#Elisabetta Quarta Colosso
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To insulate a drafty, rundown home in Barcelona while making it as healthy as possible and also “perfectly integrated into the urban forest,” architect Elisabetta Quarta Colosso wrapped the entire thing in cork.
Not only are the interior walls, the roof, and the floors covered in cork insulation, but the entire back facade of the home is clad in cork. Since cork material is simply tree bark (it’s a renewable material since cork oak trees are preserved and only the bark is harvested every 9 to 11 years), it blends seamlessly with the surrounding trees of the backyard garden.
Quarta Colosso wanted to use natural materials whenever possible in the home’s remodel, so she experimented with materials like chalk floors instead of microcement and clay walls that don’t need paint since they naturally reflect the wide range of colors of the earth (greens, oranges, reds, etc.).
The backyard house, formerly the servants’ quarters, was refurbished as an office and library with natural bricks (from a local factory) stacked to create a floor-to-ceiling bookshelf. Every space is utilized; even a small lightwell off the bedroom was wrapped in cork and is now a meditation space (cork absorbs sound).
The home is a passive house, relying on strategies like passive solar - all the trees are deciduous to block summer light and allow for winter sun - and a ventilated underfloor cavity and vents on the facades to promote passive cross ventilation from north to south. While the house passed the “blower door test” ensuring the doors and windows don’t leak, the home's walls are all-natural - cork, brick, and clay - so the house “breathes,” allowing for clean indoor air quality.
[Watch another of Elisabetta Quarta Colosso's houses, also cork-clad for insulation, this time in a rural environment near Barcelona • Cork-clad home us... ].
https://www.elfilverd.com/
On *faircompanies: https://faircompanies.com/videos/cork...
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Piso a+e. Conversión del taller de un artista en vivienda | Elisabetta Quarta Colosso – El Fil Verd Estudi d’Arquitectura – Antoni Millson – Element Architecture Urbanism
#Antoni Millson#arquitectura bioclimática#arquitectura catalana#arquitectura española#Barcelona#El Fil Verd Estudi d’Arquitectura#Element Architecture Urbanism#Elisabetta Quarta Colosso#Joan Miró#reforma interior#vivienda
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Storia fiera e triste di Filippo II, che si sposò quattro volte (e fu quattro volte vedovo) diventando il più potente sovrano del mondo
Piacerà ai cultori delle biografie di impronta tradizionale, quelle che dedicano ampio spazio alle genealogie dei regnanti e alla loro vita familiare, nei suoi riflessi politici, il Filippo II di Angelantonio Spagnoletti (Salerno editrice, 373 p., 24 euro).
Personalmente, ho una certa propensione per i personaggi che godono di una fama un po’ fosca, specialmente se eredi di un colosso che la Storia ha collocato in primissimo piano: non mi incuriosisce Augusto – personaggio comunque tutt’altro che apollineo – ma Tiberio, ombroso e tetro, forse mai pienamente amato dal suo patrigno, arrivato al trono dopo la morte di tutta una serie di eredi designati prima di lui. E così non suscita il mio interesse Carlo V, ma il figlio Filippo II, che per tanti motivi è accompagnato in Italia da una fosca fama: per prima cosa, è ancora vivo il topos del “malgoverno spagnolo”; e poi, non dimentichiamo l’immagine, romanzesca e immaginosa, ma di facile presa e difficilmente eradicabile, che del sovrano ci ha dato il Don Carlos verdiano.
Salazar de Mendoza celebrò in Filippo il più potente principe del mondo; e Campanella scrisse che nessuno avrebbe mai potuto calcolare l’estensione della monarchia ispanica ai suoi tempi. Eppure, nel sentire comune, Filippo II è stato oscurato dalla grandezza del padre, Carlo V, e anche dal fratellastro, Don Giovanni d’Austria, vincitore di Lepanto.
Che cos’è la verità?, chiedeva Ponzio Pilato a Gesù, ma soprattutto a se stesso (Gv 18, 38), e che cos’era si chiedeva anche Antonio de Herrera y Tordesillas nella seconda parte della sua Historia general del mundo (p. 152). Se il prefetto della Giudea esprimeva un dubbio, de Herrera si sente di dare una risposta a questa domanda affermando: “La verità è una conferma di ciò che è certo e il rifiuto di ciò che non lo è, ordinata per mostrare la cosa come avviene, e chi si serve di essa e la mantiene è chiamato veritiero e il suo abito è la verità”. È difficile trovare la verità sul regno e sulla vita di Filippo II, o meglio, è difficile trovare una verità condivisa.
La solida biografia di Spagnoletti ripercorre la vita del re, uno dei più longevi del suo tempo, che arrivò ai 71 anni (nato nel 1527, morì nel 1598): un autentico primato nella casa degli Absburgo, che raramente arrivavano ai 70 anni. Filippo vide la morte di figli, nipoti, parenti, amici e di ben quattro mogli (tra le quali vi fu Mary Tudor, ‘Maria la Sanguinaria’: e chi sa che piega avrebbe preso la storia se dalla loro unione fosse nato un erede!), e solo dalla quarta consorte ebbe il figlio maschio che sarebbe stato destinato a succedergli.
Gregorio Leti, nella Vita del Cattolico Re Filippo II (1678) lo definì politico con tutti, amico della pace, pio verso la Chiesa, severo col suo sangue; ma anche invidioso, simulatore, incapace di dimenticare e propenso alla crudeltà, e ombroso. Uno dei pochi personaggi con cui entrò in vera sintonia era Vespasiano Gonzaga, il signore di Sabbioneta, ingegnere militare, insignito del Toson D’Oro che, come speciale concessione, Vespasiano, caso unico, poté conservare dopo la morte, venendo sepolto con l’ambita onoreficenza.
Chi fu il vero Filippo? La risposta va cercata nelle pieghe di una vita condotta all’insegna della ragion di stato, ricca di fasto e ricchezze, ma anche di contraddizioni, dolori e solitudine. A partire dal fatto che Filippo era spagnolo fino al midollo, cosa che certamente non si poteva dire del padre Carlo V, culturalmente più legato alla Germania e, soprattutto, alla Borgogna, la terra di sua nonna, Maria, unica figlia di Carlo il Temerario e sposa di Massimiliano I d’Asburgo.
Filippo rimase orfano di madre a 12 anni e convolò a nozze a 16 anni, nel 1543, con la principessa portoghese Maria Manuela, sua coetanea, che, tuttavia, morì poco dopo, nel 1545: la giovane aveva appena dato alla luce a Valladolid il principe Carlos, quando le dame che l’avevano assistita la abbandonarono per presenziare ad un autodafeé (vuoi mettere la ghiotta occasione mondana?) in cui sarebbero stati messi al rogo alcuni eretici. Maria Manuela, dicono le fonti, rimasta sola, si alzò dal letto, e mangiò un melone, frutto che agli Absburgo, evidentemente, portava sfortuna, visto che anche il bisnonno di Filippo, Massimiliano I, morì, si dice, a causa di una indigestione di questo cibo; tempo quattro giorni, anche Maria Manuela morì, poco dopo il battesimo del figlio. A questo decesso seguì un periodo di vedovanza di 9 anni, che preoccupò non poco il padre di Filippo, Carlo V, il quale, sin dal 1548 esortava il figlio a risposarsi, in quanto riteneva che l’elemento più adatto a trattenere i vassalli nella fedeltà verso i loro signori era vedere che essi garantivano il perpetuarsi della dinastia generando numerosi figli.
Il desiderio dell’Imperatore si realizzò solo nel 1554, quando il ventisettenne Filippo si adattò, assai di malavoglia, a sposare la trentottenne Maria Tudor: ma il titolo di re consorte d’Inghilterra e la prospettiva di un figlio di sangue per metà asburgico che avrebbe un giorno occupato il trono inglese valeva il sacrificio, anche se Filippo si adattò, per i pochi anni in cui durò il matrimonio, a essere re in Inghilterra (Carlo V aveva rinunciato a Milano e al Regno di Napoli, perchéi il figlio, nel momento in cui sposava una regina, fosse anch’egli un sovrano), piuttosto che re d’Inghilterra. Purtroppo, sappiamo bene quale sia stata la fine di questo connubio.
A trentadue anni, quindi, nel 1559, Filippo prese in moglie Elisabetta, figlia dei re di Francia Enrico II di Valois e Caterina De Medici. La sposa aveva meno di 14 anni e alla sua mano aspirava anche il duca di Savoia Emanuele Filiberto, più o meno coetaneo di Filippo (era nato nel 1528), che però dovette accontentarsi della sorella trentaseienne del Valois, Margherita. Al quarto matrimonio, nel 1570, Filippo prese invece in moglie Anna d’Austria, ventunenne, nata in Spagna come il nonno imperatore Ferdinando, e prima arciduchessa a sedere sul trono spagnolo. Rimasto ancora vedovo, pare abbia sondato le vie diplomatiche nel tentativo di organizzare un quinto matrimonio, ma desistette presto dal tale intento.
La biografia di Spagnoletti apre squarci interessanti anche sulla sorte delle regine: che cosa significava essere consorti di monarchi nel XVI secolo e oltre? Le sovrane, sposate in giovanissima età, erano delle sradicate di lusso, che lasciavano, spesso ancora adolescenti, la loro patria e la loro nazione, con il solo fine di condurre in porto numerose gravidanze: esse avevano quindi, in prima battuta, il potere che derivava loro dall’essere madri, soprattutto dell’erede al trono, e dall’assicurare la continuità dinastica, soddisfacendo i desideri non soltanto del sovrano loro consorte, ma anche della corte, che le sottoponeva a inaudite pressioni perché procreassero prima possibile il tanto sospirato erede maschio. Inoltre, le regine, essendo spessissimo straniere (perché quasi mai un sovrano sposava una sua suddita, sia pure di alta condizione), costituivano un collegamento formale e informale tra le due dinastie, fungendo da mediatrici fra la politica del padre o del fratello e quella del marito, fra quella del Paese d’origine e quella della patria d’adozione, e dando luogo a una diplomazia parallela che spesso si sovrapponeva a quella curata dall’ambasciatore ufficiale. Questo avvenne negli anni di regno di Carlo V, che si servì spesso della moglie Isabella come reggente dei reami iberici durante le sue numerose assenze, e della terzogenita Giovanna (1535-1573), che, in un certo qual modo, supplì anche alle assenze di Filippo sia quando era l’erede designato sia quando era il sovrano effettivo.
Per quel che concerne il potere informale di cui erano titolari, le regine dispiegavano una attività fatta di consigli al marito, educazione dei figli, influenza e committenze artistiche, patronage religioso e partecipazione, infine, a tutti quelli che potremmo definire i “riti della regalità” che contribuivano ad accreditare la visione del potere sovrano.
La vita di Filippo II mostra non solo la gloria del potere, ma anche le restrizioni, le limitazioni, i compromessi, le contraddizioni dei tempi, e questo anche nella morte: Filippo, che amava scrivere, ebbe, negli ultimi tempi della sua vita, durante la sua interminabile agonia, le articolazioni bloccate dalla gotta, con il pollice della mano destra amputato per scongiurare la cancrena; era un maniaco della pulizia e morì tra i suoi escrementi, nella sporcizia, indossando abiti ormai lerci che non gli si riusciva a cambiare, e attaccato da una miriade di pidocchi. La sua morte, prevista, pubblica, annunciata e seguita da prodigi celesti, inquadrata nelle devozioni del Cattolicesimo tridentino, non ebbe le stimmate di un semplice trapasso, ma di un transito dalla vita terrena a quella celeste, dove avrebbe regnato nella gloria, ricevendo il meritato premio per le sue tante imprese e per le sue fatiche. Ovvero, per dirla diversamente, morir es ganar.
Silvia Stucchi
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SAN BENEDETTO – Grande Successo organizzativo e di pubblico in occasione della Finale Nazionale Adriatico dei Campionati di Società della categoria Allievi/e , primo grande evento di atletica leggera di rilevanza nazionale ospitato nel nuovo impianto rivierasco, organizzato in collaborazione con la Fidal nazionale, che ha visto la partecipazione di 23 team provenienti dalla Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Abruzzo e Puglia tra i quali, a livello femminile, anche la Collection Atletica Sambenedettese.
Le due giornate sono state un vero e proprio tripudio di agonismo e di festa , in uno splendido impianto baciato dal sole ed hanno visto la presenza di numerose cariche istituzionali giunte in Riviera per ammirare da vicino i protagonisti della finale. In primis il Sindaco Pasqualino Piunti che ha potuto premiare ed ammirare l’ètoile di casa Emma Silvestri che si è aggiudicata la gara dei 400 metri ad ostacoli con 1’02”78 dopo essere giunta seconda nei nei 400 metri con 57”95, dietro alla campionessa italiana Elisabetta Vandi dell’Avis Macerata che si è aggiudicata la gara con 55”73.
Presenti anche l’Assessore allo sport Pierluigi Tassotti, il membro del direttivo nazionale del Coni Fabio Sturani, il Presidente del Coni Marchigiano Fabio Luna, il Maestro di sport e Delegato Provinciale del Coni Armando De Vincentis ed il Presidente della Fidal Marche Giuseppe Scorzoso con alcuni membri del consiglio direttivo.
Le gare hanno proposto un elevatissimo livello tecnico ed hanno visto la clamorosa realizzazione di ben due primati nazionali di categoria: il primo siglato la prima giornata grazie ad una spallata da record per Carmelo Musci, un colosso 16enne pugliese che, grazie a un lancio di 60,52 , ha siglato la migliore prestazione italiana under 18 nel disco, con l’attrezzo da un chilogrammo e mezzo, migliorando un limite nazionale che resisteva da sei anni, stabilito con 59,63 da Martin Pilato nel 2011.
Ma il fatto più incredibile è che il martello di Giorgio Olivieri è stato ancora da primato italiano. Un doppio record per il non ancora 17enne marchigiano, che incrementa due volte la sua migliore prestazione nazionale under 18 fino a 77,53 nel sesto e ultimo lancio con l’attrezzo di categoria da 5 kg dopo averlo già ritoccato con 76,60 al quinto turno. Il giovane portacolori del Team Atletica Marche arriva così a un progresso di un metro esatto rispetto al 76,53 ottenuto sulla stessa magica pedana sambenedettese il 17 settembre, quando si era impadronito del limite italiano di categoria.
Ottime prestazioni da parte delle Allieve della Collection che, oltre alle citate prestazioni della Silvestri , si sono ben distinte con il secondo posto nel salto in alto di Arianna Falasca Zamponi che si è piazzata anche quarta nel giavellotto, l’ottima terza piazza negli 800 metri per Lara Prosperi con il suo nuovo personale di 2’27”85, mentre Micol Cojocaru , Alessia Mariani e Giorgia Amatucci sono arrivate quarte rispettivamente nel lancio del disco, nel getto del peso e nei 2000 metri siepi.
Infine da segnalare l’exploit della campionessa mondiale di pattinaggio Anais Pedroni che si è cimentata nei 1500 metri senza una preparazione specifica, giungendo quinta con l’ottimo tempo di 5’13”22. A livello di classifica, la Collection Atletica Sambenedettese aveva conquistato un eccellente quarto posto vanificato purtroppo da una discutibile squalifica della staffetta 4 x 400 per un presunto cambio irregolare che ha relegato le Orange ad un comunque onorevole settimo posto.
Ad ogni modo la Collection ha ottenuto una vera e propria consacrazione per l’eccellente livello espresso a livello organizzativo apprezzato moltissimo dalla totalità dei dirigenti e tecnici di tutte le società partecipanti che sono rimasti favorevolmente colpiti dall’operosità ed efficienza dello staff costituito da genitori, atleti ed appassionati e dall’estrema funzionalità dell’impianto che si candida pertanto ad ospitare , in futuro, nuovi ed ancor più importanti eventi nazionali dell’atletica leggera.
foto Davida Ruggieri
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