#I nuovi scalzi
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quartafuga · 2 years ago
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L'anno scorso a quest'ora ero in Spagna, già avvolta da un leggero velo di malinconia perché di lì a un paio di mesi avrei dovuto abbandonare la città che mi ha accolta e cambiata e donato nuovi natali per un anno intero. A volte poi ero particolarmente triste perché pensavo che allontanarmi da lì non avrebbe significato solo lasciare un luogo, degli angoli di strade a cui mi ero affezionata, i bambini che ogni giorno a lavoro mi rallegravano le giornate. Lasciare quella città avrebbe significato allontanarmi da te, dal modo tutto nuovo d'amarci che stavamo costruendo insieme, dalle paure affrontate a quattro mani con te, dalle parole lasciate morire in baci più eloquenti di qualsiasi discorso. Ricordo che per tutte queste ed altre cose che adesso faticano a riaffiorare, in quei giorni di ferie donati dalla semana santa sentii un dolore leggero cominciare a prendermi lo stomaco. Non ero pronta a lasciare andare tutto, non ero pronta però nemmeno a restare. Ebbi paura di quel vuoto, di quel tempo dilatato a disposizione dei miei pensieri, della festa altrui che per me sembrava solo foriera di dolori spiati ed indovinati già a distanza. Iniziò così, l'anno scorso, la mia semana santa. Paure e malinconie in abbondanza. Poi però mi costrinsi ad uscire, assistetti a delle sfilate di uomini incappucciati a piedi scalzi che in un silenzio assordante attraversavano la città. Mi lasciai attraversare, trasportare da quel folklore che non mi apparteneva. Poi ci incontrammo, in un cumulo infinito di gente ammassata in silenzio. Scoprire con te il tuo mondo, vedere i tuoi occhi investiti dal mio stupore, sentirti dire "era da anni che non ci venivo, ma con te è un'altra cosa" mi fece dimenticare le paure, le malinconie. Ti guardai, mentre ci sfilava accanto il silenzio in persona, e pensai che ero così fortunata ad averti incontrato. Che stare insieme sarebbe stato sempre questo donarci occhi nuovi su cose già viste, una lente nuova attraverso cui leggere la realtà, una lente più bella, più colorata, più piena d'amore.
Oggi, a un anno di distanza, è solo qualche giorno che ci siamo detti addio. A dire il vero, è stato un arrivederci. Addio, abbiamo ammesso, non vorremmo dircelo mai. Però resta il fatto che ora sono in un'altra città, sempre la stessa, sempre uguale a me, sempre così estranea e penso che mi manca come l'aria l'anno scorso, il nostro poter essere vicini, i nostri sguardi che inventano un mondo nuovo solo semplicemente stando l'uno accanto all'altro. Adesso che non posso dirtelo, perché sarebbe ancora più dura, perché non sarebbe giusto, lo scrivo qui: mi manchi tanto amore.
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likethacurl · 4 months ago
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20/07/2024 23:32
fin qui - luchè
Scrivo con in mano un campioncino del tuo profumo. Ormai è mia bitudine farlo, entrare nel primo negozio di profumi che trovo e sentirne un po’ del tuo. Spruzzarmene anche un po’ sui vestiti, per averti vicino, per averti addosso. Ad ogni respiro trovo nuovi ricordi, ad ogni respiro il tuo viso, ad ogni respiro il cuore mi batte sempre più forte. Ti basta poco per farlo marciare così veloce, solo tu ci riesci e odio il fatto che tu nemmeno lo sappia. Odio che tu abbia questo potere su di me, e odio il fatto che questo sia a te sconosciuto. Per ora mi resta solo il tuo profumo. Mi giro e non ci sei, ti chiamo e non mi rispondi, ti voglio.
Le strade avanti a noi sono due, completamente opposte. Rischiose, spaventose entrambi. La prima è buia e cupa, da camminare a piedi scalzi per sentire il dolore delle pietruzze che trovi sul cammino. È la strada in cui noi due ci separiamo, in cui i possibili momenti da vivere insieme si spengono con il buio del cammino. Ma in questa spero che comunque ci sia una lucciola che ti accompagni. La seconda la immagino come una strada verso il mare, verso l’immenso. Una strada in cui tu cammini da solo e all’improvviso arrivo io a darti la mano, e tu me la stringi forte. Mi guardi negli occhi, prendi un fiore e lo appoggi sul mio orecchio spostandomi i ricci che tanto ti piacciono. Quel fiore ha il tuo profumo…
Io so solo che non vorrei sentire il tuo profumo da un campioncino. Vorrei tornare a casa e sentirlo su di me. Vorrei sentirlo sulle mie lenzuola, sul mio cuscino e dormire serena. Vorrei poterlo indicare alle mie amiche e dire “quello è il suo profumo” e avere già in mente il momento in cui lo sentirò di nuovo dandoti un bacio.
L’attesa fa male.
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copihueart · 8 months ago
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NUVOLE
Hai mai sentito il grido di una nuvola ? Stupita, stolta, stonata, stupenda, che si diffonde nel cielo e ciclicamente inganna il tempo e l’usura del corpo è poca cosa rispetto all’usura dell’anima, perché la nuvola si contorce su sé stessa, si contagia con altre simili e ricopre di grigio e passa la vita a guardare negli occhi la gente. Nessuna riesce mai a dare l’esatta misura di ciò che pensa, di ciò che soffre in apparenza, di ciò che la incalza , quando carica di pioggia come un pentolino di latta ti rovescia addosso tutta la sua impotenza e così viaggia attraverso gli oceani del tempo e gli spazi infiniti , quasi ad appartenere a generazioni diverse, in altri luoghi e tempi, come a stabilire un legame tra di noi.
Niente sembra aver cura della sua fragilità, del suo stupore e di quel sentimento dimenticato, che sembra conservare un po’ di fanciullezza, per continuare a stupirsi della vita, mentre spettinata le piace andare contro vento, perché tutto quello che conta è l’inaspettato, perché le nuvole non hanno ragioni o perimetri, non abitano la terra, la loro vera dimora sono i flussi continui delle correnti, gli spazi siderali, i cambiamenti di temperatura.
La gente le guarderà sempre dal lato più brutto, aspettandosi temporali e lampi, in quel periodo strano in cui i ricordi tornano a vivere appena si chiudono gli occhi, perché le nuvole scelgono di non guarire, di non smettere di soffrire, tra le nebbie leggere che si vestono di luce al primo raggio di sole. Seguiranno le migrazioni d’uccelli, dei pensieri che volano via, i colori malinconici e suggestivi di novembre, ad abbattere muri per vedere cosa c’è dietro e così diventa pian piano parola, pensiero, fili d’anime nel vento, stella dentro le ciglia, meteora incandescente, come se rotolando giù nel pendio volesse attaccarsi ad un ramo per non scivolare e nel moto che segue alla stasi, si aprirà uno squarcio di sereno.
LO spiraglio dell’alba respira dalla loro bocca, in fondo alle vie vuote e alle colline scure che copriranno con il loro manto, con quel fiato leggero che sommerge le case, che rende plumbeo il cielo, che cigola nella brezza e veste la notte, poi diventeranno insidiose, appuntite, scure e disorganiche, ignare, deboli e incomplete, nella vastità dei cumulonembi, come una semplice creatura nel suo sacrificio, inconsapevole figura umana, quasi una ferrovia monotona e stancante che corre su binari paralleli verso una meta ignota.
Così impareremo ad annusarle, a goderle con gli occhi, a rinfocolare il desiderio di appartenenza, vuote e cave come un tronco secco, un buco nero pieno di aritmie incontrollate, finché non si rompe dentro qualcosa e le nuvole precipitano in una cascata incontrollata, provocando un rumore fragoroso, lento come l’erica nelle paludi, come l’ombra lunga sul ghiaccio notturno, quasi a voler accoglierle mentre stanno passando, tra i ricci caduti del castagno e il fuoco viola delle foglie sparse, che si trasformano in rogo, che si trasformano in piuma, perché da troppo tempo cariche di pesi, che hanno bisogno di volare.
Le nuvole che ci hanno lasciato, quelle spazzate via dai venti, sono diventate invisibili, come frutti che cadono che nessuno raccoglie, come le foglie pestate e le lacrime d’autunno, come un saluto mancato e un grido stroncato sul nascere, come un passaggio obbligato verso un giorno nuovo. Per conservare i colori sfrontati, le piogge insistenti, a scrivere pagine di vita, a cercare nuovi sentieri da percorrere, galoppando nei flussi dei meridiani, nell’intercapedine degli arcobaleni, a respirare sul lago come un sogno sospeso, come i mille battiti di ciglia delle stelle, nel cuore tondo della luna che andranno ad offuscare. Poi il vento le scava nel suo centro a liberare tanta bellezza, sospese tra la luce che sorride e l’abbandono del fragore del tuono. Così le nuvole ho raccolto, le ho messe in tasca, le ho nascoste vicino al cuore, ne ho fatto un tappeto dove camminare scalzi, un bacio che sprigiona la mia mente, degli occhi rubati da portar via, il soffio di un respiro, il rinfrescarsi del libeccio, lo scirocco che accascia e il gelido vento di tramontana che scalfisce e leviga le pietre. Ne ho fatto una treccia, il crine giallo su di un campo di grano, il respiro della ragione, il suono che risuona nel mare lontano, l’albeggio nell’anima nuda, la delicatezza e la devozione delle mie dita che tentano di afferrarle , quasi a voler sostenere la solitudine che le accompagna, per abbassare il cielo verso di noi, a ripetere le loro cicatrici non del tutto chiuse, sedute come un trono sulla terra, spogliate delle loro isole e di ogni appiglio, nella loro densità profonda, quasi a voler calcolare il percorso di ogni loro molecola.
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silviascorcella · 1 year ago
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Sartorial Monk s/s 2019: “Kokoro”, viaggio sentimentale nell’essenza sartoriale
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La quiete è il preludio della collezione, una promessa di calma intrisa già nell’atmosfera disegnata dal nome, sì il nome, di quello che a definirlo solo un brand sarebbe un errore imperdonabile di riduzione del suo valore: Sartorial Monk, piuttosto, è un mondo che a sua volta dischiude nuovi mondi, come in un sistema perfetto di scatole cinesi. 
Incontri di universi estetici e sartoriali che creano innesti esatti, tanto nelle intenzioni quanto nella realizzazione delle creazioni. 
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Intenzioni e creazioni che nascono da Sabàto Russo, che di Sartorial Monk è l’anima vera, creativa e a suo modo spirituale: nascono dal suo percorso di una vita lungo la quale ha attraversato terre e culture vicine e lontane, ha vissuto esperienze che dalla pelle han depositato la loro ricchezza nell’intelletto sempre aperto e affamato di sapere, e nelle mani sempre pronte a tradurre una suggestione in forma di abiti.  
Oriente e occidente: le creazioni Sartorial Monk raccontano la ricerca instancabile rivolta alla quintessenza della semplicità, un’aspirazione che diventa quasi una preghiera, ed ha origine nella cultura nipponica da Sabàto tanto amata e vissuta, appaiata alla tradizione artigianale del saper fare sartoriale radicata nella sua identità italiana.
La quiete è il preludio della collezione, si diceva: la s/s 2019 nasce da una fonte d’ispirazione che, com’è uso inconfondibile di Sartorial Monk, è serbata nelle pieghe più squisitamente profonde della cultura, lontana dalla superficie delle tendenze massificate e frenetiche. 
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L’ispirazione è per l’appunto una sola parola, che diventa filosofia di vita, e si allaccia all’esperienza di un personaggio a suo modo stra-ordinario, ovvero che ha lasciato l’ordinario per dedicarsi all’esplorazione di ciò che vi è al di là. 
La parola in questione, nonché titolo della collezione, è “kokoro”: significa “lo sguardo che coglie il cuore delle cose”, è incastonata nel vocabolario della lingua giapponese e nella sua filosofia di vita, la stessa che Lafcadio Hearn, giornalista che nella seconda metà dell’Ottocento, figlio di padre irlandese e madre greca e vissuto a lungo negli Stati Uniti del sud, ha seguito un istinto votato alla scoperta del nuovo e diverso e ha scelto il Giappone ancora sconosciuto ai più.
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Un percorso esistenziale che si traduce anche in scritti copiosi: opere che restituiscono la fusione stessa di Lafcadio nella cultura nipponica, e dunque l’esaltazione di una dichiarazione di libertà di pensiero e d’azione che ha guidato, a suo modo, anche il percorso di Sabàto Russo e del suo Sartorial Monk.
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La quiete è dunque la condizione interiore per cogliere i valori intessuti nella collezione s/s 2019: l’essenzialità delle forme spoglie da qualsiasi decorativismo, e per questo valorizzate in ogni singolo dettaglio che le costruisce come i tagli in sbieco, i colletti così ridotti che quasi scompaiono, i lacci che si raccolgono sul fianco, la stratificazione leggera dei capi; la semplicità delle linee che accarezzano il corpo e accolgono l’aria intorno che ne gonfia i volumi dolci e inaspettati, dei colori naturali e dei materiali come lino, seta, la lana sottile, il dévoré e la  maglieria in viscosa; la fluidità dei tessuti sì, ma anche dei generi che spesso superano il distinguo tra maschile e femminile così che la blusa soffice, la veste lunga e lieve, la giacca appena sciancrata appaiata col pantalone dritto e arioso possano vestire qualsiasi corpo li scelga.
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La quiete certo, ma poi arriva anche la forza: di quelle rare stampe vivaci e fiorite, della pennellata di blu intenso dell’abito lungo, della pelle nuda che gode la bellezza dei tessuti e delle forme che si disegnano su di essa, e dei piedi rigorosamente scalzi per percorrere la propria strada nell’armonia assoluta.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
{ Photo Backstage via ©Sartorial Monk Facebook }
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dettaglihomedecor · 2 years ago
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Pergo Rigid Vinyl 2.0, il rivoluzionario pavimento in vinile che migliora il comfort
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Quale pavimento migliora il comfort e invita a camminare a piedi nudi? La risposta è Pergo Rigid Vinyl 2.0. Il comfort è fondamentale, soprattutto nella cameretta dei bambini. Ecco perché Pergo ha sviluppato i pavimenti in vinile Flex, che offrono quella piacevole sensazione di morbidezza al tatto che invita a camminare a piedi scalzi e riducono i suoni e i rumori, in modo che i bambini possano giocare comodamente. A chi cerca un pavimento dall’aspetto naturale Pergo Rigid Vinyl 2.0 offre decori unici e dall’aspetto veramente autentico e performance tecniche molto elevate che consentono resistenza e facile manutenzione. Impermeabile, estremamente igienico, necessita di poche cure, grazie allo strato superiore ultra resistente, che protegge il pavimento da macchie, sporcizia e usura. Inoltre, come tutti i prodotti Pergo, anche Rigid Vinyl 2.0 è al 100% senza ftalati, per garantire un ambiente più salutare e sicuro.
Il rivoluzionario pavimento in vinile di Pergo
Pergo Rigid Vinyl 2.0 rivoluziona dunque il settore delle pavimentazioni viniliche per estetica e comfort. Il brand svedese Pergo, già inventore del laminato, con la collezione di pavimenti in vinile rigido supera se stesso e ottiene un realismo mai raggiunto in precedenza e, applicando le conoscenze acquisite in quarant’anni di esperienza e le innovazioni introdotte nei suoi pavimenti laminati e parquet, ottiene una resa estetica con micro venature senza precedenti caratterizzata da una bisellatura estremamente naturale e definita. Un’evoluzione che punta non solo all’aspetto estetico, ma anche alle performance tecniche che ogni volta ridefiniscono nuovi standard qualitativi. E risultano i più resistenti sul mercato, con una garanzia dai 20 ai 25 anni.
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Nuovo sistema a incastro
Il nuovo sistema a incastro dei pavimenti in vinile rigido di Pergo consente di evitare danni dovuti alle infiltrazioni di acqua o al surriscaldamento localizzato. L’incastro garantisce una tenuta stagna totale del pavimento, rendendo impossibile qualsiasi passaggio di liquidi tra le tavole. Inoltre, una stabilità dimensionale senza precedenti evita il rischio di surriscaldamenti localizzati in caso di elevate temperature. In più, la totale compatibilità con il riscaldamento a pavimento, sia in posa flottante che, dove previsto, incollata, offre una bassa resistenza termica, risultando una scelta particolarmente efficiente dal punto di vista energetico. Tre nuove gamme disponibili in classe 33: - due formati ‘doga’, Glomma Pro, dieci nuovi decori pensati per dare respiro agli ambienti, e Namsen Pro, sedici decorativi perfetti in ogni stanza, che esaltano tutte le varianti naturali del legno; - il modernissimo formato ‘piastra’ della serie Viskan Pro per gli amanti della pietra naturale e delle resine evitando però l’inconveniente del pavimento freddo quando si cammina.
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Pergo Rigid Vinyl 2.0 per le ristrutturazioni
Il basso spessore, rende Pergo Rigid Vinyl 2.0 la scelta ideale per le ristrutturazioni: non occorre, infatti, rimuovere il pavimento precedente. Ma non finisce qui: il sistema di installazione super rapido a incastro Uniclic® rende la posa più semplice anche nei punti più difficili. Pergo Vinyl è proposto nelle versioni Rigid Click, Flex Click e Flex Glue: - la gamma Rigid Click, resistentissima, è la scelta ideale in caso di posa flottante su sottofondo - i pavimenti Flex Click, dal comfort ineguagliabile, sono perfetti per le superfici meno irregolari. Se installati sul materassino Heat, offrono un’eccellente stabilità dimensionale anche in caso di ampia escursione termica. - i pavimenti Flex Glue garantiscono il massimo della stabilità dimensionale, se incollati su di un sottofondo senza Anche i pavimenti Pergo Flex possono essere posati flottanti grazie al loro sistema ad incastro, oppure, in caso di sottofondo perfettamente liscio, possono essere incollati. Entrambi hanno un’ottima riduzione del rumore da calpestio, rendendo più silenziose persino le camminate più spedite. Per quanto riguarda le finiture, Pergo ha sviluppato per ogni pavimento due battiscopa e profili perfettamente coordinati, in un’ampia gamma di soluzioni disponibili. Grazie al pratico taglierino incluso nella confezione, il profilo può essere sagomato a seconda delle necessità. Completano la fornitura tre tipi di materassino per il fondo, due dei quali in materiale riciclato.
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Pergo Rigid Vinyl 2.0, sostenibilità scandinava
Nella progettazione dei nuovi pavimenti in vinile Pergo, la sostenibilità è una delle priorità fondamentali. Il processo produttivo a risparmio energetico e ultramoderno riduce al minimo gli scarti, in modo tale che il pavimento in vinile Pergo sia il più “morbido” possibile per i piedi che lo calpestano... ma anche per il pianeta. E come per tutti i pavimenti Pergo, la manutenzione è molto semplice ed essi dureranno a lungo se curati correttamente: ciò si traduce in un impatto ambientale ridotto nell'arco della vita del pavimento. Tutto nel rispetto della natura e della salute: - Senza ftalati - Emissioni di COV ridotte al minimo - Riciclo degli scarti - Produzione energetica efficiente - Posa senza colla (facile smontaggio, potenziale riciclabilità) Sul sito Pergo.it, la realtà virtuale semplifica la vita e aiuta nella scelta: basta rispondere a poche semplici domande per ottenere una panoramica dei pavimenti che meglio si adattano al proprio progetto e avere un’anteprima del risultato finale. Read the full article
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padrepiopietr · 3 years ago
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Padre Pio e le riforme
Il sito lafedecattolicacristiana.blogspot.it riporta alcune notizie in merito a cosa san Pio da Pietrelcina pensò a proposito del Concilio e di alcune riforme legato a questo evento. Il sito, a sua volta, ha ripreso da: Fr. Jean, OFM Cap., Lettre aux Amis de Saint François del Monastero di Morgon, febbraio 1999, fasc. n. 17. Leggiamo con attenzione.
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Padre Pio era un modello di rispetto e di sottomissione verso i suoi superiori religiosi ed ecclesiastici, specialmente quando era perseguitato. Malgrado ciò, non poté restare silenzioso davanti alle deviazioni che erano funeste alla Chiesa.
Prima della fine del Concilio, nel febbraio 1965, qualcuno gli annunciò che presto si sarebbe celebrata la Messa secondo il nuovo rito, ad experimentum, in lingua volgare, rito che era stato composto da una commissione liturgica conciliare al fine di rispondere alle ispirazioni dell’uomo moderno. Padre Pio scrisse immediatamente a Paolo VI, prima ancora di avere visto il testo, per chiedergli di essere dispensato da questa esperienza liturgica e di potere continuare a celebrare la Messa di San Pio V.
Quando il Cardinale Bacci venne a visitarlo per portargli l’autorizzazione richiesta, Padre Pio si lasciò sfuggire un lamento in presenza del messaggero del papa: «Per pietà, mettete fine rapidamente al Concilio». Quello stesso anno, in mezzo all’euforia conciliare che prometteva una nuova primavera della Chiesa, egli confidò ad uno dei suoi figli spirituali: «In questo tempo di tenebre, preghiamo. Facciamo penitenza per gli eletti».
Altre scene della vita del Padre sono molto significative; ad esempio, la sua reazione all’aggiornamento degli ordini religiosi voluta dal Vaticano II. Le seguenti citazioni provengono da un libro che ha avuto l’imprimatur: «Nel 1966, il Padre Generale dei Francescani venne a Roma un po’ prima del capitolo speciale che doveva trattare delle costituzioni, al fine di chiedere le sue preghiere e benedizioni a Padre Pio. Incontrò Padre Pio nel chiostro. “Padre, sono venuto per raccomandare alle vostre preghiere il capitolo speciale per le nuove costituzioni….”. Aveva appena pronunciato le parole “capitolo speciale” e “nuovi costituzioni” che Padre Pio fece un gesto violento ed esclamò: “Tutto ciò è solamente un non senso distruttore”. “Ma, Padre, dopo tutto, bisogna tenere conto delle giovani generazioni… i giovani si evolvono secondo le loro mode… ci sono dei bisogni, delle nuove richieste….”. “La sola cosa che manca, disse il Padre, sono l’anima e il cuore, sono tutto, intelligenza e amore”. E partì per la sua cella, si rigirò e disse, puntando il suo dito: “Non dobbiamo snaturarci, non dobbiamo snaturarci! Al giudizio del Signore, San Francesco non ci riceverà come suoi figli”! Un anno dopo, la stessa scena si ripeté all’epoca dell’aggiornamento dei cappuccini.
Un giorno, alcuni colleghi discutevano col definitore generale, il consigliere vicino al provinciale o al generale di un ordine religioso, i problemi dell’ordine, quando Padre Pio, assumendo un atteggiamento scandalizzato, esclamò, con un sguardo severo nei suoi occhi: «Che cosa volete a Roma? Che cosa intrallazzate? Volete cambiare anche la regola di San Francesco»? Il definitore replicò: «Padre, si vorrebbero proporre dei cambiamenti perché i giovani non vogliono più saperne della tonsura, dell’abito, dei piedi scalzi…». «Cacciateli! Cacciateli! Che cosa bisogna dire? Forse che fanno un favore a San Francesco prendendo l’abito e seguendo la sua regola di vita, o non è piuttosto San Francesco che offre loro questo grande dono?».
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friabile · 4 years ago
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grazie mille @firebreather883 💞 stavo aspettando questo momento da una vita aaa e colgo l'occasione per dirvi che avete scritto tutti cose bellissime e vi ringrazio perché mi avete fatto emozionare COMUNQUE
cose belle che mi fanno emozionare:
trascorrere del tempo con i miei nonni, guardare un film con ale, camminare a piedi scalzi, sentire le persone ridere di gusto, la luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi, mettere la musica alta quando sono a casa da sola, prendere un caffè con mamma in un bar, ballare scomposta, i viaggi lunghi in macchina, camminare in una città sconosciuta, i baci sulle guance e gli abbracci, parlare con ale, studiare mentre mamma è indaffarata in altro, le finestre illumanate dei palazzi le sere d'inverno, il rumore dei piatti le sere d'estate, la colazione al bar il sabato mattina, fermarmi a cena da I., le poesie, una canzone malinconica ascoltata in ripetizione di notte sul balcone, andare in bici, parlare con sconosciuti, le persone che ti sorridono per strada, "sei arrivata a casa?", fare i regali, la luce d'estate, la luce della luna che riflette sul mare, le passeggiate con papà in montagna, la mia cagnolina, ridere con mia sorella, Torino, i negozi dell'usato, i commessi gentili, il cinguettio alle cinque del mattino d'estate, mettermi nel letto dopo una giornata stancante, l'alba estiva, provare nuovi gusti, mano nella mano, le carezze, la musica dal vivo, l'arcobaleno e quando piove con il sole, "cosa ne pensi?" ed altre mille cose!!!
se avete voglia di farlo vi leggerei volentieri @panzerottinatriste ma cherie 💕 @mughettino @condividiamolavita @dueali e @polpettiina
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auretta75 · 4 years ago
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Solo ieri era agosto!
Lentamente, inesorabilmente ci accingiamo verso la fine dell'estate. I pensieri, sono volati via con l'ultima brezza marina e al loro posto sono arrivati i soliti pensieri quotidiani...E poi, il lato più piacevole (forse): rivedersi con tutti coloro che hai salutato al principio dell'estate, persone care che avresti voluto portare via con te, averle vicino per dividere i momenti magici di questa splendida stagione...nonostante tutto si deve ritornare alla vita di sempre. Ci saranno nuove cose da imparare e nuove cose da cambiare. Nuove persone da conoscere, ci saranno conferme e occasioni...ricredersi di idee o impressioni sbagliate. Ci saranno grandi risate da fare e anche qualche lacrima. Ci saranno speranze e disillusioni ...
Ma, soprattutto, ci sarà la mia voglia di esserci....Le vacanze estive sono ormai un ricordo...Ma i ricordi sono una parte preziosa della nostra esistenza e per questo, vanno custoditi con amore. La nostalgia del mare, dei ghiaccioli sulla spiaggia, di aperitivi furtivi al tramonto...cenette con gli amici...e la luna che si pavoneggia sul mare nel cuore della notte, il dolce far niente ...
Ricordi da chiudere a chiave nel cuore e portare con te per sempre...Ricordo le fantastiche estati passate da bambina...quattro mesi all’anno, tutti gli anni, in una casa sul mare insieme ai miei nonni e ad altre famiglie. Per diciotto anni la mia casa estiva è stata una piccola comune un po’ hippy...ahahahah...dove tutti conoscevano tutti, non esistevano regole, si mangiava tutti insieme, si andava a pescare di notte e si facevano i falò sulla spiaggia. Una meraviglia. Ovviamente, io e gli altri bambini eravamo dei selvaggi: per tutta l’estate andavamo in giro mezzi nudi e scalzi, non ci pettinavamo i capelli, non avevamo regole né orari. Per quattro mesi, da maggio a fine agosto. Fino a quando, a settembre, non si tornava a casa. E ci si doveva rimettere le scarpe e i vestiti. E la pelle bruciata arsa dal sole si screpolava era diventava nera e  secca...Ecco settembre è il mese della pelle secca. E dei chili di crema idratante...Se fosse un odore, settembre profumerebbe di crema Nivea...lattine di crema...
Non esiste settembre dunque, se non qui, adesso, mentre davanti a me una famiglia francese fotografa la linea dell’orizzonte, già con gli zaini sulle spalle, pronta a salire in auto dopo quest’ultimissimo scatto, qua su questi scogli i gabbiani che cercano briciole mentre la radio di un piccolo bar trasmette l’ave maria del tormentone più palloso dell estate. Al mio fianco, un gruppo di Signore piuttosto abbronzate, consumano una sigaretta dopo l’altra, si confronta animatamente in merito al modo più economico per acquistare i libri di scuola. Se alzo gli occhi e giro su me stessa posso vedere la spiaggia vuota, che con la luce del sole ti offre dei colori che solo adesso riesci a percepire...in lontananza... tra i filari sulla collina… l’immagine sfocata di persone che si muovono tra le vigne cariche d’uva.
Le luci del quasi tramonto lo scirocco che magicamente si inerpica tra i grappoli formosi e pesanti, con chicchi neri e rotondi, gonfi di succo. Con il sole che si muove tra le foglie e le accende, e di taglio raggiunge l'uva...
Là sopra le vigne, al fresco di una giornata  che sta per dare il benvenuto alla notte, l’aria sfila tiepida e leggera portandosi dietro la musica del bar in un angolo in via definitiva. Settembre è dunque tutto questo, ne raccolgo visivamente ed emotivamente le tracce.... C’è il sole, ma l’afa ha finalmente tolto il disturbo, cedendo il posto ai venticelli di fine estate.
Settembre è arrivato, come sempre, senza chiedere permesso. Si è fatto spazio tra le speranze, i soliti progetti rimandati e, forse, qualche paura. Da bambina lo temevo, quasi come fosse un giudice al quale avrei dovuto spiegare le ragioni delle mie mancate azioni. Rappresentava quelle mattine tiepide che mi buttavano giù dal letto contro la mia volontà, per poi spedirmi tra i muri grigi e impastocchiati di una classe qualunque, a fingere sorrisi...È sempre stato scomodo da vivere, eppure, da un po’ di anni a questa parte, a me piace vederlo come l’inizio di un promettente autunno, piuttosto che come la fine di un’estate fugace che non ha concesso abbastanza tempo per rincorrere tutte le ambizioni. L’inizio, di solito, libera più adrenalina, ma quasi mai si riesce a fare a meno di soffermarsi sulla malinconia causata dalla fine... non è un mese per tutti, non lo sarà mai...Settembre è sempre stato incompreso dai più. Il suo mare, il suo clima, i suoi tramonti non sono poi tanto differenti da quelli estivi; eppure sono così temuti, quasi indesiderati...malinconici...Settembre è per i dannati che, però, sono in grado di spogliarsi abilmente di tutto ciò che è stato, per lasciar spazio ad abiti nuovi e incamminarsi verso orizzonti sconosciuti...
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pangeanews · 5 years ago
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“In ciò che creavo potevo essere ciò che ero”. Stephen Spender in Italy. L’epopea del grande poeta e del figlio Matthew sul lago di Garda
Azzurro, così appare il Garda in quella prima estate italiana del 1951: Stephen Spender, la moglie Natasha e i figli Lizzie e Matthew trascorrono l’estate a Torri del Benaco, all’albergo Gardesana in centro al paese – lo stesso frequentato da Gide.
In un libro agile e lieve come la sua conversazione, Within Tuscany, In Toscana, Matthew esordirà ricordando la vita a Torri con gli occhi del ragazzo di allora, un ragazzo che già avverte quella felicità, con i giorni pieni d’azzurro e la luce del Garda, destinata nostalgicamente e comunque a finire, anche come simbolo.
Sua sorella Lizzie è ancora piccola ma lui ha per sé «tutto il mondo all’aperto» e dalla mattina alla sera gironzola per Torri con una banda di ragazzini in cerca di avventure: «Quell’estate non c’era differenza fra quello che mi succedeva, quello che immaginavo e quello che sentivo raccontare». Memorie e affreschi della quotidianità sul lago risentono indirettamente dell’amore di Matthew per la pittura e la scultura, la seconda in effetti sua professione, e leggendo le pagine di Within Tuscany si ha spesso l’impressione di guardare dipinti di scuola Toscana: perché è là che vivono lui e Maro Gorky, sua moglie, figlia di Arshile e anche lei pittrice.
En passant, Bertolucci ha inserito decine delle opere di Matthew Spender nel set di Io ballo da sola, film in parte ispirato alla sua cerchia di amici artisti, inglesi residenti in Toscana. Una tradizione di secoli ormai, questa linea immaginaria che lega l’isola britannica alla dolcezza del paesaggio toscano: da Chaucer agli Shelley e ai Browning, da Byron a Foster e a Lawrence, fino agli americani Ezra Pound e Henry James, tanto per nominarne alcuni. È il Chiantishire, appunto.
*
Ho incontrato Matthew Spender per una giornata dedicata al padre Stephen, qualche anno fa: è entrato nella sala conferenze della Società Letteraria a Verona con passo deciso, la stessa altezza, le lunghe gambe e la stessa zazzera candida che Stephen aveva nella maturità, come scrive Brodskij: «con i capelli bianchi come neve, gli occhi grigio-azzurri scintillanti, il sorriso di scusa che presiede al suo metro e ottanta leggermente ricurvo, sembra (…) l’allegoria di un inverno benevolo in visita alle altre stagioni» (In Memory of Stephen Spender, On Grief and Reason).
L’accompagnava Giuseppe Lorenzini, proprietario dell’albergo “Gardesana”, dove gli Spender soggiornavano. In quell’occasione abbiamo parlato di poesia, della Toscana e di una rivista che ricordavo, con foto della sua casa sulle colline italiane. Credo sia stata l’ultima volta che Matthew Spender è venuto a Verona. All’invito di tornarci, rispondeva con humour in una mail di due anni fa: “È da qualche anno che non mi sono mosso verso il nord d’Italia. Al massimo, arrivo ogni tanto a Milano per vedere dottori o avvocati, due categorie di professionisti che si accumulano man mano che s’invecchia”. Il ritratto degli Spender sul Garda è uscito nel volume Poeti, Sognatori viaggiatori, e Matthew l’ha ricevuto per posta.
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Sul loro soggiorno a Torri – quell’estate e la seguente – lui parla anche nella biografia del padre A House in St. John’s Wood, In Search of My Parents, commosso ricordo di entrambi i genitori.
Torri evidentemente piaceva a Spender: da giovane l’aveva frequentato varie volte, da solo o con amici, e in quell’estate del 1951 ci porta la famiglia. Il loro arrivo crea da subito un qualche scompiglio perché la madre Natasha, brillante pianista, ha portato con sé il proprio strumento, che sarà faticosamente issato al Gardesana: «Avevano dovuto sradicare la ringhiera della scala a chiocciola per farlo entrare» (Within Tuscany).
Stephen Spender alla “Gardesana”, Torri, con la famiglia e il piccolo Matthew
Ogni giorno, dalle finestre aperte dell’albergo, la musica di Natasha si spande a lungo in riva al lago. Anche Stephen lavora. «Abbiamo per noi l’intera ala di un albergo – scrive Stephen a John Hayward il 12 luglio –, offertaci a poco dall’albergatore perché André Gide occupava queste stesse camere». Torri, ricorda Matthew, «era affascinata dagli stranieri raffinati che ci arrivavano per le vacanze…» (A House…).
Dalla scrivania di Spender (anche oggi nella stessa posizione di allora) si vede il lago: nel porticciolo le barche oscillano a pelo d’acqua, i nomi dipinti a mano sul legno verniciato di bianco e blu, le funi che le fermano agli ormeggi. Oltre il porto, il fuoco azzurro dell’acqua arretra in lontananza fino al cupo centro profondo, e i giorni limpidi la penisola di Sirmione esce dall’orizzonte nella foschia celeste. Le colline accerchiano la sponda lontana: alla famiglia inglese Torri sembra un “piccolo mondo antico” meridionale.
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A Torri tutto ruota intorno al lago: «Il lago dominava la nostra vita» dirà Matthew. Ci sono gli amici delle gite in bicicletta, le partite di pesca che rendono pesciolini da friggere in padella o esemplari enormi da fotografare, gli scalzi e abbronzati bambini del paese colti in sottofondo dall’obiettivo del fotografo a osservare turisti, passanti e abitanti locali.
Nel 1951 la guerra è finita da anni, ma non il suo lascito: l’Italia frequentata dagli Spender è un paese povero, quasi ottocentesco. «Non era affatto difficile in questo ambiente sprofondare nel diciottesimo secolo», commenta Matthew a proposito di una decorata biblioteca senese. Il che è vero e a maggior ragione per un borgo di pescatori poveri del lago.
Stephen arriva a Torri con dietro di sé molta gloria letteraria. Agli esordi paragonato a Shelley, è tra i poeti emblema della propria epoca, l’interludio tra le due guerre che nei «college di dandy, ricchi e aristocratici» di Oxford – narra in The Temple – ha messo in luce lui e Isherwood, MacNiece e Day Lewis, il “gruppo degli anni Trenta” sotto l’egida di Auden. Evelyn Waugh scolpisce la storia in un mood sarcastico: Auden, Isherwood e Spender per lui sono i tre giovani scrittori «che hanno aggredito e catturato un decennio». Comunque, per loro la poesia è «sacra e segreta vocazione»: così nel celebre World Within World, l’autobiografia di Spender uscita da pochi mesi e già scelta ‘Libro del mese’ dalla Book Society.
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Matthew ricorda di esser rimasto solo a Torri una settimana, perché i genitori tornano in Inghilterra per i rispettivi impegni. La vita del borgo gli offre però molto da fare, molto da fantasticare: «per un bambino dominato da una passione esclusiva, un momento può riempirsi di quella che appare un’eternità di divorante nostalgia».
Decantando gli anni che separano presente e passato, la scrittura ritrova tracce lontane, bagliori e frammenti di memorie, «stralci di ricordanze» leopardiane: o «frammenti della nostra vita in Italia». Il semplice sottotitolo di Within Tuscany – Reflections on a Time and Place – in italiano si colora in “Considerazioni di un artista inglese sull’arte, gli usi, i costumi e le stranezze degli italiani tra i quali vive”. Splendono il pianoforte di Natasha alzato contro lo sfondo azzurro del Garda, il profumo di una pianta dai rami che oltrepassano un muro al sole, il prato dove le orme di piccoli piedi scompaiono in giochi esaltati. Sottratti al flusso eterogeneo del vivere, restano i momenti d’oro, gli attimi puri nella prospettiva dell’adulto che ricorda: occasioni, atmosfere, un viso o un riflesso sull’acqua di un lago italiano. Scene e visioni: «Un silenzio riempito da cicale. Un giardino quadrato ricoperto da un cubo frusciante di insetti».
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Matthew chiama quasi sempre suo padre Spender, semplicemente. Per Spender la poesia è dedizione assoluta, «lo scopo più serio della vita», la «maturità dell’anima»: «In ciò che creavo potevo essere ciò che ero» (World…). Dopo l’impegno civile – la speranza di riuscire a salvare la civiltà e il dovere di contrastare le tirannidi di ogni segno – per lui veniva il disincanto espresso con parole tristi e brillanti: «Siamo stati la Generazione Divisa degli Amleti che trovarono un mondo dissestato e non riuscirono a rimetterlo in sesto». Spender s’impegna a raccontare un’epoca che non ha voluto fermare la propria corsa, s’indigna per l’assenza di orrore all’orrore del nazismo, assiste alla parabola della civiltà europea, definitivamente consegnata al “mondo di ieri” con lucidità visionaria: “La guerra aveva strappato il pavimento della sala da ballo da sotto i piedi della classe media inglese. La gente somigliava a ballerini sospesi a mezz’aria che, malgrado ciò, riuscivano miracolosamente a fingere di ballare ancora. Eravamo consapevoli dell’abisso ma non vedevamo nuovi valori che potessero sostituire quelli che ci avevano sorretto nel passato”. (World…)
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A Torri, il tempo pare invece sospeso. I muri delle case scendono all’acqua, peschi carichi di frutta macchiano di rosa gli orti. Tra i vicoli stretti del paese risuona il tamtam degli zoccoli ai piedi dei ragazzi. Matthew gira con indosso magliette Marx and Spencer, quasi una sorta di uniforme che Natasha ha portato da Londra. Il borgo con il porto e il castello in rovina, ancora lontani dal turismo di massa, offrono pace e lenti ritmi arcaici. I figli dei pescatori raccontano storie locali e «i bambini del paese mi rincorrono gridando ‘Poeta!’ – Stephen riferisce sempre a Hayward –. Suppongo che Catullo abbia loro insegnato a farlo con i poeti in visita».
Gli Spender non sono sempre soli: amici – artisti, scrittori e poeti – vengono a salutarli o si fermano qualche giorno sul Garda, come Day Lewis in viaggio di nozze. Ci sono cene e gite sul lago, ci sono ombre di ulivi tra rovine romane:
La penisola di Sirmione si stende nel lago Come chi parli spingendosi al centro Dell’acqua cerchiata di monti … (Sirmione Peninsula)
Quando gli amici se ne vanno, Natasha torna alla musica, Spender alla letteratura: «Le lettere sono una danza, segni viventi su una pagina patinata: sembrano capaci di vibrare come una ringhiera metallica percorsa dalla punta di un bastone. Sentendo il sangue affluirgli al viso, lo scrittore sa che c’è stato un tormento in cui lui è stato legittimato» (World…). La ringhiera-sequenza di parole precorre casualmente, di poco, quella vera tagliata all’albergo “Gardesana”.
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Il manoscritto della poesia “In Attica” di Stephen Spender
Sul lago Stephen traduce Rilke e prepara una selezione di poesie. Nella grafia inclinata, ringrazia il proprietario del “Gardesana” «per i tre mesi più felici (per noi) dalla guerra, trascorsi a Torri del Benaco». Il paese sul lago gli ricorda la terra di Omero: «Non ho scritto una poesia su Torri, ma eccone una scritta guardando il lago dalla mia camera e pensando alla Grecia». «Settembre 1951» la data. In Attica (in italiano) il titolo:
Ancora, ancora vedo questa forma sdoppiarsi: La spalla nuda di una cima tracciata Contro il cielo, che declina con delicatezza al Gomito; poi di nuovo la discesa all’incavo Del polso di una mano che riposa Sulla solida spianata.
Ancora, ancora, un braccio teso dalla spalla Che s’appoggia a terra. Come se gli dei dall’alto Busto, il capo e le membra invisibili, Avvolti dal cielo o affondati in terra, Qui lasciassero tuttavia dita tese quali segni Tra cielo e piana; e facessero questo paesaggio Dolce, come steli greche, dove i morenti Mutati sono in pietra da un gesto lieve d’aria, Mentre indugiano nel loro addio infinito.
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La lirica sarà poi pubblicata in raccolta con delle varianti, ma questa versione è ancora oggi alle pareti di una sala dell’albergo:
IN ATTICA.
Again, again, I see this form repeated: The bare shoulder of a peak outlined Against the sky: declining gently to The elbow; then once more the scooped descent To the wrist of a hand which rests On the solid plain.
Again, again, an arm outstretched from the high shoulder And leaning on the land. As though the torsoed Gods, with heads and lower limbs invisible, Plunged in the sky or buried in the earth, Yet left fingers tended here as signs, Between the sky and plain; and made this landscape Gentle, like Greek steles, where the dying Change to stone on a gesture light as air, Lingering in their infinite departure. Stephen Spender, Sept. 1951 (per gentile concessione di Giuseppe Lorenzini).
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L’estate gardesana al termine si lascia dietro una mareggiata di sogni e di ricordi. Con «questo strano amore per Torri del Benaco», gli Spender riportano a Londra immagini di memoria quasi corale: un muro assolato e una lucertola ferma, attaccata ai sassi. Campi o orti coltivati a fiori, destinati al mercato in Piazza Erbe a Verona. La collina che sale verso il cielo alle spalle del Garda. Le lucertole che «diventano dragoni» e le caprette bisonti sotto la lente d’ingrandimento della fantasia infantile di Matthew. Un compagno indovina bizzarramente l’ora con precisione assoluta, osservando l’obliquità dei raggi del sole che sembrano «un’estensione dei suoi capelli» (Within Tuscany).
A Torri il crepuscolo raduna pieni e vuoti l’acqua del lago sparisce «nell’ombra della sponda lontana». E in quell’ombra s’annida il cuore dell’elegia – da Virgilio a noi –, desiderio acuto d’illuminare di nuovo brani di passato, portarne un riverbero nel futuro.
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La decisione paterna di soggiornare sul Garda (padre e figlio ci torneranno insieme nel 1988) contribuirà a far amare l’Italia a Matthew, anzi, a “Matteo”: “mi ha convinto che l’Italia è un paese dove la simmetria fra paesaggio, viuzze, orticelli – persino parafanghi delle biciclette – ha un ritmo intrinseco, che non consiste in una serie di pensierini sconnessi come in Inghilterra. È un paese unito da ritmi quasi impercettibili, anche se il suono che ne emerge somiglia talvolta a quello di un remoto conflitto”.
Matthew e Maro Gorky vivono nel Chianti dal 1968, da allora in love with Italy, le sue leggiadre cadenze e i suoi reconditi dissidi. Entrambi continuano a dedicarsi alle loro rispettive arti: la scultura di Matthew, la pittura di Maro.
Paola Tonussi
*In copertina: Stephen Spender, al centro, tra W.H. Auden (a sinistra) e Christopher Isherwood, nel 1931
L'articolo “In ciò che creavo potevo essere ciò che ero”. Stephen Spender in Italy. L’epopea del grande poeta e del figlio Matthew sul lago di Garda proviene da Pangea.
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claudio1959 · 2 years ago
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faultylens · 3 years ago
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Occhi su Be Popular: momento da LA RIDICULOSA COMMEDIA della compagnia I Nuovi Scalzi // #bepopular #commediadellarte #ClaudioDeMaglio #SavinoMariaItaliano #IvanoPicciallo #PiergiorgioMariaSavarese #ZeliaPelacaniCatalano #vicenza #teatro #fotodiscena #vedostorie #occhisullascena (presso Chiostro San Lorenzo) https://www.instagram.com/p/CSv62EqKVQg/?utm_medium=tumblr
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mademoisellesabi · 6 years ago
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Ho sempre amato viaggiare ma a un certo punto della mia vita viaggiare è diventato indispensabile. E quindi meno capi di abbigliamento e più biglietti aerei. Qualche giorno al mese ho la necessità di passarlo in qualche capitale europea, perché amo follemente il Vecchio Continente. Non vedo l’ora di scoprire posti nuovi ma anche di tornare in quelli che ho già visitato. Mi affeziono ai luoghi, alle atmosfere, alla gente, ai colori.
Diciamo che le fasi della vita sono molteplici e a seconda di quella che attraversiamo abbiamo interessi diversi. Nel mio caso sono andata migliorando, soprattutto in fatto di gusti e abitudini. La superficialità ha lasciato posto alla sostanza.
Dai 25 ai 30 la priorità era la moda (con una pesante ricaduta in seguito, quando ho finito di arredare casa). Non vedevo l’ora di spendere cifre inenarrabili per comprare una borsa costosa, trovandomi poi costretta a uscire di casa, anche quando non ne avevo molta voglia, al solo fine di esibirla. Del resto non puoi comprare:  l’iconica Chanel, l’irraggiungibile Birkin, ma anche una Fendi, una Gucci,  per lasciarle chiuse in casa. Non avrebbe senso. Diciamolo pure: se compriamo cose costose non è solo perché ci piacciono le cose belle ma perché ci piace essere guardate e un po’ invidiate. Un po’ vanesie lo siamo quasi tutte, ma un po’ sadiche, tutte!
In quella fase adoravo avere armadi pienissimi e sempre nuovi capi da indossare e una scarpiera (90 per 170) occupata in ogni ordine di posto da tacchi 12 in abbondanza, troppi! E, appunto, borse griffatissime perché l’accessorio è l’elemento iconografico per esprimere l’identità individuale. Sono arrivata a contare nel mio armadio novanta paia di scarpe, quando ne portavo una decina. La maggior parte acquistate in saldo o all’outlet, ma comunque 90 che sono nulla al confronto di Imelda Marcos o Chiara Ferragni, ma io le pagavo perché a me non le regalavano. Quindi in spreco di soldi che avrei potuto investire altrove… Poi cresci, maturi e spendi i soldi in maniera più sensata. Forse.
Attorno ai 30 la priorità è stata la casa e con l’acquisto dell’appartamento, alla moda è prevalso l’arredamento, il primo anno credo di non aver comprato nulla per me, tutto per la mia confortevole dimora. Perché sì avevo una casa da arredare e io alla casa ci ho sempre tenuto molto, quindi le mie trasferte erano alla ricerca del tappeto giusto, del mobile adatto, del quadro e poi della sua cornice e di oggetti, tanti oggetti: vasi, candele, lampade e via, sempre a scovare qualcosa da portare a casa anche quando non era così necessario. In seguito, forse nauseata dalla troppa dedizione avuta per la casa, la fashion addicted che c’è in me ha ripreso il sopravvento e per un buon periodo sono tornata al primo amore.
A un certo punto la mia taglia è cambiata, pertanto acquistare abiti non era più così divertente, inoltre ero arrivata ad avere otto cassettiere e tre metri di armadio e nonostante questo non trovavo lo spazio per nuovi capi, indi si rendeva necessario fare una cernita – riempire qualche sacco e portare tutto al mercatino dell’usato, prima, o vendere attraverso i vari siti come: Depop, Vestiere Collective, Rebelle, ecc, poi, con l’avvento di queste piattaforme -,  per tentare di recuperare qualche spicciolo, pochissimo al confronto di quanto speso ma, soprattutto un po’ di posto nell’armadio. Quella selezione obbligata per fare posto ai nuovi capi è sempre dolorosa, perché pur liberandoci di indumenti che non indossiamo da tempo o, addirittura, che non abbiamo mai nemmeno infilato, ci affezioniamo, e sappiamo benissimo che appena li buttiamo torneranno di moda e ci verrà voglia di indossarli.
Avvicinarsi ai quaranta ha avuto i suoi lati positivi. La progressione mentale cresce di pari passo con la decadenza fisica e quindi anche se il punto vita si espande, i glutei perdono la sfida con la forza di gravità e puntano inesorabilmente verso il basso e la pelle dei piedi si ispessisce, acquisisci razionalità e capisci che l’importante è godersela non accumulare. Ti rendi conto, tra l’altro, dell’importanza del denaro, capisci che lavorare un mese per acquistare una borsa non è una cosa poi tanto sensata, dato che, nel mese. paghi la rata del mutuo e le bollette e il carburante e fai la spesa per nutrirti e ti concedi svariati aperitivi (parecchi nel mio caso). Se a trent’anni mi dava gioia spendere mezzo stipendio per una borsa a trentotto godevo nell’entrare da Zara in tempo di saldi e spendere poco più di un decimo dello stipendio per 5 paia di scarpe, 5 giacche, 5 pantaloni, qualche blusa e l’ennesimo trench. Ovvio, pur sapendo che non tutto verrà usato, qualche capo finirà in vendita ancora munito di cartellino, ma vuoi mettere il risparmio rispetto all’acquisto a prezzo pieno… Da Zara Home più o meno la stessa avventura: vasi, cornici porta foto, tovaglie, asciugamani, cesti, cesti e cesti a un terzo del prezzo originale. Poi oltre all’età anche il mio lavoro è cambiato. Aver avuto per vent’anni un lavoro fisso e alquanto sedentario ti porta a desiderare il contrario e la precarietà assume un certo fascino anche perché oramai siamo tutti precari. Il cambio ha fatto si che non dovessi più in ufficio dove la solita gente mi vedeva tutti i giorni e il rapporto con un pubblico di un certo tipo imponeva outfit adeguati, lavoravo da casa e per stare al computer erano sufficienti qualche sottoveste e comodi e caldi – nella stagione fredda – cardigan con cui coprirmi. E i tacchi 12 per stare in casa non li metti, almeno non per scrivere… Gironzolo per casa rigorosamente a piedi scalzi, che sia estate o inverno pieno. Il tacco 12 comunque non l’ho abbandonato del tutto, ne acquisto ancora ma a un ritmo molto meno sostenuto.
E la casa era diventata piena, accogliente, c’era tutto e anche molto più di tutto, o, almeno, molto più di quello che serve. E diciamolo andare all’Ikea non è come andare in Svezia e nemmeno andare da Zara Home è come andare in Spagna e neppure andare da Maisons du Monde è come viaggiare in giro per il mondo. Certo ci sono cose bellissime che rendono la tua casa più bella e le conferiscono un fascino provenzale o nordico o etnico (preferisco i primi due) ma andare a Stoccolma o Barcellona è un’altra cosa, respirare il profumo di lavanda e vedere chilometriche distese lilla è decisamente un’altra cosa.
E quindi, ora, scavallati i quaranta da un po’, stare su internet a cercare nuove mete da raggiungere e navigare Ryanair, Skycanner e Booking a cercare voli low cost e alberghi dove alloggiare è piacevole quanto, un tempo, lo era passare interi pomeriggi da Zara & Co. alla ricerca dell’outfit perfetto.
Insomma meglio accumulare miglia piuttosto che vasi o tacchi, perché il viaggio è cultura, è conoscenza, è emozione, è scambio, è incontro, è sogno, è vita. E molto altro ancora!
Confessioni... Ho sempre amato viaggiare ma a un certo punto della mia vita viaggiare è diventato indispensabile. …
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poetyca · 3 years ago
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Alba – Dawn
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Alba
Scivolo nella notte a catturare immagini di oniriche forme nei sospiri del silenzio vibra la brezza sognante
Passi scalzi sul cuore a sfiorare ricordi d’attimi intensi e tra sfumati colori sorridono speranze
Disseto le pagine nuove che non indeboliscono le forze e sfioro luci soffuse di stelle lontane a regalare il sogno
L’alba è giunta con le luci in sorriso e i nuovi canti di voli e palpiti che mi conducono ancora
26.08.2002 Poetyca
Dawn
Slide into the night to capture forms of dream the sighs of silence vibrates the breeze dreamy
Walk barefoot on the heart to touch memories moments of intense and between shaded colors smile hopes
Quench the thirst of the new pages that do not weaken forces and cascading soft lights of distant stars to give the dream
The dawn has come with the lights in the smile and the new songs flights and heartbeats I still lead
26.08.2002 Poetyca
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eroticissimo · 7 years ago
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LA BARCA A VELA Io e Laura abbiamo fatto una piccola crociere in Sardegna quest’estate. Barca a vela piuttosto grande, 4 coppie più equipaggio. Tanti anni fa mi raccontarono che queste mini crociere spesso erano impregnate di sesso, quasi crociere per scambisti. E questo ricordo me l’ero portato dietro per quasi 20 anni. Ed è riaffiorato proprio al momento della prenotazione. Non ho detto nulla a Laura, spendo che lei comunque è sempre bravissima a gestire ogni situazioni. Il bagaglio ammesso è ben poca roba… costumi da bagno, qualche vestitino x la sera e poco altro. Saliamo a bordo, il “capitano” ci fa presentare tutti, un aperitivo per farci scambiare 2 parole e si parte. Un’ora dopo siamo già tutti a prendere il sole e a rilassarci. Le altre coppie sono più o meno della nostra età, belle donne e uomini piacenti. La cosa più incredibile che 2 coppie senza nessuna inibizione iniziano a prendere il sole nude da subito. Laura è in topless, anche l’altra donna lo è. Le guardo, sono veramente tutte molto belle. Laura oltre che bella inizia ad emanare il suo fascino erotico che attrae gli sguardi su di se. La giornata finisce senza nulla di particolare. Ceniamo assieme e nonostante il bagaglio ristretto le 4 donne sono tutte estremamente eleganti e sexy. Mia moglie indossa un vestitino corto a tunica largo, in seta. Non le disegna il fisico ma le mette in risalto il seno e i capezzoli. Io con camicia bianca d’ordinanza e jeans. Tutti gli altri uomini sono in jeans e camicia. Invece le altre 3 donne, Barbara, Sonia e Francesca indossano anch’esse vestitini con abbondanti trasparenze. E trovarci tutti così “eroticamente eleganti” aiuta a creare un’atmosfera particolarmente rilassante. Mettiamo musica e ci ritroviamo tutti a ballare sul ponte della barca, scalzi ed eccitati. Mi ritrovo vicino vicino a Barbara, una bellissima siciliana, alta e formosa, che continua a mettermi le braccia la collo e a strusciarsi come una gatta in calore. Mi sente eccitato, sente il mio cazzo duro dentro ai pantaloni. E così continua sempre di più, balla con il suo culo appoggiato al mio ventre, ancheggia e sia appoggia con sempre maggior insistenza. Laura sembra guardare con gelosia, cosa alquanto strana. Spesso si avvicina a me, mi balla vicino per delimitare il suo territorio. Ma Barbara non demorde e qualche volta balla vicino a Laura, facendo gli stessi movimenti a lei. E a quel punto mia moglie trovandosi le sue braccia al collo la tira verso di se e inizia a baciarla. Le due donne si accorgono di avere 12 occhi che le stanno osservando. E allora i baci diventano sempre più sensuali e caldi, i seni si toccano, le mani senza pudore perlustrano i corpi dell’altra. E come x magia, e come se tutti aspettassero il fischio d’inizio, tutti gli ospiti iniziano a danzare in maniera diversa, tra baci e toccate. Sonia si trova circondata da 2 uomini, le mani su tutto il corpo, la gonna tirata su e il culo in bella vista. Non indossa intimo, credo che nessuna lo indossi. I due uomini hanno già il cazzo di fuori e lei dopo un attimo si inginocchia e inizia a leccare i due membri eretti. Con una mano masturba uno e con la bocca l’altro, un po’ a uno e un po’ all’atro. Francesca invece è appoggiata ad una ringhiera della barca, ha un cazzo piantato da dietro, non so se nella fichina o nel culo. Non siamo molto distanti dalla costa, c’è la luna piena, chiunque potrebbe vederci ma sembra che la cosa non interessi a nessuno. Io sono seduto su una sdraio, Laura e Barbara si sono avvicinate a me. Ed entrambe stanno giocando con il mio cazzo, leccandolo assieme. Vedo la lingua di Laura percorrermi l’asta mentre le labbra di Barbara si dedicano alla mia cappella. E ogni tanto si fermano e riprendono a baciarsi. Poi io mi sdraio, Laura completamente nuda si siede sul mio cazzo, Barbara invece appoggia la sua fica sulla mia bocca rivolta verso Laura. E mentre entrambe godono dalla mia bocca o dal mio cazzo continuano a baciarsi e a massaggiarsi il seno. Sento Barbara iniziare a godere, mi schiaccia il suo sesso sulla faccia. Io lecco avidamente la fica e nel frattempo le infilo prima un dito e poi anche un secondo nel buchino. Gode, urla e si dimena. Laura mi scopa forte, si massaggia il clitoride mentre il mio cazzo entra ed esce dalla sua fica estremamente bagnata. Anche Laura ha un orgasmo, uno ancora e poi un altro. Si sdraia per un momento su di me, poi riprese le forze si mette il cazzo nel buchino. E inizia a muoversi in maniera estremamente delicata, facendo scorrere tutto il membro dentro il suo buchino voglioso. Barbara inizia a masturbale la fichina, la bacia in bocca e sul seno. E mia moglie inizia nuovamente a godere, sento i fremiti dell’orgasmo scuoterla improvvisamente. Si prende un capezzolo e lo strizza con forza, urla e gode in maniera esagerata. E poi crolla nuovamente su di me. E Barbara si getta sul mio cazzo, inizia a leccarlo e a gustarlo, avidamente, infilandoselo fino in gola. E io le schizzo tutta la mia voglia tenendola dalla nuca schiacciata dentro di me. Barbara quasi non respira, è diventata rossa, ha quasi dei conati. Però ingoia tutto soddisfatta di esserci riuscita nonostante stesse soffocando. Sonia intanto è su un’altra sdraio, io due uomini la stanno penetrando assieme, con estrema brutalità. Quello che si sta dedicando al culo le dà colpi esagerati, sembra la voglia spaccare in due. L’altro invece le tiene i capezzoli tra le dita, vedo che con forza li strizza. Lei però sembra a suo agio, suda e gode, urla di piacere e dal dolore. Finché si toglie dalla morsa dei due, e di nuovo inginocchiata masturbandoli si fa riempire il corpo di sperma. Francesca e l’uomo hanno già finito il loro amplesso, stanno rapidamente sparendo dal ponte, forse insoddisfatti. Rimaniamo in 6, le 3 donne sfinite però si coccolano tra di loro, riprendono a baciarsi dolcemente, sorridendo assieme con lo sguardo di chi sta solo aspettando nuovi amplessi.
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fraselfie · 4 years ago
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15 ottobre - Santa Teresa d’Avila - dottore della Chiesa «Scrittrice genialissima e feconda, maestra di vita spirituale, contemplativa incomparabile», la definì san Paolo VI il 27 settembre 1970, giorno in cui la proclamò Dottore della Chiesa (prima donna a ricevere il titolo). Santa Teresa di Gesù, o, dal nome del luogo di nascita, Teresa d’Avila (1515-1582), è stata una gigante di santità, protagonista della Riforma cattolica grazie a intuizioni e opere che nei secoli non hanno smesso di dare i loro frutti. «Teresa senza la grazia di Dio è una povera donna, con la grazia di Dio una forza, con la grazia di Dio e molti denari una potenza», diceva di sé la fondatrice dei Carmelitani Scalzi e di tanti nuovi monasteri. Era capace di coniugare la sua ricchissima spiritualità con il senso pratico, virtù che si rivelarono entrambe necessarie per compiere la missione a cui Dio la chiamò. #auguri #buononomastico #15ottobre #santateresadavila #dottoredellachiesa #santità #fraselfie #carmelitanescalze #vilovvo https://www.instagram.com/p/CGWwxa7ptrK/?igshid=10conho5pnnd0
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dpcmproject · 4 years ago
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“𝐂𝐢𝐚𝐨, 𝐀𝐦𝐨𝐫𝐞 𝐦𝐢𝐨. 𝐌𝐚𝐦𝐦𝐚 𝐯𝐚 𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐬𝐩𝐞𝐬𝐚, 𝐜𝐢 𝐯𝐞𝐝𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐝𝐨𝐩𝐨”.
Non ho memoria di cosa fosse il lockdown prima dell’arrivo di Río, il mio coinquilino. Forse un susseguirsi di momenti vuoti o forse no.Ricordo solo videochiamate, sigarette, qualche bicchiere di vino a pranzo e a cena. Disordine. Ricordo un’irrefrenabile voglia di contatto, di accudimento, di presa a carico. Non parlo di un partner, per l’amor di dio. Ho iniziato la mia esperienza di donna trentenne, single, libera professionista in partita iva, spostandomi di qualche chilometro (e di un Comune limitrofo) dalla casa dei miei genitori, che –periodo universitario a parte- mi ha cullata amorevolmente fino a gennaio 2020.Ho deciso di non aspettare tempi migliori, ma di devolvere tutti i miei risparmi nella buona causa della mia indipendenza, “Tanto il lavoro procede”, pensavo, “Si tratta di qualche sacrificio iniziale”. Avevo finalmente realizzato, dopo mesi, che il bisogno di andare a vivere da sola non era solo la ripicca verso l’ultimo stronzo che alla richiesta di venire a vivere con me mi rispose “Mh, non so” sparendo improvvisamente dai radar che neanche i servizi segreti sovietici. Stava ancora con la sua ex, forse lui non se lo ricordava, ma lei sì. Beh dunque, era assolutamente altro rispetto alla rivincita personale di questo fattaccio da “tutto mondo è paese”. Era il mio modo per dire a me stessa che il mio lavoro h24 avrebbe acquistato dignità e valore. Mi sarei stancata sì, ma la sera mi sarei sdraiata sul divano, guardando i documentari che mi piacciono e facendomi una doccia alle undici di sera. In casa dei miei genitori la doccia alle undici di sera era qualcosa di fortemente non condiviso. Un taboo. No alla doccia dopo cena e neanche alle banane e alle arance che si mangiano solo la mattina perché sono frutti “pesanti” e non ti fanno dormire bene. Bah. Dunque il 7 gennaio 2020 festeggio il mio meraviglioso compleanno da trentenne circondata da amici, affetto, gioia e musica, nella mia prima piccola casetta in affitto.Esattamente due mesi dopo mi ci ritrovo dentro, barricata e sola. Che poi sola è il termine sbagliato perché a me la solitudine, quella che somiglia più all’autonomia che alla tristezza, piace molto. Ricordo vagamente che mi trovavo ancora sdraiata sul divano ad alternare didattica online, lezioni di zumba ballata con i calzini antiscivolo –che ovviamente seguivo da discepola- e pasta fatta in casa. Avevo così tanta voglia di vedere il Porto Antico, Boccadasse e Via San Lorenzo che imparai a fare le trofie a mano. Senza stecchino. Tié. Fare le trofie a mano è un’esperienza che si misura tra il pigiare troppo forte e il pigiare troppo piano il tocchetto di pasta che si deve far scivolare sotto le mani. Solo alla pressione perfetta la trofia si arriccia e non si disfa più. Rimane soda e attorcigliata. Proprio quando finii di allenare il tatto e mi vennero quelle diecibarraventi trofie quasi perfette, mi resi conto di aver finito la pasta. “Scegliessi io, vorrei un gatto rosso e maschio”. Mi disse una voce che non pronuncia la “c” prima di una o fra due vocali e che dice “codesto” per dire “questo”, “tocco” per dire “l’una”, “costì” per dire “lì”.E che combina anche le stesse parole in frasi incomprensibili.“Ciao Ilenia. Abbiamo questo gattino in cerca di casa. La proprietaria abita nel tuo stesso Comune. Facci sapere se sei interessata”. Premetto che io non avessi gusti particolari in merito al gatto che avrei voluto accarezzare. Mi sarebbe andato bene in qualsiasi modo, di qualunque colore, razza e genere. Purché fosse gratis. Gli animali non si pagano e non si vendono. Scusate.Il mio futuro gatto, però, sarebbe stato maschio e rosso. La sera stessa avrebbe dormito con me. Era il 26 marzo e il gatto era nato il 2 febbraio mentre io mi trovavo a vedere i fenicotteri nella laguna Wwf di Orbetello con “codesto costì”. Una giornata già incredibile di per sé, ma che la diventò ancora di più quando, un mese e mezzo dopo scoprii della nascita di Río, il mio coinquilino. Nel 2011 l'alluvione mi portò Kengah, il mio primo grande amore, quello che così è e che per sempre sarà, quello che non si dimentica né si sostituisce (che tra l'altro fa sempre la bambina viziata a casa dei miei genitori, con mia sorella, baracche e burattini). Il 2020 mi ha portato Río (modalità consegna a domicilio express) in un periodo triste e complesso, facendomi una solenne promessa di salvezza emotiva e psicologica. Río è un fiume in piena (di quelli che non fanno male a nessuno) ed è grazie alla fertilità di pensiero che ha portato tra queste mura che oggi ho memoria di alcune riflessioni che mi hanno accompagnata in queste lunghe settimane di isolamento e che elenco, di seguito, senza la pretesa di essere capita. Ma chi l’ha detto che il senso di appartenenza è qualcosa di positivo? Io credo che il senso di appartenenza sia come la monogamia, realmente, non esiste e se esiste è crudele.Mi hanno detto che gli affetti veri non sono esclusivi. C’hanno ragione.Ho sofferto molto quando il 25 aprile mi sono svegliata e ho cantato “Bella ciao” senza le mura di Fosdinovo, l’odore di birra e i bambini che ballano le canzoni della Resistenza. Mio figlio andrà alla festa della Resistenza a Fosdinovo e ascolterà i musicisti comunisti. Sarà sporco di polvere da pavimento primaverile. Crescerà nella fascia intorno alla mamma, senza culla e avrà i piedi scalzi tutto l’anno. Sarà un donatore di abbracci, verso tutti, senza paura. Userà giochi di seconda mano, oppure nuovi, ma di legno. Sarà accarezzato da una zampa di pelo e avrà un nome semplice e pulito e limpido. A basso impatto anagrafico e ambientale. Avrà un orticello e una passione folle per i nonni. Ascolterà De André e percussioni africane da dentro la pancia della mamma ancora prima di assaggiare i ghiaccioli di frutta fresca che gli verranno offerti come merenda in estate.Non sopporto le etichette di carta adesiva appiccicate sopra qualsiasi oggetto dal quale non si staccheranno mai senza lasciare la colla, o peggio, pezzi di carta irregolare e colla.Esiste l’ora più bella, ne parlano tutti, è solo estiva e varia dalle 19 alle 20, vicino al mare.Bibi dice che dovremmo andare in una malga, pare che sia una specie di casa in montagna dove si vive di ciò che si produce. Senza sprechi. Vorrei dire a Bibi che ci sono delle malghe che fanno girare i miliardi e che sembrano resorts di Tenerife.Mi piacerebbe vedere, così solo per un saluto, il mio fidanzato storico che in bicicletta viene a salutare me e i miei genitori a casa nostra. Una domenica mattina. Peccato che io abbia cambiato casa. La natura è bella quando offre sentieri pari e all’ombra.Il sole è caldo, ma l’aria è fredda.Lo sapete che togliere il mare ai liguri vuol dire offenderli, violentarli, privarli della loro linfa vitale più nutriente di sempre? Che si fa senza orizzonte? Senza salmastro, senza la sabbia sotto i piedi. Non me lo dite “ma se vuoi ci puoi andare lo stesso, solo che..” perché con il mare questa storia non vale. Basta. Ci siamo stufati. Chi sceglie di chiudere il libero accesso al mare decide per la malattia fisica e psichica dei suoi concittadini. Peggio del Covid-19 e senza sintomi evidenti.Un nuovo vicino che arriva inaspettatamente e dopo averti salutata per la prima volta, ti chiede di condividere il wifi e la bolletta, va bene sì, ma anche meno.Ogni volta che compro il cibo per il mio coinquilino scelgo quello che piacerebbe a me: tonnetto e mango, pollo e papaya, orata e ananas, pesce azzurro con aloe, manzo e zucca, tacchino con verdure al vapore. Non mi pare che fino ad ora gli abbia fatto schifo.Vi prego, operatori Acam acque, ma se vi dico che la matricola del contatore non si legge più non mi rispondete “provi a pulire con un panno umido”.Meet, classroom, zoom, gmail nel 2030 saranno parole semiobsolete come “cellulare”, “playstation”, “posta elettronica” oggi. E nel frattempo io non voglio più sentirle uscire dalle vostre bocche.La didattica a distanza boh, ma è quasi finita la scuola.La maturità mah, ma tanto vanno all’università.I problemi famigliari boh, ma tanto mio marito riprende a lavorare full-time. La sanità, i ponti che crollano, mah, non sono stato io. Le aziende che falliscono, le commesse senza mascherina, la debolezza emotiva, le famiglie separate, i congiunti.Non sapete l’invasione di campo che ho provato quando ci hanno detto che “i congiunti” avrebbero potuto fare x cose. Mai nella mia vita ho etichettato le mie relazioni, di qualsiasi natura. Adesso una forza maggiore insinua che dovrei chiedermi se e con chi io sia congiunta. Río non sa rispondermi e “codesto costì” dice che queste domande fanno male. Fa male al cuore chiedersi chi sono i congiunti. Avanti, siamo nel 2020.Se voglio che vieni a trovarmi, te lo chiedo io.Ho concesso le chiavi di casa, ma mi sono state restituite.Se è domenica mattina, dormo.Siamo tutti innamorati di qualcuno, se non vi sentite appagati è perché siete un piano b.Ma noi, nella vita, abbiamo più bisogno di un partner o di veri momenti d’amore anche discontinui? Perché se la risposta giusta fosse la prima forse saremmo nati piccioni.Chi mi vuole bene senza seguire regole di buona condotta di solito mi piace di più.I giovani non hanno colpe, voi avete smesso di ascoltarli molto tempo fa.Ieri alla Coop misuravano a tutti la febbre, all’ingresso, con una specie di pistola giocattolo che ti mettevano proprio al centro della fronte. Ti ci abitui, ma la prima volta sembra un’esercitazione alla fucilazione di massa. Che schifo.Sto bene a casa mia. Da sola. Col gatto.“Quando hai tempo per me?” “Mai. Sennò te l’avrei già detto”.Vorrei anche un cane. Ma devo aspettare.Odio fare la spesa. Ma è l’unica cosa ci hanno lasciato fare. Sono carica anche oggi di borse, di consumismo e ho dimenticato di comprare le risposte.“Ciao Amore mio. Mi sei mancato tanto! Tutto bene a casa da solo?”. E Río aspetta i miei baci a pancia in su.
Grazie Ilenia !
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