#Hawke è leggenda
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Gli altri sport: Pete Maravich
Tutti lo chiamavano Pistol Pete, per le sue capacità, la creatività nel gioco e l'abilità nel palleggio, e divenne una leggenda nel mondo del basket americano... Peter Press Maravich nacque ad Aliquippa il 22 giugno 1947 e dopo essersi fatto notare per le sue abilità durante la high school, nel 1966 decise di entrare all’ Università statale della Louisiana, perché l'allenatore della squadra era suo padre Press. Ma le regole dell'epoca proibivano alle matricole di giocare nella squadra principale dell'università, così Maravich segnò quasi 50 punti a uscita con la squadra delle matricole, che si esibiva nelle partite prima di quella titolare. Dopo aver assistito alle esibizioni di Pete, il pubblico tornava a casa e non rimaneva alle partite dei titolari, che durante quella stagione vinsero solo tre partite. Nei tre anni successivi, Pete segnò 44,2 punti a partita, superò i 50 per 28 volte, e realizzò un massimo di 69 contro Alabama nel 1970, mentre The sporting news lo nominò giocatore dell'anno e vinse il prestigioso Naismith Award. Il giovane giocatore non vinse nulla di importante con la squadra, che non era ai suoi livelli, ma i suoi 3 667 punti, realizzati in tre anni e senza il tiro da tre punti, ancora oggi sono uno dei record della NCAA. Nel 1970 entrò nella NBA, con gli Atlanta Hawks e, come terza scelta assoluta del draft NBA 1970, segnò oltre 23 punti a partita nella sua stagione da rookie. Dopo quattro stagioni Pete passò ai New Orleans Jazz, dove fu uno dei migliori giocatori della lega, con il suo gioco ricco di entrate controtempo, passaggi dietro alla schiena, ma anche concretezza e un solido tiro da fuori. Nel 1977 realizzò 68 punti contro i New York Knicks, e vinse la classifica realizzatori con 31,1 punti di media. Nominato come parte del miglior quintetto NBA nel 1976 e nel 1977, Pete chiuse la carriera nel 1980, giocando mezza stagione a fianco di Larry Bird nei Boston Celtics. Il suo grande talento individuale non venne mai premiato da una grande squadra, così chiuse la carriera senza titoli ma. con 15 948 punti, resta al 118º posto nella lista dei giocatori con più punti segnati nella NBA. Ritiratosi per un infortunio alla gamba, Pete si interessò religioni e pratiche orientali, dallo yoga e l'induismo, fino al macrobiotico, convertendosi negli ultimi anni della sua vita al Cristianesimo. Il 5 gennaio 1988, mentre giocava una partita nel ginnasio di Pasadena, dopo che era stato invitato da un giornalista, Pete Maravich morì a soli 40 anni per un infarto. Una serie di analisi successive svelarono che in realtà Pete aveva una malattia congenita mai diagnosticata, infatti non aveva l'arteria coronaria sinistra. Pete venne inserito nella Basketball Hall of Fame nel 1987 e fino ad oggi resta il più giovane di sempre ad aver avuto questo onore, mentre in Louisiana gli è stato intitolato il palazzetto dello sport dell’università. Read the full article
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The first thing a true Fereldan does coming back home is pet his dog. No matter if you are drunk and you are carrying your even drunker boyfriend, you PET. THE. DOG.
#dragon age#Garrett Hawke#fenris#nug the mabari#dragon age 2#fenhawke#Hawke è leggenda#coccolare i cani con i piedi è un must#belly rubs for all the mabari in the world!!!#dragonfartart#dragon age comic#mabari#garrett mabari#NUG
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è LUI AHAHAHHAHAAHAHAHAHAHAAHAH
We’re gonna save the world through comedy
And I use the term “save” very, very loosely
#dragon age#Purple Hawke#Garrett Hawke#un uomo una leggenda#è COSI che si salva una città <3#AHAHAHHAHAHAH#Hawke è leggenda
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Storia Di Musica #149 - Bob Dylan, Blonde On Blonde, 1966
Per questo ultimo mese di storie musicali, un po’ per esorcizzare il periodo che stiamo vivendo, ho pensato a 4 dischi leggendari per la loro bellezza. Quello di oggi è uno dei dischi più influenti e rivoluzionari della storia: Bob Dylan pochi mesi prima della sua pubblicazione, durante un concerto al Festival Folk di Newport, nel 1965, si presentò sul palco accompagnato dai The Hawks (futura The Band, il gruppo di Robbie Robertson, Helm e gli altri) per suonare con strumenti elettrici pezzi del suo repertorio. Dopo sole quattro canzoni, fu duramente contestato, scappò dal palco con il suo gruppo e ritornò poco dopo, “sfidando” il pubblico solo con la sua chitarra cantando, profeticamente, It’s All Over Now, Baby Blue. La svolta elettrica, che già aveva preso vita nell’altrettanto leggendario Highway 61 Revisited, imperniato sull’organo Hammod di Al Kooper e la chitarra elettrica di Mike Bloomfield, diviene completa e dirompente nel disco di oggi. Dylan è febbrile, pieno di idee, emotivo, e scrive moltissimo: inizia a New York a registrare con gli Hawks nell’ottobre del 1965 e con Bob Johnston in cabina di produzione, ma non è affatto soddisfatto, nonostante la mole di materiale. Nel frattempo, a Novembre, sposa in gran segreto la sua fidanzata Sara Lownds, che diventerà la musa per le canzoni che registrerà a Nashville, insieme al fido Al Kooper e ad un gruppo di straordinari musicisti sessionisti, tra cui il chitarrista e bassista Charlie McCoy, i chitarristi Wayne Moss e Joe South, e il batterista Kenny Buttrey. Dylan è entusiasta, scrive le canzoni in studio, mentre i musicisti ingannano il tempo giocando a carte, le prova una o due volte e poi passa le idee ai musicisti per registrarle. Il risultato è che registra così tanta roba, con canzoni che spesso superano i 5 minuti, che non basta un solo 33 giri, e la Columbia, con sprezzo del pericolo per i costi commerciali e con totale fiducia in Dylan, pubblica addirittura le 14 canzoni scelte su un doppio LP, il primo della storia del Rock: Blonde On Blonde. Oltre il dato storico (che anticipa di qualche mese un altro doppio disco storico, Freak Out! di Frank Zappa e i Mothers Of Invention) è il lato simbolico che è dirompente: il disco non è più un riempitivo di brani che accompagnano un singolo di successo, ha una sua natura organica, una sua dimensione artistica, diviene un oggetto che ambisce anche ad un valore artistico. Blonde On Blonde a distanza di decenni stupisce per molti fattori: la qualità incredibile dei testi dylaniani, che per la prima volta mettono da parte la natura di denuncia folk e si concentrano di più sulle dinamiche private, sulla confusione personale sul lavoro, sull’amore (tema forse centrale), sui comportamenti interpersonali, sui riferimenti letterari, da Shakespeare ai filosofi greci. Dylan prende dal blues, dal country (la scelta di andarsene a Nashville è decisiva) lo trasforma e ne esce fuori una scaletta di brani uno più famoso dell’altro: dalla marcetta da circo Barnum di Rainy Day Women # 12 & 35 (dall’oscura leggenda che fosse una canzone sulla droga, per il titolo cripitico e anche per il testo che gioca tutto sul doppio significato di “stoned”), ai blues sarcastici di Stuck Inside The Mobile With The Memphis Blues Again, o Leopard Skill Box Hat, all’armonica lancinante di Pledging My Time, a canzoni gioiello come Absolutely Sweet Mary o One Of Us Must Know (sulla fine di un amore, dove lui dice a lei “sooner or later, one of us must know\That you just did what you're supposed to do\Sooner or later, one of us must know\That I really did try to get close to you ed è l’unica canzone tenuta dalle sessioni di New York). Dylan è perfetto anche quando è più “pop”, nella splendida I Want You, uno dei brani più orecchiabili del suo intero repertorio e singolo del disco. Ma sono almeno tre i gioielli immensi di questo disco, che restituiscono la dimensione del Dylan poeta: Visions Of Johanna è uno dei suoi apici assoluti, una serie straordinaria di immagini e sensazioni, uno dei testi definitivi della musica popolare del ‘900; Just Like A Woman, che per anni fu accusata di misoginia per le “frecciatine” che Dylan puntella in questa dolce ballata probabilmente ad una sua ex amante, la diva della Factory di Warhol Edie Sedgwick (a cui l’anno dopo i Velvet Underground dedicarono Femme Fatale); ma forse il momento più “sconvolgente” è Sad-Eyed Lady Of The Lowlands, 14, ipnotici e formidabili minuti di seduta sentimentale, dedicati a Sara (sia per assonanza con il cognome) sia perchè in Desire, anni dopo (nel 1976), Dylan canta: Stayin' up for days in the Chelsea Hotel,\Writin' Sad-Eyed Lady of the Lowlands for you (il brano è Sara). Blonde On Blonde rimane un capolavoro dalla forza intatta, dai segreti ad ogni ascolto, dalla forza immaginifica forse inarrivata, rappresenta il culmine creativo della svolta elettrica, che in 2 anni fece pubblicare a Dylan tre pilastri fondamentali della musica rock (gli altri due sono il già citato HIghway 61 e l’altrettanto magico Bringing It All Back Home, sempre del 1965). Due ultime curiosità: la foto scattata da Jerry Schatzberg, altro gigante della fotografica americana e futuro grande regista, lo ritrae con il solito sguardo di sfida in un voluto “sfocato”; all’interno Dylan personalmente volle una foto di Claudia Cardinale, che fu tolta subito dopo la prima stampa per problemi di diritti (e le copie con la foto della Cardinale valgono un capitale oggi). Dopo il Tour che intraprese, anche in Europa, Dylan ebbe un tragico e misterioso incidente in motocicletta, tanto che si susseguirono voci sulla sua morte: durante la riabilitazione nello scantinato della sua villa di Woodstock suonerà con la Band, creando quel tesoro che furono i Basement Tapes, e ritornerà “diverso” con John Wesley Harding nel 1968 suonando acustico dopo che lui aveva incoraggiato tutti i musicisti del mondo a inserire la spina degli strumenti elettrici. Un genio controcorrente, sempre.
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Attori
Quando muore un attore più o meno bravo ma comunque famoso, lo si ricorda principalmente per quel ruolo che non solo lo ha reso famoso ma addirittura iconico.
Nel caso di Rutger Hauer i ruoli iconici sono almeno due (almeno qui in Italia) e sono addirittura due: Etenne Navarro, il protagonista maschile di Lady Hawke e il replicante Roy Batty di Blade Runner, quest'ultimo diventato celebre per il monologo "Ne ho viste di cose che voi umani...", monologo che, secondo Wikipedia, scrisse lo stesso Hauer in buona parte.
Il fatto è che Hauer sarà ed è sempre stato un po' prigioniero di quel ruolo un po' come Paolo Villaggio è legato a Fantozzi o Anthony Perkins è il Norman Bates di Psycho o Anthony Hopkins sarà sempre Hannibal Lecter e così via per tanti altri.
Tutto questo per dire che ho visto anche io The Hitcher, La Leggenda del Santo Bevitore e so che Hauer non è stato solo il replicante di Blade Runner e ha partecipato pure a quella schifezza di Barbarossa, il film voluto dalla Lega che non hanno visto neppure i leghisti ma non serve a nulla fare la punta al cazzo e gli snob a ogni tizio che pubblica sulla sua pagina personale il monologo di Roy Batty per ricordare Hauer.
Hauer sarà sempre il replicante, il cattivo che si ricorda più del buono del film Blade Runner o al massimo Etienne Navarro che combatte il perfido vescovo tra le rovine di Rocca Calascio per la sua bella Lady Hawke.
Fatevene una ragione.
E non rompete il cazzo.
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I NOSTRI BIMBI BELLISSIMI ❤ ❤ La Khajiit di @blackrayser che palesemente ha il controllo della situazione, il nostro Hawke che cerca di fare il ganzo e l’Hawke di @airaly che, sorprendentemente, vuole morire. Sono perfetti ✨✨✨✨
When you are forced in quarantine, video games and art are still a great way to have fun with friends. So why not combine the two? 😏 And above all, why not create crossovers between video games that have nothing to do with each other? 👀
Well, congratulate to @dragon-agegegege (sketch & shading), to me (lineart) and to @airaly (colors) for this amazing work and especially for the insane fun we had creating it! 🎨🌟
#dragon age#the elder scrolls#Hawke è leggenda#Hawke è depresso#khajiit has wares#Garrett Hawke#Deo'Iridth#mage hawke#warrior hawke#le collab serissime#e il format provvidenzialmente perfetto per il telefono ahahah#DragonFartArt
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Lo skateboard è come la vita: cadi, ti rialzi e fai il numero più bello. (Tony Hawk, leggenda dello skate) #skates #skater #skateboards #skateboard #skate #skatespot #skaterguy #skateordie #skateboarding #skateanddestroy #skateshop #skaterskirt #skatephotoaday #skatelife #skateboarder #skateshoes #skaters #skaterboy #skatepark #instagood #picoftheday #skating #sport #nikon #fotografia #nikond3500 #d3500 #nikonphotography #nikonitalia (presso Giulianova) https://www.instagram.com/p/CNSnVvZnOFH/?igshid=c81jemlslq1s
#skates#skater#skateboards#skateboard#skate#skatespot#skaterguy#skateordie#skateboarding#skateanddestroy#skateshop#skaterskirt#skatephotoaday#skatelife#skateboarder#skateshoes#skaters#skaterboy#skatepark#instagood#picoftheday#skating#sport#nikon#fotografia#nikond3500#d3500#nikonphotography#nikonitalia
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6 lug 2020 08:50 MEMENTO MORRICONE - È MORTO A 91 ANNI IL GRANDE COMPOSITORE. SI ERA ROTTO IL FEMORE - HA CREATO MUSICHE IMMORTALI PER I GRANDI WESTERN DI SERGIO LEONE, POI PASOLINI, PONTECORVO, BERTOLUCCI, TORNATORE, TARANTINO - PERSE IL FRATELLINO QUANDO QUESTI AVEVA SOLO TRE ANNI, ''DA ALLORA CERCAI SEMPRE PIÙ RIFUGIO NELLA MUSICA''. SPOSATO DAL '53 CON MARIA TRAVIA. ''MENTRE IO COMPONEVO LEI SI SACRIFICAVA PER LA FAMIGLIA E I FIGLI. PER 50 ANNI CI SIAMO VISTI POCHISSIMO. IL SUO UNICO PRIVILEGIO ERA…'' - HA INVESTITO TUTTO IN UN APPARTAMENTO DAVANTI AL CAMPIDOGLIO, COSÌ GRANDE CHE OGNI MATTINA FA JOGGING ALL'INTERNO - ''IL RUMORE È UNA RISORSA PER LA MUSICA. NEI WESTERN MISI COLPI DI FRUSTA, DI MARTELLO, DI CAMPANE. E POI LA VOCE UMANA, MA USATA COME UNO STRUMENTO. CHE CANTA, FISCHIA, SI SCHIARISCE LA GOLA, SCHIOCCA LA LINGUA…PERFINO DEI COLPI DI TOSSE''
MUSICA: È MORTO ENNIO MORRICONE
(ANSA) - E' morto nella notte in una clinica romana per le conseguenze di una caduta il premio Oscar Ennio Morricone. Il grande musicista e compositore, autore delle colonne sonore più belle del cinema italiano e mondiale da Per un pugno di dollari a Mission a C'era una volta in America da Nuovo cinema Paradiso a Malena , aveva 91 anni. Qualche giorno fa si era rotto il femore.
BIOGRAFIA DI ENNIO MORRICONE
A cura di Giorgio Dell'Arti per www.cinquantamila.it e https://anteprima.news/
Roma 10 novembre 1928. Compositore. Autore di celebri musiche da film. Premio Oscar alla carriera nel 2007 e premio Oscar per la miglior colonna sonora originale per il film di Quentin Tarantino The Hateful Eight nel 2016 (era alla sua sesta candidatura). In tutto ha scritto le musiche di oltre 500 tra film e serie tv. Le sue composizioni sono state usate in più di 60 film vincitori di premi. Ha vinto tre Grammy Awards, tre Golden Globe, sei Bafta, dieci David di Donatello, undici Nastri d’argento, due European film awards, un Leone d’oro alla carriera, un Polar music prize. «Il successo di una musica non dipende solo dalla scrittura, ma dalla scelta degli strumenti. Le prime note della colonna sonora di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto sono eseguite dal mandolino e da un pianoforte volutamente stonato».
• Vita «Quando il Duce annunciò la dichiarazione di guerra mia madre, che lo ascoltava alla radio, scoppiò in lacrime, e io con lei. Mio padre suonava la tromba. Non eravamo poveri, ma con la guerra arrivò la fame: i surrogati, il pane appiccicoso, la mollica che sembrava colla. Mio zio aveva una falegnameria, e io impolveratissimo andavo con il triciclo a prendere sacchi di trucioli per portarli dal fornaio: ogni dieci sacchi, un chilo di pane. Le notizie arrivavano come attutite.
Al mattino studiavo al conservatorio, la sera suonavo la tromba per gli ufficiali tedeschi, riuniti in un locale di via Crispi, a ballare i valzer di Strauss con le ragazze romane. Un giorno in piazza Colonna incontrai un prete partigiano, don Paolo Pecoraro, che mi disse: tra poco ne sentirete delle belle. Seguì un botto. Era la bomba di via Rasella. Poi arrivarono gli americani, e suonavo per loro negli alberghi di via Cavour. Non ci davano soldi ma cibo – pane bianco, cioccolata, anche pietanze cucinate – e sigarette; io non fumavo, rivendevo le sigarette e portavo i soldi a casa».
• «Tra i 14 e i 16 anni, Ennio Morricone, d’estate, suonava con un gruppo al Florida, nei pressi di via del Tritone. Nel locale “c’era un clima un po’ da casa di tolleranza, sotto i tavoli succedevano cose sconce. Ogni tanto la polizia faceva una retata e una volta una delle ragazze, per non farsi arrestare, finse di essere la mia fidanzata, acchiappandomi e dandomi un bacio. Io, prima d’allora, non avevo mai baciato una donna. Ero sconvolto. Lei riuscì ad andarsene indisturbata”» (Leonetta Bentivoglio).
• Perse il fratellino Aldo quando questi aveva solo tre anni: «Come accadde? “Fu una morte assurda, provocata dall’insipienza di un medico. Aldo aveva mangiato delle ciliegie cadute da alcuni vasi. La sera prese a vomitare. Pensammo a un’influenza. Era estate e il nostro dottore di famiglia era in vacanza. Chiamammo il sostituto che sbagliò completamente la diagnosi (…). Morì per un enterocolite acuta, scambiata per un banale mal di pancia (…). Fu terribile (…), mio padre finì con l’accentuare il suo lato più severo. In contrasto netto con l’atteggiamento della mamma, la cui bontà assoluta era spesso fuori luogo. C’era un’esagerazione in entrambi i sensi che mi disorientava. Cercai sempre più rifugio nella musica» (ad Antonio Gnoli).
• «Per guadagnare, iniziai a fare i primi arrangiamenti musicali alla radio (…), poi un giorno mi chiamò Luciano Salce e realizzai le musiche del mio primo film. Il regista mi fece vedere il filmato e lo musicai. Quell’esperienza andò bene e per qualche anno collaborammo assieme. Poi vennero gli altri registi».
• Diploma in Tromba (nel 1946) e in Composizione (nel 54, sotto la guida di Goffredo Petrassi) all’Accademia di Santa Cecilia, è diventato «il compositore italiano più noto all’estero. Le sue colonne sonore sono entrate nella leggenda. I grandi nomi del rock lo citano e gli rendono omaggi su omaggi. La sua prolificità, poi, è ineguagliabile: anche venticinque film in un anno (oltre 500 dal 1960 a oggi – ndr)» (la Repubblica).
• «I Metallica da anni aprono i loro concerti con le note di The Ecstasy of Gold da Il buono, il brutto e il cattivo, e la cosa mi ha sempre divertito molto, perché io con la loro musica non ho nulla a che fare!».
• Nomination all’Oscar per I giorni del cielo (Malick 1978), Mission (Joffe 1986), Gli Intoccabili (De Palma 1987), Bugsy (Levinson 1991), Malèna (Tornatore 2000), The Hateful Eight (Tarantino 2015, vinto); Leone d’oro alla carriera a Venezia nel 1995. Tra i film per cui ha composto la colonna sonora: Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto il cattivo, C’era una volta il west, Giù la testa, C’era una volta in America (1964, 1965, 1966, 1968, 1971, 1984, tutti di Sergio Leone), Uccellacci e uccellini (Pasolini 1966), La battaglia di Algeri (Pontecorvo 1966), Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Petri 1970), Novecento (B. Bertolucci 1976), Nuovo cinema Paradiso (Tornatore 1988). «Mi sono trovato bene con tutti, con Pontecorvo, con Montaldo, Bolognini, Elio Petri. Ultimamente, ed è uno di quelli con cui mi sono trovato meglio in assoluto, c’è Tornatore».
• «Sergio Leone era dispettoso, spesso anche velenoso con i suoi colleghi. Nacque tutto con Per un pugno di dollari: voleva mettere nella scena finale, il duello tra Volonté e Eastwood, il popolare Deguello tratto dal film di Howard Hawks Un dollaro d’onore, con le musiche di Tiomkin. Gli dissi che non avrei più fatto il film: non si può togliere a un compositore la soddisfazione di fare una scena importante. Lui allora mi chiese una cosa simile al Deguello, cosa che mi guardai bene dal fare. Ripresi invece, a sua insaputa, una ninna nanna che avevo scritto qualche anno prima per i Drammi Marini di Eugene O’Neill per la tv.
La feci sentire a Sergio facendogli credere che l’avevo scritta per l’occasione. Fu entusiasta. Qualche anno dopo glielo rivelai e lui trasformò questa cosa in una regola: mi invitò a fargli sempre ascoltare i temi che altri registi avevano criticato o scartato. Anche per C’era una volta in America utilizzai il tema d’un film che all’ultimo non avevo più fatto». «Ma è vero che da bambini eravate stati a scuola assieme, e che lo scopriste solo quando vi ritrovaste, trent’anni dopo, per la colonna sonora di Per un pugno di dollari? “Appena entrato la prima volta a casa mia – era il 1963 – glielo dissi. Non ci credeva. Allora gli mostrai la foto della terza elementare. C’eravamo tutti e due. Nacque subito un feeling”» (a Paolo Scotti).
• «Pasolini, con il quale ho collaborato in tutti i film tranne che in Medea, mi diceva: “Faccia quello che vuole”. Per questo non lo lasciai mai».
• «Ho paura dell’aereo, è uno dei motivi che non mi fa più lavorare per gli americani. E poi non sono un direttore d’orchestra e, infatti, al massimo dirigo Morricone. Quando salgo sul podio mi piace, ma il mio mestiere è comporre».
• Dal 1946 a oggi ha scritto più di cento titoli di musica non da film: ultimi Silicio e altri frammenti (2006), Vuoto d’anima piena (2008). Nel 1965 entrò a far parte del Gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza.
• Sua opera preferita: la Tosca di Puccini.
• «Film che Ennio Morricone avrebbe voluto musicare: Arancia Meccanica (“Il problema nacque sul luogo dove incidere le musiche. Io volevo registrare a Roma, ma lui non amava volare e chiedeva di incidere a Londra. Le cose si complicarono anche perché in quel momento lavoravo con Sergio Leone, e alla fine rinunciai”), La sottile linea rossa (“In quel periodo viaggiavo molto e il regista Terence Malick non riuscì a trovarmi nel momento in cui si chiudevano i contratti»), L’ultimo imperatore (“Ma in quel caso non sono stato chiamato”)» (Antonio Monda).
• «Ennio Morricone evita i set per i quali scrive la colonna sonora. Tre eccezioni: C’era una volta il west e C’era una volta in America solo per il primo ciak, La leggenda del pianista sull’oceano più a lungo perché doveva coordinare Tim Roth al pianoforte» (Antonella Amendola).
• Fa ascoltare in anteprima la sua musica alla moglie: «È lei che giudica prima di tutti. Nel passato capitava che spesso i registi mi fregavano: di tutti i brani che proponevo sceglievano i più brutti. Ora non accade più. C’è mia moglie. Non ha una conoscenza tecnica della musica. Ma giudica come farebbe il pubblico. È severissima» (a Federica Lamberti Zanardi).
• La moglie, sposata il 13 ottobre 1956, si chiama Maria Travia. Ha dedicato a lei tutti e due gli Oscar vinti: «È un atto di giustizia. Mentre io componevo lei si sacrificava per la famiglia e i nostri figli. Per cinquant’anni ci siamo visti pochissimo: o ero con l’orchestra o stavo chiuso nel mio studio a comporre. Nessuno poteva entrare in quella stanza tranne lei: il suo unico privilegio». Quattro figli, tre maschi e una femmina, uno solo, Andrea (Roma 10 ottobre 1964), s’è dato alla musica, Giovanni (1966) fa il regista, gli altri sono Marco (1957) e Alessandra (1961).
• «È un signore alquanto stravagante, lontano dagli stereotipi del genio e sregolatezza. Uomo metodico, apparentemente imperturbabile, completamente dedito al lavoro e alla famiglia, con una santa moglie che lo accompagna dovunque: «Vado a letto abbastanza presto, la sera alle 10: mi alzo alle 4 del mattino, faccio ginnastica e una camminata ma non fuori, in casa. Poi esco a prendere i giornali, li leggo e poi non mi fermo più: se ho cose urgenti da fare vado avanti fino a sera”. E se è in tournée? “Se ho il concerto vado a letto tardi, dunque mi alzo un po’ più tardi e non faccio ginnastica”» (Marinella Venegoni).
• Il 25 febbraio 2007, dopo cinque nomination senza esito, gli venne conferito l’Oscar alla carriera per «i suoi magnifici contributi all’arte della musica cinematografica». Gli consegnò la statuetta Clint Eastwood («Io certamente non sarei qui se ogni apparizione del mio Gringo nei western di Sergio Leone non fosse stata accompagnata dalle sue note suggestive»), che tradusse il suo discorso di ringraziamento dall’italiano all’inglese a tutta la platea. Celine Dion cantò il Tema di Debora da C’era una volta in America.
Era il primo brano dell’album We all love Ennio Morricone, appena distribuito dalla Sony Classics in tutto il mondo, in cui le sue musiche sono interpretate da star internazionali come Bruce Springsteen, Metallica, Yo Yo Ma, Herbie Hancock ecc. «Ho ricevuto in Italia e nel mondo tanti premi, non so nemmeno quanti, premi importantissimi, da quello del presidente della Repubblica al Bafta britannico, dai Golden Globe al Grammy. Ma l’assenza di un Oscar era come un buco lì in mezzo, un vuoto che mi dava un po’ fastidio, lo confesso».
• All’inizio di febbraio 2007 diresse per la prima volta in America: concerto nella sala dell’Assemblea generale dell’Onu, aperto da Voci dal silenzio, la suite nata dopo l’11 settembre («La dedica è dentro i suoni, e l’ho poi allargata a tutte le stragi della storia umana»), e poi al Radio City Music Hall di New York, «pubblico in piedi e standing ovation a ripetizione» (Gino Castaldo).
• Il 16 aprile 2007 debuttò al Teatro alla Scala dirigendo la Filarmonica e il Coro in un concerto a favore dell’Associazione don Giuseppe Zilli, presentato da Giorgio Armani. In programma i suoi grandi temi: «Alcune cose le devo fare, altrimenti la gente sta male. Mission, ad esempio, che deve il suo successo a un’intensa carica di ascetismo e spiritualità». L’anno precedente era stato per la prima volta sul podio dell’orchestra milanese per una tournée estiva in Italia.
• Nel 2009 il Presidente della Repubblica Francese, Nicolas Sarkozy, ha firmato un decreto che lo nomina al grado di Cavaliere nell’ordine della Legione d’Onore.
• Nel 2010 e nel 2013 ha ricevuto il David di Donatello per la miglior colonna sonora, rispettivamente per Baaria e per La migliore offerta, entrambi di Giuseppe Tornatore. Per quest’ultimo film ha vinto anche l’European Film award, sempre nel 2013.
• Ha aperto il concerto del primo maggio 2011 (anno del 150° dell’Italia unita), dirigendo una sua composizione, Elegia per l’Italia, ispirata al Va pensiero di Verdi e all’inno di Mameli.
• Nel febbraio del 2016 è il tredicesimo italiano a ricevere una stella, la numero 2574, sulla Walk of Fame in Hollywood Boulevard, Los Angeles.
• Nel 2016 ha ricevuto il suo terzo Golden Globe per la colonna sonora di The Hateful Eight, l’ultimo film di Quentin Tarantino, che ritirando il premio in sua vece sul palco lo ha così definito: «Morricone è il mio compositore preferito, e quando parlo di compositore non intendo quel ghetto che è la musica per il cinema, ma sto parlando di Mozart, di Beethoven, di Schubert». «Ha detto una cosa carina, l’ha detta grossa come è grosso lui, pieno di sostanza. Mi fa piacere che mi abbia fatto un elogio gentile ma non siamo noi a doverci collocare, sarà la storia a decidere e perché arrivi il tempo giusto ci vogliono secoli» (Morricone a Michela Tamburrino) [Sta 12/1/2016]. Per lo stesso film ha ricevuto anche un Bafta.
• Politica «Non ho mai parlato di politica in vita mia. Controlli negli archivi: non troverà una sola intervista al riguardo. Non mi schiero. Non milito. Faccio un altro mestiere (...) Non sono mai stato comunista, né socialista. Sono cattolico, nella Prima Repubblica votavo democristiano. Del resto, Gesù per me è stato il primo comunista. Mi sento dalla parte dei poveri, anche se ho una bella casa; ma i soldi non li ho rubati. Ho ammirato De Gasperi. Ho condiviso il progetto di Moro di aggregare al centro le forze popolari. Avevo un’alta concezione di Craxi. E ho sempre stimato Andreotti: sono stato felice che sia stato assolto, e che abbia sempre rispettato i magistrati, a differenza di altri (...) Della politica di oggi non mi piacciono gli insulti ai senatori a vita, e le calunnie contro Prodi». Eletto nella Costituente del Partito democratico: «A mia insaputa» (ad Aldo Cazzullo).
• Fu designato da Francesco Rutelli come membro del Consiglio di amministrazione del Teatro dell’Opera di Roma in rappresentanza del ministero. Venne sostituito da Bruno Vespa a dicembre del 2008: «Nel maggio 2007 il ministro Francesco Rutelli firmò il mio decreto di nomina quando mi trovavo all’estero. Mi sembrava scorretto sottrarmi. Andai alla prima seduta del Consiglio e dissi: “Guardate, io ho una mia professione, non posso occuparmi di tutto questo, non verrò mai più”. Lasciai anche prima della fine della seduta e informai della mia scelta il sindaco Walter Veltroni. E davvero non tornai mai più. Nessuno ebbe da ridire».
• «Una domanda a Beppe Grillo: “Perché non dire le stesse cose, ma senza urlare?”. Aveva dimenticato di chiederglielo quella sera a Modena per l’anniversario di Pavarotti, quando lo hanno immortalato accanto all’ex comico (…). “Uno scatto con nessuna valenza politica ma di simpatia – ci tiene a precisare –. Mi faceva ridere quando faceva il comico mentre oggi ha intrapreso un’altra strada”» (a Simone Pieranni).
• «Il mio sogno è sempre stato reinterpretare l’inno di Mameli. L’ho realizzato per Cefalonia, il film per la tv: una versione più lenta, solenne. Ma quando diressi al Quirinale il cerimoniale mi bloccò».
• Musica «Cinema e musica hanno una qualità identica che è la temporalità: se vogliamo dare un parere su un film dobbiamo aspettare che finisca e lo stesso vale per la musica, che sia di Beethoven o di Mozart. Questo vuol dire che la durata dell’evento sonoro applicato al film deve essere della stessa qualità temporale di quest’ultimo. Se un regista chiede un pezzo di 20 secondi, si può essere certi che non funzionerà».
• «È importante il silenzio nella musica? “È la sua parte più segreta e intima. Qualche tempo fa Riccardo Muti ha eseguito a Chicago una musica che scrissi nel ricordo della tragedia delle Twin Towers e che ho chiamato, non a caso, Voci dal silenzio. C’è un istante, dopo un grave trauma, in cui tutto si ferma. Tutto tace. È in quel momento che il suono manifesta la sua forza. Viviamo in una società del rumore che ha sconfitto il silenzio”» (ad Antonio Gnoli).
• «Non condannerei il rumore. È una risorsa per la musica. I rumori non sono difetti, non sono errori (…). Sono una fonte di ispirazione, perfino sgradevoli ma di brutale bellezza, densi di esperienza e di vita. Nei western di Sergio misi anche colpi di frusta, di martello, di campane. E poi la voce umana, ma usata come uno strumento. Voce che canta, che fischia, che si schiarisce la gola, che schiocca la lingua… In una partitura dedicata all’inverno misi perfino dei colpi di tosse».
• «Suono il pianoforte piuttosto male, ma ho sempre pensato che se il regista lo accetta così, quando lo avrò strumentato, con le suggestioni timbriche e l’orchestrazione gli piacerà ancora di più. Purtroppo con il regista si tratta di intendersi sempre e solo sul discorso tematico, trascurando quello che c’è attorno alla melodia, che secondo me è molto più importante».
• «Ascoltavo Bach, ma ora non più perché c’è una convergenza tra sperimentazioni per il cinema e altre che seguo per le mie composizioni libere. La musica del cinema non è solo musica sinfonica, è musica del nostro tempo. Il compositore si rivolge a una platea vasta e deve tenere conto di tutto quello che succede in musica. Bisogna avere le carte in regola per scrivere una sinfonia, ma se serve una canzone da cantautore io la scrivo. In Uccellacci e uccellini, Pasolini mi disse: “Vorrei una musica per accompagnare i titoli, cantati da Modugno”, e allora ho scritto una filastrocca».
• Vizi
Ha investito tutto quello che ha guadagnato in un grande appartamento vicino all’Ara Coeli, in Roma, con le finestre che si affacciano sul Campidoglio. Mille metri quadri coperti: ogni mattina fa footing facendo il giro completo di tutte le stanze.
• Appassionato di scacchi, ogni tanto gioca contro qualche campione, in simultanea o no.
• Tifoso della Roma: «Allo stadio ora non vado da tanto, devo dire la verità, mi piace stare a casa. Ho questo schermo grandissimo in cui vedo la testa di Totti enorme. Quando andavamo allo stadio con Sergio Leone ricordo sempre il delirio, il parcheggio, l’entusiasmo della folla ma anche le file. Quanto alla mia prima volta allo stadio, ho un ricordo nitido. Andai a Campo Testaccio con mio padre, ero piccolo. Avevamo un posto in piedi dietro alla porta» (da un’intervista sul sito ufficiale della Roma).
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I DIARI BOLLENTI DI MARY ASTOR Anche nel 1936 i giornali parlavano di scandali nel mondo del cinema, l’ennesima conferma che la Storia si ripete: “Le clamorose rivelazioni di Mary Astor terrorizzano i magnati del cinema”. Sembra di leggere un titolo di un giornale di questi giorni… Ma chi era Mary Astor? Lucille Vasco cellos Langhake, in arte Mary Astor fu un’attrice americana degli anni Venti e Trenta, diva del cinema muto prima e di quello sonoro dopo, ma anche attrice teatrale a Broadway, vissuta negli anni d’oro della Grande Strada Bianca e della nascente Hollywood, l’epoca di Isaiah Berlin e George Gershwin, Sam Goldwyn, Lous B. Mayer, Jack Warner, di David Niven e Clarck Gable, Wiliam Wyler. Mary Astor passò da grandi parti in importanti commedie a filmetti di carattere commerciale che lei stessa dice che “più che uscire, scappavano di casa”. Dotata di grande senso dell’umorismo e una vera e propria vocazione per il sesso e l’amore, unita a una passione per complicarsi la vita, Mary Astor tenne un fedele diario di tutti i fidanzati, ex fidanzati, mariti ed ex mariti. Quando però questo diario finirà nella mani sbagliate, ovvero in quelle di uno dei suoi mariti, Franklyn Thorpe, che sposò dopo essere rimasta vedova di Ken Hawks, incominciarono i guai più seri. A raccontarceli è l’autore di questa spassosa storia, a metà tra un romanzo e una “graphic novel”, Edward Sorel, illustratore del “The New Yorker”, di “Vanity Fair”, del “The Village Voice”, amico di Milton Glaser , leggenda della grafica americana, e di Seymour Chawst con i quali fondò i leggendari “Push Pun Studios”, culla del design americano moderno. Il ritrovamento delle pagine di giornali con titoli cubitali sullo scandalo dei diari di Mary Astor sotto il lineoleum di una vecchia casa che Sorel acquistò, fece nascere l’idea di questo particolarissimo volumetto con il quale Adelphi inaugura una collana dedicata al fumetto e al “graphic novel”: è curioso come la storia di Mary Astor e quella di Edward Sorel si intreccino nella pagine di questo gustoso volume. Mary, a causa dei suoi bollenti diari finì per essere portata in tribunale dal marito Franklyn, i diari tuttavia non vennero accettati come prova dell’infedeltà della moglie a cui venne affidata la figlia per il periodo della scuola e al padre per il periodo estivo. Sorel confessa di aver scritto ed illustrato questo libro per porre rimedio ad una ingiustizia: “…Insomma, Rita Hayworth ha avuto diritto a sei biografie, Bette Davis a dieci, Jean Harlow addirittura a seidici. Mary neanche a una…” (pagina 167). Dopotutto Mary Astor interpretò più di cento film e vinse un Oscar, impossibile ignorarla. Dopo il processo però Mary cadde in una profonda depressione, distrutta dall’alcol, come spesso è accaduto alle grandi dive hollywoodiane. Negli ultimi anni della sua vita interpretò numerosi film-spazzatura per poi trascorrere la vecchiaia tra la casa di riposo e la clinica dove morì. Il libro di Edward Sorel la ricorda nella maniera migliore: uno stile da giornalismo anni Trenta, illustrazioni che si rifanno apertamente alle vignette realizzate nei tribunali, ma soprattutto grande affetto per Mary Astor.
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DAOctober #12 - Your Hawke | Garrett Hawke aka mr. fereldan dream
#dragon age 2#da2#DAOctober#mabari#Garrett Hawke#Purple Hawke#Hawke#SWEAT#fereldan dream#ferelden intensifies#nug the mabari#DOG#DOGGO#old dog#fist bump of friendship#Hawke è leggenda#LA SETE PER HAWKE E' SEMPRE POTENTE#CIT. TUTTI I COMPAGNI DI DA2#DragonFartArt
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“Il pericolo è nelle forze del mondo che sfruttano la paura per derubare l’uomo della sua individualità”: il discorso di William Faulkner agli studenti
Tutto merito della figlia. Si chiamava Jill, era nata il 24 giugno del 1933, a Oxford, Mississippi, e il giorno in cui al padre dissero che aveva ottenuto il Nobel per la letteratura – schernito con quella frase idiota, passata a leggenda, “A Stoccolma non ci vado, sono un contadino, non posso lasciare il mio campo”, seguita dalla battuta di caccia con gli amici, ignari, la cena in compagnia, i piatti da lavare – aveva 17 anni suonati. Morirà nel 2008, a 74 anni, Jill Faulkner, a Charlottesville, Virginia; coniugata con Paul Summers dal 1954, si erano conosciuti il giorno di San Valentino di quell’anno. L’anno in cui Jill si sposa, il padre pubblica A Fable – in Italia il libro è tradotto da Luciano Bianciardi –; frequenta Humphrey Bogart, dice di adorare André Malraux, confessa a Lauren Bacall che “Quando bevo un Martini mi sento più grosso, più saggio, più alto – quando ne bevo molti non c’è nulla che mi trattenga”; il giorno del matrimonio della figlia si ubriaca, tanto da doverlo portare in ospedale.
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William Faulkner, per la storia, ha ottenuto il Nobel per la letteratura per il 1949, ma l’assegnazione casca l’anno dopo. Sottigliezze del regolamento: “William Faulkner ricevette il premio Nobel un anno dopo, nel 1950. Durante il processo di selezione, nel 1949, il Comitato del Nobel per la letteratura non riconobbe alcuna candidatura consona ai criteri dichiarati da Alfred Nobel. Per statuto, in tal caso il Nobel può essere sospeso fino all’anno successivo: fu scelta questa opzione”. In ogni caso, ‘Will’ a Stoccolma non vuole andare – se ci va è merito della figlia. La prima figlia di Faulkner e di Estelle Oldham, Alabama, nasce e muore, tragicamente, nel 1931; Jill è la perla, di cui il padre è virtuosamente schiavo.
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Di mezzo, naturalmente, un putiferio di donne. Joan William, “ventuno anni… occhi verdi, capelli rossi, vuole diventare scrittrice” (così il telegrafico profilo di Fernanda Pivano), che folgora Faulkner nel tardo ’49. Con la scusa di aiutarla a fare la scrittrice ne fa l’amante – fino a tradurre Estelle, sempiterna tradita, in Medusa ed Erinni. Lei, Joan, punterà molto – diciamo così – su quel rapporto: nel 1971 scrive The Wintering, in cui romanza la relazione con ‘Will’, dando scabri dettagli di incontri clandestini tra motel, stazioni dell’autobus, gite al lago. Ci sono, poi, l’antica amata, Meta Carpenter, la segretaria di Howard Hawks, conosciuta a Hollywood, vent’anni prima (che anche lei fa relazione tardiva del rapporto in un libro, nel 1976, A Loving Gentleman), s’approssima la nuova fiamma, Else, vedova, “capelli rossi, occhi violetti, bei lineamenti, veste con molta eleganza” (ancora la Pivano), conosciuta a Stoccolma.
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A Stoccolma, Faulkner va con Jill. Nel “discorso del banchetto” lo scrittore è sintetico; il cuore è questa frase: “Oggi la nostra tragedia è una paura fisica generale, universale, che ci opprime ormai da così tanto tempo che possiamo persino sopportarla”. Ciò che angoscia Faulkner è questo: la paura. La paura soggioga l’uomo. Lo rende schiavo. Lo estirpa dalla sua condizione di uomo. Lo rende massa. Informe. Piegato. Padre & figlia tornano a New York il 18 dicembre del 1950. Qualche mese dopo la figlia bussa ancora alla porta del babbo. Gli chiede di fare il discorso di chiusura dell’anno accademico, alla University High School di Oxford, che frequenta. Il papà nicchia. Odia le interviste, odia le apparizioni in pubblico. Per la figlia, accetta. Il mese prima si vede con Else, a Parigi; di ritorno, “frequenta assiduamente Ruth Ford”, attrice di stordente bellezza, conosciuta anni prima, con cui sta scrivendo la versione cinematografica di Sanctuary (realizzata in pellicola due lustri dopo).
*
In tutta questa vita apparente, non c’è che la caduta. William Faulkner riesce a scrivere, sempre, a testa sotto, in precipizio – nel luogo di scintille nere dove carne e verbo sono uno, dove tutto è bocca, bacio e alcool.
*
Il 28 maggio 1951 Faulkner parla davanti a un gruppo di studenti raccolti nella Fulton Chapel. Secondo le testimonianze, all’annuncio di Jill, “Mio papà verrà a parlare alla classe”, un’amica le risponde, “Ma… non doveva venire uno importante?”. In pochi associano quel Faulkner al vincitore del Nobel. Nel discorso agli studenti – recentemente proposto da “Open Culture”, raccolto, in Italia, da il Saggiatore, in, William Faulkner, W.F. Scritti, discorsi e lettere, 2010 – Faulkner insiste, ancora, sul tema della paura. Dilatando lo sguardo: il potere, terrorizzato, schiaccia l’uomo con la paura; l’uomo si riconosce individuo ribellandosi al pantano comune, alle pastoie del conformismo sociale.
*
Qualche mese dopo il discorso, esce Requiem for a Nun, il libro più bello. La sera, dopo l’orazione, si fa festa, nei pressi di Rowan Oak. A Faulkner viene assegnata la laurea ad honorem. “Ora capisco quanto è bello questo foglio di carta: è il primo che vedo”, dice, ricordando i suoi studi, tormentati. Scrive a Joan, dopo una battuta di caccia, “Una storia buona si può riassumere in una frase”. Un destino, piuttosto, si può riassumere in una parola. Faulkner non sapeva scegliere tra preda e predatore. Voleva solo amare, sfracellarsi nell’amare – senza giudizio, senza chiedere altro. Perché lo scrittore è cannibale, per scrivere ha bisogno di sangue – il suo, altrui. (d.b.)
***
Anni fa, molto prima che voi nasceste, un uomo saggio, un francese, disse, “Se i giovani sapessero; se l’età potesse”. Sappiamo cosa intendeva dire: quando sei giovane hai il potere di fare ogni cosa, ma non sai ancora cosa fare. Quando sei vecchio di anni e di esperienze – e l’osservazione ti ha concesso alcune risposte – sei stanco, arso dalla paura; non ti importa più nulla, vuoi solo essere lasciato in pace, finché sei al sicuro; non hai più la capacità – o la volontà – di addolorarti per un torto che non sia quello arrecato a te.
Quindi voi, giovani uomini e donne radunati questa sera in questa stanza, e in migliaia di altre stanze come questa sulla terra, avete il potere di cambiare il mondo, di liberarlo per sempre dalla guerra, dall’ingiustizia, dalla sofferenza, a condizione che sappiate come e cosa fare. Stando al vecchio francese, visto che voi siete giovani e non sapete cosa fare, chiunque sia radunato qui con il cranio pieno di capelli bianchi dovrebbe essere in grado di istruirvi. Ma forse costui non è così vecchio e saggio come fanno supporre i suoi capelli bianchi. Perché non può darti una risposta certa né un modello. Ma può dirti ciò che ti dice perché ne ha fede. Ciò che ci minaccia, oggi, è la paura. Non la paura della bomba atomica, perché se una bomba cadesse questa sera su Oxford tutto ciò che potrebbe fare sarebbe ucciderci, il che è niente, visto che uccidendoci ci libererebbe del solo potere che la bomba ha su di noi. La paura, la paura che possa ucciderci. Ma il pericolo non risiede in questo. Il pericolo sta nelle forze del mondo attuale che sfruttano la paura per derubare l’uomo della sua individualità, della sua anima, cercando di ridurlo a una massa improbabile di paura e corruzione – dandogli cibo gratuito, che non è il frutto del suo lavoro; dandogli soldi facili, privi del valore che solo il lavoro può concedere. Economie e ideologie, sistemi politici, comunisti, socialisti, democratici, comunque vogliano definirsi, tiranni o capi di governo, americani, europei o asiatici, in qualsiasi modo preferiscano caratterizzarsi, non desiderano che ridurre l’uomo a una massa obbediente per ingigantire il proprio potere, perché sono essi stessi sconcertati e impauriti, terrorizzati e incapaci di credere nel talento dell’uomo, nel suo coraggio, nel suo sacrificio, nella sua resistenza.
Questo è ciò che dobbiamo combattere, se vogliamo mutare il mondo per la pace e la sicurezza dell’uomo. Non sono gli uomini della massa che possono salvare l’uomo. È l’uomo stesso, creato a immagine di Dio, di modo che possa scegliere tra il bene e il male, ad essere in grado di salvarsi, perché vale la pena salvarlo – l’uomo, l’individuo, uomini e donne che rifiuteranno sempre di essere ingannati e spaventati e corrotti, che non si arrendono, che sentono il dovere di scegliere tra giustizia e ingiustizia, tra coraggio e codardia, tra sacrificio e avidità, tra compassione ed egoismo. Varrà sempre la pena salvare l’uomo che crede non solo nel diritto della libertà dall’ingiustizia, dalla rapacità e dall’inganno, ma che riconosce che giustizia, verità, compassione esistono.
Quindi, non dovete avere paura, mai. Non dovete avere paura di alzare la voce per sostenere l’onestà, la verità e la compassione contro l’ingiustizia, la menzogna e l’avidità. Sei tu, non solo tu che mi ascolti questa sera in questa stanza, ma tu, in tutte le migliaia e milioni di stanze come questa nel mondo, oggi, domani e la prossima settimana, non in quanto appartenente a una classe ma come individuo, uomo e donna, a mutare il mondo; in una generazione tutti i Napoleone e Hitler e Cesare e Mussolini e Stalin e ogni tiranno che vorrà potere e grandezza e i miseri politici e gli opportunisti, sconvolti dal terrore, che usano o stanno usando o sperano di usare la paura e l’avidità per rendere schiavo l’uomo, spariranno dalla faccia della terra.
William Faulkner
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Jim Sturgess: 10 cose che non sai sull’attore
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Jim Sturgess: 10 cose che non sai sull’attore
Jim Sturgess: 10 cose che non sai sull’attore
Jim Sturgess: 10 cose che non sai sull’attore
L’attore britannico Jim Sturgess si è distinto nel corso degli anni per la sua partecipazione a piccoli ed apprezzati progetti di stampo indipendente, a cui ha spesso alternato film di più ampie proporzioni che gli hanno permesso di raggiungere una più ampia notorietà. Apprezzato per la sua versatilità, Sturgess ha da sempre saputo distinguersi per le sue scelte, sapendo caratterizzare al meglio i personaggi a lui affidati.
Ecco 10 cose che non sai di Jim Sturgess.
Jim Sturgess: i suoi film
1. Ha preso parte a celebri lungometraggi. L’attore esordisce al cinema nel 1994 con il film I ricordi di Abbey, per poi ottenere grande popolarità con il film Across the Universe (2007). Da quel momento recita in apprezzati film come L’altra donna del re (2008), 21 (2008), Fifty Dead Men Walking (2008), Crossing Over (2009), Heartless (2009), The Way Back (2010) e One Day (2011), con cui ottiene nuova fama recitando accanto all’attrice Anne Hathaway. Recita in seguito in Upside Down (2012) e nel colossal Cloud Atlas (2012). Nel 2013 è tra i protagonisti di La migliore offerta, mentre negli ultimi anni recita in Eliza Graves (2014), Il caso Freddy Heineken (2015), Geostorm (2017) e Jeremiah Terminator LeRoy (2018).
2. Ha recitato in diversi film televisivi. Nella prima parte della sua carriera l’attore si è concentrato nel partecipare a diversi progetti televisivi, tra cui i film Hawk (2001), The Quest (2002), Rehab (2003), The Second Quest (2004), e The Finale Quest (2004). Nel 2016 partecipa alle serie TV Feed the Beast e Close to the Enemy, mentre nel 2018 è tra i protagonisti della miniserie Hard Sun.
3. Ha partecipato al doppiaggio di un film. Nel 2010 Sturgess presta la sua voce al personaggio di Soren, protagonista del film d’animazione Il regno di Ga’Hoole – La leggenda dei guardiani, diretto da Zack Snyder. Il film è basato sull’omonima saga letteraria fantasy per ragazzi, ed ha per protagonisti gufi e civette.
Jim Sturgess è su Instagram
4. Ha un account personale. L’attore è presente sul social network Instagram con un profilo seguito da 169 mila persone. All’interno di questo l’attore è solito condividere fotografie scattate in momenti di svago, in compagnia di amici o famigliari. Non mancano tuttavia anche immagini promozionali relative ai suoi progetti da interprete.
Jim Sturgess e Anne Hathaway
5. Hanno recitato insieme in un film romantico. Nel film One Day, Sturgess e l’attrice Anne Hathaway sono i protagonisti di una storia d’amore che si protrae per vent’anni, con la particolarità che i due si incontrano solo per un giorno l’anno. Durante il set i due protagonisti hanno sviluppato una profonda chimica, rimanendo in ottimi rapporti anche in seguito alla fine delle riprese del film.
Jim Sturgess: chi è la sua fidanzata
6. Ha avuto una lunga relazione. Anche musicista, Sturgess è stato membro della band Dilated Spies. Proprio suonando in una sala prove, l’attore conosce la musicista Mickey O’Brien. Con questa instaura una lunga relazione, durata dal 2003 al 2012. La coppia si è dimostrata negli anni particolarmente riservata, e non ha dunque rilasciato dichiarazioni riguardo la rottura.
Jim Sturgess in One Day
7. Ha avvertito la pressione del compito. Nel ricoprire il ruolo di Dexter, protagonista del film One Day, l’attore ha dichiarato di aver avvertito una non indifferente pressione a riguardo, sia per la popolarità del romanzo da cui è tratto il lungometraggio, sia perché i suoi personaggi sono particolarmente apprezzati, e temeva di non riuscire a soddisfare il pubblico.
8. Ha affrontato un provino snervante. Per poter risultare adatto al ruolo del protagonista, l’attore è stato sottoposto al “chemistry read”, ovvero un’audizione volta a stabilire il livello di sintonia tra gli attori. Sturgess ha così letto le sue parti insieme alla co-protagonista Hathaway, mentre i produttori li osservavano con attenzione. Una situazione che l’attore ha dichiarato come particolarmente snervante.
Jim Sturgess in Cloud Atlas
9. Ha interpretato più ruoli. Il film diretto dalle sorelle Wachowski intreccia sei storie ambientate in luoghi e tempi diversi. Per ogni episodio esistono più personaggi, interpretati però dagli stessi attori. Sturgess si è infatti dichiarato entusiasta di questa possibilità, e nel film incarna ben cinque diversi ruoli: Adam Ewing, Highlander, Hae-Joo Chang, Adam Bailey e il cognato di Zachry.
Jim Sturgess: età e altezza
10. Jim Sturgess è nato a Londra, Inghilterra, il 16 maggio 1978. L’attore è alto complessivamente 184 centimetri.
Fonte: IMDb
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Jim Sturgess: 10 cose che non sai sull’attore
L’attore britannico Jim Sturgess si è distinto nel corso degli anni per la sua partecipazione a piccoli ed apprezzati progetti di stampo indipendente, a cui ha spesso alternato film di più ampie proporzioni che gli hanno permesso di raggiungere una più ampia notorietà. Apprezzato per la sua versatilità, Sturgess ha da sempre saputo distinguersi per […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Gianmaria Cataldo
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Storia Di Musica #48 - Bob Dylan, The Bootleg Series Vol.4 “The Royal Albert Hall Concert”, 1998
Tutti i dischi che scelgo per questa piccola rubrica non solo sono importanti per il sottoscritto, ma sono generalmente considerati importanti per la musica popolare del ‘900 e degli anni 2000. Conseguentemente lo sono anche gli autori. Ogni tanto però capita di scegliere qualche disco che davvero ha una dimensione storica e leggendaria superiore. Quello di oggi l’acquisisce per due motivi: il primo è che testimonia il periodo di fervore creativo e geniale che Bob Dylan attraversava nel 1966, appena dopo la svolta elettrica; il secondo è che questo disco contiene in sé una leggenda che per decenni fu pensata falsa ma che poi è stata confermata in modalità del tutto curiose. Ma andiamo con ordine. Nel 1965 il primo delitto alla musica folk (secondo i detrattori) Bob Dylan lo dà dando alle stampe Like A Rolling Stone, unanimemente considerata la canzone simbolo della musica rock. Cinque giorni dopo, il 25 luglio, si presenta al Festival di Newport con una band elettrica, capeggiata da Michael Bloomfield alla chitarra e Al Kooper all’organo, venendo duramente contestato, tanto che tornerà sul palco solo con la chitarra acustica a cantare Mr Tambourine Man e It’s All Over Now, Baby Blue. Ma Dylan non si arrende, pubblica tre dischi capolavoro, le pietre angolari della musica rock: Bringing It All Back Home e Highway 61 Revisited (1965) e il mio disco dylaniano preferito, Blonde On Blonde, sensazionale doppio album del 1966. Appena uscito intraprende un tour europeo insieme agli The Hawks, i quali di lì a poco cambieranno nome in The Band. In questo tour di sei settimane, Dylan immagina i concerti divisi in due sezioni: una prima acustica da solo e una seconda elettrica con la band a supporto. In quei tempi, soprattutto in Gran Bretagna, esisteva una fortissima dylanmania, tanto che ad inizio 1966 ben 4 album del menestrello di Duluth erano nella Top 10. Anche per questo, di quel tour esistono decine di registrazioni non ufficiali, che nel gergo vengono chiamate bootleg, prendendo in prestito il termine (letteralmente gamba dello stivale) per indicare qualcosa preso di nascosto, proprio come durante il Proibizionismo si nascondevano negli stivali mignon di alcol. A metà degli anni ‘90, una poderosa revisione degli archivi di Dylan portò alla pubblicazione delle The Bootleg Series, con rarità, canzoni mai pubblicate, concerti leggendari. Come quello di oggi, il più leggendario in assoluto. Partiamo dal primo punto di leggenda: il titolo “The Royal Albert Hall” è tra virgolette poiché sebbene conosciuto così la registrazione avvenne alla Manchester Free Trade Hall e non nel famoso teatro londinese. Secondo punto: dopo una prima parte acustica con versioni da brivido e struggenti di Visions Of Johanna, It’s All Over Now, Baby Blue, Just Like A Woman, una favolosa Mr Tambourine Man da oltre 8 minuti osannata dal pubblico, Dylan si presenta con gli Hawks per la seconda parte elettrica. Parte alla grande con Tell Me Momma, canzone meravigliosa e mai incisa su disco, cantata solo in quel tour del 1966. Testo criptico e struggente, tra i massimi dylaniani: Tutti ti vedono affacciata al tuo balcone \Quanto ci vuole perchè tu cada dal bordo? \Farai solo saltare e urlare tutti \A che scopo vorresti farlo? \Perchè io so che tu sai che io so che tu dimostri \che qualcosa sta facendo a pezzi la tua mente\ Dimmi, mammina \Dimmi, mammina \Dimmi, mammina, cosa c'è? \Cosa c'è che non va questa volta?. Dylan sciorina in chiave rock blues i suoi capolavori da Blonde On Blonde finchè, dopo una versione definitiva di Ballad Of Thin Man (uno degli epos dylaniani più potenti, feroce invettiva contro “chi non capisce”) un tizio si alza dal suo posto e gli grida:”Giuda! Non ti seguirò più!”. Dylan lo sente e gli risponde: ”Non ti credo, sei un bugiardo!” e girandosi verso la sua band gli incita a “suonare dannatamente forte” Like A Rolling Stone. Per decenni l’episodio fu considerato una delle ennesime leggende sul nostro, ma una fortunosa e inaspettata scoperta di nastri cinematografici, quasi tutti rovinati dall’acqua, furono curati e montati da Martin Scorsese per il documentario No Direction Home del 2005 sui cui titoli di coda compare la riprese dell’episodio di Giuda, a conferma dello storico fuoriprogramma. Rimane comunque uno dei live più eccitanti, vibranti e storicamente significativi di tutti i tempi. E proprio perchè si sa che Dylan è un metodico, nel 2016 fu pubblicato il “vero” concerto alla Royal Albert Hall (The Real Royal Albert Hall Concert) che ha scaletta pressoché simile, altissima qualità di esecuzione ma nessun contestatore a chiamarlo traditore. E questa potrebbe essere una perfetta trama di una canzone.
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Cosa c'è stasera in tv? I programmi tv stasera 8 agosto
Questa sera in tv c'è una replica di Don Matteo su Rai 1, una miniserie Maximilian su Rai 3 e molti film sulle reti Rai, Mediaset e Sky Tv. Il mistero di Aylwood House (21.20 Rai Due) Trama: Una famiglia americana passa la vacanza in una casa misteriosa, la Aylwood House, dove secondo una leggenda abita uno spirito. Anno: 2017; Durata: 1h 25; Cast: Anjelica Huston, Tallulah Evans, Nicholas Galitzine Trailer: Dead Man Down - Il sapore della vendetta (21.10 Rai Movie) Trama: Victor, ex soldato ungherese, vuole vendicare l'amico Gregor. Si mette alla ricerca di un potente boss, sul quale però c'è già un altro gruppo alla sua ricerca. Il loro destino si intreccerà con una giovane donna, passata da vittima a vendicatrice. Anno: 2013; Durata: 2h; Cast: Colin Farrell, Noomi Rapace, Terrence Howard, Dominic Cooper, Isabelle Huppert, Armand Assante Trailer: Le amiche della sposa (21.21 Canale 5) Trama: Annie è una ragazza single, con poche storie avute nella propria vita. Lillian le chiede di fare la damigella d'onore, ma il posto di damigella è molto ambito e ci saranno dei problemi. Anno: 2011; Durata: 2h 5m; Cast: Rose Byrne, Jon Hamm, Kristen Wiig, Maya Rudolph, Melissa McCarthy, Ellie Kemper, Chris O'Dowd Trailer: Cliffhanger - L'ultima sfida (21.27 Rete 4) Trama: Un film costantemente in tensione, la storia racconta le vicende di un operatore di montagna. È ambientato nelle montagne rocciose americane, con molti avvenimenti che accadranno sulle montagne. Anno: 1993; Durata: 1h 45m; Cast: Sylvester Stallone, John Lithgow, Michael Rooker, Janine Turner, Caroline Goodall Trailer: Scoop (21.00 Iris) Trama: La protagonista è una studentessa di giornalismo a Londra. Durante uno spettacolo di magia, vede il fantasma di un giornalista che le rivela degli indizi per trovare il "killer dei tarocchi". Anno: 2006; Durata: 1h 35m; Cast: Woody Allen, Scarlett Johansson e Hugh Jackman Trailer: L'attimo fuggente (21.15 La7) Trama: Un nuovo docente arriva in un college elitario del New England, John Keating, insegnante di letteratura. Si farà notare per i suoi metodi inconsueti, con gesti a volte plateali. Anno: 1989; Durata: 2h 5m; Cast: Robin Williams, Robert Sean Leonard, Ethan Hawke, Josh Charles, James Waterston Kick-Ass (21.35 Tv8) Trama: Dave è appassionato di fumetti, un giorno decide di fare il supereroe e con una tuta verde comprata su e-bay va a difendere la giustizia. Anno: 2010; Durata: 2h; Cast: Aaron Johnson, Lyndsy Fonseca, Mark Strong, Nicolas Cage, Chloë Moretz Trailer: Bent - Polizia criminale (21.15 Sky Cinema 1) Trama: Un ex detective finito in prigione vuole scoprire chi lo ha incastrato Anno: 2018; Durata: 1h 35m; Cast: Sofia Vergara, Karl Urban, Andy Garcia, Grace Gealey Una vita da gatto (21.15 Mediaset Premium Cinema) Trama: Tom Brand non ha tempo di dedicarsi alla famiglia. Per uno scherzo del destino, finisce in un corpo di un gatto. Avrà una settimana per riavvicinarsi alla famiglia ed alla moglie. Se dovesse fallire, rimarrà un gatto per il resto della vita. Anno: 2016; Durata: 1h 25m; Cast: Kevin Spacey, Jennifer Garner, Robbie Amell, Christopher Walken Trailer: Read the full article
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@martiverse9 @vanycat hawke è leggenda: a summary
We’re gonna save the world through comedy
And I use the term “save” very, very loosely
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