#Identità misteriosa di Sia
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Sia: Artista Misteriosa e Cantautrice di Successo
Sia nasce ad Adelaide, in Australia, e conquista il pubblico con la sua voce potente. I suoi testi intensi e lo stile unico la rendono un’artista misteriosa. Nonostante il grande successo, Sia mantiene un profilo discreto. La sua carriera è segnata da sfide personali e l’innovazione. Questo la rende una cantautrice di successo. Ha lavorato con artisti famosi del mondo musicale. Sia ha reinventato…
#Acconciature iconiche di Sia#Canzoni di successo di Sia#Carriera musicale di Sia#Collaborazioni musicali di Sia#Identità misteriosa di Sia#Impatto di Sia sull&039;industria musicale#Stile unico di Sia#Successo internazionale di Sia#Testi delle canzoni di Sia#Vita privata di Sia
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TOKYO MEW MEW - EP 30
Adoro come ci sia tutta questa musichetta da suspence, la ragazza con l'aria solenne e misteriosa ... e poi il suo tavolo da indovina è un banco di scuola con una tovaglia nera buttata sopra. Non lo so, è un dettaglio molto carino.
- Il tuo fidanzato non è un bravo ragazzo!
Lo so che, alla luce della fine dell'episodio, Mariko stava solo facendo giochetti psicologici per spingere Ichigo ad aprirsi, ma mi fa morire questa frase. Sì, in effetti il suo fidanzato èun bravissimo ragazzo, ma il dittatore alieno che vuole sterminare l'umanità che si ritrova impiantato in testa potrebbe causare qualche interferenza.
- Ichigo è andata da un'indovina! Un'indovina!
Masha non è progettato per farsi i cazzi suoi! I cazzi suoi!
- Scusa ciccia ma sei troppo minorenne per scoccarmi baci.
- Confida nel tuo amore e vedrai che andrà tutto bene!
Qualcuno prelevi Mariko e la porti d'urgenza a Nazumi, la sua sfera di cristallo potrebbe dare del bel filo da torcere al Tenebroso del Crocevia.
(Fan di Junji Ito ne abbiamo?)
- Dovresti esprimere più liberamente i tuoi sentimenti!🥰🥰
- E tu dovresti intrometterti un po' meno!🥰🥰🥰
Potrebbe essere l'interazione tra ragazze giovani più realistica finora sentita in questo anime.
Ancora?! Ma la loro identità segreta non dovrebbe essere, appunto, segreta?! Perché questo problema emerge solo quando Ichigo deve farsi pare mentali su Masaya e per tutto il resto del tempo le ragazze si trasformano tranquillamente davanti a cani e porci?!
Frame gloriosi e dove trovarli.
Carina la parte finale dove si spiega l'inganno a fin di bene di Mariko, ma resta il grande dubbio: perché i falsi segnali di Mew Aqua?
Logica filler ...
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Fiorucci is back: un grande libro lo narra, 10 Corso Como lo celebra
Se c’è qualcuno che ha saputo dare forma alla desiderabilità profonda, che ha avuto l’abilità rarissima di tradurre il dono dell’essere visionario in una rivoluzione gentile del pensiero e dello stile di vita dedicata a tutti senza distinzioni, che ha saputo lasciare una traccia indelebile in chi l’ha incontrato, in chi ne ha vissuto la creatività instancabile e sorridente, in chi ha sentito di conoscerlo da sempre solo indossando un pezzo della sua moda irrinunciabile, ecco: quel qualcuno è il solo ed unico Elio Fiorucci.
S��, l’uomo sarà pur scomparso, ma il suo spirito non ha mai lasciato neanche per un attimo la passione che ha saputo far sorgere e animare nei luoghi del globo in cui ha creato quei mondi favolosi che erano i suoi concept-stores, nonché in coloro che ne hanno fatto parte: di tutti i milieu sociali, vip e star celeberrime assieme a persone comuni di qualunque età, rese tutte felici dalle sue creazioni; e ancora, in quegli artisti italiani ed internazionali con i quali ha creato sodalizi che sono esempi sempiterni di eccellenza creativa.
Ebbene: Fiorucci, il brand a immagine e somiglianza del suo creatore, is back! E Milano, la città che ha dato i natali a lui e al suo primo concept store nel 1967, ne celebra la rinascita: con un evento debitamente glitterato da 10 Corso Como, a sua volta celebrazione felice del lancio italiano di un grande libro che ne narra la storia grande lunga 50 anni, ovvero “Fiorucci”, edito da Rizzoli New York.
Una rinascita già avviata sulla strada concreta dell’entusiasmo grazie agli ultimi possessori del brand: i coniugi Janie e Stephen Schaffer, sotto la cui direzione l’avventura appassionante del mondo Fiorucci sta ripopolando le strade di Londra, più precisamente all’angolo tra Brewer e Great Windmill Street, con un flagship store enorme abbastanza per contenere il nuovo mondo di Fiorucci e tutta la sua peculiare energia.
Un nuovo capitolo di una storia iniziata, per l’appunto, 50 anni fa: mezzo secolo raccolto nel libro “Fiorucci” di Rizzoli, e raccontato dalla voce di coloro che la soglia del suo negozio l’hanno varcata al tempo in cui ancora aveva il potere di rivoluzionarne la mente, il cuore e l’esistenza stessa.
La penna di David Owen raccoglie e ci riporta dentro aneddoti narrati da nomi del calibro del premio Oscar Sofia Coppola, che nella prefazione che porta la sua firma ricorda di averlo scoperto alla tenera età di 12 anni e dichiara “La mia vita non è più stata la stessa” perché da quel momento ha sognato di diventare una donna Fiorucci “Ovvero, sicura di sé, artistica, misteriosa e divertente”.
Anche lo scrittore Douglas Coupland una volta varcata la soglia fu colpito dall’effetto-Fiorucci, che attraverso la sua penna è divenuto un ricordo secondo il quale “Mi ci portò mia zia, nel 1979. Fiorucci fu una delle ultime istituzioni che voleva farti diventare adulto il prima possibile, ma solo dopo aver messo a fuoco la città che ti ha dato i natali e averla vista bruciare nello specchietto retrovisore”. Marc Jacobs pensa che il suo store sia come “un bazar di oggetti cool”, Maripol, l’artista che plasmò le immagini e le identità delle icone pop, ricorda la volta in cui Elio, carico di vestiti da Londra, stava per prendere una multa da un funzionario della dogana italiana. Elio gli chiese: “Senti, perché non vieni a lavorare con me?” E lei finì per diventare direttore di produzione a Hong Kong. E ancora Oliviero Toscani, il fotografo che con Elio Fiorucci ha rivoluzionato il concetto di adv ed il pensiero di chi s’imbatteva nelle loro pubblicità-opere d’arte, rivela che lui amava ammettere “Senza Biba non avrei potuto fare ciò che ho fatto”.
Assieme ai ricordi racchiusi nelle interviste, il libro è composto da un grande apparato iconografico che spalanca un mondo prezioso sull’archivio d’immagini, fotografie, poster e grafiche, denim stretch, spandex e busti abbronzati.
In occasione di Milano Moda Donna, il concept store 10 Corso Como ha organizzato un evento esclusivo per il libro, of course, ma anche per il lancio della nuova collezione: Fiorucci è tornato davvero!
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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i miei 2 centesimi
Kon, mi sento così persa. Ho quasi 50 anni, faccio un lavoro che non avrei mai scelto, e non ho idea di come salvarmi la vita. Non vedo per me nessun futuro, non ho nessuna speranza, nessun progetto, nessuna ambizione, ho solo la percezione di un mondo che peggiora giorno dopo giorno e in cui non c'è nessuna possibilità per me e per quelli come me. Sento di avere valore, di meritare molto, ma perché cazzo lo penso solo io? So, di essere inadatta al mondo. Lavoro molto lontana da casa per troppe ore ogni giorno e a volte ho paura a tornarci per non essere inghiottita dal caos, dalla noia, dal vuoto, e forse restare a casa non fa che peggiorare la situazione. Anzi, senza forse. Mi sono sempre creduta socievole e invece troppo sola, osservo da sempre vite altrui da un oblò e treni che partono senza di me a bordo, e i social hanno peggiorato le cose. Sono imprigionata dalle cose che penso e sola: come molti, se non tutti. Vedo gli altri che progetti, relazioni, cose, e a me invece niente. Ma mi sforzo di fare attenzione a distinguere bene fra felicità esperita e quella percepita, che è sempre troppa di più, e troppo ostentata. Ho sogni, e dolorose aspettative: quanto è terribile a 49 anni avere ancora sogni? Sento che il mondo che si sfascia mi ha portato via qualunque possibilità, ma ci ho colpevolmente messo del mio, e che temo di non saper fare altro che rassegnarmi ad essere frustrata a fare un lavoro che non mi piace e sola per tutta la vita.
Dal privilegio dei miei quasi 50 anni di donna non felice ma circondata da persone che amo e da cui sono amata, qualsiasi mia parola di incoraggiamento viene fuori viva, accesa e confortata dai luoghi comuni che tutti i torti forse non ce li hanno.
La solitudine e l’emarginazione li si può lenire con il confronto, con il provare a guardare oltre il proprio spazio personale, e rendersi conto. Accorgersi. E poi mettersi a fare. Fare con gli altri, fare per gli altri. Ho detto lenire, non guarire. E ho detto si può, non è detto che (per te) funzioni. Forse ti passerà, forse no. Forse ti schiaccerà. A te la scelta, qualunque essa sia. Quando è arrivato il momento in cui ho avuto bisogno di qualcuno, qualcuno è arrivato e mi ha salvata, di molti altri ho constatato con dolore e stupore l’assenza. Dolore? Forse solo delusione, dai. Non esageriamo. Nel mio viaggio mi accompagnano, come in un vagone, persone che salgono e scendono perché è questo che fanno le persone, vanno e vengono. Lo farai anche tu.
A costo di sentirmi rispondere ‘che due coglioni ‘sta mezza fallita’ mi sono resa conto che la maggior parte delle persone, indipendentemente dalla loro età, vivono sole in mezzo ad altre persone sole anche con un anello al dito e con dei figli, anche quando la loro identità è perfettamente inserita comoda nel puzzle rassicurante delle convenzioni, delle consuetudini, dei ruoli sociali. E questa terribile, terribile solitudine è acuita e amplificata dal fatto che sebbene sembrino esserci tutti gli strumenti per rimanere sempre vicini, li stiamo usando malissimo, sprecando, questi preziosi strumenti. Stiamo usando la lama di un coltello per uccidere, non per sfamarci. E neanche li stampano più, gli albi delle figurine, e alla fine poi ne mancava sempre una.
Ragion per cui, in attesa di vederti svoltare strada quando meno te lo aspetti (perché accadrà) con un sorriso timido e incredulo, mi farebbe piacere che sapessi che forse non andrà meglio, ma andrà avanti. E i silenzi sapranno essere scudo e scettro, e le voragini non si colmano ma puoi continuare a riempirle di cose buone, e belle. Il Pozzo di San Patrizio è anche un'espressione utilizzata per riferirsi ad una riserva misteriosa e sconfinata di ricchezze. Secondo altri con l'espressione "è come il Pozzo di San Patrizio", si intende qualcosa in cui si buttano risorse ed energie, ma inutilmente, perché non si riempie mai. (e se lo dice Wikipedia deve essere vero per forza. Vedi? Buono e cattivo. Come in tutto.) E se urli, il pozzo ti restituirà sempre l’eco: avere te stessa, hai detto niente, piccola. Hai detto niente. Diventati amica, ti sarà utile.
Lenisci, fai vai avanti. Non sempre riesce, ma si può.
Ciao, piccola.
Manuela
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Il Mark Caltagirone del Coronavirus: il misterioso caso del medico Andrea Salvi (...) . Protagonista un fantomatico, affascinante medico di 40 anni, Andrea Salvi, originario di Torino ma impegnato “al fronte” in un pronto soccorso di Parigi; con un profilo Facebook molto attivo (da anni, peraltro) e una foto posata in bianco e nero da gran figo. Improvvisamente, dieci giorni fa, Andrea comunica ai suoi followers – ma soprattutto alle sue tante followers, sia pubblicamente che in messaggi privati – di aver contratto il Covid-19 sul lavoro, ma che ne uscirà “più forte di prima”. Nell’arco di una settimana, però, accade l’irreparabile: la sorella Lucia avvisa le amiche di Andrea via Facebook e WhatsApp: “Sono Lucia, la sorella di Andrea. Andrea non può rispondere perché stamattina ha avuto una crisi respiratoria e l’hanno intubato. Mi ha detto di avvisare gli innumerevoli amici che gli hanno scritto. Siamo molto preoccupati, un abbraccio”. Poi accade l’irreparabile. Tre giorni fa una tra le amiche posta sul profilo dell’uomo una foto molto emozionale, un piccolo collage di immagini e pensieri di Salvi, e comunica la ferale notizia a tutti: Andrea, a sorpresa, è morto, non ce l’ha fatta. Anche la sorella di Andrea scrive su Facebook: “Dispiega le ali della libertà, fratello mio, non aver paura, vola più in alto!”. I post sulle bacheche delle donne affrante si moltiplicano: “Ti voglio bene Andrea, questo maledetto virus ti ha portato via, mi mancherai!”. “Addio meravigliosa creatura!”. Tutto finto, dalla prima all’ultima parola. Perché Andrea non esiste. E neppure l’amica che posta il lapidario cordoglio. E nemmeno la sorella del nostro, tale Lucia Salvi, anch’ella in contatto col fratello sul social di Zuckerberg. O meglio, esistono ma sono un’unica, misteriosa persona. Il burattinaio o la barattinaia che muove i fili di tutto l’inganno. Vere però, sono le tante amiche che “Andrea” aveva adescato e che si sono commosse per la sua morte. ... ...ci siamo messi a indagare. Scoprendo che Andrea Salvi non è iscritto all’Ordine dei medici, che nessun giornale o sito francese aveva pubblicato la notizia, ovviamente ineludibile, della tragica morte per Coronavirus del coraggioso giovane specialista italiano, e infine soprattutto che la sua foto (è bastata una ricerca su Google immagini) è stata in realtà scippata al profilo Instagram di un ragazzo tedesco, Berg Greif, probabilmente un modello, che ne pubblica a vagonate e che sono servite in questi anni ad alimentare la pagina Facebook del finto Salvi. Non soddisfatto, per approfondire, chi scrive ha chiesto alle comuni amiche internettiane di contattare la fantomatica sorella di Salvi, che spesso commentava sul suo profilo, per avere notizie di Andrea. È bastato l’interessamento di un giornalista (e magari la paura di una successiva indagine della Polizia postale) per far sparire dalla mattina successiva, e contemporaneamente, tutti e tre i profili: quello di Andrea Salvi, della sorella Lucia... “A me aveva chiesto l’amicizia un anno fa circa, mi aveva colpito la sua spiccata sensibilità femminile, ci scrivevamo ogni tanto, mi diceva che appunto viveva a Parigi, era separato e aveva suo figlio a Roma. Aveva molti amici di Padova tra gli amici su Facebook, molti miei conoscenti. Era molto gentile, postava poesie, canzoni, cose un po’ basiche a dire il vero. Quando a Capodanno sono andata a Parigi con la mia famiglia ho pensato di contattarlo per conoscerci. Poi guardando le foto di Parigi che postava in quei giorni qualcosa mi è puzzato: non corrispondevano le fioriture degli alberi col periodo dell’anno in cui ci trovavamo, ho avuto la sensazione che non fosse tutto chiaro e non l’ho cercato. Quando ho saputo che lui non esisteva sono rimasta basita perché, a parte me, è riuscito a manipolare molte donne intelligenti, sveglie”. Marco, insegnante universitario, che ha ricevuto la richiesta di amicizia dal finto medico circa un anno fa, ha anche un’ipotesi sulla vera identità di Andrea. “Almeno un paio di donne che conoscevo erano cadute nella sua rete e si erano invaghite, soffrendo anche molto per la delusione nel capire di essere state ingannate. Lui mandava delle note vocali con la voce modificata da qualche programma, non so come fosse possibile, ma era comunque riuscito a irretire donne molto in gamba. Allora mi sono messo ad osservare con attenzione il profilo di questo Andrea Salvi e ho visto che a un certo punto diceva di aver vinto un concorso fotografico. Cercando la foto con cui diceva di aver vinto il concorso su Google immagini, l’ho trovata pubblicata proprio da un medico di base, solo che era una donna di mezza età, della provincia di Varese, tale S. M. e a quel punto, come sospettavo, mi sono convinto che dietro a questa storia ci fosse una donna. Magari proprio questa dottoressa”. ...Sostituzione d’identità a puri fini edonistici, verrebbe da dire. Oppure, come spesso accade nel “catfishing”, una donna con un’identità sessuale irrisolta si crea un alter ego maschile e nella sua “second life” è l’uomo che vorrebbe essere, corteggia donne che vorrebbe avere. Se vi sembra di essere tornati (in piccolo) ai tempi non lontani di Mark Caltagirone, l’avatar sentimentale di Pamela Prati, senza magari tutto il corredo mediatico che ha banalizzato e ridicolizzato un fenomeno a dire il vero molto serio, che lascia strascichi di delusione e sofferenza, non siete lontani dalla realtà. ...Raggiunta al telefono, la dottoressa S.M. non ha voluto conoscere la vicenda: “No guardi la blocco subito, io non sono sui social, mi sono sempre rifiutata di usarli”. Quando spiego che il suo profilo esisteva ma è stato cancellato aggiunge: “Non ero io”. Strano però che non voglia neppure sapere a quale vicenda venga associato il suo nome. Neppure una domanda. “Scusi ho da fare, arrivederci”. Di Selvaggia Lucarelli e Franco Bagnasco
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14.10.76 Piante e Strani Effetti Pare che il docente abbia voluto mettere alla prova la loro passione per l`erbologia; chi accetterebbe di svegliarsi prima dell`alba per aiutarlo con chissà quale diavoleria misteriosa, se non dei veri erbonerd? Il castello immerso nel buio, e con le luci fievolissimi di un sole che non sorgerà ancora per una scarsa mezz`oretta, ha il suo perchè e rende l`atmosfera abbastanza suggestiva. Arrivati allo spiazzo, potranno facilmente notare un gazebo bianco, piazzato appositamente per l`occasione, sotto il quale si trova Zevran in tutto il suo splendore. Un`altra cosa che i ragazzi potranno notare sotto il gazebo, sono due tavolini; uno rettangolare lungo quanto il lato del gazebo, e uno tondo un po` più piccolo. Sopra il primo, c`è un abbondante assortimento di biscotti, cornetti, muffin e cose del genere; il secondo, invece, è occupato da un paio di grandi caraffe termiche in metallo, di quelle con il coperchio e il beccuccio, più un vario assortimento di mug colorate in ceramica.[...]
Z:« Nel caso in cui qualcuno avesse saltato la colazione,oppure avesse sonno... lì c`è del caffè e del tè » lasciandosi scappare un sorrisetto divertito davanti a eventuali sbadigli o altre dimostrazioni di stanchezza.
T: «Oh,sì.La ringrazio» commenta con sollievo mentre già allunga le mani verso una delle mug colorate. Ascolta il dire del caro professore mentre solleva la caraffa, che si spera contiene tè, per riempire la mug. Ascolta le ipotesi di qualche compagno mentre afferra la tazza piena con la mano sinistra e un muffin con la destra.
Z: « Ho bisogno del vostro aiuto non per piantare ma per raccogliere» dice, lanciando loro qualche occhiata « Siccome va fatto entro l`alba, ho pensato che più mani abbiamo più Giana raccogliamo » sì, butta così il nome della pianta« Non vorrei fare troppi spoiler per il quarto anno. E` proprio per voi che oggi vogliamo raccogliere le foglie » plurale maiestatis perchè sì. Intanto sono arrivati al retro della serra; il docente si avvicina alla porticina, spalancandola e invitandoli ad entrare in quella parte di serra che solitamente non vedono [...]E, in circa una ventina di postazioni, un esemplare di Giana [...]Sorride loro, osservandoli come se si aspettasse qualche reazione strana da un momento all`altro. Non sembra ritenere importante, al momento, spiegare loro le proprietà della pianta.
{Rubrica cosacierainquelbuffet: chi ha mangiato i muffin sentirà il bisogno di parlare a più non posso, e raccontare i pettegolezzi (veri o finti che siano). Chi ha mangiato i biscotti si troverà improvvisamente con una voglia matta di cantare, e... non potrà tenerla a bada.Per quanto riguarda le bevande: tutti quelli che bevono caffè potranno iniziare a sentirsi più energici e lucidi, mentre quelli che hanno bevuto il tè..per ora non sembra stia succedendo nulla, a loro.}
N.R. : « oh, lo sapete che c’è un drago nei sotterrranei? Non so bene dove, forse è nelle cucine insieme agli elfi...» continua a parlare ininterrottamente, non riuscendo a fermarsi, con quella splendida voce acutissima.
Z: « Sinceramente non credo avremmo ancora degli elfi domestici, in quel caso » afferma semplicemente, con un certo cinismo.
C.M.: «Oh, sì. Lo ho sentito dire anche io. Ma non solo draghi! Nei sotterranei si nasconde di tutto!» poi invece mentre canticchia «or maybe it is a door - that`s closing up some hero`s back - on his track to be a man»
Z: « Hai pensato di entrare nel coro? » Tanto per appoggiarli, si unisce un secondo ai pettegolezzi « Sì è vero, nei sotterranei c`è un sacco di gente... anche creature strane » afferma, con un cenno della mano. Sì, signori, sta implicitamente parlando anche di sè. « se i biscotti allo Stridiosporo fanno sempre quest`effetto, li inizio a vendere »
S.C: «Ho sentito dire che di notte i fantasmi si danno alla pazza gioia con Pix, io me li immagino, soprattutto la Dama Grigia e Il Barone Sanguinario, anche se un po` di divertimento non gli guasterebbe.» prega che non ti abbiano sentito, Sunny. .
T: «Mio padre la coltiva nelle serre di casa e io ho sempre voluto provarla» A nessuno interessano queste informazioni non richieste,ma per qualche motivo non riesce a frenare la lingua. «Per qualche motivo però mio padre non vuole che entro nelle serre. Troppo pericoloso dice» E le scappa una risatina «Nemmeno ci tenesse dentro piante carnivore» Quindi si volta preoccupata verso Will «Ci coltiva piante carnivore?»Come se lui lo sapesse Quindi si volta di scatto verso i compagni «Sapete che l’altro giorno Fralker ha ballato in mutande sotto la pioggia?»E ride da sola annuendo con solennità «Si,si. E’ uscito in giardino ,si è tolto i vestiti e ha cominciato a ballare. [...]Dicono che Alyce indossi la parrucca» sussurra a Will dalla postazione accanto alla sua. Si volta a guardarlo per fargli un occhiolino e un cenno del capo verso la Prefetta Grifa «Sai: l’alopecia» Speriamo che il sussurro non sia troppo udibile.
M.B: «How many... roads must a man walk down/ before you call him a man?»
T: «Sai,dicono che Chloe faccia sparire i suoi animali... Quando l’ho conosciuta aveva tre gechi: che fine hanno fatto ora?» Lancia un’occhiata cospiratrice in direzione della compagna Tassa «Te lo dico io: se li è mangiati.Scommetto che entro la fine dell’anno sparirà anche il topo.A proposito di topi: le cucine ne sono piene. Di ratti però. Grossi,pelosi e pieni di malattie»
T.D. : « Spingo per gli spoiler. » Ovviamente. « Un ripasso per gli anni più alti e qualche informazione utile per il futuro per i più bassi. » E’ gentile, eh? Mica vuole sapere cose lui, nono.
Z:« Vi basti sapere che questa trasformante permette il cambio temporaneo di sesso, sia a livello fisico che mentale » afferma semplicemente, con un sorrisetto, prima di aggiungere « e durante il suo effetto non ci si ricorda della propria identità originale » ecco che quindi finalmente afferra la caraffa che aveva alla cintura. La stacca, portadosela davanti « io ne ho raccolta un po` tre settimane fa, e ne ho fatto un`infuso. Visto che mi avete aiutato... » e lascia vagare lo sguardo su nessuno in particolare « chi vuole, potrà averne un po`. A proprio rischio e pericolo » afferma, sfarfallando gli occhi in modo da ostentare un`aria innocente a cui davvero non crederà nessuno. Fissa i quartini per qualche istante « voi no, non voglio privarvi di farlo con i vostri compagni » afferma quindi, con un sorrisetto.
{Cosacierainquelbuffet, parte 2: quelli che hanno bevuto il tè iniziano ora ad avvertirne gli effetti: Un`amnesia localizzata, che riguarda la propria identità.Non si dimenticheranno il proprio nome o i propri valori fondamentali, ad esempio, ma invece potrebbero dimenticarsi aspetti della propria personalità di secondaria importanza}
C.M: «io… io, credo, insomma, sì. Lo vorrei, provare.» mentre lancia un occhiata a Gus come a cercarne un parere .Insomma, provarla potrebbe essere d’aiuto, forse. Ma sempre meglio provarla che non provarla, no? Annuisce mentre però inizia a sentire una strana nuova sensazione «Gus, ho dimenticato qualcosa… Cioè credo. Mi sembra.» ma poi «I boogie down like a unicorn - No stoppin` till the break of dawn - Put your hands up in the air - Like an ogre just don`t care» qua non si può davvero arrivare a finire un ragionamento oh.
T: «Miley mi ha detto che a breve intervisterà il portiere degli Applebay Arrows; dice che verrà a trovarci qui al castello» E si stringe nelle spalle mostrando quanto poco gliene freghi del Quidditch. Eppure lei è battitrice titolare... Va beh. Dà un piccolo buffetto sulla pianta di giana «Stiamo per finire» le dice. Eh,sì.Lei è una di quelle che parla alle piante. «Voglio diventare maschio» annuncia. Forse è una richiesta di provare gli effetti della pianta adesso,sotto la supervisione di un esperto?O forse una semplice dichiarazione di intenti. Un altro gossip, su se stessa stavolta. «Chissà come sono senza tette» Non che ne abbiamo molte. Abbassa lo sguardo sul proprio petto e poi si sofferma a guardare quello di Will,quasi si stesse immaginando uno scambio di corpi. «Dieci giorni?» Se fosse un po’ più lucida ci penserebbe un attimo su, probabilmente l’idea di cambiare anche carattere la bloccherebbe di sicuro. Ma beh,non siamo in noi. Perciò...per quanto la riguarda non se lo fa certo ripetere due volte. Si sfila i guanti e con passo deciso si avvicina al professore. «Alla salute»
Chloe e Tasha,poco dopo aver bevuto l`infuso, si sentiranno un po` strane. Si trasformeranno davanti agli occhi degli altri studenti, diventando a tutti gli effetti due ragazzi. E non serbando alcun ricordo di esser state, fino a poco prima, delle ragazze.
Vi presento il mio alter ego:Dòmnhall Odinsbane
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🚫 IL SEGUENTE ARTICOLO CONTIENE ANTICIPAZIONI DETTAGLIATE SULLE TRACCE DI “MAP OF THE SOUL: 7″, IN USCITA DOMANI. SE NON GRADITE SPOILER NON PROSEGUITE NELLA LETTURA 🚫
[ARTICOLO] Nel loro nuovo singolo "ON" i BTS rifletteranno sulla loro "vocazione e mentalità da artisti". Questo e altri dettagli sulle canzoni dell'album in uscita
"Negli ultimi sette anni i sette membri dei BTS hanno rilasciato musica fantastica, raggiunto una vastissima quantità di traguardi incredibili e guadagnato un amore senza precedenti da parte dei fan.
Forte di questo successo e della sua risonanza a livello artistico, domani 21 febbraio il gruppo rilascerà un nuovo album, 'Map of the Soul: 7'.
'I BTS sono giunti ad un punto in cui hanno accettato sia la luce, per loro motivo di orgoglio, che le ombre nascoste della loro identità e sono pronti a raccontare la loro storia di individui che hanno trovato del tutto sé stessi', anticipa la Big Hit Entertainment riguardo all'album in uscita e nel mentre facendo anche riferimento alle concept photo da poco rilasciate.
La versione digitale dell'album conterrà 15 tracce inedite e 5 estratte dal progetto dello scorso anno 'Map of the Soul: Persona' (la versione fisica invece ne avrà 14 nuove e sempre 5 da 'Persona').
La tracklist comprende due versioni del singolo principale 'ON', una cantata solo dai BTS e l'altra, in alternativa, in collaborazione con la cantante Sia.
'Ancora una volta i BTS apriranno il proprio cuore in 'ON', singolo Hip Hop potente ed energetico attraverso il quale rifletteranno sulla loro vocazione e mentalità da artisti nel corso di questi sette anni', rivela ancora un rappresentante dell'agenzia, per poi aggiungere che 'la versione alternativa, disponibile esclusivamente in digitale, avrà, grazie alla inconfondibile voce misteriosa e carismatica di Sia, dei colori piacevolmente diversi rispetto alla versione cantata solo dai membri del gruppo'.
Tra altre tracce inedite, poi, ci saranno 'Louder than bombs' (alla scrittura della quale ha collaborato anche Troye Sivan), 'We are Bulletproof: the Eternal', continuo di 'We are Bulletproof: Part.2', 'UGH' traccia attraverso cui la rap line darà sfogo alla propria rabbia nei confronti proprio della rabbia malevola e dannosa, '00:00' ('Zero O'Clock), canzone piena di sincerità da parte della vocal line e ancora 'Friends', un modo per i membri Jimin e V di raccontare della loro amicizia, 'Respect', canzone rap di RM e Suga e infine le tracce da solisti dei membri della vocal line, nello specifico 'Filter' che mostrerà lati diversi di Jimin, 'My Time', un racconto delle emozioni di Jungkook, 'Inner Child', canzone che V ha dedicato al sé stesso del passato e 'Moon' dove Jin potrà esprimere il suo amore per gli ARMY.
L'album verrà rilasciato domani 21 febbraio alle ore 10 del mattino in Italia".
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©jimindipityR) | ©HeadlinePlanet
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Lista di libri dedicati a furti e ladri
Sull’onda della visione del telefilm La casa di carta on #Netflix ho deciso di proporvi una lista di romanzi che parlino appunto di ladri e furti. Un argomento che ha sempre interessato molto la letteratura. Naturalmenet non è una lista esaustiva, i titoli sono così tanti, ma ho cercato di darvi più titoli in ogni nicchia del genere e tutti reperibili in italiano.
Partiamo dai classici naturalmente:
- L' eredità misteriosa. Rocambole. Vol. 1 (1857) di Pierre Alexis Ponson du Terrail
Primo volume del ciclo dedicato al ladro Rocambole
1812, mentre le truppe di Napoleone si ritirano dalla Russia, si compie una sanguinosa vendetta tra due ufficiali della Grande Armata francese. Molti anni dopo, a Parigi, gli eredi di quella faida danno vita a una lotta senza esclusione di colpi tra il Bene e il Male. Da una parte il conte Armand de Kergaz, che impiega le sue risorse a favore dei più deboli, dall'altra il fratellastro Andréa, alias sir Williams, vero e proprio genio del crimine, mentore del futuro protagonista: Rocambole. Sullo sfondo di una città affascinante quanto pericolosa, inizia così uno dei capisaldi del romanzo d'appendice, dove non mancano amori, passioni e cruenti delitti.
- Raffles: il ladro gentiluomo (1898) di Ernest William Hornung
Primo libro della serie sul ladro gentiluomo Raffles
È mezzanotte sull’Albany Street londinese. Harry “Bunny” Manders ha perso tutto al gioco. Negli ultimi tempi la sfortuna lo perseguita. Il suo lavoro come giornalista non rende e l’unica cosa sensata da fare sembra quella di introdursi nell’appartamento di uno dei creditori. A.J. Raffles è un suo vecchio compagno di scuola, forse a lui può confessare l’inutilità degli assegni che ha firmato, il suo conto in rosso. Raffles lo guarda con i suoi occhi azzurri taglienti, accende una Sullivan e prepara due whisky e soda. Ma Bunny non ha voglia di bere, Bunny ha una pistola nella tasca del suo cappotto e se la punta dritta sulla tempia. Intravedere una via d’uscita dalla situazione è quasi impossibile, eppure Raffles, carezzandosi il suo curato pizzetto, propone un piano. Forse un suo amico può aiutarli entrambi; ma quale amico si va a trovare nel cuore della notte, alla luce dei fiammiferi, in un appartamento abbandonato che guarda caso sta proprio sopra la famosa gioielleria dell’amico in questione?
- Arsenio Lupin (1905) di Maurice Leblanc
Anche questa è una serie di libri, ma Newton Compton ha raccolto tutti i vari racconti in un unico volume nel caso vi interessi intitolato Tutte le avventure di Arsenio Lupin
Arsenio Lupin è un raffinato ladro gentiluomo, amante delle donne, del gioco d'azzardo e dotato di uno spiccato sense of humor. Per questo personaggio pare che Maurice Leblanc si sia ispirato a Marius Jacob, anarchico francese e ladro inafferrabile.
- La primula rossa (1905) di Emma Orczy
Primo libro di un ciclo dedicato alla Primula Rossa
Parigi, anno di grazia 1792. Il Regime del Terrore semina il caos. I “maledetti aristos”, sventurati discendenti delle famiglie aristocratiche francesi, vengono mandati a morte dall'implacabile tribunale del popolo: ogni giorno le teste di uomini, donne e bambini cadono sotto la lama della ghigliottina. Ma in loro aiuto interviene un personaggio inafferrabile e misterioso, il quale, attraverso rocambolesche e ingegnose fughe, riesce a portare oltremanica i perseguitati del regime, nella libera Inghilterra. Dietro di sé non lascia tracce, se non il proprio marchio: un piccolo fiore scarlatto, che gli varrà il soprannome di Primula Rossa. Ma quale identità si cela dietro questo pseudonimo? Chi è l'audace salvatore, disposto a rischiare la propria vita in nome della nobile causa? L'incognita ossessiona l'astuto e crudele funzionario del governo francese Chauvelin e affascina l'alta società inglese: ma la soluzione del mistero si rivelerà tanto insospettabile quanto geniale. romance e romanzo d'avventura, il ciclo della "Primula Rossa" viene qui presentato in una nuova traduzione.
- Simon Templar, alias il Santo (1928) di Leslie Charteris
Serie di più di 50 romanzi
Simon Templar è un Robin Hood moderno, un giustiziere che agisce ai margini della legge e che, almeno nelle apparizioni iniziali, non disdegna l'omicidio a fini di giustizia. Di lui si sa poco: è probabilmente di umili origini, è dotato di uno spiccato sense of humour e ha una nutrita serie di identità fasulle. Il suo segno di riconoscimento è una stilizzata figura umana con un'aureola sui bigliettini che lascia a mo' di firma sul luogo delle sue imprese per lo scorno dei rappresentanti della legge, abitualmente beffati: l'ispettore Teal di Scotland Yard e l'ispettore John Fernack della polizia di New York.
- Il barone fa il poliziotto (The Baron), di John Creasey sotto pseudonimo Anthony Morton
Anche questa è una lunga serie di libri brevi
Protagonista delle storie è John Mannering, un antiquario inglese con negozi a Washington, Parigi e Londra; in realtà è un agente segreto ex ladro di gioielli che sta indagando su casi di spionaggio internazionale con l'aiuto del suo collaboratore David Marlowee.
- Il ladro che credeva di essere Bogart (1977) di Lawrence Block
Un ladro, una città, un mistero. Il ladro è Bernie Rodhenbarr, disincantato libraio con l'hobby del furto e una netta inclinazione a ficcare il naso in faccende pericolose. La città è New York, una categoria dello spirito più che una metropoli, con i suoi cinemini d'essai dove è ancora possibile scambiare la realtà per un sogno in bianco e nero. Il mistero è quello di un cadavere in cerca d'autore
Romanzi più Contemporanei:
- La grande rapina di Nizza di Ken Follett
Il libro è una ricostruzione delle vicende connesse con la grande rapina di Nizza, portata a termine ai danni della filiale nizzarda della banca Société Générale da una banda di malviventi capeggiati da Alberto Spaggiari. La "grande rapina" fu definita tale per l'ammontare del maltolto (circa cento milioni di franchi dell'epoca) e per le modalità, dal momento che i ladri penetrarono nel caveau della banca tramite una galleria scavata a partire da alcuni cunicoli fognari cittadini.
- Vuoto di luna di Michael Connelly
Cassie Black ha passato sei anni in prigione per un furto al casinò dove ha perso la vita il suo compagno. Durante la libertà vigilata progetta di riprendersi la figlia, in adozione, arraffare un sacco di soldi e scomparire nel nulla. Ma qualcuno le sta alle costole...
- Il principe dei ladri di Chuck Hogan
Claire Keesey, direttrice di filiale di un istituto di credito di Boston, viene presa in ostaggio durante una rapina. I banditi sono quattro: Doug, Jem, Gloansy e Dez. "Fanno banda" sin dai tempi della scuola, e oggi sono rapinatori affiatati, precisi, spregiudicati e inafferrabili. Sono cresciuti insieme a Charlestown, un quartiere di Boston dove "guadagnarsi il pane" equivale a svaligiare una banca. Ma Doug, il cervello della banda, non aveva messo in conto che, insieme con una montagna di quattrini, dal colpo in banca si sarebbe portato a casa anche un cuore ferito. Gli sono bastati pochi attimi per innamorarsi di Claire. Continua a pensarla, dopo la rapina: sa dove abita, la segue, fa in modo di incontrarla, di sedurla.
- La modista, un romanzo con guardia e ladri di Andrea Vitali
Nella notte hanno tentato un furto in comune, ma la guardia Firmato Bicicli non ha visto nulla. Invece, quando al gruppetto dei curiosi accorsi davanti al municipio s'avvicina Anna Montani, il maresciallo Accadi la vede, eccome: un vestito di cotonina leggera e lì sotto pienezze e avvallamenti da far venire l'acquolina in bocca. Da quel giorno Bicicli avrà un solo pensiero: acciuffare i ladri che l'hanno messo in ridicolo e che continuano a colpire indisturbati. Anche il maresciallo Accadi, da poco comandante della locale stazione dei carabinieri, da quel momento ha un'idea fissa. Ma intorno alla bella modista e al suo segreto ronzano altri mosconi: per primo Romeo Gargassa, che ha fatto i soldi con il mercato nero durante la guerra e ora continua i suoi loschi traffici; e anche il giovane Eugenio Pochezza, erede della benestante signora Eutrice nonché corrispondente locale della "Provincia"
- La falsaria di B.A. Shapiro
Sono circa tre anni che per il mondo dell’arte Claire Roth è un paria, una grande millantatrice. Dopo uno scandalo che la ha coinvolta sia sul piano personale che su quello professionale, Claire si è ridotta a lavorare per un’azienda che vende online «repliche perfette» di capolavori della storia dell’arte. Un giorno riceve l’inaspettata visita di Aiden Markel, il proprietario della famosa Markel G, una delle gallerie più in vista di Boston e New York. Markel irrompe nel suo loft con una singolare proposta: una mostra, nella sua galleria, delle opere originali di Claire in cambio della realizzazione di un falso da parte sua. Non una replica à la Roth, ma un vero e proprio falso da dipingere su una tela d’epoca. Una mostra tutta sua è qualcosa di irrinunciabile per Claire. Quando, però, Markel si ripresenta al loft con l’opera originale da falsificare, il cuore di Claire Roth sobbalza. Il quadro, uno dei grandi capolavori di Degas, fu staccato, infatti, in una notte di pioggia, dalle pareti dell’Isabella Stewart Gardner Museum e la tela strappata alla sua cornice da una coppia di ladri maldestri, impegnati nel più grande furto d’arte ancora irrisolto della storia.
Romanzi più leggeri e rosa:
Un sentimento pericolo di Suzanne Enoch
Samantha Jellicoe è una ladra e ne è orgogliosa. Amante delle cose belle, non esita a procurarsele rubando ai ricchi le loro opere d’arte. Tutto cambia, però, la notte in cui tenta un furto in una villa a Palm Beach: l’esplosione di una bomba uccide una guardia e lei finisce per salvare la vita del padrone di casa, il playboy miliardario Richard Addison. Samantha è una ladra, è vero, ma se qualcuno pensa di farla passare per un’assassina si sbaglia di grosso. E se Richard è abituato a essere assediato dalle donne, quella che ha trovato in casa sua non sembra affatto interessata a lui. Però è vivo solo grazie a lei, l’unica a potergli dare le risposte che cerca. Così, fra gli intrighi del mondo dorato di Palm Beach, la seducente Samantha e l’affascinante Richard seguiranno gli indizi per scoprire anche il mistero di ciò che li unisce.
Ladro lui, ladra lei di Dani Sinclair
Brenna ama l'avventura, ma deve ammettere che introdursi in casa d'altri per sottrarre un dipinto sia un tantino eccessivo. Eppure non ha scelta: la reputazione del nonno, famoso pittore, dipende da lei. Ma quando Brenna, invece di mettere le mani sulla preziosa tela, un sensualissimo nudo femminile, si trova tra le braccia del ladro più sexy che abbia mai visto, il suo stupore è alle stelle. In realtà Spencer Griffen è un onesto cittadino, costretto a dare la caccia al fantomatico quadro per... comune senso del pudore! Insieme...
Una ladra tra le lenzuola di KRISTIN GABRIEL
Michael Wolff è giovane, scapolo e carino. In più è miliardario. Perciò è normale che le donne lo cerchino e mirino al suo denaro. Quello che Michael proprio non si aspetta è di trovarne una addirittura che sta aprendo la sua cassaforte! Sarah Hewitt, questo il nome della presunta ladra, in realtà ha un ottimo motivo per avere... le mani nel sacco. Il difficile sarà convincere Michael delle sue buone ragioni. Così, quando lui le fa una proposta che non si può rifiutare...
Il ladro di cuori di KRISTIN GABRIEL
Maddie Griffin è decisa a dimostrare al padre che ha tutte le carte in regola per far parte dell'agenzia investigativa di famiglia. Così, quando sulle pagine di una rivista riconosce la foto del famigerato Bandito Casanova, alias Tanner Blackburn, decide che deve essere lei a consegnare il fuggiasco alla giustizia. In realtà Tanner non ha mai nemmeno preso una multa per eccesso di velocità, ma prima di riuscire a spiegarlo a Maddie... è già in manette!
Una pericolosa rubacuori di TORI CARRINGTON
Nicole Bennett, flessuosa e sensuale come un gatto, sa anche tirare fuori gli artigli e, poiché è una inafferrabile ladra di gioielli, questa dote le è molto utile. Spera che lo sarà ancora di più quando cercherà di rubare il cuore di Alex Cassevetis.
All’interno del Genere fantasy:
Sei di corvi di Leigh Bardugo
A Ketterdam, vivace centro di scambi commerciali internazionali, non c'è niente che non possa essere comprato e nessuno lo sa meglio di Kaz Brekker, cresciuto nei vicoli bui e dannati del Barile, la zona più malfamata della città, un ricettacolo di sporcizia, vizi e violenza. Kaz, detto anche Manisporche, è un ladro spietato, bugiardo e senza un grammo di coscienza che si muove con disinvoltura tra bische clandestine, traffici illeciti e bordelli, con indosso gli immancabili guanti di pelle nera e un bastone decorato con una testa di corvo. Uno che, nonostante la giovane età, tutti hanno imparato a temere e rispettare. Un giorno Brekker viene avvicinato da uno dei più ricchi e potenti mercanti della città e gli viene offerta una ricompensa esorbitante a patto che riesca a liberare lo scienziato Bo Yul-Bayur dalla leggendaria Corte di Ghiaccio, una fortezza considerata da tutti inespugnabile. Una missione impossibile che Kaz non è in grado di affrontare da solo. Assoldati i cinque compagni di avventura – un detenuto con sete di vendetta, un tiratore scelto col vizio del gioco, uno scappato di casa con un passato da privilegiato, una spia che tutti chiamano lo "Spettro", una ragazza dotata di poteri magici –, ladri e delinquenti con capacità fuori dal comune e così disperati da non tirarsi indietro nemmeno davanti alla possibilità concreta di non fare più ritorno a casa, Kaz è pronto a tentare l'ambizioso quanto azzardato colpo. Per riuscirci, però, lui e i suoi compagni dovranno imparare a lavorare in squadra e a fidarsi l'uno dell'altro, perché il loro potenziale può sì condurli a compiere grandi cose, ma anche provocare grossi danni...
Gli inganni di Locke Lamora di Scott Lynch
Piccolo di statura, deboluccio e un po' imbranato con la spada, Locke Lamora ha però un grande punto di forza: nessuno lo può battere quanto ad astuzia e abilità truffaldina. E benché sia vero che ruba ai ricchi nessun povero ha mai visto un soldo bucato dei suoi furti. Tutto ciò su cui mette le mani lo tiene per sé e per i Bastardi Galantuomini, la sua banda. A suo modo, Locke è il re di Camorr, una città che sembra nata dall'acqua, ornata di migliaia di ponti e di sontuosi palazzi barocchi e popolata da mercanti, soldati, accattoni e, ovviamente, ladri. In realtà, Camorr è il dominio di Capa Barsavi, perversa mente criminale, che da qualche tempo è impegnato in una lotta senza quartiere con il Re Grigio, altro personaggio decisamente poco raccomandabile. Impiccione per natura, Locke si ritrova suo malgrado in mezzo a questo scontro di titani e rischia di lasciarci le penne. Anche perché il suo misterioso passato nasconde un segreto che può mettere in pericolo l'intera nazione camorrana...
Ladri di spade di Micheal J. Sullivan
Royce Melborn, ladro matricolato, e il suo degno compare, il mercenario Hadrian Blackwater, si guadagnano comodamente da vivere portando a termine imprese rischiose per conto di nobili di dubbia moralità, finché non vengono ingaggiati per sgraffignare una spada leggendaria. Questa volta, però, si troveranno coinvolti nell'assassinio di un re e intrappolati in una trama oscura che va ben oltre l'assassinio di un sovrano. Riusciranno i nostri eroi - l'ambizioso furfante e lo spadaccino idealista - a dipanare un antico mistero che ha rovesciato re e distrutto potenti imperi? Inizia così la nostra storia, densa di avventure, tradimenti, duelli, magia e leggende.
Harold il ladro di Aleksej Pechov
Un'immensa armata si sta radunando: migliaia di giganti, ogre e altre creature stanno unendo le forze da tutte le Terre Desolate, unite, per la prima volta nella storia, sotto un solo vessillo nero. Entro la primavera, forse anche prima, colui che è conosciuto come il Senza Nome raggiungerà con il suo esercito le mura della grande città di Avendoom. A meno che Harold l'Ombra, uno dei ladri più abili al mondo, non trovi un modo di fermarlo. Un romanzo che porta ai vertici la epic fantasy, il primo di una trilogia che segue le imprese di Harold l'Ombra, leggendario ladro di Siala, alla ricerca di un corno magico in grado di riportare la pace nel suo regno. Compagni d'avventura nel suo viaggio saranno una principessa elfica, Miralissa, la sua scorta, dieci Cuori Selvaggi, i guerrieri più esperti e mortali del mondo... e il giullare di corte del re (che potrebbe essere molto più - o molto meno - di quanto sembra).
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"...Non è vero che... essere felici è difficile
Essere felici è difficile tanto quanto essere un uomo o una donna. Lo sei già. Non c'è alcuno sforzo da fare, se non quello di mettersi in testa di non farne. Ma come è possibile diventare ciò che si è già?
Molto semplice: non devi fare altro che abbandonare la tua falsa identità. Infatti anche in questo preciso momento hai la felicità a portata di mano, ma guardi altrove e non la vedi.
Come mai allora si dice che sia così difficile raggiungerla? Perché partiamo dall'errata convinzione che la felicità arrivi dall'esterno, dalle relazioni, dagli oggetti. Invece proviene dall'interno, ed è come una corrente misteriosa di cui non conosciamo né l'origine né la direzione.
Ma non importa: basta assecondarla. Non dobbiamo possederla, è semmai lei a possedere noi!
Ma che cos'è la felicità? La felicità è la "signora del nulla", una delle più potenti sostanze dell'anima. Per questo tutte le volte che pensi: "Io non sono nessuno, non ho niente da dirmi", la stai invitando ad attraversarti. E lei non potrà fare altro che accettare.
Felicità è mistero. Appartiene infatti all'ignoto, alle radici che attingono al profondo.
Felicità è un eterno presente. Non rimugina sul passato e non programma il futuro, ma vive appieno l'attimo.
Felicità è semplicità. Ci sono piccole cose che cambiano la vita: camminare nel vuoto, fare l'amore con naturalezza, impastare il pane.
Felicità è libertà. Se ha una ragione concreta è poca cosa, ma se arriva senza motivo allora è un lampo dell'eterno.
Felicità è autenticità. Esistono cose che solo tu sai fare e che ti vengono naturali. In quelle riesci a essere veramente te stesso.
Felicità è sorpresa. Giunge all'improvviso e senza motivo. Come una farfalla, si lascia prendere se non cerchi di catturarla.
Felicità è istinto. Il tuo lato antico emerge per guidarti sul sentiero tracciato per te.
Felicità è silenzio. Solo nel silenzio puoi ascoltare la voce che proviene dal profondo, dalla tua interiorità.
Felicità è affidarsi. Esiste una forza che ti ha creato e continua anche ora a rigenerarti. Come non fidarti?
Che cosa non è la felicità?
Non è razionalità. Il pensiero vive in superficie, non ti caratterizza nel profondo ed è sensibile ai turbamenti che provengono dall'esterno: basta un cattivo pensiero per rovinare una giornata.
Non è causalità. Non stai male per la fine di una storia d'amore, ma perché l'hai trasformata in un alibi. L'anima, invece, ha altre regole.
Non è identificazione. L'estraneità è la migliore terapia: niente di ciò che appartiene alla dimensione visibile può crearti un disagio duraturo. "Il vero valore di un uomo si determina esaminando in quale misura e in che senso egli è giunto a liberarsi dall'io" diceva Albert Einstein.
Non è perfezione. Devi rispettare la tua rabbia, le tue paure, la tua indole, le tue imperfezioni, che sono ciò che ti caratterizza pienamente.
Non è progetto. Non devi cambiare le cose, ma percepire, cedere e aspettare qualcosa che non sai cos'è.
Non è recita. Non sei il personaggio che hai imparato a memoria.
Non è legge. È nei gesti non convenzionali che emerge il tuo vero carattere.
Non è chiacchiera. Le parole inutili ti trascinano verso l'inautenticità e l'infelicità.
Non è sicurezza. La felicità appartiene agli uomini che non hanno certezze e sboccia nella spontaneità.
Non è unilateralità. Spesso e volentieri la parte più vera di te sta proprio nel lato che non stai esprimendo e che lotta per venire alla luce.
Non è protagonismo. Non sei tu a dover stabilire la rotta, ma la tua anima.
Ogni stagione ha la sua felicità.
La felicità, infine, segue il ritmo delle stagioni della vita, che si avvicendano a volte tutte nello stesso giorno, addirittura nella stessa ora, pur avendo ciascuna un periodo di massimo splendore.
All'inverno corrisponde la felicità della tristezza, del nucleo, dell'essenziale, quando i fronzoli e l'inutile vengono abbandonati per lasciare spazio a nuove potenziali capacità. La primavera è contraddistinta dalla felicità dell'esplosione vitale, in cui il seme vede per la prima volta il visibile, e tutto è scoperta, novità ed emozione.
Durante l'estate puoi invece raccogliere la felicità del frutto, quando ogni elemento arriva al giusto grado di maturazione e di compimento.
Nell'autunno, infine, assapori la felicità del tramonto e delle preoccupazioni che svaniscono all'orizzonte, facendo posto alla saggezza.
Non esistono stagioni prive di felicità.
Non è vero che... ti conosci e sai cosa è meglio per te
È vero esattamente il contrario: stai male appunto perché pensi di conoscerti, ma non ti conosci affatto. Tratteggi un ritratto di te stesso, lo appendi alla parete della tua mente e poi pretendi di assomigliarci e, dato che non ci riesci, soffri.
Per star bene dobbiamo disidentificarci di continuo, ovvero prendere le distanze dalle etichette che imprudentemente ci appiccichiamo addosso. Non siamo un prodotto sullo scaffale di un supermercato! Nessuno schema preconfezionato può rendere conto delle sfumature della nostra personalità.
Ogniqualvolta ci identifichiamo con un difetto, una singola caratteristica, un pregio, un impulso, ciò che facciamo è limitarci, consegnando noi stessi all'inautenticità. Tutte le volte che sosteniamo: "Io sono un indeciso", oppure "Io sono un rabbioso", diventiamo di conseguenza indecisi o rabbiosi. Ci autocondanniamo alla prigionia.
Se invece, nelle identiche condizioni, affermassimo: "Sono in un momento di indecisione" o "Sono attraversato da un impulso di rabbia", la questione cambierebbe completamente. È grazie a una percezione più consapevole di ciò che proviamo che possiamo distinguere noi stessi dalle emozioni che viviamo.
Ci ammaliamo perché ci lasciamo assorbire da identità che non ci appartengono. In realtà il cervello ci riplasma di continuo. Ogni immagine di noi stessi che ci costruiamo è immediatamente superata, oltre che fallace.
Stiamo male proprio perché instauriamo un rapporto sbagliato con noi stessi. Se neghiamo la nostra natura pur di aderire a un modello, se ci analizziamo senza requie al microscopio dei sentimenti, se non scopriamo la nostra tendenza più intima, allora per noi non c'è libertà, non c'è salute, non c'è gioia di vivere. Dopo un po' proviamo nausea per ciò che siamo e ci sentiamo in qualche modo stranieri, estranei a noi stessi.
Quante volte siamo stati veramente noi stessi? Quante volte abbiamo preso decisioni che non fossero condizionate dalla nostra storia, dalla famiglia, dalle circostanze, dalle mode, dalla mentalità corrente, dalle cose che avevamo imparato? Quante volte abbiamo compiuto un atto scaturito liberamente dalla nostra profondità autentica? Ha scritto Oscar Wilde: "Lo scopo della vita è l'autosviluppo. Sviluppare pienamente la nostra individualità, ecco la missione che ciascuno di noi deve compiere".
Siamo noi stessi quando non avvertiamo la fatica, nelle cose che ci vengono naturali, in ciò che riusciamo a fare senza averlo imparato, nelle azioni spontanee. Allora, e solo allora, possiamo stare bene.
Non è vero che... non sei mai felice
Ti definisci infelice e sei convinto di esserlo sempre. Sei ossessionato dalla tristezza e la vedi ovunque. Ti senti in qualche modo responsabile, colpevole del tuo stato, e questo non fa che peggiorare la tua sofferenza.
Durante gli sprazzi di serenità temi ansiosamente il ritorno della tristezza e così ti rovini anche la felicità del momento. Infine, spesso e volentieri ti ritieni un fallito a causa della distanza incolmabile fra il ritratto di te stesso che ti sei dipinto e il modello di felicità proposto dall'esterno, tra quello che credi di essere e quello che vorresti essere.
La tristezza, in verità, non è un lato di te. Non sei tu a essere triste: al contrario, è la tristezza ad affacciarsi in te per svolgere la sua funzione!
Non rendere permanente un'identità che non ha fondamento reale, non definirti una volta per tutte triste, permaloso, irascibile: questi stati d'animo sono semplici ospiti che arrivano da un altro mondo. Riconoscendoli per quello che sono, li rendi visibili e li collochi nella giusta dimensione: come una pianta esposta al sole germoglia, così uno stato d'animo illuminato dal tuo sguardo matura e dà frutto.
La tristezza, inoltre, non è sempre la stessa: tutte le volte che arriva è un sentimento nuovo. Di quale tristezza parli? Di quella senza fondo? Di quella nostalgica? Di quella mista a gioia? Ogni volta è diversa; se ti sembra sempre la medesima, è perché ti sei assuefatto a emozioni abitudinarie.
La tristezza, infine, perdura solo perché tieni gli occhi fissi sul modello di perfezione: ti aggrappi alle lancette dell'orologio e le immobilizzi. È come se bloccassi la digestione: invece, se permetti alla tristezza di transitare, la digerisci rapidamente, ricavandone energie indispensabili alla tua vita.
Non è vero che... per giungere al benessere è necessario un lungo percorso
C'è una meta, ma non una via; ciò che chiamiamo via è in realtà un indugiare"; così scrisse Franz Kafka, l'autore della celebre Metamorfosi.
Con la scusa che per trovare il benessere occorre percorrere una via lunga e faticosa, rinviamo di giorno in giorno il momento della partenza: temporeggiamo all'infinito, ci impantaniamo e sprofondiamo in una situazione di stallo. In realtà, ogni momento è buono per prendere in mano la propria vita.
Non c'è nessun percorso e nessun lavoro da fare. Se si lavora per stare meglio, si finisce con lo stare peggio. Occorre infatti sfatare il mito che più si fatica e meglio è. Bastano poche e semplici azioni per cambiare la tua condizione.
Per prima cosa devi sgombrare la mente per percepire che sei qui e non hai niente da dirti. Non pensare a tragitti avventurosi o a sforzi titanici. Ci sono forze nascoste che ne sanno più di te e soprattutto sanno cosa fare di te.
Perditi dunque nell'attesa e affidati a queste forze. Qualcosa ti sta creando a tua insaputa nel migliore modo possibile. Il seme possiede dentro di sé tutta l'energia e la conoscenza che occorrono alla tua realizzazione. Per arrivare al fiore bisogna non intervenire e abbandonarsi.
In secondo luogo devi mutare i tuoi orizzonti temporali. Il passato è morto e il futuro non c'è ancora. Se rimani nel presente, le cose vanno a posto da sole. Se invece il passato ti trattiene e il futuro ti tormenta, allora il presente inesorabilmente ti sfugge.
Ernest Hemingway diceva che "oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma quello che accadrà in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai tu oggi". È questo il momento di cambiare sguardo.
Infine, non dimenticare mai che ciascuno di noi è un individuo unico e nel contempo cosmico, e pertanto partecipa alle vicende del cosmo come parte di un tutto. Qualcosa sta creando te e nello stesso tempo crea il mondo con le stesse sostanze che abitano dentro di te. Come non fidarsi?"
RAFFAELE MORELLI - Breve corso di felicità" (Mondadori - 2018)
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Star Comics, le uscite manga del 25 settembre
Di seguito trovate tutte le nuove uscite manga targate Edizioni Star Comics, disponibili da oggi in libreria, fumetteria e store online.
DRAGON QUEST SAGA - L’EMBLEMA DI ROTO II: GLI EREDI DELL’EMBLEMA #9 di Kamui Fujiwara, Jun Eishima, Yuji Horii
Tornano le epiche atmosfere dell’universo di Dragon Quest, in questo fantastico sequel dell’avvincente saga de L’emblema di Roto! Il viaggio di Aros, un giovane che insieme alla propria memoria ha perduto ogni cosa, prende il via vent’anni dopo la conclusione delle avventure di Arus e compagni, in un mondo in cui tutta la magia è scomparsa. Riuscirà a svelare il mistero di quei cambiamenti che si sono verificati in tutto il mondo...?
Aros e i suoi compagni giungono al palazzo reale di Isis, dove ottengono delle fondamentali informazioni su un nuovo globo. A quanto pare, per ottenerlo c’è una condizione da rispettare... Inoltre, verrà alla luce la verità sul fortissimo legame che unisce Lamia e Anis!
33 volumi - In corso - € 5,90 5,01 - Acquista su Amazon
DRAGON BALL FULL COLOR - LA SAGA DEI CYBORG E DI CELL #1 di Akira Toriyama
Una fantastica edizione completamente a colori del capolavoro del maestro Toriyama! Una pubblicazione imperdibile divisa per saghe, lanciata in Giappone dalla casa editrice Shueisha, ora finalmente disponibile anche per i lettori italiani!
Goku è riuscito a sconfiggere il terribile Freezer grazie alla trasformazione in Super Saiyan ma a quanto pare è rimasto coinvolto nell’esplosione del pianeta Namecc. Quando però, grazie alle sfere del drago Polunga, i suoi amici cercano di riportarlo in vita, il potente drago rivela loro di non poter esaudire il desiderio poiché... Goku è vivo! Ma dove sarà finito? Un anno dopo, mentre ancora aspettano il suo ritorno, Crilin, Gohan e gli altri percepiscono un Ki malvagio e molto potente avvicinarsi alla Terra. Si tratta di Freezer, miracolosamente sopravvissuto e ora disposto a tutto pur di vendicarsi! Ma assieme a lui farà la sua comparsa anche un nuovo e misterioso Super Saiyan... Inizia una nuova saga del fantastico universo di Dragon Ball!
6 volumi - Completo - € 6,90 5,86 - Acquista su Amazon
MOTHER COSMOS di Minoru Sugiyama
Alla ricerca dell’amica Paula, Satoru e Schop giungono a Gargoyle City, un’antica città completamente disabitata ma protetta da tempo immemore da dei guardiani meccanici. Cosa cercano di difendere così strenuamente? Per Satoru sarà l’inizio di un incredibile viaggio, alla scoperta della verità su un’antica civiltà scomparsa e sulla sua stessa nascita. Mother Cosmos... Quale sconvolgente segreto si cela dietro a questa leggendaria entità?
In un mondo distopico e surreale, il cui design ricorda il Metropolis di Fritz Lang mischiato all’estetica dei manga di genere mecha, prende le mosse un capolavoro di grande originalità e potenza visiva, opera di uno degli artisti contemporanei più eclettici e poliedrici del Giappone!
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UN BACIO A MEZZANOTTE #8 di Rin Mikimoto
Hinana è una brillante studentessa che gode della stima di tutti, e nessuno sospetta che il suo più grande desiderio sia vivere una storia d’amore da favola. Il giorno in cui il bellissimo attore Kaede Ayase capita nella sua scuola per le riprese di un film, la sua monotona quotidianità viene improvvisamente sconvolta... e ha inizio per lei una vita da vera Cenerentola!
Come un fulmine a ciel sereno, a casa di Hinana arriva una busta anonima contenente una foto di lei e Kaede… A trovarla per prima è la madre della ragazza, che si dimostra sin da subito totalmente contraria alla loro storia d’amore. Come se non bastasse, durante un evento per il lancio del film, Hinana si ritrova il giovane attore al liceo!
10 volumi - In corso - € 4,50 3,82 - Acquista su Amazon
I DIPINTI MALEDETTI #4 di Hachi
I dipinti che Aisya realizza con il proprio sangue fanno accadere dei miracoli. Nonostante li abbia creati con le migliori intenzioni, tuttavia, i quadri iniziano a essere contaminati dai desideri degli umani, fino a trasformarsi in “dipinti maledetti”. Come ultimo desiderio, Aisya chiede perciò al suo migliore amico Loki di trovare e bruciare tutte le sue opere...
Per scoprire qualcosa di più sulla misteriosa identità della piccola Lice, Loki e Touen si recano assieme a lei nella città di Namito, dove la Sacra Fondazione dei Mecenati esercita un’enorme influenza, alla ricerca di un uomo chiamato Snow Lopez. Giunti a destinazione, vengono invitati da un bambino cieco di nome Rebel a dormire nella casa che condivide con la nonna, una donna che non esce mai di casa e che nasconde un grande segreto...
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MISSIONS OF LOVE #13 di Ema Toyama
Yukina Himuro è un’adolescente con una spiccata tendenza a osservare (insistentemente) ciò che la circonda. Ribattezzata “donna delle nevi” dai compagni di scuola per via della sua proverbiale freddezza, riscatta la sua impopolarità scrivendo romanzi per cellulare di grande successo sotto lo pseudonimo di Yupina.
Ancora confusa sui propri sentimenti, Yukina continua a non trovare un modo per parlare con Shigure, e quando finalmente riesce a scusarsi con lui finisce solo per essere nuovamente respinta. Che il filo che li univa si sia definitivamente spezzato? Nel frattempo, Hisame, sempre più attaccato a Mami, brucia di gelosia per l’improvviso avvicinamento di Akira alla ragazza. Perciò coinvolge Yukina, provocando una tremenda confusione... Le relazioni tra i cinque si fanno sempre più complicate!
19 volumi - Completo - € 4,30 3,65 - Acquista su Amazon
TSUBAKI-CHO LONELY PLANET #12 di Mika Yamamori
Fumi Oono è una ragazza di sedici anni che un giorno, a causa dei debiti contratti dal padre, si trova costretta ad andarsene di casa e a trovarsi un lavoro. Finisce così per fare la domestica fissa a casa di Akatsuki Kibikino, uno scrittore solitario dallo sguardo minaccioso e dai modi scortesi... Riuscirà ad adattarsi alla convivenza con lui?
Akatsuki rivela al padre di Fumi, come se niente fosse, la natura della loro relazione. L’uomo, rientrato in città euforico per il suo debito in via di risoluzione, si infuria e costringe la figlia a seguirlo in un altro appartamento. Per Fumi la situazione è fonte di grande angoscia, ma Akatsuki, dopo aver cercato di consolarla, decide di affrontare il padre della ragazza…
13 volumi - In corso - € 4,30 3,65 - Acquista su Amazon
L'INNOMINABILE SORELLA #3 di Pochi.
Yu ha perso i genitori in un incidente e da allora vive sballottato da un parente all’altro. Quando però lo zio viene ricoverato d’urgenza si ritrova completamente solo, finché, nella tenuta di famiglia, non incontra Chiyo, un antico demone noto anche come “il capro dei boschi”. L’oscuro essere offre al ragazzo la possibilità di esaudire un solo desiderio, e Yu, senza troppi ripensamenti, gli chiede di diventare... sua sorella maggiore!
Yu e Chiyo, a parte qualche preoccupazione, conducono una vita modesta ma felice. Ma sui due "fratelli" incombe un’ombra oscura e inquietante. Cosa starà tramando la ragazza che si è presentata come Haru...?
3 volumi - In corso - € 5,90 5,01 - Acquista su Amazon
Autore: SilenziO))) (@s1lenzi0)
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SDB Black+ - Intervista con Aoyama - Traduzione ITA delle Domande fatte dai Fan
Ecco la traduzione completa di tutte le 132 domande poste dai fan tramite l’apposito modulo online a Gosho Aoyama, relative all’organizzazione.
Posterò eventualmente altri recap sull’SDB Black+.
ATTENZIONE SPOILER!
D1: L’Organizzazione recluta nuovi membri? A: “Beh...”
D2: Quando si entra a far parte dell’Organizzazione, bisogna fare dei test di capacità pratiche, degli esami scritti o delle interrogazioni orali? A: B-Beh, ecco...
D3: I diplomati quindi possono entrare più facilmente nell'organizzazione? A: Non saprei proprio, ahah!
D4: Ci sono belle ragazze nell'organizzazione? A: Beh, c'era Haibara, no...?
D5: Qual è l'età minima per entrare nell'organizzazione? A: Tutta qui [la domanda]? Ahahah!
D6: Mia madre dice che se entrassi nell'organizzazione il mio nome in codice sarebbe "imojouchuu*". Posso entrare ora? A: [Meglio di] no. (*T/N Imojouchuu = liquore distillato dolce prodotto da un tipo di patata giapponese)
D7: Vorrei sapere qual è il salario medio dei membri dell'organizzazione. Provengo anche io da un "black business", quindi la cosa mi incuriosisce... A: Me lo chiedo anch'io, ahahah!
D8: A proposito di paghe, se dico alla persona che si occupa dei conti "oggi ho ucciso X persone", lo calcoleranno? A: Non penso...?
D9: Nell'organizzazione si tengono meeting o festini alcolici? A: Non penso...?
D10: Pensa che nell'Organizzazione ci siano bambini? A: Beh, potrebbero essercene, ahahah...
D11: L'organizzazione mi dà l'impressione che sia ricca. I loro soldi provengono dalle vendite di pozioni come l'Apoptoxin? A: No, sbagliato! (sbagliatissimo...)
D12: Qual è il gusto di onigiri* preferito dei membri [dell'organizzazione]? A: Non lo so... (non lo so proprio!) (T/N: Onigiri = polpettine di riso riempite di varie spezie e salse)
D13: E' okay il fatto che ci siano così tanti NOC* nell'Organizzazione? A: Certo che è okay. (T/N: NOC = infiltrati)
D14: Cosa fanno Gin e gli altri [dell'organizzazione] durante il tempo libero? A: Credo che non abbiano tempo libero...
D15: C'è qualcuno nell'organizzazione a cui piacciono manga e anime? A: Non credo...?
D16: I nomi in codice dell'Organizzazione sono relativi all'alcol, ma il Capo li assegna [ai membri] in base all'impressione che gli danno? Per esempio, Gin ha dato una certa impressione al capo, e pertanto ha deciso di chiamarlo Gin... Funziona così? A: Beh, me lo chiedo anch'io...
D17: Dopo che sono morti Tequila, Pisco e Calvados, altri membri hanno ereditato i loro nomi in codice? Come il numero delle uniformi, i nomi in codice sono propri di ciascun membro separato? A: Non posso dirtelo.
D18: Se ci sono bambini che hanno le capacità, potrebbero ottenere anche loro un nome in codice? A: Beh, guarda Haibara, era minorenne... Ahahah!
D19: Perché i nomi in codice sono relativi all'alcol? Non potevano essere [, per esempio,] nomi di razze di gatti [eccetera...]? A: Perché [l'alcol] era[no] più fighi.
D20: C'è un "Cognac"? A: [Beh,] potrebbe esserci.
D21: C'è qualcuno col nome in codice "Birra"? A: Non ci ho mai pensato...
D22: La vera identità di Karasuma Renya è quella di Matsumoto? A: Credo proprio di no, ahahah!
D23: Anokata [quella persona], pratica il Karate? A: Sì*? (T/N: in questo caso "sì" non è un'affermazione, ma una specie di "cosa???")
D24: Vado dritto al punto: Karasuma Renya è Toiichi Kuroba, giusto? Ha detto che era ancora vivo... A: Ah ah ah... No, sbagliato!
D25: Io penso che "quella persona" abbia bevuto l'APTX 4869 ed è diventato un giovane poliziotto, lei che ne dice? A: Ooh...[?]
D26: Nel caso di Itakura... E' stato detto che "stiamo cercando di resuscitare i morti". Ma quando Gin ha ucciso Pisco, ha detto di "aver ricevuto un ordine direttamente da 'quella persona'"... Ma Karasuma, il capo, ha già fatto una scomparsa misteriosa. Perciò, magari il cadavere di Karasuma è stato distrutto ma [solo] il suo cervello è ancora in vita. Magari ora è un'AI*? A: Ooh, gran bella pensata, ma non è questo il caso, ahah! (T/N: AI = Intelligenza Artificiale, inteso come umanoide)
D27: Tra Karasuma Renya, il Gruppo Suzuki e la Famiglia Ooka, chi è il più ricco? A: Karasuma. Karasuma è il più ricco!
D28: Qual è il cibo preferito del boss? A: Perché lo vuoi sapere?
D29: A quanto ammonta il salario annuale del capo degli Uomini in Nero? A: Aah, ma perché lo volete sapere?
D30: Il progetto segreto che l'organizzazione ha portato avanti da 50 anni è collegato a Karasuma Renya? A: Ovviamente.
D31: Karasuma Renya ha fondato il Gruppo Karasuma? A: E' naturale!
D32: Il boss, sta ancora a Tottori? A: Perché [proprio a] Tottori? Ahahah!
D33: Pisco ha detto che ha servito Quella Persona per molto tempo, significa che Karasuma è ancora vivo? A: Eeh, dici? Ahahah!
D34: Karasuma Renya è uno sherlockiano*? A: Eeh?! Dici?! (T/N: Non ne ho idea, in giapponese diceva proprio così XD Penso sia inteso come fan accanito di Sherlock Holmes)
D35: Voglio sapere [qual è] la relazione tra il Boss e Vermouth! A: Eeeh? Seriamente?! ...Perché sembra proprio così... Ahahah (T/N: Si riferisce alla domanda, sta fingendo di non aver capito bene quello che gli è stato chiesto)
D36: Karasuma e la vecchietta Senma, si sono mai incontrati? A: No.
D37: Gin è russo? E Vodka, è tedesco? A: P-Perché [mai dovrebbero]?!
D38: Nella parte finale, Gin morirà? Sopravviverà? O magari... magari avrà un'amnesia* e continuerà a vivere [come se nulla fosse]? A: Ah ah ah... Perché [dovrebbe]? (T/N: Amnesia = perdita della memoria)
D39: Se incontro Gin in centro città, [dice che] sarà OK se gli parlo? A: Se vuoi morire, parlagli pure... (T/N: Qui nel libricino hanno usato un carattere tipografico più spettrale XD)
D40: Gin è veramente un cattivo? A: Sì (certamente, ahahah!).
D41: Gin si è mai innamorato? A: Eeeh?!
D42: Gin è una specie di vice manager nell'organizzazione? A: Penso che [il suo livello] sia molto più alto.
D43: Dato che Vodka chiama Gin "aniki", c'è qualcun altro nell'organizzazione che chiama un altro membro "oyaji" o "aneki"?* A: Beh, i fan chiamano Vermouth Ver-nee, no? Ahahah! (T/N: Aniki = fratello maggiore, inteso come capo; Oyaji = vecchietto, ma inteso come capo; Aneki = sorella maggiore, inteso come capo(a). Il suffisso -nee significa sorellona.)
D44: Gin è popolare [tra le donne]? A: Sì, lo è...
D45: Gin è bravo negli sport di combattimento di gruppo? Se sì, qual è la sua specialità? (Per esempio, karate, la boxe e così via...) A: Non ne ho idea, ma credo che sia molto forte.
D46: Gin e Vodka sono amici da sempre? A: Non credo che questo sia il caso?
D47: Gin ha detto "non me ne importa niente del lavoro mandato all'aria da Rum"... Non è che Gin detesta Rum? A: Potrebbe darsi.
D48: Gin ha l'abitudine di dimenticarsi i nomi delle sue vittime, ma non si è dimenticato quello di Akemi[, vero]? A: Non l'ha dimenticato [neanch'esso], no?
D49: L'altro giorno, ho sognato che Gin, con una faccia piena di schizzi di sangue, un coltello appoggiato a terra, leggermente piegato e con la mano destra sul petto, con un sorriso sadico ha sparato a Furuya, [che] indossava un giubbetto [anti proiettile], e si trovava a poca distanza [da Gin]. Era certo che Furuya fosse una spia. Questo mio sogno si avvererà? A: Niente affatto. Rimarrà solo un incubo.
D50: Quanto si sa sui ranghi [dei membri] dell'organizzazione? In quale posizione è Gin, contando dal Capo [in giù]? A: Me lo vuoi chiedere [seriamente]?
D51: Gin è proprio il mio tipo, ma a lui quale tipo di donne piace? A: Beh, le donne cosiddette "stinco di santo", no? Ahahahah!
D52: Un collegamento con un demone dell'oscurità... Gin e Mary hanno un qualche collegamento tra loro? A: Beh, potrebbero.
D53: Se avessi un appuntamento con Gin, dove [pensa che] mi porterebbe? A: Al cimitero? (T/N: Qui la risposta sul librettino originale è scritta in un font più cupo, ahahahah!)
D54: Gin ha una fidanzata? A: Non credo che ne abbia, ora...
D55: Voglio sposare Gin! A: Non te lo consiglio!
D56: E' vero che è stata Vermouth a crescere Gin? A: No, non è vero.
D57: L'età di Gin è di circa 32 anni? A: Dici che ne dimostra [32]?
D58: Quando Gin parla ai superiori, come il Boss, usa un linguaggio formale? A: Può essere. (T/N: Per linguaggio formale intende il keigo, il registro abbastanza formale giapponese, poco meno che dare del lei in italiano)
D59: Gin saluta educatamente dicendo "Buon giorno"? A: Non credo proprio.
D60: Quando Gin va a prendere le sigarette al conbini, ci va vestito in quel modo? A: Credo che ci mandi qualcun altro a comprarle, no? (T/N: Conbini = specie di convenience store giapponesi)
D61: Fin da bambino ho sempre desiderato sapere come ha fatto Vodka ad ottenere la fiducia di Gin, a tal punto che [Gin] gli lascia guidare la sua auto. A: Penso che semplicemente [a Gin] non gli vada di guidarla.
D62: Vodka ha una ragazza? Perché se non è così, mi piacerebbe annunciare che mi candido io! A: Fai pure.
D63: Mi piace tantissimo Vodka! Mi dica uno dei suoi segreti, la prego! A: In verità... All'inizio della serializzazione, i miei assistenti lo chiamavano Sub-chan! (Sub come "sub character". Gin era "noppo".) (T/N: "Sub character" = personaggio secondario. "Noppo" = alto e snello. Queste note tra parentesi alla fine della domanda sono state aggiunte per volere di Aoyama in persona.)
D64: Vorrei chiederle come mai Vodka è un membro dell'organizzazione. A: Non sarebbe meglio non saperlo?
D65: [Le lenti de]Gli occhiali da sole di Vodka, sono graduati? A: Direi di no.
D66: Mi domando perché Gin non pianti [molli] Vodka, con tutti gli errori che fa... A: Certo che te lo domandi! Ahahah!
D67: Come ha fatto Vodka ad ottenere un nome in codice? Ha una qualche qualità speciale che batte tutti gli altri membri, nonostante la sua faccia da tonto? A: Beh, nonostante il sua aspetto ha molte qualità! Ahahah!
D68: Vodka ha una macchina [sua]? A: [Sì,] è apparsa nel volume 37. Ahahah!
D69: Vodka è molto in forma perché in passato ha praticato un qualche tipo di sport? A: Può darsi.
D70: Vodka è lento a correre? A: Beh, potrebbe invece correre molto velocemente, direi!
D71: Perché Vodka chiama Gin "aniki" [capo]? A: Già, perché?
D72: Il piatto preferito di Vodka è il pudding giapponese? A: Non penso proprio, no?
D73: Vodka ha un modello ispiratore? A: [Sì,] un tipo nel film "Diva". Aveva dei gran bei muscoli.
D74: Dato che all'interno della Polizia Metropolitana c'è un gruppo di Fan di Sato, c'è un gruppo di fan di Vermouth, nell'organizzazione? A: No, non c'è.
D75: Che ne dice di Vermouth-nee-sama*?! Lei è la mia vita!!! Sopravviverà, vero?! Aaaaaaaaaaah!!! A: Beh, me lo domando anche io. (T/N: In questo caso, chi ha posto la domanda intende che per lei Vermouth è come una sorellona, ma ha comunque rispetto per lei. Ah, comunque, queste "aaaah" isteriche c'erano veramente!)
D76: Quanto Vermouth e Bourbon vanno a cena insieme, offre Vermouth o lasciano tutto tra le spese dell'Organizzazione? A: No, nessuna spesa.
Q77: Quante lingue sa parlare Vermouth? A: Moltissime. Tutte quante.
Q78: E' stata Vermouth ad uccidere Elena Miyano? A: Hm? Come dici?
D79: In che modo Bourbon è entrato nell'Organizzazione? A: Beh, penso l'abbia fatto in modo molto talentuoso.
D80: Sembra che Akemi Miyano sapesse di Bourbon, ma sapeva che era il ragazzino della sua infanzia? A: Penso che non se ne sia mai accorta.
D81: What is Amuro’s blood group? [Qual è il gruppo sanguigno di Amuro?] A: Gruppo sanguigno? Per questa volta passo, ahahah! (T/N: La domanda è in inglese anche nell'originale, segno che qualcuno gliel'ha inviata in inglese da internet!)
D82: Come ha fatto Bourbon a scoprire il grande segreto di Vermouth? E quel segreto, è relativo al fatto che Vermouth non sia invecchiata fisicamente dopo 20 anni? A: Dato che lui è "Zero", credo che abbia investigato accuratamente.
D83: Bourbon ha ucciso qualcuno? A: Sembra proprio [l'intercalare di] Kazami! Ahahah!
D84: Bourbon sapeva che la ragazza di Rye era la figlia di Elena? A: Penso proprio di no.
D85: Bourbon non morirà, vero? A: Eh? E perché [mai]? Ahahah!
D86: Scotch ha un nome fittizio come Amuro Tooru o Dai Moroboshi? A: Penso di sì.
D87: A Scotch piacciono i Bonsai, ossia piantine come i cactus? A: Perché dovrebbe?
D88: E' possibile che Scotch sia vivo? A: No.
D89: Perché Mary è stata rimpicciolita? A: Vuoi chiedermelo [seriamente]?
D90: Torneremo al punto di partenza e risulterà che Kan-chan* è Rum? Lol. A: No, no. (T/N: Kan-chan: Kansuke Yamato)
D91: Quanti anni ha Rum? A: Non posso dirtelo.
D92: Rum è veramente uno dei tre sospettati, Kuroda, Wakasa e Wakita? A: Esattamente!
D93: Il "lavoro mandato all'aria" di Rum nel caso di Koji Haneda, si è trattato di un grave errore[, no]? Se fosse così, perché Rum non è stato [punito e] ucciso? A: Perché lui/lei è il No. 2
D94: Koji Haneda è Rum, giusto? A: Sbagliato.
D95: Perché Rum chiede ad Amuro di dargli informazioni su Shinichi tutto d'un tratto? Ha un qualche obiettivo? A: Beh, deve averlo per forza.
D96: La Maestra Wakasa è molto sospetta, [mi] fa paura. E' membro degli uomini in nero oppure no? A: Bella domanda, temetela [= abbiatene paura], ahahah!
D97: Il nome della Maestra Rumi Wakasa [若狭留美], mi sembra sempre 若さ [wakasa, giovinezza], 留める [todomeru, fermarsi/fermare] e 美しさ [utsukushisa, bellezza]. E' collegato all'immortalità di Vermouth? A: Sei fantastico! Ahahahah!
D98: Wakasa Rumi e Haneda Koji erano fidanzati? A: Eh?
D99: Nell'episodio della tenda bruciata, Wakasa Rumi stringeva qualcosa simile ad un pezzo del gioco dello shogi, nei suoi pantaloni. Lei è collegata al caso di Koji Haneda? E poi, stava guardando la lista delle vittime a cui è stato somministrato l'APTX... Ecco perché l'ho pensato. A: Oooh[, capisco]...
D100: Scotch si è travestito da Wakita? A: Sbagliato.
D101: Perché Akai portava i capelli lunghi quando era nell'organizzazione? A: Eh già, bella domanda.
D102: Yamamura c'entra qualcosa con l'organizzazione? A: No.
D103: Akemi Miyano e Azusa Enomoto non sono molto simili? Sono imparentate? A: [No, perché] Akemi non ha gli occhi rivolti verso al basso.
D104: Akemi Miyano è ancora in vita? La prego, risponda alla mia domanda ([Da un fan] Dall'Arabia Saudita) A: Non credo proprio che sia viva.
D105: Elena Miyano è diventata così silenziosa e spettrale dopo essere entrata nell'organizzazione? A: No, no. Non è mai stata una gran chiacchierona.
D106: Perché l'immagine [=impressione] di Elena era diversa prima rispetto a dopo l'entrata nell'organizzazione? A: Perché aveva quell'aria secondo suo marito ed Amuro, ma è sempre stata così [timida e silenziosa].
D107: Cosa sta facendo Kir in questo momento? Io adoro Kir. Aspetto con trepidazione la sua ricomparsa! A: Tieni duro nell'attesa!
D108: Mi dispiace per Kir, per com'è stata manipolata dall'FBI. Troverà mai la felicità? A: Eh, già, poveretta... Ahah!
D109: Perché Kir lavorava come giornalista? A: Aveva scoperto di avere talento in quel settore.
D110: Chianti indossa un vestito a pezzo unico? A: Beh, ne indosserà se ne ha voglia.
D111: Il disegno sull'occhio sinistro di Chianti è un tatuaggio? A: Sì, lo è.
D112: Chianti è in grado di parlare in modo formale? A: Non credo...
D113: Chianti e Korn escono insieme? A: Niente affatto.
D114: A Korn piace Chianti? A: Aah, fa questo effetto?
D115: Korn e Chianti si sposeranno? A: Non penso...?
D116: Ai sa del vero nome dell'organizzazione? A: Per forza che lo sa!
D117: Vorrei diventare come Ai! Cosa devo fare? A: Studiare [molto]...
D118: Cosa succederà ad Ai Haibara dopo lo scontro con l'organizzazione? A: Aspettate [questo sviluppo della trama] con trepidazione.
D119: Haibara conosce il nome dell'organizzazione e l'identità del capo? A: Certo che lo conosce. (T/N: E' appositamente ambiguo su quale dei due o se entrambi.)
D120: Sherry usciva con Gin quando stava nell'organizzazione? A: Credo che [Gin] non sia il suo tipo, ahahah!
D121: Quanti anni ha Tequila? A: Lasciamo che rimanga un mistero?
D122: Tequila è da compatire, vero? A: Eh? Ah sì?
D123: E' possibile che Tequila sia vivo? A: No. E' saltato per aria ed è stato fatto a pezzettini.
D124: La "donna autoritaria" apparsa nella conversazione al telefono con Itakura era Vermouth? A: Esatto. E' stato confermato nell'episodio del Bell Tree Express.
D125: Se Kyogoku combattesse contro l'organizzazione, potrebbe batterli, vero? A: E' il più forte, nel mondo di Conan[, perciò]...
D126: Per quanto riguarda i cecchini dell'Organizzazione che sono comparsi nella serie (Rye, Chianti, Korn, Kalvados e Scotch), mi piacerebbe sapere il loro livello basato sulle capacità. A: Rye è il migliore, il Numero 1.
D127: Perché Kuroda ha chiamato Furuya "Bourbon"? A: Perché? Beh, perché... Ahahah!
D128: Mi piace moltissimo Curaçao! C'è la possibilità che appaia nel manga, magari in un flashback? A: E' probabile che non appaia... Vuoi che lo faccia?
D129: Riguardo i Servizi Segreti della Polizia Metropolitana (specialmente Kazami)... Quanto sanno dell'organizzazione? A: Beh, tutto ciò che gli ha detto Furuya, no?
D130: La prego, mi dica qual è il membro dell'organizzazione che preferisce, Aoyama-sensei. A: Mi piacciono tutti.
D131: Più che una domanda è un mio desiderio, ma personalmente mi piacerebbe uno spinoff come Zero no Tea Time chiamato "Soshiki no Tea Time"! Lol! A: Beh, allora il titolo sarebbe Black Cocktail Time, no? Ahahah! (T/N: Soshiki no Tea Time sarebbe letteralmente "Il Tea Time dell'Organizzazione. "Black Cocktail Time" era scritto in inglese anche nell'originale, e indica "Il [Tea] Time dei Cocktail Oscuri"! XD)
D132: Vorrei tanto che l'Organizzazione venga sconfitta e la verità venga a galla... ma poi Detective Conan finirebbe, e proprio non voglio! E' un[a specie di] 50/50. Che farò? A: Non temere... Ahahah!
E' tutto, fiùùù! Spero di aver tradotto il più chiaramente possibile: tenete presente che le note tra parentesi quadre [] sono chiarimenti miei. Porteremo a breve aggiornamenti sul contenuto del resto del libretto.
Buon proseguimento, H.
#detective conan#gosho aoyama#meitantei conan#sdb plus#uomini in nero#kurozukume no otokotachi#intervista
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La trasmissione di Adrian la serie è proseguita nelle ultime due settimane, come previsto. Nessuna cancellazione prima del tempo, per ora. Sfortunatamente. Il caos presente in Adrian temo ci stia avvicinando alla morte termica dell’Universo di una frazione di secondo più rapidamente rispetto alla media delle altre serie. Ma in fondo, dopo aver visto Adrian la serie (anzi, la serie evento), ci importa davvero che l’esistenza possa finire un poco prima?
Per chi si è perso il precedente appuntamento: ecco l’articolo dedicato ai primi due episodi di Adrian.
Lettera di presa di distanze da “Adrian la serie” di Manara.
Capisci che un prodotto di intrattenimento è B-b-buono quando ogni singola persona coinvolta dichiara di non averci avuto nulla a che fare, o che comunque non sapeva cosa ne sarebbe uscito, o se lo sapeva non era d’accordo però non è stato ascoltato.
Ogni. Singola. Persona.
E uno si immagina che Celentano abbia impiegato dieci anni perché Adrian lo ha dovuto scrivere, dirigere e disegnare lui, tutto da solo, chiuso in cantina. E a Mediaset è sembrata un’ottima idea trasmetterlo, dopo che Sky aveva scaricato il progetto come una mucca scarica gli intestini.
Bellissima scelta.
Adrian, la serie: di cosa parlare oggi?
Tornando al nocciolo dell’articolo, questa volta non ci dilungheremo nei molti dettagli demenziali dei due episodi. Non ho nemmeno considerazioni sul linguaggio della violenza da condividere, visto che ne abbiamo già parlato… e stranamente ce l’abbiamo fatta senza l’arrivo di femministe urlanti, anzi, diverse lettrici mi hanno ringraziato per quanto scritto.
Non parleremo del cambio di alleanza fatto da Agente Smith e Pinotto, che da un minuto all’altro passano da essere i più fedeli servitori del Potere a divenire alleati di Adrian (che di fronte a loro, col loro assenso, crea Darian). Né commenteremo che se uno sa giocare a scacchi, anche solo un poco, non è credibile che arrivi a trovarsi allo scacco matto in una mossa senza accorgersene, men che meno se è lui che sta per farlo!
Non parleremo del ferocissimo regime che invece di assassinare Adrian/Darian gli affida un programma in televisione, ma poi cambiano idea e cercano di ucciderlo… mandandogli addosso una rockstar fallita, invece di un vero sicario. Meraviglioso.
Non ci occuperemo del motivo per cui nel 2068 due contadini arrivino dalla campagna, con tanto di pecora al seguito, e ammirano le “città” con stupore mentre i milanesi ridono loro dietro, come se fossimo nel 1968. Anzi, meglio: nel 1928. Davvero nel 2068 dobbiamo immaginare che i campagnoli vivano come dei primitivi e non abbiano mai visto le incredibili “città”? Mah!
2068 oppure 1928?
Non parleremo di tante cose, perché Adrian è un chicca demenziale a ogni minuto e non mi va di fare dodicimila parole di articolo: se volete godervi delle buone descrizioni degli episodi vi rimando a Victorlaszlo88 (episodio 3 ed episodio 4). Seguitelo: oltre a essere un Grande Antico di YouTube Italia, partito nel lontano 2009, i suoi video su Adrian sono molto divertenti.
Un inganno di inganni ingannato da un inganno.
A quanto pare a Celentano piacciono gli inganni, i tranelli, i misteri. Non solo quando lui fa come cazzo gli pare nei suoi spettacoli, e si vanta di sabotare l’audience di una canale, ma anche nella serie.
Il misterioso Adrian, introvabile e impossibile da riconoscere, viene cercato dall’azienda svizzera di orologi, che gli mette una taglia di un milione di euro.
Ma Adrian è anche la Volpe, e nessuno sa chi sia la misteriosa Volpe che sta affrontando i predoni di Hokuto no Ken trasferiti in questa serie per dedicarsi al turismo sessuale non consensuale.
Ma l’inganno compenetra l’inganno, perché nessuno collega il misterioso Adrian e la misteriosa Volpe apparsi nel giro di pochi giorni a Milano.
Migliaia di persone a loro volta ingannano l’azienda svizzera di orologi dando indicazioni fasulle, solo per farsi intervistare dai giornalisti.
Agente Smith e Pinotto a loro volta fregano l’azienda svizzera e vengono informati delle segnalazioni da una “talpa”: così possono raggiungere gli informatori e interrogarli prima degli svizzeri.
Un gruppo di studenti manda segnalazioni di aver avvistato Adrian, e visto che questo avviene dall’università allora Agente Smith e Pinotto, colti in inganno, vanno a prendere a sberle il Rettore. Perché sì.
Gli slinguazzuti predoni di “Hokuto no Ken” sono tornati, e questa volta hanno portato le moto!
Adrian minaccia i due agenti, ma è tutto un inganno: dice loro che se lui si rivelasse all’azienda svizzera, loro due sarebbero fregati (hanno l’ordine di individuarlo prima degli svizzeri) e verrebbero cacciato dal Partito, e per questo devono difendere la sua identità. Né all’Agente Smith né a Pinotto viene in mente che basterebbe prenderlo a sberle e arrestarlo (ricorda: non sanno che è la Volpe, aspirante personaggio segreto di Street Fighter II), per prendersi loro il merito nei confronti del feroce Partito: inganno riuscito!
Adrian si inventa allora Darian, un gobbo col nasone e la parrucca bianca, tipo un cosplay maschile della Befana: questo sarà “l’Orologiaio” da svelare in pubblico, con la protezione dell’Agente Smith e Pinotto che faranno da tramiti col Potere.
Ma l’inganno nell’inganno inganna chi pensava di essere parte dell’inganno: e infatti Gilda non riconosce Darian e, addirittura, lo accusa di essere uno schiavo del Potere messo in giro per distruggere il mito del vero Orologiaio.
Gli scacchi sono olografici, ma dietro c’è un inganno: se li tocchi è come se fossero fisici e li puoi afferrare e muovere a mani nude. Mi piacerebbe giocare al Custom Maid 3D olografico di quel mondo…
Il narratore stesso, la voce fuori campo, ci “spiega” i fatti accaduti nei tre episodi precedenti dicendo stronzate che sono palesemente incoerenti con quanto mostrato (vedi dopo la sezione sui lampi e il concerto).
E molto altro ancora!
Adrian è un “indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma“, citando il famoso intervento di Churchill del 1939.
Un indovinello la cui risposta è un rutto.
Adrian è un Darian avvolto in un gobbo con l’aspetto di una befana, pensoso a metà tra un Gollum che si domanda cosa abbia in tasca Bilbo Baggins e un camionista rumeno che ha appena scoreggiato e tenta di ricordare cosa abbia mangiato la sera prima.
Il Regime della Privacy.
Nel primo episodio abbiamo visto il Potere, originalissimo nome del feroce Regime che il Partito ha messo in piedi per governare l’Italia, far sparire nel nulla i “pericolosi terroristi”. Se uno fa qualcosa che non piace e loro sanno chi è, lo fanno sparire. E il Potere non risparmia nemmeno i mobili innocenti, rimossi tramite una granata che li assorbe. Sfortunatamente, dopo altri tre episodi, la Granata del Trasloco non è ancora ritornata.
Nel terzo episodio abbiamo visto il Potere inviare i propri sgherri ad arrestare e riempire di botte chi può avere informazioni utili. Gli ultimi della società sono costretti a vivere nelle fogne, proprio come il nostro amico ritardato del secondo episodio, per non cadere sotto lo sguardo del Potere. Il Potere è feroce, è implacabile e ha risolto il problema del traffico a Milano. Maledetto Potere: il popolo amava quel traffico!
Il Potere però può colpirti solo se sa chi sei. Possibilmente con un documento di consenso firmato per condividere con lui le tue informazioni. Perché il Potere ha una caratteristica chiave, un autentico difetto fatale: difende la Privacy. Tanto che:
Non intercetta i telefoni né localizza i cellulari: e gli studenti così mandano 50 segnalazioni fasulle sull’Orologiaio e nessuno li arresta.
Non installa cimici: nell’azienda svizzera hanno un informatore in carne e ossa.
Fa un uso ridottissimo delle telecamere… e dire che erano l’ossessione demenziale del regime di 1984, per citare un’opera famosissima dell’epoca di Celentano! Altro che “modernità”.
Non può nemmeno strappare di dosso naso finto, parrucca e gobba posticcia a Darian. Perché non diciamo stronzate: è evidente che sia un costume. In più, se hanno controllato i documenti/registri (e ti pare credibile che non l’abbiano fatto?), sanno già che Darian non esiste legalmente (però magari sono ritardati e non ci hanno pensato). Ma il Potere rispetta l’anonimato.
Parafrasando lo slogan di Warhammer 40k:
Nella grigia indifferenza del vicino futuro c’è solo Privacy.
Nascondere la Bellezza, ma non tutta.
Come scopriamo nell’episodio quattro, il Potere non solo apprezza l’architettura minimalista (ma enorme), ma lo è fino al punto di voler nascondere le bellezze artistiche. Demolirle, come fanno quelli di Mafia International con la chiesa “scomoda” di cui liberarsi, oppure nasconderle, come fanno con il Duomo di Milano e molte altre opere in giro per l’Italia.
Il Duomo di Milano ricoperto di schermi pubblicitari.
Al di là della demenza dei monumenti nascosti con enormi strutture per il restauro (eterno) tappezzate di schermi pubblicitari… e anche al di là delle stupidità che queste megastrutture siano accessibili da fuori senza troppa difficoltà, e permettano di arrivare fino a un pulsantone rosso che in un attimo ritira tutti gli schermi e mostra al pubblico quanto nascosto… ma davvero la Bellezza è solo in alcune opere e non in altre?
A Milano ci mostrano il Duomo nascosto, ma le altre splendide opere d’epoca attorno NO. Lo splendido monumento a Vittorio Emanuele II realizzato da Ercole Rosa, davanti al Duomo, è pienamente visibile! Cos’è: il Duomo è la Bellezza che risveglia il popolo, ma il monumento a Vittorio Emanuele II è un dito nel culo? E dire che non ci vorrebbe nulla a nasconderlo con un paio di maxischermi!
Addirittura la Galleria Vittorio Emanuele II, un altro posto spettacolare accanto al Duomo, non solo è pienamente visibile, ma è stata valorizzata trasformandola nel nuovo mega centro commerciale così figo che perfino le scolaresche vengono portate lì in visita come se fosse il museo egizio! Anche quel posto lì è brutto come un piede nell’ano, per il Potere? O è solo tutto ciò che riguarda i Savoia (o che sia successivo al Rinascimento, boh) a essere disprezzato da Celentano come Arte Falsa, Orrenda e priva di Bellezza?
Comunque qualcuno dovrebbe spiegarmi come faccia Galleria Vittorio Emanuele II, solo 17.500 metri quadri di isolato calpestabile, a ospitare un mega centro commerciale del 2068 quando nel 2018 Orio Center, accanto a casa mia, uno dei più grandi centri commerciali d’Europa, superava i 100.000 metri quadri. Tra 50 anni non dico che un mega centro commerciale capace di stupire il mondo debba essere grande come un’intera città, come quelli immaginati da Albert Robida ne Il Ventesimo Secolo, ma più di 100.000 metri quadri sì!
Il pulsante che ritira gli schermi di copertura in pochi secondi: collocati sul tetto del Duomo, allo scoperto, raggiungibile con comode scale, senza lucchetti o chiavi o tentativi di nasconderlo. Però mancano le rampe: evidentemente a qualcuno è sembrato un piano a prova di bomba fermare solo i terroristi in sedia a rotelle.
Adrian e il sovrannaturale gestito male.
Per qualche motivo Adrian, quando serve, fa apparire tuoni e lampi. Accade quando deve distrarre qualcuno, o quando deve sottolineare ciò che dice. E soprattutto accade al concerto del primo episodio, ed è il motivo per cui non ci sono sue immagini filmate. Non sto scherzando: lo dice la voce fuori campo, nell’introduzione del quarto episodio:
Il pubblico è in visibilio sotto una tempesta improvvisa di lampi e tuoni, che saranno la causa della cancellazione di tutte le immagini filmate durante il concerto.
Spiegazione puramente “fisica”? Bella stronzata considerando che:
Vediamo diverse persone fare foto, e non video, ben prima che inizi il temporale: quindi non solo i file registrati durante il temporale sono stati rovinati, ma anche TUTTI gli altri con Adrian?
Nello schermo di un ragazzo che sta riprendendo vediamo non solo Adrian e il palco, ma vediamo anche Adrian sparire e al posto del palco comparire il cielo, nonostante il ragazzo stia inquadrando Adrian e il palco (che vediamo davanti alla telecamera).
Nel pieno del temporale, i cui lampi e tuoni starebbero cancellando tutte le registrazioni, stranamente non solo le telecamere stanno registrando ma stanno anche inviando lo streaming ai maxischermi appiccicati ovunque tra l’area del concerto e i palazzi attorno. Si cancella tutto solo alla fine, eh?
Come faccia invece Adrian a scomparire dalla memoria di chi lo guarda, a piacere, non si sa. La spiegazione idiota data dalla voce fuori campo non copre questo problema. Sarà che i fulmini in realtà sono solo lì per estetica, mentre il potere di cancellazione è puramente paranormale? Per me è l’unica risposta credibile.
Tant’è che anche chi lo ha osservato bene e a lungo sul palco non sa dire se Darian sia diverso dalla prima volta: nasone, gobba, capelli bianchi… sì, c’è un po’ di incertezza nel riconoscerlo, ma alla fine sono tutti convinti che Darian fosse proprio così (e non ci sono lampi e tuoni in gioco). Non è normale. Questa è un’allucinazione di “massa” (tra virgolette, visto che riguarda molto gruppi di persone distinte che non si influenzano a vicenda) molto grossa. Praticamente una magia.
Consideriamo anche che dopo il concerto Adrian viene fermato da Agente Smith e Pinotto, che lo guardano a lungo in faccia, e gli chiedono nome e indirizzo. Lui non dà il nome, ma dice la via in cui abita. Subito dopo un lampo con un tuono fortissimo li distrae entrambi, e quando tornano a guardare verso Adrian questi è sparito… assieme al loro ricordo di lui. E questo non lo causano i fulmini sulle strumentazioni elettroniche, eh.
Quando Darian convince il ragazzo dubbioso di aver avuto fin dalla prima volta quest’aspetto, l’impressione è che pure questa capacità di riscrivere i ricordi delle persone sia parte dei suoi poteri perché il ragazzo in pochi secondi passa da non riconoscerlo, a dubitare di qualche dettaglio e infine a essere certissimo che al concerto c’era proprio un gobbo.
Nel terzo episodio scopriamo che esiste un video in cui le immagini sono sparite, ma l’audio della canzone dell’Orologiaio è rimasto. Poteri paranormali difettosi o… semplicemente, quando ha fatto comodo ad Adrian che la sua voce girasse, prima di “svelarsi” come Darian, ha salvato una delle registrazioni con la sua Potente Magia Celentano?
E che dire di Anidride e Carbonica, le due anziane che Adrian conosceva fin da quando erano giovani? E che rapporto c’è tra Adrian e il vero Adriano Celentano, di cui appaiono immagini e canzoni nel quarto episodio? A parte che, come dice Adrian, lui è ciò che Adriano Celentano sarebbe voluto essere… no, dai, dopo quattro episodi di fantasie masturbatorie da ottuagenario rinfanciullito, non c’eravamo proprio arrivati! Meno male che ce lo hai detto! Grazie!
Basta. Inutile farsi domande. La serie Adrian è come un discorso politico di Celentano: non ha un senso e se cerchi di trovarlo puoi solo metterti a scegliere tra decine di contraddizioni differenti e mutualmente esclusive, con l’imbarazzo di decidere quale sia la peggiore…
Il ritorno del ritardato fuggito dalle fogne.
Avevo auspicato su Facebook, senza crederci granché, che il ritardato fuggito dalle fogne potesse ritornare. È successo. Adesso ho un motivo per proseguire la serie: sperare che il “ragazzo di fede musulmana” (cit.) torni ancora e ancora in Adrian, la serie offensiva da molti punti di vista evento!
Per chi non ha visto l’episodio, Silver armato di pistola ha inseguito Darian nelle fogne e Darian è salito su una barca per fuggire con la lentezza di una lumaca. Silver ora può finalmente sparargli senza colpire soltanto i muri attorno, ma viene fermato dalla forza dialettica di Darian… grazie all’aiuto del ritardato fuggito dalle fogne!
Ritardato che a quanto pare, dopo la fuga, ha deciso di tornare a casa. Magari un giorno farà come Bilbo Baggins e ci scriverà un libro: Andata e Ritorno o Il Libro Negro delle Fogne Milanesi. E non è solo: ora ha portato un amico, con la voce da scemo come lui, e incapace di capire cosa accade proprio come lui. Praticamente la macchietta del negro in edizione Adrian: non solo è appena sceso dall’albero, ma è caduto in un tombino. Bene, ma non benissimo.
Né il nostro ritardato né il suo amico sembrano capire che la pistola di Silver, puntata contro di loro, potrebbe essere un tantino pericolosa. La ignorano proprio. Anzi, i due si lanciano im complimenti per i pezzi di Silver che fanno “du-du-du-du” e anche “de-de-de-de” (sto citando: dicono davvero così, come dei poveri svantaggiati che non sanno le parole). Perché loro sono i veri fan di Silver. Non la gente di sopra, che gli ha voltato le spalle per quel truffatore di Darian. I suoi veri fan, la “gente ancora capace di ascoltare” (cit. Darian) è lì nelle fogne.
Silver è commosso dall’amore autentico dei negri ritardati che vivono nelle fogne: getta la pistola in acqua e va dai suoi fan autentici (“true fan”, come dicono gli esperti), ma il loro sguardo non lascia presagire nulla di buono per quel culetto pallido ancora impreparato alle dimensioni del loro affetto…
Silver riuscirà a sopravvivere all’amore dei suoi fan?
Adrian, la serie: cosa aspettarci adesso?
Tutto e niente, mi viene da dire. Perché in Adrian tutto viene ridotto a niente, ogni cosa è banalizzata e tramutata in poltiglia senza senso. Allo stesso tempo il niente sottovuoto della retorica celentaniana viene presentato come il tutto di fronte a cui dovremmo stupirci per risvegliarci dalla nostra indifferenza di consumisti schiavi del Potere.
Ma se voglio sentire un discorso profondo sulla realtà del neoliberismo, delle democrazie occidentali e della società capitalistica, non ho bisogno di rivolgermi a Wallerstein o a Chomsky come alternative a Celentano. Per battere lui basta il geometra Calboni nel vagone con le cuccette.
Sempre che prosegua. Spero di sì, in fondo quella del male di stagione non può essere una scusa per prendersi una pausa e decidere cosa fare dopo quattro episodi andati sempre peggio, giusto?
cala ancora Adrian, lo show di Adriano Celentano che totalizza l’11.87% di share nel segmento live e il 10.56% nel cartoon (l’esordio di lunedì 21 aveva totalizzato rispettivamente il 21,92% e il 19,07% di share, mentre la seconda puntata di martedì scorso il 15% e il 13,26% di share).
(Link all’articolo)
D’altronde già nel corso della quarta puntata andata in onda lunedì 4 febbraio Adriano Celentano non era apparso. Quarta puntata che ha toccato finora il punto più basso in termini di Auditel dall’inizio del programma, facendo registrare uno share dell’8,92% per Aspettando Adrian e del 7,66% di share per il cartone Adrian.
(Link all’articolo)
Celentano è forte, è rock, e non si fa sconfiggere dal Potere che teme il suo Show… ma magari al suo posto tra tre settimane troveremo sul palco Dariano Lecentano, un gobbo misterioso che nessuno riuscirà a collegare all’Adriano originale… 🙂
Alla prossima e…
… tenete affilata la vostra mente! 😉
Adrian la serie: il ritardato è tornato (e ha portato un amico) La trasmissione di Adrian la serie è proseguita nelle ultime due settimane, come previsto. Nessuna cancellazione prima del tempo, per ora.
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Libri per bambini da 9 anni in su. La lettura è un ottimo strumento per stabilirci una connessione e veicolar loro quei concetti, quei messaggi che trovereste complicato spiegare in parole povere. Alle scuole elementari, sanno leggere autonomamente. Ma guidarli nella scelta è vostro compito. Come se foste dei grilli parlanti indicherete titoli interessanti e istruttivi allo stesso tempo. Li aiuterete a crescere, perché, ahimè, il tempo non si arresta… Come sempre, noi di Occhi di Bimbo vi proponiamo cinque buoni libri per bambini online! Libri per bambini Viaggia verso (Chiara Carminati) Gioia di vivere e demoralizzazione. Euforia e sconforto. Iperattività e apatia. Stati emotivi contrastanti (fasi alterne) caratterizzano l’adolescenza: ci siamo passati tutti. I piccoli no ai genitori, gli amici e le prime cotte rendono questa età tanto intensa. Ogni giorno sfide nuove aiutano a capire chi siamo. Definiamo la nostra identità, i nostri gusti e percepiamo la nostra diversità come un peso immane. I versi di Chiara Carminati portano il lettore, qualunque sia la sua età, a compiere un percorso di introspezione, in cui guardarsi e riconoscersi. Contro corrente (Alice Keller) Emily non è una bimba come le altre e non lo è neppure la sua cuginetta. Gertrude, una campionessa di nuoto, ha un grande obiettivo: attraversare la Manica, sfidando pregiudizi e difficoltà. Che coraggio e che impeto! Sul suo esempio, anche Emily viene stregata da questo sport. La sua prova si svolge però in famiglia: mamma e papà vorrebbero vederla come una bambolina elegante. Ma il suo sogno è attraversare il lago a nuoto da sola. Ispirandosi al carattere indomito di Gertrude, getterà il cuore oltre l’ostacolo per realizzarsi. Cento passi per volare (Giuseppe Festa) Il quattordicenne Lucio, cieco da piccolo, ha un debole per la montagna, dove si reca spesso con Bea, la zia preferita. Profumi, suoni e versi di animali, cui non facciamo praticamente più caso, vengono amplificati. Lucio se ne inebria, li conosce e riconosce. Sui sentieri cammina e si arrampica con più sicurezza rispetto a tanti coetanei. Proprio su quei monti, sulle Dolomiti, mentre passeggia sul Picco del Diavolo insieme alla sua nuova amica Chiara conosce Zefiro, un aquilotto rapito da bracconieri senza scrupoli. Quando tutto sembra perduto, la Montagna fornirà indizi che potrebbe rivelare la verità a chi, come Lucio, la sa ascoltare… La valigia di Adou (Zita Dazzi) Adou e Oreste hanno dieci anni, condividono la passione per il calcio e non comprendono i grandi. Inoltre, grandi novità li attendono: Adou freme per raggiungere l'Italia, Oreste per l'arrivo della sorellina. Tuttavia, il sogno di Adou ha un inizio drammatico: messo all'interno di una valigia. Che proprio Oresta aprirà. A voci alternate, la coppia di protagonisti spiega come si sono incontrati, partendo da un punto diverso e abbattendo contro ogni ostacolo. Tra i libri per bambini personalizzati, è sostenuto da Amnesty International Italia che lo promuove nelle scuole italiane. Niente paura Little Wood! (Jason Reynolds) Scoperte affascinanti e spaventose movimentato l’estate. A 11 anni, Genie scopre come sia possibile sopravvivere lontano da New York, in campagna e senza wi-fi. Che tipo suo nonno: sta sempre a casa, porta gli occhiali da sole tutto il giorno e ha una camera segreta a cui nessuno può accedere. A quattordici anni, gli uomini della famiglia devono superare una prova misteriosa. E suo fratello Ernie sta per compierli. Genie, nei libri per bambini, capirà il reale significato di “paura” e quanto sia coraggioso ammettere di averla.
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Kingdom Hearts – Una porta che conduce alla verità
Perché affrontare un discorso enorme come quello della saga di Kingdom Hearts? Cos’ha di complesso da dovergli dedicare tanto tempo? Vedremo mai la fine?
Kingdom Hearts è una saga nata nel 2002, con la sua prima uscita all’interno della console Playstation 2, protratta nel tempo tra altre console e al momento a piantato radici con la Playstation 4, dove vi son raggruppati tutti i titoli usciti fino ad ora.
Questa saga si differenzia da altre innanzitutto per quanto riguarda l’ordine di gioco, a causa degli innumerevoli titoli “non numerati” che in un primo momento possono confondere coloro che vogliono addentrarsi in questa storia. Prima di affrontare una spiegazione generale di ogni titolo, sarà meglio mostrare una timeline generale:
Come noterete dall’immagine, i titoli non sono pochi, ma procediamo con ordine: I primi tre dello stesso colore (a partire da sinistra) sono all’origine di tutto, basato sulla serie Unchained X presente sui sistemi Android e iOS. X Back Cover è un film dove viene narrata la storia dei Foreteller, seguiti da un’entità ancora oggi misteriosa, il Maestro dei Maestri. Ogni Foreteller costituisce una fazione che nel gioco stesso si dovrà scegliere tra Unicorno (Ira), Volpe (Ava), Orso (Aced), Anguis (Invi) e Leopardo (Gula).
La missione base del gioco costituisce nel raccogliere più Lux possibili. I lux sono alla stregua della Luce che viene raccolta per mantenere intatto l’equilibrio da Luce e Oscurità. Ogni Foreteller ha il compito di radunare dei bambini, possessori del Keyblade e con essi raccogliere i fantomatici Lux. Ma non è l’unica missione affidata a costoro: il Maestro dei Maestri ha affidato ad ognuno di loro una missione speciale e con essi un libro chiamato “il Libro della Profezia”, scritto dal Maestro dei Maestri in persona, dove preannuncia una guerra inevitabile, dove l’oscurità prevarrà sulla luce in tutti i mondi esistenti, la Guerra del Keyblade, ancora oggi ricordata nei titoli a seguire della saga di Kingdom Hearts. X [chi] è la prima parte del gioco per smartphone/tablet dove viene ripreso una parte del film X Back Cover, e a seguire le vicende del nostro protagonista personalizzabile che affronta le vicissitudini che riguardano gli altri bambini non solo della sua stessa fazione ma anche del destino crudele che li attende, da qui inizia Union X [Cross] (sempre lo stesso gioco, ma con un mega aggiornamento dove vengono mostrati i protagonisti che dovranno salvare la luce dall’oscurità). Come già scritto prima, ai bambini di tutte le fazioni è prescritto un destino crudele: affrontare inevitabilmente la Guerra del Keyblade e perdere la vita a causa di essi. Solo 5 persone si salveranno, formando un “team” che prenderà il nome di Dandelion. Queste persone sono quelle che dovranno ripristinare la luce dopo la Guerra del Keyblade, a causa dell’oscurità che li copre. Questo gioco è ancora in corso, ma ha già buttato le basi di quello che probabilmente e inconsciamente ci siamo ritrovati nei titoli a seguire presenti sulle console.
Birth By Sleep
Ambientato molto dopo la fantomatica Guerra del Keyblade e precede il primo Kingdom Hearts di 10 anni. Qui i protagonisti sono tre: Terra, Ventus e Aqua. Come per ogni Kingdom Hearts che si rispetti, anche la loro storia non è per nulla facile e si ritroveranno a dover affrontare un destino triste dettato da un nemico comune: Xehanort.
Questa figura la ritroveremo in tutta la saga poiché è l’antagonista principale di tutta la saga.
Della trama di questo gioco e dei suoi collegamenti, ne riparleremo in un secondo momento (così come per gli altri giochi, qui spiegherò solo in via generale della timeline).
Kingdom Hearts 0.2: Birth by Sleep - A Fragmentary Passage
Dura poche ore e si trova dentro la raccolta 2.8 pubblicato per Playstation 4. Narra le vicende di Aqua all’interno del Regno dell’Oscurità subito dopo Birth by Sleep e collegato ad un frammento del primo Kingdom Hearts.
Nonostante duri poche ore, è bello da esplorare, visto che troviamo alcuni mondi di Birth By Sleep dentro il Regno dll’Oscurità con qualche alterazione. Molto belle anche le musiche che portano ad immergere il giocatore sempre di più nell’oscurità insieme alla protagonista.
Kingdom Hearts
Il primo titolo della saga uscito sul mercato videoludico. Racconta la storia di tre bambini: Sora, Riku e Kairi.
Giocheremo nei panni di Sora accompagnati da due personaggi che diventeranno ben presto suoi grandissimi amici: Paperino e Pippo. Viaggeranno per i mondi alla ricerca di Re Topolino andando incontro ai piani malvagi di Malefica (La Bella Addormentata del Bosco), e trovando un Riku inghiottito dall’oscurità.
Kingdom Hearts 358/2 Days
Si accavalla con la fine di Kingdom Hearts a causa di una nuova entità che va a crearsi col sacrificio di Sora: Roxas, il Nessuno di Sora. In questo gioco saremo nei panni di Roxas e vedremo come ha vissuto i suoi 358 giorni e mezzo all’interno dell’Organizzazione XIII. Farà amicizia con due persone: Axel e Xion. Quest’ultima scopriremo in seguito che avrà molte cose in comunque col nostro protagonista, e ancora di più con Sora. Axel invece è un semplice membro dell’Organizzazione e si affezionerà ai due giovani rischiando se stesso fino alla fine.
Questo gioco usciì per Nintendo DS e riadattato con solo cinematic all’interno della raccolta 1.5 in vendita per Playstation 3 e in seguito per Playstation 4.
Kingdom Hearts Chain of Memories
Ambientato dopo il primo KH e a cavallo con 358/2 Days, in CHain of Memories ritroviamo il nostro amico Sora, insieme a Paperino e Pippo, all’interno del Castello dell’Oblio con un gameplay molto diverso rispetto a quello che siamo abituati, in quanto si combatterà attraverso delle carte in nostro possesso, così anche per poter viaggiare per i vari mondi. Sora avrà il suo primo incontro con l’Organizzazione XIII e farà inoltre la conoscenza di una figura molto importante: Naminé. La ritroveremo in questo gioco, ma anche in 358/2 Days e anche in Kingdom Hearts 2, ma questo ne riparleremo in un secondo momento.
Kingdom Hearts 2
Il secondo capitolo del filone principale dove si potranno ricongiungere Roxas e Sora, ritroveremo Riku e Kairi, scopriremo la vera identità di Ansem il saggio, e combatteremo nuovamente contro l’Organizzazione XIII. In questo capitolo della saga troveremo molti di scena, vari sacrifici (dolorosi da digerire) e nuovi mondi da esplorare (più alcuni già visti in precedenza).
Mi sembra doveroso lasciare uno screenshot con il nostro Roxas a Crepuscopoli perché mannaggia a me quanto ci ho pianto non durerà molto la parte in cui giocheremo nei suoi panni.
Kingdom Hearts Coded
Unico spin-off della saga, ci immergeremo nel cybermondo per ripristinare tutti i dati del grillario che narrano le vicende del primo capitolo di Kingdom Hearts. Giocheremo nei panni di un Sora digitale guidato dalla voce di Re Topolino per poter rimuovere i bug presenti nei vari mondi. Questo gioco è stato ridotto a cinematic (come capitò con 358/2 Days) nella raccolta uscita per Playstation 3 e in seguito per Playstation 4.
Kingdom Hearts 3D: DReam Drop Distance
Ambientato poco prima di Kingdom Hearts III, giocheremo sia nei panni di Sora che quelli di Riku dove affronteranno un esame per diventare Maestri del Kyblade. Viaggeranno per vari mondi, ma scopriremo ben presto che qualcuno sta tramando qualcosa, specialmente nei confronti di Sora. Uscito inizialmente in inglese per Nintendo 3DS, la versione rimasterizzata per Playstation 4 nella raccolta 2.8 lo troveremo in lingua italiana, inoltre, all’interno di questo gioco, c’è una sezione chiama “cronache” dove si potranno leggere tutte le storie dei precedenti capitoli della saga (tranne quella di Unchained X). Nulla è lasciato al caso, e verranno presi in ballo tantissime cose all’interno di questo capitolo, dunque non lasciatevelo scappare.
Una cosa in più che troveremo sono loro, da accudire e livellare:
Direi che dopo questa spiegazione generale, possiamo passare ad analizzare ogni singolo gioco nel dettaglio.
- aky
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[ARTICOLO] Queste teorie su ‘Map of the Soul: Persona’ dimostrano quanto i BTS e gli ARMY siano intelligenti
“Quando si menzionano gli ARMY, i fan del gruppo sudcoreano dei BTS, si fa spesso l’errore di ridurli a un gruppo di “ragazzine che strillano”. Questo è un cliché di fatto sessista e che non trova riscontro nella realtà. Inoltre, minimizza il loro impatto. I fan hanno un’organizzazione online e offline al pari di quella di uno staff che si occupa di una campagna presidenziale, hanno donato milioni alla carità, hanno tradotto i contenuti in moltissime lingue – tutto questo guidati dalla passione che hanno per la musica dei BTS.
Ma gli ARMY sono dei veri e propri detective: sono abilmente riusciti a districare la misteriosa narrativa del ‘BTS Universe’ che da anni il gruppo inserisce nei loro video musicali, nelle ‘notes’ scritte in stile diario e inserite dentro agli album, e in altri contenuti. Gli ARMY sono anche veloci a captare i piccoli indizi che il gruppo dà riguardo a ciò su cui stanno lavorando – e non deludono nemmeno questa volta.
La Big Hit Entertainment, l’agenzia dei BTS, ha annunciato che il loro prossimo album ‘Map of the Soul: Persona’ sarà rilasciato il 12 aprile. Questo album darà il via a un nuovo capitolo della discografia del gruppo dopo ‘Love Yourself’, la trilogia uscita lo scorso anno della quale due album hanno raggiunto il primo posto nella classifica Billboard 200.
Gli ARMY hanno già tirato fuori le lenti d’ingrandimento e si cominciano a trovare teorie circa il tema della nuova era dei BTS. E pare che i BTS stessero seminando indizi da molto tempo. Di seguito riportiamo ciò che i fan hanno scoperto fino adesso.
Accenni a “Map of the Soul: Persona” sono stati lanciati per almeno gli ultimi due anni senza che nessuno se ne accorgesse.
I BTS hanno lasciato indizi per la trilogia di Love Yourself durante i Melon Music Awards del 2017. Un anno dopo hanno fatto lo stesso per il successivo capitolo prima dell’esibizione ai MAMA del 2018. “Mi hai dato potere, mi hai dato amore. Quindi ora sono un eroe, un ragazzo con amore”, nel video sembra esserci un riferimento al loro singolo del 2014 “Boy In Luv”. “Ti mostrerò la mappa dell’anima, ti mostrerò il sogno.”
Kim Seokjin, conosciuto come “Jin”, il più grande del gruppo, ha indossato una camicia con la parola “persona” durante l’esibizione di “DNA” nell’ottobre 2017.
Alla fine del video per “Epiphany” del 2018, canzone singola di Jin e introduzione dell’album “Love Yourself: Answer”, compare un testo in coreano che dice “Al finale del viaggio per trovare me stesso, il luogo che ho raggiunto è di fatto dove già ero stato. Alla fine ciò che dovevo trovare, cioè l’inizio di ogni cosa, il traguardo: la mappa dell’anima. La quale è in tutti ma che non può essere trovata semplicemente da chiunque, io ora inizierò la ricerca.”
Il titolo potrebbe essere un riferimento alle teorie di psicologia di Carl Jung.
I ragazzi dei BTS non sono solo belle facce, a loro piace sviluppare idee basate sui lavori di grandi intellettuali e pensatori.
RM, il leader dei BTS, ha menzionato alcuni dei lavori di Haruki Murakami ritenendole influenze artistiche. Il tema dell’album “Wings” dei BTS è stato ispirato da “Demian” di Hermann Hesse mentre alcune parti di “Love Yourself: Tear” si possono ricondurre al libro “The Magic Shop” di James R. Doty. Il consenso generale è che il titolo del prossimo album faccia riferimento a “Jung’s Map Of The Soul” di Murray Stein, libro che la Big Hit sta vendendo da parecchio tempo sul suo sito online.
Lo psicologo svizzero Carl Jung, fondatore della psicologia analitica, credeva che ci fossero quattro principali archetipi della mente umana che componessero la personalità di un individuo: la Persona, l’Ombra, l’Anima/Animus e il Sé.
Jung descriveva la Persona come la nostra immagine pubblica o l’immagine che presentiamo di noi stessi al mondo; la parola deriva da un termine latino che faceva riferimento alle maschere indossate dai mimi etruschi. I BTS hanno incluso le maschere in molti dei loro ultimi lavori, inclusi i video di “Fake Love” e “Singularity” ma anche nel video di introduzione alla loro esibizione ai MAMA 2018. La band ha precedentemente discusso l’importanza dell’autenticità nel loro lavoro, includendo quanto vitale sia non fondere le loro identità di performer con le loro identità di essere umani.
Da qui, gli ARMY sembrano essere divisi sul numero di album che seguiranno in questa serie.
Alcuni credono che, come è stato per la serie Love Yourself, Map of the Soul sarà una trilogia composta da tre capitoli: Persona, Sé e Ombra (unito a Anima/Animus).
Ci sono poi coloro che credono che vi sia un qualche collegamento fra la serie “Love Yourself”, “Map of the Soul”, e più nello specifico le teorie di Jung. “Love Yourself: Her” rappresenterebbe infatti l’anima (intesa come la femminilità integrata negli uomini), dal momento che nei video rilasciati in concomitanza con suddetto album c’erano diverse donne (a rappresentare forse gli alter-ego femminili dei membri). “Love Yourself: Tear”, poiché affronta sentimenti oscuri e repressi, sarebbe invece il simbolo dell’archetipo dell’ombra, e in ultimo “Love Yourself: Answer” rappresenterebbe l’io, per il suo descrivere un viaggio verso l’accettazione e la consapevolezza di sé.
“Map of the Soul: Persona” dovrebbe, dunque, affrontare l’archetipo successivo, ed essere costituito da sette album diversi, uno per ogni lettera che compone la parola [“Persona”].
Con questa premessa, poi, secondo le ipotesi di alcuni, ogni album potrebbe rappresentare uno dei membri del gruppo.
I fan stanno però creando teorie anche sulla possibile collocazione di “Map of the Soul” nel più generale sistema della discografia dei BTS. In “2 Cool 4 Skool”, album di debutto del gruppo, vi è una traccia nascosta, “Path” (N/B: “Percorso”), nella quale i membri parlano delle diverse vie che li hanno portati a diventare cantanti e delle paure generate dalla possibilità di aver scelto la carriera sbagliata. Poiché le lettere iniziali dei titoli degli ultimi album dei BTS formano proprio la parola “Path”, questo potrebbe voler dire che i membri sono ormai definitivamente convinti che questa sia la strada giusta per loro.
Dal suo debutto nel 2013, il gruppo ha sempre creato musica inerente alle sfide e gioie del progressivo raggiungimento della maturità, e l’album che verrà rilasciato ad aprile sembra adattarsi perfettamente, in quanto passo ulteriore verso la crescita, lo scendere a patti con la propria identità e l’imparare ad amare sé stessi, alla storyline che è stata creata fin dall’inizio”.
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©Cam, ©CiHope, ©lynch, ©jimindipityR) | ©Refinery29
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Ci sono due Bobby Fischer. Uno è l’enfant prodige che sconvolse gli scacchi negli anni ’50, un bambino con la maglietta a righe che batteva campioni adulti e navigati diventando il più precoce – all’epoca – Grande Maestro della storia. Quel Bobby Fischer, poi, si è evoluto nel giovanotto che aveva dismesso gli abiti casual in favore di impeccabili completi eleganti, senza perdere lo sguardo crudele e divertito, quello di chi gode nello schiacciare l’ego dell’avversario. La smania di vittoria condusse questo Bobby Fischer al compimento del suo destino, il titolo di campione del mondo nel 1972, al termine di un percorso più tortuoso del previsto, e forse del necessario.
Il secondo Bobby Fischer, invece, è un desaparecido, un emigrato in lotta con il mondo, che riappare in sporadiche interviste con la barba bianca di un santone ma la rabbia di un uomo perso, tradito, sfogata in invettive contro la sua patria, gli Stati Uniti d’America, le sue origini, gli ebrei, e la sua casa, il mondo degli scacchi. La Regina degli Scacchi, recente serie Netflix di straordinario successo con protagonista Anya Taylor-Joy, pone un what if interessante: cosa sarebbe successo se al posto di Bobby Fischer ci fosse stata una donna, l’immaginaria Beth Harmon della serie, a trascinare gli scacchi nel boom di popolarità che vissero negli anni ’60, cavalcando i venti della guerra fredda?
Non è un mistero che la figura di Beth Harmon sia stata ritagliata intorno a quella di Fischer, dalla loro parabola sportiva fino ai vezzi sulla scacchiera e ai drammi personali. Il finale, però, lascia in sospeso un dubbio forse ancora più intrigante: cosa sarebbe successo se Bobby Fischer non si fosse fermato proprio all’apice della sua parabola sportiva?
In un’intervista nel seguitissimo programma televisivo di Dick Cavett, quando ancora Fischer si prestava ad apparire in pubblico mostrandosi loquace e arguto, senza destare particolari sospetti sulla pazzia che lo avrebbe isolato dal mondo, una volta disse: «ciò che contraddistingue i giocatori veramente grandi, è che continuano a insistere (they keep at it) finché non raggiungono il loro obiettivo». Per Fischer quell’obiettivo era il titolo di campione del mondo, ma nella sua mente causa ed effetto erano invertiti: Fischer si considerava già da tempo il miglior giocatore del mondo, non sentiva il bisogno di dimostrarlo. «Io non ho paura di Spassky» disse una volta. «Sono io il giocatore migliore, e non c’è bisogno di un match per dimostrarlo». Si reputava vittima di complotti e sotterfugi che non gli permettevano di emergere, e il titolo non sarebbe stato un traguardo bensì una liberazione, l’attestazione di una verità che gli altri si ostinavano a non accettare. Lo conquistò nel 1972, e se avete sentito parlare di Bobby Fischer pur non essendo appassionati di scacchi, probabilmente il merito è di questo incontro: una serie al meglio delle 24 partite in una Reykjavik presa d’assalto dai media, con gli occhi di milioni di spettatori puntati sulla scacchiera.
Nel clima di guerra fredda, gli scambi di pezzi fra Fischer e Spassky erano un surrogato di soldati, carri armati e missili che s’incrociavano sul campo di battaglia per sancire la superiorità dello schieramento americano o russo. Quando Fischer vinse, spezzò i 24 anni di dominio russo e portò per la prima volta il titolo negli Stati Uniti (dopo Steinitz nel 1888, che era però naturalizzato). L’America tentò di cavalcare il suo successo in ottica patriottica, ma Fischer non prestò mai il fianco a tale interpretazione: sviliva la sua idea purissima degli scacchi e offendeva il suo spirito cosmopolita. Nato in una famiglia di ebrei polacchi filo-comunisti, figlio di un biofisico tedesco o forse di un matematico ungherese, cresciuto imparando più lingue per poter leggere le riviste scacchistiche europee. Una volta raggiunto l’obiettivo, quello che gli faceva dire a se stesso keep at it, Fischer alzò la testa dalla scacchiera e si trovò in un mondo che non conosceva: immerso com’era nella sua passione, gli anni ’60 gli erano scivolati addosso come se i Beatles, il Vietnam, Muhammad Ali e i moti del ’68 non fossero mai esistiti.
A proposito dell’ingenuità di Fischer, Gudmundur Thorarinsson, l’organizzatore dei mondiali del 1972, racconta che durante la sua prima visita in Islanda Thorarinsson gli indicò una strada, chiamata Alaska Road, e Fischer si meravigliò, dicendo: «Ecco allora dov’è l’Alaska, me l’ero sempre chiesto».
Senza scacchi Fischer si disunì, si sciolse in un guazzabuglio di pretese, paranoie e rancori. Rifiutò contratti di sponsorizzazione plurimilionari, lasciò a piedi la propaganda patriottica del governo americano, lasciò il titolo vacante quando nel 1975 la FIDE, la federazione internazionale degli scacchi, non acconsentì alle sue richieste di modificare il regolamento. Non giocò mai più una partita competitiva, ad eccezione di un bizzarro, poetico e triste rematch con Spassky nel 1992, sotto nuovi venti di guerra, nella Jugoslavia in pieno embargo. Cosa sarebbero potuti essere gli scacchi degli anni ’70, ’80 e ’90 con Bobby Fischer non potremmo mai saperlo, se non con un altro esercizio di fiction. Ma possiamo tornare indietro alla sua breve e folgorante carriera, per capire come la sua influenza si allunghi ancora oggi sulla disciplina, e come il suo spettro abbia abitato le scacchiere di tutto il mondo nonostante il corpo fisico – e in un certo senso anche la sua mente – fossero altrove.
Enfant prodige
Il titolo di “partita del secolo” viene concesso piuttosto generosamente dai commentatori della disciplina, ma non sono comunque molti i giocatori che possono vantarne uno in carniere. Bobby Fischer aveva archiviato la pratica già a 13 anni, il 17 ottobre 1956 a New York, durante il Rosenwald Memorial. Donald Byrne aveva il doppio dei suoi anni ed era campione degli Stati Uniti in carica, ma Fischer lo batté giocando con il nero, partendo quindi da una posizione considerata di svantaggio. Fu il cronista Hans Kmoch a battezzare lo scontro “la partita del secolo”, lodando la creatività, il coraggio e la precisione di Fischer nelle combinazioni e nel finale.
Fischer riuscì a invischiare Byrne proponendogli due audaci trappole: sacrificò il cavallo alla mossa 11 («una delle mosse più potenti di sempre», l’avrebbe definita Jonathan Rowson) e, soprattutto, la regina alla mossa 14. Accettando l’invito, Byrne perse pezzi sulla scacchiera e finì accerchiato dall’attacco di Fischer, che stava già maturando quella che sarebbe stata la sua filosofia sulla scacchiera: non difendere la posizione passivamente in cerca di una patta, ma mettere pressione all’avversario con ogni mossa e, al contempo, preparare il terreno per un’offensiva proveniente da più lati. In segno di rispetto, quando si vide sconfitto, Byrne non dichiarò la resa ma lasciò sviluppare il gioco fino allo scacco matto. Interrogato dai giornalisti sulla prestazione, il giovanissimo Fischer offrì un commento significativo: «Ho semplicemente fatto le mosse che mi sembravano migliori. Ho avuto fortuna». Quella modestia l’avrebbe persa rapidamente, ma avrebbe continuato a pensare che gli scacchi, ridotti all’osso, fossero un gioco semplice: si tratta di fare la mossa migliore, e in ogni situazione esiste un’unica mossa che è migliore di tutte le altre.
Fischer aveva cominciato a giocare a scacchi a sei anni, insieme alla sorella, e ben presto erano diventati un’ossessione che coltivava in solitudine, in ogni momento della giornata. La madre Regina arrivò a inviare un annuncio al Brooklyn Eagle per trovargli un compagno di gioco. Forse gli scacchi appassionarono così tanto Bobby perché a casa Fischer non c’era molto da fare, e il clima non era dei più coinvolgenti per un bambino. La madre veniva da una famiglia di ebrei polacchi ed era emigrata in America nel 1939. Crebbe i figli da sola, in una casa di Brooklyn che era diventata centro di ritrovo per la comunità ebraica locale e per attivisti filo-comunisti, tutta gente che portava sulla famiglia gli occhi dei servizi segreti americani; gente che metteva in imbarazzo Bobby – e fu forse da lì che nacque quell’insofferenza che più tardi si tramutò in antisemitismo – e con cui lui non voleva avere niente a che fare. Ma gli scacchi non erano solo un rifugio; erano un campo di prova per la sua competitività smisurata, per la sua ricerca quasi patologica della perfezione, lo sbocco di un’intelligenza che faticava a stare confinata nella scuola e nei giochi da bambini. Si è scritto e detto molto su cosa avvenisse nella misteriosa mente di Fischer, tutte ipotesi e diagnosi psicologiche in absentia, perché Fischer non aveva fiducia nella medicina e non si sottopose mai a un’analisi. Alcuni, considerando la sua eccentricità nei rapporti sociali, hanno pensato a una forma di autismo o alla sindrome di Asperger. Altri, con in mente le sue richieste impossibili agli organizzatori dei tornei e soprattutto al crollo seguente al 1972, hanno ipotizzato che soffrisse di paranoia o addirittura di schizofrenia: quei due Bobby Fischer, il giovane e il vecchio, come due identità separate e in attrito. C’è anche chi lo ha definito un idiot savant, pensando ai suoi precoci successi, ma in verità Fischer totalizzò un quoziente intellettivo di 180 in un test sostenuto da studente, un risultato che lo porrebbe in una cerchia di pochissimi al mondo, e a cui si allineano numerosi aneddoti. Frank Brady, ex giocatore e suo biografo, racconta di come una volta Fischer lo interrogò sull’esito di un match avvenuto mesi prima, che Brady aveva dimenticato ma che lui ricordava alla perfezione, e di quella volta, in Islanda, che riuscì a ripetere parola per parola, in una lingua a lui sconosciuta, la risposta ricevuta al telefono dalla figlia dell’amico Frederick Olafsson. Un genio a tutto tondo, come amava definirsi lui, «che per puro caso si è dedicato agli scacchi», simile magari al matematico e fisico ungherese Paul Nemenyi che, secondo un’indagine del The Philadelphia Inquirer, sarebbe stato il suo padre biologico.
L’annuncio di mamma Regina sul Brooklyn Eagle rimase inascoltato, ma Bobby trovò comunque dei compagni di gioco: adulti però, gli unici in grado di stare al suo passo. Imparò ad affinarsi e disciplinarsi con gli insegnamenti di Carmine Nigro e Jack Collins, due istituzioni degli scacchi newyorchesi, e da quella partita contro Donald Byrne nel giro di due anni Fischer divenne una celebrità internazionale: vinse il titolo degli Stati Uniti, superò Samuel Reshevsky come giocatore dal rating più alto nella nazione, si qualificò per il torneo interzonale di Portorose prima e per il torneo dei candidati poi (l’ultimo passo per sfidare il campione del mondo), pubblicò il suo primo libro e ottenne il titolo di Grande Maestro sei mesi prima di compiere 16 anni. Nel frattempo aveva dismesso le magliette a righe da bambino in favore di abiti eleganti e alla moda, fatti su misura, che però non lo distoglievano dalla sua ossessione.
Il gusto nel vestire era cresciuto di pari passo con la sua autostima: per quanto nel torneo dei candidati del ’58 Fischer avesse sempre perso nelle sfide contro il futuro campione del mondo Mikhail Tal, si riteneva già di pari livello con i migliori del mondo, e il suo approccio alla scacchiera non mostrava il minimo segno di timore; anzi, era lui a intimidire gli avversari con la proverbiale risolutezza nelle mosse, unita a uno sguardo lucido e spietato che infondeva un senso di inquietudine, quella che molti chiamarono “Fischer fear”. Non era raro che un giocatore giovane fosse brillante e aggressivo sulla scacchiera, ma a colpire critici e avversari era la solidità di Fischer, mai avventato in attacco e straordinariamente preciso in aperture e finali, i due frangenti del gioco più legati a studio e disciplina, che in genere maturano con gli anni. Durante un tour in Russia, Fischer si irritò quando i sovietici non presero sul serio la sua richiesta di giocare un’esibizione contro l’allora campione del mondo Mikhail Botvinnik, relegandolo a giocare partite di profilo secondario, e nel torneo interzonale di Portorose aveva già identificato le prede più deboli, quelle da abbattere, e delineato un’antipatia per lo stile attendista dei sovietici: «Sono in grado di pareggiare contro i Grandi Maestri, e ci sono un po’ di giocatori che puntano alla patta e che posso battere». Non si sbagliava.
Bobby Fischer contro il mondo
La grande occasione non tarda ad arrivare. In America ormai Fischer è il numero uno indiscusso, con quattro titoli nazionali consecutivi, e il suo obiettivo è puntato sugli imbattibili sovietici. Nel 1962 salta i campionati americani proprio per dedicarsi al torneo interzonale di Stoccolma, che vince, primo americano a riuscirci. Nel successivo torneo dei candidati è tra i favoriti, soprattutto dopo che l’anno precedente aveva battuto per la prima volta Mikhail Tal, ma irretito dalle tattiche dei sovietici non va più in là del quarto posto in un lotto di otto partecipanti fra cui primeggerà Tigran Petrosian. Agli occhi di Fischer non era stata soltanto l’abilità dei russi sulla scacchiera a batterlo. Poco tempo dopo firmerà un articolo-denuncia, apparso su Sport Illustrated e sul giornale tedesco Der Spiegel, dal titolo che non lascia spazio a fraintendimenti: “The Russians Have Fixed World Chess”, dove con fix si riferiva alla pratica illegale di concordare anticipatamente una patta nei match che coinvolgevano due russi in modo da conservare le energie per battere gli altri candidati – nello specifico, Fischer. Aveva ragione, tutti lo sapevano, anche se era difficile ottenere prove concrete. La FIDE non tardò a dargli ascolto e cambiò subito il formato del torneo dei candidati sostituendo il girone all’italiana con un più equo tabellone di scontri individuali. Un conto, però, è avere ragione, un altro è far valere le proprie ragioni senza passare dalla parte del torto, e Fischer questa differenza non era programmato per comprenderla. Si faceva vanto di non mentire, di dire sempre quello che pensava, davanti alla scacchiera o lontano da essa, in onore alla purezza che riconosceva nel gioco e alla serietà con cui interpretava la vita. In certi casi, la sua appariva come un’adorabile sfacciataggine: come quando, spinto dal suo entourage a passare la notte con una ragazza durante un torneo a Mar del Plata, in Argentina, per consumare la sua prima esperienza con il sesso, commentò «gli scacchi sono meglio». In altre occasioni, però, presentandosi al mondo senza filtri, Fischer risultava presuntuoso, capriccioso, arrogante. Quando gli altri non si rivelavano all’altezza delle sue aspettative, Fischer si sentiva tradito, incastrato, in costante pericolo. Tornavano a galla i sospetti fra cui era cresciuto da bambino, con le spie americane e russe fuori, o addirittura dentro, dalla porta di casa, si immaginava da solo contro il mondo e si creava nemici anche dove non c’erano. Il documentario diretto da Liz Garbus e a lui dedicato nel 2011 s’intitola Bobby Fischer Against the World.
Nella sua mente Fischer era il miglior giocatore del mondo, ma gli avversari lo temevano e non gli davano la possibilità di dimostrarlo, giocando sporco. Americani e russi lo manipolavano allo stesso tempo, ciascuno per le proprie ragioni di propaganda; Fischer era invece un uomo che faceva partito a sé stante, che criticava la preparazione di squadra dei sovietici e studiava le partite come un cavaliere solitario, con l’aiuto di un solo scudiero, spesso Bill Lombardy. La polemica che seguì il torneo dei candidati del 1962 inquinò la sua passione e le sue motivazioni. Nonostante la FIDE avesse acconsentito subito alle sue richieste, Fischer si allontanò per qualche tempo dalla scena competitiva, e la sua delusione cominciò a trovare sfogo in quelle paranoie che avrebbero segnato il resto della sua vita. Fu in quegli anni che si avvicinò per la prima volta alla Worldwide Church of God: l’avrebbe abbandonata nel 1977, sentendosi tradito (e derubato di molti soldi) anche da loro, ma nel frattempo si era lasciato conquistare dai sermoni apocalittici di Herbert W. Armstrong e aveva finito per confermare le sue teorie antisemite. Fischer come un bambino che non si rassegnava a perdere, e per paura che gli altri giocassero sporco decideva da solo le regole. Voleva mostrarsi il migliore a modo suo, fuori dall’orbita della FIDE. Per il resto degli anni ’60 fu un animale inquieto. Partecipò a match di esibizione, tenne conferenze, scrisse il suo secondo libro, Sessanta partite da ricordare, un successo immediato e un classico letto tutt’oggi insieme a Bobby Fischer insegna gli scacchi. Così si mantenne popolare con il grande pubblico americano, che proprio grazie alla sua figura turbolenta e geniale si stava avvicinando agli scacchi. Il suo amore per gli scacchi era sempre puro, lo dimostrano i ripetuti successi nei campionati americani compreso uno scoreperfetto di 11 vittorie nel 1964. Nei tornei internazionali, però, talvolta si autosabotava, rinunciando a inviti e accampando pretese impossibili. Nel 1967 si ritirò dal torneo interzonale di Sousse, in Tunisia, mentre era al comando della classifica, in polemica con gli organizzatori.
La vera partita del secolo
Secondo alcuni, gli autosabotaggi di Fischer erano un meccanismo inconscio di difesa dalla paura di perdere. Si era creato così tanto hype attorno che la vittoria del titolo mondiale appariva un fatto inevitabile: un’eventuale sconfitta contro i sovietici in un match “pulito”, senza scusanti legate al regolamento o alle collusioni fra i giocatori russi, lo avrebbe spedito nel baratro.
Thorarinsson sostiene che non sopportasse la prospettiva di perdere, ora che era così vicino alla perfezione, e sapeva che realisticamente gli scacchisti raggiungono spesso il picco della forma fra i 20 e i 30 anni, perciò non sarebbe durato per sempre. Altri invece ritengono che i proclami di Fischer non fossero spacconate; troppo forte il suo culto della verità, e poi uno uno scacchista di alto livello, se non vuole soccombere a un inconscio ingombrante e a una mente che dubita di sé stessa, deve sviluppare un’autostima inattaccabile, un’armatura. Nel film del 2014 Pawn Sacrifice – La grande partita, biopic su Fischer interpretato da un ottimo Tobey McGuire, il personaggio di Bill Lombardy, per bocca di Peter Sarsgaard, espone forse il commento più acuto sulla faccenda: Fischer non aveva paura di perdere, ma aveva paura di cosa sarebbe successo se avesse vinto. Avvertendo già gli scricchiolii di una mente fragile, temeva che mantenere l’invincibilità sarebbe stato un compito troppo gravoso, e questo gli impediva di impegnarsi al 100%. Ma almeno una volta della vita doveva provarci: un po’ per se stesso, per vedere il finale del libro che il destino sembrava aver già scritto per lui, e soprattutto per gli altri, perché l’America lo adulava e lo coccolava, e il governo era disposto a tutto pur di vederlo battere i russi.
I primi anni ’70 sono il suo momento di grazia. Fischer torna alla ribalta internazionale e dimostra di non aver perso un colpo, pur avendo giocato a singhiozzo dal 1962 in poi: sembra anzi aver affinato l’istinto e consolidato le conoscenze teoriche. Il primo segno che qualcosa stava cambiando arriva nel marzo 1970, quando Fischer accetta a sorpresa di partecipare alla sfida a squadre tra URSS e Resto del mondo, l’ennesimo “match del secolo” per la stampa specializzata. Non solo: è ancora più inusuale che accetti anche di cedere la prima scacchiera, che determinava una sorta di capitano simbolico del team, al danese Bent Larsen. A fine anno conquista il torneo interzonale di Palma di Maiorca e dà il via a una serie di 20 vittorie consecutive nella singola partita, un unicum negli scacchi moderni, superata soltanto dalle 25 di Wilhelm Steinitz nella seconda metà dell’Ottocento.
Il torneo dei candidati è quello che apre gli occhi al mondo: un doppio 6-0 nei quarti di finale contro Taimanov e in semifinale contro lo stesso Larsen, per poi chiudere i conti in finale contro Tigran Petrosian (l’uomo che interromperà la striscia strappandogli una vittoria e alcune patte). Per comprendere la grandezza della prestazione, si pensi che ad alti livelli gli scacchi sono un gioco talmente ottimizzato che la patta è un risultato molto comune, e servono molte partite per decretare un vincitore: il formato odierno dei campionati mondiali ne prevede 12, ma nell’ultima edizione del 2018 non bastarono, con Magnus Carlsen e Fabiano Caruana che finirono allo spareggio. Garry Kasparov ha dichiarato che non ha mai visto un giocatore dimostrare una superiorità così schiacciante contro un avversario di pari livello. Il grande pubblico americano aveva trovato una nuova musa, il traino di una moda che fece impennare la popolarità di uno sport precedentemente considerato noioso e di colpo lanciato sulle prime pagine dei giornali. Chi era già appassionato di scacchi aveva trovato un messia, perché Fischer era uno spettacolo entusiasmante. Quando si esprimeva all’apice della forma, aveva una straordinaria capacità di giocare in modo pulito, lineare, eppure imprevedibile. Non aveva bisogno di inventare strategie misteriose o studiare mosse a sorpresa, superava l’avversario con un attacco ordinatissimo e spietato, eppure non meccanico. Armonico, si sarebbe detto, eppure non platealmente romantico. Ogni volta che muoveva un pezzo si aveva l’impressione che fosse una scelta banale, l’unica scelta giusta: eppure, solo lui era in grado di vederla. Aveva la rara capacità di far apparire facile, naturale, quello che era immensamente difficile. La dote che trasforma lo sport in arte. Fischer dispiegava “una sinfonia di placida bellezza”, come disse Anthony Saidy. In uno sport tra i più complessi che si possano concepire, il suo gioco era un inno alla semplicità e all’immediatezza, e del resto uno dei concetti fondanti della sua filosofia era la semplificazione: invitare l’avversario a scambiare pezzi per arrivare alle fasi finali con meno materiale sulla scacchiera, puntare alla vittoria e mai alla patta, prendere l’iniziativa e rispondere con onestà agli attacchi rivali; lasciare che i pezzi sulle 64 caselle raccontassero fino alla fine la storia della partita, perché i suoi scacchi, come lui, non sapevano mentire. «Gli scacchi sono la ricerca della verità», avrebbe detto molti anni più tardi, ed è un peccato che Bobby Fischer non sia riuscito a mantenere fede a questa massima scacciando le menzogne e le paranoie che infestarono la sua vita.
La sfida per il titolo del mondo nel 1972 è l’ennesima “partita del secolo”, ma stavolta la definizione è più azzeccata del solito. Si potrebbe argomentare che sia stata la partita più importante nella storia degli scacchi, accanto alla sfida tra Kasparov e Deep Blue tra 1996 e 1997, che sancì il sorpasso dei computer sull’uomo. Di certo è stata la più popolare, seguita e chiacchierata anche dal pubblico generalista, perché Fischer contro Spassky significava anche e soprattutto America contro Russia, un eroe self made contro una nazione che trattava gli scacchi come uno sport nazionale, il sogno americano contro il regime comunista.
Nel percorso di avvicinamento, Fischer riprende le tattiche di auto-sabotaggio. Prima pretende un aumento del montepremi per accettare di giocare a Reykjavik, in Islanda, sede preferita da Spassky, poi resta in dubbio fino all’ultimo se imbarcarsi sull’aereo, infine dà forfait nella seconda partita dopo aver perso la prima in malo modo, perché a suo dire il pubblico presente nella Laugardalshöll e le telecamere delle televisioni erano troppo rumorosi. Ci volle tutto il supporto di Lombardy, una telefonata del consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger e la benevolenza di Spassky, che accettò le sue condizioni, per convincere Fischer a non disertare anche il resto della sfida. La terza partita si tenne in una saletta secondaria, senza pubblico. Fischer vinse, e completò rimonta e sorpasso quando il match tornò nella sala principale (ma senza telecamere e con il pubblico spostato qualche fila più indietro). Secondo alcuni Fischer era tornato alle vecchie abitudini, si fabbricava degli alibi perché spaventato all’idea di accettare senza riserve il verdetto della scacchiera, qualunque esso fosse. Secondo altri, i suoi capricci erano venali richieste di denaro o vanitose richieste di attenzioni, o ancora peggio tentativi di destabilizzare la concentrazione di Spassky. La verità, forse, sta nel mezzo. Fischer odiava l’idea che altre persone guadagnassero soldi grazie a lui, e voleva farsi pagare per le capacità che riteneva di possedere; aveva i suoi tic, come tutti i giocatori, ma secondo la sua idea purissima della disciplina, più importante era il premio in palio, più rigoroso doveva essere lo scenario. Ma soprattutto, in quel periodo d’oro Fischer stava correndo a tutta velocità su un filo sottile, sospeso tra una luminosa lucidità e l’abisso della follia in cui sarebbe caduto di lì a poco. Più si spremeva la mente sulla scacchiera, più aveva bisogno di immaginare paranoie, sospetti e manipolazioni, per dare un senso a un mondo da cui, senza accorgersene, si era isolato e che non capiva.
Il numero di equilibrismo va a buon fine. Fischer conquista il titolo giocando solo 21 delle 24 partite in programma, perché dopo essersi portato in vantaggio, rimontando anche con i pezzi neri, e aver consolidato la posizione con una serie di patte, Spassky si arrende non vedendo possibilità di recupero. Ci sono due momenti, in particolare, che fanno la storia della disciplina. Nella tredicesima partita Fischer ha un’intuizione straordinariamente creativa: non si accontenta di una patta ormai scontata e sacrifica l’alfiere, spinge con cinque pedoni mentre la torre restava bloccata dai pezzi avversari. Spassky rimase a lungo a contemplare la scacchiera, incredulo. Qualche giorno prima invece, alla fine della sesta partita si era addirittura alzato in piedi per applaudire Fischer (che per la prima volta in carriera aveva aperto con un gambetto di donna, un’apertura che disprezzava), in un rarissimo esempio di sportività che più tardi si sarebbe tramutata in comprensione e persino amicizia. Entrambi i dettagli, l’inedita apertura di Fischer e l’applauso a scena aperta, sono stati citati da La Regina degli Scacchi, quando Beth Harmon affronta la sua nemesi Borgov, e con il medesimo risultato. Ora Bobby Fischer è sul tetto del mondo. La scacchiera appare molto piccola da lassù, e il mondo intorno vasto.
Persona non grata
Ora che è campione, Fischer non ha più nulla da dimostrare. La sua presenza sulla scena pubblica diminuisce in maniera inversamente proporzionale alla crescente popolarità degli scacchi, ed è così che la sua figura si trasforma da eroe in leggenda, quella di cui tutti hanno sentito parlare, ma in pochi hanno visto di persona. Al suo ritorno in America Fischer presenzia a qualche show televisivo e si presta a una copertina per Sports Illustrated insieme al nuotatore Mark Spitz, come a sancire il diritto di cittadinanza degli scacchi fra gli sport propriamente detti. Poi però rifiuta oltre cinque milioni di dollari in contratti di sponsorizzazione. I soldi, per lui, erano una questione di orgoglio: voleva essere pagato come un giocatore di football, o non essere pagato affatto. Comincia a condurre un’esistenza da recluso, mentre nel giro di pochi anni, in quello che verrà definito “Fischer Boom”, gli iscritti alla federazione scacchistica statunitense aumentano di più del doppio, un’esplosione ancora oggi senza eguali.
Ora che è campione, può estraniarsi senza patemi da quelle attività che gli erano diventate tediose: confrontarsi con gli altri giocatori, e soprattutto assecondare le richieste e le lusinghe dei media e del governo americano. La propaganda a stelle e strisce incentrata su Fischer riesce soltanto a metà, perché ora che Fischer ha disertato la scacchiera cedendo di nuovo le redini ai russi, la retorica dell’eroe solitario che combatte da solo contro l’impero sovietico si fa meno credibile – e su queste basi, l’America non gli avrebbe mai mostrato pietà per gli incidenti futuri.
Nel 1975, dopo tre anni senza scacchi, è tempo di difendere il titolo contro il primo sfidante, il russo Anatoly Karpov, ma Fischer impone severe condizioni alla FIDE per partecipare al match, non tanto economiche quanto regolamentari: vuole una partita che proceda a oltranza finché uno dei due giocatori non abbia ottenuto dieci vittorie, dissuadendo così la tattica del “giocare per la patta” da lui tanto odiata, e vuole che il campione in carica mantenga il titolo in caso di pareggio 9-9. Nella scena scacchistica si anima una fervente discussione tra chi gli dà ragione e chi torto, ma alla fine la FIDE prende posizione e rifiuta le sue richieste, stanca forse di farsi ricattare da un uomo interessato solo alla propria fama e al proprio tornaconto, e non a promuovere attivamente la disciplina. Fischer non si fa problemi: lascia il titolo nelle mani di Karpov, si dissocia dalla condotta della FIDE e continua a ritenersi il legittimo campione. Non siederà mai più davanti alla scacchiera per dimostrarlo.
Senza gli scacchi a mostrargli il nord della bussola, in rapporti tumultuosi con la famiglia, abbandonato da colleghi, sponsor e politici che ormai hanno gettato la spugna con le sue incontentabili richieste, Fischer deve trovare un altro sfogo. Si associa alla Worldwide Church of God, oggi conosciuta come Chiesa Cristiana della Grazia, ipnotizzato dalle prediche radiofoniche del fondatore Herbert W. Armstrong e irretito dalle previsioni apocalittiche del culto. Finì per versare molti soldi nelle casse della chiesa e uscirne in aperta polemica nel 1977, dichiarandola “satanica”. Nel frattempo, però, il suo rancore si era spostato ancora di più verso gli ebrei. Fischer si immaginava vittima di una cospirazione ebraica internazionale, che vedeva in Israele e negli Stati Uniti i principali responsabili, ma da cui non si salvava nemmeno l’Unione Sovietica: «Sotto il comunismo ci sono i bolscevichi», dichiarò una volta, «e sotto la maschera dei bolscevichi ci sono sempre gli ebrei».
Gli anni ’80 sono il suo periodo più buio, dove lascia macerare nell’anonimato i suoi malumori, del tutto ignaro del mondo colorato, chiassoso e ottimista dell’epoca. Riemerge nel 1992 quando organizza una rivincita contro Spassky, ma sono due cavalli bolsi e malinconici. Hanno due obiettivi precisi: mettere qualche soldo in cassa e dimostrare la superiorità degli scacchi “di una volta”. Il primo riesce, con un montepremi di cinque milioni di dollari, ma il secondo non altrettanto, perché Spassky è ovviamente sceso in graduatoria rispetto ai campioni più giovani e Fischer, per quanto sia sempre uno spettacolo vederlo giocare, non è più al passo con i tempi. Il dettaglio più importante è che il match si tiene a Belgrado, nella Jugoslavia che all’epoca era sotto embargo statunitense. Interrogato sull’argomento dai giornalisti, Fischer rispose prendendo l’ordine esecutivo in oggetto, firmato da George Bush Senior, e sputandoci sopra. Ne ottenne un mandato d’arresto e l’obbligo a una vita da emigrato. La rottura con gli Stati Uniti era ormai irreparabile.
Negli anni ’90 Fischer vaga per il mondo. Vista la sua fama, già trascesa a figura di culto, non mancano le offerte per procurargli una sistemazione (come quando a Budapest allena le giovani sorelle Polgár), né le liason romantiche, nelle Filippine e in Giappone. Di tanto in tanto interviene in interviste radio lanciando le sue consuete invettive. All’indomani dell’11 settembre 2001 arriva a esultare per l’attentato. Le autorità americane lo rintracciano in Giappone e Fischer finisce addirittura in prigione, quando la polizia giapponese lo ferma all’aeroporto di Narita trovandolo in possesso di un passaporto revocato dagli Stati Uniti. Lo avrebbero deportato in patria, per scontare la pena risalente al 1992, e si moltiplicarono gli appelli di appassionati, ex compagni e avversari: su tutti il più accorato fu proprio quello di Spassky, che si disse disposto a scontare la detenzione insieme a Fischer, a patto di avere una scacchiera nella cella. «Bobby è una persona tragica» disse Spassky. «È un uomo onesto e buono, di natura. Ha un altissimo senso della giustizia e non accetta compromessi con la sua coscienza né con le altre persone. È un uomo che ha fatto del male a sé stesso in qualsiasi modo. Io non intendo difendere o giustificare Bobby Fischer. Lui è quello che è. Chiedo soltanto una cosa: pietà, perdono».
Fu l’Islanda invece a trarlo in salvo: il parlamento locale, su proposta del vecchio amico di Fischer Bill Lombardy, gli concesse la cittadinanza con un atto speciale, in virtù del prestigio che il match del 1972 aveva recato alla nazione. Una delle più recenti apparizioni in video risale proprio al viaggio aereo che lo accompagna in Islanda, con la barba lunga e i capelli incolti, mentre risponde, irritato ma spietato come sempre, alle domande maliziose dei giornalisti. Sarà proprio in Islanda che Fischer morirà nel 2008, a 64 anni, uno per ogni casella sulla scacchiera, da estraneo al mondo, adulato e richiesto, ma sempre una persona non grata.
La ricerca della verità
C’è un luogo comune secondo cui gli scacchi, con lo studio ossessivo che richiedono e le vertigini probabilistiche a cui espongono la mente umana, conducano alla pazzia chi li pratica con troppa intensità, come chi scruta in un abisso troppo profondo. Lo scrittore G. K. Chesterton diceva: «I poeti non diventano pazzi, ma i giocatori di scacchi sì», mentre secondo Malcolm Gladwell ciò che definiamo genio è semplicemente una combinazione fra abilità innate e intensa applicazione. Si pensa spesso a casi-limite che rimandano a un certo immaginario degli scacchi romantici, come Paul Morphy, il giocatore americano più famoso prima di Fischer, che si ritirò giovanissimo, pressoché imbattibile anche in Europa, e morì a 47 anni fra allucinazioni e paranoie. Anche Wilhelm Steinitz morì in disgrazia, in un manicomio di Manhattan, e Akiba Rubinstein, a inizio Novecento, tra una mossa e l’altra si nascondeva in un angolo della sala per trovare sollievo dall’antropofobia.
Nel caso di Fischer invece (e sembra essere anche l’interpretazione del personaggio di Beth Harmon ne La Regina degli Scacchi) è forse vero l’opposto: Fischer era un uomo fragile e problematico, che negli scacchi trovava l’unico punto di riferimento, il nord della bussola. Come ha titolato Stephen Moss per The Guardian, era un madman made sane by chess, un pazzo reso lucido dagli scacchi, e varrà la pena consultare un altro contributo di Moss, scacchista, giornalista e scrittore, che racconta lo smarrimento di una mente che si perde fra le immensità e gli orrori degli scacchi, un percorso personale di verità, bellezza e annientamento. Vengono in mente le tante pseudo-diagnosi operate a distanza sulla salute mentale di Fischer, quando l’opinione più convincente sembra essere quella dello psichiatra islandese Magnús Skúlason, amico di Fischer negli ultimi anni di vita, come riportata nella biografia Endgame, di Frank Brady: Fischer non soffriva di schizofrenia né di altre patologie propriamente dette, ma possedeva una mente problematica che non era mai riuscita, anche per la sua ostinazione a non chiedere aiuto, a risolvere traumi pregressi e a scavare verso la radice di paranoie, paure e sospetti. E più una mente è acuta, più le sue sovrastrutture schiacciano il resto della personalità sotto il proprio peso, quando collassano. «La nostra mente è tutto ciò che abbiamo» disse una volta Fischer in una delle sue rare riflessioni introspettive. «Certo, a volte ci conduce allo sbando, ma non possiamo fare a meno di analizzare le cose nella nostra testa».
È difficile pensare a un giocatore instabile come Fischer che possa avere successo negli scacchi odierni, dove il confronto con i computer ha portato a un approccio metodico, fatto di costanza e ripetizione nello studio, e capacità di resistere allo stress per replicare in partita le tattiche preparate a priori. Quando parliamo di quell’unica mossa giusta a cui Fischer mirava, oggi non è più avvolta dall’affascinante alone di mistero: un motore scacchistico può dirci all’istante qual è. Fischer rivolse critiche feroci anche agli scacchi che vennero dopo di lui: rei di non aver seguito il suo esempio, si erano ridotti a una miscela di memorizzazione e ripetizione, accentuata dall’avvento dei computer negli anni ’90. Il risultato erano partite chiuse, talvolta prevedibili, che fornivano a Fischer il pretesto per tornare ad accusare i russi, tra cui Karpov e Kasparov, di patteggiare a priori l’esito delle partite. Fischer promosse con vigore la sua personalissima variante degli scacchi, Chess960 o Fischerandom, la sua soluzione all’immobilità degli scacchi contemporanei che disponendo casualmente i pezzi sulla scacchiera introduceva un numero più alto di possibilità e stimolava i giocatori a interagire con situazioni imprevedibili, in cui si palesava l’autentica conoscenza della disciplina. È una variante ancora oggi studiata e sperimentata, con il primo campionato mondiale che si è tenuto proprio lo scorso anno, ma che certo non può impensierire la tradizione del gioco tradizionale; ed è quasi paradossale, in questo senso, notare che la vera influenza di Fischer sugli scacchi sembra allinearsi proprio in quell’evoluzione che lui tanto odiava – un’influenza onnipresente e misericordiosa, che perdona i suoi misfatti in virtù di ciò che ha donato agli scacchi, tanto che persino un giocatore come Kasparov, più volte oltraggiato da Fischer che lo definì «un criminale, una disgrazia per gli scacchi e per la razza umana», si è espresso in sua difesa.
Intanto, fu tra i primissimi a valorizzare il fitness, la tenuta fisica oltre che quella mentale, un concetto oggi familiare ai migliori giocatori del mondo, tutt’altro che topi da biblioteca, come ben dimostra Magnus Carlsen. Certi capisaldi del suo stile sono tra i fondamenti della teoria contemporanea: la tendenza alla semplificazione, come dicevamo, e la raffinatissima conoscenza di aperture – in cui si affidava, come molti campioni di oggi, a un repertorio ristretto – e finali, entrambi versanti dove la memorizzazione è assai importante. Il Fischer più maturo, a dispetto del suo carattere bizzoso, giocava in modo simile a un computer: senza slanci azzardati, inattaccabile, privo di debolezze, uno stile che ha ispirato lo stesso Carlsen. Forse proprio da questo derivò il suo progressivo distaccarsi dalla disciplina competitiva: aveva già intuito che direzione avrebbe preso l’evoluzione degli scacchi, e da un lato protestava per fermare quello che ai suoi occhi era un declino, dall’altro se ne estraniava per paura che, tramite l’insofferenza, il suo amore per il gioco si sarebbe trasformato in odio. Un amore per il gioco che però, nel vortice di odio che inglobò la vita di Fischer dopo il ritiro, restava intatto.
Dopo l’atterraggio a Reykjavik tenne una conferenza stampa in cui raccontò che durante la prigionia giapponese aveva giocato una partita con un secondino birmano, che gli strappò persino una patta; il suo ultimo avversario, forse, è stato un dilettante sconosciuto. Nel 2006, dal ritiro islandese, il suo ultimo cenno di vita quando telefonò a un emittente locale che stava trasmettendo una partita di scacchi per suggerire una combinazione vincente, sfuggita ai giocatori e ai telecronisti. Questo è il Fischer che amava gli scacchi, e che attraverso gli scacchi cercava la verità. Forse l’ha trovata e ne è rimasto accecato, come il Kurtz di Cuore di Tenebra e Apocalypse Now, che siede al centro della foresta e pronuncia “l’orrore, l’orrore”. O forse non l’ha mai trovata, perché come disseGarry Kasparov, alla fine della tragedia non sempre dev’esserci una morale, e il tracollo di Bobby Fischer è stato tanto banale quanto erano stati splendidi i suoi scacchi.
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