Tumgik
#I libri sono ossigeno
scampoliditesto · 1 year
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L’Incompreso
Da ragazzo mi sentivo incompreso. Mi rendevo conto di dire spesso cose che non interessavano ai miei coetanei, oppure di ascoltare dischi che venivano rimossi dal piatto con una smorfia dolorante, come se l'ascoltatore si fosse schiacciato i coglioni sedendosi malamente sulla sella di un motorino truccato. Ma l'apice del disagio lo ho raggiunto tre anni fa nel reparto cessi di Villa. In pratica, ero lì con Laura e stavamo scegliendo il bidet per la casa nuova. Io facevo prove approfondite, mi accovacciavo sui sanitari esposti, li riposizionavo nello showroom, mimavo con la mano il gesto di portare il miscuglio di idrogeno e ossigeno verso il culo sagomato da anni di libri e videogiochi. «Ho il femore troppo lungo!» dicevo a Laura. «Ci cacciano via!» ringhiava, malcelando l'imbarazzo in una smorfia divertita. Allora io mimavo con l'indice destro la distanza tra muro e ano, non credo ci sia un termine tecnico, una quota standardizzata vitruviana, insomma, introducevo questa misura a supporto del fatto che avessi le gambe troppo lunghe e che, quindi, da seduto parte del culo sarebbe uscita dal bidet. «Lo voglio stondato e attaccato al muro: fa cagare ovale e con i tubi a vista.» Questa era la risposta che ottenevo in cambio di complessi ragionamenti trigonogometri. E quindi dicevo che no, lo spazio non si può comprimere, cioè magari si può andando alla velocità della luce, però, ecco, non è che per lavarmi il culo io possa ogni volta compiere un salto nell'iperspazio. E dopo discussioni estenuanti, una specie di trattativa tra lei, signora, e io, ambulante affaticato sotto il sole, la spunto. La spunto sulla forma ma il prezzo da pagare è quello di scegliere un bidet che aderisca perfettamente al muro e non lasci intravvedere all'occhio umano tubi, manicotti e leveraggi.
E insomma, racconto questo per dire che oggi mi sono fatto il bidet e dopo che ho finito, tiro la levetta per far defluire l'acqua e si rompe. Tuc. Tuc, fa l'asticella cromata e io la guardo mentre sono seduto a cavalcioni del trabicolo di porcellana. Fisso il muro, poi il pernetto, e infine abbasso lo sguardo e vedo il piccolo specchio d'acqua sotto le mie cosce. Quindi mi alzo, impreco e comincio ad aggeggiare con le dita sul tappo per provare a rimuoverlo dalla sua sede, sede rifinita in maniera millimetrica, nemmeno fosse l'ingranaggio di un Rolex. Dopo dieci minuti mi arrendo. Mi arrendo e corro in cucina. Apro un cassetto ed acchiappo un coltello e torno nel bagno con la speranza di poter usare la lama per far leva sul tappo. Mi tuffo nell'acqua ma l'acciaio è troppo spesso: non ci passa. Il tappo rimane al suo posto, fiero del suo ruolo, una specie di oligarca in un mondo di porcellana e sa-la-madonna quali resti della mia umana ingegneria.
Dopo aver provato una teoria di oggetti, cito a memoria, un cacciavite, uno stuzzicadenti, la lama di un cutter e la tessera della Coop, mi cade l'occhio verso il lavandino. Vedo la soluzione. La vedo e mi compiaccio, addirittura ringrazio dio di avermi fatto scienziato, di avermi donato la possibilità di avere idee utili per tutti tranne che per me stesso. Glu, glu, glu. L'acqua defluisce! Acchiappo con due dita il pistone che dovrebbe alzare il tappo e dare una via di fuga all'acqua e lo tiro. Basta pochissimo e tutto ritorna a funzionare per la gioia del Signor Pozzi e del suo socio Ginori.
Esattamente quattordici ore dopo, sono seduto al Mac che lavoro. È tardi, non so più cosa fare per arginare le scadenze, in pratica sono assorbito dal fallimento professionale quando sento urlare. «Carolina, lavati i denti!» sbraita Laura. «Non posso!» «L-a-v-a-i-d-e-n-t-i!» «Ma come faccio?» urla l'Exogino con parte del mio DNA. «Ho detto che ti devi lavare i denti!» «Non trovo lo spazzolino.» E quindi inizia una rissa madre e figlia, una roba tipo tour dei Genesis quando Phil Colins e Bill Bruford se le suonano sulle note di The Cinema Show. Laura usa l'arma finale: «Adesso viene tuo padre!» Mi alzo sapendo che, ogni volta che vengo invocato, la mia autorevolezza diminuisce, come se il mio essere padre fosse regolato da un'immaginaria barra di energia che niente e nessuno può ricaricare. 
Effettivamente, Carolina ha ragione. Mentre mi gratto il mento ammetto, facendo finta di niente, che lo spazzolino non è più disponibile. «Più?» dice Laura «Più,» dico io. Per chiudere subito la questione, dico che aveva le setole rovinate, anzi, rincaro la dose e aggiungo che bisogna insegnare a nostra figlia a non masticare lo spazzolino. Ma Laura dice che era nuovo, che era diventata scema a trovarlo a forma di giraffa azzurra. «Lo avevo lasciato appiccicato allo specchio, pa'» dice mia figlia. «Proprio qua,» fa Laura indicando l'alone circolare. Mi vedo riflesso nello specchio e capisco di essere spacciato. Ma poco prima di darmi per vinto, mi ricordo di un tizio con cui ho lavorato. Mi ripeteva sempre: "Luca, bisogna sempre dire la verità, perché la verità può essere aggiustata." Allora "aggiusto" il corso degli eventi e, guardando madre e figlia, dico che è successo un incidente e che ho dovuto buttare via il simpatico dispositivo odontoiatrico dotato di ventosa. «Sei un mostro» urla Carolina. «Sei impazzito?» fa coro Laura.
Balbetto e dopo qualche istante ammetto che mi serviva per risolvere un'incomprensione del passato. E quindi spiego alla mia famiglia che non riuscivo a stappare il bidet e che ho usato la ventosa piazzata sul culo dello spazzolino per afferrare il tappo sepolto da acqua e residui pubici. Dico che lo ho fatto a fin di bene, insomma, che lo ho fatto solo nella speranza di tirare via il tappo dalla sede, dalla sua cuccia pure troppo perfetta per quanto ci è costata. «Domani risolvi questa storia» dice Laura. «Come sempre,» dico io mentre vedo madre e figlia che si allontanano senza salutare.
La mattina successiva, giro mezza Genova per cercare uno spazzolino con ventosa. Alla fine lo trovo e, anche se costa una cifra folle, lo pago e lo porto a casa. «Non mi piace,» fa Carolina e aggiunge «ormai sono grande, uso questo» e intanto brandisce un affare di plastica con sopra scritto OralB. Allora ripongo lo spazzolino nel posto segreto dove tengo il mio senso di incomprensione e tutti gli aggeggi che mi ricordano che, alla fine, ho sempre ragione.
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libero-de-mente · 7 months
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Ho un sogno
Non mi serve chiudere gli occhi per immaginarti, lo posso fare benissimo anche a occhi aperti.
Sogno il tuo sorriso. Sono così indifeso davanti a un tuo sorriso.
Quello di quando sei felice, ti si illuminano anche gli occhi, però mi ricordo anche quello di circostanza, mentre dentro sei sull'orlo di un precipizio.
Penso alle tue mani, alla sensibilità che sta nei loro palmi fino alle punte delle dita. Al fatto che cercando di intrecciare le tue mani con le mie, creavi una protezione per entrambi. La parte sensibile all'interno, il dorso delle mani all'esterno.
Serbo gelosamente il ricordo dei tuoi occhi. Ho letto molti libri, fino alla fine per poi riporli su uno scaffale, ma non riesco mai a smettere di leggere i tuoi occhi. Come ho visto molti cieli, molte stelle, ma non ho mai trovato qualcosa che potesse avvicinarsi a quello che vedo nei tuoi occhi.
Sono rimasto impresso dalla tua mente, il tuo pensiero. Quando metti in mostra il tuo cervello non c'è corpo che tenga. Lo spessore che dimostri di avere è incredibile, arrivi con i tuoi ragionamenti a grandi profondità, dove il mio cervello non ci arriva per mancanza di ossigeno. Dovendo risalire nella superficialità per "respirare".
Ammetto che il tuo corpo lo guardo, quando vuoi essere osservata. Quando lo permetti. Non ho mai visto nulla di così interessante in tutto il creato. Ho visto paesaggi mozzafiato, panorami spettacolari.
Ma insenature, rilievi, foreste, mari e laghi non mi hanno mai lasciato a bocca aperta come l'ammirare il tuo corpo.
Sei stata tante cose in vita, ti ho visto da giovane e poi crescere. Sei stata anche figlia, a volte senza genitori, sei stata anche madre, a volte senza figli, sei stata anche compagna, a volte in solitudine.
Ti hanno messo in condizioni d'inferiorità, ma hai lottato. Ti hanno inflitto umiliazioni, ma hai reagito. Hai raggiunto i vertici della scala sociale, spesso sapendo mantenere l'umiltà imparata nella sofferenza.
Non chiudo gli occhi per ricordarti, basta tenerli aperti e ti vedo. Ovunque tu sia, ovunque io mi trovi.
Perché al mondo ci sono davvero tante Donne. Io sono contento di vivere in un mondo deve esisti tu Donna, che rendi la vita una cosa meravigliosa.
Ho un sogno, quello di non doverti vedere più manifestare per ottenere un diritto, una Legge che ti protegga oppure difendere le tue scelte di vita.
Questo è un mio sogno. Da uomo sarò al tuo fianco.
Dedicato in particolare a donne che non ci sono più, a quelle che subiscono violenze in paesi dove sono merce di scambio, a quelle che imbracciano un fucile per la loro libertà e a quelle sfruttate come carne da macello. Che un giorno tutto questo finisca.
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klimt7 · 1 year
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OMAGGIO A
CLAUDIO LOLLI
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A quasi cinque anni dalla morte, [17 agosto 2018], sento la necessità di ricordare questo cantautore bolognese, che ha goduto, in vita, della stima e dell'apprezzamento solo di pochissimi, che hanno saputo scorgere la grandezza di questo poliedrico e imprevedibile artista-poeta-compositore, e negli ultimi anni perfino "scrittore".
Lo voglio ricordare tramite i suoi brani che più mi coinvolgono e che, sento più vicini al mio modo di osservare le cose, le persone, le situazioni.
🙏
Analfabetizzazione
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TESTO :
La mia madre io, io l'ho chiamata sasso
perché fosse duratura sì
ma non viva.
E i miei amici li ho chiamati piedi
perché ero felice solo
quando si partiva.
Ed il mio mare io, l'ho chiamato cielo
perché le mie onde arrivavano
troppo lontano.
Ed il mio cielo l'ho chiamato cuore,
perché mi piaceva toccarci dentro il sole
con la mano....
Non ho mai avuto
un alfabeto tranquillo, servile,
le pagine le giravo sempre con il fuoco.
Nessun maestro
è stato mai talmente bravo
da respirarsi il mio ossigeno
ed il mio gioco..
Ed il lavoro l'ho chiamato piacere,
perché la semantica o è violenza
oppure è un'opinione.
Ma non è colpa mia,
non saltatemi addosso,
se la mia voglia di libertà oggi
è anche bisogno di confusione.
Ed il piacere l'ho chiamato dovere
perché la primavera
mi scoppiava dentro come una carezza.
Fondere, confondere, rifondere
infine rifondare l'alfabeto della vita
sulle pietre di miele della bellezza..
Ed il potere,
nella sua immensa intelligenza
nella sua complessità
non mi ha mai commosso
con la sua solitudine
non l'ho mai salutato come tale.
Però ha raccolto la sfida,
con molta eleganza e molta sicurezza,
da quando ho chiamato prigione,
la sua felicità...
Ed il potere da quel giorno m'insegue
con le sue scarpe chiodate di paure.
M'insegue sulle sue montagne,
quelle montagne che io
chiamo pianure.
Anna di Francia
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Viaggio
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Notte americana
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Folkstudio
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Vite Artificiali
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Certe volte ho le vertigini
Di notte o di mattina, ma
non c'è tempo di voltarsi
Certe volte sento battere
Il mio cuore troppo forte, ma
non c'è modo di ascoltarsi
Certe volte le parole sono troppe
Sono vite artificiali, ma
Non ci son segni da farsi
Fra i tuoi libri, i tuoi squilibri
I tuoi equilibri, dio...
che fatica organizzarsi
Tra le vite artificiali
E le morti naturali, noi
non è facile salvarsi
Ma lo senti questo flauto
Che respira col tuo corpo, noi
È un modo di chiamarsi
Certe volte faccio sogni tanto brutti
Che non so se sono sveglio, ma
non c'è tempo di svegliarsi
Certe volte piove veramente troppo
Tutto il giorno, ma
Non c'è modo di bagnarsi
Certe volte mi ricordo
Tutto quello che mi hai dato, ma
Come fare a ricordarsi ?
Certe volte mi addormento
Anche da sveglio guardo, sento, ma
Che fatica addormentarsi
Tra le vite artificiali
E le morti naturali, noi
Non è facile salvarsi
Ma lo senti questo flauto
Che respira nel tuo corpo, noi
È un modo di chiamarsi
Tra le vite artificiali
E le morti naturali, noi
Non è facile salvarsi
Ma lo senti questo flauto
Che respira nel tuo corpo, noi
È un modo di chiamarsi.
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hjdem · 17 years
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Come un romanzo
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Ed eccolo lì, l'adolescente recluso nella sua stanza, davanti a un libro che non legge. Tutti i suoi desideri di essere altrove creano uno schermo oscuro tra lui e le pagine aperte che confonde i confini. È seduto davanti alla finestra, la porta chiusa alle sue spalle. Pagina 48. Non osa contare le ore trascorse a raggiungere questa quarantottesima pagina. Il libro ne contiene esattamente quattrocentoquarantasei. Potresti anche dire cinquecento. 500 pagine! Se ci fossero dialoghi, ancora una volta. Tu parli! Pagine piene di righe compresse tra margini minuscoli, paragrafi neri impilati uno sull'altro e, qua e là, la carità di un dialogo – un trattino, come un'oasi, che indica che un personaggio parla con un altro personaggio. Ma l'altro non gli risponde. Segue un blocco di dodici pagine! Dodici pagine di inchiostro nero! Manca l'aria! Ooh, manca l'aria! Santo cielo! Giura. Mi dispiace, ma giura. Un libro dannatamente stupido, dannatamente stupido! Pagina quarantotto... Se solo si ricordasse il contenuto di queste prime quarantasette pagine! Non osa nemmeno porsi la domanda – che inevitabilmente gli verrà posta. La notte invernale è scesa. Dal fondo della casa gli giunge il nominativo del telegiornale. Manca ancora mezz'ora prima di cena. È straordinariamente compatto, un libro. Non si lascia indebolire. Sembra anche che bruci con difficoltà. Neppure il fuoco può insinuarsi tra le pagine. Mancanza di ossigeno. Tutti pensieri che fa in disparte. E i suoi margini sono immensi. È spesso, è compatto, è denso, è un oggetto contundente, un libro. Pagina quarantotto o centoquarantotto, qual è la differenza? Il paesaggio è lo stesso. Vede le labbra dell'insegnante pronunciare nuovamente il titolo. Sente la domanda unanime dei suoi amici:
- Quante pagine?
- Tre o quattrocento...
(Bugiardo…)
- Quando è?
L’annuncio della fatidica data scatena un coro di proteste:
- Quindici giorni? Quattrocento pagine (cinquecento) da leggere in due settimane! Ma non ci arriveremo mai, signore!
Il signore non negozia.
Un libro è un oggetto contundente ed è un blocco di eternità. È la materializzazione della noia. È il libro. “Il libro”. Non lo chiama mai diversamente nelle sue dissertazioni: il libro, un libro, i libri, libri.
“Nel suo libro Les Pensées, Pascal ci dice che…”
La maestra protesta in rosso che questo non è il nome corretto, che bisogna parlare di un romanzo, di un saggio, di una raccolta di racconti, di un libretto di poesie, che la parola "libro", in sé, nella sua capacità di designare tutto non dice niente di preciso, che un elenco telefonico è un libro, proprio come un dizionario, una guida blu, un album di francobolli, un libro dei conti...
Niente da fare, la parola si imporrà nuovamente sulla sua penna nella sua prossima tesi:
“Nel suo libro Madame de Bovary, Flaubert ci dice che…”
Perché, dal punto di vista della sua attuale solitudine, un libro è un libro. E ogni libro pesa il suo peso enciclopedico, di questa enciclopedia con copertina rigida, per esempio, i cui volumi prima facevamo scivolare sotto il sedere di nostro figlio in modo che fosse all'altezza del tavolo familiare.
E il peso di ogni chilo è quello che ti tira giù. Prima si è seduto relativamente leggero sulla sedia: la leggerezza delle risoluzioni prese. Ma dopo poche pagine si sentì invaso da quella pesantezza dolorosamente familiare, il peso del libro, il peso della noia, il peso insopportabile dello sforzo incompiuto.
Le sue palpebre gli dicono dell'imminenza del naufragio.
La trappola di pagina 48 ha aperto una via d'acqua sotto la sua linea di risoluzioni.
Il libro lo attira.
Stanno affondando.
Daniel Pennac
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peytonblackstar · 2 months
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· · ⠀⠀���⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀         ⤹         𝐩𝐞𝐲𝐭𝐨𝐧 𝐛𝐞𝐥𝐥𝐢𝐧𝐠𝐞𝐫 ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀ ⠀ ‧‧‧‧  ᴍᴏᴍᴇɴᴛ › ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀ manhattan, ny ‧‧‧ 04.08.2024               ─── ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Silenzio. Una quiete che non aveva alcuna relazione con il senso di tranquillità ma che si accompagna ad una sensazione crescente di inquietudine. Sentiva il cuore battere contro la propria cassa toracica come un tamburo impazzito, ma ad ogni passo avanzava. Lentamente. Sensazioni contrastanti avevano preso vita nell'animo della italo americana. Sentiva il senso di responsabilità incedere ad ogni possibile sentimento di debolezza, eppure la paura era tanto forte da manifestarsi con un respiro accelerato, con quelle mani non si riuscivano a fermare nemmeno per un momento. Aveva paura, paura di non essere abbastanza per quella piccola donna che ora doveva affrontare un nuovo ostacolo, eppure dietro quel sorriso sempre presente della più piccola dei Bellinger, si nascondeva una giovane donna con una forza straordinaria. Il linoleum dell'ospedale attutiva i suoi passi, uno dopo l'altro, come se dovesse fare ancor meno rumore mentre s'avvicinava alla stanza della sorella. Osservava rapita il gioco dei raggi solari alternarsi sul pavimento creando un gioco di luci, colpevolizzandosi, ancora una volta, di essere arrivata in ritardo. Aveva conosciuto la dottoressa che avrebbe seguito in questo percorso, sapeva che sarebbero state buone mani a curarla, dunque perché quella paura? Sentì il peso di tutte quelle parole che suo padre le aveva rivolto, il senso di responsabilità che aveva sempre compiuto in favore della sua famiglia, ma nessuno mai aveva detto quanto fosse grande il dolore nel presentarsi sempre al meglio. Si ritrovò così a socchiudere gli occhi per un momento, incamerare quanto più ossigeno possibile nei propri polmoni e mostrò il suo sorriso più comprensivo, quello che Piper aveva sempre definito da chioccia. ㅤㅤㅤㅤㅤㅤ   ᴘᴇʏᴛᴏɴ ᴠɪʀɢɪɴɪᴀ  « Passeranno anni e anni, ed io ti guarderò sempre come la mia sorellina, da proteggere, da amare, da sostenere nel più genuino dei modi. Non guardarmi così, non sono pronta per le lacrime, non oggi. Ci sono stati momenti in cui ho avuto paura, tanta paura a dire il vero, ma vederti, vedere i tuoi grandi occhi marroni e il tuo volto… E sì, sono in modalità chioccia. Tulipani, peluche da abbracciare e una serie infinita di libri e telefilm da divorare. Perché non importa quale ostacolo stai affrontando sorellina, tu non sarai mai sola… » ㅤㅤㅤㅤㅤㅤ Il sorriso genuino sulle labbra della sorella maggiore raggiunse gli occhi, costringendola a portare la punta del dito indice all'angolo degli occhi. Sentiva il cuore battere sempre più forte, pompare più sangue del dovuto, eppure avanzò all'interno della stanza con sicurezza, lasciandosi alle spalle ogni paura, ogni timore per fare spazio al conforto e al più bello degli affetti, quello tra sorelle.
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tarditardi · 4 months
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Racconti di Mare e Tradizioni: Il Nuovo Libro di Beppe Convertini
Beppe Convertini, noto conduttore di "Uno Mattina In Famiglia", programma del weekend che ottiene ascolti da record su Rai 1 e attore di fiction, spettacoli teatrali, programmi tv, radio e cinema, ha scritto il suo quarto libro.
Il suo nuovo libro "Il Paese Azzurro" è appena stato pubblicato da RAI Libri, e ci invita a scoprire le coste italiane e il nostro affascinante mare.
Cosa racconti in questo libro?
«"Il Paese Azzurro" è la narrazione dei luoghi che ho visitato viaggiando per l'Italia da nord a sud. Un viaggio nelle tradizioni, usi e costumi, riscoprendo mestieri antichi e tradizioni secolari, assaporando le eccellenze enogastronomiche e ammirando le bellezze paesaggistiche, artistiche, culturali e storiche del nostro Paese, il più bello al mondo. È un viaggio speciale lungo le nostre coste, in cui racconto anche la ricchezza umana delle Italiane e degli Italiani, con la loro generosità, ospitalità e amore per la nostra patria! Visito soprattutto i borghi marinari che non rientrano negli itinerari turistici classici, autentici gioielli preziosi da scoprire».
È una dedica al mare?
«Certamente, perché è l'elemento che mi dona pace interiore. Immergere la testa nell'acqua per me significa allontanare i cattivi pensieri, solo vedere e sentire le onde che si infrangono mi rilassa! Racconti, aneddoti, consigli per scoprire o riscoprire Gaeta e Taranto, Maratea e la Versilia, le Cinque Terre, la Laguna veneta e altre splendide località. Un'esplorazione nel segno dell'azzurro, di quel mare che è una risorsa inesauribile per il nostro Paese. Mi sono immerso in molti mari, scoprendo fondali incredibilmente belli e unici. Il mare è davvero essenziale per noi esseri umani e per il nostro pianeta».
Qual è il luogo di mare che ti ha colpito di più?
«È impossibile elencare tutti i luoghi affascinanti che ho visitato in Italia, ma tra questi, la baia di San Fruttuoso, in Liguria, è una vera perla con un mare spettacolare. Alicudi, gioiello delle Eolie in Sicilia, la più selvaggia tra le sette sorelle, dove la vita scorre lentamente, a contatto con la natura, come se il tempo si fosse fermato. Palmarola, nel Lazio, con il suo contrasto tra il verde del mare, l'azzurro del cielo e i colori delle rocce vulcaniche, un piccolo lembo di terra frequentato soprattutto d'estate, perlopiù dai Ponzesi che vi si rifugiano quando la loro isola viene invasa dai turisti. L'isola più selvaggia ed esotica dell'arcipelago Pontino. Infine, in Campania, Ischia, l'isola verde dove racconto la festa del mare agli scogli di Sant'Anna, la più importante dell'isola, molto sentita da tutti gli ischitani. Organizzata dai pescatori, si tiene ogni anno il 26 luglio nella baia di Cartaromana e inizia con una sfilata di imbarcazioni allegoriche, tutte decorate a festa, sulle quali viene portata in processione la statua della Santa. E Procida, piccola gemma del Mediterraneo, che ha ispirato quadri, libri, il più famoso "L'Isola di Arturo" di Elsa Morante, e film come "Il Postino" capolavoro di Massimo Troisi, di cui sarà celebrato il trentennale a settembre, al Procida Film Fest 2024».
Cosa si può fare per sensibilizzare sul rispetto per il mare?
«Il mare è una risorsa preziosa. Gli elementi inquinanti prodotti dall'uomo che finiscono in mare sono pesticidi, erbicidi, concimi, detersivi, petrolio, prodotti chimici industriali e acque reflue. Bisognerebbe coinvolgere tutti su tematiche fondamentali e farli partecipi nella pratica quotidiana: non gettare per terra i mozziconi di sigaretta, limitare il consumo e riciclare la plastica, preferire imballaggi di carta e materiale ecologico, avere un regime alimentare sano, ridurre le emissioni di anidride carbonica e sempre pulire le spiagge. Il mare è fonte di cibo, regola il clima, produce ossigeno».
Da molti anni sei un volto noto della tv. C'è un programma che vorresti condurre?
«Sono molto soddisfatto di condurre ogni fine settimana "Uno Mattina In Famiglia" su Rai 1, sotto la guida del Maestro Michele Guardì. Ringrazio la Rai e il direttore del daytime Angelo Mellone, che mi ha dato la possibilità di condurre programmi legati al territorio. Viaggiando, ho avuto modo di visitare tanti posti meravigliosi in ogni angolo di questa penisola. Il mio desiderio è continuare a scoprire il nostro Belpaese, raccontandone emozioni e suggestioni nei miei libri "Paesi Miei" e "Il Paese Azzurro", edizioni Rai Libri».
Sei sempre in viaggio. Cosa consigli per un viaggio perfetto?
«Non esiste il viaggio perfetto, esiste il viaggio fatto con il cuore. Con il mio libro "Il Paese Azzurro" potete prendere spunto per una bella gita fuori porta nel fine settimana o per una vacanza in alcuni dei luoghi più belli al mondo rimanendo nel nostro meraviglioso Paese».
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allecram-me · 4 months
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Prospettiva di oggi, #152
Lo sconforto, mia signora, ecco cosa abita queste relazioni.
Mi sono rifugiata come so fare nel castello incantato delle mie stanze e dei libri cui avevo dimenticato di poter attingere, ma paradossalmente da qui il mondo appare più grosso e tronfio di quello che sembra a respirarci dentro, è sempre così: più ne esci e meno ne governi gli effetti, ed ho sempre avuto il terrore dei primi minuti in cui, partita la musica, si deve ballare senza ancora poter fare affidamento sull’inerzia. L’inerzia, psicologicamente, non piace a nessuno, ma non posso pensarla come il peggiore destino possibile. Il peggiore destino possibile è passare altri cinque anni ad essere trattata come una ragazzina nel contesto di un lavoro nel quale, a dire il vero, sono iper-responsabilizzata e, comunque, me la cavo magnificamente. Nonostante i morti, i feriti, i traslochi e la mia compagna inafferrabile, la depressione che magari ad un certo punto mi convincerà finalmente a morire o a salvarmi, che è la stessa cosa.
Quindi, meglio l’inerzia della crisi, osservare la paura che mi fa ballare senza prendere a farlo, o senza smettere di non farlo. Se devo funzionare benissimo, almeno datemi uno scettro. Non dico un regno, ma la possibilità di piantare in santa pace entro lo steccato scheggiato del mio povero giardino. È che si dimenticano che dobbiamo morire, o non pensano ad altro. È che proprio non si accorgono che è la stessa identica cosa.
Al momento sono giusto un po’ schiacciata dagli eventi, quindi mi accorgo di non essere lucida, ma sono anche certa di accorgermene davvero solo io. Non ho un piano, nessuna tattica. Pensano che ce l’abbia ed invece semplicemente affronto la scarsità di ossigeno delle quattro del mattino come la fine del terzo romanzo fantastico in due giorni, e quella del capitolo 3 della mia Orritesi. Odio me stessa e mi compatisco profondamente per quello che sono, ed il punto è che faccio davvero entrambe le cose nonostante, diciamolo, in questo caso non si può dire che siano la stessa cosa. Ecco cosa di me confonde, e forse anche il motivo per cui piaccio a molti. Non so proprio che cazzo stia facendo.
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keikko · 7 months
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Catastrofi Innocenti #1
Si svegliò con i capelli sul viso, il braccio formicolante e il bacio ancora stampato in bocca. Ripensando alla sera precedente Fiamma arrossì e spinse la faccia contro il cuscino, emettendo un mezzo verso decisamente imbarazzante. Pensò a lei, Andrea. Oh. Strizzò gli occhi e trattenne un sospiro. C'era una sensazione strana nel suo stomaco, un bollore incerto nel petto e una leggera trazione nel respiro che per un attimo la confusero spingendola a chiedersi, per dio, perché sentiva l'ansia di domenica mattina, per l'appunto quando era ancora a letto?, ma subito dopo si accorse che non pareva tanto la tipica ansia, quella che le strisciava dentro al ventre lasciando una traccia fredda e pungente lungo il suo cammino, quella che lentamente masticava un buco sul torace e le strizzava i polmoni- no, questa sensazione era diversa. Fiamma si girò di schiena e si toccò il petto guardando il soffitto sporco. Un solletichio leggero, quasi timido, le scaldava lo stomaco. Prese un boccone d'aria confusa e per un attimo chiuse gli occhi non aspettandosi l'apparirsi di un ricordo della sera prima. Sentì il bollore sul viso e si trattenne dallo sfregarsi vigorosamente la faccia in un ingenuo tentativo di cacciare l'imbarazzo. Guardò l'orologio vide che erano le 6:40 e scappò in bagno. Allo specchio si dette una calmata, minacciò di tirarsi uno o anche due schiaffi e si lavò i denti, giusto per frenare qualche sorrisino o, anche peggio, un sussulto di eccitazione. Basta. Entrò in doccia, detestandosi un attimo dopo che l'acqua fredda ebbe colpito il suo corpo e guardando con rimpianto il bidet perfettamente funzionale e igenico come strumento di lavaggio intimo giornaliero. Sospirò e tremando si lasciò scorrere l'acqua gelida sulle spalle, affidandosi agli automatismi della routine quotidiana per pulirsi, vestirsi e fare colazione. In venti minuti era fuori di casa, in mezzo agli alberi ancora parzialmente verdi che vantavano qua e là qualche foglia gialla e rossa. Ogni volta che sbatteva le palpebre vedeva di fronte a sé un'immagine diversa della sera prima, e ogni volta doveva fare un respiro profondo e riempirsi i polmoni di ossigeno per riprendersi. Continuava a ripetersi di mettere una gamba avanti dopo l'altra e mantenere il passo, e tenere gli occhi bene aperti per non sbagliare strada, quella che percorreva ogni giorno per nove mesi da quasi cinque anni e che non si collegava a nessun altro percorso, tanto che pareva ridicola con gli occhi sgranati e il passo meccanico, come uno schiaccianoci, ma per fortuna, pensava, quella strada era difficilmente transitata. Alle sette del mattino la salita verso scuola non le era pesante e sentiva, guardando all'orizzonte il sole illuminare la valle, la brezza leggera sulla schiena che la spingeva verso l'alto, agevolandola in un cammino carico di libri inutili e un dizionario di greco. Lo zaino stava per cederle addosso, minacciando con un suono terribile di spargere i libri da Fiamma meticolosamente posizionati al suo interno su tutto il selciato. Fiamma temette per un attimo che quella catastrofe fosse pericolosamente vicina quella mattina e affrettò il passo piegando un braccio dietro la schiena a tenere lo zaino insieme. A quel punto le squillò il telefono. Rispose salutando la mamma e dicendole che era già partita, che no non aveva fatto colazione ma non aveva fame, che sarebbe tornata subito a casa dopo che avrebbe finito e che le voleva bene anche lei. Attaccò e tentò di infilare il cellulare nella tasca posteriore dei jeans in movimento. Arrivò a scuola e non c'era ancora nessuno, quindi si appoggiò su un muretto e tirò di nuovo fuori il cellulare.
Ci sono.
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scoordinatamente · 10 months
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LA NOTTE DEI PERCHE'...
La chiamammo "la notte dei perché", e la passammo in bianco, seduti sul letto a fissarci negli occhi e a chiederci un milione di perché.
Perché eravamo ancora insieme, perché avevamo deciso di andare contro tutto e tutti, e perché il nostro stare insieme era perennemente in debito di ossigeno.
E poi una miriade di altre domande senza risposta.
Dal crepuscolo all'alba, senza nemmeno un secondo di pausa, come due giocatori di scacchi davanti alla partita del secolo.
Ripercorriamo a ritroso tutto quanto: scelte azzeccate e errori grossolani, come due torri (gemelle) messe una di fianco all'altra a confronto.
La verità che noi due non eravamo affatto "torri gemelle", quanto piuttosto un grattacielo e una casetta, oppure un giocatore di basket e un piccoletto incapaci di guardarsi negli occhi senza farsi male al collo.
Partimmo dal principio, da quando due sconosciuti si erano trovati sullo stesso treno, uno di fronte all'altra, mentre il solito disguido stava facendo fare tardi a entrambi.
Due anime sole e incapaci di trovare il tempo da dedicare a se stesse, troppo impegnate a investire la risorsa più preziosa in qualcosa capace di compiacere (solo) gli altri.
Già, il lavoro.
Una brutta bestia, soprattutto se vissuta come una corsa a ostacoli.
Anche se in realtà, il percorso professionale lo era davvero una competizione piena di trabocchetti, sempre pronta a farti lo sgambetto alla prima distrazione.
Anche se per noi lavorare era molto di più.
Un modo per dire: "Ehi! Guardate che ci sono anch'io".
Perché al di fuori delle quattro mura dell'ufficio, "gli altri" non si aspettavano granché da tizi come noi.
Come se il nostro "sistemato operativo" prevedesse grandi cose solo davanti al monitor di un computer, oppure con un telefono incollato all'orecchio.
Quella mattina, quella dopo la notte dei perché, ci svegliammo presto, con le prime luce dell'alba che filtravano a fatica tra le persiane.
Avevo dormito meno di un'ora e mi sentivo a pezzi.
Mi tirai su dal letto e, un attimo più tardi, si alzò anche lei.
Non dicemmo una parola, timorosi di non saper fare altro che aggiungere un nuovo "perché" alla discussione.
Filai dritto in bagno con lei in scia, comunque a distanza di sicurezza.
E quando mi trovai davanti la mia faccia, non un bello spettacolo per la verità, rimasi immobile e scrutare i miei occhi stanchi e i pochi capelli, ma soprattutto gli anni che sembravano gravare su di me come macigni.
Poi lei si appoggiò a me, come fosse alla ricerca di un sostegno, e mi sfiorò la schiena con le labbra.
In quel preciso istante capii che "i perché" non contavano nulla, e che voler dare a tutti i costi risposte non aveva alcun senso.
Erano le domande il problema.
Così, senza pensarci, disegnai sullo specchio due punti interrogativi, uno di fronte all'altro, faccia a faccia.
E mi accorsi che quelle due domande non erano altro che le due metà di un cuore.
Il nostro.
Sì perché noi due, in realtà, "eravamo uno", uno per sempre.
E non c'era altra possibilità, altro modo e soprattutto altro motivo per mandare tutto quanto all'aria.
Mi girai verso di lei e la strinsi forte.
E lei ricambiò il mio abbraccio, come se non aspettasse altro.
- Perché noi? - disse.
Io scossi la testa e chiusi gli occhi. - Noi - sussurrai.
Sentii il rubinetto aprirsi e l'acqua scorrere, e poco dopo il vapore riempì il bagno.
E il nostro cuore divenne sempre più vivo e presente.
Uno, per sempre.
(Illustrazione by Yuval Robichek)
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scienza-magia · 1 year
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Consigli pratici per avere un cervello in forma
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Consigli per mantenere il cervello attivo: Strategie efficaci per stimolare la salute cognitiva a lungo termine. Il cervello è uno straordinario organo che guida tutte le funzioni del nostro corpo e ci permette di interagire con il mondo che ci circonda. Mantenere il cervello attivo e in salute è fondamentale per preservare le funzioni cognitive, la memoria e la capacità di apprendimento nel corso della vita. In questo articolo, esploreremo approfonditamente una serie di consigli pratici e strategie efficaci per stimolare e mantenere attivo il cervello, migliorando così la qualità della vita e riducendo il rischio di problemi cognitivi legati all’invecchiamento. L’importanza di un cervello attivo nel corso della vita Il cervello è il centro nevralgico del nostro sistema nervoso e svolge un ruolo fondamentale nel regolare tutte le funzioni del nostro corpo, comprese le attività cognitive come la memoria, l’attenzione, il ragionamento e la capacità di problem-solving. Mantenere il cervello attivo è cruciale per garantire il suo corretto funzionamento e prevenire il declino cognitivo associato all’invecchiamento. Esercizio fisico regolare per un cervello attivo e in forma L’esercizio fisico regolare non solo favorisce la salute del nostro corpo, ma anche quella del cervello. L’attività fisica stimola la circolazione sanguigna e aumenta l’apporto di ossigeno e nutrienti al cervello, promuovendo la crescita di nuove cellule cerebrali e la formazione di nuove connessioni neurali. Inoltre, l’esercizio fisico favorisce la produzione di sostanze chimiche benefiche per il cervello, come le endorfine, che migliorano l’umore e riducono lo stress. Scegli un’attività fisica che ti piace, come camminare, nuotare, ballare o praticare uno sport, e cerca di dedicarle almeno 30 minuti al giorno.
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Stimola il tuo cervello: Consigli pratici per mantenere la mente vivace. Nutrizione equilibrata per alimentare il cervello Una dieta equilibrata e ricca di nutrienti è essenziale per mantenere il cervello sano e attivo. Alcuni nutrienti particolarmente benefici per la salute cerebrale includono gli acidi grassi omega-3 presenti nel pesce, le vitamine del gruppo B che si trovano in cereali integrali, legumi e verdure a foglia verde, i polifenoli presenti nei frutti di bosco e nelle verdure colorate, e gli antiossidanti presenti in alimenti come le spezie (curcuma, zenzero) e i frutti oleosi (noci, mandorle). Limita il consumo di alimenti ad alto contenuto di grassi saturi, zuccheri e sale, che possono avere un impatto negativo sulla salute del cervello. Stimolazione mentale per allenare il cervello La stimolazione mentale costante è fondamentale per mantenere il cervello attivo e in forma. Impegnarsi in attività che richiedono sforzo cognitivo e sfidano il cervello può aiutare a migliorare la memoria, la concentrazione e la capacità di problem-solving. Leggere libri, risolvere cruciverba o puzzle, imparare una nuova lingua o strumento musicale, dedicarsi a giochi di strategia o partecipare a programmi di apprendimento continuo sono solo alcune delle attività che possono stimolare il cervello. L’obiettivo è quello di sfidare costantemente il cervello con attività nuove e complesse, per favorire la formazione di nuove connessioni neurali e migliorare la plasticità cerebrale. Sonno di qualità per il recupero cognitivo Un sonno di qualità è fondamentale per il corretto funzionamento del cervello. Durante il sonno, il cervello si riposa, ripara i tessuti danneggiati e consolida le informazioni apprese durante la giornata. La mancanza di sonno o un sonno di scarsa qualità possono influire negativamente sulle funzioni cognitive, la memoria e l’umore. Per favorire un sonno di qualità, cerca di mantenere una routine regolare di sonno, crea un ambiente confortevole e rilassante nella tua camera da letto, limita l’uso di dispositivi elettronici prima di coricarti e pratica tecniche di rilassamento come la meditazione o la respirazione profonda prima di dormire. Socializzazione e attività sociali per una mente vivace Le relazioni sociali e le attività sociali hanno un impatto significativo sulla salute del cervello. Interagire con altre persone stimola il cervello, favorisce la comunicazione, l’empatia e la condivisione di esperienze. Partecipare a conversazioni, frequentare corsi o club, essere attivi nella comunità e mantenere legami sociali solidi possono contribuire a mantenere il cervello attivo e sano. L’interazione sociale offre anche opportunità di apprendimento continuo e scambio di idee, che sono fondamentali per stimolare il cervello e mantenerlo in forma. Conclusioni Mantenere il cervello attivo e in salute è un impegno che richiede costanza e consapevolezza. Seguendo i consigli sopra menzionati, potrai favorire la salute e il benessere del tuo cervello nel corso della vita. L’esercizio fisico regolare, una dieta equilibrata, la stimolazione mentale, il sonno di qualità e le relazioni sociali sono pilastri fondamentali per mantenere il cervello attivo e prevenire il declino cognitivo. Ricorda che ogni persona è unica, quindi è importante adattare questi consigli alle tue esigenze individuali. Consulta sempre un professionista qualificato per consigli specifici sulla tua salute e per ottenere un piano personalizzato per mantenere il tuo cervello attivo. Fonti: Harvard Health Publishing. (2021). Regular exercise changes the brain to improve memory, thinking skills. - Il Cervello Umano: La curiosità dell’universo di Neuroni Read the full article
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ele358 · 7 years
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Innamorarsi di Patch era un po’ come leccare quella scheggia di vetro. Sapevo che era stupido, sapevo che mi sarei tagliata. Dopo tutti quegli anni, una sola cosa non era cambiata: ero ancora attratta dal pericolo.
Il bacio dell'angelo caduto Pagina 82
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corallorosso · 3 years
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Ecco cosa sta succedendo a Peschiera Borromeo un paese di oltre 20.000 abitanti alle porte di Milano. In questa piccola cittadina c’è un viale, Viale Galvani per l’esattezza, che da una parte ha i campi del parco Sud e dall’altra delle aziende, dei capannoni e in fondo un gruppo di case. Ecco questo viale che avrebbe potuto essere anonimo e squallido, uno dei tanti viali senza gloria dei nostri paesi, grazie invece a due filari di pioppi cipressini é diventato un magnifico viale, alberi maestosi e lussureggianti, sani verdissimi, giovani, sono ben 240 e per percorrerlo tutto in auto ci vogliono oltre 3 minuti. Ebbene ai primi di giugno scoppia una bomba: il comune intende abbatterli tutti e al loro posto pianterà da un lato 163 frassini di un metro e mezzo e dalla parte dei capannoni una siepe composta da 700 piantine di carpino alta un metro e venti. Quindi loro ritengono di essere a posto: tolgono 240 alberi e piantano 800 essenze, come se fosse possibile paragonare alberi di 20/25 metri a una siepe di un metro. Se si calcola che un singolo albero in media si mangia dai 30 ai 50 kg di Co2 moltiplicalo per 240 e poi per 20 anni, perché questo é il tempo che impiegheranno questi alberelli di frassino (ammesso che vivano) a raggiungere la massa fogliare dei nostri pioppi, salta fuori una cifra pazzesca qualcosa come 240 tonnellate di anidride carbonica che rimane nell’atmosfera. La Co2, ormai lo sappiamo tutti, é la principale responsabile di tutti i nostri guai climatici, al suo posto invece gli alberi ci danno ossigeno che per noi é vita. Inizialmente la motivazione all’abbattimento é stata imputata al fatto che le radici di questi pioppi hanno rovinato la pista ciclabile che corre a lato di un filare, tra l’altro una pista non molto lunga e di relativa importanza, quindi l’amministrazione comunale chiede al Parco Sud l’autorizzazione all’abbattimento di 163 pioppi, il Parco Sud dopo una velocissima ispezione incredibilmente la concede subito. Questo avviene nell’autunno 2019, a marzo del 2020 il comune commissiona ad un agronomo, il dr. Giorgetti, delle prove strumentali su 4 alberi, quindi questo agronomo esegue 4 carotaggi e 4 prove di trazione eolica. I carotaggi evidenziano che il sottosuolo non presenta una terra adatta alle radici perché é una terra di riporto e le prove di trazione,effettuate a una potenza simile all’uragano katrina circa 120 km l’ora, stabiliscono la pericolosità degli alberi. Da qui la decisione di abbatterli tutti e 240. Quindi 4 prove su 4 alberi decidono la vita di tutti e 240. Ovviamente la spesa é stellare. É successo che noi sei donne, amiche, che frequentiamo un gruppo di scrittura locale, non ci rassegniamo a perdere questa meraviglia e decidiamo di lanciare una petizione perché si faccia un tavolo con le associazioni ambientaliste per cercare in tutti i modi di salvare questo viale. In pochi giorni questa petizione raggiunge oltre 1500 firme ma la risposta del comune é immediata: il 4 luglio inizieranno i lavori di abbattimento. Facciamo una manifestazione, chiamiamo i giornali, ci appelliamo alla legge 157 del 1992 e alla direttiva europea che impedisce gli abbattimenti nel periodo delle nidificazioni pena severe sanzioni. Perché pensate a quanti nidi, a quanti uccelli, a quante uova ci possono essere in 240 pioppi cipressini alti 20/25 metri. Il comune si ferma e rimanda il tutto alla fine di agosto, poi ci propone un video incontro con le associazioni ambientaliste, noi firmatarie della petizione, il vice sindaco e l’agronomo del comune, qui si capisce subito che il loro intento é di procedere quanto prima ai lavori ma, dopo trattative estenuanti, ci concede 15 giorni per portare una controperizia. 15 giorni a partire dal 21 luglio! Una presa in giro. Ma noi donne non ci diamo per vinte e troviamo un agronomo che si schiera dalla nostra parte, un agronomo famoso a livello internazionale, un luminare e uomo appassionato della natura, una mente libera che non pensa alla possibilità di inimicarsi un’amministrazione comunale (e credetemi non é facile). Questo agronomo viene a vedere questo viale e rimane ammaliato dalla sua bellezza, dice addirittura che in quarant’anni di attività é la prima volta che vede un tale viale e che questi alberi potrebbero essere iscritti tra gli alberi monumentali. Prende la perizia del Dr. Giorgetti la analizza punto per punto e la trova superficiale, lacunosa, discutibile, inconsistente e approssimativa. Per completare la controperizia deve fare le prove strumentali sugli stessi alberi su cui é stata fatta la perizia dell’agronomo del comune ma l’autorizzazione necessaria da parte dell’amministrazione tarda ad arrivare e intanto arrivano le ferie. Nel frattempo riusciamo ad avere anche un’altra perizia preliminare fatta da un anziano professore che ha scritto centinaia di libri su cui studiano gli agronomi di oggi ed é un esperto proprio di pioppi addirittura a livello mondiale, anche questa perizia preliminare é assolutamente contraria all’abbattimento. Intanto noi donne facciamo interviste a radio, giornali, coinvolgiamo il comitato cittadino e i partiti all’opposizione, facciamo adozioni simboliche di alberi, post sui social. Un’artista italiana che vive a Londra, Giovanna Iorio, ci regala una meravigliosa installazione perenne, scaricando un app tramite qrcode e geolocalizzazione, passeggiando sotto gli alberi di via Galvani si possono sentire le voci dei nostri più grandi poeti del Novecento e contemporanei, da Montale a Alda Merini, da Pasolini alla Rosselli e addirittura anche nostre tre poetesse peschieresi. Finalmente arriva l’autorizzazione alle prove strumentali ma con una data rigida il 20 agosto non un giorno prima non un giorno dopo. Il Dr. Zanzi, nostro agronomo, é in ferie e quel giorno non può essere presente ma a loro non importa, anzi decidono di commissionare al loro agronomo altre dieci prove. Il nostro Dr.Zanzi manda il suo team di collaboratori e negli scorsi giorni ha fatto 4 prove tecniche sugli stessi alberi testati da Giorgetti e nei prossimi giorni sapremo il risultato. L’amministrazione comunale dopo aver bocciato una mozione presentata dai 5s e sostenuta da pd e forza Italia ha accettato che nella commissione tecnica del 1^ settembre ci sia oltre il dr.Giorgetti anche il nostro dr. Zanzi. Questa é la situazione attuale. Il Comune ha tutte le delibere già firmate quindi in qualunque momento potrebbe iniziare i lavori di abbattimento. Aiutateci a divulgare questo fatto, a far conoscere a più gente possibile questa situazione perché in Italia abbattere alberi pare sia diventato lo sport nazionale, guardatevi in giro 40 di qua, 60 di là, da noi addirittura 240. Al loro posto piantano alberelli che non vengono curati e difficilmente sopravvivono. Noi siamo in allerta, sosteneteci nella nostra battaglia affinché un patrimonio arboreo così bello venga mantenuto e messo in sicurezza. Maria Bacchetti Benedetta Murachelli Stefania Benaglio Simonetta Favari Cinzia Giangiacomi Flavia Rossi
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trappole per gnomi;
Insomma lei continua a dondolarsi, arrivando così verso la fine di uno scaffale e poi gli occhi che si spalancano un po’ di più, frenando con le scarpe che raschiano un po’ sulle mattonelle della biblioteca. « Hhh—hhii. » è più il fiato che inspira, mentre tenta di appoggarsi all’angolino dello scaffale per non farsi vedere - per quanto visibile sia - dato che ha visto Daemon. Sbatacchia le palpebre, provando ad allungare il collo, da quella distanza, con la puerile speranza di poter capire cosa stia facendo, a parte l’ovvio studiare.
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« segui Aritmanzia anche tu? » nonostante non possa fare a meno di notare il leggero imbarazzo che Charlotte sembra manifestare proprio a causa sua, riesce lo stesso a tenere un tono tranquillo nella conversazione « siediti » un cenno svelto all`altra sedia accostata al tavolo, per quello che suona come un invito, non è che ci è costretta. « Ti faccio vedere, tanto stavo facendo una pausa. »
« Sì, la seguo anche io. » cosa che scriverà anche sul diario: io e Daemon anime gemelle perché seguiamo la stessa materia facoltativa. Vabè. Tira su col naso, provando ad allungare il collo come prima quando era dietro una pila di libri, per curiosare. Gli occhi ora si fanno davvero curiosi nel leggere quello che c’è scritto nei libri e nelle pergamene del sestino. All’invito ricevuto rimane un attimo interdetta strigendosi nelle spalle ma poi fa un cenno della testa, ringraziandolo « Ahm, grazie! » accomodandosi piano nella seggiolina libera, così tanto-troppo vicino a lui. « Sicuro? Perché non ti voglio cioè, disturbare troppo se devi continuare, ecco, sì. Tanto c’ho pure tante cose di Difesa e Incantesimi da vedere.. » si stringe nelle spalle, ma ormai tanto s’è messa lì seduta e non pensa di volersi alzare tanto presto.
« E` una trappola aritmantica » spostando lo sguardo dalla pergamena al viso della Serpeverde, prima che lei possa chiederlo. « è il campo di una trappola areale, ma ne esitono anche di altri tipo. Questa, però » punta il polpastrello dell`indice della mano destra al centro del disegno « sfrutta lo spazio, per costringere chiunque ci finisca dentro a vivere ciclicamente un`esperienza in cui ci si ritrova intrappolati all`interno di un ambiente che continua a restringersi: è come finire dentro una morsa che cerca di stritolarti, e comincia a mancarti l`ossigeno e non c`è modo di uscire » ok, detta così, con quel tono serio, sembra davvero qualcosa di orribile. Ma forse lo era davvero « abbiamo cominciato a studiarle all`inizio dell`anno, e il Professor Marshall » esita per qualche istante, come alla ricerca delle parole giuste. L`espressione che ha in volto ora mostra un cipiglio più severo e riflessivo « ...beh, lui ci ha fatto sperimentare cosa significa rimanerne vittima » li ha `chiusi nella scatola`, senza troppi giri di parole « credo volesse ci rendessimo conto di quanto può essere pericoloso riccorere a questo genere di magia, senza pensare alle conseguenze » finalmente interrompe il monologo, distogliendo lo sguardo dal foglio di pergamena per tornare a guardare Charlotte « ma se la cosa non ti spavente, te lo racconto » 
« E si può mettere, ehm, nella trappola un molliccio? Così quello che viene intrappolato se la passa male. Tanto mica lo sa. Diventerebbe una favolosa trappola.. com’è che si chiama? » domanda senza aspettare una risposta « Aerea? » non proprio. Favoloso che non sappia che è un molliccio, e si stringe nelle spalle. « Ma poi si muore? » il dubbio sul volto della Serpeverde, da come l’ha descritta lui sembra una cosa piuttosto seria. Sicuramente non sa cosa voglia dire fare questo genere di magie, anche se non sembra così ansiata, per quanto potrebbe anche morire se la facessero a lei. La risposta viene data con un po’ di leggerezza, per lo più si mostra coraggiosa solo perché è Daemon a dirglielo. « No-no, certo che non mi spaventa. » certo (…) « Raccontami, voglio sapere che è successo. Cioè, ehm, quali erano le conseguenze? »
« non può ucciderti no, anche se quando ne esci non sei proprio messo bene » tipo che un giretto in infermeria non si nega nemmeno ai cuori più forti. « E` cominciato all`improvviso, non sono neanche riuscito a raggiungere il mio banco e la trappola si è manifestata, perciò, una volta che è stata allestita, è sufficiente mettere un piede all`interno del suo campo di attivazione, questo le rende particolarmente insidiose » per capirlo non serve frequentare il corso M.A.G.O. della relativa materia, e poi, come tutte le `trappole` per definizione, anche quelle aritmantiche non fanno eccezione all loro caratteristica fondamentale. « se te lo stai chiedendo, non so se in classe sono rimasto del tutto sveglio, ma... dall`altra parte » all`interno dell`ambiente creato per effetto della Trappola Areale, intede « ero sicuramente cosciente. Ma non saprei per quanto sia andata avanti la cosa, anche perchè il tempo sembrava scorrere normalmente, il problema era lo spazio » tra parentesi, l`ultima cosa a cui ha pensato in quei momenti è stato dare un`occhiata all`orologio. Ma le ha già fatto presente che il vero elemento di disagio non era quello, bensì il luogo in cui è stato trascinato « prima di tutto, sono finito in un posto che non avevo mai visto prima, che nemmeno dovrebbe esistere, in verità » stringe lo sguardo per qualche secondo, assottigliando la fessura delle palpebre, mettendo meglio a fuoco il viso della Serpeverde « aveva qualcosa di familiare, in ogni caso » ricorda bene il colore degli arredi, così simile alla sala comune dei Grifondoro, e il corridoio del sesto piano che lui frequenta spesso, o ancora « c`erano i tavoli della Sala Grande, ma non era la Sala Grande quella che vedevo intorno a me, quindi è chiaro che la volontà della trappola sia quella di disorientare chi ne rimane vittima » a questa semplice conclusione ci è arrivato considerando che, cercare una via di fuga da un luogo che conosciamo bene, sarebbe certamente più semplice che non doverlo fare all`interno di un ambiente apparentemente sconosciuto. « Le pareti hanno iniziato a restringersi quasi subito - e ti assicuro che respirare non era facile, mi mancava davvero l`ossigeno, era... vero. Compreso il dolore, quindi la tua mente è vulnerabile sotto ogni punto di vista, mentre sei prigioniero, anche se non hai quelle ferite addosso quando il suo effetto si esaurisce » perciò non dovrebbe rivelarsi così potente e non può ucciderti, come le ha anticipato. Quella forse è l`unica nota positiva in tutto questo, se così si può definire. Lo scenario che le ha descritto fino a quel momento, ancora una volta gli conferma la sua ipotesi del perchè Marshall li abbia costretti a vivere quella situazione. « Il peggio, però » però?! Cioè, tutto questo non era già sufficiente di per sè, manca ancora il colpo di grazia, per cui si schiarisce la voce con un colpetto di tosse che graffia gutturale sulle corde vocali « è che ti priva della magia: quando sei dentro la trappola, non riesci ad utilizzare gli incantesimi » 
« Come le trappole degli gnomi. » nei gardini di casa loro c’è pieno di quelle trappole il cui meccanismo funziona proprio quando la creatura entra dentro alla trappola. Semplice. « Oh Morgana mia, non puoi.. fare incantesimi? Ma è terribile. » una mano al petto e lo sguardo angosciato. Perché avere tutto intorno che ti si chiude, non poter respirare bene è tremendo ma non poter fare magie è la cosa più brutta del mondo. Alla fine si porta una mano alla bocca, spaventata all’idea di una magia assente e di una sopravvivenza forzata. Lo guarda, lo ascolta.. prova a rilassarsi un po’ di più dopo questo racconto angoscioso. « E tu come hai fatto? Cioè.. hai avuto paura? »
Gli sfugge piuttosto un mezzo sorriso, che serve a stemperare un po` la tensione del suo volto, a sentire quel paragone con le trappole per gli gnomi « sinceramente non ci avevo pensato » trattenendo quella curva più allegra e giovale sulle labbra per qualche istante ancora « ma in un certo senso, è così » [...] « all`inizio sì, anche perchè ero abbastanza confuso e disorientato » cioè, sta praticamente dicendo che la trappola ha funzionato benissimo. 
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gregor-samsung · 4 years
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“ Ho esaminato la biblioteca di Manette. Dei classici Garnier, qualche Pléiade che le avevamo regalata noi. Molte di quelle opere non avevo piú avuto l’occasione di rileggerle da molto tempo; le avevo dimenticate. Pure, mi sentivo pigra, all’idea di rileggerle. Man mano che si va avanti, uno se le ricorda, o almeno ne ha l’illusione. La novità della prima lettura è perduta. Che cosa potevano darmi ancora, questi scrittori che mi avevano fatta ciò che ero e che non avrei piú smesso di essere? Ho aperto qualche volume, l’ho sfogliato; avevano tutti un sentore quasi altrettanto ripugnante di quello dei miei libri, un sentore di polvere. Manette ha alzato gli occhi dal suo giornale: – Comincio a credere che vedrò con i miei occhi degli uomini sulla luna! – Con i tuoi occhi? Farai il viaggio? – ha domandato André col riso nella voce. – Hai capito benissimo. Saprò che ci sono arrivati. E saranno i russi, piccolo mio. Gli americani, col loro ossigeno puro, hanno fatto un bel fiasco. – Certo, mamma, certo che vedrai i russi sulla luna, – ha detto André in tono affettuoso. – E pensare che abbiamo cominciato nelle caverne, e l’unico utensile che avevamo erano le nostre dieci dita, – ha ripreso Manette in tono meditabondo. – E siamo arrivati dove siamo arrivati. Vorrai ammettere che è una cosa che incoraggia. – È vero che la storia dell’umanità è bella, – ha detto André, – peccato che quella degli uomini sia cosí triste. – Non lo sarà sempre. Se i tuoi cinesi non fanno saltare in aria la terra, i nostri nipoti conosceranno il socialismo. Vivrei bene un’altra cinquantina d’anni, per vederlo! – Che salute di ferro! La senti? – mi ha detto André. – Farebbe la firma per altri cinquant’anni! – E tu no, ragazzo mio? – No, mamma, francamente no. La storia segue strade cosí strane che ho quasi l’impressione che non mi riguardi. Mi sento sull’orlo. Figurati, fra cinquant’anni!... – Lo so, che non credi piú a niente, – ha detto Manette con riprovazione. – Non è del tutto vero. – A che cosa credi? – Alla sofferenza degli uomini, e che è una cosa abominevole. Bisogna far di tutto per eliminarla. A dirti la verità, nessun’altra cosa mi sembra importante. “
Simone de Beauvoir, L’età della discrezione, in:
ead., Una donna spezzata, trad. Bruno Fonzi, Einaudi (collana Nuovi Coralli, n.20), 1975³; pp. 207-08.
[ Ed.ne or.le: La Femme rompue, Gallimard, 1967 ]
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La pioggia sciolse il cielo in diverse tonalità di grigio, facendolo gocciolare sull'asfalto crepato delle strade, sulle tegole incrostate dei tetti delle case, fra le ciocche dei miei capelli, e sul tessuto lucido del mio giubbotto, punteggiandomi i jeans strappati di macchioline scure, mentre correvo.
Correvo correvo correvo. Poi, mi arrestai di colpo, respirando a bocca aperta nel tentativo di annaspare più ossigeno possibile, alzando e abbassando violentemente le spalle e chinandomi sulle ginocchia, ancora tremanti di adrenalina, mentre fissavo sconvolta i binari vuoti del treno.
Il treno, il mio treno, non c'era.
L'avevo perso, cazzo.
Mi rifugiai dentro alla stazione, sedendomi su una delle tante panche di metallo, lasciando che il gelo mi mordesse le cosce nonostante i pantaloni.
Frugai nelle tasche del mio giubbotto alla ricerca delle cuffie. Niente. Non c'era niente.
Premetti la schiena contro il muro scolorito dell'edificio, chiazzato di umidità e sporcizia, e chiusi gli occhi stizzita, accavallando le gambe all'altezza delle caviglie.
Due ore. Al freddo. Senza musica. Per uno stupido treno.
Non ce l'avrei mai fatta.
Passarono solo pochi minuti, quando un tonfo mi strappò dal flusso dei miei pensieri, riportandomi dolorosamente alla realtà.
All'estremità opposta della mia panca c'era ora una ragazza, tutta china su se stessa, col collo infossato fra le spalle, e quella posizione metteva in rilievo le sue clavicole sottili, che sporgevano dallo scollo del suo maglione di lana, afflosciato addosso a lei come un paio d'ali, arricciato in grandi pieghe sui fianchi e sulle braccia.
Aveva provato a legare i capelli nella parte bassa della nuca, ma il suo chignon era così scompigliato da assomigliare ad un fiore appassito, sfiorito, rovinato, con le ciocche ribelli che le ricadevano in avanti, nascondendole parzialmente il volto incorniciato dalle sue mani pallide.
C'era qualcosa in lei, nel modo in cui scuoteva impercettibilmente la testa, nella pressione impressa dai suoi polpastrelli sulle guance, nella curva disegnata dalla sua schiena, dalla tensione che graffiava ripetutamente le sue spalle, nel tremito delle sue gambe... che mi spinse a raddrizzarmi e a fissarla.
«Ehi...» mormorai. Ogni lettera era un sussurro, che uscì tremando dalle labbra.
«É... é tutto okay? Stai bene?» le chiesi, nel modo più gentile possibile, sperando non notasse l'enorme sforzo che feci per spingere quella frase oltre il groppo d'imbarazzo che mi si era formato in gola.
Lei si voltò lentamente, e io sussultai. Il suo volto era qualcosa di duro, di affilato, tutto spigoli e linee spezzate, macchiato di lividi scuri sotto occhi sbiaditi e consumati dalle lacrime. Le sue labbra erano sottili e ricamate di crepe e crosticine, e pensai che erano ridotte in quel modo più per i morsi che per l'aria fredda.
Stupida, mi dissi. Stupida stupida stupida. Era ovvio che non stava bene. Non stava affatto bene.
«É che...» cercai di rimediare «sai, stavi guardando il pavimento, e ho pensato che magari avevi perso qualcosa e beh... » stupida stupida stupida «e ... se hai bisogno di una mano, sarei felice di aiutarti» cercai di asciugarmi il sudore strofinandomi piano i palmi contro il tessuto ancora bagnato dei jeans.
I suoi occhi divennero più scuri, più profondi, come se stesse cercando di assorbire ogni mia parola, valutando se poteva fidarsi di me o meno.
Strofinai le mani sui jeans più veloce.
«Ciò che ho perso, non lo ritroverò mai più» la sua voce era inaspettatamente più profonda da come me la ero immaginata. E fredda. E piena di... dolore. Un dolore così vivo, così pungente, da aver reso ogni sua parola tagliente, sferzante. Come uno schiaffo. Come un pizzicotto. Qualcosa che se ti tocca, ti lascia un livido.
«Mi... mi spiace davvero» le risposi, sempre sussurrando, ma mantenendo il suo sguardo, fino a quando un'ombra non le attraversò il volto, e i suoi occhi divennero un po' più lucidi, e io mi sentii un po' più piccola e mi concentrai su come il fango avesse schizzato le mie scarpe.
«Scusami, non volevo essere invadente...cercavo solo di rendermi utile, non immaginavo che... beh.. perdonami» mi giustificai, con le guance rosse per la vergogna.
«Non capisco.» mi rispose, dopo un interminabile minuto. «Non mi conosci. Non hai idea di chi io sia, ma volevi comunque aiutarmi... per quale motivo? Io non capisco» il suo sguardo divenne sempre più caldo su di me, iniziando a farmi sudare, come se stessero bruciando tutto l'ossigeno della stazione, lasciandomi senza fiato nei polmoni, facendomi boccheggiare.
«Se dovessimo limitarci ad aiutare solo le persone che conosciamo, non credi che il mondo sarebbe davvero un posto molto triste?»
«Ma il mondo È un posto molto triste. Il mondo fa maledettamente schifo! Perché nessuno lo capisce?»
la sua voce era come un palloncino che si gonfia con sempre più rabbia, il genere di rabbia repressa per troppo tempo, troppo a lungo, e la sua voce continuava a gonfiarsi e a gonfiarsi e a gonfiarsi, trasformandole ogni parola in grida, e tutto quello che pensavo era che prima o poi sarebbe esplosa.
«Ehi ma che succede? Cosa hai fatto?» la mia voce restò calma, ferma, nonostante nel mio petto iniziò a formarsi un tarlo. Un tarlo incazzato che incominciò a rosicchiarmi, a scavarmi le ossa, riempiendomi di fitte improvvise, acute e dolorose.
All'improvviso mi resi conto che volevo realmente sapere cosa aveva fatto questa sconosciuta. Che volevo disperatamente aiutarla. Aiutarla aiutarla aiutarla.
«lo vedo il modo in cui ti stringi compulsivamente i polsi, quasi avessi paura potesse uscire qualcosa dalle tue maniche, qualcosa che ti terrorizza a morte. E vedo quanto sono rossi i tuoi occhi, e tutte gli crosticine sulle tue labbra. E va bene, va bene se non mi vuoi dire il motivo per cui le tue nocche sono spellate, o quello per cui le tue ossa sono così appuntite da dare l'impressione ti stiano lentamente perforando la pelle. Va bene, se vuoi tenerteli per te, se non hai piacere di liberarti di quei maledetti demoni che ti stanno facendo marcire dal di dentro, pezzetto dopo pezzetto, giorno dopo giorno. Va bene. Ma se stai zitta perché credi che io non sia in grado di capirti, o che non possa aiutarti, o che non voglia ascoltarti, allora sei completamente nel torto. Perché a me, di te, frega eccome. Anche se non ti conosco. Anche se non so il tuo nome, o il nome della strada in cui vivi, o la scuola che frequenti, o la musica che ascolti e i libri che leggi. Anche se per te io non significo nulla, anche se per te valgo meno di zero, tu per me sei importante. Tu per me vali. Vali al punto da farmi stare male, da voler realmente sapere cosa ti tormenta, cosa ti divora, cosa ti tartassa. Al punto da impiegare il mio tempo per aiutarti. Perché c'è qualcosa in te, qualcosa che tu non vedi ma io si, che credimi, mi fa lampeggiare negli occhi la scritta "ne vale la pena ne vale la pena ne vale la pena". Voglio aiutarti. Ti prego» sono un fascio di nervi scoperti e tremiti, di adrenalina, di respiri veloci, di mani che sfregano sui jeans.
Lei mi fissò. Mi fissò come se mi avesse visto per davvero solo in quell'istante. Come se si fosse accorta soltanto in quell'istante che cero anche io, su quella panca.
E, all'improvviso, scoppiò a piangere. All'inizio, mi sentii malissimo. Il tarlo continuava a corrodermi il petto, squassandomi in fremiti violenti. Il mio stomaco si attorcigliò in un nodo sempre più stretto e mi sentii in colpa. La mia testa iniziò ad essere punzecchiata da migliaia di domande, affilate come schegge di vetro. Ho esagerato? Non dovevo permettermelo? Cosa ho fatto? Perché non imparo a tenere la bocca chiusa?
Ma poi, lei parlò. «Vuoi sapere cosa c'è che non va? Tutto. Come posso dirti per quale motivo sto male, se non c'è niente che sta andando bene? Vedi, innanzitutto, la differenza è che io, gli incubi, non li devo affrontare quando spengo le luci e vado a letto. No, oh no, quella è la meno. Io, i mei incubi, lì vivo ogni mattina, quando apro i miei maledetti occhi e mi alzo dal mio dannatissimo letto. » adesso L sua faccia brillava, luccicava come ghiaccio al sole; sembrava che ogni parte di lei, ogni centimetro del suo volto si stesse sciogliendo in lacrime.
«Perché sto male? Per il numero che segna la bilancia. Per il modo in cui il mio riflesso riempie lo specchio, allargandosi a dismisura fino a riempire tutta la superficie. Per il modo in cui cammino e abbasso lo sguardo sempre troppo in fretta. Per il modo in cui gli altri mi guardano. Dio, il loro sguardo su me é come un panno ruvido che sfrega contro una ferita aperta. Mi fa bruciare ogni centimetro, mi fa desiderare di saltare giù dalla prima finestra aperta o sotto la prima macchina che passa. Mi fa riempire gli occhi di lacrime, i polsi di tagli, il corpo di lividi. Perché sto male? Perché quando entro in una stanza tutti smettono di parlare. Perché in gita sono sempre quella che siede da sola. Perché quando vengo assegnata ad un gruppo di laboratorio, io sono sempre il nome per il quale i miei compagni sbuffano e guardano il soffitto. »
Le sue parole furono come un fiume in piena che scorre, furono come le sue lacrime; dopo aver versato la prima, non fu più in grado di fermare le altre, lasciandole scendere copiose lungo gli incavi delle sue guance, raggruppandosi sulla fossetta scavata nel mento, gocciolandole sul maglione.
«Fa male. Fa così male. Fa così dannatamente male, sentirsi come se, qualunque cosa fai, qualunque cosa dici, non sarà mai abbastanza, mai abbastanza per essere amata davvero.»
Non mi accorsi dei miei piedi che si muovevano e delle mie braccia che si allungarono e della mia testa che si piegò, mentre l'abbracciavo.
Notai solo il profumo dei suoi capelli e la morbidezza del suo maglione e le sue scapole che come ali appuntite premettero contro la mia pelle, e quanto era freddo il suo collo e piccolo il suo corpo, tanto che all'inizio mi sembrò di abbracciare l'aria, di abbracciarmi da sola.
La lascia respirare contro di me. Mi lasciai bagnare dalle sue lacrime. L'abbracciai forte, anche se avevo paura di spezzarla, di creparla, di romperla.
Il tarlo smise di svuotarmi le ossa.
«Non sei sola. Anche se ti senti sbagliata, non sei un errore. Anche se non ti piace il tuo corpo, non sei brutta, e anche se ti senti stanca, se ti senti come se ti fossi arresa, in realtà non hai mai smesso di combattere. » il suo cuore batteva così forte da imprimere il ritmo anche al mio, di cuore «Ho affrontato i tuoi stessi mostri, sono diventata la peggior nemica di me stessa, il giudice più spietato nei miei confronti. Mi sono odiata così tanto, da desiderare di morire, proprio come te» respira respira espira «Ma l'ho superata. C'è l'ho fatta. E ce la farai anche te. Perché si può uscire, dal nostro inferno interiore. Possiamo anche noi tornare a stare bene. Possiamo perdonarci. E anche se ora non lo vedi, non lo percepisci, ci sono persone che ti amano. Ci sono persone che vogliono aiutarti, se solo glielo permetterai. Ci sono persone pronte a combattere al tuo fianco le tue battaglie, pronte a offrirti il loro aiuto, perché tengono a te, sei importante per loro e ne vali la pena. Non lasciare che l'odio per te stessa ti renda cieca. Non lasciare che le grida nella tua testa soffochino tutte le parole gentili delle persone che hai accanto. Dipende solo da te; devi scegliere di lasciarti aiutare, scegliere di darti una seconda opportunità, scegliere di ricominciare da capo. »
Le sue spalle smisero di tremare e dai suoi occhi non sgocciolavano più lacrime. Si stava calmando. Il suo cuore stava rallentando, come i suoi respiri.
«Tu.. tu mi hai salvato»
E in quel momento, mi resi conto che avevo appena appreso la lezione più importante di tutte; ognuno di noi affronta le proprie battaglie, ogni giorno, sempre. Se le tiene dentro, nascoste sotto qualche chilo di trucco, un paio di braccialetti di troppo, un pranzo saltato, delle lacrime nascoste nel palmo della mano. E nessuno può sapere se la persona che le si siede accanto stia vincendo, oppure no, quelle battaglie.
Io ho scelto di aprire gli occhi. Ho scelto di non fare finta di niente.
Non possiamo scegliere, e non lo possiamo sapere, se domani saremo la ragazza in difficoltà, che ha bisogno di qualcuno che l'ascolti e le dimostri che la sua esistenza è importante, anche per un estraneo.
Ma, di sicuro, possiamo scegliere di non essere la ragazza che, con indifferenza, le passa accanto, senza fare niente.
-Alessia Alpi, scritta da me (Volevoimparareavolare on Tumblr)
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tempi-moderni · 4 years
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Tra un po' riapriranno le scuole e oltre a comprare libri inutilmente pesanti nell'era digitale, i costi di quello che insegnanti e dirigenti scolastici si sono rubati, carta igienica compresa, quest'anno c'è anche l'emergenza Covid. Tenuto conto che se avessi un figlio, avrei preferito fargli perdere un anno, piuttosto che vederlo sotto ossigeno, mi chiedo quale sia l'efficacia dei banchi a rotelle. Forse è per permettere all'alunno di allontanarsi mentre il compagno tossisce? Serve per prenderlo a calci o sfasciarlo sulla schiena di un altro reietto durante la Royal Rumble? Non credo che i nostri "dolci pargoli" delle superiori riescano a tenere la mascherina visto l'impellente bisogno di fumare, masticare gomme, trangugiare Coca Cola e patatine dai distributori automatici o quantomeno sputarsi gratuitamente in faccia a vicenda. Anche la bestemmia, unico mezzo di comunicazione tra simili trogloditi, non ha efficacia se filtrata da una sorta di assorbente intimo femminile e la stoffa delle camicie che vende UPIM.
Se avete chiuso le discoteche perché sostanzialmente la gente non può bere alcolici e trangugiare pastiglie di MDMA con la mascherina, allo stesso modo non potete aprire le scuole, dove i figli cretini di quelli di prima vanno per rimorchiare e prendere a calci i compagni.
Al limite mettete delle gabbie di plexiglass per isolare il più possibile queste cavie da laboratorio. Inchiodate al pavimento, ovviamente. Del resto i cassieri della Coop lavorano così sei ore al giorno e non si lamentano.
Per i più recalcitranti consiglio anche una catena con la palla al piede come per il famoso fuggitivo detto Papillon.
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