#Massacro del Circeo
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Serial killer d'Italia: Izzo & company
Assieme al documentario, oltre la serie tv, su Elisa Claps e il killer Restivo, tutto italiano, su Doscovery channel trovate il documentario Cuore nero dedicato ad Angelo Izzo. Li metto in relazione per atteggiamento lassista nei loro conflonti. Appartenenti a famiglie benestanti, Izzo e i suoi compari Guido e Ghira violentano e ammazzano Rosaria Lopez. Donatella Colasanti sopravvive per puro…
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ATTUALITÀ
Omicidio di Thomas a Pescara: i figli del nulla che vogliono tutto, e quando non basta... Ecco perché aveva ragione Pasolini
28 giugno 2024
Chi sono i (presunti) assassini di Thomas Luciani, il ragazzino colpito da una scarica di coltellate e lasciato morire per un presunto debito di droga di pochi euro? Sono i figli della borghesia, della “Pescara bene”, se questa ancora esiste, ma sono anche i figli del nulla. Quelli che vogliono. Non sanno cosa vogliono, ma vogliono tutto. E quando l’esibire le sneakers, il cellulare, le magliette e le immagini non basta, la risposta è solo una: la violenza. Aveva ragione Pier Paolo Pasolini nei suoi “Scritti corsari”: si regredisce, e…
di Ottavio Cappellani
“Facevano parte della ‘Pescara bene’”, scrivono a proposito dei due sedicenni accusati dell’omicidio di Christopher Thomas Luciani, detto Crox, diciassette anni, albanese, i cui genitori lo avevano affidato alla nonna. “Nessun disagio sociale”, scrivono. I presunti assassini (si scrive così) sono figli di un sottufficiale dei carabinieri e di un avvocato che però insegna. Una lettura da paniere Istat. Quasi che si trattasse dell’omicidio del Circeo: due di destra che uccidono un povero per una questione di rispetto. 25 coltellate contro 250 euro. Ogni dieci euro si ha diritto a infliggere una coltellata, perché io sono il padrone e tu lo schiavo. Li frequento, questi giovani. Li conosco. Ci parlo. È il mio dannato mestiere (“dannato” non è un americanismo: scrivere, studiare, cercare di vedere anziché guardare, è una dannazione, nessuna vanità o compiacimento da intellettuali da queste parti). Con gli scrittori si confidano. Lo fanno in molti. Sperano tutti di finire in una pagina di un libro, un giorno o l’altro, con il nome cambiato, certo, ma con la loro storia ben riconoscibile, in modo da confidare a qualcuno: quello sono io. Io. Io. Io…
L’identità collettiva del consumismo, che all’apparenza dell’apparire si vende come capace di distinguere un io da un altro, cancella di fatto ogni distinzione. Non è più la qualità di un bene a fare la differenza, ma la quantità di danaro che esso vale in un mercato rivolto all’immagine, che oggi non dà più nessuna identità. Sia chiaro, un’identità costruita “per immagini” non è una vera identità; l’identità della classe operaia, con le sue tute da metalmeccanico, la tovaglia cerata, la serena stanchezza della giornata di lavoro; l’identità della borghesia, una volta gli elettrodomestici, l’enciclopedia, il completo dei grandi magazzini (Rinascente, Upim, Standa), oggi la domotica, i device, i brand. Erano e sono identità appiccicaticce, ma che svolgevano e hanno svolto, fino a ieri, il loro sporco lavoro: appartenere a una classe sociale, formare un’identità che nell’epoca del nichilismo non sa dove aggrapparsi.
Ricordo il pezzo di Pier Paolo Pasolini sui capelloni (in “Scritti Corsari”): sta apparendo un nuovo tipo di uomo, lo manifestiamo senza linguaggio, solo con il nostro manifestarci, solo con la nostra immagine, solo con i capelli lunghi. Niente parole. Pasolini procedeva poi, con una lungimiranza profetica, alla critica di questa nuova (per l’epoca) ribellione, contro la generazione dei genitori: i capelloni, non avendo un dialogo con la generazione precedente, non potevano ‘superarla’. Al contrario si trattava di una regressione. Li invitava al dialogo, Pasolini. Parlatene, parlateci. I capelli lunghi, essendo un ‘segno’ senza parole, potevano essere di Sinistra come di Destra (tra gli autori del massacro del Circeo, 1975, uno era capellone).
Parlano invece. Si aprono. Certo, non con i genitori che disprezzano. Parlano con gli amici. Anche solo con i ‘segni’: ‘mostrano’ (da ‘mostro’) il brand di una sneaker, il numero dei follower, un coltello da sub – segni distintivi senza parole. Ed è come parcheggiare lo yacht a Montecarlo: non è mai abbastanza. Non ci sono soldi che bastano. Non esistono più le “Pescara” o le “Milano” o le “Voghera” “bene”. Esiste un mondo dove ci sono gli ultraricchi – italiani, americani, indiani, asiatici, russi – e poi ci sono gli altri. Che non sanno cosa dire. Esseri desideranti. Ultradesideranti. C’era un termine un tempo, e in tanti ne conoscevano il significato, era quasi di uso comune. Significava una bramosia senza oggetto il cui fine non era il possedere qualcosa, ma il possesso in sé, il possesso senza oggetto, il potere (astratto) in luogo della possibilità (concreta). Si chiamava “volontà di potenza” ed era una forma di isteria dell’identità. Oggi se ne parla sempre meno, significherebbe mettere in discussione il modello stesso entro il quale il mondo vive. La ‘volontà di potenza’ viene relegata all’epoca nazifascista, come se fosse il motore di una ideologia autoritaria e bestiale. Ma noi siamo dentro un modello di mondo ideologico e autoritario: quello del denaro, che non solo uccide – anche fisicamente – chi non ne possiede, ma al quale è affidato la creazione dell’identità. E il denaro non parla.
Loro parlano come possono a chi sa ascoltarli, anche se non è un bel sentire. Sì, è una dannazione. Non esiste – e forse non è mai esistita – una società “bene”, se non nelle speranze, nelle pie illusioni. La società è un fagocitarsi a vicenda. Pasolini ci credeva, nel modello identitario passatista: piccoli mondi antichi in cui l’identità era data dal luogo in cui si nasceva e in cui si restava, dai codici di un paese, da una fatalità della classe, di piccoli sogni realizzabili. Ma la ruralità reca con sé una bestialità violenta (di cui, è bene dirlo, Pasolini era vorace). Oggi questi mondi piccoli e violentissimi non esistono più se non nella facciata. Dietro scorre un serpente gigante che chiamiamo rete. La creazione di un’identità attraverso le immagini e le parole è impossibile. I social ci sommergono di modelli, di aspirazioni, di ‘cose’, di ragionamenti, di complotti, di interpretazioni, di lusso, di esibizionismo, di piccole e grandi follie, di tanti punti di vista quanti sono gli account. E così, parlando con loro, parlando con i giovani, parlando con questo “nuovo umano” (non è nuovo, è come sempre è stato, ma adesso lo ‘vediamo’ meglio) ci dicono che “vogliono”. Cosa vogliono? Vogliono e basta. Volontà di potenza: andiamo a comandare.
L’assenza di parole e l’eccesso di parole sono la stessa, identica cosa. La sovra informazione, l’ultra informazione del mondo contemporaneo diventa un rumore bianco. Come diceva Pasolini: si regredisce. L’espressione della propria identità diventa un suono. Non si parla, si emettono suoni. Si mostrano ‘cose’ come code di pavoni. Si torna allo stato di natura. Sopravvive il più forte. Quando l’esibizione di una sneaker, di una maglietta, di un device, di un’auto, di una opinione, non valgono più nulla nel mare magnum delle altre sneaker, delle altre magliette, degli altri device, delle altre auto, delle altre opinioni, resta solo una cosa a dare Potere: la violenza. Voglio il rispetto. Io sono io. Io. Io. Io… I commentatori restano rimminchioniti di fronte a questi episodi di violenza estrema. Tutti a sottolineare che “non c’era disagio sociale”. No? La “Pescara bene” sarebbe quella di una povera (in senso compassionevole) famiglia di impiegati statali? Sì, ragionando secondo i canoni del paniere Istat gli impiegati statali se la passerebbero bene. Se fossimo nel piccolo paese antico senza device, dove già la televisione era una fonte di disturbo e squilibro e liberava sogni deliranti di successo e famosità e volontà di potenza. Ma siamo nell’epoca dei social, dove non c’è ‘bene’ che basti.
Io ci parlo e capisco che vogliono. Non sanno cosa vogliono, ma lo vogliono. A volte, quando le birre diventano troppe, si picchiano tra i tavolini dei bar. I soldi della famiglia ‘bene’ se ne sono andati da un pezzo, nei cristalli di crack, nel fumo, nelle pere, nell’alcol che dà speranze brevi e vane e che alla fine ottunde, nei discorsi che alimentano speranze immancabilmente deluse. Se ne vanno in smartphone, nella droga offerta alle ragazzine sempre più disponibili per una sniffatina, così ci si apre un Of o si inizia a spacciare. Tutti possono fare qualunque cosa. Lo insegnano gli influencer. I social riprendono la televisione che riprende i social. I modelli non mancano. Si esibiscono ricchezze, nudità, e si esibisce anche la malavita. Studiano guardando Gomorra e Peaky Blinders. Funzionano perché vanno a toccare quelle corde lì, le corde della volontà di potenza.
Loro ‘vogliono’. E lo vogliono subito. Come gli influencer, come quelli di Of, come quelli delle serie. Denaro e sesso e violenza (volontà di potenza). Sangue, sesso e denaro: i tre punti cardine di ogni narrazione. E di ogni giornalismo a dire la verità. E vendetta: contro i genitori che non sono mai ricchi abbastanza, contro chi ha più follower, contro chi manca di rispetto. Risucchiati dagli schermi senza alcuna capacità di filtrare le immagini. Bambini che si muovono in un mondo che non sanno più interpretare se non attraverso denaro, sesso e violenza (volontà di potenza): i tre punti cardine per vendere qualcosa. Per vendere qualcosa che si spaccia per identità e che invece è lontanissima dall’esserlo. Loro parlano. Dicono di volere. Non sanno cosa vogliono ma lo vogliono. Non pensano. Appartengono a un gruppo. Vogliono primeggiare nel loro gruppo. Hanno l’identità dona loro il gruppo. Senza gruppo niente identità. A volte scatta la violenza. Non è vero che non li capite. Li capite benissimo anche se fingete sorpresa. Sapete benissimo che loro vogliono senza sapere cosa vogliono. E lo sapete perché voi siete uguali a loro. Non avete un io e disperatamente lo volete. Siete umani. E siete disperati.
P.s. Sono al contempo d’accordo e in totale disaccordo con Francesco Merlo, che oggi, a proposito di questo delitto scrive: “A Pescara è colpevole la solita gioventù bruciata e, in una gara di pensosità e di profondità, c'è chi accusa la scuola e chi biasima i telefoni cellulari, e ovviamente i genitori non sanno educare, e poi ci sono le responsabilità della musica, delle serie tv, il vuoto dei modelli che non sarebbero più quelli di una volta, la società tutta. Mi creda, il sociologismo è una malattia ideologica infettiva”. Sì, concordo, ma Merlo, per così dire, taglia il nodo di Gordio e si macchia di ignavia. Bisogna sciogliere il ragionamento per consentirsi l’ignavia senza sensi di colpa. Il mondo è questo e lo è da sempre. Ragionarci su vuol dire soltanto cercare di metterci una pezza. Che è meglio di fottersene, come suggerisce il caro Francesco. Fottersene responsabilmente è una forma di ignavia più chic. Fottersene come Francesco è solo pigro snobismo.
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Perché hanno fascino per lo spericolato per quello che le mettono in pericolo, invece del brabo ragazzo tranquillo. Per una questione di adrenalina o perché nella vita reale si annoiano.
Poi ci sono anche i casi estremi che hanno addirittura sposato un delinquente. Vedi Izzo del massacro del Circeo.
"Posso cambiarlo" cit.
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Il massacro del Circeo
Quando si parla del massacro del Circeo ci si riferisce ai fatti avvenuti tra il 29 e il 30 settembre del 1975. Quando due giovani ragazze, Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, furono rapite, stuprate e torturate fino alla morte della Lopez. Colasanti, invece, riuscì a salvarsi fingendosi morta.
I tre responsabili del crimine provenivano da famiglie della borghesia romana. Andrea Ghira, 22 anni, era figlio di un imprenditore edile. Angelo Izzo, 20 anni, studiava medicina. Mentre Gianni Guido, 19 anni, studiava architettura. Tutti e tre erano vicini agli ambienti neofascisti e missini.
Ghira e Izzo avevano anche precedenti penali: nel 1973 avevano compiuto insieme una rapina a mano armata per la quale avevano scontato venti mesi nel carcere di Rebibbia. Izzo, un anno prima del Circeo, aveva violentato due ragazzine insieme a due amici ed era stato condannato a due anni e mezzo di reclusione, mai scontati.
Rosaria Lopez e Donatella Colasanti avevano rispettivamente 19 e 17 anni all'epoca dei fatti. Provenivano da famiglie residenti nel quartiere popolare della Montagnola. Le due conobbero i loro aguzzini qualche giorno prima del massacro, al bar della torre Fungo dell'Eur. In occasione di questo appuntamento, Izzo e Guido proposero alle ragazze di incontrarsi di lì a qualche giorno per una festa.
Nel tardo pomeriggio del 29 settembre i quattro arrivarono a Villa Moresca, di proprietà della famiglia di Ghira, che sorgeva sul promontorio del Circeo, in zona Punta Rossa. Dopo qualche ora passata a chiacchierare e ad ascoltare musica, Izzo e Guido cominciarono a fare esplicite avance sessuali alle ragazze, le quali rifiutarono provocando la reazione furiosa dei giovani.
Ghira tirò fuori una pistola e, minacciandole, disse che apparteneva al Clan dei marsigliesi, un'organizzazione criminale di stampo mafioso dedita a rapimenti e traffico di stupefacenti negli anni ’70. Secondo Ghira, il capo Jacques Berenguer aveva ordinato di rapire due ragazze.
Le due ragazze furono violentate, seviziate, massacrate e insultate dai tre. Furono legate e chiuse in uno dei bagni della villetta dove ruppero un lavandino nel tentativo di liberarsi. Quando i tre scoprirono il tentativo di fuga, decisero di ucciderle.
I tre le drogarono cercando di addormentarle, ma, come raccontò Colasanti nella sua deposizione: “Io e Rosaria eravamo più sveglie di prima e allora passarono ad altri sistemi”. Nel mezzo delle torture, Guido si assentò per cenare a Roma con i suoi familiari, poi in serata fece ritorno al Circeo e si riunì ai suoi amici aguzzini.
Lopez venne trascinata al piano di sopra. Dalla testimonianza di Colasanti: “La sentivo piangere e urlare, poi silenzio all'improvviso. Devono averla uccisa in quel momento”. Si scoprì che la 19enne venne annegata nella vasca da bagno.
Poi si scagliarono contro la 17enne. Le legarono una cintura al collo e la trascinarono sul pavimento nel tentativo di strangolarla. Sentì uno dei tre lamentarsi: "Questa non vuole morire". Fu allora che capì che per salvarsi doveva fingersi morta. Fu colpita con una spranga alla testa e non reagì.
La rinchiusero insieme al cadavere della ragazza nel bagagliaio di una Fiat 127 bianca.
I tre poi partirono verso Roma, intenzionati a disfarsi dei cadaveri. Arrivati in viale Pola, nel quartiere Trieste, i tre decisero di andare a cena. Colasanti iniziò a gridare e a battere colpi alle pareti del bagagliaio.
I rumori attirarono un metronotte che diede l'allarme ai carabinieri.
La ragazza fu portata in ospedale dove fu ricoverata, con prognosi di oltre trenta giorni. Izzo e Guido furono arrestati entro poche ore, mentre Ghira, messo in allarme da una soffiata, riuscì a fuggire.
Il processo iniziò nell’estate del 1976. La famiglia Lopez rinunciò a costituirsi parte civile dopo aver accettato un risarcimento di cento milioni di lire dalla famiglia Guido. Donatella Colasanti scelse di andare a processo sostenuta da centinaia di attiviste femministe, rappresentata dall'avvocata Tina Lagostena Bassi.
Izzo e Guido furono condannati all’ergastolo in primo grado. Dopo un tentativo di evasione nel 1977, in appello nel 1980 la condanna di Guido venne ridotta a 30 anni. Riuscì comunque a evadere nel 1981 e a fuggire in Sud America. Fu rintracciato nel 1994 a Panama ed estradato in Italia. Ha concluso la sua detenzione nel 2009 godendo di uno sconto di pena grazie all'indulto.
Nel novembre del 2004 Izzo conquistò la semilibertà. Il 28 aprile 2005, rapì e uccise Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14 anni), moglie e figlia di Giovanni Maiorano, un pentito della Sacra Corona Unita che Izzo conobbe in carcere a Campobasso. Nel 2007 Izzo fu nuovamente condannato all’ergastolo per il duplice omicidio premeditato.
Ghira riuscì a fuggire in Spagna e adottò il falso nome di Massimo Testa de Andres. Nel 2005 un cadavere sepolto a Melilla nel 1994 venne identificato come quello di Ghira, ma le famiglie delle vittime non credettero a questa ricostruzione. Nel corso degli anni, presunti suoi avvistamenti sono stati segnalati in Brasile, Kenya, Sudafrica e nel quartiere romano di Tor Pignattara.
Donatella Colasanti è morta il 30 dicembre 2005, all'età di 47 anni, a Roma a causa di un tumore al seno, ancora duramente sconvolta per la violenza subita trenta anni prima. Avrebbe voluto assistere al nuovo processo contro Izzo. Non smise mai di chiedere giustizia. Le sue ultime parole furono: "Battiamoci per la verità".
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CIRCEO, Regia di Andrea Molaioli, con: Greta Scarano, Ambrosia Caldarelli, Angelo Spagnoletti, Francesca Antonelli, Benedetta Cimatti, Guglielmo Poggi, Pia Lanciotti, Enrico Ianniello, Rai1, novembre 2023
Il “massacro del Circeo”, una delle pagine più tristemente note della cronaca nera italiana, raccontato attraverso gli occhi delle donne: le vittime, la sopravvissuta e i loro avvocati Circeo – RaiPlay https://www.raiplay.it/programmi/circeo
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La serie su il massacro del circeo è straziante non solo per quello che racconta le due vittime.
In quella vicenda c'è tutto il peggio che si annida nella sottocultura marcia di questo paese.
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Circeo la serie tv sulla libertà femminile e contro la violenza
La storia del massacro del ’75 e del processo che ne seguì visti, per la prima volta, dalla parte delle donne: le vittime, le loro avvocate e la sopravvissuta. La racconta “Circeo”, la serie in tre puntate premiata ai Nastri D’argento 2023 come miglior docuserie, diretta da Andrea Molaioli e scritta da Flaminia Gressi, Lisa Nur Sultan e Viola Rispoli (che firma anche come head writer), in onda il…
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Da martedì 14 novembre la fiction diretta da Angelo Molaioli Donatella Colasanti al processo del 1975 Sbarca su Rai 1 da martedì 14 novembre 'Circeo' la docu-serie in tre puntate diretta da Andrea Molaioli che racconta la drammatica pagina di cronaca nera passata alla storia come il 'massacro del Circeo'. Era il 1975 quando in una villa di San Felice Circeo, a pochi chilometri da Roma, due adolescenti vengono sequestrate, picchiate e violentate per ore da un gruppo di ragazzi della Roma ‘bene’. Solo una delle due, Donatella Colasanti, sopravviverà fingendosi morta. La vicenda che segnò l'Italia è ora raccontata nella fiction - premiata ai Nastri d’Argento 2023 come miglior docuserie - che sarà trasmessa in prima serata per tre martedì di seguito (il 14, il 21 e il 28 novembre), in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre. Il regista: "La doppia violenza sulla vittima ancora non superata"Un punto di vista, quello raccontato, prettamente femminile: si narra la vicenda con gli occhi di Donatella Colasanti (interpretata dalla giovane Ambrosia Caldarelli), vittima del massacro e vittima anche dopo, per non essere mai riuscita a scrollarsi di dosso questa vicenda e a vivere liberamente la sua vita. “Quello che capita spesso alle persone che subiscono violenza è che dopo hanno i fari puntati su di loro e diventano l’attrazione della narrazione di quell’evento, in qualche modo le imputate - spiega il regista Molaioli - Questo è quello che succede anche in questa serie, e quello che la protagonista tenta di fare è affrancarsi dal ruolo di vittima, per tentare di affermare se stessa come una persona libera che ha una propria identità”. Il meccanismo della difesa, “figlio di una cultura distorta che non è del tutto superata ma straordinariamente contemporanea - spiega ancora il regista - è che la vittima o se la sia cercata o abbia fatto di tutto per procurarsela. All’epoca veniva detto forse in modo più sfacciato, ma anche oggi viene detto o insinuato. E questa è un’ulteriore violenza". La legge sullo stuproMoltissime le ricerche di ricostruzione degli eventi fatte dalle sceneggiatrici (un pool di giovani donne, Viola Rispoli, Flaminia Gressi e Lisa Nur Sultan), che hanno studiato approfonditamente le carte del processo. A partire da quel delitto, la fiction segue la storia dell’iter italiano che ha portato a modificare quello che era un reato contro la morale pubblica in un reato contro la persona, con la legge del ‘96. “Il punto di vista della vittima è quello attraverso cui si racconta questa storia, un punto di vista diverso rispetto al solito - spiega la head writer Viola Rispoli - Avevamo gli atti scritti, che raccontano la modalità in cui veniva considerata al vittima, come una che ‘se lo era andata a cercare’”.“Siamo abituati a seguire casi di cronaca famosi dall’altro punto di vista, quello di chi ha commesso la violenza. Questo ci interessava di più, perché inedito”, le fa eco Flaminia Gressi, ideatrice della serie. Per le ricerche è stato consultato anche il fratello di Donatella Colasanti, che non ha mai smesso di lottare per la sorella. “Ci ha raccontato diversi aneddoti, e gli facevamo leggere lo script per verificare che non ci fossero inesattezze”, raccontano le sceneggiatrici. Nel ruolo (di fantasia) di Teresa Capogrossi, una giovane avvocata del team di Tina Lagostena Bassi, che si occupò in modo coraggioso del cammino di emancipazione delle donne italiane cambiando la legge sullo stupro, Greta Scarano. “Al tempo della vicenda non ero nata, sono dell’86, ma da romana conoscevo molto bene i fatti, la mia famiglia ne parlava - spiega l’attrice- Interpretando questo personaggio ho imparato tantissime cose, ad esempio non sapevo che per via del processo la legge sullo stupro è stata cambiata grazie a Tina Lagostena Bassi. Non conoscevo come veniva condotto allora il processo per stupro, una cosa agghiacciante in cui la vittima veniva messa sul banco degli imputati. Non conoscevo l’impegno di Donatella Colasanti, che ha lottato per essere se stessa”. Una libertà “che comunque anche oggi non c’è, viviamo all’interno di una cultura oggi profondamente maschilista”, aggiunge la Scarano. Il volto di Donatella Colasanti è quello dell’esordiente Ambrosia Caldarelli. “Il suo desiderio più grande era che questa vicenda riguardasse tutti, non solo le donne e non solo le femministe - spiega l’attrice - Non voleva passare solamente da vittima. Dimenticare è impossibile, ma lei non voleva essere associata solo a questo, voleva vivere la sua vita dal punto di vista artistico, staccarsi dalla tragedia e mostrare tutte le parti che aveva. Non le è atto possibile”. Nel ruolo dell’avvocato Tina Lagostena Bassi l’attrice Pia Lanciotti. “Era una donna straordinaria, rivoluzionaria, una guerriera. Suo padre era un ingegnere ebreo, e lei ha avuto chiaro da presto che la gente poteva diventare brutta, sporca e cattiva in un mattino: così ha messo la sua conoscenza al servizio”. La serie, una produzione Cattleya in collaborazione con Rai Fiction e con Paramount Television International Studios (Ptis) e Paramount+, andrà in onda martedì 14, martedì 21 e martedì 28 novembre alle 21.30 su Rai1.{} #_intcss0{display: none;} #U104205071849xpB { font-weight: bold; font-style: normal; } #U104205071849GPF { font-weight: bold; font-style: normal; } #U104205071849QjE { font-weight: bold; font-style: normal; } Fonte
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Sono stanco di assistere in tv a fiaccolate per l'ultimo femminicidio e poi leggere in una sentenza che "non c'è stata violenza perché il diniego della ragazza non era convincente". Voglio vedere inaugurazione di centri d'aiuto e d'accoglienza per le donne e soprattutto voglio condanne esemplari e certezza della pena. Oggi 30 settembre ricorre l'anniversario del massacro del Circeo: Rosaria venne annegata e Donatella ridotta in fin di vita. Omissis per decenza sull'iter giudiziario. Oggi come allora non c'è giustizia per le donne.
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In scena il massacro del Circeo
In scena il massacro del Circeo
Il 29 settembre 1975 Angelo Izzo, a soli vent’anni, aiutato dai coetanei Andrea Ghira e Gianni Guido, compie uno dei delitti che più profondamente si sono impressi nelle coscienze degli italiani: il massacro del Circeo. Ancora oggi, chi nel 1975 era già nato e lo sente soltanto nominare, rabbrividisce e riporta alla memoria il turbamento di un intero Paese di fronte a un…
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Accadde Oggi: 30 Settembre 1975
Massacro del Circeo: Donatella Colasanti viene ritrovata nel baule di un automobile a Roma, dopo essere stata torturata e violentata per 35 ore, insieme al cadavere di Rosaria Lopez.
Continua su Aforismi di un pazzo.
#Accadde Oggi#30 Settembre#1975#Massacro del Circeo#Donatella Colasanti#Roma#Rosaria Lopez#Aforismi di un pazzo#Stefano Zorba
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Aspetto la fine delle indagini, non voglio vomitare tutta la rabbia che ho adesso perché ne direi di ogni su questo tizio.
Se fosse vero, però, mi chiedo se mai dirà qualcosa Salvini a riguardo, se quanti dicono di essere spaventati dagli stupratori africani non si sentono indignati e preoccupati da uno così.
Un arrogante che è convinto, evidentemente, di essere talmente al di sopra della legge da poter seviziare per tutto quel tempo una donna di 21 anni.
A me questa gente fa paura.
Molta paura.
#violenza sulle donne#Donne#orrore#il massacro del circeo non è accaduto moltissimo tempo fa#paura#risorse salviniane
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(via https://www.youtube.com/watch?v=VSzBQe61N38)
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“La cultura dei cosiddetti pariolini: la donna era uno strumento di piacere, vado, suono, rompo il violino e torno a casa, perché non dovrei mangiare tranquillamente coi miei?”. Nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1975, avviene questa strage allucinante da film Horror. Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, vengono sequestrate, violentate e seviziate da Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira. Donatella Colasanti sfugge alla morte miracolosamente, dopo aver subito le più atroci torture, simulando un finto decesso. Il delitto del Circeo, lo stupro brutale di due giovani proletarie da parte di tre fascisti dei Parioli, ha segnato un’epoca e ha rappresentato la goccia che ha fatto traboccare il vaso dello sdegno sociale e civile, imponendo la revisione del codice penale. La violenza sessuale non era, infatti, considerato ancora delitto contro la persona. (...)Una scelta in qualche misura masochistica, perché evidenzia i miei buchi di conoscenza e anche qualche errore di (sotto)valutazione che affiora oggi per la sopraggiunta disponibilità di materiali giudiziari e di archivio. Sono i rischi che si affrontano quando si ha l’ambizione di affrontare una materia immensa e quindi si decide di rinunciare agli approfondimenti da “studi monografici”. Io resto convinto che l’unico dovere deontologico, tanto per lo storico quanto per il cronista, è la ricerca della verità nella consapevolezza che nuove acquisizioni potranno sempre rimetterla in discussione. I mostri È andato crescendo negli anni il numero dei serial-killer e dei maniaci protagonisti di aberranti delitti a sfondo sessuale. Eppure, nell’immaginario collettivo, trent’anni dopo, i “mostri” per antonomasia restano gli autori del delitto del Circeo. Il 1° ottobre 1975 due ragazze di borgata, Maria Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, sono brutalizzate e massacrate da tre pariolini e simpatizzanti di estrema destra, Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido, nella villa di famiglia dei Guido. Dopo ore di sevizie inenarrabili, convinti che fossero morte, i tre le chiudono nel bagagliaio dell’auto dello stesso Guido. La Colasanti si è però finta morta e, richiamata l’attenzione dei passanti, li denuncia. Izzo e Guido vengono arrestati, Ghira no. In cerca di impunità Il processo, svolto in un clima di mobilitazione generale del movimento femminista, si conclude con la condanna all’ergastolo per i tre fascio-criminali. Anni dopo Izzo racconterà che il massacro era stato un incidente in una lunga catena di delitti. Solo nel ’95, dopo più di dieci anni di collaborazione, per farsi perdonare una “scappatella” penitenziaria si decide a ricostruire sette omicidi compiuti dalla banda, attribuendole un’inesistente finalità politica. Gli arrestati sono decisi a non pagarla: Guido conta sull’appoggio incondizionato di una famiglia ricca e potente. Tenta la via del risarcimento danni ma la Colasanti rifiuta sdegnata. Riesce comunque – simulando contrizione – a ottenere in appello le attenuanti generiche e la pena ridotta a trent’anni. Per il detenuto modello Guido, grazie ai soldi di papà (top manager della Bnl, affiliato alla P2, capace di corrompere guardie e funzionari pur di tirare fuori il figlio), evadere da San Gimignano è uno scherzo. La fuga è interrotta in Argentina ma c’è sempre modo di scappare per chi gode di potenti complicità, anche oltreoceano. I giudici che indagano sulla strage di Brescia vogliono sentirlo in carcere a Buenos Aires perché un pentito lo ha indicato come riscontro delle accuse contro Ferri. Guido evade prima della rogatoria internazionale ma dal fascicolo trasmesso a Brescia si scopre che un interrogatorio già fissato era stato rinviato su una finta richiesta dei giudici italiani. (...) Ugo Maria Tassinari (Stella Colombo)
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CIRCEO, miniserie televisiva sul massacro del Circeo (1975), regia di Andrea Molaioli, con Greta Scarano, Ambrosia Caldarelli, Pia Lanciotti, Benedetta Cimatti, Enrico Ianniello, Adalgisa Manfrida, Francesca Antonelli, Angelo Spagnoletti, Adalgisa Manfredi e Guglielmo Poggi, Rai1, novembre 2023
CIRCEO, miniserie televisiva sul massacro del Circeo (1975), regia di Andrea Molaioli, con Greta Scarano, Ambrosia Caldarelli, Pia Lanciotti, Benedetta Cimatti, Enrico Ianniello, Adalgisa Manfrida, Francesca Antonelli, Angelo Spagnoletti, Adalgisa Manfredi e Guglielmo Poggi, Rai1, novembre 2023
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La scuola cattolica è il massacro del Circeo. Ma a luci riaccese resta soprattutto Luca Vergoni.
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