#La casa senza ricordi
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pier-carlo-universe · 4 hours ago
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La casa senza ricordi – Il thriller psicologico di Donato Carrisi che scava nella mente umana. Recensione di Alessandria today
Un viaggio inquietante tra ipnosi, memoria e illusioni
Un viaggio inquietante tra ipnosi, memoria e illusioni Donato Carrisi, maestro del thriller psicologico, torna con La casa senza ricordi, il secondo libro della serie dedicata a Pietro Gerber, l’ipnotista noto come “l’addormentatore di bambini”. Un romanzo che esplora il confine tra coscienza e inconscio, tra realtà e suggestione, in una storia che tiene il lettore sospeso fino all’ultima…
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ilpensatoredellaminchia · 3 days ago
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dicono tutti che fuori si sta meglio. dicono tutti che in italia non ci sia lavoro e che fuori sia tutto perfetto. la verità è che chi non lo ha mai provato non ha la minima idea di come cazzo sia vivere all'estero. e non parlo dei sei mesi di erasmus di cui praticamente non ricordi un cazzo perché eri sbronzo cinque giorni su sette. parlo di provare a vivere veramente in uno stato che non sia il tuo, parlo di vivere veramente da "straniero". ci sono una serie infinita di meccanismi che si attivano che voi non avete neanche idea di che cazzo stia parlando. il problema più grosso rimane e rimarrà sempre il lato sociale.per chi non fa altro che sperare di andarsene dall'Italia perché non c'ha una lira e crede che fuori ti tirino i soldi li direi di fermarsi un po' a pensare che cosa sta facendo prima di partire veramente. forse il problema sta anche nel fatto che io non ho mai avuto problemi di soldi e non ho mai avuto problemi ad arrivare a fine mese, può essere. ma l'incompatibilità che provo quotidianamente da sette anni con il popolo con cui vivo non avete idea di cosa sia. la settimana scorsa sono stata mezza giornata a Verona e mi sono ritrovata per caso su una strada qualunque e stavo bene. io non sto mai bene. la gente attorno a me era sulla strada, stava fuori, all'aperto, era sulla strada e faceva chiasso. la gente parlava ad alta voce, le macchine andavano di qua e di la, i bus si fermavano alla fermata in cima alla strada. c'erano macchine, vespe, bus e tanta tanta gente fuori sulla strada che camminava e andava a passeggio. ed era tutto bello. la gente sembrava proprio felice. c'era quell'odore di estate che si sentiva a scuola verso fine maggio. quando alle nove c'era ancora il sole e la gente era felice. felice. cazzo che bella che era la vita. se solo avessi fatto qualcosa o tutto diversamente. se solo avessi capito quanto sarebbe stato poi difficile rivivere momenti come quelli.
con chiunque parli e dica che voglio tornare mi guarda malissimo e mi riempie di frasi senza fine per farmi capire di quanto si stia male qua. gli unici che mi capiscono sono quei poveri sfigati come me, che vivono incastrati in un posto che da fuori sembra incantato, invidiato da tutti ma che poi dall'interno è pieno di cose che non vanno. inutile quanto tu ci provi ma questa non è casa tua e mai lo sarà. e sinceramente, ti dirò, va anche bene. va anche bene perché io non ho più nessunissima intenzione di 'integrarmi', anche se questa parola alla fine non vuol dire un cazzo. sono pochissimi i tedeschi o gli austriaci con cui esco volentieri nel mio tempo libero, forse due, e uno di questi è il classico austriaco estremamente impacciato e timido che mi mette totalmente a disagio e con cui esco due volte all'anno perché è il mio massimo livello antidisagio. non è una brutta persona, ma semplicemente 'non funzioniamo', non c'è vibe come direbbe mio fratello da figo. e ripeto va bene perché lo ho capito da tipo due anni che per vivere da voi non devo necessariamente vivere con voi. ma già dietro questa frase si capisce il livello di solitudine estrema di una persona. vivo in austria e non ho nessun legame profondo/serio con nessun austriaco. condizione che, lo dico per sentirmi meglio, è condivisa da circa 2 su 3 degli stranieri residenti in austria. ovviamente non sono sola, ho conoscenti e amici. credo che però qualunque persona normale capisca che non sia proprio il massimo. la mia vita a 27 anni è totalmente differente rispetto a quello che mi ero immaginata. e quindi decidi di restare in un posto che non ha nulla, ma proprio nulla a che fare con te, ma dove però funziona bene o male tutto e dove hai un lavoro. il mio lavoro in Italia neanche esiste o meglio si c'è, ma la maggior parte delle volte è su base volontaria o gestito da Onlus che ti pagano male e poco, se ti pagano. mesi fa ho conosciuto questa ragazza che ha fatto lo stesso mio lavoro ma in Calabria. le sono arrivati i soldi dello stipendio cinque mesi dopo. io con il mio lavoro arrivo a 2000/2100 mensili netti. questa prendeva si e no 1200 al mese.
dove vivo io fanno tutti sport. ho sempre trovato gli austriaci molto poco attraenti ma hanno tutti dei fisici quasi perfetti. la gente continua a fare sport. è l'unica cosa che puoi fare. vai al lavoro e dalle 5 in poi ti chiudi da solo con le tue cuffiette in mezzo ad altri 100 depressi per due ore in palestra. non c'è altro. il weekend esci per modo di dire... fai una passeggiata il sabato, se hai fortuna trovi qualcuno con cui mangiare insieme anche a cena. la domenica non ve la descrivo neanche. per chi non è mai uscito dall'Italia prima la domenica in una paese germanofono è un'esperienza surreale. la domenica qui è il giorno per la famiglia, nonostante io mi chieda che cazzo faccia una famiglia di cinque tutta la domenica chiusa in un appartamento da 60 mq dato che trovare qualcosa da fare è impensabile. è tutto chiuso. a Vienna la domenica ci sono 4 supermercati aperti in tutta la città. l'unica cosa che puoi fare la domenica è indovina cosa? sport. O andare magari al cinema due ore il pomeriggio.
chi vive in questi posti e ha origini mediterranee, africane o viene dal medio oriente vive una vita a metà. la cultura di questi posti non ha assolutamente nulla a che fare con la nostra essenza. la gente è di un piatto che non si può descrivere. esattamente come le loro domeniche.
secondo me l'unico modo di sopravvivere più o meno bene e quella di trovarvi un partner. se state pensando di andarvene non fatelo da soli. in questi sette anni ho visto tanta di quella gente venire qua e vivere i primi due anni in una sorta di trance psichedelica perché guadagnavano 3000 euro al mese e poi al terzo anno cadere in una depressione pesante a causa della solitudine che ti offrono questi posti. non è una solitudine che si può spiegare. passi la tua esistenza in maniera alienante in mezzo a persone da tutto il mondo che sai che prima o poi se ne andranno per non tornare più e poi ricominci a conoscere sempre nuova gente e così via in in ciclo infinito di cene e pomeriggi passati a parlare del più e del meno con gente che sai che non si fermerà mai nella tua vita e con cui appunto non puoi che parlare del tempo
i primi quattro anni che stavo qua pensavo sempre che più sarebbe passato il tempo più mi sarei abituata e avrei fatto meno fatica. sinceramente ho sempre pensato che l'integrazione andasse a pari passo con la lingua. che gran cazzata. ora so la lingua e bene o male so dire tutto ma faccio più fatica ogni giorno che passa. e ogni volta che parlo con qualcuno che vive qui da anni come me mi confermano la stessa cosa. dieci anni fa mai e poi mai mi sarei immaginata di fare questa vita qua.
nessun di noi sta male male. hai uno stipendio, se sei fortunato fai pure un lavoro che ti piace, hai le tue cinque settimane di ferie all'anno, hai il tuo appartamento, hai il tuo cerchio di amicizie, hai l'amico argentino che fa sempre figo tornare a casa a natale e parlare allo zio che non è mai andato oltre Trento dell'amico argentino eppure vivi sempre a metà e tutto ciò è impossibile da spiegare a chi non viva o abbia vissuto nella stessa situazione.
boh. come tutta la mia vita, boh
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angelap3 · 4 months ago
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«Quando piove lento, lento
e fa freddo e tira vento
nella casa sta il bambino
nel suo nido l’uccellino
nella cuccia il cagnolino
presso il fuoco il mio gattino
nella tana il topolino…
E il ranocchio senza ombrello?
Sotto il fungo sta bel bello!
Piove, piove ci vuol l’ombrello
spero che torni il tempo bello!»
(Oreste Cicogna - Quando piove)
Ricordi,quelli belli...me la raccontava mia Madre❤️
NO REBLOG, GRAZIE!!!!!
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fioredialabastro · 1 month ago
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Per il gioco del ricordo, io scelgo il numero 24: cartoni animati. :)
Buongiorno! 🌷 Grazie per la domanda! ☺️
Dunque, di ricordi annessi ai cartoni animati ne ho tanti, ma alla fine ho scelto Spirit - Cavallo selvaggio (2002), perché mi rimembra i primi anni in cui mi ero trasferita con i miei genitori a ottocento chilometri di distanza dalla casa dei nonni, dove avevo trascorso gli esordi della mia infanzia. All'epoca i prodotti della Mulino Bianco proponevano come sorprese all'interno delle confezioni dei giochi a tema Spirit, ovvero i totem, i trucchi per il viso e le cartoline. Ricordo di aver costruito non so quanti totem e di aver programmato nei minimi dettagli il mio viaggio nel Parco dello Yellowstone, perché il mio sogno era vedere dal vivo tutte le meraviglie naturalistiche e faunistiche del territorio, in groppa ad un cavallo della prateria, uguale a Pioggia, sfidando le aquile e il vento, e sperando di incontrare un nativo come Piccolo Fiume, per il quale avevo un'infatuazione. Tuttavia, erano le cartoline quelle che mi piacevano di più, perché le spedivo ai nonni assieme alle lettere, e loro ricambiavano con altre cartoline a tema Spirit. Così, in quelle poche righe a disposizione, ci raccontavamo quelle cose che a telefono non si riescono a dire senza piangere, come "ci manchi" e "quando sarò grande vi porterò con me nel Parco dello Yellowstone". Tutt'ora Spirit è uno dei miei film d'animazione preferiti; non solo perché è obiettivamente un capolavoro, ancora ad una ventina d'anni di distanza, ma anche e soprattutto perché incarna un periodo della mia vita emotivamente intenso e difficile, pieno di bellezza e malinconia. Alla fine i nonni dopo qualche anno si trasferirono vicino a noi e la lontananza si annullò. Come promesso, mi vestii da nativa americana e li condussi nel salone di casa, che si trasformò nello Yellowstone. Non so se un giorno riuscirò mai a visitare quel parco, quello vero; di sicuro, qualora avvenisse, gli spedirò una cartolina, ovunque saranno.
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empito · 19 days ago
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Ci sono abbracci che non si possono chiedere a chiunque. Sono quei gesti che nascono spontanei, che parlano senza parole, che avvolgono l'anima oltre che il corpo. Non è solo il contatto delle braccia, ma l'intreccio di due cuori che, per un istante, battono all'unisono. Cerchi quel calore che solo poche persone sanno dare, quella sincerità che si percepisce subito, come un soffio di vento tiepido in una giornata invernale. Cammini tra la folla, circondato da volti sconosciuti, ognuno immerso nel proprio mondo. Eppure, tra mille sguardi, ne cerchi uno solo. Un sorriso familiare, un gesto che rompe la barriera dell'indifferenza. Sai che non puoi aprirti con chiunque, che certe emozioni sono preziose e vanno custodite. Un abbraccio può essere rifugio, consolazione, gioia pura. Ma solo se viene da chi ha saputo entrare nel tuo mondo, comprendere le tue silenziose malinconie, celebrare le tue piccole vittorie. Ricordi quel giorno in cui, sotto una pioggia battente, le parole non bastavano. E allora, senza pensarci, hai stretto quella persona a te. In quell'istante, ogni goccia d'acqua sembrava svanire, lasciando spazio a un calore indescrivibile. Non avresti potuto fare lo stesso con chiunque altro. Perché certi momenti sono unici, irripetibili, e appartengono solo a chi ha saputo guadagnarsi un posto nel tuo cuore. Non è arroganza, né chiusura. È la consapevolezza che non tutti possono comprendere la profondità di un abbraccio sincero. Che non tutti sanno ascoltare il silenzio che segue, quel tacito dialogo tra anime affini. E così, aspetti. Aspetti chi, con un semplice gesto, sa farti sentire a casa, ovunque tu sia. Perché in fondo, ciò che cerchi non è solo un abbraccio, ma la connessione autentica che esso rappresenta.
Empito
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messaggioinbottiglia · 1 month ago
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Continuo a cambiare gli LP sul piatto del giradischi. Mi vengono in mente le stanche giornate dell'adolescenza e tutte le ripetizioni fatte per poter acquistare la musica analogica. Ripenso ai pomeriggi in cui mi stendevo sul tappeto del seminterrato, alle linee che increspavano l'intonaco del soffitto e a quelle che fratturavano, nel frattempo, i confini della mia stessa mente.
Un giorno capitò che entrasti in casa senza fare rumore e mi sorprendesti là, con gli occhi chiusi. Senza proferir parola ti mettesti di fianco al mio corpo. Mi prendesti la mano con delicatezza. Ti ricordi cosa dicesti? Soltanto di restare così ancora un po'.
Da allora non ho più saputo stendermi sul tappeto.
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worldofdarkmoods · 3 months ago
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Ci sono amicizie che, per un tempo, sembrano l’universo intero. Persone che entrano nella nostra vita con un impatto devastante, come stelle cadenti che illuminano ogni angolo della nostra esistenza. Con loro, condividiamo segreti, pensieri, speranze e dolori, intrecciando le nostre vite come se nulla potesse mai scioglierle. Ci convinciamo che quei legami, così profondi e preziosi, dureranno per sempre. E poi, un giorno, senza un motivo chiaro, senza un segnale evidente, le strade iniziano a divergere. Passano giorni, mesi, anni, e quella presenza fondamentale si allontana, fino a diventare solo un’ombra lontana.
All'inizio, fa male. Un dolore acuto, come una ferita aperta che non sembra voler guarire. Ogni luogo sembra risuonare della loro assenza, ogni oggetto un richiamo ai momenti passati insieme. Era come vivere in una casa piena di fotografie di un tempo che non esiste più, ma da cui è impossibile distogliere lo sguardo. Tutto sembrava richiamare quella persona, ogni piccolo dettaglio, anche quelli che un tempo sembravano insignificanti. Ogni sorriso, ogni risata, ogni segreto condiviso diventava un nodo in gola, un peso nel cuore. Era come camminare in una casa dove le pareti sono ricoperte di ricordi che non vuoi dimenticare, ma che fanno male ogni volta che li osservi.
Col tempo, però, il dolore si smussa. Non scompare, ma diventa una presenza silenziosa, una sorta di eco lontano che non lacera più, ma che fa parte di noi. È strano, quasi spaventoso, rendersi conto di come il cuore impari a convivere con il vuoto, di come l’assenza si fonda con la nostra normalità. E ci si sorprende nel ritrovare una parvenza di serenità anche senza quella persona che, un tempo, sembrava indispensabile.
Ma forse la cosa più dolorosa, quella che ci spaventa di più, è proprio la facilità con cui il cuore si abitua. Guardarsi allo specchio e rendersi conto che quel legame, un tempo così intenso, ora è diventato una presenza sfocata, un ricordo che non riesce più a suscitare le stesse emozioni di una volta. È un pensiero che ci fa sentire fragili, vulnerabili. Come se la nostra stessa capacità di amare, di creare legami profondi, fosse in realtà limitata, destinata a consumarsi con il tempo.
È spaventoso pensare a quanto tutto sia effimero, a come le persone che hanno significato tutto possano diventare niente. È come vivere in un mondo fatto di sabbia, dove ogni passo che lasciamo dietro di noi viene lentamente cancellato dal vento. Ci spaventa la consapevolezza che anche i legami più forti possano svanire, che l’affetto e l’amore possano trasformarsi in ricordi sempre più vaghi, fino a dissolversi completamente.
E così, impariamo a convivere con questo vuoto. Impariamo ad abitare una casa spoglia, a riempire le nostre giornate di gesti nuovi, di volti nuovi. Eppure, ogni tanto, quando meno ce lo aspettiamo, il passato torna a bussare alla porta. Basta un profumo, una canzone, un luogo particolare, e tutto quel dolore che sembrava addormentato si risveglia, ricordandoci di quanto abbiamo amato e perso. È un dolore che non ci travolge più, ma che si insinua piano, come un’ombra che non possiamo scacciare del tutto.
A volte mi domando se sia giusto così, se sia giusto accettare che anche le persone più importanti possano svanire come nebbia al sole. Mi domando se sia possibile costruire qualcosa di eterno, o se siamo destinati a perdere, a dimenticare, a trasformare tutto in ricordi. Ma forse, il senso di tutto questo sta proprio qui: nell’accettare che ogni incontro, ogni legame, è una parte del nostro cammino, una tappa preziosa che ci arricchisce e ci cambia, anche se non sarà per sempre.
E così, continuiamo a camminare. Portiamo con noi i frammenti di quelle persone, di quei momenti, anche se ormai sono solo ombre nel nostro passato. Forse, alla fine, ciò che conta non è quanto dura un legame, ma quanto ci ha fatto sentire vivi, quanto ci ha permesso di scoprire parti di noi che non conoscevamo. Forse è questo il dono che ci lasciano le amicizie passate: la consapevolezza di essere stati amati, di aver vissuto qualcosa di unico, anche se solo per un breve istante.
E in questo silenzio, in questo vuoto che a volte sembra pesare troppo, continuiamo a camminare
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ambrenoir · 21 days ago
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"Un giorno la strada finisce.
I piatti restano nel lavandino,
la TV resta accesa,
il libro rimane aperto su una pagina
che non verrà più girata.
La strada è finita.
Vestiti nell'armadio,
lenzuola piegate, casa pulita, asciugamano sul letto,
mobile nello stesso posto.
La strada è finita.
Ciabatte all'ingresso della porta,
tavolo apparecchiato,
caffè freddo nella tazza,
ritratto polveroso,
lista in frigorifero.
La strada è finita.
Coloro che ho ferito continueranno
a camminare e forse non si
ricorderanno più di me.
La strada, la mia strada, finisce.
E arriveranno nuove primavere,
nuovi germogli sorgeranno
e le stagioni continueranno a
cambiare, senza di me.
E ci saranno partenze e arrivi, incontri
e addii, nuovi amori, nuovi amici
e ricostruzioni.
La vita continuerà senza di me.
E oggi, finché posso respirare,
la mia preghiera più bella è:
se niente porterò via da qui,
che io sappia lasciare bei ricordi
nel cuore delle persone. "
Autore ignoto
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unbiviosicuro · 4 months ago
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a volte mi sforzo di ricordare le istantanee che ho nascoste dentro della mia prima volta a Reggio Emilia una fredda domenica di novembre del 2021. passai sicuramente davanti alla mia attuale casa, e poi ricordo bene piazza Prampolini, dove c'era un mercato, e i portici deserti della Via Emilia, e poi mi ricordo anche di esser passata dalla metafisica piazza Martiri, in un giro ad anello dalla stazione alla stazione pensando che quel vuoto fosse strano e bello. ora il vuoto di piazza Martiri è una delle mie cose preferite, soprattutto quando le fontane sono spente e si può immaginare di correre e ballare senza ostacoli; e ho già dei ricordi che la attraversano in tante direzioni, con una luce tutta diversa, anche spesso notturna. mi piace Reggio di sera, mi piace molto soprattutto questa sera mentre siedo qui a vedere il blu arrivare a questa temperatura perfetta di un venerdì di ottobre, questa istantanea di transizione, tra il 2021 e la vita che verrà
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raccontidialiantis · 3 months ago
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Ti scrivo: “preparati e vieni qui”
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Mi devi obbedire. Ricorda sempre che tu sei un semplice strumento di voluttà, per me. Quando ti contatto, qualsiasi cosa tu stia facendo tu trova una scusa e corri a casa mia: siamo vicini di pianerottolo, dopotutto. Perché devi essere sempre pronta per me. E appena arrivi, dovrai disporti subito nella posizione più opportuna, per offrirmi rapidamente qualsiasi parte del corpo io ti chieda per ottenere il mio egoistico piacere.
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Se ti ordino di aprirti, tu ti apri: culo o fica. E accetti il mio membro in corpo senza fare un fiato. Se ti comando di succhiare, tu senza protestare apri la bocca e ti ci infili il mio uccello. Slingui, succhi, giochi e poi vai fino in fondo, mi lecchi a lungo palle e asta. Infine da brava troia anziana, avida e golosa di cazzo, mi fai sborrare nella tua gola. Devi ingoiare il mio seme: tutto e senza fiatare. Non scordare mai che dovrai farmi sempre provare il massimo del piacere, da brava schiava.
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Non tollererò una tua performance senza passione. Mi devi far capire in ogni momento che mi adori e che decisamente non puoi stare senza il mio cazzo. Devi ringraziarmi se ti do attenzione, se ti elargisco le mie carezze e se ti trovo sufficientemente attraente per i miei gusti di maschio molto schizzinoso. No: non ho tempo di stare a sentire le tue storie di casalinga frustrata e moglie repressa, da anni non più degnata di uno sguardo carico di libidine da parte di un marito spento.
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Non voglio sapere dei sacrifici che fai da anni, dei rospi che ti fa ingoiare tua suocera, dei figli difficili da gestire, delle difficoltà economiche. Da te voglio solo sesso. Tanto e coinvolgente. Solo dopo che avrò goduto a sufficienza, potrai aprire quella porta e tornartene a casa tua. Devi essere sempre pronta a toglierti slip e reggiseno con rapidità, quando vieni da me. Vesti comode, mi raccomando: sempre.
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Solo queste cose sono importanti. Non mi interessano i tuoi gusti in fatto di arte, musica, cinema o il fatto che tu malgrado tutto sia impegnata socialmente e faccia del bene a molte persone. Tutte cose lodevoli, per carità. Ma di te apprezzo solo i lavori di bocca, il culo, la fica e soprattutto le tue incredibili mammelle un po’ morbide. Che adoro letteralmente: faccio l’amore con te soprattutto per loro! Certo: poi adoro riempirti di sborra e sentire che ti piace prendere il mio cazzo in corpo. Corpo che comunque tu ti lavi, profuma sempre di ragù e spray per i vetri. Ti adoro.
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Oh, le tue tette, poi! Mi fanno impazzire, col loro odore, con quel benedetto sapore di casalinga trascurata, perciò vogliosa di membro maschile e le tue areole marrone scuro, grandi e un po’ slabbrate. E i capezzoloni larghi e alti… Mi ricordi madame Mireille, una donna separata di mezz’età da cui avevo affittato una stanza quando ero ragazzo e studiavo a Nantes. Una vecchia puttana francese che dopo tante mie velate proposte, subito diventate dichiarate insistenze verbali e infine dopo aver subito un mio vero e proprio assalto fisico, aveva finalmente ceduto e preso a godere del mio uccello sempre a caccia di fregna, perennemente duro e giovane.
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Dopo averlo provato la prima volta, ogni giorno non vedeva l’ora che tornassi a casa. Con lei mi intrattenevo piacevolmente, nelle altrimenti noiose serate invernali. Come iniziò, mi chiedi? Be’, Mireille era una persona pulita, una donna cattolica di sani principi. Integerrima ex segretaria d’azienda in pensione. Molto morigerata: solo casa, spesa e chiesa. Sin dal mio arrivo lei fu molto contenta di avermi attorno: arrotondava così la pensione e aveva finalmente qualcuno di cui prendersi cura e con cui scambiare due chiacchiere. Però io, perfido e sempre affamato di passera, l’avevo fatta immediatamente diventare piena di mille scrupoli.
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Arrossiva sempre, quando senza mezzi termini le dicevo che era una bella topa e che mi piaceva veramente tanto. Però, anche se sorridendo e gongolando tra sé mi diceva “smettila scemo”, da quando aveva in casa un giovane impegnato in qualche misura a dedicarle delle attenzioni di natura sessuale, prese comunque a truccarsi e curarsi molto di più. Odorava di pulito e usava un profumo di classe.
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La desideravo sempre più, malgrado l’enorme differenza d’età. Un pomeriggio in cui avevo proprio una voglia incredibile di svuotarmi dentro di lei e fuori nevicava da fine del mondo, le andai dietro, le bloccai la vita con un braccio, infilai direttamente la mano sotto la gonna e a seguire un dito nel culo. Era ora che si sbloccasse la situazione, tra noi due. E alle brutte al massimo avrei rimediato uno sberlone. Ero però sicuro che avrebbe ceduto immediatamente.
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Sentendo il suo culo improvvisamente violato, si fece rossa come un tizzone e sgranò gli occhi. Come osa questo sbarbatello… che non smetta mai, però: anzi… Per tre secondi rimase paralizzata e indecisa sul comportamento da tenere. Io, cattivissimo, insistevo a fotterla col dito medio infilato nel suo culo fino in fondo. Si decise e optò per godersela.
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In quel brevissimo lasso di tempo prese coscienza del fatto che non stava certo ringiovanendo e che un’occasione così unica forse gliela stava inviando il cielo. Un giovane italiano, bello, robusto e desideroso di infilarglielo ovunque. Che per giunta era sempre a disposizione e... bello duro che girava in casa sua!
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Poi mi disse che capì che era arrivato il momento che cedesse al suo segreto desiderio del mio corpo di ragazzo e che comunque si vive una volta sola. Quindi sentii chiaramente il suo ano rilassarsi, aprirsi alle mie altre due dita, che lesto le infilai dentro le chiappe insieme al medio per prepararla e vidi i suoi larghi e morbidi fianchi muoversi e ondeggiare, al ritmo delle vampate di un inatteso e dimenticato piacere che stava finalmente provando.
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Chiuse gli occhi e si chinò in avanti, appoggiandosi al tavolo da pranzo. Dopo un po’ tolse le mutandine, sollevò la gonna e tornò in posizione allargando le gambe. Inarcando la schiena, sollevò i fianchi, aprì completamente le natiche davanti ai miei occhi e disse solo: “va bene, te lo consento; ti voglio anche io, ragazzo. Sono pronta per te, però per favore fammi il servizio completo. Portami a godere. Saprò ricambiarti, vedrai.”
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La inculai con vigore, con spinte potenti e lei godette come non le succedeva da anni. Finalmente, dopo tanta astinenza e triste piacere solitario, lanciava grida soffocate di piacere nel sentire le spinte e i getti potenti di un uomo che le invadevano le viscere. La stantuffavo nel culo e lei assecondava con esperienza. Era veramente una troia insaziabile: ne voleva ancora e ancora. Una vera porca risvegliata dal torpore.
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Mi spompò già col culo: allargava l’ano arretrando sul mio inguine di continuo. Poi mi tratteneva dentro stringendo il buco del culo al massimo. Infine, dopo mezz’ora di frizione incessante nel suo ano che mi avevano arrossato il cazzo, volle anche farmi un pompino. Esausto, riuscii a farla calmare solo promettendole che avrei dormito con lei quella stessa notte e anche quando altro avesse voluto.
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Da quel momento in casa non me la potetti più scrollare di dosso. Di mattina, prima che andassi all’università, voleva sempre scopare. Era magicamente ringiovanita. Però non mi lamentavo: raddoppiò la razione di cibo giornaliera. Lo faceva per tenermi in ottima forma, carico di energia. Mi disse anche che sperava così di farmi produrre enormi quantità di sborra. Ambrosia d’uomo che prediligeva inghiottire. In massima parte la sorbiva con gran godimento ogni sera dopo cena sotto al tavolo.
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Infatti, mentre io ero ancora seduto a mangiare un frutto o il dolce, regolarmente e improvvisamente lei scompariva sotto la tovaglia e prendeva dal mio corpo quello che lei chiamava il suo digestivo preferito. Ecco perché mi piacciono le casalinghe frustrate e mature. No, il fatto che tu abbia sessant’anni suonati non è un ostacolo. Anzi: ti preferisco, perché sai esattamente come far godere un uomo. E apprezzi il sesso. Adesso più che a vent’anni. Lo capisco e lo sento chiaramente in te: perché ti sento vibrare di passione purissima quando ti scopo o t’entro nel culo. Vieni qui e succhiami, ora. Bevi tutto ciò che produrrò per te.
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RDA
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miciagalattica · 1 month ago
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Un sogno che sembrava troppo reale
PARTE QUARTA
Valgono le stesse avvertenze descritte nella parte prima.
Ebbi una notte molto tormentata, non facevo altro che girarmi e rigirarmi nel letto. Arrivò la mattina, e il mio primo pensiero fu per Dicky e di quello che mi aveva fatto la notte precedente, non mi ero mai sentita così posseduta, mai così femmina. Aveva preso quello che voleva e il peggio era che io gli avevo lasciato fare. Mi ero promessa che quello che era successo non sarebbe più accaduto. “Farò finta che non sia mai accaduto”. Cercai con tutte le forze di scacciare quei ricordi, mentre di contro fui pervasa da una vampata di calore. La cosa che dovevo fare era una doccia, scesi dal letto, andai in bagno e iniziai a farmi una doccia fredda, volevo punirmi e allo stesso tempo scacciare dalla mente quei pensieri caldi. Mi lavai in modo compulsivo, ma non riuscivo a lavarmi dentro, lavarmi la colpa di averglielo lasciato fare e aver goduto immensamente. Mi rivestii rapidamente, uscii dalla camera e nervosamente mi diressi in cucina. Dicky mi vide entrare e saltò in piedi, scodinzolando avidamente. Lo ignorai, gettai giù del cibo e dell'acqua e mi diressi alla porta e uscii.  Avevo bisogno di schiarirmi le idee e di trascorrere una giornata normale. Dopo aver fatto alcune commissioni, tornai a casa per fa uscire la bestia. Appena mi vide iniziò a fare le feste, lo ignorai, gli agganciai il guinzaglio al colletto e lo portai fuori a far le sue cose, non appena finito i suoi bisogni lo riaccompagnai a casa. Mi sentivo come se mi stessi nascondendo, mi proposi di tornare a casa e di comportarmi normalmente. Dicky mi seguiva ovunque nella casa, era la mia ombra. Gli intimai di smetterla, ma lui era refrattario a qualsiasi rimprovero. Giacché non me lo toglievo di dosso, andai in camera chiudendogli la porta sul muso. Era chiaro che mi volesse ancora, rabbrividii. Cominciò a graffiare la porta, mi sentivo prigioniera, ero terrorizzata e allo stesso tempo emozionata. Sapevo perfettamente che cosa volesse. Approfittando di un momento di pausa uscii dalla camera, appena mi vide Dicky mi s’incollò addosso e non mi lasciò mai sola, se solo mi fermavo un momento il suo muso mi sondava subito l’inguine, anche se indossavo pantaloni della tuta spessi, mi ritrovai a spingergli costantemente via il muso. Era tutto sconcertante e allo stesso modo conturbante. Il mio sguardo andava a finire sempre su quella punta rosa, e questo mi produceva un’eccitazione irrefrenabile, ero costantemente umida. Man mano che continuavo a spingerlo la mia resistenza ai suoi attacchi era sempre più debole, lasciavo che il suo muso indugiasse ogni volta un po’ più a lungo. Tutto era inquietantemente erotico. Ormai si era insinuato nella mia mente, era il mio chiodo fisso e il cane diventava sempre più fuori controllo.
Tutto questo durò per alcuni giorni ancora. Ormai sapevo che non sarei riuscita a resistere ancora per molto, sapevo che Dicky voleva scoparmi ancora e avevo paura che alla fine glielo avrei permesso. Lo respingevo senza troppo convinzione, le mie difese stavano venendo meno. Per calmarmi i nervi bevevo qualche bicchierino di scotch. Alla fine esausta di quella situazione cercai di trovare qualcosa che calmasse il suo stato di eccitazione continua. Cominciai a strofinargli la pancia, cosa che apprezzò molto, si sdraiò e mi fece fare. Fui incoraggiata dalla sua collaborazione. Proseguii fino ad accarezzare la sua erezione. Era perversamente piacevole sentirlo pulsare e crescere nella mia mano. Sentii il suo respiro accelerare, mentre le prime gocce di pre-sperma cominciavano a fluire sulla sua punta rosa e appuntita. Ero eccitatissima mentre sentivo l’animale rispondere, ma improvvisamente Dicky si alzò e mise la sua zampa sul mio seno e spinse fino a farmi cadere all’indietro. L’animale fu immediatamente tra le mie gambe e con il muso sondò rendendosi conto di quanto fossi eccitata, mi sentii avvolta in una nebbia di lussuria. Ero come un automa in preda a qualcun altro che agiva per me, mi tolsi i pantaloni e le mutandine, così ero completamente accessibile. La lingua spessa del cane mi stava lambendo e mi senti i esplodere in un orgasmo strabiliante e duraturo. Ero completamente sopraffatta dalle sensazioni. Dopo che sono venuta Dicky smise di leccarmi e aveva spostato la testa di lato, dandomi un colpetto sul fianco. Pensai: "Vuole che mi giri, così può scoparmi", gemetti, "come una cagna ." Mi ritrovai a obbedire, rotolando e alzandomi in ginocchio. Sentì il suo peso, arrampicarsi sulla schiena, spinsi la testa e le spalle verso il pavimento. Sentii la sua forza mentre mi afferrava per i fianchi e strisciava verso di me. Sentii la punta affilata e umida del suo cazzo mentre si faceva strada tra le mie gambe, forzando, sondando. Dicky trovò il punto e scivolò dentro, mi sentivo presa, presa come una cagna. Il cane spingeva con impazienza mi sentivo inorridita e allo stesso tempo emozionata, sconvolta ed elettrizzata. Senti qualcosa di grande... che spingeva al suo ingresso, era il suo nodo che si faceva strada, a quel punto esplosi in un orgasmo spaventosamente intenso e sentii il suo sperma caldo iniziare a ribollire dentro di me. Dick si immobilizzò, riuscivo a sentire il suo calore pulsare dentro di me, mentre riuscivo ad avere una serie di orgasmi più piccoli, ma comunque intensi, sentendo i fluidi iniziare a fuoriuscire e gocciolare lungo le mie cosce, venni di nuovo.  È stato spaventoso ed estremamente erotico allo stesso tempo. Ho provato ad allontanarmi e non ci sono riuscita. Mi sono sentita impazzire e sono venuta di nuovo. Era così intenso essere così fuori controllo. Dicky era incastrato in me con il suo nodo e non potevo farci niente, dovevo aspettare finché non avesse finito. Fu molto umiliante ma straordinario. Sembrava che la scopata continuasse all'infinito ero attaccata a Lui e sentivo che mi stava, riempiendo e mi sentivo perdermi nella pura sensualità animale. Mi sentivo totalmente posseduta dall'insistente forza animale, presa come una vera cagna. Alla fine tutto finì, Dicky scivolò fuori e se ne andò. Sentì i suoi succhi fluire fuori di me lungo l'interno delle mie cosce, innegabilmente. Sentì i graffi sui miei fianchi quando venivo posseduta. Sapevo nel mio cuore che per me non sarebbe più stato lo stesso, non potevo annullare ciò che avevo fatto. Quell’animale mi aveva portata in un luogo sessuale che non sapevo di avere dentro di me. E lei glielo avevo permesso. E sapevo... che glielo avrei permesso di nuovo.
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ruzzologiu · 4 months ago
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Lel
Ci sono persone che non lasciano mai veramente la nostra vita, anche quando non ci sono più. Lel è una di queste. Non importa quanto tempo sia passato, quante persone siano entrate e uscite dal mio mondo. Lei rimane lì, come un’eco costante, un pensiero che torna ogni volta che il cuore cerca rifugio in ricordi lontani. E ogni volta che la mia mente si ferma su di lei, mi ritrovo a rivivere tutto.
Lel era il mio primo amore. Il primo vero amore, quello che ti esplode dentro senza preavviso, che ti travolge come un’onda e ti trascina con sé, senza lasciarti il tempo di capire, di resistere. Non sapevo come comportarmi, non ero pronto. E neanche lei lo era. Eravamo due anime acerbe, immature, intrappolate in una relazione che ci consumava e ci faceva male, ma dalla quale non riuscivamo a staccarci. Ci amavamo tanto, ma non sapevamo come farlo bene.
C’erano momenti di pura felicità, attimi in cui mi sembrava di vivere in un altro mondo, uno dove esistevamo solo io e lei. Quegli attimi erano carichi di passione, di una tensione che solo chi ha amato per la prima volta può capire. Ogni tocco, ogni sguardo, ogni parola sembrava portare con sé un significato nascosto, un’intensità che faceva male, ma che era irresistibile.
Ma c’erano anche le ombre. Le provocazioni, i tradimenti, le incomprensioni. Eravamo troppo giovani per capire quando fermarci, troppo orgogliosi per chiedere scusa, troppo pieni di noi stessi per riconoscere i nostri errori. Litigavamo spesso, ci facevamo male con le parole, con i silenzi. Eppure, ogni volta tornavamo insieme, come se non potessimo farne a meno. Era come un vortice, una spirale che ci risucchiava, ci teneva legati, anche quando sapevamo che ci stavamo distruggendo.
Le discussioni sotto casa sua erano diventate un rituale. Ogni volta che qualcosa non andava, scendevamo per strada, sotto quell’albero che aveva ascoltato troppi dei nostri segreti, delle nostre paure. Ci guardavamo, con rabbia e amore mescolati insieme, e cercavamo di trovare una soluzione. Ma la soluzione non c’era mai davvero. Alla fine, ci abbracciavamo, sempre, come se quell’abbraccio potesse cancellare tutto, come se bastasse stringerci forte per risolvere le crepe che continuavano a formarsi tra di noi. Ma non bastava. Le crepe restavano, si allargavano, e noi ci facevamo sempre più male.
Nonostante tutto, mi manca. Lel è stata la prima persona che mi ha fatto sentire vivo in un modo che nessun altro ha mai fatto. Mi manca il suo odore, quel profumo forte che riempiva l’aria ogni volta che le stavo vicino. Mi manca il modo in cui sorrideva, anche quando eravamo arrabbiati, come se sapesse che, nonostante tutto, ci saremmo ritrovati. Mi manca il modo in cui mi stringeva, come se volesse tenersi aggrappata a me per non perdersi.
E la penso. La penso quasi sempre. Di giorno, di notte, nei momenti di solitudine, nei momenti di felicità. Lei è lì, sempre presente, come una parte di me che non riesco a lasciar andare. La sogno spesso, e quei sogni sono così reali che a volte mi sveglio confuso, cercando di capire se davvero l’ho rivista, se davvero è stata di nuovo con me. L’ultima volta l’ho sognata uscire di casa, proprio sotto la sua vecchia casa, in quella stradina che conosco troppo bene. Mi ha abbracciato, e in quel sogno ho sentito di nuovo il suo odore, la sua pelle. Era come tornare indietro nel tempo, come se non fosse passato neanche un giorno. Ma poi mi sono svegliato, e lei non c’era. E quel vuoto mi ha colpito come un pugno nello stomaco.
So che non la rivedrò mai più. Lo so, perché la Lel che amavo non esiste più. Sono passati dieci anni, e il tempo cambia le persone, le trasforma. Se la incontrassi oggi, non sarebbe la stessa persona. E forse nemmeno io lo sarei per lei. Quello che amavo, quello che mi manca, è la Lel di allora, quella ragazza che mi ha insegnato cosa vuol dire amare e soffrire allo stesso tempo.
Ma c’è una parte di me che non riesce a smettere di sperare, che non riesce a spegnere quella piccola fiamma che ancora brucia per lei. Torno spesso sotto casa sua, anche se so che probabilmente non la vedrò mai più lì. Ogni tanto ci passo per caso, o per lavoro, e ogni volta il mio cuore accelera, come se stesse aspettando di rivederla. Ma la casa è vuota, come se fosse stata spogliata di tutto ciò che una volta significava per me.
Lel è diventata un ricordo, un ricordo che mi accompagna ovunque vada, un ricordo che non posso cancellare, anche se ci provo. Forse, in fondo, non voglio nemmeno farlo. Forse, tenerla con me, anche solo come un pensiero costante, è l’unico modo che ho per sentirmi ancora legato a quei giorni, a quella parte di me che si è persa con lei.
Le nostre vite sono andate avanti, ma una parte di me è rimasta lì, in quel passato. In quei baci rubati, nelle notti trascorse insieme, nelle liti, negli abbracci, in tutto quello che eravamo. E anche se so che non potrò mai tornare indietro, anche se so che quella Lel non esiste più, il suo ricordo continuerà a vivere in me. Perché il primo amore non si dimentica mai. Non si può.
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occhietti · 11 months ago
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Tumblr media
Che poi nella vita l'autentica sensazione di libertà la sentirai una volta che avrai trovato il tuo rifugio, quel luogo che chiamerai "casa" pur non avendo magari, necessariamente, le sembianze di una casa.
Potrebbe essere qualsiasi luogo, in qualsiasi paese del mondo. Affollato o deserto, immenso o minuscolo. Con il tetto o senza, reale o forse immaginario. Vicino o lontano.
Potrebbe essere un luogo dal quale si va e si ritorna, oppure un posto dove si resta. L'idea di essere a "casa" ce la può dare qualsiasi luogo che riesca a trasmetterci poesia, pace, emozione o che ci porti a rivivere dei ricordi dai quali non riusciamo a separarci.
Sarà solo l'istinto di ognuno di noi a far diventare quel determinato luogo, "casa". Che in fondo è sinonimo di
"io qui ci sto bene"…
- Nadia Crisci
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ilsalvagocce · 1 month ago
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crateri lunari
ieri a tavola io e mio padre ci siamo accorti a vicenda che abbiamo cancellato certe cose dalla memoria, casuali come una fetta di groviera.
io avevo scordato come mamma avesse il piede ferito da un giorno all'altro, hai ragione non ricordavo più, lui quando era scesa in strada da sola e da lì abbiamo cominciato a chiudere a chiave la porta di casa, quando è stato? che anno era?, e quando usciva dal garage con l'auto e lei in attesa era caduta su se stessa come sacco di patate, è vero l'avevo scordato, e quando aveva battuto sul pianoforte e aveva perso un dente, ora sì, ricordo.
certe cadute cuori in pezzi le abbiamo rimosse dalla memoria, non quella condivisa, quella di uno, di individuo, di fronte alla vita che scorre velocissima e carica di pericolo e di sconosciuto.
a ricongiungere i ricordi - lo facciamo sempre meno - sembravamo due bambini usciti da un tempo a parte, da un sogno di quelli che non sai dove sei ma riconosci i luoghi, non sai da chi vai ma la strada la percorri a menadito. tutto è lontanissimo e vicinissimo, fatto di pezzetti che ogni tanto rimettiamo assieme, in un puzzle slogato di una fatica invisibile, che al tempo ci ha messo le ruote, le ali, le antenne, altre quattro braccia altri due piedi, magari 2, 3 cuori di riserva in più, ma forse ha dimezzato la memoria.
stamattina son uscita in auto e ho seguito una strada strana, che prendo solo in primavera perché voglio vedere come fioriscono gli alberi, ma adesso lo so che non son fioriti, perché ero lì? ho pensato che sto dimenticando delle cose di mamma, e ho tremato, ne tremo spesso, e altre si ergono fortissime e piantate nel mio campo di memoria, eppure non è ancora primavera, che ci faccio su questa strada? Quindi perdere una persona amata ha questa scia che non puoi maneggiare? Da una parte cancelli traumi fattivi - cadute, ginocchia gonfie, ultime parole, quando ha cominciato che giorno che mese a non dire neanche una parola una? Altri traumi fondi li tieni sotto mano sempre, come il piatto fondo, come il pozzo profondo, come il mare dove vedrai i pesci per sempre, di mamma senza respiro, ogni tanto ripasso il pensiero della pelle ancora tiepida e gli occhi serrati, come una strofa che non voglio dimenticare, li ricordo come ieri, come domani. È ricordo che mi segnerà? o mi aiuterà? Lo ricordo, lo ricordo uguale a noi due stese a terra sul tappeto persiano in sala, io 4enne lei 38enne, mentre fuori c'è il temporale e sentiamo il rumore e ridiamo, così non abbiamo paura.
Il ricordo di questi due fatti ha lo stesso peso specifico. Com'è possibile, memoria? Quale incastro compone la forma della persona che non è più qui? Non c'è linea temporale che guidi, ci sono buchi di tempo anche tra i più vicini, e ci sono monumenti a piccoli fatti, come entrare al pronto soccorso e il dottore in servizio ti mette una mano sulla spalla e ti porta davanti allo schermo del computer per mostrarti docile i polmoni di tua madre, che poi vedrai per tre mesi, di cui chiederai per tre mesi ogni giorno al reparto, con le parole ogni volta più puntuali, più scientifiche, più sapienti, ma che ora io non ricordo più. Ricordo la mano del dottore sulla spalla in pronto soccorso e io col giaccone d'inverno davanti al pc e i polmoni bianchi e neri di mia madre, e basta.
Vorrei scriverci la storia, ma ho paura dei buchi, ho paura dei crateri che non saprei riempire se ne ho perso la memoria, e io non voglio inventare nulla, o questa non è la mia rivoluzione.
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canesenzafissadimora · 4 months ago
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Vietato tradire la parte più vera di te, quella che spesso tieni nascosta, quella che ha a che fare con la musica e con i capelli al vento, con certe scelte che fai come se tu non avessi alternative e invece un’alternativa c’è sempre, solo che a volte il cuore fa finta di niente e che bello che è, quando succede. Vietato dimenticare di quando correvi in riva al mare sperando di essere presa e portata via da qualcuno, vietato dimenticare quelle sere in cui ti addormentavi sperando che la realtà potesse assomigliare alle storie che leggevi di nascosto, pregando che tua madre non si accorgesse che eri ancora sveglia. Vietato smettere di sperare in qualcosa, qualsiasi cosa, tipo che domani ci sia il sole, che si veda la luna, che al supermercato ci siano le pesche buone, che qualcuno ti abbracci, che qualcuno si accorga della fatica che duri. Vietato smettere di durare fatica, perché quando sudi, quando arranchi, quando corri da una parte all’altra sognando un po’ di meritato riposo, è proprio allora che vivi davvero: quando ti muovi, quando poi torni a casa e tiri un sospiro di sollievo perché in qualche modo ce l’hai fatta, sei ancora tutta intera. Vietato sorvolare sulle piccole vittorie, sui dolori piccoli che come gocce d’acqua ti consumano il cuore forse anche più di quelli grandi. Vietato sorvolare in generale, fai caso alle mani della gente, agli alberi, alle nuvole, all’odore dei giornali, alle parole nuove che usano i bambini, ai ricordi che arrivano quando vogliono e non si possono ignorare. Vietato ignorare le canzoni, anche quando queste canzoni non sono dedicate a te. Vietato dire “che schifo” prima di aver provato, vietato dire “che schifo” in assoluto. Qualcosa da salvare c’è sempre, allora tu trovalo e tienilo da parte. E poi, se puoi, non fare l’errore che facciamo tutti, prima o poi: non aver paura di condividere la bellezza. La bellezza non si consuma se la doni agli altri. La bellezza, se la spargi in giro, cresce rigogliosa. Vietato smettere di commuoversi guardando un film stupido, di piangere di fronte ad una stella che cade, di esprimere un desiderio spegnendo una candelina sulla torta. Vietato smettere di fare qualcosa solo perché c’è chi ti trova ridicola, vietato rimanere in silenzio quando qualcosa dentro di te urla, vietato dire “vado via” per timore di soffrire troppo. Per amore, resta. Per amore, resta quella che sei. Per amore, difenditi, ma per favore: non esagerare. Perdersi tra i pensieri e le smorfie ed i modi di dire e le abitudini e i rimpianti e i baci e le speranze di qualcuno è un bel modo di stare al mondo. Vietato dire a qualcuno “non piangere”, “non ridere”, “non andare via”. Se ci riesci, lascia correre, lascia scorrere la vita e le persone, perché poi vedrai, ce ne saranno alcune che non riuscirai a perdere nemmeno quando ti ci metterai d’impegno. Guarda le previsioni, ma non proprio tutte le mattine, ogni tanto lasciati sorprendere dalla pioggia, o dal sole. Porta i fiori a chi sai tu, o dedicale il mare ogni volta in cui avrai la fortuna di guardarlo. Ricordati che ci sei e che questo è un potere magico incredibile, che se mi dicessero “vorresti essere invisibile, teletrasportarti o esistere?” io risponderei senza alcuna esitazione “esistere”. Perché se esisti sei parte di qualcosa, puoi provare nostalgia, puoi provare a essere felice.
Vietato dimenticare che tutto quello che ti circonda non è un ostacolo, ma un’opportunità.
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Susanna Casciani
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curiositasmundi · 8 months ago
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[...]
Luana è morta il 3 maggio del 2021 finendo nell’ingranaggio di un orditoio della fabbrica in cui lavorava, a Montemurlo, in provincia di Prato. Lavorava lì da circa due anni, aveva fatto quella scelta per avere una paga sicura anche per dare stabilità al suo bambino. Si era alzata come ogni mattina alle cinque per andare a svolgere il suo lavoro di apprendista. «Quel giorno lei sarebbe dovuta rientrare a pranzo: era il mio compleanno – ricorda la madre Emma – alle 13.40, mentre l’acqua della pasta stava per bollire, sono arrivati due carabinieri a darmi la notizia: mia figlia si trovava all’obitorio».
La signora Marrazzo si batte per il tema della sicurezza sul lavoro, porta avanti le sue istanze, partecipa ai processi, interviene nelle scuole. «Senza la sicurezza, non si torna a casa. Voglio dirlo ai giovani perché le Istituzioni sono assenti e, mentre i responsabili patteggiano o si salvano, in un modo o nell’altro, con attenuanti e con sospensioni della pena, il nostro, di noi famigliari, è un ergastolo a vita. Ci vogliono pene gravi o gravissime».
«Non si può immaginare il dolore di una mamma che perde un figlio. Non passa, aumenta. Mi aggrappo a mio nipote, non ricordo più com’ero prima di quel giorno. Luana riempiva la casa di gioia, mi manca in tutto. Quella porta non si apre più e così la ritrovo nei ricordi e nel suo cellulare, dove riascolto i suoi audio. Mi manca andare in giro con lei, condividere. Quando riscuoteva lo stipendio era felice e mi portava subito fuori. Aveva tempo per tutti, anche dopo il lavoro. Con suo figlio, con me, con le amiche, con il suo compagno: trovava il tempo per amarci tutti. Non è giusto andare a lavorare per produrre quel poco di più per l’azienda e perdere la vita, lasciare un figlio orfano. I sindacati devono unirsi tutti. Non ho mai ricevuto una lettera da parte dell’azienda e il giorno del funerale hanno lasciato aperta la fabbrica. Non voglio vendetta, ma dare un segnale chiaro».
Sono passati diversi anni, ma di lavoro si continua a morire, come ha scritto Raffaele Bortoliero nel libro “Non si può morire di lavoro – Storia di giovani vite spezzate”. L’autore è impegnato a promuovere la sicurezza sui luoghi di lavoro raccontando le storie di giovani, alcuni studenti lavoratori, che hanno perso la vita lavorando e che nessun Paese civile dovrebbe dimenticare. Così come non si dovrebbero dimenticare le loro famiglie, abbandonate al loro dolore e alla rassegnazione.
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