#Linea lombarda
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milleniumbrigante · 1 year ago
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La Repubblica del Silenzio
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Ho conosciuto Asia (@ninivenemesis) online un po’ di tempo fa. Lei è lombarda, io pugliese, ma se potessimo figurarci la suddivisione animica dell’umanità in due placche di Terra spaccate, io e lei sappiamo che abiteremmo sulla stessa.
Mi ha detto che sarebbe scesa in Lucania insieme a Giacomo Castana (@prospettive.vegetali) per il Naturalmente Tecnologici festival, a Bosco Coste, Grottole. Non sono una frequentatrice di queste formalizzazioni di incontri, ma Giacomo avrebbe portato, assieme ai suoi racconti, i suoi strumenti per dar voce all’energia delle piante. Volevo fare qualcosa di bello insieme ai miei fratelli, uno studioso di scienze naturali, l’altra di musica e percussioni. Mi è sembrata un’ottima idea.
Il festival si è rivelato una sorpresa anche per l’incontro con Anna Albanese, che ha portato alla luce la storia di Michele Mulieri, già raccontato nelle pagine di Rocco Scotellaro, e della sua Repubblica dei Piani Sottani. Anna, in quanto lucana e laureata in Storia e Civiltà Europee, ha recuperato i testi andati perduti del Mulieri e della sua repubblica autonoma che non vedo l’ora di leggere nel dettaglio, perché il racconto della sua personalità, tra l’anarchico assoluto e il piùcchecittadino, ha subito risuonato con la mia attitudine e le mie domande/risposte su come vivere e far vivere questa terra che già dal 1950 - tra conseguenze della riforma agraria, asprezza del territorio, inadempienza delle amministrazioni - sembra tornare sempre più o meno sui soliti punti critici: difficoltà di impresa, polarizzazione sociale, sfruttamento del territorio, esportazione della forza lavoro, necessità di protezione, e quindi, di indipendenza.
Ne è conseguito un dibattito spontaneo con i partecipanti, tutti già sintonizzati sulle stesse frequenza, riguardo una serie di temi correlati alla storia di Mulieri che spaziano tra passato e presente, dal brigantaggio postuintario, all’illusione del mito borbonico, alla figura di Carmine Crocco, alla ricorrente domanda sul senso di attingere o meno ai fondi regionali, statali ed europei, che Mulieri ha affrontato prima di noi, e per noi deve essere un punto di partenza.
Ecco perché il Mulieri mi è già d’ispirazione, e spero di poter portare a frutto questa ricerca anche per voi che mi leggete, perché lo sia anche per voi. Non provo tensione per una risposta, perché il silenzio che ho vissuto nel resto del giorno mi ha ricordato che processo è sempre più rilevante del successo. Riconoscere che i propri obiettivi siano parte di un puzzle più grande della propria linea temporale assegnata, e che quindi la soddisfazione personale derivi dal riconoscere qual è, in questo puzzle, il proprio scopo, è una consapevolezza interreligiosa e che viene dalla Terra. Ed è qui che viene a galla il mio interesse per l’esperienza di Asia, ricercatrice spirituale, e Giacomo, che da tempo è in ascolto delle piante.
Nel resto del pomeriggio infatti, io, Asia, Giacomo e i miei fratelli ci siamo persi nel sentiero di Bosco Coste. Mentre meditavo sulla potenza della Repubblica dei Piani Sottani, nonché sul suo malinconico destino mitologico (ancora per adesso), Giacomo e Asia hanno fatto suonare delle piante per noi, accompagnandoci nella meditazione con passi e parole lenti, con la raccolta di ciò che la terra ci regala con l’intento di realizzare un mandala; mettendoci in attesa, e in silenzio, aiutandoci a prendere confidenza con esso.
Non sempre le piante a cui abbiamo dato voce hanno deciso di cantare per noi. Non abbiamo chiesto niente più di ciò che loro volevano darci. Forse, in questi silenzi, abbiamo sentito anche il peso di un certo sguardo di giudizio, che abbiamo letto come un invito a smettere di cercare qualcosa dall’esterno. Non è sempre necessario che la tecnologia ci aiuti a superare i nostri limiti umani per capire il nostro posto nel mondo. Una pianta ha in sé tutta la saggezza che possiamo già percepire con gli occhi e con le mani senza dover per forza trasformare, con dei sensori, gli impulsi elettrici in musica. E questo, al di là delle implicazioni strettamente personali ed emotive, credo che possa riassumere in poche parole quella che credo essere la mia posizione su progresso tecnologico, in uno scambio dicotomico costante con un'idea di progresso che abbraccia tutto, non solo la tecnologia. In mattinata, dopo aver seguito un workshop sul design sostenibile ho sentito la mancanza di un punto fondamentale nel pensare nuovi mondi e nuove tecnologie oggi: la decrescita. Che non è solo rallentare, non è solo conservare il conservabile. E’ un’idea che ho ritrovato solo in alcuni blog d’ispirazione kackzynskiana, ma con immaginario vagamente solarpunk, escludendo la violenza del manifesto contro la società industriale. In nessuna delle tavole rotonde a cui mi capita di presenziare (vuoi per curiosità, vuoi per speranza) che sono la base dell’economia verde di oggi, sento ricorrere questa idea. C’è la paura che la decrescita porti alla morte, alla perdita di possedimenti, materiali e spirituali, alla perdita di possibilità, alla solitudine. Non ho mai sperimentato niente di più falso da quando ho deciso di applicare questo concetto al mio percorso di vita.
Ora, non pretendo di divulgare queste idee con l’idea che tutti siano nelle condizioni di potersi permettere qui, e ora, l’inizio di una serie di rinunce (perché è di questo che si parla quando si parla di decrescita). Ma il Mulieri, che con la sua benzina venduta a mano stava a un bivio dove passavano tutti, e che mandava lettere di sfida ad Enrico Mattei, comunicava con le istituzioni, o andava a Roma incontrare un altro anarchico, non mai ha rinunciato alla rete per arrivare fino a noi oggi. Anche dove sembra che anche chi lotta sia in qualche modo vittima dello stesso sistema che combatte, diventando potenza reattiva, o generatore di disordine sociale, esiste in realtà una rete di persone che fa del silenzio il suo motivo di coesione. Chi lo tradisce è fuori.
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lamilanomagazine · 6 months ago
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Milano: Castello Sforzesco, una mostra racconta il meglio dei lavori a sanguigna dal cinquecento all'ottocento
Milano: Castello Sforzesco, una mostra racconta il meglio dei lavori a sanguigna dal cinquecento all'ottocento. Fino all'8 agosto, nelle Salette della Grafica al Castello Sforzesco, è aperta al pubblico con ingresso gratuito la mostra "... per gitar diverse linee. Disegni a pietra rossa da Leonardo alle Accademie", un nuovo appuntamento promosso da Comune di Milano-Cultura e Castello Sforzesco legato alla valorizzazione del patrimonio artistico della città che consentirà al pubblico di ammirare, tra gli altri, la celebre "Testa di Leda", disegno attribuito a Leonardo da Vinci e custodito presso il Gabinetto dei Disegni. Frutto di un progetto di ricerca internazionale, cui hanno partecipato studiosi di università olandesi e ricercatori italiani, la mostra, curata da Michael W. Kwakkelstein e Luca Fiorentino, è una selezione di fogli eseguiti a sanguigna tra la fine del Quattrocento e il primo decennio dell'Ottocento, realizzati da differenti artisti, alcuni dei quali di grande importanza per la storia dell'arte italiana. La sanguigna è una pietra naturale estratta in diversi luoghi d'Europa e utilizzata in differenti settori (dai disegni architettonici alla sartoria) e che, verso la metà del Quattrocento, divenne strumento artistico di larga diffusione. Importanti artefici, infatti, scelsero questo mezzo quale medium privilegiato per lo studio su carta dei loro primi pensieri: dallo schizzo allo studio anatomico, dal progetto d'insieme allo studio dei dettagli. Il mezzo della sanguigna vanta variegate possibilità d'impiego tecnico: linea di contorno e trattamento del chiaroscuro a incrocio, sfumato (tramite sfregamento delle dita sulla polvere, con lo sfumino o pressando la punta della sanguigna sul foglio), il famoso "red on red" di invenzione leonardesca (ovvero disegnare in rosso su un supporto colorato rosso), intrecciando a piacimento i mezzi grafici (pietra nera e rossa, gessetto, biacca, acquarello). Si è dunque scelto di indagare tra le collezioni del Castello all'interno di un lasso cronologico ampio all'incirca quattro secoli: gli artisti lombardi hanno avuto più larga attenzione, potendo le raccolte civiche vantare nomi come Leonardo da Vinci, Francesco Melzi, Ambrogio Figino e anche i protobarocchi Cerano, Procaccini e Morazzone e infine i classicisti dell'Accademia come Giuseppe Bossi e Luigi Sabatelli. Il percorso di mostra, che si snoda nelle due Sale della Grafica del Castello, vede le seguenti sezioni: Leonardo e la sua scuola, l'importante restauro di un Nudo accademico attribuito ad Andrea Sacchi, le tecniche (con materiali esposti e video), le differenti tipologie di disegno con fogli di scuola lombarda, romana, napoletana e veneta. Nel catalogo che accompagna la mostra è stata anche avanzata qualche proposta attributiva, nella speranza di dar vita a un dialogo scientifico in grado di arricchire le collezioni pubbliche: Jacopo Ranzani (Institut National d'Histoire de l'Art, Paris) ha approfondito l'uso della pietra rossa nelle botteghe artistiche, Francesco Lofano (Università di Bari) ha studiato i pittori napoletani e il loro particolare utilizzo della sanguigna nel XVII secolo partendo da una nuova attribuzione di un foglio del Castello a uno dei più importanti artisti partenopei quale fu Bernardo Cavallino, Luca Fiorentino (Ricercatore, NIKI Florence) ha approfondito le tecniche grafiche utilizzate nella prima metà del Seicento a Milano, Alessia Alberti rende conto delle svariate collezioni dalle quali provengono i disegni esposti. Il contributo degli studenti olandesi è stato possibile grazie al sostegno della Fondazione Amici del NIKI. Il progetto grafico della mostra è stato realizzato dagli studenti della Civica Scuola d'Arte & Messaggio. Info su www.milanocastello.it Il Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco Il Civico Gabinetto dei Disegni nasce negli anni Venti del Novecento per offrire un'adeguata collocazione alle opere d'arte su carta, che avevano iniziato ad affluire nelle collezioni cittadine a partire dalla metà dell'Ottocento su iniziativa di artisti e di esponenti dell'aristocrazia milanese. Con il tempo il patrimonio si è arricchito e conta oggi circa 35.000 disegni di maestri italiani e stranieri dal Quattrocento ai giorni nostri, con particolare ricchezza di esempi lombardi. Le Salette della Grafica al Castello Sforzesco Inaugurate nel 2020 con una mostra-omaggio a Raffaello attraverso l'opera e la collezione di Giuseppe Bossi, le Salette della Grafica nascono con l'intento di rendere accessibile, a rotazione, il patrimonio grafico del Castello Sforzesco, un prezioso archivio di stampe e di disegni che, per ragioni di conservazione, è normalmente custodito in locali a condizioni di temperatura e umidità controllate e non è inserito nel percorso museale del Castello.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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scienza-magia · 6 months ago
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Ruolo di primo piano dell'idroelettrico nelle politiche green
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Neve e piogge al Nord così per l’energia idroelettrica una produzione record.  La generazione è aumentata tra il 50 e il 100%: per le utility (soprattutto Enel, A2A e Compagnia Valdostana) previsti utili boom. Abbondanti piogge e nevi sono cadute, e in realtà cadono tutt’ora, sull’arco alpino. E l’intensità ha raggiunto livelli talmente eccezionali, in particolare tra il mese di marzo e quello di aprile, che il comparto italiano della generazione idroelettrica ha messo il turbo segnando impennate della produzione, anno su anno, con incrementi tra 50 e il 100 per cento. L’abbondante manto nevoso (sul quale si applica un indicatore, lo snow water equivalent, che misura lo spessore dello strato d’acqua prodotto dallo scioglimento della neve) già nel mese di marzo aveva scongiurato un rischio siccità per l’anno in corso, assicurando abbondanti riserve negli invasi, soprattutto quelli dell’arco alpino. Tra le utility che gestiscono il maggior numero di impianti idroelettrici in Italia ci sono Enel (circa 500 impianti per 16 gigawatt di capacità istallata distribuiti nella penisola), A2A (2 gigawatt di capacità con impianti in Lombardia, Friuli e Calabria) e Compagnia Valdostana delle Acque, con circa un gigawatt di capacità e 32 impianti (tra cui 6 dighe) tutti concentrati in Valle d’Aosta. Nei prossimi giorni le società, in particolare quelle quotate, diffonderanno i risultati del trimestre al mercato e la spinta dell’idroelettrico sulla generazione e sui conti non sarà certo irrilevante. L’impatto Ma al di là dei risultati finanziari, l’importanza della spinta di questo settore risiede nella capacità di ridurre la produzione di energia con combustibili fossili, di contribuire a ridurre il prezzo dell’energia elettrica e anche ad aumentare l’indipendenza energetica del paese. Idroelettrico.Nella foto, un’immagine aerea della diga Place Moulin in Valle d’Aosta, della Compagnia Valdostana delle Acque. La Cva è la società che sicuramente ha avuto un beneficio maggiore dal buon andamento della stagione: nei primi 4 mesi dell’anno la generazione ha segnato un incremento attorno al 100 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. Ma il dato più significativo, che rivela l’eccezionalità degli eventi di inizio 2024, è l’andamento rispetto alla media storica degli ultimi 10 anni, pari a circa 2,74 terawattora prodotti: nei primi quattro mesi la generazione è superiore del 30% rispetto alla media e l’aspettativa è che l’andamento per l’intero anno sia superiore al 10 per cento di quella media, con una quantità prodotta superiore ai 3 terawattora. Anche A2A ha registrato un cospicuo aumento della generazione idroelettrica nei primi 3 mesi del 2024, con un aumento di circa il 50% e un incremento dell’incidenza della generazione idroelettrica su quella complessiva della società che potrebbe salire al 40 per cento. La crescita registrata dall’utility lombarda è meno forte rispetto a Cva per il semplice fatto che la società ha concessioni idroelettriche anche al Sud: le precipitazioni sugli Appennini sono state meno intense rispetto alle alpi e quindi la media finale è più bassa. Anche per Enel l’effetto è simile e la crescita della generazione nel trimestre (nell’arco dell’anno pari in media a circa 19 terawattora, il 15% della capacità di Enel) è stata circa del 50%; sull’arco appenninico l’incremento è lontano dai picchi più bassi del 2022-23, ma è ancora leggermente al di sotto rispetto alla media storica. A livello nazionale la generazione idroelettrica, in genere pari a 45 terawattora in un anno, ha segnato un incremento dell’83 % e la stima è che possa avvicinarsi a 50 terawattora a fine anno (la domanda di energia elettrica a livello nazionale nel 2022 è stata pari a 319 terawattora). Le zone più interessate In linea generale le regioni dove l’incremento di generazione idroelettrica è stato più significativo sono Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige; la zona del Veneto e le aree Appenniniche sono state meno beneficiate. I dati sull’andamento del fabbisogno di energia elettrica in Italia, diffusi da Terna nei giorni scorsi, evidenziano che nei primi 3 mesi dell’anno la produzione da fonte idrica è passata da 5 a 9 terawattora, di pari passo si è ridotta la produzione da impianti termoelettrici, come carbone e gas. Sono aumentate le importazioni (in particolare dalla Francia) con un incremento superiore alla media storica, e pari al 23,7%, da 13,7 a 16,9 terawattora. La minore generazione da termoelettrico per 7 terawattora è stata coperta per 4 terawattora da idroelettrico e 3 terawattora dall’import. L’impatto sui prezzi La maggiore incidenza dell’idroelettrico ha contribuito anche a ridurre il prezzo dell’energia (Pun). Un confronto tra i prezzi dell’energia espressi nel mese di febbraio e quelli di inizio aprile 2024, mostrano una riduzione del costo a megawattora fino a 6-8 euro nelle ore notturne, che arriva fino a 16-18 euro durante il giorno, quando entrano in funzione anche gli impianti fotovoltaici. Ci si potrebbe chiedere, allora, perché sono aumentate le importazioni. Il fenomeno va collegato con l’aumento della produzione di energia nucleare in Francia, tornata a pieno regime quest’anno dopo due anni di manutenzione delle centrali. Ma non è solo un fatto tecnico: oltralpe è in corso una contrazione della domanda di energia, connessa con il rallentamento dell’economia. L’aumento della generazione idro, presente anche in quel Paese, e il pieno regime della generazione col nucleare (che è un flusso non regolabile, a meno di non spegnere i reattori) ha portato un eccesso di generazione, per cui la Francia ha dovuto vendere a prezzi contenuti, esportando in Italia, ma anche in Germania, dove in genere i prezzi sono più convenienti di quelli francesi. Tutto questo non è però bastato, tanto che a inizio aprile oltralpe hanno dovuto spegnere due reattori. Ruolo cruciale Il ruolo cruciale che può giocare l’idroelettrico per ridurre la dipendenza da fonti fossili e contenere i prezzi rende ancora più necessario arrivare a una soluzione rispetto al meccanismo di gare europee, che non ha eguali in Europa, per riassegnare a partire da quest’anno le concessioni idroelettriche scadute. Sistema che ha già innescato ricorsi a raffica. Se, invece, si introducesse nella legge (previa negoziazione con Bruxelles, visto che le gare sono una milestone nel Pnrr) anche un percorso per riassegnare le concessioni agli operatori uscenti, si potrebbero sbloccare 15 miliardi di investimenti per potenziare le capacità di generazione di preservare le risorse idriche del paese. Read the full article
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retemeteoamator-blog · 2 years ago
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arturo1951stuff · 2 years ago
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Nella notte tra il 14 e il 15 febbraio, Giampiero Neri (Pontiggia), grande poeta in prosa è diventato poesia.
Grazie Giampiero, amico fraterno, maestro e compagno di viaggio nella vita
Corriere della Sera
Adnkronos
Il Giorno
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editorialstaff2020 · 2 years ago
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Fattorie verticali, Garanzia SACE Green supporta l’idroponica indoor
La Garanzia SACE Green è pensata per agevolare progetti domestici in grado di accelerare la transizione verso un’economia a minor impatto ambientale
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 Agricoltura urbana ad alta tecnologia, e con un impatto ecologico molto ridotto. È il mix di innovazione e rispetto per l’ambiente e le sue risorse che ha permesso a Planet Farms di aggiudicarsi un finanziamento da 17,5 milioni di euro di UniCredit coperto dalla Garanzia Green di SACE, un supporto concreto per allargare il business dell’idroponica indoor con un nuovo stabilimento a Cirimido (CO).
L’azienda lombarda fondata nel 2018 da un’idea di Luca Travaglini e Daniele Benatoff offre ai consumatori prodotti a chilometro zero e a inquinamento zero puntando sulla verticalità: è la mission con cui è nata la prima fattoria verticale di Planet Farms a Cavenago, e con essa lo slogan ‘Go Vertical’. Un edificio appositamente progettato che si estende per 9mila metri quadrati disposti su sei piani: l’equivalente di 45 campi da tennis messi uno sull’altro. La fattoria verticale più grande d’Europa.
Il nuovo impianto consentirà una riduzione del consumo idrico del 95% e l’azzeramento di pesticidi e altri fitofarmaci. La fattoria verticale permette anche di portare l’orto in città, riducendo la lunghezza della filiera, e contiene il consumo di suolo. In più, Planet Farms utilizza edifici energeticamente autosufficienti ideati per ospitare la coltivazione di specie vegetali a scopo alimentare.
Requisiti che hanno permesso all’azienda di accedere alla Garanzia SACE Green, pensata per agevolare progetti domestici in grado di accelerare la transizione verso un’economia a minor impatto ambientale, integrare i cicli produttivi con tecnologie a basse emissioni e promuovere iniziative volte a sviluppare una nuova mobilità a minori emissioni inquinanti.
La garanzia favorisce gli obiettivi del Green New Deal italiano e viene emessa per un massimo dell’80% dell’importo finanziato. A condizione che il progetto apporti benefici significativi ad almeno uno di questi sei obiettivi fissati dall’UE, senza danneggiarne altri: mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai cambiamenti climatici, uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine, transizione verso una economia circolare, prevenzione e riduzione dell’inquinamento, protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
Obiettivi che coincidono con gli aspetti qualificanti dell’idea di fattoria verticale di Planet Farms. “Questa operazione – ha sottolineato Enrica Delgrosso Responsabile Mid Corporate Nord-Ovest di SACE – rafforza il nostro sostegno ai piani di crescita di Planet Farms, una realtà in cui tecnologia, innovazione, sostenibilità e visione si combinano al saper fare italiano. Questo intervento conferma l’impegno di SACE a supporto del settore agroalimentare e della propria filiera promuovendo tecnologie rivolte alla transizione ecologica, in linea con gli obiettivi del nostro nuovo piano industriale Insieme2025”.
“UniCredit ha assunto un concreto impegno nella transizione verso un’economia green e sostenibile. – afferma Marco Bortoletti, Regional Manager Lombardia di UniCredit. Con questa nuova operazione, siamo lieti di continuare a supportare l’ambizioso piano di sviluppo aziendale e la relativa espansione della capacità produttiva di Planet Farms”.
 LINK: https://www.rinnovabili.it/green-economy/green-market/fattoria-verticale-unicredit-sace-idroponica-indoor/
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notiziariofinanziario · 2 years ago
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Al via la procedura Fast transfer all' Aeroporto di Milano-Malpensa
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Malpensa è il primo aeroporto italiano ad avere una procedura di automatizzazione del processo di trasferimento della merce. Il progetto è nato dalla sinergia tra Sea, Adm (Agenzia delle accise, dogane e monopoli) e Circle Group. Il processo di fast transfer doganale L’obiettivo è snellire, delocalizzando e automatizzando il processo di trasferimento della merce in arrivo da un paese extraeuropeo i tempi di giacenza, permettendo al proprietario o responsabile della merce di spostarla dall’hub aeroportuale di arrivo al luogo di sdoganamento esterno: ciò permette di ottimizzare i tempi, i costi di giacenza e la logistica di magazzino. Questo processo completamente automatizzato si avvale di un corridoio di trasferimento digitalizzato, che prevede la possibilità di trasferire la merce soggetta a vigilanza doganale mediante il monitoraggio geolocalizzato del trasferimento. A Malpensa si consolida il Cargo «Malpensa ha una quota pari al50% del traffico Cargo, nel 2021 c’è stato un balzo in controcorrente con il Covid: Malpensa è cresciuta di un terzo. Ci andiamo a consolidare su quei volumi ed è giusto che Sea dia importanza al settore merci per migliorare i servizi e continuare a sviluppare il settore», ha affermato l’ad di Sea, Armando Brunini, «per farlo c’è bisogno di due grandi leve: una è di tipo infrastrutturale (il Masterplan 2035) e un’altra è ladigitalizzazione dei processi per più velocità, facilità e servizi per i clienti. Rendere più veloci i processi doganali significa dare obiettivi di sviluppo e continuità: malpensa sarebbe il primo caso di aeroporto italiano così. Con il Cargo vogliamo riconquistare un po’ di traffico in fuga e dal punto di vista ambientale significherebbe avere meno camion». «L’aeroporto di Milano Malpensa è il primo scalo merci italiano dove viene applicata la nuova procedura di fast transfer doganale – ha dichiarato Paolo Dallanoce, head of Cargo Management di Sea – una rivoluzione digitale sviluppata insieme all’Agenzia delle Dogane che permette una gestione dei flussi di merce in import più efficiente, veloce, integrata e digitalizzata, incrementando così la capacità di ricezione della merce per rendere lo scalo di Malpensa più attrattivo e competitivo a livello internazionale». La digitalizzazione degli aeroporti Marcello Minenna, direttore generale di Adm, ha spiegato il progetto: «I fast corridor sono uno strumento messo sul piano ferroviario e portuale e che oggi inauguriamo qui: sistemi digitali integrali con quelli degli operatori per ridurre i tempi e aumentare la mobilità. Questa è la possibilità che l’agenzia delle dogane mette in campo: sarà una sperimentazione che troverà una possibilità di replica sul territorio nazionale e che diventi una best practice come quelli portuali». Ha poi dimostrato come il progetto sia una reazione allo scenario internazionale, dominato dalla guerra in Ucraina, l’inflazione e la crisi economica. Laura Castellani, direttrice della direzione Centrale Organizzazione e Digital Transformation ADM, hasottolineato che «in ambito del programma di digitalizzazione aeroporti vede luce una prima linea di lavoro che fa da apripista verso una digitalizzazione volta a semplificare e velocizzare i processi di sdoganamento e movimentazione delle merci. Tutti i processi disegnati e realizzati da ADM, in collaborazione con il partner tecnologico Sogei, prevedono sistemi perfettamente integrati con quelli degli stackeholder e delle amministrazioni coinvolte. Il progetto ci offrirà la possibilità di migliorare e potenziare il sistema della logistica aereoportuale avvalendoci della collaborazione dei soggetti coinvolti nella supply chain. Obiettivo di ADM è far confluire tutti i processi logistici nella piattaforma di logistica nazionale». Maria Preiti, direttrice territoriale Lombardia di ADM, ha evidenziato che «la procedura, ulteriore semplificazione dei processi di sdoganamento, rafforza il ruolo di Malpensa nel sistema della logistica lombarda e nazionale». Read the full article
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giovaneanziano · 4 years ago
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NOTTE 4
E siamo alla 4 notte qui agli Hunger Games, vediamo come va
@geometriche e @kuramaaa si trovano insieme. Entrambe piangono perchè a Geo le mancano i suoi cari, mentre a Kurama le manca il moroso. Così si stringono insieme, si abbracciano e iniziano a farsi le coccole vicendevolmente. Si addormentano come due gatti accoccolate l’una sull’altra MA UN PO’ DI MORTI QUI NO EH
@cieli-dipinti invece pensa di dormire su un albero. Tipo di farci una casetta e rimanere li come la piccola vedetta lombarda. Quindi prende degli alberi, li lega insieme, li mette a tracolla e sale su un albero. Solo che li aveva messi male a tracolla e finiscono per fare una specie di cappio, quindi comincia a sistemarsi a mezz’aria, sgancia entrambe le mani e vola a terra, morendo sul colpo. Dio che brutta quella vertebra che le esce dal collo, ew
@dichiarazione sta sveglia tutta la notte cantando Bon Jovi. Tipo che oggi camminava e gli è venuto in mente e BAM non esce più dalla testa. L’ultima inquadratura è lei che canta YOUR LOVE IS A BAAAAAAD MEDICINE e l’abbiamo lasciata li perchè non azzeccava na nota UNA
@orestiade trova una linea di esplosivi messa da @mafaldinablabla. Astuta pensa, l’ha messa cosìcchè se la seguivo ci cascavo dentro e BOOM. Ma nota una cosa: Mafaldina NON HA TOLTO LA SPOLETTA. Così Orestiade decide di togliere l’esplosivo, rimetterlo in un altro punto e scappare. Mafaldina decide di tornare indietro per vedere se Orestiade cade nella trappola, ma arrivata ad un certo puntBOOOOOM Orestiade la spoletta l’aveva tolta. Chi la fa, la fa. Addio @mafaldinablabla ci mancherai
@tehwolfeh è nel buio più totale e sente qualcosa cadere. Impaurita corre nel buio e vede UNA CASSA SPONSOR che contiene UN CHILO DI PATATE A CASISSIMO COSA TE NE FAI DI UN CHILO DI PATATE. Così prova ad accendere il fuoco, ma non ce la fa, prova a mangiare una patata cruda ma BLEA quindi si mette li e piange su un chilo di patate
@mantenetevifolli e @gold-insanity vengono viste raccontarsi storie del proprio distretto. Folly racconta di come fosse una facoltosa ragazza reginetta del suo liceo, mentre Gold racconta come riusciva a bere 10 ombre durante un bacari tour senza vomitare la comunione. E si addormentano ridendo
@iajato corre, rincorsa da un orsogufo. Eh si, li ho creati io, vi piacciono? Ma siccome non muore nessuno, dovevo accelerare il processo ed ora TA DAAAAH. Corre veloce, troppo, guardando indietro l’orso gufo. Purtroppo però scivola su una roccia, cade e si spacca la testa. Non vi dico che ne ha fatto l’orsogufo, ma ne è rimasto ben poco del corpo di Iajato!
@cretina-te e @burroesalvia piangono. e basta. c’è poco da dire, che scena pietosa. piangono e si asciugano le lacrime a vicenda. Vabbe mi commuovo pure io BASTA PIANGERE VI DISIDRATATE
Grande puntata oggi e grandi morti! Ben 3! Vi voglio bene ugualmente Raga, salutiamo @iajato cielidipinti e @mafaldinablabla​. quindi ci sta IL RECAPPONE DEI MORTI
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blogitalianissimo · 5 years ago
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i'm going to be brutally honest: zaia nonostante sia leghista, non sta facendo un brutto lavoro nel complesso. ma il commento contro de luca se lo poteva risparmiare perché veneto e campania sono due regioni molto, molto differenti (aka ognuno cerca di fare del proprio meglio)
Ah intendi quella persona che: 1. sta facendo test rapidi sierologici a tappeto anche se non sono stati validati dall’organizzazione mondiale della sanità, 2. che vuole riaprire tutto nonostante i centinaia di nuovi contagi giornalieri in Veneto, 3. ha dato il via alla sperimentazione di un farmaco perché ha visto il video di uno youtuber italiano in Giappone, 4. rischiava di causare un incidente diplomatico con la Cina.
Poi per carità, suppongo che in linea di massima abbia operato bene visto che il Veneto comunque non è arrivato (grazie al cielo) alla situazione lombarda, still: si sciacquasse la bocca quando parla di De Luca. 
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italian-malmostoso · 5 years ago
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#IORESTOACASA
Un appello, un consiglio, una preghiera agli amici del Sud d’Italia: per favore, fate la vostra parte e restate a casa.
Per voi stessi, per i vostri familiari ed amici, per tutti quelli che potrebbero non farcela, per anzianità, malattie pregresse, immunodepressione, eccetera.
Non prendetela sottogamba, non crediate che il grosso del contagio da coronavirus si fermerà al di sopra degli Appennini, come una linea gotica al contrario.
Arriverà, purtroppo, anche da voi, fatevene una ragione.
Se verrete ricoverati, voi stessi o qualcuno che conoscete, non vedrete più nessuno fino alla completa guarigione o alla morte, la cui percentuale non è così bassa come si diceva all’inizio.
In caso di decesso, i cadaveri verranno portati via con i camion dell’esercito e cremati, senza il conforto di un funerale e neanche di un fiore.
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Sappiatelo e ricordatelo.
La sanità lombarda, checchè se ne dica, è al vertice di quella italiana; se, come pare, stia per non farcela più neanche quella, che succederà nel Meridione dove, siamo franchi, il livello è decisamente più scarso?
Volete i morti per le strade? Volete i monatti che li raccolgano con i carretti, come nei promessi sposi di Manzoni?
Restate a casa, e il contagio si fermerà. Continuate a far finta di niente e che,tanto, il problema se lo tengano i polentoni del Nord, e tra un paio di settimane piangerete lacrime amare.
RIMANETE A CASA, VI SCONGIURO!
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biagiodisagio · 4 years ago
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https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/08/19/news/treno_deragliato_carnate_monza_e_brianza-264967548/
L'efficienza lombarda. I murt lor.
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corallorosso · 5 years ago
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visto che il Vernacoliere è fermo, consoliamoci con Libero di Critica liberale, Quindicinale di sinistra liberale Vittorio Feltri sabato sera era disperato: in Italia e nel mondo non c’era uno straccio di notizia. Come “aprire “ il suo “Libero trash”? Idea: il giornalista decide di approfittare del solito prefestivo deserto di informazioni per fare un bilancio complessivo del nostro governo in tempo di Coronavirus. E con la sua solita grande onestà intellettuale titola così a 9 colonne di prima pagina: Siamo nelle mani dei mediocri – IL TRIONFO DEI PEGGIORI – A gestire l’emergenza ci sono un avvocato, un ex steward del San Paolo, un ex concorrente del Grande Fratello e un laureato in Scienze politiche. Ecco i risultati: abbiamo il record dei morti Poi, per rallegrare i lettori con una macabra boutade, subito sotto, rassicura tutti con un titolo paradossale: “Sicurezza e trasparenza – La ricetta di Trump”, per poi farli riprecipitare nella disperazione: “Zingaretti torna in Tv – Oddio un’altra disgrazia”. Pura cronaca non ideologica, rafforzata dall’articolo del suo erede, Pietro Senaldi, che arranca di “spalla” col suo “Tutti promossi agli esami. Asini in festa” che ha un incipit che entrerà nella scienza politica: “È storia che i regimi puntino molto sulla scuola, per plasmare le nuove generazioni e sfornare un esercito di soldatini acritici imbevuti di ideologia“. Evidentemente, invece che “asini” avrebbe preferito che i ragazzi italiani fossero tutti contagiati, ma critici. Chissà qual è l’ideologia di Senaldi. Senza accorgersene gli è scappato di penna persino un attacco frontale alla Chiesa cattolica. Poi un articolista che modestamente si firma “Zeus” ci spiega che fin dall’antichità si sosteneva che un “governo dei migliori” è preferibile a un “governo dei peggiori”. Ci pensiamo un po’ su e dobbiamo dire che “Zeus” è abbastanza convincente. Che stupidi, lo avevamo sotto mano un “governo dei migliori”, di quelli che avrebbero sconfitto il virus in un battibaleno con quattro processioni e due avemaria, ma nell’agosto scorso abbiamo perduto l’occasione d’oro e ora la stiamo pagando cara. Fa una certa impressione rileggere dal titolone la composizione dell’attuale governo Conte. Ma vi rendete conto che c’è addirittura un laureato in Scienze politiche? Pensate un po’. Avremmo potuto avere come Presidente del Consiglio non un inesperto avvocato ma nientemeno che uno statista fondatore di “Comunisti Padani” e con l’esperienza del Pranzo è servito. Il quale per poco mancò la laurea ad Oxford pur avendo scritto un monumentale studio su Churchill. La sua linea filoeuropea ci avrebbe senz’altro aiutati a far spalancare i cordoni della borsa ai tedeschi. E in caso contrario il nuovo ministro degli Esteri, Savoini, grazie al suo stretto collegamento con Putin, certamente avrebbe assicurato un’enorme liquidità al nostro paese disastrato. Come vicepresidente del Consiglio avremmo potuto avere addirittura la Preside del Mit (Massachusetts Institute of Technology), nota in tutto il mondo per il suo saggio: “Come affiggere manifesti fascisti alla Garbatella”. Non sarebbero mancati i voti, peraltro necessari, di Forza Italia e quindi avremmo avuto Sgarbi come ministro ai disastri (elettorali) nonché Dell’Utri agli Affari meridionali e Previti, come al solito, candidato alla Giustizia al posto di quello sciocco di Alfonso Bonafede che non sa “trattare” con giudici, avvocati e testimoni. Il caso, che purtroppo ci è caduto in testa, di una gravissima emergenza sanitaria non ci avrebbe trovati impreparati, perché avrebbe saldamente retto il presidio della Sanità pubblica italiana la ministra Nicole Minetti, l’igienista dentale già Consigliera lombarda per Berlusconi. Una vera certezza, come peraltro avremmo avuto garanzia totale per la nostra moneta col nuovo Presidente della Banca d’Italia Denis Verdini e col nuovo Direttore generale Armando Siri. Come abbiamo fatto a perdere questa occasione proprio non si sa. Per questo ci meritiamo questo disastro. Perché non osserviamo i consigli di Libero, che, soprattutto dopo la sospensione del Vernacoliere, è in grande spolvero. Anche il giorno prima Vittorio Feltri, in qualità di Condirettore di “eLife” insieme con il Nobel Schekman, ha sconfessato tutta la comunità scientifica italiana, nonché il suo “eroe” Attilio Fontana, con una previsione certa comunicata nel fondo di apertura: Murati fino a maggio? Vada a casa Borrelli. Noi però usciremo. Ma sì, tutti per strada. Ci domandiamo soltanto: chi poi comprerà Libero se i suoi lettori seguiranno fedelmente i consigli dell’illustre Direttore virologo?
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lamilanomagazine · 10 months ago
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Al "Buzzi" di Milano attiva la nuova terapia intensiva pediatrica. Assessore Bertolaso: "Gioco di squadra per un grande risultato"
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Al "Buzzi" di Milano attiva la nuova terapia intensiva pediatrica. Assessore Bertolaso: "Gioco di squadra per un grande risultato". Milano. Si è concluso il trasferimento dei piccoli pazienti nel nuovo reparto di Terapia Intensiva Pediatrica (TIP) all'Ospedale Buzzi di Milano diretta dalla dottoressa Elena Zoia. Si tratta di una delle cinque TP Lombarde (le altre quattro si trovano nell'Asst Spedali Civili di Brescia, Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Asst Sette Laghi di Varese e al Policlinico di Milano), una struttura di 200 mq interamente ristrutturati seguendo i più innovativi standard di sicurezza edile ed impiantistica. Ampi spazi, strumentazione all'avanguardia e soprattutto colori e disegni per favorire l'umanizzazione delle cure. Un totale di 8 posti letto più un letto tecnico. Di questi, 3 postazioni sono ad alto isolamento e una stanza è dedicata alle cure palliative. "Il Direttore Generale dell'Asst Fatebenefratelli-Sacco, Maria Grazia Colombo, e lo staff del Buzzi - ha evidenziato l'assessore al Welfare, Guido Bertolaso, - sono riusciti a far ripartire e a portare a termine, in breve tempo, un cantiere vittima della burocrazia che purtroppo aveva subito importanti rallentamenti. È fondamentale nel processo di rilancio di qualità della sanità lombarda poter usufruire pienamente di questi spazi dedicati alla terapia intensiva pediatrica, tra l'altro particolarmente preziosi proprio in un momento di grande diffusione delle problematiche legate alle sindromi respiratorie, anche nei bambini. Ringrazio chi ha contribuito a raggiungere questo importante risultato e chi, tutti i giorni, si dedica alla cura dei pazienti più piccoli". "Possiamo tornare ad accogliere i nostri piccoli pazienti - ha dichiarato Maria Grazia Colombo Direttore Generale dell'Asst Fatebenefratelli-Sacco - in ambienti altamente tecnologici in linea con l'eccellenza clinica dei nostri professionisti. Ringrazio la squadra di tecnici, sanitari e amministrativi che ha consentito di raggiungere questo importante traguardo in pochi mesi".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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ufficiosinistri · 6 years ago
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Il sole alle spalle
I Siracusani risparmiavano i prigionieri di guerra che sapevano recitare Euripide. Mediante il cosiddetto evergetismo, un fenomeno grazie al quale i cittadini più ricchi delle Pòlis finanziavano attività legate alla cosa pubblica, anche i più poveri potevano e dovevano assistere alle rappresentazioni teatrali, apparentemente sponsorizzate con distacco e disinteresse. Erano obbligati a farlo, e al tempo stesso era come se fossero obbligati a rifiutare il disinteresse. La politica giusta supera la vendetta, come le carriere dei calciatori che giocano nel Ravenna nei primi anni ’90 superano qualsiasi immaginario letterario sportivo. Enrico Buonocore faceva parte della rosa di quel Napoli che, praticamente, perse lo scudetto quel ventotto maggio del 1989 a San Siro. Segnò Careca, ok, ma poi la sua rete fu rimontata da Fusi e Matthäus, quel Lothar che fu al centro delle discussioni familiari del mio nucleo per tutto l’anno a seguire, addirittura dopo il Mondiale del 1990. Mio nonno si inalberò contro un articolo sportivo pubblicato del quotidiano che comprava ogni giorno, colpevole di aver riportato il nome del centrocampista tedesco in maniera errata più di una volta. Mio nonno era milanista e andava a vedere il Legnano che in quegli anni militava nella stessa categoria del Novara. La sua lettera non fu mai pubblicata ma la testata lombarda, dopo il suo intervento, iniziò a scrivere il nome di Lothar Matthäus in maniera corretta. Perché l’uomo ha bisogno, dopo un parto carente e una formazione inutile, di diventare sapiens. Ne parlò una domenica in cui eravamo da loro a pranzo, dai miei nonni lombardi. Mia madre mi disse di ascoltare e mio padre pensava invece allo scudetto appena vinto, anche grazie al gol di testa di Aldo Serena nel Derby. In quegli anni c’era ancora Maradona, nel Napoli. Lo sappiamo tutti. Lo sapevo anche io che quando la discussione andò avanti un po’ più del dovuto, uscii a fare due passi in quella che era la mia seconda città, a detta di mia madre. Era novembre, forse non avrei rivisto i miei nonni sino a Natale, faceva freddo ma ci ero abituato. Pensavo che Novara fosse sempre stata più fredda rispetto a Legnano, forse il Ticino faceva davvero la differenza. La gente parlava di cure, di malattie, gravi. Io camminavo e pensavo che mio nonno avesse fatto bene a scrivere al giornale per una scrittura sbagliata. Insomma, era una cosa che andava fatta. Due anni dopo, entrai in classe che faceva ancora caldo. I termosifoni erano accesi ogni giorno dalle sei di mattina e alle otto si bolliva, iniziavo a togliermi la sciarpa non appena entrato a scuola. Sapevo che vicino al mio nuovo posto, quello che non avevo scelto ma che il professore di italiano mi aveva assegnato, c’era il termosifone rovente e le cicche attaccate alle sue manopole si scioglievano lentamente, sino alla una, per poi tornare a solidificarsi nelle ore pomeridiane durante le quali la scuola era vuota. Le finestre che davano sul rado giardino e la poco trafficata strada di semi-periferia che passava accanto all’istituto, invece, erano lorde di sabbia raggrumatasi sui vetri nel tempo, nelle ere. Distacco e disinteresse. Non ci importava del calcio di Serie A, a noi compagni di classe. Non eravamo ancora pronti per il Fantacalcio di Serie A, non potevamo muoverci per la città e i paesi limitrofi dai quali venivamo in autonomia come i ragazzi più grandi. Distacco e disinteresse ci portarono a fare un Fantacalcio con i giocatori della Serie B. Eravamo in sei, sarebbe durata poco ma ci volevamo provare. L’edicola era a pochi metri dalla nostra scuola e il lunedì ci passavamo tutti e sei davanti: chi dalla fermata del pullman, chi ( come me ) a piedi. Crediti a caso, quindici minuti al giorno, durante l’intervallo, per giocarci, ma il Ravenna, con i colori del Lecce dei giocatori sudamericani senza parastinchi, occupò per mesi i miei pochi pensieri extrascolastici dell’epoca. Presi Buonocore per poco, nessuno sapeva chi fosse. Aveva appena guidato i romagnoli dalla C2, la serie in cui giocava il Novara, alla Serie B. Vestiva giallorosso, un colore che avevo sempre associato al Lecce dei sudamericani ed Enrico, avevo letto, era uno tra i più forti centrocampisti della serie. Non era un giallorosso a strisce, però: era un accostamento molto più squadrato e industriale, se vogliamo definirlo. Un po’ come lui, un po’ come Enrico Buonocore. La sua umbratile tenacia e la malinconia che aveva il suo modo di giocare così innovativo e spregiudicato suonavano come altisonanti rimbrotti nei confronti dell’innovazione che stava per vivere il calcio italiano. Un’innovazione che non osava chiedergli un apporto intellettuale semplicemente perché sapeva che sarebbe stato troppo importante da sopportare, che avrebbe fatto inceppare la macchina.
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A Cosenza, gioca con Marulla e segna una rete ogni tre gare, sfondando così una statistica ottima per appartenere ad una normalissima punta per la serie B di quegli anni. Ma non funziona, ha nostalgia di Ravenna e ci ritorna, rimanendoci per altre tre stagioni. La Serie A è come se non fosse mai esistita, per Enrico Buonocore. Il Venezia di Zamparini lo impiega per poche partite, e non dimentichiamoci che nemmeno centocinquanta chilometri separino il capoluogo veneto con Ravenna. Tiri dritto sino ai Lidi Ferraresi e ci sei, sei già sul Delta del Po e passare la linea del Polesine è solo questione di minuti. Buonocore fu in grado di riconoscere la debolezza dell’abitante intellettuale moderno, che si rifiuta di accettare la condizione di lavoratore e dormiente, ribellandosi alle quotidianità ed all’alienazione, che fanno sì che non ci accorgiamo nemmeno di dormire stipati in palazzi con le nostre teste a pochi centimetri (di leggeri mattoni traforati) da esseri sconosciuti, soliti ad infestare aree urbane vagando senza una mèta precisa verso le proprie occupazioni lavorative. Con il Messina, infatti, fu in grado di ripetere la stessa impresa che compì con il Ravenna dieci anni prima. Dalla Serie C-2 alla Serie B in due stagioni. Era il Messina di Godeas, Campolo, Portanova, Del Nevo. Ma era il Messina di un giocatore che, a differenza degli altri centrocampisti, non vedeva l’ora, giocando, di cambiare direzione di corsa, in modo da lasciarsi il bagliore del sole che risplendeva sui campi da gioco del Sud alle spalle.Pechè il giocatore di calcio giusto supera il concetto di vendetta.
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jositoxy · 6 years ago
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Arroz meloso con lombarda alemana y huevo frito. ¿Tengo mal alimentada a MariPili? Si tiene tripilla últimamente! (en Metro San Francisco - Linea 11 Carabanchel) https://www.instagram.com/p/BuWXtoWhWZN/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1pla0ix0e00bd
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pangeanews · 6 years ago
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“E la gioia, chi ha rubato la gioia?”: discorso intorno alla poesia di Fabio Pusterla
Fabio Pusterla, ticinese nato a Mendrisio nel 1957 (insegna in un liceo e all’università della Svizzera italiana), è uno dei migliori poeti italiani di oggi: lo conferma l’ultima uscita dal titolo Cenere, o terra (Marcos y Marcos 2018), dove i punti di convergenza della testualità che riempie il vuoto esistenziale sono soprattutto gli elementi primordiali: terra, aria, acqua e fuoco di una geografica residenza. La bellezza del creato non è quella di una cartolina folcloristica e promozionale, bensì nasce, nel titolo dell’opera, da un verso dantesco che indica toponimi, siti, un territorio da esplorare inglobandolo, selezionandolo, stratificandolo. Come accertabile nell’antologia riassuntiva di un percorso che dura da trent’anni, Le terre emerse. Poesie scelte 1985-2008 (Einaudi 2009), il verso di Fabio Pusterla si sposta dall’immanenza cartografica ad un’emulsione di materiale franto (fanghiglia, pietrame, calcite, zinco, piombo, carbone, falda), tra “la chiazza di luce sul fondo”, richiamando un verso, e la “chiarità di bruma” appena sfumata dei suoi luoghi prediletti. Luoghi dove all’improvviso può essere avvistata una capra e dove l’aria della vallata può intingersi di nafta ai margini di un viadotto o in prossimità di un costone. La lingua-oggetto e il verso sciolto, cesellato, che incarna le cose (lirico e multiforme), costruiscono l’equilibrio di un manufatto di notevole qualità stilistica. Scrive Enrico Testa nell’antologia Dopo la lirica (Einaudi 2005), che Pusterla “tenta fuori del vischioso conforto di uno stato catatonico, un rapporto con le forme e le figure dell’esperienza e con i loro tracciati percettivi e sentimentali”. È vero: fuori da ogni schematismo, da ogni ideologia, affermazione o negazione civile, questa poesia è un rivolgimento a ciò che risponde alla realtà disossata da simbolismi e convenzioni sociali, fuori anche da obiettivi che non siano meramente rappresentativi di un patrimonio comune, fisico e biologico, di un’appartenenza alla sacralità della vita, quotidiana e primigenia, di chi avverte con intensità i fenomeni privati e pubblici tramite impressioni sensoriali. Nessun apparentamento neppure con la linea lombarda o con una tendenza spinta ad abbracciare una poetica ecologista. Eventualmente Pusterla può essere ascritto a quella tradizione che traduce il gesto sinestetico in un monologo interiore, che accompagna lo slancio auto-conoscitivo ad un controcanto naturalistico e polifonico.
La luce “nervosa e pulsante”, che abbaglia e fa da contorno, da fissità irradiante, è vista spesso dal basso, tra le case e i posteggi, nell’immobilità tesa, in un punto di sospensione situato nel topos letterario dalle parti di Asiago e Chiasso, nelle boscaglie di Valsolda, nella Madonna dei Campi, piccola chiesa nei pressi di Castel Rozzone, a Focara, citata da Dante nell’Inferno, nella casa del custode delle acque di Vaprio d’Adda, nella Secca del Diavolo vicino Santa Teresa di Gallura, fino a risalire al Canton Ticino, rievocando e intersecando i personaggi incrociati nella letteratura e negli ambienti dove sono vissuti o vivono ancora: Jacopo Da Lentini, Francesco d’Assisi, Giuseppe Parini, Milo De Angelis. Il Monte Zebio, a nord di Asiago, ricoperto di abeti, pini, cardini, stormi di libellule, nei cui boschi emergono i residui bellici del conflitto mondiale, apre il primo sipario naturalistico in una dimora impervia: “Da qui saliva una sera Rigoni / Stern piangendo Primo Levi d’affocata / simmetrica desolazione, sulla roccia spezzata / poggiando una mano smagrita o una lacrima”.
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Fabio Pusterla è il poeta in cammino con un monocolo tra le mani. Non si limita ad osservare come farebbe il viandante, ma trascorre il tempo dilatandolo in una rivelazione intima ed espressionistica, in ciò che definisce “aria di passo”. Respira l’atmosfera del luogo riempiendolo di strati visibili (cemento, asfalto, reticolati) e immaginari (le “lame d’acqua”, il “soffio d’arsura”, le “fauci dei monti”). La sua è dunque una poesia di transito, di soste, ma anche di attesa, a volte “ammutolita”, altre volte incantata in un confine riempito di ricordi, tanto fa far esclamare, in uno dei pochi interrogativi, l’avvertimento perturbante: “E la gioia, chi ha rubato la gioia?”. Pusterla dà spazio al nonnulla e allo stesso tempo ad un procedimento di accumulo di sensazioni uditive: il brusio, il martello pneumatico, in una dimensione spazio-temporale stremata, da riconquistare, come se il “possesso” del luogo fosse possibile attraverso la parola esatta, segnica, che segua l’andare tra la “rissa dei giorni”, nel fascino stesso dei boschi notturni, nelle corse tra le tenebre, in una proiezione fantasmatica che “arriva da molto lontano” e che sente gridare perfino la luna. Indicazioni ed esortazioni, apparizioni e visioni paleontologiche si allungano parallelamente allo sguardo: “Un’ombra di ragazza / sul mesto umidore del vetro / è una scarpata madida che aggetta sul vuoto”; “Appare meglio la luce e ti assale / più di sorpresa il fulgore degli oggetti / abbandonati, dei fiori negli orti sospesi, nei vasi”. Guizzi di vita si alternano ad una crescente tensione, ad una vena analitica nel verso spezzettato, in cui l’asse portante rimane la forza penetrativa dello sguardo che accentua l’adesione alla natura: densa, ampia, condotta di luogo in luogo, obbediente ad un contatto di superficie. La parola cerca luce, ammette Pusterla, mentre il silenzio cerca parola quando si rivolge al poeta britannico Wystan Hugh Auden, e il vento, idealmente, annulla la distanza tra i vivi e i morti. Continua l’illuminazione di zone d’ombre nel presente e nella cronaca dei giorni, nei controviali di progetti falliti come quello urbanistico di Zingonia, piccola frazione tra Milano e Bergamo. E ancora le tante smagliature del territorio, la fioritura di spazi storici, anacronistici, persuasivi nel regno vegetale, animale e minerale: “Lungo questo sentiero di silenzio: // pietre nere, pettirossi quasi immobili / su balze di muro o ringhiere, / lunghi gatti che guardano altrove”. La consapevolezza della precarietà umana e della finitudine si avverte osservando case diroccate e vecchie torri militari di guardia, le immagini antiche, affrescate degli angeli, il sole dietro la roccia che sparisce, il tronco deforme della civetta, le nebulose scure (è il titolo di una poesia), le zone inquiete dell’essere ricordando il padre Elius, il sussulto del fiato nel sogno, in un rigurgito malinconico (ma non lascivo o nichilista). Il verso fa uso di vocaboli netti, precisi. La poesia è priva per lo più di un certo soggettivismo che riscontriamo nella maggior parte della produzione contemporanea e si riempie della specificità di oggetti impersonali, nominati in un lungo catalogo che non produce mai effetti di straniamento.
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Fabio Pusterla fa delle sue stelle un’occasione per indagare la cosmicità dell’universo, immaginando costellazioni, il filo conduttore tra mondi sconosciuti, supremi, e una percezione terrena, lucida ma parziale, limitata. La rotta acquisisce una visionarietà disinibita, affidata al destino, in una crocevia di ombre mortali (“Temi di riconoscerti? Ti accosti / con brivido alle conche? Le turbolenze, / i movimenti misteriosi delle onde: forse è qui lo spavento. // Come una vita che esplode”). L’acqua sembra conferire una rinascita ineguagliabile specie quando il verso si fa più disteso e Pusterla narra vicende nella felicità descrittiva dell’elemento liquido. L’acqua che sgorga, che saltella, “acqua stupefacente”, che dilaga, che sale e scende, che si fa rivolo, goccia.
L’epilogo, però, crivella temi esistenziali, assoluti. La voce, allora, è meno pacata, seppure sempre limpida, ma con un peso specifico. I “monti selvaggi” e i “boschi scoscesi” vengono assaliti dal dubbio, da un senso sfuggente e provvisorio nell’unità del tutto, nel solito sguardo che stavolta “vede e non vede” in “tempi collegati” e in “passaggi precari”. “E poi: soltanto dal mare / si capisce qualcosa”; “Cenere, o terra? Luce, semplicemente / trama di luce che si arresta per un attimo / nell’onda dei capelli traversati dal vento”. Pusterla abbandona l’orizzontale manifestarsi degli accadimenti, dei fotogrammi, delle sequenze quasi filmiche. Il quesito diventa lancinante tra la cenere e la terra. L’ordine del mondo, richiamato in uno dei testi, è un disegno, un’ipotesi, un riflesso? Una morsa o un’apertura della madre terra, in un dominio umano e divino? Un nuovo corso che segue alla distruzione dei secoli? Un sogno, un progetto? Ad un certo punto il fiume e il suo flutto non bastano più nel canto del vissuto e nella necessità della pronuncia, tanto che anche l’acqua sembra intorbidire il presentimento del poeta nella sua lingua echeggiante. Dove stiamo andando di volta in volta? “Sul confine della nostra solitudine / si guarda all’altra riva / con paura e sgomento. Inflessibili”. Ecco un’altra affermazione incerta, che traduce il significante estremo, disilluso: “Ritornare all’origine fuggendo. // Spazzare, anche facendosi / del male. No, non è breve / il corso delle cose. Né indolore”.
In fondo Fabio Pusterla scandisce il crescere e il sedimentarsi della realtà immanente nelle forme e nell’invisibile. La sua poesia ha un’eco armonica, sia quando vede e registra, sia quando percepisce nella coscienza un sentore inconoscibile. Il suo sguardo d’insieme ha qualcosa di iniziatico, di allargato in una ricerca oggettiva, non solo materica, ma diramata ai confini della vita umana (in un “impuro moto”), distillata nell’agguato immaginifico di un dopo. Il grumo della verità sta nel rapporto tra la terra e il cielo, tra il qui e un possibile altrove, in tempi e luoghi non a portata di mano. “Andare verso la rosa / sfinita all’orizzonte, / sotto quel cielo spoglio / di mare, abisso e ponte”. E’ questa la cenere, la terra, ma anche il mantra di una prospezione smorzata.
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Fabio Pusterla ha pubblicato, quasi contemporaneamente a Cenere, o terra, Una luce che non spegne, con il sottotitolo Luoghi, maestri e compagni di vita (Casagrande 2018): un libro corposo che raccoglie testi editi in rivista e in volume nel corso di decenni. Contro un generale appiattimento e la dimenticanza comune di ciò che le figure letterarie di riferimento hanno profuso, la responsabilità assunta è tutta nel repechage di chi fa parte della catena che non si spezza (esattamente come nei versi, seppure con un intento diversamente proporzionale), che è strumento di scavo nella grazia del presente e dell’interrelazione tra uomo e uomo, tra episodi di superficie, amicizia, passeggiate, e profondità di analisi, di letture. La luce della poesia in proprio si trasferisce in quella di chi, come atto di speranza ricambiato in gratitudine, ha insegnato e orientato il cammino. Persone, dunque, ma anche luoghi centrali: reali, interiori e culturali, su cui “le opere letterarie si sviluppano, si intrecciano, dialogano nel loro divenire”. Pusterla pone una domanda che lo stesso anconetano Franco Scataglini aveva messo al bando con il suo kantiano “che senso ha vivere qui e non altrove?”. “Da dove viene il lieve senso di spaesamento e inappartenenza che mi agita di fronte all’interrogativo? E come riesco ad accordare questa sensazione con la vita quotidiana, nella quale devo pur riconoscere di sentirmi a mio agio in tutti questi luoghi e di trovare in esso e nelle persone e nei paesaggi che posso incontrare qualcosa di importante, che senz’altro mi definisce?”. La Svizzera e l’Italia: da dove guardare? Da una zona di frontiera, da un limite, da una città, da una marginalità estesa da Chiasso a Lugano? Sarebbe la stessa cosa, in fondo? Un luogo selvaggio e un luogo urbano costituiscono il confine che obbliga a “non essere né qui né lì”. Afferma Fabio Pusterla: “La casa dove vivo è una vecchia casa di famiglia, costruita da un mio antenato all’inizio del secolo scorso e appollaiata a mezza costa sul lago di Lugano, ramo valsoldese”. L’acqua torna prepotentemente a riaffacciarsi, specie in Lombardia, terra di fiumi e laghi. Acqua corrente, di torrente, di canale, rivoli, acquitrini, acqua che occupa uno spazio del paesaggio spesso inabitabile.
Una luce femminile che non si spegne è quella, carissima, di Maria Corti. “Ogni tanto incrocio il suo sguardo, che mi fissa ironico da una fotografia appesa in cucina, e so bene cosa mi sta dicendo; mentre se squilla il telefono di domenica avverto ancora la vaga sensazione che provavo un tempo, quando intuivo che alzando la cornetta avrei potuto udire la sua voce che mi interrogava: cosa stavo facendo, studiando o scrivendo?”. Maria Corti: uno stimolo, una donna grande nella sua attività filologica, critica e letteraria. Un’insegnante particolare, curiosa, generosa, rigorosa, “sorprendente e affascinante”. Una maestra documentatissima, precisa, che sapeva mettere a nudo qualcosa di imprevedibile, l’incedere delle memorie, dei fantasmi che ne facevano una figura complessa, senz’altro creativa, con il seme narrativo che germogliò seppure tardivamente. Fabio Pusterla ritrae i luoghi di Maria Corti per la quale la città era innanzitutto un luogo mentale. La Valle Intelvi sul lago di Como, “con l’aria fresca quasi di montagna” e un’osteria dove si mangiava la polenta facevano parte di un itinerario ideale dove potevano rientrare anche Ulisse e Dante.
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Vittorio Sereni “memorabile e centrale”, i cui versi splendono come “aghi di tante piccole bussole”, dimostrano che Pusterla rielabora il Novecento partendo da scelte che gli stanno a cuore, annodando il secolo alla poesia che lo seduce di più, tanto che con Sereni parla di “insistente erotismo annodato a un annuncio di catastrofe”, trasformando l’identità dell’uomo in una paura ancestrale. L’attenta lettura lo porta a stabilire similitudini, mescolanze di alto e basso del linguaggio, lo scomponimento di elementi mobili, la precisione e la dissoluzione dell’immagine, la complessità culturale che ha pochi termini di paragone. Lo stesso avviene con Fernando Bandini, celebrato per il compimento dei suoi ottant’anni, che “da mezzo secolo rallegra un panorama talvolta plumbeo e serioso, con quella che Goffredo Fofi ha potuto definire mozartiana allegria”. Giorgio Orelli è considerato “una delle voci più alte e più riconoscibili della poesia italiana novecentesca”. Nei pochi titoli pubblicati Pusterla intravede una rara coerenza, così come nelle acute pagine critiche su Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Pascoli, Montale. Suono e significato erompono in uno “scavo vertiginoso e impietoso”. Tra gli altri poeti ineguagliabili il francese Ives Bonnefoy (tra i maggiori dell’epoca contemporanea), del quale Pusterla si è sempre stupito delle annotazioni a matita, delle sottolineature, dei commenti e degli appunti sui fogli. L’interrogazione della parola congloba la poesia con la meditazione sulla poesia e l’ammissione che non è affatto facile distinguere l’uno e l’altro aspetto. Il flusso simbolico del linguaggio, le figure primordiali, i “calibratissimi strumenti di precisione” dell’uomo, come il fuoco e la pietra (“lampi stellari”), formulano una coscienza critica distillata nel valore semantico, ma soprattutto nella perfezione e nell’imperfezione di un oggetto (“la materia senza ritorno”). La lingua è allusiva, rarefatta, sospesa in un moto universale, nell’onirica interpretazione della fine di un’epoca e dell’inizio di un tempo dell’immaginazione. Il cronotipo dell’incedere visivo di Bonnefoy stabilisce la cadenza in un viaggio di stazioni, in un effetto di echi che si sente appena e si perde nel nulla, nel magma delle azioni meccaniche. Il ritmo prescelto è dentro un luogo, in un evento ritagliato nell’apparizione di una veglia.
Quindi Pusterla cita Francesco Scarabicchi e Massimo Raffaeli, il loro scrivere come “gesto di conoscenza e di ricerca” in una vitalissima solitudine. Raffaeli prende in mano la bussola e segue la testimonianza del secolo breve e del terzo millennio lacerato e conflittuale, scrivendo in un modo perfino acustico, risonante tra aggettivazioni essenziali, perfette. La poesia del maestro Franco Scataglini, poeta isolato e tra i più significativi del Novecento, ha corroborato la crescita spirituale del marchigiano, determinando la visuale preferita: una viva autocoscienza, il privilegio e l’angoscia dello spazio-tempo, la denuncia del dolore e insieme il bisogno di sopravvivere, la marginalità sociale, una sorta di sussulto terrigeno e una tensione ansiogena di tipo esistenziale. Anche l’individualità di Scarabicchi orienta il passo di Pusterla, come è stato per gli scomparsi Remo Pagnanelli e Ferruccio Benzoni. Quest’ultimo in particolare, voleva scoprire un linguaggio suo e vantava, fortunatamente, dei padri letterari, una memoria storica con una luce e un’ombra aggettate da un’altra dimensione, dall’inverno allegorico, dallo stesso luogo dove stabilire un dialogo con gli assenti. Alla residenza anconetana di Scataglini, Scarabicchi e Raffaeli corrispondeva, negli anni Ottanta, “Sul Porto”, la rivista di Cesenatico, che dimostrava sapientemente come la periferia geografica potesse diventare centro poetico. Benzoni tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta ebbe rapporti continui e proficui con alcuni poeti di primo piano come Vittorio Sereni, Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini, Attilio Bertolucci, Giovanni Giudici e Giovanni Raboni.
Infine, Una luce che non si spegne, si sofferma sul critico Alfonso Berardinelli, sull’accusa diretta alla cultura di non conservare il respiro e il gusto della conversazione come “segno di realismo”, come necessaria mediazione. Il temperamento sulfureo mette in risalto le contraddizioni, gli errori, le miserie della società letteraria. Il critico e saggista romano provoca e Fabio Pusterla raccoglie questa provocazione. Commenta: “Si accolla il ruolo non facile e non simpatico della voce che canta fuori dal coro; anzi, che non canta affatto, e guarda agli altri cantare con una smorfia di fastidio e di disapprovazione”. Leggere i poeti italiani è davvero esasperante? La maggior parte della poesia di oggi è oscura, difficile? Non reggerebbe il confronto nemmeno con un buon articolo di giornale? Non si alimenta più con la vera tradizione? I giovani poeti sono così arroganti ed egocentrici? Berardinelli agisce con l’invettiva resa “provocazione attiva”, domanda di senso. Rimane l’iniziato che avvia un’azione democratica, che interroga l’altro per il piacere di far propria un’opinione attraverso la sfida. La lettura, in fondo, è un portale d’accesso, ci dice Pusterla, che chiosa: “Dopo un libro, dopo aver attraversato un vero libro, sai delle cose che prima non sapevi; la tua esperienza di vita si è in qualche modo potenziata, la tua conoscenza del mondo e degli altri è aumentata; ma insieme a queste cose si è fatta anche più nitida la tua coscienza di te”. Pusterla interpreta i minimi segni che si annidano tra le pagine, nei dialoghi, negli interrogativi dei letterati. Salda il mistero e la fede, la ragione della poesia. Si accorge che lo sguardo si posa dove vuole, così da rendersi conto che la vita ha un’originalità unica con la stessa conformazione dei paesi cari, del lago di Lugano “tortuoso come un fiordo e per questo ricco di straordinarie prospettive ed effetti di luce”. Una luce dolce e gentile, con i boschi dove fa irruzione, dall’alto, lo strepito dell’aquila.
Alessandro Moscè
L'articolo “E la gioia, chi ha rubato la gioia?”: discorso intorno alla poesia di Fabio Pusterla proviene da Pangea.
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