#Inferno Personale
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Lo sai: debbo riperderti e non posso – Un viaggio nell'anima tormentata di Eugenio Montale. Recensione di Alessandria today
Analisi approfondita del mottetto montaliano che esplora la sofferenza della perdita e l'angoscia dell'amore impossibile.
Analisi approfondita del mottetto montaliano che esplora la sofferenza della perdita e l’angoscia dell’amore impossibile. Recensione: Un’immersione nel tormento amoroso di Montale “Lo sai: debbo riperderti e non posso” è il primo dei venti componimenti della sezione “Mottetti” all’interno della raccolta Le occasioni di Eugenio Montale, pubblicata nel 1939. Questo mottetto incarna l’essenza…
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Il tempo e il letto
Ormai per me il tempo è una questione di sentenze, vivo praticamente aspettando una catastrofe alla volta.Sono davvero stufo, oltre che stanco, di questa ansia. È diventata rassegnazione. Quello che mi irrita è che i problemi ci sono e ci saranno sempre, tutti hanno problemi, ma in casa devono sempre esasperare tutto all’inverosimile.Ho passato giorni fuori, ho tentato anche di dormire su una…
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Prima di raggiungere il successo devi attraversare il tuo inferno, tuo vuol dire creato da te solo per te non parlo dell’inferno creato o condizionato dagli altri, ma tuo intendo tu che vivi nei sogni e mascheri la tua realtà che fai fatica ad accettare per questo sei impegnato tutto l’anno e poi ti ritrovi al tuo stesso punto di partenza, quello che rimandi per poco tempo, concentrazione, voglia , motivazione e ecc. e le centinaia di scuse o paura che poi utilizzare. Il tuo inferno inizia quando prendi tutto sotto la tua responsabilità creando per te il tuo demone che dovrai oltre passare ogni santo giorno e ti farà male ti farà tanto male ti farà soffrire solo sconfiggendolo ti potrà sembrare che la giornata è in discesa che tutto il resto non conta ma contatti tu che riesci a fare un passo in avanti e trasformare la realtà in un incubo che non Sognerai più e i tuoi sogni in realtà…
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Papà era tecnico di laboratorio all' ospedale Sant' Orsola.
43 anni fa era un sabato e lui faceva mattina.
Al pomeriggio doveva venirmi a prendere dai nonni per portarmi alla piscina di Granarolo.
Papà non arrivò puntuale come mi aveva promesso.
Quando scoppio la bomba, tutto il personale medico e paramedico fu mobilitato e mandato alla stazione.
Entrato nell'atrio, la prima cosa che gli capitò fu di scivolare sul sangue sparso in terra e si rese subito conto dell'orrore.
Si rialzò e si mise a scavare con le mani.
Trovò un bambino tedesco che aveva esattamente la mia età, ma non poté tirarlo fuori perché ferito ed incastrato dalla vita in giù sotto una trave.
Gli misero una flebo e papà si sdraiò accanto a lui. Parlava bene tedesco, per cui gli parlò, lo consolò, gli diede da bere. Passò la notte a raccontargli le stesse fiabe che raccontava a me, di Ramesse il coccodrillo del Nilo e del suo furbo amico, il pesciolino Tutankamon.
Venne il giorno e passò anche la mattina, papà era sempre lì nella polvere e nel sangue, accanto a quel cucciolo spaurito e sofferente, che avrei potuto essere io stessa, come lui mi disse piangendo anni dopo.
A mezzogiorno il bimbo fu estratto dalle macerie, aveva le gambe rotte ma si salvò.
Non si salvò la madre, che lo teneva in braccio e gli fece scudo col suo corpo, schiacciato dalla pesante trave.
Papà mi portò in piscina domenica pomeriggio.
Quando mi vide mi abbracciò con tutte le sue forze, poi, sul prato della piscina di Granarolo, quel pomeriggio dormì, aprendo gli occhi solo per sorridermi ogni tanto.
Negli anni a venire, ancora, alcune notti si svegliava, sudato e angosciato, perché la coscienza, nel sonno, continuava a sbattergli davanti i fotogrammi di quell'incubo.
Me lo confessò solo quando fui grande.
Bologna 2 agosto 1980 è anche la storia dei soccorritori, del moto di spontanea solidarietà dei cittadini, che divennero gli angeli di quell' inferno.
Fra loro mio padre, Claudio Tuzi.
da una pagina fb
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“ Il presupposto, quasi esplicito, su cui sorse l’UE fu che i paesi ‘peccatori’ (Italia e Grecia in particolare) avevano vissuto fino ad allora al di sopra delle loro possibilità, eccedendo in spesa pubblica ovviamente non immediatamente redditizia. Ricordiamo le prediche in proposito. Certo, ogni tanto ci viene detto che basterebbe l’importo dell’italica evasione fiscale per risanare il debito che ci strangola e ci rende sorvegliati speciali all’interno della UE. Ogni volta però si conclude, con un sospiro, che si tratta di un male incurabile. E allora, ancora una volta, non resta che «pestare» quelli che «stanno sotto». E anche, forse soprattutto, a tal fine, si provvede ad instaurare, di volta in volta, un esecutivo «europeista». Il teorema non fa una grinza. Salvo che in un punto fondamentale, che vorremmo qui brevemente tratteggiare: alle vere e ataviche carenze italiane potrebbe porre rimedio un gigantesco investimento che incrementi proprio la pubblica amministrazione, ma questo è l’esatto contrario di ciò che «chiede l’Europa». È lamento quotidiano, e ben fondato e largamente condiviso, che da noi manchi adeguato e sufficiente personale in tanti settori vitali: magistratura (giudici e cancellieri: il commissario UE alla giustizia ce lo rimproverava cifre alla mano esattamente il 9 luglio scorso), ispettori del lavoro (le morti bianche sono il nostro flagello quotidiano), scuola (abbiamo ancora le vergognose classi-pollaio di gelminiana memoria particolarmente pericolose sotto ogni rispetto), guardie carcerarie (le vicende e i pestaggi recenti sono una macchia), sistema sanitario nazionale (il lamento in proposito fu molto forte quando l’epidemia sembrò soverchiante). E si potrebbe seguitare. Ci ordinano contemporaneamente di ridurre la spesa pubblica, di far funzionare il nostro paese (e di saldare prima o poi il debito). Arduo: «né pentère e volere insieme puossi / per la contradizion che nol consente» (Inferno, XXVII, 119-120). “
Luciano Canfora, La democrazia dei signori, Laterza (Collana: i Robinson / Letture), gennaio 2022. [Libro elettronico]
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Quattro di Spade
"Si può evolvere nell'Amore".
E' facile sentirsi piuttosto "intasati" in questi giorni.
Come se il Corpo stesse processando le tossine di un "antico ingorgo".
Camminiamo fianco a fianco con il Rilascio, a cui è associata contestualmente anche una potente Attivazione.
Ma è il Rilascio che ci fa sentire appesantiti e un po' tristi.
Nella realtà percepita siamo più sensibili alle situazioni di degrado, di ingiustizia, di deprivazione della dignità.
Ci risuonano.
La condizione di "perdita", di "mancanza", di "disperazione" che manifestano gran parte delle persone, ci tocca. Nel profondo.
Sapevamo che ciò sarebbe accaduto.
L'innalzamento di frequenze era già da tempo in procinto di sferrare il "colpo energetico" della Rivoluzione.
Ma ugualmente, a livello di "pietas" umana, ci commuove assistere alla rovinosa "caduta emotiva ed emozionale" del Corpo Terrestre.
Il Dolore è evolutivo, se "viene utilizzato".
Altrimenti si chiama "tormento".
E il "tormento" senza via d'uscita, è "dannazione".
Non a livello di Spirito. Ma sul piano puramente Materiale.
E fa male vederlo.
E non c'è giudizio nel considerarlo una tribolazione, una tortura, un massacro. C'è solo tanta commozione e vicinanza umana per chi sta attraversando il suo Inferno personale.
Vedremo tanti uomini e donne disperati, piangenti e persi nel loro smarrimento. Non evolveranno. Ma acquisiranno maggiori informazioni interiori, utili per le prossime Dimensioni.
A loro oggi va il mio abbraccio di Amore.
Nessuno merita il Dolore. Nessuno.
E nella antica distorsione diffusa che il Dolore sia l'unico strumento evolutivo, vorrei ricordare il potere della Gioia, dell'Amore, della Realizzazione, della Bellezza.
Si può evolvere nell'Amore.
Pochi lo sanno.
Pochi maneggiano quest'Arte Divina e Umana.
Non siamo costretti a soffrire per raggiungere il nostro Autentico movimento di Spirito.
Possiamo anche utilizzare altri Strumenti per raggiungere le nostre più profonde Verità.
Impareremo. Un passo alla volta giungeremo anche a questa meravigliosa scoperta.
Nel frattempo, buon martedì.
Un giorno alla volta, un'emozione dopo l'altra.
Mirtilla Esmeralda
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«I forti non sono amati.
Sono scomodi. Sono poco manipolabili.
I forti sanno sentire se stessi, conoscono i loro diritti e non sono disposti a rinunciarci.
Sanno essere felici malgrado tutto.
Hanno delle radici potenti che non si possono estirpare.
Non è facile distruggere i loro principi, la loro dignità, la loro fiducia in se stessi.
Sono in grado di sostenere qualsiasi verità, i colpi del destino, la tortura del tradimento e le tempeste delle proprie emozioni. Non hanno paura del dolore: hanno già attraversato il loro inferno personale e sanno trasformare le ferite in saggezza, sanno godere la vita, conservando nel cuore la bellezza e la tenerezza.
Non si aggirano sulla strade altrui, non commerciano la felicità,
non elemosinano l'amore.
Ma se dovessero conoscere questo sentimento,
lo accetterebbero come un dono e non tradirebbero mai coloro che amano.
I forti si evolvono, approfondiscono.
Ciascuno di loro porta una croce personale,
senza farla cadere sulle spalle degli altri.
Quando sbagliano si rialzano traendone una lezione,
invece di accusare qualcun altro.
I forti sanno andarsene, per sempre.
Non provate la loro resistenza: vi pieghereste.»
S. Zavattari
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Ma sai una cosa, alla fine ti ho lasciata andare. Ho pianto così tanto da prosciugarmi, e ho dovuto rifare le playlist da capo, ho dovuto scoprire nuovi posti che non conoscevi neanche tu, mi sono fatto malissimo ogni volta che vedevo quanto stessi bene senza di me. Il dolore è così forte perché il più grande errore che commettiamo nella nostra vita è quello di crederci insostituibili. Indispensabili. E fa male, fa malissimo quando scopri che il tuo volto, quello di un altro, che differenza fa? Le tue mani, le sue, il tuo modo di baciare, quello di chiunque altro. Che differenza fa? Ho scelto di lasciarti andare, e augurarmi che tu sia felice. Dove, con chi, non importa. A me ci penserò io, non fa niente, davvero. Me ne starò nel mio inferno personale fatto di foto, e messaggi, e lettere. Mi prenderò il mio tempo e prima o poi starò bene. E lo so che potrà sembrare una cosa ridicola, perché c'è sempre chi dice che in amore l'ultimo tentativo è sempre il penultimo, che bisogna lottare fino allo stremo, e tutte quelle stronzate lì. Ma che importa? Ho scelto di lasciarti andare e spero che tu possa trovare tutto quello che non ho potuto darti io. E questo forse potrà sembrare il tipo di amore più stupido, quello che non serve a niente, quello facile perché somiglia ad una resa. Qualcuno potrà dire che non è un amore sano, questo. Ma è l'unico amore che conosco per ora, mio malgrado. E' il tipo d'amore che forse non hai capito bene, o forse non ho saputo spiegartelo io. Tu prima di tutto. Anche prima di me. Anche senza di me.
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I forti non sono molto amati. Sono scomodi. Sono poco manipolabili. I forti sanno sentire se stessi, conoscono i loro diritti e non sono disposti a rinunciarci. Sanno essere felici malgrado tutto. Hanno delle radici potenti che non si possono estirpare.
Non è facile distruggere i loro principi, la loro dignità, la loro fiducia in se stessi. Sono in grado di sostenere qualsiasi verità, i colpi del destino, la tortura del tradimento e le tempeste delle proprie emozioni.
Non hanno paura del dolore: hanno già attraversato il loro inferno personale e sanno trasformare le ferite in saggezza, sanno godere la vita, conservando nel cuore la bellezza e la tenerezza.
Non si aggirano sulla strade altrui, non commerciano in felicità, non elemosinano l'amore. Ma se dovessero conoscere questo sentimento, lo accetterebbero come un dono e non tradirebbero mai coloro che amano. Vivendo con onestà, i forti si evolvono, si approfondiscono.
Ciascuno di loro porta una croce personale senza farla cadere sulle spalle degli altri. Quando sbagliano si rialzano traendone una lezione, invece di accusare qualcuno. I forti sanno andarsene, per sempre. Non provate la loro resistenza: vi pieghereste.
- S. Zavattari
Artist Zhang Xiao Bai
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Credo faccia parte del processo di guarigione guardare a certe tue mediocrità del passato con tenerezza e distacco; quello con cui non riesco a far pace è che quando risiedono in qualcun altro io non riesco più a provare un certo tipo di empatia perché da certe cose penso di essere fuori. Ed è proprio l’empatia che vorrei conservare, non dimenticarmi mai l’inferno che ho passato. Céline scrive: “la peggior sconfitta, in ogni caso, è dimenticare, e specialmente ciò che ci ha fatto crepare”. Ecco, io vorrei che il mio processo di guarigione non mi porti a diventare una di quelle persone che si credono risolte, che guardano gli altri dall’alto del loro basso, privi di indulgenza ed empatia perché ormai, quelle cose, le hanno ampiamente superate. Soprattutto, vorrei riuscire a essere in grado di ricordarmi perfettamente come stavo nei periodi più atroci, le sensazioni fisiche che ho provato durante le più disparate esperienze traumatiche, cosicché quando una persona mi parlerà della sua, di situazione, io potrò guardarla con gli occhi di capisce, di chi sa; e spero di non doverla guardare con occhi commiserevoli e sprezzanti, come siamo sempre umanamente portati a fare quando ci siamo lasciati il nostro personale Inferno alle spalle.
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I forti non sono amati Sono scomodi Sono poco manipolabili I forti sanno sentire se stessi Conoscono i loro diritti e non sono disposti a rinunciarci Sanno essere felici malgrado tutto Hanno delle radici potenti Che non si possono estirpare Non è facile distruggere i loro principi, la loro dignità, La loro fiducia in se stessi Sono in grado di sostenere qualsiasi verità I colpi del destino La tortura del tradimento E le tempeste delle proprie emozioni Non hanno paura del dolore Hanno già attraversato il loro inferno personale E sanno trasformare le ferite in saggezza
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HAPPY BIRTHDAY/BUON COMPLEANNO
Maestro DARIO ARGENTO
Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, nato a Roma il 7 settembre 1940. Capace di lavorare su generi cinematografici raramente affrontati dal cinema italiano (giallo, thriller, horror), ha creato un suo universo visivo ed espressivo, a tratti in debito con il cinema di Mario Bava. Ha inoltre assimilato e riproposto, sempre in chiave personale, il linguaggio di alcuni registi americani (Roger Corman, George A. Romero, Wes Craven). I suoi film, forti, tesi, ricchi di suggestioni, volutamente antirealisti e soprattutto capaci di suscitare forti emozioni, nascono "per essere rappresentati e non per essere letti. Nascono per immagini e non per concatenazioni di storie" (D. Argento, Profondo thrilling, 1994, p. 351). A partire dal 1973, si è dedicato alla produzione, oltre che di film propri, anche di quelli di altri registi, fra cui Romero, Lamberto Bava, Michele Soavi. Figlio del produttore cinematografico Salvatore e di Elda Luxardo, famosa fotografa di origine brasiliana, abbandonò presto gli studi per trasferirsi a Parigi, dove rimase per un anno vivendo di espedienti. Tornato poi a Roma iniziò a collaborare, poco più che ventenne, a giornali e riviste (in particolare al quotidiano romano "Paese sera" e a "Filmcritica"). Nel 1967 iniziò l'attività di sceneggiatore per film western e commedie, firmando tra l'altro, insieme a Bernardo Bertolucci, C'era una volta il West (1968) di Sergio Leone. Il suo esordio nella regia risale al 1970 con L'uccello dalle piume di cristallo, al quale hanno fatto seguito gialli di grande successo popolare (tra i quali Profondo rosso, 1975) e film di struttura più fantastica come Suspiria (1977) e Inferno (1980). Unica eccezione in questo percorso artistico così caratterizzato, il film di impianto storico, ma dai toni sarcastici, Le cinque giornate (1973).
Generalmente si considera la sua filmografia divisa in due fasi: in quella iniziale A. ha utilizzato sceneggiature dall'impianto apparentemente logico-razionale, con una serie di delitti compiuti da un assassino che viene smascherato al termine del film. A partire da Profondo rosso, uno dei film horror italiani degli ultimi trent'anni che ha maggiormente colpito l'immaginario dello spettatore, nelle sue storie sono risultati prevalenti gli elementi fantastici, e il dato visivo è diventato l'aspetto centrale del film, con un impasto di emozioni barocche e una colonna sonora che ha spaziato dalla musica classica al rock più ossessivo (per le scelte musicali A. si è affidato in particolare ai Goblin). In realtà, molti elementi rivelano una decisa continuità del suo lavoro: la claustrofobia di ambienti e situazioni (con una Torino ricreata come città incubo), le nevrosi dei suoi personaggi, un uso libero e delirante della macchina da presa che esalta la forza delle immagini senza troppo interessarsi della verosimiglianza di storie e dialoghi. Nei gialli dei primi anni, per es., ricorre un elemento decisamente antirealistico: le vittime, infatti, sono spesso pedinate dalla macchina da presa, che sembra così rappresentare il punto di vista dell'assassino, ma il colpo decisivo viene inferto da un diverso angolo visuale tanto da creare un effetto sorpresa per lo spettatore, violando volutamente le regole auree del giallo cinematografico. Più volte colpito dalla censura (Profondo rosso è uscito in Francia tagliato di quasi mezz'ora rispetto alla versione originale), A. ha saputo comunque conquistarsi un pubblico fedele e affezionato: le sue opere sono state distribuite in tutto il mondo ed è sicuramente uno dei registi italiani più noti all'estero. I suoi primi film (L'uccello dalle piume di cristallo; Il gatto a nove code, 1971; Quattro mosche di velluto grigio, 1971) hanno creato un genere e hanno avuto numerosissimi imitatori in Italia e all'estero, come testimonia la lunga serie di titoli in cui viene riproposta la zoologia fantastica che lo ha reso famoso. Anch'essi concepiti per un cast internazionale, ma meno facili da imitare, i suoi horror fantastici lo hanno avvicinato ai migliori autori dell'horror contemporaneo, quali Romero (con il quale ha instaurato un rapporto di collaborazione, essendo stato coproduttore del suo film Dawn of the dead, 1979, Zombi, e avendolo affiancato nel 1990 nella regia di Due occhi diabolici), e John Carpenter. Nel 1993 con Trauma, A. ha inaugurato il rapporto cinematografico con la figlia Asia che si è approfondito in seguito, in particolare per due film che l'hanno vista protagonista: La sindrome di Stendhal (1996) e Il fantasma dell'Opera (1998). Asia Argento, che ha lavorato con registi come Nanni Moretti, Abel Ferrara e Peter Del Monte, nel 2000 ha esordito nella regia con il film Scarlet diva.
Nel 2001 A. è quindi apparentemente ritornato a una struttura narrativa più tradizionale (il giallo classico) con Nonhosonno, anche se le emozioni visive hanno continuato a essere l'elemento più moderno e interessante. Il suo cinema, non sempre adeguatamente apprezzato dalla critica in Italia (che al più lo valuta come un discreto mestierante), è invece oggetto di culto soprattutto in Francia (dove nel 1999 gli è stata dedicata una retrospettiva completa presso la prestigiosa Cinémathèque française) e negli Stati Uniti, dove esiste una vasta e approfondita pubblicistica.
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Ho il cuore fermo, ogni tentativo di rianimarlo si è dimostrato inutile.
Si perché in una fine, c’è sempre chi l’ha voluta, decisa, annunciata.
Ma non è proprio così.
Perché per me c’è chi a quella fine, non voleva crederci, non avrebbe mai voluto aprirne gli occhi sullo sfascio di tutti gli intrecci che esistevano.
C’è chi non avrebbe mai giurato sulla caduta in pezzi di tutti quei sogni che aveva cercato di far diventare reali.
E c’è chi, di tutto questo, ne ha fatto la propria personale crociata, dove il nemico è chi se n’è fuggito nel suo personale Inferno.
Azeruel
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