#Giuseppe Bottai
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Hey, can I copy your homework? (Fascist Italy edition)
So, it's been a while since I posted my last meme. Have this new one, but Fascist Italy edition!
Take this as a joke. Please.
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Name of the protagonists in order of appearance:
I'll help you with it!: Dino Grandi, Giuseppe Bottai, Giovanni Messe
Yeah, sure: Amedeo d'Aosta, Emilio De Bono
Bold of you to assume I did the homework: Italo Balbo, Michele Bianchi, Ettore Muti
Lol nope: Galeazzo Ciano, Alessandro Pavolini, Cesare Maria De Vecchi, Pietro Badoglio
Wait, we had homework??: Achille Starace, Ettore Muti
Read 5:55PM: Benito Mussolini, Alessandro Pavolini, Roberto Farinacci, Rodolfo Graziani
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Titolo e copertine originali sul sito web
Lino Ulderico Cavanna
“CRITICA F.”, UN DISCORSO INTERROTTO
L’italica, originale e ardua “Terza Via” tra Capitalismo e Marxismo
Vincitore del primo premio al Concorso Nazionale “L’Italia tra le due guerre” – nel 1983, quando anche Renzo De Felice ottenne lo stesso riconoscimento nel suo campo di pertinenza – questo saggio ripercorre la storia culturale di quel tempo attraverso l’accurata analisi di “Critica F.”, la celebre rivista fondata da Giuseppe Bottai.
Uno studio approfondito e inedito, dal grande valore storico, che affronta i nodi cruciali del periodo, restituendone una fotografia accurata del clima e dello spirito: dal corporativismo all’organizzazione dello Stato e dall’educazione alle politiche sociali, passando per formazione della classe dirigente, per le scelte di campo, per il dibattito culturale e per la mistica ideale.
Una saggio necessario, frutto della sintesi tra il pensiero e l’azione, dove i fatti concreti smentiscono i pregiudizi.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: seconda parte
Da spione a spiato - Inizio collaborazione con antifascisti Come mai era diventato un sovversivo da tenere sotto controllo, spiato e pedinato dal regime? La colpa maggiore per il partito fascista, era la mia amicizia con il collezionista e critico dell'arte di origine ebrea Giorgio Castelfranco, questo non era visto di buon occhio. Oltretutto durante le mie frequentazioni alla sua abitazione ebbi la fortuna di incontrare Giorgio de' Chirico e Pietro Annigoni anche loro considerati vicino agli anti fascisti.. Queste amicizie fecero nascere in me la voglia di collezionare opere d'arte. Intanto in Germania era iniziata la soluzione finale, ovvero lo stermino degli ebrei e la confisca dei loro averi. Il genocidio di questo popolo conobbe il suo culmine nel 1942 alla famigerata conferenza di Wannsee e in Italia? Dopo l'alleanza con i tedeschi Mussolini, per entrare nelle grazie di Adolf Hitler, emanò le famigerate Leggi Raziali, firmate dal re Vittorio Emanuele II. La politica antiebraica del dittatore nazista del 1938, inizio ad espandersi in Italia con la conseguenze note. Il Castelfranco venne costretto a lasciare il lavoro e in seguito nel 1942 ad espatriare. in quel triste frangente mi vendette questa abitazione, ne feci la centrale del mio nucleo operativo Come iniziò la sua carriera di recupero dell'arte trafugata? L'armistizio firmato con gli alleati Anglo Americani a Cassibile in Sicilia, colse tutti di sorpresa con le conseguenze che sappiamo. Fu allora che decisi apertamente di schierarmi con gli antifascisti. Iniziai a monitorare l'attività del corpo militare tedesco con il nome di copertura Kunstchutz, nato per salvaguardare la nostra arte, in realtà con il permesso dei funzionari del Ministero, depauperavano apertamente il nostro patrimonio culturale portavano i nostri capolavori in Germania, per musei e collezioni private.
In quel frangente la mia attività di recupero ebbe un grave colpo. Nella primavera del 1944 fui arrestato dai componenti della famigerata banda di torturatori fascisti guidata dal temutissimo Mario Carità. Per mia fortuna la voce della mia cattura arrivo agli orecchi di alcuni alti ufficiali della Repubblica di Salò, anche loro in contatto con gli alleati, riuscirono a togliermi dalle mani di quegli assassini. Una bella fortuna l'amicizia con quegli alti ufficiali che si era fatto in precedenza e dalle quali non era stato abbandonato. La prego continui, la sua avventurosa vita mi affascina! Con la liberazione del Sud Italia dagli alleati, ci fu il ritorno a Roma del re, fuggito a Bari, i Ministeri ripresero il loro lavoro, anche per il il ritorno di molti funzionari espatriati o imprigionati essendo anti fascisti. Anche lo storico dell'arte Giorgio Castefranco poté rientrare alla sovraintendenza medioevale e moderna della Toscana nel 1946. Sotto la mia direzione collaborò alla Missione Italiana con l'aiuto dei Mount Men americani al recupero delle nostre opere d'arte vendute e regalate in Germania, Come detto in precedenza con il tacito assenso del gerarchi Fascisti, Malgrado le leggi di tutela dal Ministro Fascista Giuseppe Bottai. Riuscii a riportare in Italia insieme ad altre opere trafugate la statua detta Discobolo "Lancelotti", copia dell'originale greco del Discobolo di Mirone scultore greco.
Alberto Chiarugi Read the full article
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Angelo Polimeno Bottai ha presentato presso l'Archivio di Stato di Roma, il suo ultimo libro, una testimonianza straordinaria della vita altamente controversa di suo padre, Giuseppe Bottai. La presentazione ha visto la partecipazione di eminenti figure, tra cui Francesco Rutelli, Sabino Cassese e Michele Di Sivo dell'Archivio di Stato di Roma. Galleria Fotografica Il libro, intitolato "La Vita Rocambolesca di Giuseppe Bottai: Una Figura Fuori dagli Schemi del Ventennio Fascista," getta nuova luce sulla figura del gerarca fascista, rivelando aspetti della sua personalità e della sua carriera politica che hanno scosso le fondamenta delle credenze tradizionali sul periodo fascista italiano. Giuseppe Bottai è stato uno dei gerarchi più influenti durante il Ventennio fascista, ma ha rappresentato una figura singolare all'interno del regime. Ha condiviso la sua opposizione alla violenza, alla propaganda di regime e all'adesione al nazismo, mettendosi in prima linea per difendere le sue convinzioni. Bottai non ha esitato a promuovere questi ideali attraverso i giornali da lui fondati, pubblicando libri censurati e articoli di rinomati intellettuali antifascisti. La sua opera più encomiabile è stata la strenua lotta contro le terribili conseguenze delle leggi razziali fasciste, varando una norma fondamentale per proteggere l'arte e il paesaggio italiano. Inoltre, Bottai ha coordinato la "Resistenza dell'arte," riuscendo a sottrarre oltre diecimila capolavori agli appetiti di Hitler. Non contento di questi sforzi, al culmine del suo dissenso, il cinquantenne Bottai si è arruolato nella Legione Straniera, combattendo come soldato semplice sotto falso nome sul fronte contro i nazisti. Il suo coraggio e la sua dedizione a causa della libertà hanno reso Giuseppe Bottai un caso unico nella storia politica italiana. Tuttavia, sorprendentemente, la figura di Giuseppe Bottai continua a dividere l'opinione pubblica italiana. Per i nostalgici del Ventennio, è un traditore della causa fascista, mentre molti antifascisti rimangono scettici sul riscatto delle responsabilità politiche di qualsiasi protagonista di quel periodo storico. L'opera di Angelo Polimeno Bottai offre un ritratto avvincente e approfondito di questa figura enigmatica, gettando nuova luce su un periodo cruciale della storia italiana.
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Perugia 1938, Bottai inaugura il museo di Palazzo Donini e l’anno accademico al Gallenga
Palazzo Donini Per Perugia una data da cerchiare sul calendario il 3 luglio 1938. E anche un giorno faticoso per Giuseppe Bottai ministro dell’Educazione nazionale. In programma due avvenimenti… Leggi–>
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Exhibition at the Scuderie del Quirinale, Rome:
LIBERATED ART.
Stories of masterpieces saved from war.
1937 – 1947
While wars have always involved the destruction and plundering of monuments and artworks, World War II marked a watershed in the modern reflection on the protection of cultural goods, paving the way for a new approach to the themes of conservation and museography in the wake of the dramatic outcomes of the war. During the years in which it was at the centre of the fighting, Italy was forced to take measures to safeguard its immense, fragile artistic heritage. Under the orders issued in 1939 by Giuseppe Bottai, Italy’s long-sighted Minister of Education, the country’s churches and monuments were protected with scaffolding and sand bags; statues, fountains, and frescoes were enclosed in fire-resistant structures while paintings and sculptures were secretly transferred to safe sites. The exhibition design evokes the spirit of these repositories. Following the 1943 Armistice and the advance of the Allied front, the risk of bombings was joined by the danger of the plundering of cultural goods, which were returned at the end of the war. It was against this dramatic backdrop that a group of officials from the Fine Arts department, supported by art historians and representatives of the upper echelons of the Vatican, promoted an ambitious project to safeguard Italy’s heritage.
The exhibition intends to reconstruct these complex experiences and events – described in diaries and private correspondence – placing them within a wider historic framework interpreting these single actions from the viewpoint of a highly efficient emergency response.
This wartime safeguarding experience lives on as a warning to us about the risks facing cultural heritage. Our heritage was saved thanks to the heroic gestures of the men and women involved in this epic undertaking. Their patriotism bears witness to the effectiveness of the actions of an entire generation of State officials, making it possible to save Italy’s vast cultural heritage and hand it down to future generations.
(OUR) AUDIOGUIDES ARE AVAILABLE IN SITU. DOWNLOAD THE APP! -> https://www.scuderiequirinale.it/pagine/the-scuderie-official-app
VOICE TALENT: Voice Professionals Italy https://www.voiceproitaly.com/homeeng-cxwf
RECORDED AT STUDIOCOLOSSEO FOR ORPHEO GROUP https://orpheogroup.com/it/
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Agli elettori traditi da Di Maio e soci Il segno caratteristico delle recenti elezioni regionali è stato soprattutto la “paura del fascismo”, simbolicamente rappresentato da Salvini nei panni del duce.
#5Stelle#Alfredo Rocco#Amendola#Bruno Barilli#Di Maio#Don Minzoni#Gentile#Giovanni Gentile#Giuseppe Bottai#Gobetti#Lega#Matteotti#Minniri#Pd#Salvini#Sandro Ruotolo#Ugo Spirito
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Che bella cosa ha fatto Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. Mesi fa ha scoperto che a Vairano Partenora (Caserta) c’era una strada dedicata al gerarca fascista Giuseppe Bottai, una delle “menti” del Manifesto della razza e colui che materialmente ha schedato e allontanato gli ebrei dalla scuola italiana. Ebbene, uno così, nel 2021 ha ancora una via a lui intitolata. Ancora per poco, perché Pif ha fatto sua la battaglia per cancellare quel nome, ha mosso mari e monti, scomodato sindaco, prefetto, istituzioni. E alla fine ce l’ha fatta: oggi il sindaco ha annunciato che non solo la via cambierà nome, ma sarà intitolata a Giancarlo Siani, il grande giornalista vittima della camorra nel 1985. Da un simbolo del fascismo a un simbolo dell’antimafia. Una grande vittoria arrivata grazie all’impegno, alla caparbietà di quest’uomo, che simbolicamente ripulisce un piccolo angolo del Sud e del nostro Paese dal fango della Storia e lo restituisce pulito ai cittadini. A nome di tanti, grazie. lorenzo Tosa
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Fascism was a fuzzy totalitarianism, a collage of different philosophical and political ideas, a beehive of contradictions. Can one conceive of a truly totalitarian movement that was able to combine monarchy with revolution, the Royal Army with Mussolini’s personal milizia, the grant of privileges to the Church with state education extolling violence, absolute state control with a free market? The Fascist Party was born boasting that it brought a revolutionary new order; but it was financed by the most conservative among the landowners who expected from it a counter-revolution. At its beginning fascism was republican. Yet it survived for twenty years proclaiming its loyalty to the royal family, while the Duce (the unchallenged Maximal Leader) was arm-in-arm with the King, to whom he also offered the title of Emperor. But when the King fired Mussolini in 1943, the party reappeared two months later, with German support, under the standard of a “social” republic, recycling its old revolutionary script, now enriched with almost Jacobin overtones. There was only a single Nazi architecture and a single Nazi art. If the Nazi architect was Albert Speer, there was no more room for Mies van der Rohe. Similarly, under Stalin’s rule, if Lamarck was right there was no room for Darwin. In Italy there were certainly fascist architects but close to their pseudo-Coliseums were many new buildings inspired by the modern rationalism of Gropius. There was no fascist Zhdanov setting a strictly cultural line. In Italy there were two important art awards. The Premio Cremona was controlled by a fanatical and uncultivated Fascist, Roberto Farinacci, who encouraged art as propaganda. (I can remember paintings with such titles as “Listening by Radio to the Duce’s Speech” or “States of Mind Created by Fascism.”) The Premio Bergamo was sponsored by the cultivated and reasonably tolerant Fascist Giuseppe Bottai, who protected both the concept of art for art’s sake and the many kinds of avant-garde art that had been banned as corrupt and crypto-Communist in Germany. The national poet was D’Annunzio, a dandy who in Germany or in Russia would have been sent to the firing squad. He was appointed as the bard of the regime because of his nationalism and his cult of heroism – which were in fact abundantly mixed up with influences of French fin de siècle decadence. Take Futurism. One might think it would have been considered an instance of entartete Kunst, along with Expressionism, Cubism, and Surrealism. But the early Italian Futurists were nationalist; they favored Italian participation in the First World War for aesthetic reasons; they celebrated speed, violence, and risk, all of which somehow seemed to connect with the fascist cult of youth. While fascism identified itself with the Roman Empire and rediscovered rural traditions, Marinetti (who proclaimed that a car was more beautiful than the Victory of Samothrace, and wanted to kill even the moonlight) was nevertheless appointed as a member of the Italian Academy, which treated moonlight with great respect. Many of the future partisans and of the future intellectuals of the Communist Party were educated by the GUF, the fascist university students’ association, which was supposed to be the cradle of the new fascist culture. These clubs became a sort of intellectual melting pot where new ideas circulated without any real ideological control. It was not that the men of the party were tolerant of radical thinking, but few of them had the intellectual equipment to control it. During those twenty years, the poetry of Montale and other writers associated with the group called the Ermetici was a reaction to the bombastic style of the regime, and these poets were allowed to develop their literary protest from within what was seen as their ivory tower. The mood of the Ermetici poets was exactly the reverse of the fascist cult of optimism and heroism. The regime tolerated their blatant, even though socially imperceptible, dissent because the Fascists simply did not pay attention to such arcane language. All this does not mean that Italian fascism was tolerant. Gramsci was put in prison until his death; the opposition leaders Giacomo Matteotti and the brothers Rosselli were assassinated; the free press was abolished, the labor unions were dismantled, and political dissenters were confined on remote islands. Legislative power became a mere fiction and the executive power (which controlled the judiciary as well as the mass media) directly issued new laws, among them laws calling for preservation of the race (the formal Italian gesture of support for what became the Holocaust). The contradictory picture I describe was not the result of tolerance but of political and ideological discombobulation. But it was a rigid discombobulation, a structured confusion. Fascism was philosophically out of joint, but emotionally it was firmly fastened to some archetypal foundations.
Umberto Eco, Ur-Fascism, The New York Review of Books (22 june 1995)
#Umberto Eco#Eco#Ur-Fascism#fascism#The New York Review of Books#XX century history#XX century#Italy#politics#totalitarism#Mussolini#Benito Mussolini
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Fascisti di ieri, oggi e domani
Fascisti di ieri, oggi e domani
Una delle caratteristiche per non dire delle piaghe di questo Paese è quella di non voler mai fare i conti con se stesso fino in fondo, di affrontare colpe e responsabilità collettive, e dunque anche quella di non riuscire davvero a chiudere i capitoli della storia, né di aprirne di davvero nuovi. E’ un Paese che si nasconde salvo accendere futili micce che per qualche momento sono il suo sole…
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#Alberto Airoldi#antifascismo#elenchi di ebrei#Erba#Giuseppe Bottai#leggi razziali#mausoleo Graziani#Moro
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Bottai , i “redenti” e gli antisemiti : ovvero scoperte e massacri di Mielazza , Mister Sancio e Trotterellona
L’amico fraterno (minor et maior) Giuliano Ferrara mi invita (vedi “Il Foglio” del 23 Novembre 2005) a esporre per esteso una versione personale su “Primato”, la rivista di Giuseppe Bottai apparsa negli anni 1940–1943 che egli chiama eufemisticamente “complicati per tutti”. E tanto più lo furono per i collaboratori di quel progetto che sommò in modo affascinante le firme e il pensiero di centinaia di intellettuali italiani concorrenti a delinearne il profilo politico e culturale (scrittori, poeti, artisti, architetti, filosofi , cineasti, archeologi, letterati, giornalisti, musicologi e altro ancora). Tra i più giovani ma non meno agguerriti “bottaiani” - termine non inadeguato - spiccavano Mario Alicata, Renato Guttuso, Carlo Muscetta, Giaime Pintor e Antonello Trombadori.
E siccome i problemi storiografici sono sempre, crocianamente, suggeriti dall’urgenza di un problema attuale, non deve essere stato un caso se le fotografie di questi personaggi (eccetto Trombadori e Muscetta: al loro posto ci sono Giulio Carlo Argan e Roberto Rossellini, che su “Primato” non scrissero nemmeno una riga, e in testa domina quella volpe da pellicceria che fu Palmiro Togliatti) campeggiano sulla studiata copertina de “I redenti” di Mirella Serri. Che ha ritenuto così di dover saggiare più a fondo la pasta morale di alcuni uomini politici e di cultura per avere essi condotto una “doppia vita” tra fascismo e antifascismo nel cruciale intermezzo della seconda guerra mondiale .
Il libro secondo me è una solenne puzzonata e però sembra oggi andare per la maggiore visto il peso attribuitogli da vari commentatori (la pubblicità è l’anima del commercio). “Intelligenti pauca”, direbbe il conciso latino. E Giuliano Ferrara ha detto in breve ciò che io pure penso. E cioè che i “bottaiani” furono una “ricchezza della cultura italiana” nel tempo delle sconvolgenti conversioni sotto il fuoco delle potenze alleate (i vincenti russi di Stalin legati agli angloamericani di Churchill e Roosevelt) che giorno dopo giorno annientava il presuntuoso e poco lungimirante calcolo dell’arcitaliano Benito Mussolini che aveva imposto alla nazione il suo impellente desiderio di entrare in guerra a fianco di Hitler e del Mikado.
E così potrebbe bastare. Ma a seguire l’ultima uscita di Mirella Serri (la dottoressa aveva già cucinato in salsa piccante una grottesca biografia di quell’anima vibrante di cultura e intelligenza superiore che fu il purtroppo mai conosciuto e sempre ammirato Giaime Pintor), verrebbe avanti una ben più inquietante e imbarazzante domanda. E cioè delle due l’una: i bottaiani furono una “ricchezza della cultura italiana” oppure furono, a dir poco, complici del progetto antisemita di cui la rivista ‘Primato’ era latrice nemmeno tanto occulta?
Intendiamoci. La Mirella Serri non è persona che incide pensieri come questi sulla pietra: da buon muletto di biblioteca trotterella tra fascicoli polverosi e tesse, cuce e ricuce, per dare corpo e consistenza alle due sole idee - una sua, una presa in prestito - che sorreggono e autorizzano nel libro la grave e infamante ipoteca di razzismo antisemita lumeggiandola per accostamenti tanto insinuati quanto decisamente campati per aria (c’è cascato perfino Bruno Vespa che, discettando di “vincitori e vinti”, ha dedotto analoghe inesattezze in televisione lunedì 14 novembre).
Le due tesi esibite dalla Serri sono le seguenti: la rivista ”Primato” fu primaditutto una “corazzata della cultura fascista” e di conseguenza per il tempo in cui nacque non poteva non essere “totalitariamente e programmaticamente ariana e antisemita”. La prima idea, propria della Serri, dimostra solo una cosa: l’autrice non sa o non riesce a distinguere tra cultura “fascista” e cultura “italiana”, forse perché tra l’altro non conosce bene gli studi, le pubblicazioni e gli uomini che durante la dittatura (totalitaria a chiacchiere, non solo al paragone di Russia e Germania) nutrirono di opere, e che opere!, la vita spirituale della nazione. Cito a volo soltanto la ermetica e pre-liberalsocialista “Solaria” di Alberto Carocci e la cattolica ”Frontespizio” di Piero Bargellini : fu tra queste squisitezze intellettual-politiche che il gerarca Bottai andò tra l’altro a pescare molti dei suoi “bottaiani” (vedi Giansiro Ferrata e Nicola Lisi).
Ma forse la Mirella Serri non ha tenuto conto nemmeno del fatto che la stessa cultura “fascista” non riuscì mai bene a identificarsi in proprio (anche su questo tema esiste una letteratura approfondita) tanto che l’Istituto Nazionale di Cultura Fascista venne all’ultimo - in tempo cioè di legislazione razziale - diretto perfino da Camillo Pellizzi, uomo di primaria qualità ( chiamiamolo pure “fascista di sinistra”: poi definì il fascismo una “rivoluzione mancata”) che fondò nel dopoguerra la fiorentina scuola di sociologia a contatto di gomito con Fabrizio Onofri ,Franco Ferrarotti e Francesco Alberoni. Chieda pure la Serri a loro, se le interessa, di che pasta era fatto il “fascista” Camillo Pellizzi.
Una volta precisato che “Primato” non fu per nulla una corazzata della “cultura fascista” ma un composito della “migliore cultura italiana” (che il Bottai ideò e capitanò per motivi nemmeno tanto difficili da intuire: visto bene il suo diario, riletto il suo comportamento politico dall’entrata dell’Italia in guerra nel 1940 fino al 25 Luglio 1943, e rivisitato il suo ruolo di “fascista critico” tanto bene indicato da Giordano Bruno Guerri) si tratta di passare alla seconda e altrettanto vana tesi che sorregge il tremolante argomentare della Serri.
L’idea è ripresa come oro colato da una frase (e pensiero) infelice dello storico Michele Sarfatti esposta ne “Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi” (Einaudi, 2003), secondo cui il quinquennio 1938-1943 costituirebbe un orizzonte storiografico definito dall’avvento della legislazione antiebraica, dal che si dovrebbe dedurre che la rivista “Primato”, in quanto emersa nell’incriminato periodo, avrebbe inevitabilmente fatto parte di istituti che - cito l’autore - “ furono programmaticamente e totalitariamente ariani e antisemiti”.
Michele Sarfatti indulge magari per formazione allo schematismo dottrinario. E si comprende perché ritenga possibile interpretare la storia e tanto più la cultura tagliandole a fette come il salame, ragionando più o meno così: “fino alla data fatidica dei decreti razziali del 1938 tutto il mondo era fatto in un modo; ma da quella data in poi tutto il mondo radicalmente cambia”. Di questo modo di valutare la storia e la vita - che certi snobboni contemporanei chiamerebbero “symptomale” - già si era fatto beffe Victor Hugo quando, dinanzi a un parruccone “louisphilippard” che tanto lo elogiava per avere egli finalmente risollevato la lingua francese “decaduta il 14 luglio 1789”, lo mise in braghe di tela interrogandolo così: “Et à quelle heure, s’il vous plait?”. E appunto, mutatis mutandis, vale la pena di domandare allo storico Sarfatti: “Et à quelle heure, s’il vous plait”, tutto ciò che accadde in Italia dopo le leggi razziali del 1938 cominciò a essere “totalitariamente e programmaticamente ariano e antisemita”?
La domanda l’avevo già posta sul Foglio (“Perché Primato, la rivista di Bottai, non può essere definita antisemita”, 2 dicembre 2003), opportunamente correggendo una avventurosa sortita del Mielazza (così gli amici chiamano da un po’ di tempo Paolo Mieli) che sul Corriere della Sera aveva assunto “l’aria del cosestato” di fronte alla scoperta di una tesi potenzialmente in grado, secondo lui, di far reinterpretare le biografie di tanti protagonisti del “secondo antifascismo”, combattenti armati e non nella guerra di Liberazione e durante la resistenza clandestina sotto l’occupazione tedesca tra il 1943 e il 25 Aprile del 1945. Tra questi l’amico Mielazza metteva in primo piano, guarda un po’, i “bottaiani” Alicata, Muscetta, Guttuso e Trombadori, poi divenuti intellettuali organici del PCI togliattiano, soffiando con il solito candore nel vetro muranello di questo vago sospetto: ma non saranno mica stati anche costoro “nu’ poco antisemiti”? Chi sa perché al mio articolo correttivo - con qualche piccolo ma non irrilevante argomento - non seguì né una precisazione né una sia pur fugace smentita.
Mirella Serri, beneducata, oggi lo annota tra le “reazioni polemiche” al libro di Sarfatti curando però di non elencarne né giudicarne il merito (e come avrebbe del resto potuto, se alla fine quel merito comprometteva in radice tutto il suo faticoso trotterellare da uno scaffale all’altro per imbastire la fumosa trama de “I redenti”?). Il merito era questo: su “Primato” non si scrisse non solo di razzismo antisemita (tanto più in proporzione della circostante campagna propagandistica di guerra in atto contro le demo-plutocrazie giudaiche e bolsceviche: allora c’era “La difesa della razza” a guidare il coro) ma nemmeno di antigiudaismo, neppure per caratterizzare l’idea imperial-nazionalista della “razza” e “civiltà italiana” , nel confronto con il montante pangermanesimo della ideologia nazista sulla superiorità biologica tedesca , e a sostegno di quella terza via tra capitalismo e comunismo che aveva sempre orientato l’idea bottaiana di una “missione europea” della rivoluzione fascista.
Che una simile impostazione disturbasse i manovratori di una efficace propaganda bellica filo-tedesca (e filo–nazista) è indubbio e comprovato dalle pagine stesse di “Primato”. A partire dalla inequivoca polemica contro la “esterofilia” e il sospetto di “filo-ebraismo” in arte rivolto dai camerati di Roberto Farinacci, e non solo da loro nel tempo in cui con il Premio Bergamo (1940 e 1942) Bottai conferì allori significativi a Mario Mafai e Renato Guttuso. Per la famosa provocazione più che anticonformista e politicamente allusiva rappresentata dalla “Crocifissione” dipinta da quest’ultimo, con il Cristo proletario girato di spalle (anticipazione luminosa dello “Stracci” di Pier Paolo Pasolini) il Golgota infiammato come l’Etna in eruzione e Maria Maddalena discinta e supplicante (tanto simile alle prostitute vangoghiane nel bordello di Arles) i nemici della “arte degenerata” e per altro punto di vista certi alti prelati se l’ebbero molto a male ( allora : oggi, si sa, non più). Ma la Serri, che di pittura non sa e non capisce niente, in questa occasione farnetica ipotizzando addirittura un uso strumentale della libertà dell’arte da parte di Bottai come pretesto per favorire “lo spirito di guerra” contro le esitanti gerarchie ecclesiastiche .
Quanto invece il cattolico Giuseppe Bottai fosse uomo di profonda consapevolezza artistica, proveniente dal mondo vivo e più moderno della cultura italiana lo sanno perfino le pietre. Futurista in gioventù, amico personale di Rosai, Morandi, Maccari, Bartoli, Soffici e De Pisis (come di Alfredo Casella e Goffredo Petrassi, per non approfondire altri campi), egli aveva da poco fondato l’Istituto Centrale per il Restauro e la rivista “Le Arti” (con Cesare Brandi e Giulio Carlo Argan), avviando un’opera legislativa in materia che resta suo vanto principale ancora oggi. E non solo. Tutti sanno dell’amicizia di Bottai per donna Laetitia Pecci Blunt, non casuale animatrice romana della Galleria La Cometa, dove dal 1934 al 1937 si sperimentarono le novità espressive dell’inquieto “antinovecento” a sfondo trasgressivo (e dove tra l’altro una fin troppo libera sessualità era di casa): qui si incontravano i già più che scontenti del fascismo Trombadori e Alicata con Guttuso e altri amici pittori e scrittori ebrei, Scialoja, Cagli e Moravia, i poeti omosessuali De Libero e Sandro Penna, e chi più ne ha più metta tra quanti non potevano andare a genio alla “maschia civiltà” invocata e privilegiata dal regime. Ce n’era ben donde per certi camerati antagonisti che aspiravano a far la forca al Bottai in quanto intellettuale “ebraizzante” in fatto di arte moderna. Senza contare quell’odorino “social-cattolico” che emanava dal suo corporativismo a sfondo associativo (indizio chiaro di intenzioni liberali) che tanto infastidiva gli statalisti più organici e aveva già finito col provocarne le dimissioni (1932) quand’egli era ministro delle Corporazioni.
Fu un “fascista critico” fin dall’origine Giuseppe Bottai. E un intellettuale di prim’ordine che puntò sul mito politico e la fede nel “duce” come i migliori “chierici traditori” (Julien Benda) o, se si vuole, i più colti e disperati uomini “freischwebend”, oscillanti nel vuoto, del XX secolo (Karl Manheim) . Non fu probabilmente un frondista intenzionale , come vuole il detto corrente . Ma di sicuro maldigeriva l’entrata in guerra dell’Italia e visse la crisi finale del fascismo come il crollo delle sue stesse speranze di riformarlo e modellarlo secondo una visione “liberal-corporativa” . Appare così più che naturale l’avvicinamento che poi ci fu tra la sua condizione di fascista in bilico e la nascente generazione di “chierici” altrettanto inquieti e ribelli che solo un cervello tarato dal rigido stalinismo anni Trenta come Velio Spano avrebbe un giorno potuto definire “redenti” (ma redenti da chi? Da lui? E pensare che la Serri, con mezzo secolo di ritardo intellettuale e morale, ha voluto perfino intitolarci un libro). Malgrado la incancellabile responsabilità che grava su Bottai per la zelante firma delle leggi razziali del 1938, la sua politica e le sue amicizie rivelano dunque - prima e dopo, caro Sarfatti - una trama di rapporti che impongono, accanto alla condanna, una riflessione ben meditata.
Inutile dire che Mirella Serri, trotterellon-trotterelloni, non è nemmeno rimasta sfiorata dalla avvincente complessità dell’argomento. Ma sfogliando “Primato”, la nostra trotterellona avrebbe potuto quanto meno notare che la rivista era sostenuta (un numero sì e l’altro pure: che ci fosse una qualche intesa?) dalla pubblicità della Comit, banca fondata prima dal magnate ebreo Toeplitz e poi governata saldamente da Raffaele Mattioli, uomo che per ciò stesso - a seguire le arguzie di Sarfatti e Affini - dovrebbe essere oggi considerato un sostenitore di progetti “totalitariamente ariani e antisemiti”, quando è notoria al mondo intero la sua strettissima affinità con l’ambiente di “Giustizia e Liberta” nonché i legami riservati con l’economista ebreo e comunisteggiante Piero Sraffa, per mezzo del quale custodì gelosamente i “Quaderni” di Antonio Gramsci subito dopo la morte (1937) fino alla consegna nelle mani di Togliatti. E ci sarebbe quasi da giurare che fu anche grazie alla benevolenza di Mattioli se pervennero alla rivista di Bottai le penne eccellenti di Sergio Solmi, Eugenio Montale e forse pure quella di Arrigo Benedetti: tutte figure, notare bene, di chiara ispirazione “ariana e antisemita” (!) a cominciare dagli scritti per finire al nome e cognome.
Ma torniamo alla biografia dei “redenti” che più interessano la Serri e i suoi odierni esegeti: i vari Alicata, Guttuso, Muscetta e Trombadori, tutta gente imputata di avere vissuto “due volte” e in buona sostanza di avere scelto nel comunismo del PCI una comoda nicchia (pronuba la volpe Togliatti) per obliare in qualche modo il passato in camicia nera e, come si è visto, perfino “nu’ poco antisemita”. La Mirella che trotterella non ci crederà: ma deve sapere che uno storico più anziano e competente (n. 1918) e che oggi ahimè non è più, il beneamato Paolo Alatri, sui “redenti” di Primato la sapeva molto lunga e ne aveva già scritto prima di lei e con maggiore conoscenza di causa. Infatti Paolo Alatri, di eminente famiglia ebraica romana, aveva conosciuto gli aspiranti “ariani-antisemiti” (!) sui banchi del Liceo Tasso dove, assieme all’altro importante intellettuale ebreo, il non dimenticabile Bruno Zevi, stabilì una amicizia di ferro con Mario Alicata ed Edoardo Perna (poi vennero anche Guttuso, Trombadori e Muscetta) nel comune passaggio dall’istintivo antifascismo al liberalsocialismo alla Calogero e poi di alcuni al comunismo tra il 1936 e il 1937, quando presero parte vincente ai Littoriali e successivamente organizzarono una opposizione nemmeno tanto dissimulata alla politica di guerra del regime, subendo processi e finendo in parte al confino e in carcere tra il 1941 e la fine del 1942.
Per quanto riguarda la vicenda di un altro testimone non irrilevante di quel tempo difficile, ma non così equivoco , valgano poi a memoria di trotterellona le parole di un uomo limpido come Maurizio Ferrara (n.1921), divenuto comunista nel 1940 dopo avere visto suo padre Mario difendere nel tribunale speciale un gruppo di imputati comunisti (tra cui Lucio Lombardo Radice, Aldo Natoli, Bruno Corbi) e dopo avere per un po’ oscillato “tra il liberalismo paterno, l’azionismo di Giuseppe Orlando, il comunismo di Antonello Trombadori”. L’elenco dei nomi, dei fatti e delle informazioni sulla generazione “resistente” nella Roma degli anni ’40-’43 potrebbe continuare a lungo . E ci dice che certi “redenti” dovevano avere un fondo di pensiero politico abbastanza formato quando decisero di concorrere alla avventura “bottaiana”, dopo avere presenziato alcuni di loro oltre che in casa Amendola ai primi incontri con le cellule operaie del PCI clandestino.
Un ultimo particolare aggiuntivo: il 1° Luglio 1942 compariva, sempre sulla rivista “ariana e antisemita” (!) di Bottai , anche un intervento scritto di Mario Labò, bravo architetto modernista e di animo liberalsocialista. Era il padre di Giorgio, anche lui architetto e amico di Bruno Zevi, gappista e partigiano comunista catturato dalle SS solo un anno e mezzo dopo e fucilato al termine di sevizie per non avere rivelato i nomi dei suoi compagni e comandanti (tra questi il famigerato “bottaiano redento” Antonello Trombadori: ma allora giravano più uomini e meno pentiti o dissociati). Giorgio Labò è Medaglia d’Oro al valore militare italiano.
Questi fatti e connessioni non suscitano interesse nella mente storiografica della Serri e Affini? E non interessa nemmeno ipotizzare se per caso il potente gerarca Bottai, associando tali personaggi al suo progetto editoriale “ariano e antisemita” (!), non fosse poi così tanto all’oscuro di quanto andavano dicendo e combinando quei tipi fuori dalle stanze redazionali? E se non questo, cosa è che veramente interessa? Forse soltanto la pallonata in aria dell’allegro Mister Sancio (così gli amici chiamano da un po’ di tempo Pierluigi Battista, esegeta a bocca aperta della Serri sul Corriere della Sera), secondo cui i soliti “redenti” (gli Alicata, i Guttuso, eccetera) non solo non avrebbero “raccontato la verità” ma si sarebbero inventati di conseguenza “un passato inesistente, raccontando percorsi esistenziali mai veramente vissuti”? Se le cose stanno davvero così, allora tutto diventa più chiaro. Ci eravamo un po’ stupiti quando il non dimenticato Bettino Craxi parlò di storici “dei miei stivali” . Adesso però sappiamo che un tal genere di figuranti è molto diffuso tra i professionisti dell’informazione.
P.S. Accludo in ordine alfabetico l’elenco pressoché integrale di coloro che hanno scritto sulla rivista Primato tra il 1940 e il 1943 . Perché parla da solo.
Abbagnano Nicola, Airoldi Aldo, Aleramo Sibilla, Alicata Mario, Alvaro Corrado, Angioletti Giovan Battista, Aniante Antonio, Antonioni Michelangelo, Arcangeli Francesco, Argan Giulio Carlo, Bacchelli Riccardo ,Badano Nino, Banfi Antonio, Bargellini Piero, Bardi Pier Maria, Barilli Bruno, Barolini Antonio, Bartoli Amerigo,Benco Silvio, Benedetti Arrigo, Bernardi Marziano, Bernari Carlo, Betocchi Carlo, Bilenchi Romano, Binni Walter, Birolli Renato, Bonsanti Alessandro, Bontempelli Massimo, Bragaglia Anton Giulio, Brancati Vitaliano, Brandi Cesare, Briganti Giuliano, Buzzati Dino, Cabella Giorgio, Campigli Massimo, Cantatore Domenico , Casorati Felice, Carabellese Pantaleo, Cardarelli Vincenzo, Carli Enzo, Carrà Carlo, Cecchi Emilio, Chiarini Luigi, Colacicchi Luigi,Coletti Luigi, Comisso Giovanni, Contini Gianfranco, Cremona Italo, Dal Fabbro Beniamino, De Libero Libero, De Pisis Filippo, De Robertis Giuseppe, Della Volpe Galvano,Dessì Giuseppe, Emanuelli Enrico,Fazzini Pericle, Ferrata Giansiro,Ferrazzi Ferruccio, Forcella Enzo, Fulchignoni Enrico, Funi Achille, Gadda Carlo Emilio,Galvano Eugenio, Gatto Alfonso, Gentile Giovanni, Guttuso Renato, Guzzi Virgilio,Isani Giuseppe, Labò Mario ,La Cava Mario, Linati Carlo, Lisi Nicola,Lupinacci Manlio, Luporini Cesare, Luzi Mario, Maccari Mino, Macchia Giovanni, Mafai Mario, Manacorda Gastone, Manacorda Paolo Emilio,Marini Marino, Masciotta Michelangelo, Mazzacurati Marino, Michelucci Giovanni,Migliorini Bruno ,Morandi Carlo, Monelli Paolo, Montale Eugenio, Montanelli Indro, Muscetta Carlo, Negri Ada, Paci Enzo, Pagano Giuseppe, Pallucchini Rodolfo, Pancrazi Pietro, Pandolfi Vito, Pasinetti Francesco, Pasquali Giorgio, Patti Ercole, Pavese Cesare, Pavolini Corrado, Pellizzi Camillo, Penna Sandro,Pepe Gabriele,Piacentini Marcello, Pintor Giaime, Piovene Guido, Ponti Giò, Pratolini Vasco, Praz Mario, Puccini Gianni, Quasimodo Salvatore, Ricci Berto, Rodano Franco,Rodolico Nicolò ,Romani Bruno,Rosai Ottone, Russo Luigi, Salvatorelli Luigi , Sassu Aligi , Schiaffini Alfredo, Seroni Adriano, Sestan Ernesto, Severini Gino ,Silipo Alfonso, Sinisgalli Leonardo, Socrate Mario, Solmi Sergio, Spagnoletti Giacinto, Spini Giorgio, Spirito Ugo,Squarcia Francesco, Tamburi Orfeo, Tecchi Bonaventura, Timpanaro Sebastiano, Titta Rosa Giovanni, Tobino Mario, Traverso Leone, Trombadori Antonello, Trompeo Pietro Paolo, Ungaretti Giuseppe, Valeri Nino, Valgimigli Manara, Valsecchi Marco, Vecchietti Giorgio, Vergani Orio, Viazzi Glauco, Vigolo Giorgio, Vigorelli Giancarlo, Volpicelli Luigi, Zavattini Cesare,Ziveri Alberto.
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“The Newsroom,” an HBO series that first aired in 2012, is a political drama that revolves around the fictional modern-day cable broadcast network, Atlantis Cable News (ACN) and its featuring primetime anchor of “News Night,” Will McAvoy, played by Jeff Daniels, along with his executive producer MacKenzie McHale, played by Emily. 2 days ago Imagine an ice chunk the size of Hawaii disappearing, almost instantaneously, from an ice sheet. That is what happened in the Storfjorden Trough in the Arctic Ocean some 11,000 years ago. Mar 01, 2017 Under the Remote Desktop group un-tick the checkbox Allow connections only from computers running Remote Desktop with Network Level Authentication (recommended). Windows Vista or Windows 7 and Windows Server 2008 or Windows Server 2008 R2 without RD Session Host Role. Jun 06, 2018 Parallels Remote Application Server (RAS) is an industry-leading solution for virtual application and desktop delivery. This cloud-ready, scalable product supports deployment through Microsoft Azure and Amazon Web Services. Parallels RAS offers an impressive, native-like mobile experience on iOS and Android devices. Jan 05, 2021 The transition from the Medieval Warm Period to the Little Ice Age was apparently accompanied by severe droughts between 1302 and 1307 in Europe; this preceded the wet and cold phase of the 1310s.
3-19-17 News at Home tags: Mussolini, fascism, Trump by Mark Bickhard
Mark Bickhard is Henry R. Luce Professor in Cognitive Robotics and the Philosophy of Knowledge in the Department of Psychology at Lehigh University (Bethlehem, PA).
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Comparisons between Trump(ism) and Fascism have become frequent, and with good reason. These comparisons are strongest between Trump and Mussolini — stronger than with Hitler and Nazi-ism. Detailed comparisons are difficult for at least two reasons: 1) the historical circumstances are quite different between the 20s and 30s and today, and 2) Fascism was never a coherent political theory or philosophy, but, instead, was a populist and nationalist development in Italy that Mussolini did not create, but did take over.
A comparison between Trump and Mussolini in terms of character and style, however, is frighteningly strong — and does give some guidance concerning future concerns. This comparison is based primarily on quotes from a book about Mussolini by R.J.B. Bosworth (2010). In general, the quotes speak for the themselves, though I will add some commentary along the way. It should be noted that this book was published years before similarities between Trump and Mussolini became politically relevant, and, thus, were not written with Trump in mind.
I begin with Trump’s arrogant ignorance and incoherence:
“Other more critical contemporaries noticed instead the fluctuations in Mussolini’s ideas and the way he preferred to avoid in-depth conversations, sometimes excusing himself by saying that the details should be left to the experts. Here, they discerned, was a leader more interested in imposing his will than in harmonising his attitudes or policies. Here was a politician more interested in seeming to know than in knowing.” pg 142
“He understood that a totalitarian dictator had to be, or to seem to be, expert in everything.” pg 177
“Cowing the press was only one part of building a totalitarian dictatorship.” pg 177
Bosworth points to a later developing ambition for Mussolini that is not yet overt with Trump — but it has already been hinted at by some in his inner circle:
“The real novelty of his ambition lay in his pretensions to enter the hearts and minds of his subjects, and so install Fascism as a political religion.” pg 177
Again, Trump’s ambition combined with a lack of coherence:
“and so readjusting his own history with his usual aplomb” pg 277
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“ ‘Reactionary dictators are men of no philosophy, no burning humanitarian ideal, nor even an economic program of any value to their nation or the world. (George Seldes)’ They were ‘gangsters’ more than anything else.” pg 246
One striking detailed similarity:
Mussolini appointed his son-in-law as foreign minister. e.g., pg 254
Trump, of course, is infamous for his ultra-thin skin:
“… he would flick through the French press and grow enraged at any criticism of Italy and himself.” pg 272
“… there were few things which annoyed Mussolini more than overt criticism.” pg 276
“This emotion (anger) had always been a prominent part of the Duce’s reaction to life .…” pg 280
Trump and Mussolini share thin-skinned ignorance combined with arrogant contempt:
“The Duce’s version of permanent revolution, it was increasingly plain, was more a story of his own permanent sense that the rest of human kind was not made in this own image (an arrogance which only partially cloaked his own sense of inadequacy …).” pg 282
“… it was plain that he (Augusto Rosso) was another who feared that Ciano (son-in-law) was very young, and very inexperienced in the real world, and who knew that Mussolini did not take his professional diplomats seriously.” pg 292
“In his diary, Bottai depicted a war leader whose administration grew steadily more ‘approximate’, with the Duce, a ‘man of the banner headline’ at heart, now bored by detail or discussion and preferring to ‘let things run of their own accord’.” pg 302
“… the Duce’s reaction, Bottai complained, was, ‘if things go well, take the credit; and, if they go badly, to blame others’. This, Bottai concluded, had become the real meaning of the formula: ‘Mussolini is always right.’ ” pg 303
The following speaks for itself, and speaks volumes:
From A.J.P. Taylor, quoted in Bosworth: “Fascism never possessed the ruthless drive, let alone the material strength, of National Socialism. Morally it was just as corrupting — or perhaps more so from its very dishonesty. Everything about Fascism was a fraud. The social peril from which it saved Italy was a fraud; the revolution by which it seized power was a fraud; the ability and policy of Mussolini were fraudulent. Fascist rule was corrupt, incompetent, empty; Mussolini himself a vain, blundering boaster without either ideas or aims.” pg 344
Here from a different book, Mussolini and Italian Fascism (2008), by Giuseppe Finaldi:
“Thus Fascism, as it developed in 1920-2, was not a political party, with a programme and an internal structure headed by Mussolini who sent proselytizing disciples into the provinces, but a catch-all movement that, loosely speaking, would have met with the approval of many who saw themselves as belonging to the very widespread political and social environment of the Vitterio Veneters (a nationalist movement). The ingredient that was (almost) unique to Fascism and which gave it an edge over traditional patriotic parties was its willingness to employ violence for political ends. Its ability to give a semblance of political coherence and a plausible set of symbolic reference points to what was essentially reactionary vigilantism allowed the process of law and the functioning of democracy … to be sidestepped with panache.” (pg 37)
Just as Mussolini took over the Fascist movement, Trump is exploiting and taking over the ultra-nationalism/alt-right movements. These are the power bases for two dictatorial personalities.
Two additional comparisons —one with with Hitler and one with Putin — are also relevant here. Hitler and Nazi-ism have both similarities and differences with Trump and Trumpism, but both include the style of creating multiple competing power centers, to be adjudicated by the ultimate authority. This not only creates chaos, it also encourages striving to produce the positions, actions, and proposals that will most powerfully capture what the Leader will bestow favor upon. It nurtures what came to be called “Working toward the Fuhrer.” It is a formula for extremism.
Violence is central to the history of all of these movements, and both Hitler and Mussolini came to their dictatorial powers via a relatively singular act of violence: the Reichstag fire for Hitler and the Fascist march on Rome for Mussolini.
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Putin, however, demonstrates a different path. Violence, even Putin-directed lethal violence, has been a central part of Putin’s creation of his dictatorship, but there has not been any single violent event that generated his power. Instead, Putin’s history has been one of constant undermining and destruction of competing institutions and individuals, to the point that there are no longer any checks on his power. We have already seen major attacks by Trump on the judiciary, the press, and moves to undermine and take over the institutions of public safety. The seditious partisanship of the Republicans in Congress ensures that the legislative branch will not be a check — unless that blind support is somehow itself changed.
The attacks on central institutions of American democracy as “enemies of the people” has a horrible and horribly dangerous historical background. Trump may (or may not) be too ignorant to know of that background, but his inner circle most certainly knows of it, and intends it in full.
And, of course, all of this is in addition to the subversion of American democracy and of the Trump administration by Putin’s Russia.
We live in dangerous times.
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Network Level Authentication (NLA)
This blog post is divided into two sections: the first section relates to the machines Without RD Session Host Role, while the second part refers to the machines With RD Session Host Role. https://loadoutlet812.tumblr.com/post/656124266792779776/download-pbnec-laptops-desktops-driver.
These two sections are further divided into different Operating Systems to choose from.
This post shows how to disable network-level authentication to allow for RDP connections on a target device.
Quick Links
Disabling Network Level Authentication without RD Session Host Role
Windows 7 & Windows Server 2008/Windows Server 2008 R2
Open the Control Panel. Ensure that the control panel is showing items by Category (i.e., not in Classic View). Click on System and Security and under System click on Allow remote access.
Under the Remote Desktop group, select Allow connections from computers running any version of Remote Desktop (less secure).
Windows 8 and Windows Server 2012/Windows Server 2012 R2
Open the Control Panel. Ensure that the control panel is showing items by Category. Click on System and Security and under System click on Allow remote access.
Under the Remote Desktop group deselect the option Allow connections only from computers running Remote Desktop with Network Level Authentication (recommended)
Windows 10 & Windows Server 2016
Open the Control Panel. Ensure that the control panel is showing items by Category (i.e., not in Classic View). Click on System and Security and under System click on Allow remote access.
Under the Remote group choose Allow remote connections to this computer.
Disabling Network Level Authentication with the RD Session Host Role
In Windows 2008 and Windows 2008 R2
On the RD Session Host server, open Remote Desktop Session Host Configuration. To do this, click Start, point to Administrative Tools, point to Remote Desktop Services, and then click Remote Desktop Session Host Configuration.
Under Connections, right-click the name of the connection, and then click Properties.
On the General tab, un-tick the Allow connections only from computers running Remote Desktop with Network Level Authentication check box. (For maximum compatibility ensure that Security Layer is set to Negotiate)
If the Allow connections only from computers running Remote Desktop with Network Level Authentication check box is selected and is not enabled, the Require user authentication for remote connections by using Network Level Authentication Group Policy setting has been enabled and applied to the RD Session Host server.
Click OK.
Windows 2012/Windows Server 2012 R2 & Windows Server 2016/2019
On the RD Session Host server, open the Server Manager.
Click on Remote Desktop Services, then under Collections click on the name of the session collection name that you want to modify. Click on Tasks and select Edit properties.
Under the Security tab un-tick the option Allow connections only from computers running Remote Desktop with Network Level Authentication. (For maximum compatibility ensure that Security Layer is set to Negotiate) If the Allow connections only from computers running Remote Desktop with Network Level Authentication check box is selected and is not enabled, the Require user authentication for remote connections by using Network Level Authentication Group Policy setting has been enabled and applied to the RD Session Host server.
Click OK.
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References
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Microsoft | https://social.technet.microsoft.com/Forums/en-US/c07323c2-77fa-4eb4-91ed-7ba6fa23bd00/how-to-disable-nla?forum=winserversecurity
ITSystemLab | https://kb.itsystemlab.com/knowledge-base/how-to-disable-enable-network-level-authentication-nla-for-rdp/
Parallels Network Settings
thegeekpage | https://thegeekpage.com/solved-the-remote-computer-requires-network-level-authentication/
GitHub | https://gist.github.com/pingec/7b391a04412a7034bfb6
Parallels Network Adapters
Parallels RAS Security Features | https://www.parallels.com/products/ras/capabilities/security-monitoring/
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Risveglio di Firenze
Negli anni 30 del ‘900, Firenze torna capitale della cultura. Quando nel 1870 fu compiuta l’Unità d’Italia, la capitale del nuovo stato venne spostata a Roma, come progettato dal Re Vittorio Emanuele II e dal Primo Ministro Camillo Conte di Cavour, lasciando la nostra città priva dei suoi tesori medievali, deturpata e in povertà. Firenze negli anni in cui era stata il centro della politica italiana, aveva subito un avventato risanamento radicale del vecchio centro storico con la indiscriminata distruzione di tanti palazzi storici, chiese, le mura trecentesche e monumenti vari. Tutto questo era stato fatto per ricevere la nuova massa di abitanti provenienti dal Piemonte; soldati, ministri, impiegati statali e ministeriali, al seguito del Re Vittorio Emanuele II e di tutta la sua Corte. Dopo lo stravolgimento del vecchio tuorlo cittadino, al posto di quello che era stato distrutto, vennero costruiti enormi anonimi palazzoni, per alloggiare i nuovi arrivati, che i fiorentini con il loro spirito salace chiamarono “Buzzurri”. Quando in seguito tutti si trasferirono nella nuova Capitale, al Comune di Firenze, non rimasero che i debiti, tanto da costringere il Sindaco Ubaldino Peruzzi a dichiarare il fallimento. Per un settantennio, la città rimase chiusa nel suo bozzolo a leccarsi le ferite. Negli anni trenta del ‘900, ci fu un risveglio insospettabile, che la riportò agli onori della cronaca italiana, dando prova di un nuovo vigore intellettuale nel campo delle Arti. La svolta avvenne negli ultimi anni venti, quando sotto la protezione del segretario Fascista Gaetano Turati, venne nominato vice federale della nostra città il fiorentino Alessandro Pavolini, il quale prese in seguito il posto del marchese Ridolfi, quando il nobile venne eletto alla Camera dei Deputati del Regno d’Italia. Iniziò fondando la rivista letteraria il “Bargello”, accogliendo fra i vari autori il giovane Indro Montanelli allora emergente. Nel 1934 con Giuseppe Bottai diede vita ai “Littoriali della Cultura e dell’Arte”.
Per omaggiare il grande Capitano Fiorentino Francesco Ferrucci, caduto a Gavinana nella montagna pistoiese, nel disperato tentativo di difendere la libertà della Repubblica Fiorentina, dalle mire del papa Clemente VII. Istituì le Feste Ferrucciane e diede nuovamente vita all’annuale partita del Calcio in Costume o Livrea, per esaltare il coraggio dei fiorentini assediati. La mostra dei prodotti artigianali fiorentini la “Fiera dell’Artigianato” inizia negli anni 1923/26, quando gli artigiani dettero inizio alla manifestazione, ma è nel 1931 che assume la denominazione “Prima Fiera dell’Artigianato” con sede nel palazzo delle Esposizioni al Parterre. All’inaugurazione è presente l’allora ministro delle Corporazioni Giuseppe Bottai. Ad oggi sono circa 85 edizioni ed è diventata internazionale, ed è stata trasferita nei locali della Fortezza da Basso o di San Giovanni.
Inizia in quell’anno la vita del “Maggio Musicale Fiorentino” per iniziativa del Marchese Luigi Ridolfi e del Maestro Vittorio Gui. Venne ristrutturato il Teatro comunale, divenuto in seguito anche la casa del Maggio. Da Presidente dell’Atletica Leggera Italiana, rimise a nuovo la sede della Società Assi Giglio Rosso. Con molto impiego di risorse fece costruire un avveniristico stadio di calcio per la sua Fiorentina di cui era il Presidente. Sempre in quegli anni venne deciso di unire tutti i siti di produzione dei generi di Monopolio, allora situati in svariati punti della città. La produzione della manifattura era divisa fra l’ex convento di Sant’ Orsola e l’ex chiesa di San Pancrazio. II Deposito dei sali era ubicato in via Santa Caterina da Siena, e il Deposito delle polveri al Barco delle Cascine. Il Ministro Tahon de Revel affidò la costruzione del nuovo stabilimento agli architetti Giovanni Bartoli e Luigi Nervi (già progettista e costruttore dello stadio G. Berta). Il nuovo opificio venne realizzato secondo lo stile Razionalista allora in voga, fra il Mugnone e il Fosso Macinante vicino al Parco delle Cascine occupando una area di otto ettari. Quando furono terminati i lavori il nuovo complesso venne inaugurato dal Ministro Tahon de Revel e dal Cardinale Eccellenza Elia dalla Costa. La nuova manifattura a pieno regime diede lavoro a 1400 fra operai e impiegati, la maggior parte del personale era costituito da donne. Oltre alla fabbrica vera e propria, vi si trovavano gli uffici degli impiegati, gli alloggi di servizio, la portineria con il corpo di guardia, una officina, la falegnameria, la mensa per i dipendenti. Inoltre vi era l’asilo nido per i loro figli (dove le mamme si recavano per allattare i loro piccoli), una infermeria con medico, il Deposito di vendita Sali e Tabacchi, l’Ispettorato Compartimentale, e l’ufficio per le Coltivazioni dei Tabacchi. Vi era un Dopolavoro con cinema, teatro, un bar con biliardi, un giardino estivo con possibilità di ballare, due campi da bocce, campi da tennis con docce, e infine una cooperativa alimentare gestita dagli operai.
Un altro esempio di Razionalismo Italiano, è rappresentato dalla Stazione Ferroviaria di Santa Maria Novella. Firenze possedeva all’epoca tre stazioni costruite nell’ottocento dai Lorena. La stazione Maria Antonia (dedicata alla moglie del Granduca), La Leopolda, e in ultimo quella chiamata di Campo di Marte. Negli anni trenta del novecento, con l’aumento del traffico ferroviario, venne deciso dal Ministro Costanzo Ciano la costruzione di una nuova stazione destinata a prendere il posto della vetusta e inadeguata Maria Antonia. Venne affidato il progetto all’architetto Angiolo Mazzoni, ma non piacque. Fu bandito un concorso con oltre cento partecipanti, e venne vinto dal Gruppo Toscano costituito da: Pier Niccolò Berardi, Nello Baroni, Italo Gamberini, Sarre Guarnieri, Leonardo Lusanna e Giovanni Michelucci. La novità era rappresentata dalla sua costruzione secondo una logica di funzionalità. Mussolini pur notando nel progetto l’assenza delle tendenze architettoniche del trionfalismo del fascismo, ne comprese la funzionalità, e affermò che la costruzione rappresentava un fascio littorio. Ma questa vittoria divise il mondo della cultura, C’era chi ne esaltava la bellezza e chi diceva che sembrava una scatola messa lì senza una ragione plausibile. Solo nel 1934 l’allora Capo del Governo chiamò a Roma il Gruppo Toscano, ordinando loro di procedere senza indugio alla costruzione. Inoltre venne edificata la così detta Palazzina Reale, per ospitare il re e la sua famiglia nei brevi soggiorni fiorentini. Malgrado il passare del tempo e le modifiche aggiunte, la stazione e rimasta inalterata nella sua bellezza.
La Scuola di Guerra Aerea, è un altro esempio di Razionalismo Italiano. Sempre negli anni trenta il Ministero dell’Aeronautica, per salvaguardare da eventuali attacchi aerei in caso di guerra, provenienti da oltralpe, decise di spostare sa sede della Scuola da Torino. Doveva essere un luogo sicuro, mimetizzato fra gli alberi, in modo da avere una adeguata protezione in caso di bombardamenti. La scelta cadde sulla città di Firenze, precisamente nel Parco delle Cascine, che presentava tutte le soluzioni alle proposte del Ministero. Il luogo si presentava bene e mimetizzato fra gli alberi, che nascondevano la costruzione ai nemici. Il Comune regalò il terreno al Ministero per la realizzazione, e nel 1936 l’architetto Raffaele Fagnoni, incaricato per la progettazione e costruzione dette inizio ai lavori. Nel 1937 vennero gettate le fondamenta, terminando l’opera dopo 335 giorni esattamente i 20 gennaio 1938. L’inaugurazione della Scuola di Guerra Aerea avvenne il 27 marzo 1938 alla presenza delle autorità. Il complesso ospita oggi diversi istituti, fra i quali l’Istituto di Scienze Aeronautiche. Dall’anno 2005 l’Aeronautica e le Università di Firenze e Napoli, permettono agli ufficiali dell’Accademia Aeronautica di Pozzuoli di completare il loro percorso formativo a Firenze conseguendo la Laurea Magistrale in Scienze Aeronautiche.
Alberto Chiarugi Read the full article
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Angelo Polimeno Bottai ha presentato presso l'Archivio di Stato di Roma, il suo ultimo libro, una testimonianza straordinaria della vita altamente controversa di suo padre, Giuseppe Bottai. La presentazione ha visto la partecipazione di eminenti figure, tra cui Francesco Rutelli, Sabino Cassese e Michele Di Sivo dell'Archivio di Stato di Roma. Il libro, intitolato "La Vita Rocambolesca di Giuseppe Bottai: Una Figura Fuori dagli Schemi del Ventennio Fascista," getta nuova luce sulla figura del gerarca fascista, rivelando aspetti della sua personalità e della sua carriera politica che hanno scosso le fondamenta delle credenze tradizionali sul periodo fascista italiano. Giuseppe Bottai è stato uno dei gerarchi più influenti durante il Ventennio fascista, ma ha rappresentato una figura singolare all'interno del regime. Ha condiviso la sua opposizione alla violenza, alla propaganda di regime e all'adesione al nazismo, mettendosi in prima linea per difendere le sue convinzioni. Bottai non ha esitato a promuovere questi ideali attraverso i giornali da lui fondati, pubblicando libri censurati e articoli di rinomati intellettuali antifascisti. La sua opera più encomiabile è stata la strenua lotta contro le terribili conseguenze delle leggi razziali fasciste, varando una norma fondamentale per proteggere l'arte e il paesaggio italiano. Inoltre, Bottai ha coordinato la "Resistenza dell'arte," riuscendo a sottrarre oltre diecimila capolavori agli appetiti di Hitler. Non contento di questi sforzi, al culmine del suo dissenso, il cinquantenne Bottai si è arruolato nella Legione Straniera, combattendo come soldato semplice sotto falso nome sul fronte contro i nazisti. Il suo coraggio e la sua dedizione a causa della libertà hanno reso Giuseppe Bottai un caso unico nella storia politica italiana. Tuttavia, sorprendentemente, la figura di Giuseppe Bottai continua a dividere l'opinione pubblica italiana. Per i nostalgici del Ventennio, è un traditore della causa fascista, mentre molti antifascisti rimangono scettici sul riscatto delle responsabilità politiche di qualsiasi protagonista di quel periodo storico. L'opera di Angelo Polimeno Bottai offre un ritratto avvincente e approfondito di questa figura enigmatica, gettando nuova luce su un periodo cruciale della storia italiana.
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La guerra resultó un absoluto desastre para Italia y dos años después, todos los sectores de la vieja elite prefascista, que habían mantenido su poderosa presencia durante la dictadura, desde el rey al Vaticano, pasando por el ejército, temerosos de la derrota, prepararon la caída de Mussolini. El Partido Fascista se desintegraba y su sector más moderado, encabezado por Dino Grandi y Giuseppe Bottai reaccionaba contra un sistema de gobierno que no funcionaba de forma eficaz y contra un líder que les conducía al abismo. Julián Casanova.
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