti per cui potrebbe essere colpevole”
DIRETTA TV L’omicidio di Alice Neri a Modena 17 Luglio 2023 Resta in carcere Mohamed Gaaloul, il principale sospettato per la morte di Alice Neri, la mamma di 32 anni trovata carbonizzata nella sua auto nelle campagne di Concordia, nel Modenese, lo scorso novembre: la decisione della Corte di Cassazione. 0 CONDIVISIONI Alice Neri e Mohamed Gaaloul Attiva le notifiche per ricevere gli…

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Lucy Salani
https://www.unadonnalgiorno.it/lucy-salani/

Lucy Salani, importante attivista lgbtq+, è stata l’unica donna transgender italiana sopravvissuta alle persecuzioni nazi-fasciste e ai campi di concentramento.
È stata una grande oppositrice della guerra, ha rischiato più volte la vita, ha subito varie incarcerazioni, processi ed è stata condannata a morte.
Nacque col nome di Luciano a Fossano (Cuneo) il 12 agosto 1924, in una famiglia di origine emiliana.
Ha trascorso la sua giovinezza a Bologna durante l’ascesa del fascismo, in un’epoca in cui l’omosessualità era percepita come un crimine sociale punito col carcere e con ogni sorta di angheria e persecuzione. Per il suo orientamento sessuale, venne rifiutata dalla sua stessa famiglia.
Chiamata alle armi nel 1943, pur dichiarandosi omosessuale, venne mandata a combattere, ma disertò dandosi alla clandestinità che abbandonò per salvaguardare i suoi familiari. Venne quindi arrestata ancora dai tedeschi e inviata con l’esercito nazista a Suviana da dove riuscì nuovamente a disertare, buttandosi nell’acqua gelida che le procurò una polmonite, ma scappò anche dall’ospedale in cui era ricoverata.
Ha vissuto per qualche mese a Bologna in clandestinità, per mantenersi si prostituiva. Durante una retata venne fermata dalla polizia che, scoprendo la sua diserzione, la tenne rinchiusa nella cantina di un casolare nei pressi di Padova, dalla quale era riuscita a scappare, ma poco dopo venne di nuovo catturata a Mirandola. Dopo una permanenza nelle carcere di Bologna e Modena, venne processata a Verona e condannata a morte. La pena venne tramutata in lavori forzati in un campo di lavoro a Bernau, da cui era scappata. Ma al confine tra Austria e Italia, venne scoperta e deportata nel campo di concentramento di Dachau dove è riuscita a sopravvivere fino alla liberazione da parte delle truppe americane, che l’hanno trovata in mezzo ai cadaveri, era stata, infatti, fucilata dai tedeschi e colpita a una gamba prima di svenire ed essere considerata morta.
Dopo la guerra ha vissuto tra Roma e Torino, tra un lavoro come tappezziera e l’avanspettacolo, mantenendosi essenzialmente con la prostituzione, realtà che aveva conosciuto sin dall’adolescenza e che ha sempre rivendicato come un dato di fatto nella sua esistenza da donna trans.
Nei primi anni ottanta, a Londra, si è sottoposta a un’operazione di riattribuzione del sesso senza rinunciare al suo nome.
Rientrata a Bologna, vi ha trascorso il resto della sua vita, militando col Movimento Identità Trans che l’ha supportata quando è caduta in una condizione di estrema indigenza.
I ricordi della detenzione l’hanno tormentata per tutta la vita, facendola svegliare di soprassalto la notte anche a distanza di anni. Nei suoi incubi vedeva, forse, le centinaia di cadaveri che aveva dovuto trasportare verso i forni crematori, alcuni dei quali, raccontava, a volte le sembrava si muovessero ancora.
Ha lasciato la terra il 22 marzo 2023, aveva 98 anni.
La storia di Lucy Salani è diventata nota grazie alla biografia scritta da Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, pubblicata nel 2009 che, due anni più tardi, è diventata anche un documentario dal titolo Essere Lucy.
Nel 2014 il regista Gianni Amelio l’ha intervistata nel documentario Felice chi è diverso.
Nel 2021 è uscito il film documentario sulla sua vita C’è un soffio di vita soltanto preso da un verso di una poesia scritta da lei.
Lucy Salani ha subito discriminazione, stigma, umiliazioni, patimenti e avuto sempre il coraggio di schierarsi dalla parte più scomoda della storia, l’unica a cui sentiva di appartenere.
Quasi un secolo di esistenza in cui ha valicato i confini dell’ordinario diventando un imponente simbolo di resistenza.
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Dopo aver rapidamente archiviato 8 dei 9 morti della strage del carcere Sant'Anna ora a #Modena spuntano testimonianze precise, diversi agenti indagati per tortura e lesioni.
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ALTRI 15 GIORNI di CARCERE PER PATRICK ZAKI. STORIA DI UN ANNO DI TORTURA. – Spiegami un po' la storia di Patrick Zaki. – Va bene. Immagina di essere un giovane attivista per i diritti umani. – Uno di quelli che Salvini definisce «buonisti radical chic»? – Quasi. Però tu sei anche nato in Egitto. Quelli come te Salvini li definisce soprattutto «immigrati». – E non lo dice mai per fare un complimento. – No. Pronuncia la parola «immigrati» con una certa eloquenza, come per evocare una grave colpa. – Ok, sono un immigrato. Ma quindi vivo in Italia? – Non più. – Dove mi trovo ora? – Sei in Egitto. – Nella mia casa natale? – In prigione. – Come sarebbe a dire «in prigione»? Che ho fatto? – Te l'ho detto: sei un attivista per i diritti umani. – Ah. – Un giornalista egiziano ha lanciato una precisa accusa nei tuoi confronti. – Quale? – Ha sottolineato che ti occupi di diritti dei gay. – È un crimine? – Il giornalista egiziano ne è convinto. I tuoi carcerieri pure. Pensano che il tuo obiettivo sia seminare il caos. – Come mi hanno catturato? – Hai messo piede in Egitto per andare a trovare i tuoi parenti e ti hanno arrestato. – Scommetto che non mi hanno trattato con i guanti. – Ti hanno massacrato di botte e torturato con scariche elettriche per 17 ore. – Quando è successo? – Il 7 febbraio 2020. – E sono ancora imprigionato. – Sì. – Quanto dovrò stare in carcere? – Non si sa. Ogni tanto fanno un'udienza per valutare la tua presunta pericolosità. – E va sempre a finire male. – Va sempre a finire che dicono: «Altri giorni». E se ne riparla all'udienza successiva. – Intanto sono passati mesi. – Quasi un anno di brutale carcerazione, per la precisione. Sei costretto a dormire sul pavimento, senza materasso, senza sapere quando sarai libero, con la paura di essere torturato. – Ma in Italia si parta della mia vicenda? – Tanta gente ne parla. – Di sicuro non Salvini. – Lui no. Ma la sua linea è chiara da anni. Sai cosa ha dichiarato nel 2018? – Che ha detto? – Ha detto: «Regeni? Sono più importanti i rapporti con l'Egitto». La stessa regola vale per te. – Confortante. – Te ne racconto un'altra. Lo scorso luglio Luca Rossi, un esponente leghista di Modena, ha scritto sul suo profilo Facebook: «Esistono paesi seri come l'Egitto che non si lasciano condizionare dalle Ong. Bye bye Zaki». – E la Lega come ha reagito? – Qualche leghista ha difeso Rossi, anche se dopo le polemiche c'è stato uno scarno comunicato della Lega modenese per prendere le distanze e voltare pagina. Però il clima nel mondo sovranista è questo. – Ho capito. Ma per fortuna la Lega non è più al governo. – È vero. C'è un nuovo governo. – È dalla mia parte? – Dicono di sì. – Bene. – Il governo è stato timidamente chiaro: quello che ti hanno fatto non è per niente bello. Tuttavia... – Tuttavia ci sono i rapporti con l'Egitto. – Il leader egiziano si è presentato all'occidente come un baluardo contro gli estremisti. – Gli estremisti... E lui cos'è? Un pacato illuminista? – E non dimentichiamo i rapporti commerciali. Sono diventati cruciali. C'è in ballo un mucchio di soldi. – Ma la diplomazia italiana non ha ottenuto nulla? – Le autorità egiziane hanno tolto dalla catena di comando un generale sotto accusa per la morte di Giulio Regeni. Ora si occupa di carte bollate. – Sembra una cosa di facciata. Quel tipo è ancora un generale? – Sì. Lo tengono al riparo e non l'hanno nemmeno degradato. Sanno di essere in una posizione di forza. Devi sempre immaginare i rapporti commerciali con l'Egitto come una gigantesca ombra sullo sfondo. – Parlami di questi rapporti commerciali. – La vendita di armi, per dirne una. – Fammi capire: l'Italia esporta armi in un paese che calpesta i diritti umani? Ma veramente? – Ci sono contratti che parlano chiaro. E noi li stiamo rispettando. Continuiamo a mandare navi militari e tecnologia bellica in Egitto. Il giro d'affari è colossale. – Fanno traffici d'armi per chissà quali guerre ma il pericoloso criminale che semina il caos sono io? – Così dicono i tuoi carcerieri mentre ti puntano addosso armi italiane. – E l'Europa ha dato qualche segno di vita? – Certo. – Ah, meno male. Fammi un esempio. – La Francia ha premiato il leader egiziano con la Legion D'Onore. – Non ci credo! – Credici. – Sempre per la storia dei rapporti commerciali? – Anche per quelli. – E l'Unione Europea? – Tranquillo. L'Unione Europea è dalla tua parte. – Un po' come il governo italiano? – La Commissione Europea ha detto con burocratica compostezza che tutto ciò non è affatto bello. – La burocratica compostezza non fa presagire niente di buono. – L'Europarlamento ha votato con burocratica compostezza una risoluzione che chiede la tua liberazione e un'indagine sul caso Regeni. – Dai, qualcosa si muove. – Inoltre alcuni diplomatici europei hanno monitorato la tua ultima udienza. Quella dell'altro ieri. – Che significa monitorare? – Stare lì e vedere che succede. – E poi? – E poi niente. Perché alla fine, a livello pratico, in tutta sincerità, per farla breve... – C'è sempre la grande ombra dei rapporti commerciali. – Le armi non si vendono mica da sole. Occorrono i compratori. – Tutto rimandato anche stavolta, vero? – Sì. I tuoi avvocati si aspettavano la scarcerazione. Ma i giudici hanno detto: altri 15 giorni. E prima di comunicare questa decisione ti hanno fatto attendere 48 fottute ore. – Per torturarmi psicologicamente. – Sì. Ti hanno anche tenuto in aula per dieci ore, senza darti la possibilità di mangiare, bere o andare in bagno, mentre i diplomatici osservavano quello che succedeva con burocratica compostezza.
— L’Ideota
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La violenza nelle carceri è frutto anche del silenzio delle cosiddette persone perbene “Eseguimmo ordine”. Molti pensano che quello che è accaduto a Santa Maria Capua a Vetere sia un caso isolato, purtroppo non lo è. E se non ci fossero stati quei video nessuno lo avrebbe mai saputo. La prigione è un mondo ignoto per tutti coloro che sono liberi ed è difficile far conoscere alla società e ai nostri politici l’inferno che hanno creato e mal governano. Alcuni detenuti vivono come cani bastonati e all'ordine del giorno vi sono: autolesionismo, suicidi, tensioni interne che sfociano a volte in condotte aggressive dell’uno o dell’altro, abusi, soprusi, ingiustizia istituzionali, pestaggi, e la lista sarebbe troppo lunga per andare avanti. Ma le botte che fanno più male sono quelle che l’Assassino dei Sogni, come chiamo io il carcere, dà ai cuori e alle anime dei prigionieri e dei loro familiari. L’altro giorno facendo ordine nelle mie carte mi è capitato fra le mani un vecchio verbale del lontano 1992, quando ero detenuto nel carcere dell’Asinara. Ed ho riletto letto una frase che avevo urlato durante un Consiglio di disciplina: “I buoni hanno bisogno dei cattivi e del carcere per apparire buoni”, che mi era costata 15 giorni di cella di rigore e una pioggia di manganellate. Purtroppo molti “buoni”, comunque e nonostante tutto, continuano a vedere nel carcere una soluzione e non capiscono che il problema, sia per le guardie sia per i detenuti sia per la società, è proprio il carcere, perché una pena che fa male è come buttare benzina sul fuoco. Nessuno parla dei morti del carcere di Modena, purtroppo di quell’evento non ci sono video e poi sembra che siano morti di metadone e non è certo colpa degli infermieri, dei medici o della polizia penitenziaria... Forse erano occupati a fare altro, visto che non si sono accorti che stavano male. Margherita Hack, commentando il mio libro “Gli Uomini Ombra”, mi scrisse: “Quando si legge di casi reali di giovani rei di aver partecipato a qualche manifestazione, o di aver reagito alla forza pubblica, che entrati in carcere in piena salute ne escono avvolti in un lenzuolo e con sul corpo i segni di pestaggi selvaggi, si vuol credere che si tratti di casi eccezionali, poi si pensa a quello che è successo durante il G8 a Genova e si comincia a dubitare. Il carcere che dovrebbe essere scuola di riabilitazione si rivela un centro di abbrutimento per i carcerieri e di annullamento della personalità dei carcerati a cui questi si ribellano con la violenza, carcerieri e carcerati egualmente vittime di un sistema degradante” Carmelo Musumeci
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Pestaggi e abusi in 18 carceri: da Torino a Melfi - Osservatorio Repressione
L’ associazione Antigone è attualmente coinvolta in 18 procedimenti penali che hanno per oggetto violenze, torture, abusi, maltrattamenti o decessi avvenuti negli ultimi anni in varie carceri italiane. Alcuni di essi si riferiscono alle presunte reazioni violente alle rivolte scoppiate in alcune carceri tra il marzo e l’aprile 2020 per la paura generata dalla pandemia e per la chiusura dei colloqui con i parenti.
Come ha evidenziato l’avvocata Simona Filippi durante la presentazione del rapporto di Antigone, c’è il caso del carcere di Melfi che avrebbe avuto lo stesso modus operandi dei fatti di Santa Maria Capua Vetere. «È ancora più marcata la distanza temporale tra le rivolte dei detenuti, avvenute il 9 marzo – ha spiegato l’avvocata -, e l’intervento degli agenti nella notte tra il 16 e il 17 marzo con il trasferimento dei reclusi ad altri carceri». Proprio quella notte, ricostruisce Filippi, ci sarebbe stata una sorta di rappresaglia, sullo stile del carcere campano, almeno stando ai racconti «dettagliati e analoghi» raccolti dall’associazione che si è opposta all’archiviazione del caso.
Antigone è attualmente impegnata in 18 provvedimenti, la maggior parte in corso di verifiche. Il rapporto di metà anno, riporta alcuni di questi procedimenti. Si parte dal carcere di Monza. Il 6 agosto 2019, Antigone riceve una telefonata da parte di una persona che racconta di una violenta aggressione fisica che sarebbe stata subita dal fratello da parte di alcuni poliziotti penitenziari. Il 25 settembre 2019 Antigone deposita un esposto denunciando i fatti. Antigone si costituisce parte civile. Nell’udienza del 2 luglio 2021 il Gup dispone il rinvio a giudizio per 5 poliziotti penitenziari per lesioni aggravate e/ o per altri reati. La prima udienza dibattimentale è fissata al 16 novembre 2021.
Il 28 agosto 2019, invece, viene emessa ordinanza di misura cautelare per 15 agenti del carcere di San Gimignano per un brutale pestaggio avvenuto l’ 11 ottobre 2018 ai danni di un signore di 31 anni. Nel dicembre 2019 Antigone presenta un esposto e si costituisce parte civile. Il 26 novembre 2020, 5 agenti che non hanno optato per il rito abbreviato vengono rinviati a giudizio per tortura. La prossima udienza del dibattimento è fissata al 28 settembre 2021. I 10 agenti che hanno scelto il rito abbreviato sono stati condannati per tortura e lesioni aggravate, con pene che vanno dai 2 anni e 3 mesi a 2 anni e 8 mesi. Un medico è stato condannato a 4 mesi di reclusione per rifiuto di atti d’ufficio.
C’è il caso del carcere di Torino. Nel luglio 2021 è stato richiesto il rinvio a giudizio per 25 tra agenti e operatori ( tra cui il direttore del carcere) per violenze avvenute nell’istituto tra il 2017 e il 2018. Tra i reati contestati c’è anche quello di tortura. Nei confronti di 13 persone era stata emessa un’ordinanza di misura cautelare. Il 25 novembre 2019 Antigone aveva presentato un esposto.
Ancora in corso l’accertamento dei pestaggi del carcere di Opera. Nel marzo 2020 Antigone viene contattata da molti familiari di persone detenute che denunciano violenze subite il 9 marzo dai propri familiari a rivolta ormai finita. Vi avrebbero preso parte anche rappresentanti della Polizia di Stato e dei Carabinieri. Il 18 marzo Antigone deposita un esposto contro gli agenti di polizia penitenziaria per le ipotesi di abusi, violenze e torture.
Non può mancare il caso inquietante del carcere di Modena. A seguito della rivolta scoppiata l’ 8 marzo 2020 e della morte di nove persone detenute, il 18 marzo Antigone deposita un esposto contro gli agenti polizia penitenziaria ed il personale sanitario per omissioni e colpe per la morte dei detenuti.
Il 7 gennaio 2021 l’associazione deposita una integrazione al primo esposto a seguito della denuncia presentata da cinque persone detenute per le violenze, in particolare durante il trasferimento presso la Casa circondariale di Ascoli Piceno. Nell’atto vengono anche denunciate gravi omissioni che sarebbero state commesse e che avrebbero determinato il decesso di Salvatore Piscitelli presso la Casa circondariale di Ascoli Piceno. Il 26 febbraio 2021 la Procura della Repubblica ha avanzato richiesta di archiviazione, ritenendo escluso qualsiasi profilo di responsabilità in merito al decesso dei detenuti. Il 19 marzo Antigone ha presentato opposizione alla richiesta di archiviazione. Il 16 giugno il giudice ha emesso ordinanza con cui dichiara inammissibile l’opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata da Antigone e dal Garante nazionale.
Ovviamente, nel rapporto di metà anno, c’è il caso del carcere di Melfi, questione affrontata sulle pagine de Il Dubbio. Nel marzo del 2020 Antigone viene contattata dai familiari di diverse persone detenute che denunciano gravi violenze subite nella notte tra il 16 ed il 17 marzo 2020 come punizione per la protesta scoppiata il 9 marzo. Secondo la ricostruzione di Antigone i detenuti sarebbero stati denudati, picchiati ( anche con manganelli), insultati, messi in isolamento. Molti di essi sono stati trasferiti in condizioni degradanti.
Ai detenuti sarebbero state fatte firmare dichiarazioni in cui avrebbero riferito di essere accidentalmente caduti, a spiegazione delle ferite riportate. Il 7 aprile 2020 Antigone deposita un esposto contro agenti di polizia penitenziaria e medici anche per il reato tortura. Il 3 maggio 2021, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza ha avanzato richiesta di archiviazione. Il 3 giugno Antigone ha presentato opposizione all’archiviazione.
Indagini in corso per il caso del carcere di Pavia. A marzo 2020 Antigone viene contattata da alcuni familiari di persone detenute. Questi denunciano violenze e abusi, nonché trasferimenti arbitrari posti in essere nei giorni successivi alla protesta dell’ 8 marzo 2020. La polizia avrebbe usato violenza e umiliato diverse persone detenute, colpendole, insultandole, privandole di indumenti e lasciandole senza cibo. Il 20 aprile 2020 Antigone deposita un esposto contro la polizia penitenziaria per violenze, abusi e tortura.
Per concludere, non può mancare la mattanza del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Ad aprile del 2020 Antigone viene contattata da familiari di persone detenute che denunciano torture subite il 6 aprile dai loro cari nel reparto Nilo, dove circa 300 agenti di polizia penitenziaria sarebbero entrati in tenuta antisommossa, con i volti coperti dai caschi, cosa che in seguito impedirà il riconoscimento. Le immagini delle videocamere interne, in seguito diffuse dai media, hanno documentato le brutali violenze. I medici non avrebbero refertato le lesioni. Il 20 aprile Antigone deposita un esposto contro la polizia penitenziaria, per ipotesi di tortura e percosse, e contro i medici, per ipotesi di omissione di referto, falso e favoreggiamento.
Precedentemente informa il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. A fine giugno 2021 il Gip, su richiesta della Procura, ha emesso un’ordinanza con la quale ha disposto misure cautelari nei confronti di 52 persone.
Damiano Aliprandi
da il dubbio
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PRIMA PAGINA Gazzetta Di Modena di Oggi sabato, 08 febbraio 2025
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La figura di Bellini, punto di tramite tra ambienti dei servizi, carabinieri, eversione di destra e mafia, è centrale. Recentemente, Bellini è stato condannato dalla Corte d’Assise di Bologna tra gli esecutori della strage alla stazione di Bologna del 1980. Membro di Avanguardia Nazionale fin dagli anni Settanta, poi inserito in un network criminale nero che connetteva varie sigle, Bellini – come ha recentemente ricordato la Corte – è stato coperto dai servizi segreti, nello specifico dal SID, nell’ambito di una relazione “stretta e anche reiterata nel tempo”. Le strade di Bellini e Mori si incontrarono indirettamente nel ’92, quando il maresciallo dei carabinieri Roberto Tempesta – amico e uomo di Mori -, inviò Bellini, come infiltrato, dai membri di Cosa Nostra con l’obiettivo di recuperare alcune opere d’arte rubate dalla pinacoteca di Modena. Bellini si interfacciò direttamente con il boss Nino Gioè, uomo “cerniera” tra mafia e servizi, con cui aveva stretto rapporti nel carcere di Sciacca nel 1981. Gioè propose a Bellini uno “scambio”, fornendogli un biglietto contenente i nomi di cinque importanti mafiosi allora detenuti e chiedendo per loro “arresti domiciliari o ospedalieri” per la buona riuscita della trattativa. Il documento arrivò sul tavolo del colonnello Mori, che parlò subito di richieste improponibili ma, senza sequestrarlo né informare l’Autorità Giudiziaria, trattenne il biglietto e lo distrusse. Negli ultimi mesi, le Procure di Caltanissetta e Firenze, che si stanno occupando dei presunti mandanti esterni delle stragi degli anni Novanta, hanno sentito Bellini. La magistratura ha già accertato la presenza dell’ex terrorista nero ad Enna nei mesi del 1991: nello stesso luogo, la Cupola organizzò una serie di importanti riunioni in cui deliberò la strategia stragista che si sarebbe consumata negli anni a venire con gli attentati del 1992 e le stragi “nel continente” del 1993. Lo stesso Bellini ha riferito in Aula che alla fine dell’estate del ’92 Gioè gli rivolse una domanda peculiare: «Cosa ne pensereste se una mattina vi svegliate e non trovate più la Torre di Pisa?’». Anche Siino non è uno qualunque, essendo stato uomo di fiducia di Totò Riina, per il quale gestiva il sistema degli appalti in Sicilia, e personaggio legato alla massoneria. Le sue strade si incontrarono con quelle dei ROS negli anni Novanta, quando Siino sostenne colloqui investigativi con Mori e il suo braccio destro Giuseppe De Donno. Quando poi, nel 1997, Siino si interfacciò con i magistrati di Palermo in merito alle sue interlocuzioni con i ROS, i rapporti tra la Procura guidata da Gian Carlo Caselli e i carabinieri erano estremamente incrinati, in particolare in seguito all’episodio della mancata perquisizione e sorveglianza del covo di Riina dopo il suo arresto del 15 gennaio e a quello della mancata cattura di Provenzano nel 1995 da parte dei vertici dei Carabinieri. Questi eventi portarono a processo Mori e i suoi uomini, in entrambi i casi assolti “perché il fatto non costituisce reato”.
A suscitare meraviglia è la reazione alla notizia degli uomini del governo e della maggioranza di centro-destra. Su X, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha scritto: «È stata aperta una nuova indagine contro il generale Mario Mori per le stragi mafiose del 1993. Del 1993!! Stragi mafiose!! Non ci si poteva accontentare di avergli reso la vita un calvario per decenni; non si poteva accettare il fatto che fosse stato assolto da ogni contestazione….». Secondo il vicepresidente della Camera dei Deputati, Giorgio Mulè, quella intrapresa dalla procura di Firenze «equivale a un orribile necrologio in vita verso un leale servitore dello Stato». Il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, ha sollecitato il ministro Nordio a inviare ispettori a Firenze, «la stessa Procura che perseguita Berlusconi e Dell’Utri con teorie che non voglio nemmeno definire». Ma c’è di più. Si è infatti appreso che la sera del 20 maggio il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha ricevuto Mario Mori a Palazzo Chigi. «Gli ho manifestato per un verso vicinanza di fronte alle contestazioni che gli vengono rivolte, delle quali mi ha messo a parte; per altro verso sconcerto, nonostante che decenni di giudizi abbiano già dimostrato l’assoluta infondatezza di certe accuse», ha dichiarato Mantovano. Rimane un dato oggettivo: un Sottosegretario di Stato, tra gli uomini più fidati della premier Meloni, ha accolto in pompa magna nella sede del governo italiano un indagato per concorso in strage con aggravante della finalità mafiosa e terroristica.
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Mori, recentemente assolto in Cassazione al processo “Trattativa Stato-mafia” (sebbene la “trattativa” tra il ROS e Cosa Nostra, inaugurata dopo la strage di Capaci per il tramite dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, sia stata pienamente confermata dalle sentenze) il 16 maggio ha ricevuto dalla Procura di Firenze un invito formale per essere interrogato in qualità di indagato. Secondo le ricostruzioni dei pm fiorentini, l’allora generale del ROS dei carabinieri avrebbe ottenuto informazioni da due importanti fonti in merito agli attentati che la mafia – e chi presumibilmente la supportò dall’esterno – aveva in programma di compiere. Nello specifico, la Procura afferma che Mori, in prima battuta, sarebbe “stato informato già nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta del proposito di Cosa Nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale italiano, in particolare alla Torre di Pisa”. Successivamente, in occasione “di un colloquio investigativo a Carinola il 25 giugno 1993”, ad avvertire Mori sarebbe stato Angelo Siino, il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra, il quale “gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord”. Siino avrebbe infatti riferito a Mori di avere saputo da molteplici fonti che la mafia aveva intenzione di consumare azioni eclatanti nel nord Italia per favorire l’emersione di nuove entità politiche collegate a Bettino Craxi. Secondo i pm, raggiunto da queste notizie, il generale non avrebbe mosso un dito. Occorre ricordare che, al momento, si tratta solo di accuse.
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1 ago 2023 20:00
“DOPO 40 ANNI MIA MOGLIE NON MI COPRE PIÙ” – LA CLAMOROSA INTERCETTAZIONE DI PAOLO BELLINI, IL NEOFASCISTA CONDANNATO IN PRIMO GRADO ALL’ERGASTOLO PER LA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA, POCO PRIMA DI ESSERE ARRESTATO – PER LA PROCURA GENERALE “È LA PRIMA CONFESSIONE INDIRETTA” E CONFERMA CHE MAURIZIA BONINI HA FORNITO A BELLINI PER QUARANT’ANNI UN FALSO ALIBI PER LA MATTINA DEL 2 AGOSTO 1980, SALVO ACCUSARLO NELL’ULTIMO PROCESSO… -
Estratto dell’articolo di Giuseppe Salvaggiulo per “La Stampa”
«D’accordo per quarant’anni poi adesso non mi copre più… perché io non la copro più». A parlare è Paolo Bellini, l’uomo nero condannato in primo grado all’ergastolo per la strage alla stazione di Bologna, in un’intercettazione ambientale inedita e recentissima, poche ore prima di essere arrestato.
Un’intercettazione definita dalla Procura generale «tanto sintetica quanto altamente significativa», perché parlando dell’ex moglie Maurizia Bonini conferma quanto Procura e Corte d’assise hanno sempre sostenuto (ed egli negato ripetutamente in udienza): cioè che lei gli abbia fornito per quarant’anni un falso alibi per la mattina del 2 agosto 1980, salvo accusarlo nell’ultimo processo, concluso un anno fa.
L’intercettazione è finita all’attenzione del tribunale del riesame di Bologna che ha confermato l’arresto di Bellini, chiesto dai procuratori bolognesi Musti e Proto e disposto dal gip.
Le date sono importanti. Il gip firma l’ordinanza di arresto il 21 giugno. Bellini viene fisicamente arrestato il 29 giugno. Ma il 26 giugno, tre giorni prima di essere portato in carcere, una microspia piazzata nella sua auto dalla Procura di Firenze, che indaga sulle stragi mafiose del 1993, registra la conversazione in cui Bellini si sfoga contro l’ex moglie, che meditava di uccidere per far fuori il principale testimone a suo carico. […]
Ora la Procura generale bolognese, che ha ricostruito i livelli politico-finanziari della strage alla stazione, valorizza questa intercettazione «sotto il profilo della piena consapevolezza in capo a Bellini della gravità della situazione processuale che lo investe. Al di là della valenza sotto il profilo della responsabilità, trattandosi evidentemente di una confessione indiretta, la frase assume specifico rilievo anche sotto l’aspetto del pericolo di fuga».
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Aviere, esponente neofascista di Avanguardia Nazionale, killer della ‘ndrangheta, Bellini è personaggio misterioso e multiforme. «Sapevo che era dei servizi segreti», ha detto l’ex pentito di mafia Santino Di Matteo. All’inizio degli Anni 90, Bellini (con l’alias di Aquila Selvaggia) agganciò esponenti mafiosi in Sicilia, nell’ambito di una singolare trattativa come emissario dei carabinieri (compreso il Ros del generale Mori) per consentire il recupero di opere d’arte rubate alla Pinacoteca di Modena.
L’interlocutore mafioso della trattativa era Nino Gioè, boss di Altofonte, uno degli attentatori di Capaci, considerato vicino a servizi e massoneria. I due si erano conosciuti in carcere dieci anni prima, quando Bellini era latitante con il falso nome brasiliano Roberto Da Silva. Gioè morirà suicida nel 1993 in carcere a Rebibbia in circostanze misteriose, proprio nel pieno della campagna stragista di cosa nostra contro il patrimonio artistico nelle città del continente.
Secondo il boss mafioso pentito Giovanni Brusca fu proprio Bellini a «suggerire» la strategia degli attentati contro il patrimonio artistico: «Se ammazzi un magistrato ne arriva un altro, disse a Gioè. Se butti giù la Torre di Pisa distruggi l'economia di una città e lo Stato deve intervenire».
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Il figlio di 3 anni scappa di casa e vaga da solo per strada di notte, pm: “Condannate padre a 6 mesi”
DIRETTA TV 29 Giugno 2023 Il piccolo, figlio di una famiglia di origini rom, vagava per Cognento, frazione di Modena. Chiesti 6 mesi di carcere per il padre, che neanche si era accorto della sparizione del piccolo. 0 CONDIVISIONI immagine di repertorio Una condanna a sei mesi di carcere. È la richiesta del pm nei confronti dell’uomo, 31enne di origine rom, che nel marzo 2018 si era lasciato…

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Dopo averli trattati di merda in carceri sovraffollate è giusto il tipo di gente con alta responsabilità sociale che vorresti trovarti a fianco in funivia in settimana bianca quando sei scappato da Codogno.
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