#Il tatuatore innamorato
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pier-carlo-universe · 26 days ago
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Il tatuatore innamoratodi Fulvio Ervas: un giallo che dipinge un territorio con arte e ironia. Recensione di Alessandria today
Treviso, alle prime luci dell’alba, viene scossa da un efferato delitto: Massimo Malanotte, tatuatore famoso per decorare la pelle delle élite della città, viene trovato morto nel suo studio, Michelangelo’s Tattoo, trafitto da un misterioso chiodo
Treviso, alle prime luci dell’alba, viene scossa da un efferato delitto: Massimo Malanotte, tatuatore famoso per decorare la pelle delle élite della città, viene trovato morto nel suo studio, Michelangelo’s Tattoo, trafitto da un misterioso chiodo. Sul luogo del crimine, un dettaglio inquietante: accanto al corpo, la riproduzione di un’effimera, un insetto dal ciclo di vita fugace. A indagare su…
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ascoltailmioruggito · 3 years ago
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«Mia bella Gita. Mi hai stregato, mi sono innamorato di te.»
Gli sembra di avere atteso tutta la vita per pronunciare quelle parole.
«Perché? Perché mi dici così? Guardami. Sono brutta, sono sporca... I miei capelli... Una volta avevo dei bei capelli.»
«Mi piacciono i tuoi capelli come sono adesso e mi piaceranno come saranno in futuro.»
«Ma noi non abbiamo un futuro.»
Lale la stringe e la obbliga a guardarlo negli occhi.
«Invece sì. Per noi ci sarà un domani. Quando sono arrivato qui ho giurato a me stesso di sopravvivere a quest’inferno. Sopravvivremo e ci costruiremo una vita in cui saremo liberi di baciarci quando vogliamo e di fare l’amore quando ci va.»
Il tatuatore di Auschwitz, Heather Morris
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chez-mimich · 5 years ago
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DIALOGHI DAL TERZO MILLENNIO: MR. TATOO
Per la strada
Chent: “Ciao Mario, come stai?”
Mariulin: “Oh ciao, non c’è male grazie...Ma hai una spalla fasciata, ti è successo qualcosa?”
Chent: “Ho fatto un nuovo tatuaggio!”
Mariulin: “Ah c’era ancora posto? Qualche giorno mi dirai quanti ne hai...”
Chent: “Novantadue tra piccoli e grandi...”
Mariulin: “Ah pochi...Ma perché ti fai tutti questo tatuaggi?”
Chent: “E perché tu non te li fai?”
Mariulin: “Vero anche questo...”
Chent: “Guarda che io non li faccio a caso, ognuno ha un significato. Vuoi che te li dico tutti?”
Mariulin: “Magari un’altra volta...”
Chent: “Comunque questo sulla fronte è il mio soprannome ‘Chent’...”
Mariulin: “Ecco questo mi incuriosisce, come mai ti fai chiamate così?”
Chent: “Perché da bambino ero innamorato della donna di Diabolic, la Eva Chent...”
Mariulin: “Sì ma si scrive Kent...”
Chent: “Uela, bel merlo, io ero già sovranista da bambino e quindi niente nomi stranieri, chiaro? Io sono un sovranista padano...”
Mariulin: “Pensavo...”
Chent: “Pensavi padulo? Non fare battute da pidiota...”
Mariulin: “Veramente io...”
Chent: “Guarda qua: queste tatuate sul polpaccio sono tutte le date dei raduni di Pontida, dalla prima quando abbiamo giurato fedeltà alla Padania...”
Mariulin: “Che guaio, e adesso come fai?”
Chent: “Non fare il provocatore comunista...Invece su questo polpaccio c’è il boccale della Lowenbraun che mi sono fatto tatuare all’Ottoberfest...”
Mariulin: “Oktoberfest, semmai, ma è una parola straniera...”
Chent: “Non rompere i coglioni e guarda questo! Sai cos’è?”
Mariulin: “Non capisco...”
Chent: “È la faccia di Shevchenko che piange dopo aver sbagliato il rigore nella finale di Ciampions del 25 maggio 2005 quando i cuginetti del Milan lo hanno preso nel c...”
Mariulin: “Ma come la metti con il fatto che il tuo capo politico è tifoso del Milan...”
Chent: “Non rompere i coglioni, vedi questo? È un tribale...”
Mariulin: “Africano?”
Chent: “Africano sarai te!”
Mariulin: “Chiedevo...”
Chent: “No, questa sulla coscia destra è la lancia di guerra degli aborigeni argentini...”
Mariulin: “Migranti?”
Chent: “Ma chi?”
Mariulin: “Gli aborigeni argentini, visto che stanno in Australia, forse in Argentina ci sono andati per lavoro...”
Chent: “Senti buonista del cazzo, guarda questo...Sai cos’è?”
Mariulin: “31.02.2000? Non saprei...”
Chent: “La data di nascita di mio figlio Brandeburg...”
Mariulin: “Ma il 31 febbraio non esiste...”
Chent: “Eh sì, Brandeburg è nato il 13 non il 31, il tatuatore ha invertito i numeri perché era ubriaco...però non me lo ha fatto pagare...Solo che dimentico sempre di fare il regalo di compleanno a Brandeburg...”
Mariulin: “Ma perché tuo figlio lo hai chiamato Brandeburg?”
Chent: “Perché i miei figli si chiamano tutti con nome di porte: Romana, Vittoria, il maschio non mi andava di chiamarlo Garibaldi e allora l’ho chiamato Brandeburg...”
Mariulin: “Il discorso non fa una grinza.”
Chent: “Questo sul gomito invece sai cos’è che è?”
Mariulin: “Mi sembra la solita ragnatela...”
Chent: “Sì hai qualcosa contro le ragnatele?”
Mariulin: “Non mi sono mai posto il problema veramente...”
Chent: “E poi questa è la ragnatela di ‘spaidermen’. Dì la verità, te credevi che fosse la ragnatela di ‘allouin’.”
Mariulin: “Ah no di certo un conto è la ragnatela di Spiderman un conto è quella di Halloween. Ho poche certezze nella vita, ma questa di sicuro...”
Chent: “Io sono giovane dentro, me lo dicono tutti. Ti faccio vedere l’ultimo, qui sulla chiappa, guarda! Sai cos’è? “È la rosa dei venti! Però il tatuatore non ha scritto tutti e venti i nomi perché non ci stavano...”
Mariulin: “Potevi fartene scrivere dieci...”
Chent: “Sai che non ci avevo pensato?!”
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fashioncurrentnews · 7 years ago
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Francesco Montanari: ode all’“osare”
Luis Sepulveda scriveva “Vola solo chi osa farlo” e una carriera nella recitazione – così come molte altre in scenari così competitivi – spicca il volo solo quando si decide di mettersi alla prova con ruoli fuori dalla proprio comfort zone. È successo anche a Francesco Montanari, attore e Creative Master per Royal Bliss, la nuova gamma premium di toniche e mixer firmata da The Coca-Cola Company e protagonista in queste settimane di un grande tour di eventi in tutta Italia che celebrano la possibilità di avventurarsi in nuove sensazioni gustative. Francesco Montanari – insieme alla Dj Ema Stokholma, al fotografo Cosimo Buccolieri e al tatuatore Pietro Sedda – è uno degli Ambassador della filosofia di Royal Bliss, che ha saputo sfidare la propria immaginazione e osare. La sua passione per la recitazione è nata in modo quasi casuale, sui banchi di scuola, ma solo quando ha superato la comfort zone è entrato nella Hall of Fame. “Avevo un professore alle medie innamorato dell’arte del racconto – esordisce l’attore – Quando ci spiegava l’Odissea, ad esempio, chiudeva un occhio, s’ingobbiva per dare vita a Polifemo e noi bambini eravamo completamente rapiti dalla possibilità reale di capire che le storie conservano quella magia che, superate le barriere intellettuali, sprofonda nell’emotività propria dell’uomo. Concetto questo che chiaramente ho elaborato con il tempo, ma all’epoca fui talmente tanto travolto che decisi: questa “cosa” la voglio fare tutta la vita. L’unicità credo sia la ricerca estrema di riportare tutti sullo stesso piano: uomini in cerca di felicità reale”. Se un ingrediente vincente nella ricerca della felicità è il successo, per Francesco Montanari è arrivato con l’affascinante quanto oscuro ruolo del  “Libanese” nella serie “Romanzo Criminale”. Per Francesco Montanari, il concetto di osare fa parte del lavoro di attore: “Con il mio lavoro osare è all’ordine del giorno. Osare in scena ti fa prendere il coraggio di rompere quei pudori personali e sovrastrutture culturali che possono limitare la propria essenza. Ti insegna a conoscerti e a cominciare ad accettarti come essere umano e, se vuoi davvero ascoltarti, impari a osare anche nella vita quotidiana. Scavando nella mia memoria mi accorgo che i momenti impressi nel mio stomaco sono quelli in cui, messo alle strette, ho reagito con l’istinto, attivato da una vera esigenza di ottenere qualcosa, magari un perdono o di essere amato o di amare. Mia moglie ne sa qualcosa”. Marito di Andrea Delogu dal 2016, l’attore spiega bene il senso del suo superare la comfort zone nella recitazione: “Ogni azione porta con sé una reazione, quindi una conseguenza. Il mio lavoro si basa proprio sul capire le necessità dell’azione per suscitare delle reazioni appropriate che portino avanti la storia. La magia sta nel fatto che siamo tutti esseri umani diversi, anche noi attori. Non sai mai come reagirà a un tuo stimolo la persona che hai di fronte, pur sapendo dove la storia vuole portare, e quindi devi essere sempre pronto, in ascolto, vulnerabile per adattarti a ogni condizione scenica. Osare credo sia la responsabilità dell’umanità che sei chiamato a vivere, rispetto profondo sia per te stesso che per chi ti fruisce. Vivo un grande lusso: essere pagato per conoscere me stesso”.
La recitazione per Francesco Montanari, infatti, è un continuo soffrire per tendere alla completezza: “Ogni drammaturgia, che sia teatrale o cinematografica, si basa sulla mancanza e attraverso il rito scenico sul tentativo di sopperirne. Come attore hai il dovere di metterti in quella precisa condizione mancante e di bramare con tutto te stesso la completezza, come facciamo nella vita. La differenza è che in scena, o dietro una macchina da presa, non ci sono momenti di noia, ma la temperatura emotiva è sempre bruciante altrimenti accade poco o niente. Quindi costantemente la mia comfort-zone è in discussione. Paradossalmente, però, finita la via crucis provo un benessere doloroso, lungi dal masochismo, di aver capito un pezzetto in più che non riesco a esprimere intellettualmente: il tepore interiore di aver davvero vissuto”.
Il Bartender Matteo Di Ienno, ispirandosi alle “avventure out of the comfort zone” di Francesco Montanari ha firmato Blessed Monk, un cocktail fresco e secco dove il liquore al bergamotto amplifica le note agrumate di Royal Bliss Ironic Lemon e le gocce di Chartreuse Verde aggiungono una nota amara di erbe aromatiche. Uno dei cocktail da provare nel tour di party che sta attraversando l’Italia in queste settimane.
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pangeanews · 5 years ago
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Franca Valeri 100 anni! Ritratto di una donna geniale, dall’intelligenza sopraffina, autentico modello di femminilità (altro che Barbie…)
Iniziamo con un aneddoto. Alla morte di Alberto Sordi, nel giugno del 1990, fra le centinaia, migliaia di necrologi, spiccava quello, ironicamente sintetico, di Franca Valeri, che, dalle pagine del “Corriere della sera”, così salutava il collega di tanti set: Ciao, Cretinetti. Con quell’epiteto così sarcasticamente milanese, Elvira Almiraghi/Franca Valeri, l’imprenditrice co-protagonista de Il vedovo (1959), si rivolgeva al marito, interpretato appunto da Sordi, adultero maldestro, affarista di scarse fortune e di ancor più scarso intuito criminale. Ma, nella memoria collettiva, Elvira è solo una delle tante facce della “Franca nazionale” (all’anagrafe Franca Maria Norsa), che il 31 luglio compie cento anni.
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A questa presenza così incisiva nel panorama cinematografico, televisivo, ma anche teatrale (senza dimenticare che da molto tempo Franca Valeri si dedica con successo alla regia di opere liriche) Aldo Dalla Vecchia dedica Viva la Franca. Il secolo lieve della Signorina Snob (Graphe.it), agile volumetto che ripercorre le tappe della carriera di questa figura così poliedrica, a partire dall’infanzia, con la fascinazione precoce per la lirica: “I miei primi sei anni furono pieni di avvenimenti: cambiammo indirizzo e i miei mi portarono per la prima volta alla Scala a vedere Il Trovatore. L’opera mi piacque subito. Non capivo molto, ma vedere il sipario, le scene, i cantanti, e poi la musica ha sempre avuto su di me sempre un potere irreversibile: mi sembrava di aver varcato la soglia di un mondo migliore”.
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Riservata, educata, elegante e melomane fin da bambina, la piccola Franca ha già nell’infanzia il teatro nel sangue, e un mito sopra tutti: Ettore Petrolini, di cui la piccola conosce tutte le battute, e che una sera, dopo lo spettacolo, di fronte alla dichiarazione di ammirazione della giovanissima fan, la prende addirittura in braccio, per la gioia della bambina. Un incontro che segna, insomma. Dopo il liceo, e gli orrori della guerra, Franca si dedica al teatro: a conti fatti, fu forse una fortuna che, dopo aver sostenuto un provino nei panni di Elettra di Les Mouches di J.-P. Sartre per entrare nell’Accademia Silvio D’Amico, Franca non fosse stata ammessa. A questo punto, infatti, diventerà fondamentale l’esperienza del romano Teatro Arlecchino, dove la Valeri, lavorando insieme ad altri giovani artisti, prenderà sempre più coscienza dei suoi straordinari mezzi espressivi. Da lì verrà poi l’avventura parigina del Teatro dei Gobbi, in cui, insieme ad Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli, inaugurerà un tipo di spettacolo dal vivo ancora sconosciuto in Italia, fatto di sketch brevissimi, dialoghi fulminanti, battute a raffica, ritmo frenetico, grande uso di mimica ed espressività corporea: e, sullo sfondo, invece delle elaborate scenografie in auge nel teatro del tempo, un semplice fondale.
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E se poi pensiamo ai film, vediamo attuarsi l’assoluto paradosso che racchiude l’unicità di Franca Valeri: i film da lei interpretati si concentrano negli anni Cinquanta, con uno strascico nel 1961 e 1962 (in cui ella interpretò rispettivamente Leoni al Sole e Parigi o cara). Il suo anno d’oro è il 1955, in cui girò ben cinque pellicole, con il primo ruolo da protagonista in Piccola Posta, di Steno. Qui Franca Valeri compie un doppio salto mortale attoriale, nel ruolo della eccentrica baronessa Eva Bolasky, “polacca per parte di madre”, dall’incredibile chioma platinata, curatrice della rubrica di consulenza sentimentale di “Lady Eva” su un noto rotocalco, dalle cui pagine, dall’alto delle sue esotiche ascendenze nobiliari, consiglia le lettrici in ambasce per patemi amorosi. In realtà, la baronessa polacca si chiama Filomena Cangiullo e vive in una casetta della periferia romana in compagnia della madre, che la aiuta a smaltire la montagna di missive ricevute dalle lettrici. Nel film, le vicende dell’esotica e inesistente baronessa si intrecciano con quelle di Rodolfo Vanzino Castelfusano d’Arezzo, intrepretato da Alberto Sordi, che alla fine, nella classica scena risolutiva al commissariato, si scoprirà essere un millantatore e truffatore, specializzato in colpi ai danni di ingenue vecchine.
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Ma è Il segno di Venere, di Dino Risi, pure del 1955, a far brillare il genio peculiare di Franca Valeri, che, in questa pellicola interpreta Cesira, cugina di Agnese, interpretata da una ventunenne Sophia Loren. Le due ragazze vivono a Roma con il papà di Agnese, interpretato da Peppino De Filippo, e con una zia, una strepitosa Tina Pica. Intorno ad Agnese, bellissima e procace, ma anche attorno alla più dimessa Cesira si crea una girandola incredibile di situazioni imbarazzanti e grottesche, grazie anche a una serie di personaggi maschili molto caratterizzati, fra i quali Vittorio De Sica (il poeta truffatore), Raf Vallone (l’onesto vigile del fuoco) e Alberto Sordi (il faccendiere aduso a vivere di espedienti). La sceneggiatura, scritta quasi solo da Franca Valeri, con alcuni consigli di Edoardo Anton ed Ennio Flaiano, rivela tutto il genio di questa donna: Cesira, infatti, non è il solito personaggio di contorno, nonostante al suo fianco brilli la solare imponenza della Loren. Cesira, protagonista del film e “motore” di tutti gli incontri, è un’autentica romantica, ridimensionata dalla conoscenza dei propri limiti e dalle batoste a getto continuo: Cesira è rimasta al palo, ma, tuttavia, continua a provarci. Questo fa de Il segno di Venere il film che rivela la sommersa, cinica malinconia dell’attrice. Poi, venne Il Vedovo: e quale donna non vorrebbe avere l’intelligenza pragmatica, l’asciutta capacità di azione, la decisione di Elvira?
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Gli anni Sessanta si aprono invece con due grandi film: Leoni al sole (1961) e Parigi o cara (1962). Il primo, diretto da Vittorio Caprioli, che era allora compagno di Franca Valeri, interpretato da Caprioli stesso insieme a Carlo Giuffré e Philippe Leroy, riflette sui temi del cameratismo maschile, dello scollamento fra l’immagine ideale di eterno conquistatore che ogni uomo accarezza e l’impietoso passare del tempo, accennando anche – particolare temerario per l’epoca – la tema dell’impotenza. Nella seconda pellicola, la coppia Caprioli-Valeri si spinge anche più in là: Franca Valeri interpreta una donna eccentrica, Delia, che veste abiti incredibili e si acconcia con parrucche sempre diverse, la quale da Roma si trasferisce a Parigi per raggiungere il fratello. Ma i suoi sogni di gloria si infrangeranno contro la dura realtà della vita in una metropoli: Delia finirà per vivere in un appartamentino claustrofobico e con le finestre murate nella squallida periferia cittadina, e vedrà la Tour Eiffel solo quando starà sulla via del ritorno, accingendosi a rientrare in Italia con il pizzaiolo (interpretato da Vittorio Caprioli) da sempre innamorato di lei, ma rinunciando anche a tutti i suoi sogni di gloria. Il film è modernissimo, con dialoghi magnifici, e pervaso da un’estetica camp straordinaria, presenta anche, con le dovute cautele data l’epoca e la censura sempre in agguato, il tema dell’omosessualità, grazie alla figura del fratello di Delia, interpretato da Fiorenzo Fiorentini.
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Gli anni Settanta porteranno meno ruoli cinematografici, ma memorabile è la spassosa caricatura di una regista, chiaramente ravvisabile in Lina Wertmüller, che la Valeri offrirà in quel cult che è Ultimo tango a Zagarol (1973), in cui ella interpreta l’equivalente che nel film di Bertolucci è il giovane Jean-Pierre Léaud. L’ultimo suo ruolo al cinema è nel 1983, in una commedia all’italiana; ma nel frattempo Franca Valeri ha capito, con intelligenza sopraffina, il potere sempre crescente che ha la televisione: sul piccolo schermo ella aveva debuttato fin dal 1956, con Idillio villereccio di G. B. Shaw, diretta da A. Falqui e in coppia con Caprioli, e memorabile sarà nel 1968 il suo ritorno al teatro in TV con Felicita Colombo, commedia brillante di G. Adami. Ma nemmeno negli show veri e propri manca la zampata della Valeri, a partire da La regina e io (1957), curioso prototipo del salotto televisivo con Nilla Pizzi: e poi arriveranno Stasera Rita, Studio Uno, Sabato sera, sino a Magazine 3 e La posta del cuore negli anni Novanta, in cui Franca Valeri perfeziona e dipana il suo personale repertorio di personaggi, dalla Signorina Snob alla Sora Cecioni a Cesira la manicure. Per chi, come me, era adolescente negli anni Novanta, Franca Valeri poi è stata la presenza fissa di tante fiction (Norma e Felice, nel 1995, con Gino Bramieri; Caro Maestro e Caro Maestro 2; Linda e il Brigadiere nel 2000).
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Guardando all’intelligenza di questa donna così moderna sin da quando, negli anni Cinquanta, alle ragazze si proponeva quasi esclusivamente il modello femminile dell’Angelo del focolare, viene da chiedersi se un vero modello per la donna italiana del tempo – e anche di oggi – non sia proprio questa attrice dal talento proteiforme, capace di reinventarsi mille volte e di attraversare un secolo con la sua creatività. Certo, Franca Valeri, per nascita, educazione, gusti, non era propriamente un modello alla portata di tutti; ma magari le ragazze degli anni Venti del ventunesimo secolo, invece di correre dal tatuatore e dal chirurgo plastico per essere tutte uguali a un unico modello (Barbie?), pensassero a costruire se stesse come una opera d’arte frutto di creatività e intelligenza!
Silvia Stucchi
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