#Il Primo Giorno della mia Vita
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patepatu · 2 years ago
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L’unica cosa che davvero conta
è che abbiate nostalgia
della felicità:
solo così avrete voglia di cercarla
- Toni Servillo nel film “Il primo giorno della mia vita” di Paolo Genovese
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ilnefasto · 1 year ago
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Il primo giorno della mia vita
Paolo Genovese porta il suo romanzo su schermo, cambiandolo e adattandolo a suo piacimento per meglio esprimere il difficile argomento del suicidio. Viene affrontato il complesso tema del suicidio, introducendo un personaggio misterioso con capacità soprannaturali, che si presenta come un angelo custode per i protagonisti. Viene portata all’attenzione dello spettatore la pesantezza della vita,…
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fieldcinema · 10 months ago
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Il primo giorno della mia vita, 2023 Dir. Paolo Genovese
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deadrlngers · 1 year ago
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i was randomly hit with the reminder that i was going to be named nikita or venusia before my actual name came up, like. everyone would've made sooo much fun of me in school
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omarfor-orchestra · 2 years ago
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Raga quick question ma perché quando devono fare un film sul suicidio prendono sempre Mastandrea?
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ambrenoir · 2 months ago
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LA LETTERA D'AMORE PIU BELLA CHE IO ABBIA MAI LETTO.
"Cara Francesca,
Spero che questa mia lettera ti trovi bene.
Non so quando la riceverai. Quando io me ne sarò già andato.
Ho sessantacinque anni, ormai, e ne sono passati esattamente tredici dal nostro primo incontro, quando imboccai il vialetto di casa tua in cerca di indicazioni sulla strada.
Spero con tutto me stesso che questo pacchetto non sconvolga in alcun modo la tua vita. Il fatto è che non sopporto di pensare alle mie macchine fotografiche sullo scaffale riservato all’attrezzatura di seconda mano di un negozio o nelle mani di uno sconosciuto. Saranno in pessime condizioni quando le riceverai, ma non ho nessun altro a cui lasciarle e mi scuso del rischio che forse ti costringerò a correre mandandotele.
Dal 1965 al 1975 ho viaggiato quasi ininterrottamente. Nell’intento di allontanarmi almeno parzialmente dalla tentazione di telefonarti o di venire a cercarti, tentazione che da sveglio in pratica non mi lascia mai, ho accettato tutti gli incarichi oltreoceano che sono riuscito a procurarmi. Ci sono stati momenti, molti momenti, in cui mi sono detto: << All’inferno, vado a Winterset e, costi quel che costi, porto Francesca via con me>>.
Ma non ho dimenticato le tue parole, e rispetto i tuoi sentimenti. Forse avevi ragione, non lo so. So però che uscire dal viale di casa tua, in quella arroventata mattinata di agosto, è stata la prova più ardua che abbia mai affrontato e che mai avrò occasione di affrontare. Dubito, in effetti, che molti uomini ne abbiano vissute di più dure.
Ho lasciato il National Geographic, nel 1975 e da allora mi sono dedicato soprattutto a fotografare ciò che piaceva a me, prendendo il lavoro là dove potevo, servizi locali o regionali che non mi impegnavano mai più di pochi giorni.
Finanziariamente è stata dura, ma tiro avanti.
Come ho sempre fatto.
Buona parte del mio lavoro lo svolgo nella zona di Puget Sound. Mi va bene così. Pare che invecchiando gli uomini si rivolgano sempre più spesso all’acqua.
Ah, sì, adesso ho un cane, un golden retriever.
L’ho chiamato Highway, e lo porto quasi sempre con me, quando siamo in viaggio, se ne sta con la testa fuori dal finestrino, in cerca di posti interessanti da fotografare.
Nel 1972 sono caduto da una rupe nell’Acadia National Park, nel Maine, e mi sono fratturato una caviglia.
Nella caduta ho perso la catena e la medaglia, ma fortunatamente non erano finite lontano. Le ho recuperate e un gioielliere ha provveduto ad aggiustare la catena.
Vivo con il cuore impolverato, Meglio di così non saprei metterla. C’erano state delle donne prima di te, qualcuna, ma nessuna dopo. Non mi sono votato deliberatamente alla castità: è solo che non provo alcun interesse.
Una volta ho avuto modo di osservare il comportamento di un’oca canadese la cui compagna era stata uccisa dai cacciatori. Si uniscono per la vita, sai. Dopo l’episodio, ha continuato ad aggirarsi intorno allo stagno per qualche giorno. L’ultima volta che l’ho vista, nuotava tutta sola tra il riso selvatico, ancora alla ricerca. Immagino che da un punto di vista letterario la mia analogia sia troppo scontata, ma è più o meno così che mi sento anch’io.
Con la fantasia, nelle mattine caliginose o nei pomeriggi in cui il sole riflette sull’acqua a nord-ovest, cerco di immaginare dove sei e che cosa stai facendo.
Niente di complicato…ti vedo in giardino, seduta sulla veranda, in piedi davanti al lavello della cucina. Cose così.
Ricordo tutti. Il tuo profumo e il tuo sapore, che erano come l’estate stessa. La tua pelle contro la mia, e il suono dei tuoi bisbigli mentre ti amavo.
Robert Penn Warren scrisse: << Un mondo che sembra abbandonato da Dio >>. Non male, molto vicino a quello che provo per te certe volte. Ma non posso vivere sempre coì. Quando la tensione diventa eccessiva, carico Harry e, in compagnia di Highway, ritorno sulla strada per qualche giorno.
Commiserarmi non mi piace. Non è nella mia natura. E in genere non me la passo poi tanto male.
Al contrario, sono felice di averti almeno incontrata.
Avremmo potuto sfiorarci come due frammenti di polvere cosmica, senza sapere mai nella l’uno dell’altra.
Dio o l’universo o qualunque altro nome si scelga di dare ai grandi sistemi di ordini ed equilibri, non riconosce il tempo terrestre. Per l’universo, quattro giorni non sono diversi da quattro miliardi di anni luce. Per quanto mi riguarda, cerco di tenerlo sempre a mente.
Ma, dopo tutto, sono un uomo.
E tutte le considerazioni filosofiche non bastano a impedirmi di desiderarti, ogni giorno, ogni momento, con la testa piena dello spietato gemito del tempo, del tempo che non potrò mai vivere con te.
Ti amo, di un amore profondo e totale. E così sarà sempre."
“I ponti di Madison County”, R.J.Waller
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acribistica · 26 days ago
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Oggi è valsa la pena fare la solita sfacchinata fino in dipartimento anche solo per incontrare prof S., componente della commissione di laurea, che in corridoio mi ha fermato dicendomi: “Mi ricordo perfettamente [credevo di no]. Le faccio ancora tanti complimenti per il lavoro interessante e coraggioso”. Le glorie di quel giorno continuano quindi a riecheggiare in quell’edificio segnato dalla routine, dalle lungaggini burocratiche, dall’inefficienza, dal vomitevole e ingiustificato disinteresse di molti studenti. D’altronde, si è trattato della stessa persona che nel giorno della discussione ha agito da talpa sotto agli occhi di tutti: mentre esponevo o forse a fine esposizione ha contattato in tempo reale relatore (non presente quel giorno) per dirgli che era il lavoro migliore ascoltato tra tutti. Parallelamente, qualche giorno dopo, lo stesso presidente di quella commissione, estraneo a questo primo giro, mi contattava a sua volta meravigliandosi e complimentandosi per il lavoro svolto. Tornando dunque a oggi, dopo il fatidico e insperato incontro di prof S. mi reco alla mia lezione target e quest’altro docente interagisce solo con me perché nessuno gli dà retta; vuoi per noia, vuoi per totale disinteresse, per stanchezza o timore di sbagliare. In ogni caso è una lezione á deux. Sì, vi ho appena parlato di quattro docenti diversi. Sì, studiare e interfacciarmi con l’istituzione accademica rimane la mia unica fonte di vita per il resto martoriata da un corpo che non mi dà mai mai mai tregua. Neanche a fronte di simili gioie. “Quando ti laureerai ti passeranno tutte le malattie”. Di frasi di sorta sono stati autori anche medici, e medici rinomati e preparati. Questa triennale l’ho strappata al destino. Per questo motivo qualsiasi sua rappresentazione fotografica me ne sembra, dopotutto, un volgarissimo svilimento. Niente avrà sufficiente forza espressiva per raccontare quello che c’è stato dietro a questo primo iter di carriera. E non è di certo il traguardo a poter restituirmi la salute. Certo è invece che portarlo avanti, ampliarne le premesse, vivificarlo è una delle poche cose che mi resti cui appigliarmi. Per il resto ho trent’anni, prospettive di vita e salute obbrobriose, non una 104 o una qualsivoglia attestazione di invalidità, non uno sgravo fiscale (dicasi uno). Ho invece un nucleo familiare in bancarotta causa mia madre che sperpera denaro nell’etere, una famiglia che non fa che aggravare ulteriormente le cose da ogni punto di vista, aggiungendo svilimento allo svilimento quando non anche offese esplicite e danni economicamente tangibili (non oso riportare cifre, ma ce ne sono state a cinque zeri molto di recente). Quindi sì, certo, mi esalto per il fatto che la mia laurea susciti ancora commenti e felicitazioni in chi ne sia stato testimone a due settimane dal suo svolgimento. E quindi sì, forse sperimentare solo sciagure senza un barlume di speranza all’orizzonte rende narcisisti, perché l’alternativa è morire. L’importante, a mio avviso, è che l’eventuale narcisismo o simil-tale si espleti dentro al proprio spazio vitale; per il resto, non vedo che disturbo possa arrecare. In giro si vede di tutto. Un povero cristo martirizzato dall’esistenza che si rintana in un cantuccio a contare le sue pur misere e magre soddisfazioni non mi sembra poi un fenomeno degno di stigma sociale.
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angelap3 · 6 months ago
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Se avete due minuti, leggetela è bellissima!❤️😘❤️
Mentre mia moglie mi serviva la cena, mi feci coraggio e le dissi:
«voglio il divorzio».
Vidi il dolore nei suoi occhi, ma chiese dolcemente:
«perché?».
Non risposi e lei pianse tutta la notte. Mi sentivo in colpa, per cui sottoscrissi nell’atto di separazione che a lei restassero la casa, l’auto e il trenta per cento del nostro negozio. Lei quando vide l’atto lo strappò in mille pezzi e mi presentò le condizioni per accettare.
Voleva soltanto un mese di preavviso, quel mese che stava per cominciare i’indomani:
«devi ricordarti del giorno in cui ci sposammo, quando mi prendesti in braccio e mi portasti nella nostra camera da letto per la prima volta. In questo mese ogni mattina devi prendermi in braccio e devi lasciarmi fuori dalla porta di casa».
Pensai che avesse perso il cervello, ma acconsentii…
Quando la presi in braccio il primo giorno eravamo ambedue imbarazzati, nostro figlio invece camminava dietro di noi applaudendo e dicendo:
«grande papà, ha preso la mamma in braccio!»
il secondo giorno eravamo tutti e due più rilassati. Lei si appoggiò al mio petto e sentii il suo profumo sul mio maglione.
Mi resi conto che era da tanto tempo che non la guardavo. Mi resi conto che non era più così giovane, qualche ruga, qualche capello bianco.
Ii quarto giorno, prendendola in braccio come ogni mattina, avvertii che l’intimità stava ritornando tra noi: questa era la donna che mi aveva donato dieci anni della sua vita, la sua giovinezza, un figlio. Nei giorni a seguire ci avvicinammo sempre più.
Ogni giorno era più facile prenderla in braccio e il mese passava velocemente.
Pensai che mi stavo abituando ad alzarla, e per questo, ogni giorno che passava la sentivo più leggera. Mi resi conto che era dimagrita tanto.
L’ultimo giorno, nostro figlio entrò all’improvviso nella nostra stanza e disse:
«papà, è arrivato il momento di portare la mamma in braccio».
Per lui era diventato un momento basilare della sua vita.
Mia moglie lo abbracciò forte ed io girai la testa, ma dentro sentivo un brivido che cambiò il mio modo di vedere il divorzio. Ormai prenderla in braccio e portarla fuori cominciava ad essere per me come la prima volta che la portai in casa quando ci sposammo… la abbracciai senza muovermi e sentii quanto era leggera e delicata… mi venne da piangere!
Mi fermai in un negozio di fiori. Comprai un mazzo di rose e la ragazza del negozio mi disse:
«che cosa scriviamo sul biglietto?».
Le dissi:
«ti prenderò in braccio ogni giorno della mia vita finché morte non ci separi».
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma…
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma. Stava lottando contro il cancro ed io non me n’ero accorto.
Sapeva che stava per morire e per questo mi aveva chiesto un mese di tempo, un mese perché a nostro figlio rimanesse impresso il ricordo di un padre meraviglioso e innamorato della madre.
Lei aveva chiaro quali fossero I dettagli, I semplici dettagli, che contano in una relazione. Non sono la casa, la macchina, I soldi… queste sono cose effimere che sembrano saldare un’unione e invece possono dividerla.
A volte non diamo il giusto valore a ció che abbiamo fino a quando non lo perdiamo.
Autore sconosciuto
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ideeperscrittori · 3 months ago
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IL MIO DIFFICILE RAPPORTO CON LA TAC
Domani devo fare una TAC con mezzo di contrasto per il solito motivo: il simpatico Linfoma Non Hodgkin che ha deciso di entrare nella mia vita. E ho rispettato una tradizione. Ogni volta che devo svolgere questo esame, il mio coefficiente di imbecillità supera il livello di guardia.
L'altra volta ho dimenticato la borsa con i documenti sanitari alla fermata dell'autobus, ma il destino è stato misericordioso perché poi l'ho ritrovata. Stavolta ho fatto un'altra boiata, per fortuna senza conseguenze.
Ma andiamo con ordine.
Alcune settimane fa ho avuto la visita oncoematologica e mi hanno prescritto un'immensa quantità di esami, tra cui questa TAC.
Purtroppo i medici non me l'hanno prenotata nell'ospedale che mi ha preso in carico. Hanno detto: "Eh, a differenza di un esame tipicamente rivolto ai pazienti oncologici come la PET, la TAC non possiamo prenotarla noi, perché riguarda una platea molto più vasta. Devi pensarci da solo". Mi aspettavo che aggiungessero: "Niente di personale, amico". Ma so bene che non è colpa dei medici. La colpa è del sistema.
Insomma: l'ospedale mi ha preso in carico, ma non per la TAC. E sapete come funziona? Quando prenoti tu un esame con la ricetta, molte cose possono andare storte. Diventa un'avventura, un'impresa, qualcosa di rocambolesco. La tua missione è chiara: ottenere una data col Sistema Sanitario Nazionale in tempi possibilmente inferiori a un'era geologica.
Abito in provincia di Milano, ma ho fatto una ricerca estesa a tutta la Lombardia, perché ovviamente a Milano e provincia non c'era nulla. E mi è capitato un incredibile colpo di fortuna. Una data fantastica: 20 agosto in provincia di Bergamo, a mezz'ora di auto da casa mia. Forse si è trattato di una congiunzione astrale. Forse si è liberato un posto per una disdetta.
E veniamo alla boiata.
L'altra volta, prima della TAC, avevo fatto le analisi del sangue per misurare il livello di creatinina. Senza il valore della creatinina, ti rimandano indietro.
Questa incombenza è sempre indicata nei fogli riguardanti la preparazione in vista della TAC.
Stavolta li ho letti? Ma certo che no. Il motivo: "Li leggo il giorno prima, tanto sono le solite cose: stare a digiuno, eccetera".
Stamattina mi sono detto: "Tanto per scrupolo, controlliamo un po' quei fogli". E la terribile verità si è manifestata.
Leggerissimo attacco di disperazione: "Vuoi vedere che mi sono giocato qualcosa che somiglia alla vittoria della lotteria?".
A parte quel mirabile 20 agosto, ricordo date improponibili in province lontanissime. Qualcosa tipo: gennaio 2025.
In teoria, nel caso di date assurde, la TAC si può fare privatamente e chiedere un rimborso. Almeno credo. Ma questo significa altre menate, altri fastidi, altra burocrazia. Niente è paragonabile alla possibilità di risolvere tutto in 24 ore presentandosi a un appuntamento già fissato.
Beffa del destino: l'esame della creatinina è nell'elenco dei mille esami ematochimici raccomandati per il giorno prima della prossima visita ematologica. Forse l'esame è uscito dalla mia mente per questo. Nel mio cervello era programmato per il 28 agosto.
Ero sull'orlo delle lacrime.
Poi mi è venuta in mente un'opzione che in un primo momento avevo escluso.
Mi sono messo a riflettere: "Ho dormito poco questa notte, ma non ho mangiato nulla. Nemmeno un tozzo di pane o un cracker".
A volte in casa ci sono schifezze che sgranocchio di notte per l'ansia. È un'abitudine poco salutare, non prendete esempio da me.
Stavolta no. Armadio della cucina privo di snack. Frigo vuoto. Stomaco vuoto.
Sapete cosa significa?
Ho capito di poter fare l'esame della creatinina oggi.
Dubbio: "Ma otterrò il risultato in tempo?".
Mentre ci pensavo, sono uscito di casa. Non avevo alternative.
Ho fatto una corsa a perdifiato verso il laboratorio di analisi più vicino, perché non ho la macchina.
C'è un laboratorio nel paese in cui abito.
Altro dubbio: "Ma sarà aperto?".
Sono giunto a destinazione e ho scoperto che ha riaperto proprio oggi, dopo la chiusura estiva. Un po' di fortuna ogni tanto ci vuole.
Ho fatto la fila e ho spiegato la situazione.
La signora dell'accettazione è stata gentilissima: "Lei è ancora in tempo: ho prescritto l'urgenza. Risultati entro oggi". Io mi sono esibito in ringraziamenti sperticati e iperbolici: "Mi avete salvato la vita!". E la signora dell'accettazione: "Che bello, ogni tanto salviamo vite".
Quindi alla fine è andato tutto bene. Ho fatto l'esame della creatinina. Ho già avuto il risultato. Domani potrò fare la TAC.
E ora stiamo a vedere.
[L'Ideota]
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vaerjs · 3 months ago
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La prima settimana di scuola è stata una bomba di informazioni, cose da fare, a cui pensare, organizzare e incastrare. Lo sarà tutto settembre probabilmente.
Ho mille pensieri e perplessità. Si avvicinano le date dell'orale del concorso eppure alla mia mente, che fino a poco fa era in ansia per un esito che anche se positivo avrebbe potuto non significare nulla, non importa più nulla.
La mia cattedra sul sostegno è ciò che ho sempre desiderato. Accogliere un bambinə dal primo giorno della classe prima, sbagliare e riprovare mille volte, costruire una relazione e - chissà - magari riuscire anche ad accompagnarlə per tutto il ciclo scolastico. Se fossi certa di ottenere la stessa cattedra il prossimo anno, e poi quello dopo, a che cosa mi servirebbe questo concorso?
Cara Vita, dove mi vuoi portare?
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sottileincanto · 5 months ago
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Non mi sono laureata, no. E ormai ho 44 anni. Mi pesa? Sì. Tanto. Potrei prendere una laurea qualunque, giusto per avere "il pezzo di carta"? Sì. Però sarebbe uno sfizio molto costoso e qui non è proprio aria d'andare in paradiso, come si dice. Studiavo per la triennale in lingue e letterature straniere, ma più che un corso di studi era una via Crucis, perchè la follia dei miei mi uccideva e destabilizzava ogni giorno di più, io di mio ero completamente esaurita e depressa, per cui alla fine l'unica soluzione per me fu scappare. Presi il primo lavoro che trovai e mi allontanai dai miei. Ma lavorare (primo lavoro "serio" della mia vita, non baby sitter e segretaria come avevo fatto fino a quel momento) e studiare insieme non era proprio cosa. Ho ancora i cedolini degli esami. Bei voti, tutti dal 28 al 30 e lode. E mi piaceva studiare. Ma resterò per sempre "una con la licenza superiore".
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fedemexyart · 1 year ago
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This is a gift for my mother's birthday (today) and it's very, very, very special to me. This is the first year we're living without my maternal grandmother, who passed early this March. I know how this impacted my mum's life, so on this day I wanted to make her something special. This is for her as a mother and as a doughter: the little crown of daisies rapresents my dear granny who used to had the gardens around her house full of them and the pose is taken from one of my favorite childhood's pictures. I consider myself so lucky to have such a beautiful relationship with my mother. I love you so much: thank you for all the support during my life, expecially in this last year, for being there in my absolutely worst moments, thank you being born on this day. ❤️ - ITA: Questo è un regalo per il compleanno di mia madre (oggi) ed è molto, molto, molto speciale per me. Questo è il primo anno che viviamo senza la mia nonna materna, venuta a mancare all'inizio di Marzo. So come questo ha influenzato la vita di mia mamma, quindi oggi volevo farle qualcosa di speciale. Questo è un regalo per lei come madre e come figlia: la coroncina di margherite rappresenta infatti la mia cara nonna che ne aveva pieni i giardini intorno a casa e la posa è tratta da una delle mie foto preferite della mia infanzia. Mi considero molto fortunata ad avere un rapporto così bello con mia madre. Ti voglio tanto bene: grazie per tutto il supporto durante la mia vita, specialmente in quest'ultimo anno, per essermi stata vicina nei miei momenti peggiori, grazie per essere nata in questo giorno. ❤️
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donaruz · 5 months ago
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13 LUGLIO 1954 moriva FRIDA KAHLO
Un corpo fragile e uno spirito indomito.
Una vita difficile, quella di Frida Kahlo, segnata dalla lunga malattia e da grandi passioni, vissute senza remore, incondizionatamente con tutta sé stessa, abbandonano al cuore la razionalità.
La passione per l’arte, quella per il suo Messico e l’amore tormentato per Diego Rivera, il compagno di una vita.
Quella di Frida è stata una vita breve ma ricchissima perché vivere col cuore non significa limitarsi a contare i giorni, i mesi o gli anni, ma significa contare le emozioni, perché la vita non è mera sopravvivenza. E non è vero che chi vive più a lungo vive di più.
Frida Kahlo è stata un’artista coraggiosa, capace di trasformare la sofferenza in ispirazione, le sconfitte in capolavori, plasmando opere che sono un urlo orgoglioso e potente alla sfida del vivere.
LA VITA E LE OPERE DI FRIDA KAHLO:
RIASSUNTO IN DUE MINUTI (DI ARTE)
1. Frida Kahlo (Coyoacán 1907 – 1954) è considerata una delle più importanti pittrici messicane. Molti la annoverano tra gli artisti legati al movimento surrealista, ma lei non confermerà mai l’adesione a tale corrente.
Fin da bambina dimostra di avere un carattere forte, passionale, unito ad un talento e a delle capacità fuori dalla norma. Purtroppo la sua forza di carattere compensa un fisico debole: è infatti affetta da spina bifida, che i genitori e le persone intorno a lei scambiano per poliomielite, non riuscendola così a curare nel modo adeguato.
2. La prova più dura per Frida arriva però nel 1925. Un giorno, mentre torna da scuola in autobus viene coinvolta in un terribile incidente che le causa la frattura multipla della spina dorsale, di parecchie vertebre e del bacino. Rischia di morire e si salva solo sottoponendosi a 32 interventi chirurgici che la costringono a letto per mesi.
Ha solo 18 anni e le ferite al fisico la faranno soffrire per tutta la vita, compromettendo irrimediabilmente la sua mobilità.
3. Durante i mesi a letto immobilizzata da busti di metallo e gessi, i genitori le regalano colori e pennelli per aiutarla a passare le lunghe giornate. Questo regalo darà avvio ad una sfolgorante carriera artistica.
La prima opera di Frida è un autoritratto (a cui ne seguiranno molti altri) che dona ad un ragazzo di cui è innamorata.
4. I genitori incoraggiano sin da subito questa passione per l’arte, tanto da istallare uno specchio sul soffitto della camera di Frida, così che possa ritrarsi nei lunghi pomeriggi solitari. È questo il motivo dei numerosi autoritratti dell’artista. Lei stessa dirà: “Dipingo autoritratti perché sono spesso sola, perché sono la persona che conosco meglio”.
5. Frida Kahlo nel 1928, a 21 anni, si iscrive al partito comunista messicano, diventando una convinta attivista. È in quell’anno che conosce Diego Rivera, il pittore più famoso del Messico rivoluzionario. Lo aveva incontrato per la prima volta quando aveva solo quindici anni (e lui trentasei), sotto i ponteggi della scuola nazionale preparatoria, mentre Diego stava dipingendo un murale per l’auditorium della scuola.
6. Nel 1929 sposa Diego, nonostante lui abbia 21 anni più di lei e sia già al terzo matrimonio. Inoltre Diego ha fama di “donnaiolo” e marito infedele. Il loro sarà un rapporto fatto di arte, tradimenti, passione e pistole. Lei stessa dirà: “Ho subito due gravi incidenti nella mia vita… il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego Rivera.”
7. Frida Kahlo ha avuto molti amanti (uomini e donne), tra cui il rivoluzionario russo Lev Trotsky e il poeta André Breton, ma non riuscì mai ad avere figli, a causa del suo fisico compromesso dall’incidente. Quando rimase incinta del primo figlio, Frida fece di tutto per portare avanti la gravidanza. Si dovette arrendere solo quando i medici la costrinsero ad abortire per evitare che perdessero la vita sia lei che il bambino.
8. Frida Kahlo e Diego potevano considerarsi una “coppia aperta”, più per le infedeltà di Diego che per scelta di Frida, che soffrì molto per i tradimenti del marito che ebbe persino una relazione con la sorella minore di Frida, Cristina.
Vista l’impossibilità di fare affidamento sulla fedeltà di Diego, i due decisero di vivere in case separate, unite tra loro da un piccolo ponte, in modo che ognuno di loro potesse avere il proprio spazio “artistico”.
9. Le opere di Frida kahlo sono spesso state accostate al movimento Surrealista, ma Frida ha sempre rifiutato tale vicinanza sostenendo: “Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”.
10. L’album dei Coldplay Viva la vida or Death and All His Friends (2008) si ispira ad una celebre frase che la Kahlo scrisse sul suo ultimo quadro, otto giorni prima della sua morte a soli 47 anni per cause ancora non del tutto certe.
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lamargi · 1 month ago
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Porto sempre la merenda ai ragazzi mentre studiano, al pomeriggio. È ormai un rito: a una certa ora busso alla porta della camera di mio figlio e porto a lui e ad Antonio, il suo compagno di banco fin dalle elementari, il vassoio, con il tè, i biscotti, le merendine. Sono una brava mamma, giusto?
L’altro giorno la porta non era ben chiusa e quindi….perchè bussare? È stato così che ho sentito chiaramente quelle parole “…..quel gran pezzo di gnocca di tua mamma…”
A dirle Antonio. La voce era bassa, i due stavano confabulando a bassissima voce, i libri aperti, ma, evidentemente, non era sulla lezione che era concentrata la loro attenzione. Ho fatto assolutamente finta di nulla. E loro avranno pensato che non avessi potuto sentire dalla soglia della porta.
Invece….
Ma guarda il ragazzino, ho pensato nei giorni successivi. Eppure senza che provassi indignazione per quella frase così sfacciata. Anzi….e dire che lo conosco da piccolo, chissà da quanto ha sviluppato questa “cotta” per me…..
Comunque sentirmi definire “gnocca”non mi disturba affatto, anzi mi lusinga e mi stuzzica. Antonio è poi un ragazzo adorabile, carino ed educatissimo, niente affatto sfacciato, anzi piuttosto timido e taciturno di solito…..avesse solo qualche anno di più, il fatto che pensi a me come “un gran pezzo di gnocca” più che soltanto lusingare, bè mi farebbe eccitare….
Doveva accadere, ed è accaduto. Antonio che viene a casa, non trova mio figlio, noi due che restiamo soli…..
Lo faccio sedere, anche se solo non è un buon motivo per non preparargli anche oggi il tè con i biscottini. Servirglielo non nella stanza di mio figlio, ma qui in salone. Farlo accomodare sul divano. Sedermi davanti a lui, sul puff….
Che dirgli? Canzonarlo rivelandogli che l’ho sentito definirmi “gnocca”? No, poverino, morirebbe di vergogna. E comunque mi ci sento gnocca, oggi. E da come mi guarda, lo pensa proprio.
È da gnocca questa gonna corta? Si, è vero, mi sono cambiata quando l’ho sentito al citofono, ma lo avrei fatto comunque, non certo per…..fargli vedere le gambe…
Anche i collant ….direi che sono da gnocca….ma porto sempre le calze velate, anche in casa…e a ben pensarci quante volte mi era sembrato che Antonio mi guardasse le gambe mentre stavo in camera loro e attendevo che sorseggiassero il tè …..esattamente come mi guarda le cosce adesso….
Certo, avrei potuto evitare di non mettere il reggiseno. Con il reggiseno, le punte dei capezzoli che si sono induriti sarebbero meno visibili sotto la camicetta. E questi seni gonfi non tenderebbero la camicetta in questo modo, e i capezzoli duri che si vedono non calamiterebbero lo sguardo di questo ragazzo…..
Mi alzo per prendergli la tazza di tè dalle mani. Noto che gli tremano. Mi seggo stavolta accanto a lui. Molto vicina. Non fiata. Spingo il mio corpo a contatto con il suo. Si sposta un po’ ma il divano è finito…..Lo guardo e poggio la mia mano sulla sua. “ Forse disturbo, vado via?�� Non rispondo, gli sorrido e porto la sua mano sul mio seno. Spalanca gli occhi. Spalanca la bocca. Mi faccio toccare il capezzolo attraverso la stoffa leggera della camicetta, poi guido la sua mano sulla mia coscia. Mi protendo e gli sfioro le labbra con le mie. Sono morbide, dolci. Gliele lecco con la punta della lingua.
Poi la lingua la spingo tra le sue labbra, gliele faccio aprire, la infilo dentro la sua bocca per il primo vero bacio con una donna della sua vita.
Sento la sua mano contrarsi sulla mia coscia. Anche io gli stringo la patta con la mia. Duro come il ferro. Proprio come lo volevo.
“E così sono un gran pezzo di gnocca, vero?” I miei gesti e l rivelazione che so cosa pensa lo mettono nella confusione totale. Come un bambolotto si lascia guidare in camera da letto, mentre canzonandolo gli dico che merita una punizione…
Mentre lo spoglio nudo, guardo di sfuggita l’orologio per capire quanto tempo ho a disposizione per farmelo. Tre ore almeno, abbastanza per castigare come previsto di fare questo ragazzino insolente.
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clo-rofilla · 6 months ago
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Le nostre valigie che si salutano; la mia resta qui a Parigi ancora un attimo, la tua si allontana oltre i tornelli della metro di République e ti segue a Charles De Gaulle, direzione: Boston. Mi dici: gli aerei insieme sono sempre più belli di quelli da soli. Mi dici: mi manchi già.
Girare per Parigi mano nella mano con te, è da quando ti conosco la cosa più bella e più preziosa che ho. La mia mano nella tua, da quando abbiamo incrociato i nostri destini e li abbiamo fatti collidere in una scommessa folle, che siamo ancora qui ad onorare.
La mia vita lontana e incasinata, la tua vita lontana e incasinata. Prenderle e farne una vita pazza e ancora più incasinata, ma vicina, vicinissima, insieme.
Ti amo come non ho mai amato ed è ancora forte, inspiegabile, totalizzante e bellissimo come il primo giorno che a occhi chiusi ho deciso di fidarmi di te e di questo amore, e di saltare nel vuoto.
La tua presenza nel mondo è la mia bussola interiore, la certezza che mi tiene saldamente ancorata insieme alla mia valigia, dovunque tu sia, dovunque io vada.
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libriaco · 4 months ago
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Bologna, agosto 1980
Le nostre vacanze di quell'estate 1980, in Austria, finirono troppo presto e per colpa mia.
Avevo parcheggiato il camper (in realtà, un vecchio furgone 238 Fiat riadattato dal propretario) in un silo piuttosto distante dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, mèta della nostra mattinata culturale. Il costo del parcheggio era diviso in fasce orarie e avevamo fatto i nostri conti sulla durata che avrebbe dovuto avere la visita per spendere il meno possibile. Il Museo risultò però incredibilmente interessante, Dürer, Bruegel, Bosch.... Il tempo passò troppo in fretta e quando ci accorgemmo di stare per entrare nell'orario in cui il balzello del parcheggio ci sarebbe costato un bel po' di scellini, uscimmo in fretta, più di corsa che a passo veloce; è vero che Orazio aveva inscenato una incredibile pantomima alla biglietteria del museo, mostrando il suo libretto universitario e cercando di far capire, un po' in inglese e un po' in pugliese, che, come studenti, dovevamo avere uno sconto, che poi ci fecero, ma avevamo veramente i soldi contati e il costo della vita in Austria era ben più alto che in Italia.
Arrivati appena in tempo al parcheggio, mi misi alla guida cercando di guadagnare l'uscita prima dello scadere dell'orario. Ahimè, così al coperto, e abituato a guidare una Mini, non avevo valutato l'altezza del furgone e, a una curva troppo stretta, feci impuntare il tettino in uno spigolo di cemento sporgente, producendo un gran di rumore e un notevole 'taglio' nella lamiera: accorsero subito un paio di sorveglianti per vedere che cosa fosse successo, passò una mezz'ora o più e ovviamente, all'uscita, fummo costretti a pagare per la salata fascia oraria in cui eravamo rientrati per quei minuti di ritardo.
La cosa più brutta era che il camper, Domenico, il terzo componente del gruppo, lo aveva avuto in prestito da suo cognato, con l'impegno di riportarlo a Firenze entro il 9 o 10 agosto, per consentire a lui e alla famigliola di andarsene in vacanza. Che cosa potevamo fare? Certo non raccontare l'accaduto, a rischio creare dei problemi familiari a Domenico; decidemmo allora, dopo una serie concitata di telefonate in Italia (non c'erano i cellulari!), di rientrare qualche giorno prima, per consentire a un mio amico carrozziere, che avevo rintracciato ancora nella sua officina, di porre rimedio al danno in maniera 'invisibile': avremmo usato i soldi risparmiati dall'accorciarsi della vacanza per pagare il lavoro.
Io fui immediatamente esonerato dalla guida in città ma poi mi alternai con Domenico durante il rientro; eravamo abbastanza abbattuti per l'incidente e per la brutta chiusura della vacanza, e decidemmo, per fare prima, di guidare anche di notte.
Orazio doveva andare a Pisa, con Domenico, per ripartire subito dopo verso la Puglia, dai suoi. Domenico doveva riportare il camper a Firenze, dopo aver accompagnato me nel mio paesello di mare e fatto aggiustare il danno alla carrozzeria del mio amico. Visto il rientro anticipato, Orazio decise di fermarsi qualche giorno da alcuni amici a Bologna, per poi andare da lì in Puglia; i bagagli li aveva con sé e non aveva motivo di ripassare da Pisa.
Il pomeriggio del primo di Agosto, arrivati a Bologna poco dopo le 16:30, parcheggiammo in prossimità della stazione per accompagnare Orazio a consultare gli orari dei treni e a fare la prenotazione e il biglietto per il suo rientro. La stazione, nonostante il periodo dell'anno, non era particolarmente affollata; girellammo un po' per il salone, mentre Orazio era in fila, poi lo accompagnammo col camper nella zona dove abitavano i suoi amici. Senza neppure scendere per salutare i suoi nuovi ospiti, riprendemmo la strada verso casa mia: volevamo arrivare dai miei sul fare della notte.
La cena, finalmente tra le mura familiari, fu veramente ristoratrice, così come gli abbondanti lavacri. La mattina dopo, sabato 2 agosto, Domenico ed io dormimmo fino a tardi; a tavola, all'ora di pranzo, saltata la prima colazione, eravamo famelici.
L'immancabile televisore rumoreggiava in sottofondo, ma non lo ascoltavamo, tutti presi a rispondere alle domande dei miei sulla nostra vacanza; a un certo momento però ci accorgemmo che alla TV parlavano di Bologna, della stazione e ci voltammo meccanicamente per vedere e sentire cosa dicevano. "Eravamo lì ieri pomeriggio...", feci alla mamma, con la bocca piena.
Il silenzio fu poi agghiacciante: capimmo cosa era successo. Un incidente? Un attentato? Decine di morti, centinaia di feriti... Muti, un raggrinzire della pelle... ci prese, stretti, quella commozione che ti fa luccicare gli occhi; e ci fu un pensiero non detto, negli sguardi tra me e Domenico: chissà, forse andando un po' più piano o non viaggiando di notte, saremmo potuti essere lì anche noi, a quell'ora.
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