#La Casa delle Foglie Rosse
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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"La Casa delle Foglie Rosse" di Paullina Simons: Un Thriller Psicologico tra Menzogne e Verità Nascoste. Recensione di Alessandria today
Una storia avvincente di mistero, segreti e inganni, dove nessuno è ciò che sembra.
Una storia avvincente di mistero, segreti e inganni, dove nessuno è ciò che sembra. Recensione “La Casa delle Foglie Rosse” di Paullina Simons, autrice bestseller de Il cavaliere d’inverno, è un romanzo che avvolge il lettore in un intreccio complesso di mistero, bugie e segreti. La protagonista, Kristen, scompare improvvisamente, lasciando dietro di sé una scia di domande e sospetti. Il suo…
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southbendtrees · 8 days ago
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gaultheria mucronata d 17
Decora il tuo Natale con le piante e le decorazioni dei Giardini di Giulia
Il Natale è il momento perfetto per trasformare la tua casa in un rifugio accogliente e festoso. La natura, con la sua bellezza intramontabile, è una fonte d'ispirazione ideale per le decorazioni natalizie. Su I Giardini di Giulia, trovi una vasta selezione di piante e composizioni uniche che ti aiuteranno a creare un’atmosfera magica per il Natale 2024. gaultheria big berry d 14 decorativo in legno
Le piante non sono solo un elemento decorativo, ma portano anche un senso di freschezza e vitalità negli spazi interni. Che tu stia cercando agrifogli eleganti, composizioni decorative o piante in vaso, I Giardini di Giulia ha tutto ciò di cui hai bisogno per rendere il tuo Natale davvero speciale.
La collezione Natale 2024: Bellezza naturale per ogni ambiente
Quest’anno, la nostra collezione Natale 2024 si distingue per l’eleganza e l’originalità. Ogni pianta è selezionata con cura per offrirti il meglio della natura. Una delle nostre proposte più amate è l’ilex aquifolium argentea marginata in vaso da 17 cm, conosciuto anche come agrifoglio variegato. Questo arbusto dalle foglie verdi con bordi argentati è perfetto per creare un contrasto elegante con le decorazioni natalizie tradizionali.
L’agrifoglio è un simbolo del Natale e, grazie al suo aspetto raffinato, si presta a molteplici utilizzi. Puoi posizionarlo come centrotavola, usarlo per decorare il tuo ingresso, oppure inserirlo in composizioni più grandi. La resistenza e la bellezza dell’ilex aquifolium lo rendono un elemento essenziale per chi cerca decorazioni naturali e durature.
Gaultheria Big Berry: Un tocco di colore per le feste
Tra le piante più richieste della nostra collezione troviamo la gaultheria big berry d 14, una pianta decorativa in legno che unisce la praticità all’estetica. Con le sue bacche rosse vivaci e il fogliame verde intenso, questa pianta è ideale per aggiungere un tocco di colore ai tuoi spazi durante le festività.
La gaultheria è perfetta per decorare piccoli angoli della casa o per essere utilizzata come parte di una composizione più ampia. Grazie alla sua forma compatta e alle bacche durature, è una scelta eccellente anche per chi desidera un regalo elegante e naturale.
Se preferisci qualcosa di più grande, la gaultheria mucronata d 17 è la soluzione ideale. Con il suo portamento vigoroso e le sue bacche decorative, questa pianta può essere utilizzata per arricchire balconi, terrazzi o persino il giardino.
Idee di decorazione con le piante natalizie
Le piante della nostra collezione non sono solo belle, ma anche versatili. Ecco alcune idee per utilizzarle al meglio:
Centrotavola Naturali Combina agrifogli, gaultheria e rami di abete per creare centrotavola unici. Aggiungi candele e qualche decorazione in legno per un risultato caldo e accogliente.
Decorazioni per l’Ingresso Posiziona l’ilex aquifolium argentea marginata accanto alla porta d’ingresso o utilizza la gaultheria big berry in vasi decorativi per accogliere i tuoi ospiti con un tocco festoso.
Composizioni da Regalare Le piante natalizie sono anche un regalo perfetto per amici e familiari. Personalizza le composizioni con nastri, luci a LED e dettagli natalizi per creare regali indimenticabili.
Decorazioni per il Camino Posiziona le piante lungo il bordo del camino per un effetto scenografico. Puoi aggiungere luci o palline di Natale per renderle ancora più luminose.
Perché scegliere I Giardini di Giulia?
Il nostro negozio online si distingue per la qualità e la varietà dei prodotti offerti. Ogni pianta è selezionata con cura per garantire freschezza, bellezza e durata. Ecco alcuni vantaggi dell'acquistare da noi:
Ampia selezione: Dalle piante in vaso alle composizioni decorative, trovi tutto ciò di cui hai bisogno per il Natale.
Consegna rapida: Spediamo rapidamente in tutta Italia, così puoi ricevere i tuoi ordini comodamente a casa.
Assistenza clienti: Il nostro team è sempre disponibile per aiutarti a scegliere le piante migliori per le tue esigenze.
Materiali naturali: Utilizziamo solo materiali di alta qualità, inclusi vasi e decorazioni in legno, per garantire un risultato autentico e sostenibile.
Come ordinare le tue piante natalizie
Acquistare su I Giardini di Giulia è semplice e veloce. Basta visitare il nostro sito, scegliere i prodotti che preferisci e completare l’ordine con pochi clic. Offriamo opzioni di pagamento sicure e la possibilità di tracciare la spedizione in tempo reale.
Non aspettare! Visita la nostra sezione dedicata al Natale 2024 e lasciati ispirare dalla bellezza delle nostre piante. Con I Giardini di Giulia, portare la natura a casa tua non è mai stato così semplice.
Conclusione Per un Natale unico e indimenticabile, scegli le piante e le decorazioni naturali dei Giardini di Giulia. Con proposte come l’ilex aquifolium argentea marginata, la gaultheria big berry e la gaultheria mucronata, hai tutto il necessario per creare un ambiente festoso e accogliente. Ordina oggi stesso e vivi un Natale all’insegna della natura e dell’eleganza!
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storie84 · 1 year ago
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C'era una volta in un lontano paese un piccolo villaggio, dove tutti gli abitanti erano affascinati da una pianta molto speciale chiamata Stella di Natale. Questa pianta aveva foglie rosse e vistose che sembravano petali, ed era conosciuta per apparire e fiorire solo durante il periodo natalizio.
Nel cuore del villaggio viveva una giovane ragazzina di nome Sofia. Era una ragazza dolce e amorevole, sempre desiderosa di fare del bene agli altri. Adorava il tempo di Natale, quando tutto era magico e pieno di gioia.
Un giorno, mentre Sofia passeggiava nel bosco, sentì un suono improvviso provenire da un albero. Curiosa, si avvicinò e trovò un piccolo uccellino che sembrava essersi ferito. Con affetto e delicatezza, prese l'uccellino tra le mani e si preoccupò per lui.
Mentre Sofia si prendeva cura dell'uccellino, notò che vicino a loro c'era una Stella di Natale che stava lottando per sopravvivere nel terreno secco. Con compassione, Sofia decise di prendersi cura anche di questa pianta speciale e la portò a casa con sé.
Giorno dopo giorno, Sofia si prese cura dell'uccellino e della Stella di Natale. Li innaffiava con amore, assicurandosi che ricevessero tutto ciò di cui avevano bisogno per prosperare. La Stella di Natale sembrava gradire particolarmente l'affetto di Sofia, poiché iniziò a mostrare segni di vitalità. Le foglie rosse si schiusero e i fiori iniziarono a sbocciare, illuminando la casa di Sofia e riempiendola di gioia.
Con il passare dei giorni, l'uccellino guarì completamente e iniziò a volare di nuovo. A Sofia fece molto piacere vedere l'uccellino libero e in salute, ma sarebbe stato difficile salutarlo. L'uccellino sembrava capire le emozioni di Sofia, e una volta volato via, tornò spesso a farle visita.
Nel frattempo, la Stella di Natale cresceva sempre più rigogliosa, con i suoi fiori splendenti che la facevano sembrare un vero e proprio albero di Natale. Le foglie rosse brillavano nel buio come delle stelle, portando una luce speciale nella casa di Sofia e nel suo cuore.
Presto, la fama della Stella di Natale di Sofia si diffuse nel villaggio. La gente si meravigliava della sua bellezza e molti si chiedevano come Sofia fosse riuscita a farla fiorire così magnificamente. Tutti venivano a vedere la pianta speciale e ad ammirarla.
Una sera, durante la vigilia di Natale, un uomo anziano del villaggio si recò da Sofia e le disse: "La tua Stella di Natale è davvero speciale, Sofia. Con i suoi fiori rossi luminosi, ricorda la stella che guidò i Re Magi verso la Natività. Hai dato al villaggio una splendida e preziosa luce in un momento di gioia e speranza."
Sofia sorrise e guardò la sua Stella di Natale con gratitudine nel cuore. L'anziano uomo continuò: "Vieni con me. Voglio che tu porti la tua Stella di Natale nel centro del villaggio, affinché tutti possano essere ispirati dalla sua bellezza e dalla tua gentilezza."
Sofia accettò l'offerta e portò la sua Stella di Natale nel centro del villaggio. I residenti del villaggio erano affascinati dalla luce e dalla bellezza della pianta, e si riunirono attorno ad essa in gioia e ammirazione. Tutti sentivano la magia del Natale e la gentilezza che emanava dalla Stella di Natale di Sofia.
Da quel giorno in poi, il villaggio ha continuato a coltivare e celebrare la Stella di Natale, ricordando sempre il gesto di gentilezza di Sofia. Ogni anno, in occasione delle festività natalizie, le persone adornano le loro case e le strade con la splendida Stella di Natale, ricordando l'importanza di diffondere l'amore e la gentilezza in tutto il mondo.
La storia della Stella di Natale di Sofia continua a ispirare le persone a cercare la bellezza e la luce nelle situazioni più difficili e a promuovere la gentilezza e la generosità nell'animo umano.
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la-minchia-geniale · 1 year ago
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"Oggi ci lascia la compagna Pinsa, venduta a 7 euro e 50 e gettata su un pavimento quadrato di un borgo cosentino. Ne danno il triste annuncio 8 ragazzi di diversa provenienza, tutti membri dell' Unical. Hanno vissuto grandi avventure, ma adesso è tutto finito. Il sole sorge e il sole tramonta, ritorna al luogo da cui rinascerà"
Noi rinasceremo un giorno, sotto le foglie rosse davanti casa di Linda, e Irene non mi farà odiare il bubble tea. Madama avrà ancora gli occhi spenti. Gli occhi a goccia, che poi ho acceso. Lo sguardo umano è una lampadina a cui è facile far prendere fuoco...ci sono riuscita perfino io! Chissà con quale mezzo, chissà con quale sotterfugio... sarà per sempre uno dei miei tanti misteri.
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enkeynetwork · 1 year ago
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personal-reporter · 2 years ago
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I segreti dell’Uomo Verde
Il mese di aprile per i Celti era legato alla figura dell’Uomo Verde, rappresentazione simbolica dalle origini e dalle funzioni non ben chiare, ricorrente nella decorazione plastica ed architettonica durante tutto l’Impero Romano, dove venne scolpito in fregi e capitelli, fino alla sua diffusione in numerosi edifici di culto cattolici, come nel caso della chiesa di Saint Abre, in Saint-Hilaire-le-Grand nel cuore della Francia. Durante il periodo medievale la figura dell’Uomo Verde fu al centro di migliaia di queste raffigurazioni nella pietra delle chiese medievali d’Europa, in cattedrali ed abbazie, ma anche in edifici non ecclesiastici, ma fu relativamente rara nell’iconografia cristiana fino al XII secolo. Nel decimo secolo infatti l’Uomo Verde comparve su manoscritti, tra Bibbie, libri di Salmi e Ordalie, libri d’ore e opere di teologi famosi come il Moralia di San Gregorio Magno, dove spesso si fonde con i motivi dell’arte sassone e celtica. Nella sua raffigurazione comune, l’Uomo Verde era un volto umano coperto da un fitto fogliame o del quale un intreccio di foglie e viticci costituisce i tratti del volto. che può, a seconda dei contesti, essere sorridente, enigmatico, malinconico oppure minaccioso. Il termine di uomo verde venne proposta da Lady Raglan, che ne catalogò e descrisse le raffigurazioni nell’opera Church Architecture del 1939. Le raffigurazioni dell’Uomo Verde sono in due categorie, una con capelli e barba costituiti da fogliame o con foglie e rami che fuoriescono da bocca, naso, orecchie e occhi, in varie combinazioni e nella seconda dalla sua bocca fuoriescono rami di sorbo, riconoscibili dalle caratteristiche bacche rosse. Il sorbo degli uccellatori, come era comunemente chiamato, rappresentava nella tradizione druidica la rinascita della luce dopo l’inverno, ed era un simbolo del risveglio della natura e, successivamente, il Cristianesimo riconvertì questo simbolo nelle chiese medioevali come motivo decorativo e allusione alla capacità rigeneratrice della natura che, nella casa di Dio, fu  trasposta in chiave spirituale. L’archetipo dell’Uomo Verde ha varie incarnazioni nelle tradizioni di tutta l’Europa, soprattutto in Inghilterra, dove fu un personaggio del folklore, protagonista di festività e di canzoni popolari, come Jack-in-the-Green, uno spirito vestito di fogliame, molto noto nella metà del diciottesimo secolo, Green George, sempre coperto di foglie, l’Oak King/Holly King, figura della tradizione celtica e il fuorilegge Robin Hood, considerato il protettore dei sentieri del bosco. Nei miti arturiani il poema Sir Gawain e il Cavaliere Verde del XIV secolo racconta di un gigante verde che abita in un castello all’interno di una fitta foresta e sfida i cavalieri della corte di Artù ad infliggergli un colpo mortale, senza che questi potessero averne ragione. Divinità vegetali, uomini silvani e uomini verdi non sono solo parte della cultura occidentale, dato che  in molti altri paesi si ritrovano figure simili, veri e propri protettori del mondo naturale, come Enkidu, uomo selvatico della mitologia sumera, Humbaba, guardiano delle foreste di cedro, Attis, dio frigio della vegetazione e della natura e Osiride, dio egizio della fertilità, dell’agricoltura e dei morti, spesso rappresentato con il volto verde. Read the full article
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canesenzafissadimora · 2 years ago
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Immagino come sarebbe, a volte, alzare la cornetta e sentire la tua voce. O voltare un angolo e riconoscerti. O aspettare le porte di un treno aprirsi, ed eccoti qui. Che ciò accada è improbabile, impossibile, parole delle quali conosco le strette crune nelle quali respira il destino.
Dopo tutto questo tempo, direi allora parole stupide come non se ne dicono mai, di quelle che non saprei nemmeno scrivere. Forse un banalissimo "come stai", ma non vorrò davvero saperlo, sarebbe solo un modo per prendere tempo. Strappare un altro istante alla vastità del niente, so bene cosa vuol dire, un non voler andarsene da qui, da tutta questa luce, da questo sentirsi a casa.
Via, è il mio solito delirio, mi dico.
Affretto il passo, rientro a casa.
Di foglie rosse, in autunno, ne cadono sempre meno.
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#cardiopoetica
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libero-de-mente · 4 years ago
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AGGIORNAMENTO CORONAVaIRUS del 19.10.2020 - n. 8 (a seguito della ripresa della seconda stagione de: THE GAME OF DECRETS)
Prefazione:
Autunno cadono le foglie, cadono i maroni e cadono Dpcm e Ordinanze come se non ci fosse un domani senza lockdown.
Forse questo anno ci risparmieremo gli “anche a te e famiglia” natalizi, visto che i congiunti saranno banditi dalle nostre case per un numero superiore a sei.
Domanda, ma nella conta dei presenti valgono anche cani e gatti? Oggi più che mai sono considerati congiunti anche loro.
Alla fine non ci siamo riusciti. La voglia di ammassarsi ci ha portato a un distanziamento sociale che va oltre quello orizzontale o verticale. Il miglior distanziamento sociale lo si otterrà chiedendo soldi in prestito, a quel punto i vostri conoscenti si volatilizzeranno.
Ep. 1: HO SCRITTO FUCK SULLA MASCHERINA:
“Inizio di un nuovo lavoro: SEGNALATORE DI FESTE PRIVATE”.
Mi sono seduto dalla parte del torto, eravamo meno di sei.
Una famiglia numerosa potrebbe essere considerata come un’associazione a delinquere.
Scaricate l’App. Infami per segnalare meglio i vicini che vi stanno sugli zebedei.
Aspetteranno che vi iscriviate in palestra, poi ve la chiuderanno.
“Inizio di un nuovo lavoro: CLASSIFICATORE DI TAMPONI A BASSA CARICA VIRALE”.
Per avere fiducia nell’umanità telefonate al numero del servizio clienti della Wind, e ascoltate per ore la musichetta di sotto fondo: “Credo negli esseri umani” di Marco Mengoni. Un toccasana.
I ristoratori dovranno far sedere i commensali in tavoli di sei con resto di due e/o sottomultipli di sei. I single si attaccano al tram, che sarà strapieno, mentre il tre non sarà più il numero perfetto.
Ultimatum alle palestre e centri sportivi: o la smettete di far dimagrire la gente o il Primo Ministro vi farà chiudere. Per i carri bestiame chiamati “mezzi di trasporto pubblici” la risposta è spallucce.
Tornano gli episodi della seconda stagione del “Conte Show”, speriamo tornino anche le repliche di Alberto Angela, visto che la sera ci terranno a casa.
“Continuate a lavarvi le mani” come atto d’igiene e non per fregarvene come avete fatto fino a ora.
“Inizio di un nuovo lavoro: ESPERTO DI DPCM”.
C’è chi sperava nella chiusura delle palestre, invece no. Per usare come scusa la loro chiusura, per non andarci dovrete ancora aspettare.
Il distanziamento sociale verrà sostituito dall’odio sociale.
Le fiabe ai bambini consentite saranno: - Biancaneve e i cinque nani - Gli stivali delle sei leghe. - Ali Babà e i quattro ladroni. - La carica dei quattro più uno.
Se prima eravamo in sette a ballare l’Alligàlli ora per il Dcpm siamo in sei a ballare l’Alligàlli.
Nei cinema potranno solo essere proiettati solo i seguenti film: - Indovina chi non viene a cena - Sei piccoli indiani - Vieni avanti decretino - Sei spose per sei fratelli - Sei sfumature di grigio
Se andiamo avanti così a Capodanno prepareremo tampone e lenticchie.
“Inizio di un nuovo lavoro: ESPERTO IN ASSEMBRAMENTI”.
Sapete se riattiveranno l’accesso gratis a PornHub? Chiedo per un mio amico, sia chiaro…
Evoluzione negli hashtag: - Andrà tutto bene. - Andava tutto bene. - Credevo andasse bene. - Andrà come andrà. - Andate a cagare!
Si consiglia di restare a casa la sera e di guardare serie televisive che siano un esempio: - Friends (senza guest star) - Happy Days senza Ralph Malph (le sue battute non facevano ridere) - A-Team
Vietate le serie televisive come: - La famiglia Bradford - Saranno Famosi - Genitori in blue jeans
L’acronimo di DPCM è: Dovete Portare (sta) Cazzo (de) Mascherina.
A fine di tutta questa storia uscirà la raccolta definitiva dei decreti di Conte, in cofanetto personalizzato e numerato in serie limitata.
“Inizio di un nuovo lavoro: GESTIONE POSTI IN TERAPIA INTENSIVA”.
Assembramenti, non più di sei, distanziamento sociale, niente baci in pubblico, niente happy hours, uso della mascherina a casa, segnalatori ovunque… non vi sembra una rivincita con gli interessi dei single?
Le conferenze di Conte mai puntuali, queste sono le brutte intenzioni, la maleducazione, il tuo brutto decreto di questa sera. La tua ingratitudine e la tua arroganza mentre ti aspettiamo. Fai ciò che vuoi mettendoci i divieti in testa. Ringrazia il cielo se sei su quello scranno, rispetta chi ti ci ha portato soprAH NO!
Ceni in anticipo per essere pronto sul divano all’ora della conferenza stampa di Conte, rinvia… rinvia… rinvia e quando inizia ti sei abbioccato. Rabbia.
Chiudono le palestre? Chissenefrega.Chiudono le pizzerie d’asporto? Rivoluzione!
Dovevamo far vincere il primo Grande Fratello a Rocco Casalino, oggi farebbe altro e non sarebbe lo stratega di Conte.
Finita la conferenza stampa di Conte non cambia nulla, dovrò prendere le solite gocce serali per vincere l’ansia. Speravo in meglio.
Un cartello a una manifestazione di negazionisti riportava: “Basta Scenza”. Ho finito vostro onore.
Angela di “non ce n’è coviddi” è ufficialmente una influencer. Ho perso fiducia nell’umanità.
La tanto attesa ”Bodenza di fuogo” non è arrivata, per lo meno quella che è arrivata era una mitragliata con qualche bomba a mano qua e là, ma in questi giorni hanno deliberato ancora altri millemila miliardi, Che non ci sono. Cialtroni.
Quando si investe uno col monopattino, quanti punti in più sulla patente ti danno?
“Inizio di un nuovo lavoro: NON CREDENTE PRATICANTE”.
Ricapitolando esistono: - I no tax - I no vax. - I no tav. - I no mask. - I no sex. - I no trans. - I flat heart. - I no euro. Mi chiedo se ci siano anche i “e stocaz?”. A questi potrei aderire.
L’opposizione si oppone opponendosi alla vera opposizione, facendo il contrario di quello che dovrebbe fare ma per questo incolpa la maggioranza.
La maggioranza governa con un governo governato da chi non governa, facendo meno di quello che promettono ma per questo incolpa l’opposizione.
Gli italiani… gli italiani, in maggior parte non hanno capito una fava. Credo. In realtà non c’ho capito nulla neanche io.
Vedo gente acquistare alcolici alle 8:30 del mattino, perché quando escono dal lavoro non possono più farlo.
(\_/) ( •_•) / > I-LOVE-DPCM
“Inizio di un nuovo lavoro: ESPERTO DI FESTE IN PERIODO DI LOCKDOWN”.
A Capodanno 2021 brinderemo stappando Amuchina.
Oh mi raccomando, non fate come Capodanno 2020, quest'anno le mutande rosse indossatele tutti. Che se prendo chi non le ha indossate l'anno scorso gli tiro le orecchie.
Le feste di Capodanno si svolgeranno sui treni e sugli autobus dove gli assembramenti sono autorizzati, se ci si organizza si può tentare di fare il trenino sul treno. V’immaginate “Stazione di Roma Termini *pe pe pepepè, pe pe pepepè* ripeto stazione di Roma Termini *a e i o u epselon* Buon anno a tutti”.
Cose certe che arrivano di notte: - Babbo Natale - La Befana - Le ordinanze o i DPCM Ho più fiducia nei primi due.
Il Papa dice che dobbiamo pagare le tasse, lo dice lui. Il Papa.Quindi se non le paghi oltre ad arrivare Equitalia vai all’inferno? E qual è il peggiore tra i due? Chiedo per un amico evasore…
“Inizio di un nuovo lavoro: CANDIDATO A SINDACO DI ROMA”.
Una delle competenze richieste ai futuri candidati è quella di avere dei nickname con bandierine, o stelline, o pesciolini sui social.
- “Sei bella da togliermi il fiato” - “È la mascherina” - “Ah”
(to be continued…)
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manyinwonderland · 4 years ago
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Il problema di avere un cane in novembre è che se, per esempio, sei con lui al parco nella vostra passeggiata quotidiana, diciamo al mattino, e metti che tu sei lì che stai spippolando col cellulare per leggere le notizie o scrollare qualche bacheca, camminando pian pianino per far fare al tuo amico a quattro zampe le sue belle pisciatine, a un certo punto senti il guinzaglio che tira, con la coda dell’occhio vedi che lui si è fermato nella classica posizione che assumono i cani per cagare, una posizione sempre accompagnata da un’espressione così particolare e remissiva che penso venga da lì il dire “vergognarsi come un cane”, ma comunque, hai appena capito quello che sta facendo, allora metti via il cellulare nella tasca di dietro dei pantaloni, strappi un sacchino dal rotolo dei sacchini che ti porti sempre diligentemente dietro, ci infili la mano come in un guanto e cominci a controllare dove l’ha fatta, solo che al parco sono dei giorni che non raccolgono le foglie, e tu cerchi e cerchi ancora, ma, niente, non la trovi. E cerchi e cerchi di nuovo e ancora niente, smuovi un po’ le foglie con la mano infilata nel sacchino per non dover inavvertitamente trovare quello che stai cercando con la mano nuda, ma, oh, vigliacco, non c’è. Così ti guardi intorno, un po’ circospetto. Cosa devi fare? Non c’è. L’hai cercata, sembra dire il tuo sguardo al parco, anche se non c’è nessuno intorno. Ci guardi ancora. È mattina, c’è il sole, ci vedi bene. Non la trovi lo stesso. Ti guardi ancora intorno, ti senti in colpa, ci mancherebbe. Non puoi però far altro, ammetti  con la faccia dispiaciuta al mondo che ti circonda, che riappallottorale il sacchino e mettertelo in tasca. E dici «dài, su,» al cane, che è già un po’ che ti guarda impaziente o dubbioso. Tutti e due trotterellate verso casa. E quando entri, se passi davanti a uno specchio, vedi una faccia che è la stessa che aveva lui mentre cagava.
Questo per dire che se tra le foglie rosse, arancio, gialle, marroni, bellissime, croccanti, poetiche di questi giorni vedete un escremento o magari lo pestate, che son due bei maroni, mi rendo conto, dovete pensare che ogni tanto, mica sempre, ma delle volte magari non è colpa del proprietario incivile, che lui ce l’ha messa tutta per tirarla su, ma non ci è riuscito, e non ci è riuscito perché l’autunno, così bello e pieno di poesia, ha i colori delle merde dei cani.
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waitthetimeyouneed · 5 years ago
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Le stagioni del mondo d’inchiostro
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Sostengo che ogni libro abbia la propria stagione. Non parlo di mode come per i vestiti o gli oggetti. Parlo semplicemente di stagioni, di periodi dell’anno. Ci sono libri che per la loro trama vengono letti tutto l’anno, sono un must, sono accomodanti, sanno adattarsi alla temperatura e al nostro stato d’animo, vanno benissimo sia con la neve sia con l’afa estiva. Ci sono libri, invece, che preferiamo leggere in primavera perché magari la storia è leggera ma intrisa di un significato nascosto che ci apre al mondo e che ci inizia alle calure estive. Trame sottili, fresche, romantiche adatte ad essere vissute sotto l’ombrellone oppure sotto un lucernario, di una casa di montagna quando la temperatura è alta. E poi, viaggi immaginifici che vanno intrapresi d’autunno quando le variazioni cromatiche delle foglie diventano un tutt'uno con il colore dei personaggi e nell'aria c’è quell'odore di castagne che fa venire l’acquolina in bocca. E che dire dell’inverno? Quando la temperatura è talmente fredda che l’unica cosa che puoi fare è coccolarti con un romanzo ristoratore dell’animo? Certo, qualsiasi libro può essere letto in qualsiasi periodo dell’anno, è ovvio. Non si discute. Non è che se si legge Canto di Natale di Dickens, sotto i quaranta gradi cocenti di luglio, si commette un reato. Semplicemente le atmosfere – a parer mio, sia chiaro – stonano un pochino. Mi spiego: se leggessi Canto di Natale d’estate, mi verrebbe voglia di addobbare casa con luminarie e decorazioni varie natalizie oppure mi verrebbe una gran voglia di cioccolata calda. Solo questo. Il libro che sto leggendo in questo momento, è esattamente un libro invernale, anzi, direi che si potrebbe collocare in quel periodo di passaggio tra l’autunno e l’inverno: in cui le giornate sono ancora belle soleggiate, gli alberi hanno ancora le loro foglie gialle, rosse, marroni, verdi ma basta un soffio di vento perché queste vengano strappate bruscamente dai rami e dopo alcune capovolte e giravolte, posate sull'asfalto delle strade e le sere, beh, le sere cominciano ad essere talmente fredde che si è costretti a svegliare dal letargo, quella coperta grigia morbidosa nella quale non si vede l’ora di lasciarsi avvolgere, lasciarsi coccolare. Il libro di cui sto parlando, o meglio, la trilogia di cui sto parlando è La trilogia del mondo d’inchiostro. In pochi giorni ho quasi finito il primo libro. Ora, piccola confessione, in realtà conoscevo già la trama del primo volume perché ne è stato tratto un film che personalmente adoro: Inkheart – cuore d’inchiostro. Certo, più vado avanti con la lettura, più mi sto rendendo conto che libro e film sono molto diversi tra loro, soprattutto nei particolari ma non posso che amarli entrambi. Cuore d’inchiostro è uno di quei libri densi di magia sottile, appena accennata, che si legge quando si ha voglia di evadere in un mondo totalmente sconosciuto dove le storie diventano letteralmente la realtà e i personaggi, da burattini di carta e inchiostro dell’autore, diventano persone di carne, in mondo non loro. È una di quelle storie che si vive fin dai primissimi particolari, fin dalle primissime righe, ci si addentra in punta di piedi per poi ritrovarsi completamente immersi, tanto da non sapere più come venirne fuori. Cuore d’inchiostro è una storia da leggere sul divano, con una tazza fumante al proprio fianco e un bel fuoco crepitante di fronte, in un pomeriggio in cui fuori infuria la tempesta e il freddo avanza. Sembra quasi che i personaggi siano reali e ci si aspetta quasi che da un momento all'altro, da in fondo alla pagina, sbuchi la martora di Dita di Polvere, uno dei personaggi cardine della storia oppure ci si trovi davanti allo stesso Dita di Polvere che con il fiaccole, incanta il pubblico con le sue abilità da mangia-fuoco. Quando si legge la storia e si capisce il suo tradimento iniziale, non si può detestare come tanti altri personaggi, come, per esempio Capricorno. Dita di Polvere è mosso dalla nostalgia della sua casa, è mosso dalla malinconia del suo mondo. Agisce per paura, è tormentato dalla paura. Poi, certo, le sue azioni sono frutto anche dell’egoismo, è vero, ma lui fondamentalmente, è un personaggio buono. A volte incomprensibile, certo, ma pur sempre buono. Cuore d’inchiostro è mondo incantato, senza tempo, non c’è lo spazio per scandagliare i minuti e le ore con una lancetta, accoglie a braccia aperte senza troppe pretese, si adatta, si fa accomodante, prende per mano e guida il lettore tra le strette viuzze dei paesi che lo attraversa, illumina la strada, non incespica, non inciampa, non sbatte il naso ma si confonde tra la boscaglia, si nasconde dal pericolo e aspetta il momento buono per agire.
È un libro, dal quale, non ci si vorrebbe svegliare.
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sciatu · 5 years ago
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Fotografie di Giuseppe Leone
Ricordo tutto perfettamente: la prima volta che vidi una tempesta nella fiumara, con gli alti pioppi che si agitavano come prefiche lamentose, strappandosi le foglie per l’improvvisa morte del sole, il vento gelido che piegava le grandi querce, gli uccelli che sfrecciavano nel cielo rapiti dall’urlo della tempesta, le nere nubi che scendevano dal monte rovesciando gocce immense nel torrente che faceva fuggire le rane sul fondo degli acquitrini mentre le pulci d’acqua correvano a trovare asilo sotto le grandi foglie a riva. Poi arrivò l’urlo del tuono, lo squarciarsi del cielo, l’intensa luce che tutto e tutti abbagliò. Mi dissi che la natura era una madre potente ma che doveva veramente amarci per lasciarci vivere anche se per lei non c’era differenza tra noi e le foglie nel vento.
Ricordo i biscotti caldi che la nonna usciva dal forno, l’odore dello zucchero caramellato quando la zia vecchia faceva il torrone, la prima volta che sul fondo del mare dove il sole disegnava onde serpeggianti, vidi intensamente rossa una stella marina; ricordo il fermentare del mosto nella botte del nonno, il suo canto continuo, inarrestabile; ricordo sulla sommità dei monti ad agosto, le felci rosse danzare nel vento, i piccoli noccioli donare i loro candidi frutti, il grano coprire i monti e gli uomini disegnare con lui lunghe strisce ondeggianti grandi quanto il monte. Ricordo le feste di paese, l’odore dei ceci arrostiti, il colore dei giochi d’artificio, le donne in attesa attraversare la piazza in ginocchio salire la scalinata per arrivare all’altare maggiore a chiedere la salute per chi portavano in grembo e mentre le vedevo lasciare strisce di sangue suo gradini candidi della chiesa, capii che l’amore era una forza immensa che vinceva il dolore, piegava il ferro delle paure che ci imprigionano, rende chi è debole forte come una enorme montagna. 
Ricordo don Calò che conosceva il giorno della sua morte e l’aspettava sereno sui gradini della chiesa, salutando chi passava, scherzando con noi bambini, osservando le rondini nel cielo prima del tramonto, finché un giorno d’improvviso si alzò e salì verso la casa in alto nel paese, salutando per l’ultima volta tutti quelli che incontrava prima di sdraiarsi a letto e, sorridendo, morire. Allora capii che la vita è un enorme solitudine che riesci a sopportare solo perché hai chi ti aiuta a portarne il peso. Questo io ricordo e dei miei ricordi ho fatto un metro con cui misuro ogni mio giorno capendo il senso e peso delle cose e degli uomini. Questo ricordo e della mia memoria ho fatto un orto i cui frutti nutrono i miei giorni, dandomi modo di capirne il senso e di vederne il bello.
I remember everything perfectly: the first time I saw a storm in the river, with the tall poplars that shook like mournful meadows, tearing off the leaves for the sudden death of the sun, the icy wind that bent the great oaks, the birds that darted into sky ravished by the scream of the storm, the black clouds that came down from the mountain, overturning immense drops in the stream that made the frogs flee to the bottom of the marshes while the water fleas ran to find shelter under the large leaves on the shore. Then came the scream of thunder, the piercing of the sky, the intense light that all and everyone dazzled. I told myself that nature was a powerful mother but that she really had to love us to let us live even if there was no difference between us and the leaves in the wind.
I remember the warm cookies that my grandmother used to come out of the oven, the smell of caramelized sugar when the old aunt was making nougat, the first time I saw a starfish intensely red on the bottom of the sea where the sun was drawing winding waves; I remember the fermenting of the must in the barrel of my grandfather, its continuous, unstoppable song; I remember on the summit of the mountains in August, the red ferns dancing in the wind, the little hazels giving their white fruits, the wheat covering the mountains and the men drawing with it long wavy strips the size of the mountain. I remember the village festivals, the smell of roasted chickpeas, the color of the fireworks, the pregnant women crossing the square on their knees, climbing the stairs to reach the main altar to ask for health for those who they were carrying and while I saw them leave strips of blood on the white steps of the church, I realized that love was an immense force that overcame pain, bent the iron of fears that imprison us, makes those who are weak strong like an enormous mountain.
I remember Don Calò who he knew  the day of his death and was waiting for  it serene on the steps of the church, greeting those who passed by, joking with us children, observing the swallows in the sky before sunset, until one day he suddenly got up and went up to the house high up in the country, greeting for the last time all those he met before lying down in bed and, smiling, dying. Then I realized that life is a huge solitude that you can bear only because you have someone who helps you carry its weight. This I remember and my memories I made a yardstick with which I measure my every day understanding the meaning and weight of things and men. This I remember and my memory I made a vegetable garden whose fruits nourish my days, giving me a way to understand its meaning and to see its beauty.
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canesenzafissadimora · 2 years ago
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Immagino come sarebbe, a volte, alzare la cornetta e sentire la tua voce. O voltare un angolo e riconoscerti. O aspettare le porte di un treno aprirsi, ed eccoti qui. Che ciò accada è improbabile, impossibile, parole delle quali conosco le strette crune nelle quali respira il destino.
Dopo tutto questo tempo, direi allora parole stupide come non se ne dicono mai, di quelle che non saprei nemmeno scrivere. Forse un banalissimo "come stai", ma non vorrò davvero saperlo, sarebbe solo un modo per prendere tempo. Strappare un altro istante alla vastità del niente, so bene cosa vuol dire, un non voler andarsene da qui, da tutta questa luce, da questo sentirsi a casa.
Via, è il mio solito delirio, mi dico.
Affretto il passo, rientro a casa.
Di foglie rosse, in autunno, ne cadono sempre meno.
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#cardiopoetica
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omgmyriamlove · 5 years ago
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Cap.4
Sakura uscì dall’edificio di corsa; non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere da Gaara. Di solito si lasciavano sempre in modo freddo e distaccato, non le aveva mai rivolto una parola, figuriamoci una battuta del genere. E soprattutto era la prima volta che il ragazzo avanzasse una richiesta così esplicita.  
“se gli dicevo di sì cosa sarebbe successo? Cioè so dove voleva andare a parare... ma perché proprio me? E poi perché dovrei farlo? E se mi rovinassi la reputazione? No probabilmente me la sono già rovinata... fare certe cose con il tuo capo è già scavarsi la fossa da soli...” le guance di Sakura divennero ancora più rosse. Non poteva ammetterlo apertamente, ma avere certe attenzioni da un ragazzo come Gaara non le dispiaceva affatto. Nonostante le frecciatine e l’umore altalenante, Gaara era un perfetto amante. Sempre pronto a regalare “emozioni” senza pretendere nulla in cambio.  
“a parte oggi...” ma qualcosa la interruppe dai suoi pensieri. Un uomo dai capelli lunghi e neri era appoggiato sulla portiera della sua macchina a braccia conserte. Non riusciva a riconoscerne il volto per via dell’oscurità, ma la corporatura le era alquanto famigliare.
Si avvicinò alla macchina con cautela ed estrasse il cellulare, cercò di essere il più naturale possibile e far finta di rispondere a qualche messaggio per poi iniziare a comporre il numero della polizia locale. Purtroppo nella sua vita poche persone si erano presentate così, e la maggior parte erano strozzini oppure gente che aveva tutta l’intenzione di cancellarla dalla faccia della terra.  
“ed è proprio per questo che ho accettato questo lavoro lontano da casa”
Avanzò cauta, cercando di riconoscere quel volto oscurato dal buio; il cuore aveva iniziato a galoppare e la paura iniziava a farsi sentire.  l’uomo d’improvviso si mosse, avanzando un passo verso di lei, mettendosi finalmente sotto la luce che la luna stava offrendo al paesaggio. A quel punto a Sakura sembrò che il suo cuore smise di battere per qualche secondo.  
-cosa... cosa ci fai...tu... qui - per poco non svenne quando l’uomo davanti a sè le rivolse un sorriso ambiguo a 32 denti
-è così che accogli il tuo vecchio? - dicendo questo le si era avvicinato e con una mano le aveva preso una ciocca di capelli rosa per portarsela sotto il naso. Sakura strinse ancora di più la borsa iniziando a sudare freddo.  
“se lui è qui allora vuol dire che...”
-mi sei mancata piccola- si piegò con il busto verso quella creatura dai capelli rosa e le lasciò un piccolo bacio a fior di labbra.
A quel contatto Sakura si pietrificò all’istante, erano poche le volte che quell’uomo le aveva dato un bacio a fior di labbra e ogni volta le cose finivano male per tutti.
-cosa ci fai qui? - questa volta cercò di essere più decisa possibile nel porgli la domanda.
-sono venuto a trovare il figlio di un mio vecchio amico... ho un piccolo progetto da proporgli e sono sicuro che gli interesserà... e quando ho saputo che c’eri tu al suo fianco... Bhe ne ho approfittato nel passare a trovare la mia piccola stella -   mentre diceva questo l’uomo accarezzava dolcemente il viso di Sakura. La trovava più in forma del solito, a parte le occhiaie.  
“sicuramente stare dietro al più piccolo dei Sabaku è alquanto impegnativo...”
Sakura si ritrasse da quelle carezze alquanto strane; da quando aveva riconosciuto il suo volto, i suoi sensi l’avevano messa in allerta. Era strano, troppo strano che LUI fosse qui. E soprattutto era STRANO che LUI proponesse qualcosa di SUO a qualcuno. Per quanto fosse abile negli affari, quell’uomo custodiva gelosamente i suoi progetti, e in pochi ne erano a conoscenza, ancora meno quelli in cui ne facevano parte.  
-non credo che il Signor Sabaku sia interessato al tuo progetto... Ha cose più importanti da gestire- l'uomo trattenne a stento una risata, allontanandosi da lei per poi avanzare verso l’ingresso dello stabile
-”Signor Sabaku”? Capisco che è un po' più grande di te... Ma mi sembra che voi siate alquanto... Intimi- disse sfoggiando un altro sorriso, questa volta ancora più perfido del primo
-noi non siamo...-
-ah no? Eppure sulla tua pelle c’è il SUO odore e nei tuoi capelli ci sono ancora dei granelli di sabbia... Se non siete intimi cosa siete? - si voltò lentamente verso Sakura e questa volta assottigliò lo sguardo
-siete amici con benefici? O semplicemente... il suo nuovo giocattolo? - a quella affermazione perse un battito. Troppe volte aveva pensato alla stessa cosa e per la maggior parte delle volte ne era quasi certa, ma sentirselo dire in faccia, soprattutto da una persona a cui doveva la vita... faceva davvero male. Abbassò lo sguardo d’istinto per poi ricambiarne uno di fuoco al suo interlocutore.
-quello che siamo non ti deve interessare. È troppo tardi per i colloqui, sicuramente non vorrà riceverti. Prova domani mattina- detto questo si girò e aprì lo sportello della macchina.
Come un fulmine l’uomo le fu’ dietro le spalle e si appoggiò letteralmente su di lei tenendo delicatamente le mani sui polsi si lei
-ops.. A quanto pare ho detto qualcosa che non andava... ma non ti preoccupare. Purtroppo quel simpatico rossino ha la fama di usare le persone, e tu non sei nè la prima e nè l’ultima... ti conviene dimenticare tutto, qualsiasi cosa sia successa. Te lo dico per il tuo bene bambina mia- si abbassò per scoccarle un bacio sulla testa, per poi tornare all’ingresso
-sai, mi sei mancata tantissimo. E manchi tanto anche agli altri... Dovresti venire a trovarci ogni tanto... è11p anzi dovresti mollare questo stupido lavoro da schiavetta e tornare da noi. Lo sai, non ti mancherebbe niente e verresti trattata da regina, piccola stella- si girò verso di lei, e questa volta oltre al sorriso due occhi rossi avevano preso posto a quelli color pece.
-mi mancherebbe la libertà, quella che tu non hai mai dato a nessuno. Nemmeno a me...Madara- Sakura cercò di ignorare quegli occhi e si mise a sedere sul sedile. La cosa iniziava a puzzargli troppo. Non era un caso che lui sapesse che lei fosse lì...
-ogni cosa ha il suo prezzo... E tu lo sai meglio di tutti... Lo stai ancora pagando- detto questo l’uomo dagli occhi rossi sparì dietro la porta scorrevole dell’edificio. Lei volse lo sguardo in alto e le lacrime che a stento era riuscita a trattenere, finalmente potevano cadere libere.  
“no, non è un caso che sia qui... la mia libertà ha un prezzo... E lui è venuto a riscuotere”
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Madara varcò la soglia di quel piccolo edificio, immerso nei suoi pensieri. Cercò distrattamente l’ascensore per poi infilarcisi dentro e premere il pulsante del 3° piano. In testa risuonava ancora la voce di Sakura, forte ma allo stesso tempo insicura. Era certo che l’avesse messa in allerta, poiché l’ultima volta che le aveva rivolto la parola, quella ragazza dai capelli rosa, era scappata lasciandolo solo nell’ideale di mondo che aveva progettato per lei. Ancora non capiva il senso di quel gesto. Le aveva dato tutto e lei comunque era scappata.  
“ma non questa volta... tornerà da me. Tornerà ad essere la mia stella”  
Uscì svelto dall’ascensore per poi percorrere il piccolo corridoio che dava all’ufficio principale, durante il percorso sbriciò qua e là le scrivanie e riuscì a trovare anche il piccolo ufficio di sakura. Curioso entrò nella piccola stanza, socchiudendo la porta. Era impregnata del suo odore, i fogli con i vari post-it erano sparsi sulla scrivania, il piccolo pc ancora acceso era sommerso di note e fogli. Ne prese in mano alcuni, senza leggerli davvero. Girò intorno alla scrivania e prima di mettere mano sul computer una presenza lo bloccò. Alzò la testa e sorrise difronte ad un viso molto familiare.
-cosa ci fai qui? - Gaara aveva udito i passi di qualcuno arrestarsi in un punto preciso ed era andato a controllare. Quando si era ritrovato il volto di quell’uomo dietro la scrivania della sua segretaria si alterò non poco, ma cercò di essere il più distaccato e freddo possibile
-sono venuto a trovarti e a farti i miei complimenti Gaara- iniziò l’uomo allontanandosi dalla scrivania e andando incontro al ragazzo
-e lo fai sbirciando dove non dovresti- la sua non era una domanda; da quando aveva memoria l’uomo dagli occhi rossi aveva sempre creato qualche grosso problema che a stento gli “adulti” riuscivano a risolvere. E se era lì non era di certo per una semplice visita di cortesia. Lentamente fece scendere la sabbia dalla giara che aveva nascosto dietro di sé, era pronto ad attaccarlo al muro e imprigionarlo in uno delle vergini di sabbia che si era divertito negli anni a costruire per i suoi nemici. Ma sapeva anche che l’uomo davanti a sé probabilmente aveva già calcolato le sue mosse, tutto grazie al suo potere oculare. Uno dei pochi poteri che potevano essere trasmessi integri di generazione in generazione.  
Madara non si scompose nel vedere la sabbia scivolare sotto il ragazzo, in fondo lo aveva previsto un benvenuto del genere. Anzi era anche stupito del fatto che non fosse ancora schiacciato a terra, intrappolato in una prigione di sabbia letale. A passo lento si avvicinò al ragazzo e gli mise le mani sulle spalle
-hai ragione, ho sbagliato. Ma lo sai, sono sempre stato una persona curiosa. Ma tranquillo, i vostri progetti non mi interessano, ho altro per la mente...- erano uno difronte all’altro. Il moro superava il ragazzo di quasi 10 cm, tutti e due attenti ad ogni mossa dell’altro.
-e sei venuto qui a proporla, ma cosa ti fa pensare che la cosa mi interessi? - Gaara aveva incrociato le braccia al petto e si era appoggiato allo stipite della porta. Voleva chiudere la conversazione il prima possibile e soprattutto doveva trovare un modo per mandare quello svitato fuori dalla sua azienda e dalla sua vita prima che fosse troppo tardi
-oh sono sicuro che ti interessa. Io e te siamo piuttosto simili...-  
-e cosa te lo fa pensare? - Gaara interruppe l’uomo, sempre più convinto di voler usare il suo potere per cacciare via l’uomo.
-siamo uomini d’affare noi... Sempre pronti per nuove scoperte, sempre pronti a metterci in gioco. Siamo sempre al centro dell’attenzione, qualunque cosa noi facciamo- Madara lentamente si diresse verso la scrivania della ragazza e prese tra le mani l’unica foto presente in quella stanza. La spolverò con la manica per poi guardare teneramente l’immagine, poi rivolse l’immagine verso il ragazzo dai capelli rossi per poi riprendere a parlare
-niente riesce a fermarci, soprattutto se ci siamo fissati un obbiettivo. Ho notato che tra te e la signorina Haruno c’è una piccola intesa- Madara si mise a sedere sulla scrivania, tra le pile di fogli, facendone cadere alcuni
-non è di tuo interesse-  
-oh certo che è di mio interesse. Vedi, per chi non conoscesse le tue “passioni”, quello che regali a quella ragazza potrebbe essere facilmente frainteso. Cosa che a te va più che a genio visto che il tuo obbiettivo è di trovare un nuovo giocattolo con cui divertirti-
-Sakura non è un giocattolo-
-sisi certo... È questo quello che ti ripeti ogni volta che ti guardi allo specchio?- con un piccolo scatto del corpo Madara fu’ dietro le spalle del ragazzo, che non si era scomposto minimamente
-scommetto che dentro di te la voglia di avere un’altra schiavetta non ti è ancora passata...-
Gaara si girò lentamente, indurendo lo sguardo. Con un gesto della mano la sabbia si raccolse dietro di lui in tanti piccoli proiettili appuntiti, pronti a lanciarli verso il loro obbiettivo
-ho saputo dei guai che hai procurato in Giappone... nonostante tuo padre abbia coperto il fatto, qualcuno ancora sospetta di te... ed è per questo che sei venuto qui vero? Essere spedito dall’altra parte del globo per dare tempo laggiù di dimenticarsi di tutto per poi ricominciare. E devo dire che metterti a fianco una ragazza così... tenace è stata una mossa davvero intelligente... - Madara fece un passo verso il ragazzo, restando a pochi centimetri dal suo corpo. La sabbia aveva iniziato a tremare, la faccia del ragazzo aveva iniziato a creparsi e far cadere dei piccoli pezzi, come se fosse fatto di creta. Lo sguardo omicida gli procurava un piccolo brivido in tutto il corpo. Nonostante sapesse di essere il più forte, Madara temeva quel ragazzino.
-tranquillo, io ti capisco. Certe “passioni” hanno conseguenze più o meno gravi. Anche a me è capitato di aver rotto qualche “giocattolo”, ma è normale. Non tutti i “giocattoli” sono fatti di buona qualità... soprattutto sei uno di questi si ribella...- assottigliò lo sguardo cercando di tenere testa a quello omicida del rossino
-però, se il mio progetto prendesse forma, non ci saranno più conseguenze spiacevoli- Gaara alzò un sopracciglio. Aver portato a galla una storia che stava tentando di insabbiare in tutti i modi lo aveva fatto incavolare in tutti i modi. Una parte di sé lo avrebbe impalato lì sul momento, mentre l’altra cercava di trovare un senso alle parole di quel pazzo di un Uchiha
Senza avere il consenso Madara estrasse un piccolo fascicolo dalla borsa che aveva a tracolla e la porse al ragazzo. Gaara la prese in mano e iniziò a sfogliarla
-vedi il progetto che ho in mente, non solo soddisferà i tuoi bisogni personali, ma potrà essere utilizzato anche per scopi più grandi... ti basterà applicare questo piccolino sulla mano della persona interessata e potrai ottenere quello che vuoi- Madara estrasse dalla borsa, questa volta, un piccolo led che lasciò sulla sua mano. Era più piccolo di un’unghia, ed era estremamente sottile e trasparente.  
Gaara lo prese e lo tenne nella sua mano. “sembra uno di quegli aggeggi che mi ha descritto papà nelle sue storie. Uno di quelli che avevano sperimentato per il controllo delle persone prima della tempesta solare”
-e in tutto questo Haruno cosa c’entra? - Gaara continuò ad osservare il piccolo aggeggio per poi posare gli occhi sul suo interlocutore
-vedi Sakura è una mia vecchia conoscenza.... e proprio grazie a lei che sono riuscito a ideare questo piccolo giocattolino-
Gaara iniziò a insospettirsi. Il fatto che quello svitato l’avesse descritta come vecchia conoscenza non gli piaceva affatto
-una vecchia conoscenza? E per di più ti avrebbe aiutato in questo progetto... mi fa strano che sia ancora viva- Gaara aveva colpito nel segno. Non immaginava che tipo di relazione avessero quei due, ma di certo il moro non avrebbe mai lasciato uno dei suoi collaboratori lavorare per la conocorrenza. Sapeva che chi ci aveva provato aveva fatto una brutta fine
-bella battuta, non sapevo riuscissi a farne una- Madara finse una piccola risata per poi continuare
-vedi Sakura è stata la prima a sperimentare questa tecnologia-
-poi cos’è successo? - Gaara aveva di nuovo assunto una sguardo tagliente
-abbiamo avuto qualche piccolo battibecco ed ha abbandonato il progetto- “e me” finì di pensare Madara.
-mi fa ancora più strano che sia ancora VIVA. Anche se immagino cosa potesse aver vissuto per essere scappata-
A quel punto Madara attivò lo Sharingan, rabbia trasudava dalla sua pelle. Dove prima c’era un sorriso benevolo, ora c’erano labbra serrate in una piccola smorfia di disgusto.
“dopotutto siamo simili. Avrai torturato quella poverina fino a che se l’è data a gambe...”
Una voce più oscura si intrufolò nella sua mente
“non male per una ragazzina fuggire da questo svitato ed essere ancora in piena salute... a meno ché non l’abbia lasciata in vita a posta...”
-che cosa cerchi da lei Madara?-
-voglio che ritorni a far parte del progetto, AIUTANDOCI a svilupparlo al meglio-
-aiutando-CI?- Gaara marcò le ultime parole  
-ovviamente se accetterai. Pensaci bene ragazzo mio. Con questo piccolo oggetto...- gli fu di nuovo alle spalle, ma questa volta un pochino più lontano  
– potresti avere tutto il mondo ai tuoi piedi. Chi indossa questo piccolino è totalmente SUCCUBE delle tue parole e azioni. Non solo avresti la possibilità di ricostruire l’harem che hai distrutto, ma avresti la possibilità di ampliare la tua rete di informazioni ed accrescere la vostra azienda per farla diventare il numero uno non solo di poche nazioni, ma del pianeta intero-
Aveva gli occhi che brillavano e un leggero affanno nel respiro
“si sta’ eccitando solo all’idea, vecchio bastardo” la voce oscura aveva azzeccato il commento a quella scena  
-e che cosa vorresti in cambio? -
-ovviamente saremo soci in affari. Mi prenderò il 30% dei guadagni-
-ma? -a Gaara puzzava sempre di più le richieste di quel pazzo
-Ma ho BISOGNO di Sakura. Senza di lei non funzionerebbe-
Gaara prestò massima attenzione alle ultime parole del moro. Quella affermazione non le era piaciuto affatto. Attese qualche istante prima di dara una risposta alla domanda silenziosa che le aveva proposto l’Uchiha
-per quanto mi sforzi a capire le tue intenzioni, l’unica risposta che posso darti è NO. Non prenderò parte ad un progetto del genere. Ho già problemi adesso, se accetto l’azienda cadrebbe ancora più in basso-
Madara aveva incassato il colpo silenziosamente. Sperava che il rossino prendesse parte al suo progetto, ma a quanto pare aveva maturato una lealtà nei confronti della sua famiglia che qualche tempo prima non aveva
-allora lascia solo che Sakura mi dia una mano nel tempo libero. Ho VERAMENTE bisogno di lei. Mi prenderò CURA di lei-
-assolutamente no. Qui in azienda abbiamo bisogno di lei, e io ho bisogno di lei nel tempo libero-
A quel punto accompagnò l’ospite indesiderato all’ingresso, porgendogli il piccolo oggetto e il fascicolo.
-Madara lascia che ti dica una cosa. Qualsiasi cosa ti legava a quella ragazzina, ora non c’è più. Se hai bisogno di realizzare il tuo progetto ci sono tante aziende e altrettante persone pronte a farti da cavia-
Madara rimase di stucco a quella affermazione. Ma ne era contento in fondo.
-capisco... allora mi dispiace averti portato via del tempo prezioso. Lascia però che ti dia un piccolo consiglio... non ti ci affezionare troppo. Quella ragazzina ha la strana abitudine di “mordere la mano che la nutre” -  
-dipende da che mano le arriva. Se in quella mano il cibo è veleno, dubito che voglia rimanere. Comunque sia non preoccuparti. Come hai detto tu noi due siamo simili, non puntiamo ad avere relazioni, ma solo giocattoli che ci tengano impegnati -  
“sei veramente spregevole, degno di essere il mio contenitore” la voce oscura continuava a ridere mentre sul volto di Gaara apparve un piccolo ghigno. Madara  quel punto non restò che allontanarsi, la rabbia iniziava a ribollire nello stomaco. Non solo non aveva ottenuto la collaborazione che aveva sperato, ma si era lasciato sfuggire l’occasione di riavere la sua piccola stella
“certo deve essersi affezionato il piccolo bastardo, ma lo troverò un modo per portartela via. Come hai detto tu, ci sono tante aziende che accetteranno di collaborare... Soprattutto se questo potrebbe portarli sulla vetta e spodestarti”  
Una risata malvagia risuonava nel silenzio di quella notte di luna piena. Una risata di un uomo che aveva un obbiettivo in mente e che nessuno lo avrebbe fermato.  
Gaara era tornato nel suo ufficio, davanti al grande Mac aveva iniziato a comporre una decina di email, tutte con la stessa frase scritta. Una frase corta e concisa. Inviò le email e guardò il telefono. Era tentato di chiamare quella ragazzina per incontrarla e chiederle spiegazioni, ma non lo fece. Era tardi ed era molto stanco. Costruì una piccola rosa di sabbia che posò sulla scrivania  prima di alzarsi e uscire di lì.  
“la chiamerò domani, e ne parleremo insieme. Se lei sa qualcosa è bene che la tenga aggiornata sugli avvenimenti e soprattutto lontana da quel pazzo”
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francescaaghiani · 5 years ago
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Mi sono affacciata alla finestra, il sole picchiava sul terrazzo come in una giornata di Maggio,il cielo non aveva neanche una nuvola, era sereno, un po' come me in quel periodo, trasmetteva una strana felicità e una tranquillità disarmante.
"Un giorno meraviglioso per andare a fare un giro", ho pensato tra me e me, così ho preso la mia macchina fotografica, ho messo il giubbotto e chiesto al nonno di uscire con me.
Era proprio come i vecchi tempi, sembrava quasi di essere tornata all'età di quattro anni.
Ho iniziato a fotografare qualsiasi cosa: le case colorate, i giardini dove andavo da piccola, il mare, il ponte,le anatre nel fiume, le strade.
Ho voluto immortalare tutto ciò che potevo, per tenere ben a mente ciò che stavo guardando, e avere la possibilità di vederlo in qualsiasi momento, anche da lontano.
Al ritorno,oramai giunti davanti al condominio, per puro caso, per istinto o forse per abitudine, non saprei, senza riflettere mi sono girata a guardare questo muretto, e in quel momento ho sentito un tonfo improvviso dentro il petto, il cuore diventare pesante come il piombo e gli occhi bruciare.
Ero ferma proprio lì davanti, mentre mio nonno era già per le scale, -lui è più atletico di me, cammina spedito come un razzo-, impalata con la macchina fotografica tra le mani e un leggero dolore al petto - era malinconia la mia,forse?
È bastato un attimo e i ricordi sono riaffiorati veloci nella mente come il riassunto della puntata precedente di una serie tv.
È solo un muretto, penserete voi, ignari dei bei momenti passati lì col nonno al mio fianco.
Ricordo che ogni giorno non vedevo l'ora di uscire a fare una passeggiata con lui, che alla fine il giro non cambiava mai, ci fermavano un po' ai giardinetti in fondo alla strada: amavo andare sull'altalena e farmi spingere sempre più in alto, mi piaceva dondolare fino a toccare il cielo con la punta dei piedi, questo mi sembrava di fare, quando stringevo forte le catene che tenevano il seggiolino attaccato alla struttura di legno, aspettando la spinta delle grosse e forti mani del nonno.
Lo scivolo era qualcosa di stupendo, non era come quello del mio paese: aveva la passerella barcollante, aveva una corda in verticale per arrampicarsi, ed io ogni volta che provavo ad arrampicarmi rimanevo sempre ferma allo stesso punto, perché imbranata com'ero non riuscivo a salire più su del salto che facevo per salire, così con le mani rosse per aver stretto troppo quella maledetta corda, andavo a comprare al mercatino, il quale non era altro che un piccolo bancone di legno sotto la passerella, dove i bambini vendevano le pigne, le foglie, le pietre e qualsiasi cosa si potesse raccogliere da terra -di non tossico ovviamente-. A dir la verità non mi piaceva molto essere la cliente, ho sempre preferito fare la commessa, dicevo che le pigne, dato che mio nonno si chiama Pino, le conoscevo meglio di tutti, e gli altri bambini - non chiedetemi né come né perché - mi davano ragione, permettendomi di stare dietro il bancone, così bello ai miei occhi. I bidoni della spazzatura mi hanno sempre inquietato un po', erano due: uno a forma di delfino (all'entrata) con la bocca aperta, l'altro a forma di rana (all'uscita) anch'essa con la bocca aperta e due enormi occhi, entrambi i cestini erano più grandi di me e per paura, quando entravamo ed uscivamo dal parco, facevo finta di niente e prendevo la mano del nonno, perché così mi sentivo al sicuro, protetta da tutti.
Dopo andavamo sino alla coop, fermandoci prima a vedere il treno che passava, mi piaceva tanto guardare quel serpente lunghissimo di ferro bianco e verde sfrecciare a tutta velocità. E poi si faceva il giro per tornare a casa,per me era il momento più bello della giornata. Al rientro passavamo sempre nella gelateria sotto casa, - dove ancora oggi prendo lo stesso gusto, il fior di latte- a prendere il mio gelato preferito, ed ogni volta sopra la pallina la gelataia mi metteva una cialda rotonda delle winx o della disney.
Così ci sedevamo su quel muretto, ed io non riuscivo mai a  toccare per terra con i piedi,ma mi piaceva rimanere lì, con a fianco quello che sarebbe stato per sempre l'uomo della mia vita,con il mio gelato in mano,guardando i motorini e le biciclette passare sulla strada,e facendo discorsi lunghi quasi quanto i testi che scrivo. Era il nostro posto: nelle sere d'estate, dopo aver cenato, scendevamo giù a fare la nostra passeggiata, per poi sederci lì,su quel muretto di pietra,uno di fianco all'altra, a parlare, parlare e parlare di qualsiasi cosa ci venisse in mente. Addirittura, una volta mi ricordo che dallo spiazzo dei parcheggi avevamo trovato un carrello del negozio vicino casa loro, lo abbiamo preso e messo sotto il portone, e il giorno dopo lo abbiamo riportato al suo posto, prendendoci l'euro che c'era dentro.
Qualsiasi cosa facessimo, dopo ci fermavamo sempre in quel posto,e prima di tornare a casa, ogni singola volta mi guardava sorridendo, mi dava una pacca sulla coscia dicendo: "anemu in ca" (andiamo in casa).
Finalmente i piedi riuscivo a farli toccare perfettamente a terra, ero quasi alta come il nonno, e riuscivo a stare al passo con la sua camminata,la mano ormai non me la dava più, però,mi prendeva sempre sotto il braccio, per assicurarsi che attraversassi con lui, - e lo fa tutt'ora.-
Ho fotografato il nostro posto, dove ancora oggi, guardando quel muretto, vedo una piccola bimba insieme a suo nonno, seduti lì mentre mangiano un gelato, felici, sorridenti e spensierati.
Sono tornata con i piedi per terra quando ho sentito cadere una goccia sulla mano, e toccandomi il viso ho capito che non era pioggia, erano le mie lacrime, lacrime di nostalgia probabilmente, della nostalgia di una vita che mi manca da morire.
Dopo aver fatto un paio di scatti, essermi asciugata il viso rigato dalle gocce di pianto e fatto un bel respiro profondo, sono tornata saltellando e sorridendo dal nonno, che mi aspettava dal portone, perché anche se non posso riavere ciò che ho perso, so di avere lui, loro al mio fianco, anche se lontani. Così sono tornata a casa, con il cuore combattuto tra una felicità ancora più strana e la tristezza, perché alla fine io vivo così: perennemente in bilico tra due emozioni contrastanti.
Il nostro posto.
31/12/2019
FG.
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elisavagnarelli · 5 years ago
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Il "Mini Bug Hotel" in giardino!!! 😍😍😍 La "messa in posa" - su un ramo del grande albero spoglio - è avvenuta intorno alle 12.30 di oggi, lunedì 16 marzo 2020, alla presenza di pochi intimi e sotto gli sguardi curiosi di Silver - micio guardiano di zona - e del vicino di casa; fintamente occupato in faccende proprie, al di là dello steccato. Il ronzio delle api laboriose 🐝🐝🐝 ha fatto dunque da sottofondo alla cerimonia di legatura. Il #BugHotel ha destato la curiosità immediata del nugolo di moscerini ronzanti poco lontano e l'interesse vivo della giovane coccinella 🐞, al momento residente nella siepe di foglie verdi e rosse, che - timidissima - ha però preferito non uscire allo scoperto e rimanere camuffata in casa. Un paio di farfalle gentili, capitate lì per caso e un po' stanche per il viaggio già affrontato, si sono fermate giusto il tempo di qualche informazione. Il #BugHotel è una struttura nuova, accogliente e aperta a tutti "i Bug". La promessa dei costruttori è quella di ampliare al più presto il progetto in giardino, con altre strutture simili, pronte ad accogliere. È il caso di dire... #StayTuned! 😉😊 #ComeIlMieleSugliSpiedini #BertoniEditore #🌞 #BeeHappy #Bee #Api #Costruire #Gubbio #IdeeCreative #RicicloCreativo #Spiedini #TraLePagineDiUnLibro #VitaInGiardino #Giardino #Felicità #InstaPic #InstaMoment https://www.instagram.com/p/B9zDMFDoI37/?igshid=2o6i9l3fu1ad
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jonitriantisvansicklei · 5 years ago
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I CONTABILI DELLE FOGLIE
(di Fiorenza Adriano).
Un fiume pulito e ricco di acque divideva fra loro due regni, entrambi belli, rigogliosi e verdi di prati e di boschi. Governavano i regni due sovrani orgogliosi delle loro terre prospere e fertili. I re erano amanti della pace e avevano consolidato fra di loro dei buoni rapporti. Ma re Bard si era innamorato della quercia di re Silvan e ne era invidioso.
Perché si può competere sulla ricchezza di un castello, sull'abilità nel costruire un ponte o sulla magnificenza di una festa, ma come si può andare alla pari con una quercia, che ha bisogno di secoli per diventare immensa e possente?
Collocata al centro di un prato proprio davanti al castello, la quercia di re Silvan era ammirata e famosa. Mai si era vista, a memoria d'uomo, una pianta così così grande e spesso il re ospitava sotto le sue fronde banchetti per i nobili, ma anche balli e canti del popolo.
Quando Bard veniva in visita, Silvan non mancava mai di accompagnarlo a cavallo e di fermarsi presso la quercia, fingendo di non notare la sofferenza di Bard, che tanto ci pativa.
Bard aveva uno scudiero che gli era gradito, un ragazzo bruno e intelligente, attento a tutto e di modi educati. A volte il re parlava un po' con lui, perché era tanto saggio da dargli anche qualche consiglio, essendo dotato di un buon senso popolano e semplice che spesso a corte mancava. Il ragazzo si chiamava Carl e nessuno come lui poteva dire al re se sarebbe piovuto il giorno dopo oppure no ed altre cose alquanto utili da sapere.
Un mattino il re si lasciò scappare un sospiro e manifestò a Carl il suo dispiacere: “Che cosa darei per avere una quercia grande come quella di re Silvan!” disse.
Carl aveva modi pacati ma cervello veloce e gli vennero in mente subito due cose: che in realtà Bard una quercia così grande ce l'aveva e che lui avrebbe saputo bene che cosa chiedere al re in cambio di questa quercia, ma si trattava di un dono talmente grande che era da pazzi chiederlo. Carl si era innamorato della figlia minore del re e non riusciva a togliersela dalla testa. La ragazza aveva lunghe trecce rosse e lo scudiero aveva incominciato ad ornare i cavalli con trecce simili, alla coda e alla criniera. Il re aveva gradito la cosa e non sospettava che Carl pensasse in realtà solo alle trecce di sua figlia.
Dopo la confidenza del re, Carl si prese un po' di tempo per riflettere. Poi disse: “Maestà, scusate il mio parlare, ma veramente voi dareste qualunque cosa in cambio di una quercia come quella di re Silvan?”
“Qualunque cosa che io potessi dare!” rispose il re.
“Maestà, io posso darvi questa quercia, ma il dono che vorrei chiedere in cambio è talmente grande e al di sopra di ogni giusta ragionevolezza che le mie labbra non osano esprimerlo.”
Il re rimase sbalordito. Guardò il ragazzo e disse: “Che storia è mai questa? Come puoi tu darmi una quercia e che cosa vorresti in cambio?”
Carl arrossì: “Maestà, la quercia è già vostra, da sempre, ma solo io conosco il luogo in cui si trova. Ed è vostro da sempre il dono che, se potessi osare, il mio cuore impudente vorrebbe chiedere.”
Il re era senza parole dallo stupore. Infine disse: “Dunque nel mio regno c'è una quercia grande come quella di re Silvan,? E tu sai dove si trova? Voglio andarla a vedere subito, e onorerò la mia parola, dandoti in cambio quello che vorrai.”
Partirono e Carl condusse il re lontano, verso un luogo in cui la vegetazione selvatica aveva da tempo reso un bosco inaccessibile. Lì giunti, non si riuscì però ad entrare perché i rami e le spine strappavano i vestiti e ferivano i cavalli.
Re Bard dovette frenare la sua impazienza e tornarono sul posto il giorno dopo, con alcuni uomini che aprirono loro un sentiero. Dopo ore di attesa, di lavoro e di lento procedere, riuscirono finalmente a raggiungere la quercia e per il re fu come raggiungere il suo cuore, la cosa più sognata.
Al centro di una radura si ergeva la quercia più maestosa, più massiccia e imponente che si potesse immaginare.
“Questa è più grande di quella di re Sivan!” esclamò il re che pareva impazzito dalla gioia e si era al momento dimenticato di quello che avrebbe potuto chiedere Carl in cambio.
Nei giorni seguenti a corte e in tutto il regno non si parlò di altro che della quercia. La gente del popolo si recò a vederla, il re trascinò sul posto tutti i ministri e i cortigiani e chiunque gli capitasse a tiro e tutti affermarono che la quercia era più grande di quella di re Silvan. Bard era felice, e ancora non gli veniva in mente che avrebbe dovuto fare un dono a Carl.
Se ne ricordò un mattino, vedendo che il ragazzo pareva triste e immerso nei suoi pensieri. Gli tornò in mente la sua promessa e rise, siccome era molto di buon umore: “Ragazzo, cosa temevi, che mi fossi dimenticato che ti devo qualcosa? Dimmi su dunque, che cosa vuoi?”
Carl si sentì avvampare e non riusciva a rispondere: “Maestà, non oso chiedere...”
“Basta! Ti ordino di parlare e di chiedermi quello che vuoi!”
“Maestà, io oso avere in mente una sola cosa da tempo ed è vostra figlia Carlotta” sbottò finalmente Carl
Fu il re adesso a sentirsi avvampare: “Mia figlia! Tu...mia figlia?”
La cosa era troppo enorme, inaudita. La mano gli corse istintivamente alla spada e Carl arretrò, spaventato. Fu un momento che parve eterno, poi il re si calmò e riuscì a pensare. Aveva avuto cinque figlie. Una l'aveva sposata al re di Francia, l'altra al re di Spagna, la terza al principe di Turlandia, la quarta al sultano dell' Impero dell' Asia. La minore non l'aveva ancora chiesta nessuno e non era una gran bellezza. Ma...una cosa simile, si poteva fare? Il re era vedovo e non avrebbe neppure dovuto consultarsi con la regina. Alla fine disse: “Manterrò la mia parola e avrai mia figlia, ma a due condizioni: che mia figlia sia contenta e che la mia quercia sia ufficialmente dichiarata da tutti più grande di quella di re Silavan! Intanto ti nomino marchese, così se dovrai sposare la principessa non sarà una cosa disonorevole per nessuno.”
Così Bard fu nominato marchese e gli fu assegnata una tenuta con una fattoria e dei campi, la tenuta di Pratobello.
La notizia della quercia arrivò alle orecchie di re Silvan che non ne fu contento e non gli giunse inaspettato l'invito di re Bard che lo pregava gentilmente di onorarlo della sua presenza per un banchetto. Ci andò, con tutta la sua corte, e già sapeva come sarebbe andata a finire. Erano gli ultimi giorni di maggio, il cielo era azzurro, la natura incantevole con la sua magnificenza di erbe e di fiori, e re Bard aggregò tutti i suoi ospiti in una carovana per andare a vedere la sua quercia. Quando re Silvan la vide ci rimase male e disse: “Caro Bard, si potrebbe dire che le nostre due querce paiono quasi gemelle, ma la mia è certamente più grande!”
Re Bard si oscurò, ribattendo: “Questo ancora non si sa, chi lo può dire, non le abbiamo ancora messe a confronto.”
Al nuovo scudiero del re scappò da ridere e nascose la faccia fingendo un colpo di tosse, pensando a come si potesse fare a mettere a confronto due querce lontane fra di loro.
“Alla base del tronco la mia misura tre uomini con le braccia allargate e un cavallo...”, insistette re Sivan.
“A parte che il cavallo non conta”, disse re Bard, “la base del tronco non è tutto, bisogna considerare l'altezza, l'ampiezza della chioma, il numero e la grandezza dei rami...”
Allo scudiero scappava sempre da ridere e dovette allontanarsi fingendo ancora di tossire. I due re, con l'appoggio delle rispettive corti, arrivarono alla conclusione che le due querce si dovessero misurare in qualche modo per stabilire una volta per tutte e di fronte al mondo quale fosse la più grande. Sul modo di misurarle non se ne veniva a capo.
I sovrani si erano infervorati e stavano perdendo il lume della ragione. Qualche ministro propose di convocare degli esperti e di lasciar fare a loro una valutazione. Ma chi erano questi esperti? Forse chi doveva acquistare un albero per farne una nave, o una casa, o legname da rivendere, e doveva decidere il prezzo da offrire in base al presunto volume dell'albero? Forse loro.
E nei giorni seguenti non si perse tempo e fu convocato addirittura il capomastro di un cantiere navale, che fu fatto venire da un regno abbastanza lontano che si affacciava sul mare, a spese equamente divise tra i due contendenti e sicuramente non di parte.
Il capomastro si studiò ben bene le due querce, con i due re ansiosamente al seguito. Alla fine concluse: “Difficile dire. Una valutazione esatta è impossibile. I due alberi paiono quasi gemelli e forse hanno la stessa età. Per poter dire con sicurezza quale sia il più poderoso, bisogna abbatterli, vedere così quanti anni hanno e poi pesare il legname. Solo così si potrà dire.”
A questo punto, la ragionevolezza se n'era andata da un pezzo dall'animo dei due regnanti e concordarono rabbiosamente: bisogna abbattere, e allora abbattiamo!
Lo scudiero non rise più, angosciato, torvo torvo, appena finito il suo servizio andò a trovare il marchese di Pratobello, cioè Carl, che era suo amico e che non si era affatto montato la testa con il suo marchesato. Gli riferì la faccenda e Carl ne fu alquanto turbato. C'era con lui la madre, già anziana, contadina che aveva vissuto fra i pascoli e i campi e conosceva il valore delle cose.
“I potenti non sanno amministrare i doni di Dio”, disse la donna. “Pensano solo a se stessi e distruggono con noncuranza quello che la terra ha impiegato secoli a realizzare. Carl, figlio mio, tu hai sempre avuto una testa fine e il re ti stima. Vai dunque a parlargli, fatti venire in mente qualcosa.!”
Carl andò dal re, pensando e pensando finché un'idea gli venne, alquanto bislacca e strana, ma sarebbe perlomeno servita a prendere tempo, in attesa che ai sovrani tornasse la ragione.
Il marchese si presentò al re e gli disse: “Maestà, abbattere le querce è un peccato! Io vi chiedo di ascoltare l'idea che mi è venuta, che potrebbe piacervi e forse risolvere la cosa.”
Il re gli disse di parlare e Carl proseguì: “ Arriverà l'autunno e le querce perderanno le foglie. Ad una ad una cadranno al suolo. Se un gruppo di contabili fosse sempre presente sul posto, se riuscissero a contarle tutte, alle fine la pianta che ne avrà perse di più potrà sicuramente essere considerata la più grande, non si può sbagliare.”
L'idea era talmente folle che al re piacque. Piacque pure a re Silvan e i due si trovarono d'accordo. I contabili dovevano essere stranieri, imparziali, e ci fu tempo fino all'autunno per cercarli e convocarli, a spese equamente divise tra i due sovrani. Vennero in tanti, perché ce ne volevano parecchi. Si fecero le cose per bene. Ogni contabile aveva, intorno all'albero, un suo pezzo di suolo ben delimitato e doveva contare, con l'aiuto di un ragazzino che faceva da supporto, le foglie che cadevano nel suo pezzo. Quando l'autunno incominciò a spogliare le piante i contabili furono al lavoro ed erano sette per ogni albero, seduti ad un tavolino, con la penna d'oca e un librone.
Naturalmente le foglie cadono anche di notte e questo complicava le cose. I più anziani lavoravano di giorno, i più giovani, con la vista più acuta, erano in servizio di notte. Sette contabili giovani davano il cambio ai sette più anziani, quando il sole volgeva al tramonto. Per avere illuminazione, c'erano uomini che reggevano ovunque torce e accendevano piccoli falò, mentre le donne portavano da mangiare e da bere. Insomma, fu un lavoro collettivo che non procedeva male e, per quanto assurdo, sembrava poter dare un buon risultato. Fu lungo, estenuante, faticoso per tutti, tranne che per le querce che dolcemente, senza alcuna premura, persero le loro foglie secondo i loro ritmi naturali e l'aiuto del vento che, per fortuna, non soffiò mai troppo forte.
Il tempo asciutto rese la faccenda possibile, ma un giorno Carl si presentò al re Bard e gli disse: “Fra tre giorni pioverà” e il re sapeva che, se lo diceva lui, era sicuro.
“Come faremo?”, si lamentò il re. “Contare le foglie sotto la pioggia, e specialmente di notte, sarà impossibile. Si spegneranno le torce, come faremo?”
Carl si era già preparato la risposta da dare al sovrano, in quanto aveva previsto la domanda. Disse: “Maestà, facciamo tessere delle tele, che saranno come le reti dei pescatori. Lasceranno passare l'acqua e tratterranno le foglie. Saranno posizionate attorno agli alberi ad una certa distanza da terra e dovrebbero essere efficaci.”
Così fu fatto, e allora tutte le donne a tessere, veloci. Intanto un messaggero portava a re Silvan le notizia e il re accoglieva la proposta e si adeguava facendo tessere a sua volta delle reti.
Piovve per due giorni e poi tornò il sereno. Le foglie sulle reti furono scrupolosamente contate e non se ne perse una. Si tornò a contare con i contabili. Per fortuna il lavoro ormai volgeva al termine, i rami erano quasi spogli. Gli ultimi giorni furono estenuanti e la tensione cresceva. Chi avrebbe vinto la gara, e con quali conseguenze? Naturalmente Carl sperava nella vittoria di Bard, per poter sposare la principessa, se lei l'avesse voluto, ma non era affatto sicuro di come sarebbero andate le cose.
Silvan annunciò di aver finito la conta. Due giorni dopo, anche Bard.
Si riunirono tutti nel castello di re Bard. I contabili chiesero tempo per trasformare in cifre tutti i segni di vario tipo che avevano sui loro fogli. Ci vollero ancora giorni e dovettero inventarsi dei numeri nuovi, siccome non ne conoscevano abbastanza. Si misero d'accordo e inventarono “il fascione”.
Finalmente, nella massima tensione possibile, davanti ai due re e alle loro corti, i rappresentanti dei due gruppi di contabili delle foglie diedero i loro numeri.
La quercia di re Bard: un fascione e tredicimila e otto foglie. La quercia di re Silvan: un fascione e tredicimila e nove foglie.
A re Bard si fermò il respiro, tutti vociarono, re Silvan esultò. Re Bard si rizzò sul trono e strillò: “Noi non accetteremo di perdere per una foglia! Sarà guerra, la decideremo con le armi!”
“No!” esclamò Carl facendosi avanti. “Ho qualcosa da dire! Stamattina sono passato sotto la nostra quercia e ho visto che su uno dei rami più alti, lassù in cima, c'è appesa ancora una foglia!”
Ci fu gran trambusto, corsero tutti a vedere e si, lassù, appena visibile tra i rami, era rimasta appesa una foglia. Carl respirò di sollievo: che cosa sarebbe successo se il vento l'avesse staccata prima che potessero vederla? Una guerra? Una guerra per una foglia?
A questo punto non c'erano dubbi sull'assoluta parità del verdetto. Le querce erano davvero gemelle, identiche nel numero di foglie.
I re si calmarono, ognuno si ritirò a casa sua e fu come se nulla fosse successo. Salve le querce, salva la gente, e la principessa?
Carl non ci sperava più, finché un giorno, e si era ormai in inverno e la neve copriva la terra, re Carl lo mandò a chiamare e gli disse: “Ho parlato con mia figlia e mi ha detto che è contenta. Questa primavera vi sposerete con la mia benedizione. Sono rinsavito, ho riflettuto e ho capito che le due querce gemelle sono un dono del cielo, che ci vuole fra di noi tutti fratelli. Mia figlia non potrebbe avere marito migliore di te, che hai sempre dimostrato sagacia e buon senso e inoltre sai quando pioverà e non è il caso di preparare banchetti all'aperto.”
Carl si inginocchiò, felice, ed esclamò: “Lunga vita al re, lunga vita alle querce!”
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