#Ecologia delle parole
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Cecilia Vicuña
La donna di oggi è Cecilia Vicuña, artista visiva, poeta e attivista cilena, nota per le sue performance poetiche che rivendicano la sua identità femminile provando a riscrivere la storia della cultura indigena.
È creatrice di una poetica speciale che interseca arte e coscienza ecologica.
Il suo lavoro porta avanti conoscenze millenarie attualizzate con performance, film, installazioni, sculture, libri e gesti della vita quotidiana.
Ha scritto 25 libri di arte e di poesia, tradotti in sette lingue e anticipato i più recenti dibattiti su ecologia e femminismo decoloniale, immaginando nuove mitologie personali e collettive. Molte delle sue installazioni sono realizzate con materiali trovati e detriti abbandonati che intesse in delicate composizioni, nelle quali il microscopico e il monumentale trovano un fragile equilibrio, la sua arte è precaria, intima e, insieme, potente.
I suoi dipinti si ribellano alla forma, mettendo al centro l’immaginazione di una donna indigena.
Oggi le sue opere fanno parte delle collezioni di importanti musei tra cui il Guggheneim, il MoMa, la Tate, il Museo d’Arte Latinoamericana di Buenos Aires e il Museo Nazionale delle Belle Arti di Santiago del Cile.
È nata a Santiago del Cile il 27 luglio 1948 in una famiglia di artisti e intellettuali. Dal 1966, dopo aver iniziato con tele astratte, ha iniziato a lavorare a un progetto che ancora oggi porta avanti, le precarios, sculture assemblate con materiali da recupero, esposte agli agenti atmosferici e alle maree.
Nel 1967 ha fondato il suo primo gruppo, Tribu No, che realizzava azioni artistiche collettive nella città di Santiago.
Nel 1968 ha pubblicato il suo primo poema sul periodico messicano El Corno Emplumado.
Dagli anni ’70, il suo lavoro si è confrontato visivamente e poeticamente con i rituali dell’America latina, delle popolazioni aborigene australiane, del Sudafrica e dell’Europa paleolitica. Le sue esibizioni, installazioni site-specific, quipu, sculture, dipinti, disegni e testi legano il filo rosso al sangue mestruale e alla continuità della vita.
Dopo aver esposto per la prima volta al Museo Nazionale delle Belle Arti di Santiago ed essersi laureata in Belle Arti, nel 1972 è partita per Londra per specializzarsi alla Slade School of Fine Art.
Si trovava in Gran Bretagna quando, l’11 settembre 1973, c’è stato il violento colpo di stato militare contro Salvador Allende guidato da Pinochet e ha chiesto asilo politico.
L’anno seguente ha fondato il gruppo Artists for Democracy per raccogliere fondi per la Resistenza cilena e organizzato il Festival of Arts for Democracy in Chile che ha visto partecipare 320 artisti e artiste internazionali tra cui Julio Cortázar, Christo e Sol LeWitt. Durante il Festival erano stati denunciati i soprusi commessi dalla dittatura militare di Pinochet e dalle altre dittature dell’America Latina e la violazione dei diritti umani.
Nel 1975 si è trasferita a insegnare storia dell’arte e poesia latinoamericana all’università di Bogotà, ha lavorato in ambito teatrale e condotto laboratori artistici con la comunità guambiana della Valle del Cauca, esperienza che l’ha portata ad approfondire il suo legame con la cultura indigena.
Quando al Concorso nazionale di poesia Eduardo Coté Lamus le è stato negato il premio a causa del tono erotico e irriverente della sua opera, è partita una serie di azioni artistiche di protesta che le hanno dato grande fama.
A questo periodo risalgono le Palabrarmas, neologismo che unisce le parole (palabra) con le armi (armas), concretizzate attraverso varie tecniche artistiche che spaziano dal disegno alla performance, dalla scrittura ai film, come risposta poetica alla distorsione del linguaggio e alla violenza delle menzogne.
Nel 1980 ha realizzato il suo primo documentario, ¿Qué es para usted la poesía? (Cos’è per voi la poesia?), oggi nella collezione del MoMA.
A New York ha collaborato con il periodico Heresies: A Feminist Publication on Art and Politics, leggendario gruppo di artiste e intellettuali femministe.
Nel 1981 ha esposto per la prima volta al MoMA, nella collettiva Latin American Video.
Tra i viaggi in giro per l’America Latina e gli Stati Uniti, producendo reading, performance poetiche e esposizioni, non ha mai smesso di scrivere libri.
Nel 1995 ha tenuto il primo seminario con la comunità rurale di Caleu, in Cile, per promuovere la riscoperta delle conoscenze ancestrali dando origine a un metodo di educazione decolonizzatrice che ha chiamato Oysi, titolo che ha dato alla sua organizzazione senza scopo di lucro.
Nel 1997 è stata pubblicata la biografia The Precarious. The Art and Poetry of Cecilia Vicuña. L’anno successivo ha realizzato la prima mostra multimediale Cloud-net, dedicata al riscaldamento globale e all’estinzione delle specie e delle civiltà, temi che denuncia e porta avanti, instancabile, in ogni suo lavoro.
Numerose sono state le esposizioni e retrospettive tenute in giro per il mondo e le conseguenti acquisizioni da parte dei più importanti enti museali internazionali.
Nel 2015 è stata nominata Messenger Lecturer per il Dipartimento di Antropologia della Cornell University per contribuire all’«evoluzione della civiltà con lo scopo specifico di elevare lo standard morale della nostra vita politica, commerciale e sociale».
Nel 2017 ha partecipato a documenta 14, una delle più importanti esposizioni d’arte contemporanea nel mondo.
Nel 2018 ha ricevuto il premio Achievement Award assegnato da Cisneros Fontanals Art Foundation ed è stata nominata Sherry Memorial Poet in Residence 2018 per il Programma di poesia e poetica dell’Università di Chicago.
Nel 2019 ha ricevuto il Premio Velázquez di arti plastiche assegnato dal Ministero della cultura e dello sport della Spagna.
Al Centro Cultural España di Santiago del Cile, ha presentato Minga del Cielo Oscuro, convocando personalità del mondo dell’arte, astronomia, archeologia, musica ed etnomusicologia per riflettere sull’oscurità del cielo notturno e sulle molteplici conseguenze ecologiche, neurologiche e sociali della sua scomparsa.
Il 23 aprile 2022 è stata la prima artista cilena a ricevere il Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia. Per l’occasione ha realizzato l’installazione site specific NAUfraga, dedicata alla fragilità (fraga) della laguna.
Il 3 maggio 2023 ha ricevuto la Laurea honoris causa dall’Università del Cile.
Per i suoi meriti, la poetica, l’instancabile ricerca e il fervente attivismo, si può considerare tra le più interessanti protagoniste dell’arte contemporanea.
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Bergamini: Sostegno PPE ai Motori Endotermici
La vicesegretario nazionale e responsabile esteri di Forza Italia Deborah Bergamini: "Bene posizione PPE sui motori endotermici. Il costo delle scelte di prospettiva non può mai essere la macelleria sociale" La vicesegretaria nazionale di Forza Italia, Deborah Bergamini, ha espresso un forte apprezzamento per la recente posizione assunta dal Partito Popolare Europeo (PPE) riguardo al futuro dei motori endotermici. In un contesto industriale e sociale che vede aziende come Stellantis e Volkswagen affrontare crisi significative, Bergamini sottolinea l'importanza di un cambiamento di rotta nelle politiche industriali europee, come evidenziato nel comunicato stampa rilasciato il 3 dicembre. Bergamini dichiara: "Alla luce delle crisi aziendali di Stellantis e di Volkswagen, che avranno contraccolpi drammatici sul tessuto sociale di numerosi paesi, è urgente una correzione di rotta sulle prospettive industriali. Superando quell'applicazione dogmatica del green deal che, su spinta delle sinistre, aveva segnato il quinquennio di Commissione Europea dal 2019 al 2024." Questo cambiamento, secondo la politica toscana, è vitale per evitare che la transizione ecologica si traduca in un costo sociale insostenibile. Il position paper del PPE, come rilevato da Bergamini, raccomanda: Neutralità tecnologica - Affermando che la tecnologia non deve essere imposta dall'alto ma scelta in base alla sua efficacia e sostenibilità. Rimozione del 2035 - Come termine ultimo per il divieto di immatricolazione dei veicoli con motori endotermici, fornendo un orizzonte temporale più flessibile per l'innovazione e l'adattamento industriale. Revisione delle norme automotive - A partire dal 2025, per aggiornare le regolamentazioni in linea con i progressi tecnologici e le esigenze del mercato. Opportunità dei carburanti alternativi - Considerando l'uso di combustibili alternativi come parte integrante del mix energetico per l'industria automobilistica. Bergamini sottolinea come queste posizioni non siano nuove per Forza Italia, che ha sempre sostenuto, anche all'interno del PPE, l'importanza di una transizione ecologica sostenibile economicamente. "La transizione ecologica non può prescindere dalla sostenibilità economica del cambiamento," afferma Bergamini, richiamando all'attenzione l'equilibrio tra innovazione ambientale e mantenimento del benessere sociale ed economico. Contestualizzando questa posizione, è utile ricordare le parole di Friedrich Hayek, noto economista liberale, che ha sempre sostenuto che "la libertà economica è essenziale per la libertà individuale." Allo stesso modo, Bergamini e Forza Italia sostengono che le politiche ambientali devono essere accompagnate da una visione che non penalizzi il lavoro e l'imprenditorialità, evitando che le scelte ecologiche diventino il pretesto per una "macelleria sociale," come avvertiva anche Ludwig von Mises nel suo approccio critico alle politiche economiche stataliste a discapito del libero mercato. E' quindi sempre più necessario un dialogo costruttivo tra ecologia e industria, dove l'innovazione tecnologica e la sostenibilità economica siano in armonia, garantendo così un futuro prospero e sostenibile per tutti i cittadini. Edoardo Fabbri Nitti Forza Italia - Coordinamento Regione Toscana Follow @FI_ToscanaTweet to @FI_Toscana
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Modena. I bambini si diplomano in "Architettura degli Animali".
Modena. I bambini si diplomano in "Architettura degli Animali". Mercoledì 17 aprile nell'Aula Magna delle Lanfranco la conclusione del progetto condotto insieme all'Ordine degli Architetti in diverse scuole d'infanzia della città "Pensa ad un animale. Immedesimati. Guarda il mondo con gli occhi, con le zampe, con le ali, con le piume, con il naso. Quale animale immagini di essere? Pensa alla sua casa. Pensa alla sua città. Dove desidera vivere? Come vorrebbe vivere con te? Quali case e città sono appropriate alle loro abitudini e come pensate di condividere questi spazi? Puoi descrivere, disegnare, raccontare?". È quello che hanno fatto le bambine e i bambini delle scuole d'infanzia Simonazzi del Comune di Modena, Cimabue di Fondazione Cresciamo, Lippi e Parmigianino dell'Istituto comprensivo 6 grazie a un progetto educativo realizzato insieme all'Ordine degli architetti di Modena con la collaborazione di Memo Multicentro Educativo del Comune, Modena Zerosei e Fondazione Cresci@mo. Mercoledì 17 aprile alle ore 10 presso l'Aula Magna della Scuola Lanfranco, in via Valli 40 a Modena si svolge la cerimonia di chiusura del progetto con la consegna delle coccarde e dei diplomi in "Architettura degli animali" ai bambini che hanno partecipato. Oltre a rappresentanti dell'amministrazione comunale saranno presenti la dirigente dell'Ic 6 Patrizia Fravolini, la presidente dell'Ordine degli architetti Sofia Cattinari, e l'architetto Claudio Sgarbi che ha condotto l'esperienza nelle scuole d'infanzia di Modena, documentata anche da foto e video proiettati nell'occasione. Il progetto si svolge nell'ambito dell'iniziativa di Consiglio Nazionale degli Architetti e Fondazione Reggio Children "Abitare il Paese – la Cultura della domanda" - VI Edizione a.s. 2023/2024. Attivare comunità educanti: nuove generazioni, partecipazione, città". Comunità educante, diversità, ecologia sono le parole chiave per immaginare la convivenza tra l'umano e l'animale e, partendo da semplici domande, introdurre bambine e bambini al sentimento per lo spazio costruito da condividere con gli animali.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Biagio Accardi - “Il bene”
Il nuovo singolo del cantautore calabrese è il primo estratto dal nuovo album “Fai che accada” in uscita il 29 marzo.
«Così come non esiste il giorno senza la notte, non può esistere il bene senza il male, e viceversa. Dobbiamo riconoscere e accettare entrambe le entità e curarne l'aspetto migliore, poiché il bene si annida nei posti più segreti». Biagio Accardi
“Il bene” è il nuovo singolo di Biagio Accardi, performer e autore musicale calabrese le cui sonorità sono ispirate al panorama della World Music.
Il singolo, prodotto da Talìa Produzioni, etichetta discografica indipendente, è il primo estratto dal disco “Fai che accada” in uscita il prossimo 29 marzo.
Il bene è un invito ad accettare e accogliere gli accadimenti, senza escludere il male, seppur non accettandolo passivamente. Per Accardi, che negli ultimi anni è impegnato nel comprendere il potere “terapeutico” della musica, non esiste una contrapposizione tra i due elementi, ma un’unica forma da contemplare poiché tra le due forze esiste una completezza, un equilibrio.
Nella sognante canzone “Il bene”, la voce di Biagio Accardi è accompagnata dalla finezza del violino e della viola di Massimiliano Gallo.
Il singolo precede l’uscita dell’album “Fai che accada”, composto da 9 brani, alcuni dei quali cantati in dialetto, in cui si rimarca fortemente il legame dell’autore con la storia e il suo territorio. Il disco arriva dopo i precedenti lavori “Ritüale - Shamanic Meditation” (2023), “Antiche Forze” (2021) e “Parole” (2019).
Biagio Accardi porterà presto i nuovi brani in concerto, con le prime date previste in Bretagna, dal 20 aprile al 5 maggio a cui seguirà il tour italiano in definizione.
Biagio Accardi è performer, viaggiatore, autore di canzoni, libri e produzioni teatrali. Le sonorità delle sue canzoni sono ispirate al panorama della World Music e sono state definite “un affresco poetico e ammaliante dall'intenso potere arcaico”.
Fondatore dell'Eco Campo degli Enotri, realtà innovativa che unisce ecologia, arte, spettacolo e spiritualità, impegnato negli ultimi anni a comprendere il “potere terapeutico” del suono, approfondito in seminari e corsi tra cui i laboratori di canto armonico con Tran Quan Hai e una formazione come musicoterapeuta, è ideatore di "Viaggiolento", una passeggiata che svolge nel Parco Nazionale del Pollino insieme alla sua asina Cometa per riscoprire il bello della lentezza, raccontata nel libro “Viaggiolento nel Pollino. In cammino con il cantastorie” (Andrea Pacilli Editore, 2016).
Dal 2006 al 2010 fa parte del trio di musica tradizionale calabrese I Nagrù, esibendosi in numerosi festival internazionali, da questa collaborazione viene alla luce il lavoro discografico “A nasci e a morì e ‘na cantata”, opera che è stata distribuita solo su supporti fisici.
Nel 2010 pubblica il primo album “Fuoco” iniziando la sua carriera di compositore. Nel 2011 realizza lo spettacolo “Canto e Cuntu”, ideato dopo un’attenta ricerca sulle tecniche e i repertori dei cantastorie e dei guaritori della tradizione del Sud Italia. Il tour dello spettacolo tocca diverse tappe nelle città Europee. Dall’esperienza uscirà nel 2013 il libro e cd audio “Cantu, cuntu… e mi ni fricu!”. Lo stesso anno riceve il premio Francesco Manente per aver esportato la cultura locale e le tradizioni del sud a livello nazionale e internazionale, inoltre viene ospitato dal programma televisivo "Buongiorno Regione tg3".
Nel 2015 pubblica l'album “L’albero che cammina” dalla quale prende spunto per lo spettacolo “Kairos”, mentre nello stesso anno ha l’occasione di suonare le sue musiche ad una performance del poeta americano Jack Hirschman.
Nel 2019 pubblica l’album “Parole” e nel 2020 i singoli "Grande spirito” e “Aspetto la marea". Con questo nuovo repertorio apre il concerto di Francesco Baccini durante la rassegna “Note al Tramonto” di Sangineto (Cs). Sempre nel 2020 si esibisce al “Festival Nazionale dei Cantastorie” sullo stesso palco con il grande “mastru cantaturi” Otello Profazio. Continua la sua produzione musicale pubblicando nel 2021 l’album “Antiche forze”, dalla quale trae le musiche per un nuovo spettacolo che viene interamente arrangiato nella versione live dal bardo e musicista Andrea Seki, uno tra i più importanti suonatori di arpa celtica, realizzando numerosi concerti in tutta Europa con il tour “Zèphyr - Ritual Meditation Sound”. Dalla collaborazione con Andrea Seki nasce il singolo “Invocation to the mother” e la partecipazione al singolo “Errare Humanum Est” del cantore bretone Kristen Nikolas, opera prodotta dall’etichetta discografica Atlanteans Resonances Records diretta dallo stesso Andrea Seki.
Nel 2023 pubblica l’album “Ritüale - Shamanic Meditation” e il libro di poesie “Foglie tra i palazzi" (Introterra Edizioni), haiku e acquerelli ispirati al personale percorso di ricerca dell’artista. Lo stesso anno fonda il collettivo artistico “Talìa Produzioni” e l’omonima etichetta discografica. “Il bene” è il suo ultimo singolo pubblicato il 15 marzo 2024, primo estratto dal suo nuovo album “Fai che accada” in uscita il 29 marzo, lavoro che vede la collaborazione con il musicista madrileno Luis Paniagua.
CONTATTI E SOCIAL
www.biagioaccardi.com
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Verde d'invidia
Orti urbani, l’amministrazione comunale tira dritto e si prepara ad assegnare i primi 20 spazi da coltivare, per consegnarli in tempo per la semina di primavera. L’annuncio è dell’assessore ad Ambiente ed Ecologia Fiorella Cometti, che sta curando il progetto all’interno della più ampia opera del parco Agricolo: «Informiamo i cittadini che è in pubblicazione sul sito del Comune il bando con la domanda per richiedere i primi 20 orti urbani». Messaggio che diventa anche risposta al tentativo... di mettere in dubbio i lavori... «Inutile commentare le affermazioni di chi è solo ‘verde’ di invidia. Senza nulla togliere alla libertà di ognuno di farsi film disneyani su tutto. Dalle sue esternazioni deduco che abbiamo un esperto di cantieri tra di noi. Eppure la sua esperienza deriva da un solo monumento che ha posato nei suoi dieci anni di amministrazione, ‘ciusca’ direbbe la mia nonna». Cometti coglie però l’occasione... per chiarire alcuni passaggi dei lavori di realizzazione degli orti urbani: «Il ‘buco’ di cui è stata mostrata la foto sulla stampa ha una spiegazione semplice. Immagino gli sia mancata l’informazione che prima di lui sono arrivati legittimamente i geologi della Soprintendenza all’archeologia che hanno chiesto di scavare per verificare non fossero presenti reperti storici. Il resto delle valutazioni le lasciamo alle autorità competenti... Che gli orti urbani gli siano andati di traverso è oramai cosa nota, ma se ne farà una ragione. Usare il mio nome per trovare un bersaglio nella sua nebbia politica è patetico; ringrazio per i complimenti che ha fatto al mio operato ‘in forma privata’, ma ‘noi donne’ non siamo così idiote da credere ancora ai serpenti incantatori. ‘Noi donne’ siamo cresciute e siamo capaci di andare ben oltre le parole, ma ‘ovviamente non vi è nulla di personale’… a buon intenditor». L’assessore passa poi dal parco Agricolo al Parco di Solbiello, ormai pronto per essere aperto e consegnato alla popolazione come nuova area verde fruibile: «Contiamo di aprirlo per fine mese, stiamo ultimando il taglio degli alberi instabili e li sostituiremo con altrettanti. E’ necessario anche che si faccia la segnaletica a terra del limite dei 30km/ora per la sicurezza sulla via Battisti, anche perché ci sono i parcheggi che prima non c’erano». da La Settimana del 19 gennaio 2024 https://edizionidigitali.netweek.it/
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Ecologia. L'urgenza delle parole e delle azioni: quali passi fare insieme?
Il 20 ottobre nel Monastero ferrarese del Corpus Domini il primo dei tre incontri organizzati dal Circolo Laudato si’: una trentina le persone presenti (due soli maschi) per pregare assieme e condividere timori, idee, progetti e speranze Il venir meno dell’equilibrio naturale, della pace fra gli uomini e col resto del creato. E, parallelamente, il venir meno di una consapevolezza sulle…
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#Circolo Laudato si&039;#Clarisse Ferrara#Ecologia#Ecologia integrale#Ferrara#Monastero Corpus Domini Ferrara
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Appunti per una ecologia delle parole
Appunti per una ecologia delle parole
Nell’immagine ci sono due marmotte che giocano, forse flirtano, forse fanno l’amore. Nessuno si chiede se appartengano allo stesso sesso o allo stesso ceppo etnico, da dove provengano, quale sia il cuore del manto: tutti, quando vedono una scena del genere, restano a guardare inteneriti, perché è la natura che ci mostra il suo spettacolo.
Purtroppo lo stesso non accade con gli esseri umani,…
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#antisemitismo#Chomsky#Disonestà intellettuale#Ecologia delle parole#Girard#Importanza delle parole#Omofobia#razzismo#Xenofobia
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Michele Tecchia e il concetto Green Economy
Uno dei consulenti più famosi del Principato di Monaco in grado di fondare un concetto che unisce economia ed ecologia per poter ridurre l’impatto ambientale dei processi produttivi. Nato nel 1971, Michele Tecchia scopre, dopo essere tornato a vivere nel Principato di Monaco di avere un forte interesse nell’aiutare grandi e piccole imprese a ottenere un visione a 360 gradi del concetto di sostenibilità.
Si è soliti usare, ormai da molti anni il famoso concetto “Green Economy”, il quale, ogni volta che si parla o si pensa al concetto di sostenibilità, ha un significato molto interessante.
Per economia verde si intende infatti, un modello economico con l’obiettivo non solo di raggiungere il benessere ed equità sociale, ma anche di ridurre sia i rischi ambientali che quelli di scarsità ecologica, riducendo qualsiasi tipo di danno causato all’ambiente, provocato da ogni tipo di procedimento volto alla trasformazione delle materie prime in prodotti finiti.
Dal Principato di Monaco a conferenze annuali sul tema “econologia”.
Michele Tecchia decide d’iniziare la sua attività di consulente focalizzando la ricerca sulla sostenibilità e l’ecologia, cercando di condividere modi migliori, efficienti e sostenibili per trasformare servizi di produzione sia pubblici che privati. Dunque, quale idea migliore se non attraverso l’organizzazione di conferenze, a Monaco, per poter diffondere il concetto in maniera rapida ed efficace?
Uno dei tanti motivi che soddisfano i requisiti per queste conferenze è sicuramente anche l’interesse volto a qualsiasi tipo d’iniziativa di tipo ecologico di Alberto II, principe di Monaco, unito alle conoscenze e la passione di Michele Tecchia.
Si tratta di una conferenza, conosciuta da molti con il nome di CleanEquity, dove Michele Tecchia cerca di spiegare in maniera dettagliata il termine “econologia”.
Questo termine che prende il nome di econologia, ideato da Tecchia, unisce due parole fondamentali nell’argomento sostenibilità: economia ed ecologia.
Michele Tecchia sostiene infatti che lo sviluppo della prima crea le basi per una società economicamente stabile e avanzata, mentre lo sviluppo della seconda fornisce i concetti chiavi per tutto ciò che riguarda le tematiche ambientali.
Che tipi di consulenze vengono impartite durante CleanEquity?
Le competenze di cui dispone Michele Tecchia si adattano e rispondono non solo ai bisogni dei suoi clienti ma anche alla voglia di cambiamento degli operatori energetici e delle autorità locali.
La sua metodologia di lavoro originale ma soprattutto efficace, riesce inoltre a combinare le sue pratiche operative con la flessibilità, riuscendo ad adattarsi facilmente alle molteplici necessità di una clientela costantemente diversificata.
Le sue consulenze si focalizzano su alcuni dei punti fondamentali che ogni impresa dovrebbe seguire, quali:
strategia
innovazione
ricerca e sviluppo
Il lavoro di Michele Tecchia Monaco, è indirizzato dunque all’uso corretto delle risorse sia primarie che secondarie, all’uso di tecnologie che inducono al risparmio energetico nel settore immobiliare e alla raccolta dei rifiuti per cercare di produrre una minore quantità di scarti attraverso il riciclo di materiali.
#Michele#Tecchia#MicheleTecchia#MicheleTecchiaMonaco#Michele Tecchia#Michele Tecchia Monaco#Michele Tecchia News#Monaco#green economy
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Salti
Il primo libro del 2021 è stato questo, un regalo di due cari amici. La parola Spillover è diventata di uso comune con il verificarsi della pandemia da virus Sars-Cov2: indica il cosiddetto salto di specie, un processo naturale per cui un patogeno degli animali evolve e diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi all'interno della specie umana. Se succede in questo verso, si parla di zoonosi, ma può benissimo accadere l’inverso, cioè che patogeno umano infetta gli animali, e si parla di antroponosi. Va subito detto che sono successe e succedono di tanto in tanto nella storia del mondo. David Quammen è un naturalista e scrittore del National Geographic, e ha speso 6 anni di ricerche, viaggi sul campo, interviste per scrivere questo libro, che fu pubblicato la prima volta nel 2012. Il libro è uno spettacolare, e a volte da brivido, racconto di come si sono diffuse malattie come Hendra (sconosciuto ai più, focalizzato in Australia), virus terribili come Ebola, la febbre Q causata dal batterio della Coxiella burnetii, la Sars, l’incredibile storia del virus HIV e dell’Aids, il Nipah virus, con capitoli fenomenali per il modo in cui sono scritti, tra viaggi nella giungla a raccogliere campioni di ricerca, a laboratori super protetti dalle più avanzate biotecnologie, agli spunti, spesso al limite del caso, che hanno portato a scoperte importantissime, con storie e personaggi appassionanti come in un romanzo noir.
Tuttavia il libro, oltre i suoi meriti medico-divulgativi (per dire io ho imparato che nella sigla del virus H5N2, uno dei virus dell’influenza, H5 significa emoagglutinina di tipo 5, sui 16 conosciuti in natura, e che N2 è la neuraminidasi di tipo 2, sui nove conosciuti) è diventato famoso per il tema, di tipo medico ecologico, che, spesso conclamato, a volte più sottotraccia, percorre tutto il libro, cioè che prima o poi tutti gli studiosi di infettivologia, di ecologia e di altri settori affini, aspettavano l’avvento del Next Big One, la pandemia mondiale. C’è di più: in più punti Quammen, attraverso le parole e gli studi (fonte ufficiale di tutte le sue idee) ipotizza che il Next Big One possa essere un virus a RNA a singolo filamento positivo, della famiglia delle Coronaviridae, a trasmissione aerea, probabilmente dopo salto di specie in una zona dove il contatto promiscuo tra animali di vari specie e uomini, senza nessuna protezione igienica, fosse preminente, tipo un mercato degli animali di una grande città asiatica (agli stessi indicatori arrivò anche uno studio dell’OMS del 2016), l’identikit quasi perfetto del SarsCov2.
Per me ci sono altri aspetti formativi di questo libro, alcuni dei quali già molto noti, che mi appassionano:
gli aspetti ecologici della questione, fondamentali: più si creano situazioni dove è possibile convivere con specie selvatiche, più è probabile che malattie che erano sostenibili in quegli ambienti e in quegli animali facciano il salto di specie, meno ci saranno habitat protetti più ci saranno occasioni, per il principio darwiniano dell’adattamento, che funziona benissimo anche a virus e batteri ;
gli aspetti medici della questione: le discipline coinvolte sono davvero complicate, e necessitano solitamente di molto tempo e ricerche per arrivare a dati scientificamente solidi e rispettabili (che è cosa diversa da risultati logici e “accondiscendenti”); per dire solo un esempio, solo nel 2005 fu identificato il virus responsabile della spagnola del 1918-1919, una variante del virus H1N1;
gli aspetti comunicativi: su questo so che probabilmente urterò la sensibilità di qualcuno, ma, nel pieno rispetto di ciò che è successo, poteva andare molto peggio rispetto alla Covid19 (uso il femminile perchè è una malattia grammaticalmente al femminile, io faccio riferimento a questo): è un virus a relativa mortalità rispetto alla sua virulenza e trasmissibilità, è un cugino di un virus fortunatamente già studiato, il SarsCov che ad inizio anni 2000 ebbe dei focolai attivi in Asia (che peraltro era molto più aggressivo e mortale) e che è stato base fondamentale per la ricerca di cure e sullo studio dei vaccini. Rispetto ad altri virus ben più mortali, la sua diffusione mondiale ne ha circoscritto in maniera piuttosto repentina le profilassi sanitarie, si studiano quotidianamente farmaci e terapie, la pressione, in questo senso drammatica, sulle vite sociali ed economiche a breve porterà a renderlo endemico. Tutto questo per Ebola, ad esempio, sebbene sia un virus che si conosce da metà anni ‘70, è mancato del tutto poichè, sostiene Quammen, è focalizzato in aree povere se non poverissime, ha diffusione per lo più locale, e paradossalmente la altissima mortalità (per alcune varianti vicine al 90% dei contagiati) ne detona la trasmissibilità, aiutata tragicamente in questo da altre malattie che coprono i casi di Ebola facendo morire i contagiati prima che possano diventare infettivi.
C’è un ultimo aspetto, molto importante, che Quammen tiene ad esporre: un virus non è la risposta della Terra alle ferite dell’umanità (facendo in questo caso processo di antropomorfizzazione del Pianeta) ma è semplicemente il risultato di attività che mettono di fronte a scelte spesso senza uscita: tagliare i boschi ai limiti della città per aumentarne le dimensioni è la conseguenza di una Politica che ogni giorno, come sta succedendo da un anno anche ai nostri Paesi Sviluppati, mette di fronte istanze quali Salute e Sopravvivenza, Fame e Lavoro, Vivere o Morire, e che poi con ben poca lungimiranza tende con ritardo a serrare le fila (c’è la straordinaria storia degli zibetti cinesi, presunti untori della prima epidemia da virus Sars, che esplica perfettamente questo passo: se ne uccisero milioni quando non c’entravano nulla).
Rimane una lettura illuminante e decisiva, anche perchè fa vivere in maniera logica i tempi che stiamo vivendo. Quammen dice:
(...) prima di reagire in modo calmo o isterico, con intelligenza o stupidamente, dovremmo conoscere almeno le basi teoriche e le dinamiche di quel che è in gioco. Dovremmo sapere che le recenti epidemie di nuove zoonosi, oltre alla riproposizione e alla diffusione di altre già viste, fanno parte di un quadro generale più vasto, creato dal genere umano. Dovremmo renderci conto che sono conseguenze di nostre azioni, non accidenti che ci capitano tra capo e collo. Dovremmo capire che alcune situazioni da noi generate sembrano praticamente inevitabili, ma altre sono ancora controllabili (pag. 532, in corsivo nel testo)
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De Ponti & Moretti - Suoni d'incontro on Fango Radio
https://www.mixcloud.com/FangoRadio/erbario-091019-de-ponti-moretti-suoni-dincontro/
Ecologia / deriva / entropia / omeostasi / spazio / rito / apertura / relazione / attesa / fiducia: sono alcune delle parole chiave che hanno suggestionato Stefano De Ponti ed Elia Moretti nel loro nuovo ricercare presso il Nub Project Space il 9 e 10 settembre 2019
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“Ho derubato i boschi”. Valentina Meloni traduttrice di Emily Dickinson. (O della poesia come l’apparizione di una volpe)
I poeti s’incontrano per destino. Non per altro, e non tanto così per dire. Valentina Meloni è una di quelle rare folgorazioni, le cui poesie le scorgi inaspettatamente su un prato, la notte, illuminate dalle lucciole, quando sei esausto degli imbrogli della vita e ti nascondi nei boschi. Poesie come bagliori di fuochi antichi, come apparizioni improvvise di volpi. E non è un caso se lei ha scelto di vivere la vita tutta per la Letteratura, allontanandosi dal mondo, vivendo in un borgo arroccato sul lago in Valdichiana, tra prati, boschi, rumori d’altri tempi. Valentina mi parla di sé, dell’amore smisurato che sente e prova per l’epistolario immortale tra Rilke e la Cvetaeva; del suo attaccamento alla natura, dell’amore ancestrale che lega gli uomini agli alberi. Infatti, spiritualità, ecologia, alberi e natura sono i temi fondamentali della sua poetica.
«Scrivo poesie, quando poesia chiama» mi dice spesso, quasi fosse un motto. Ma non solo. È traduttrice, scrittrice di saggi, testi teatrali, aforismi, haiku e libri per bambini. Tra i tanti, ricordiamo Le regole del controdolore (Temperino Rosso, 2016), Il fiore della luna-Leggenda di Rosaspina (La Linea dell’Equatore, 2018) e Storie di goccia, Nanuk e l’albero dei desideri (Temperino Rosso, 2017). Strabilianti inoltre, per bellezza, le sue lunghe poesie sugli alberi.
Esiliata anche lei dall’invidia di quei pochi, la cui pochezza è risibile e raglio d’asino, il suo silenzio ha incontrato il mio. Ne è scaturito un trovarsi, un assomigliarsi, un comprendersi. Soprattutto per me è stata una scoperta, della quale voglio farvene dono. Perché in letteratura non esiste cosa più grande che il parlare, non di sé, ma degli altri. Sacrificare il proprio ego, per omaggiare l’opera di un altro, è rituale antico, perso, da riprendere e praticare se si vuole imparare l’umiltà del mestiere. Meloni fa un lavoro infausto, sottopagato, ma lo porta avanti con tenacia. Appunto perché credere nella sacralità della parola, corrisponde non solo a una scelta precisa di vita, ma anche e soprattutto a una chiamata, che del fato ne segue l’ombra. Per questo è fine traduttrice di vari poeti stranieri contemporanei e classici del passato, tra i quali spicca, per preferenza, l’immensa Emily Dickinson. Valentina Meloni fa della traduzione il suo rifugio, la sua quiete, la sua sorella lontana, il latte verde a cui si abbevera in solitudine ‒ sono parole sue, che illuminano tutta la professionalità e passione che impiega il quotidiano lavoro del tradurre. Ecco dunque alcune sue poesie e alcune poesie della Dickinson da lei tradotte. (Giorgio Anelli)
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hanno portato via il mio unico amore
hanno portato via il mio unico amore tagliate le sue ali di angelo dannato lo hanno preso e processato ‒ loro dicono ‒ per troppo amore pare che mi abbia amato più di quanto si deve che abbia trascurato Dio per la mia pelle ma non sanno che attraverso di me egli ha adorato l’altissimo più di ogni altro non sanno che lo ha glorificato che ha sussurrato preghiere ardenti e fatto dell’anima un altare non sanno loro che egli ha reso onore al cielo desiderante di ogni uomo che di ogni bacio ne ha fatto un’orazione di ogni carezza un rito di purificazione di ogni sua sillaba l’eucarestia preziosa della bellezza eterna e silenziosa dell’amore
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la piccola volpe che ero
tengo stretta al grembo la piccola volpe che ero: le orecchie dritte i denti aguzzi il muso puntuto che saggia l’aria e la lunga coda rossa una carezza al grano di primavera. ho sempre con me i suoi occhi vispi ‒ addormentati tra le mani ‒ una fiammella che s’accende improvvisa quando scopre il passero del perduto amore ancora cinguettante sul ramo dei ricordi.
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Prendi questo nome e fanne un pane caldo da spezzare domani quando avremo fame e non avremo nessuno a cui dire grazie. Prendilo e impastalo con mani di rinuncia che lascino al tempo il compito lieve della gemmazione. E non aver paura d’ingoiare la notte prendi il mio nome e, insieme al tuo, rendilo cielo di questa nostra bocca.
(da Corrispondenze da un mondo increato ‒ epistolario poetico con Giorgio Bolla, La Vita Felice, 2018)
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nel palmo delle mani
infine tolsi la pietra e tolsi il corpo come se io non fossi più nascosta dentro un vuoto inospitale e stanco perché non mi toccasse ancora la sua mano perché non fossi detta più terra di conquista e nessuna spada più venisse a giudicarmi di me solo rimase una lontana voce una croce pesante lasciata sopra i muri e un filo sottilissimo di rose e fiori d’acqua nel palmo delle mani una lontana luce che brucia senza sosta.
Valentina Meloni
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Traduzioni da Emily Dickinson
Caro Marzo
Caro Marzo – avanti – sono così felice – ti ho atteso a lungo – posa il cappello – devi aver camminato – come sei spossato – caro Marzo, come stai, e gli altri – hai lasciato bene la natura – oh Marzo, sali di sopra con me – ho così tanto da raccontare –
Ho ricevuto la tua lettera, e gli uccelli – gli aceri non sapevano che stessi arrivando – non ti dico – come sono arrossiti i loro volti – però Marzo, perdonami – tutte quelle colline che mi lasciasti da tingere — non c’era un cremisi adeguato – l’hai portato tutto con te –
Chi bussa? Ecco Aprile – chiudi la porta – non mi farò raggiungere – è stato via un anno per chiamare ora che sono occupata – quanto sembrano futili le inezie non appena arrivi tu
Che il biasimo è prezioso quanto l’elogio e l’elogio sincero come il biasimo –
F1320 (1874) / J1320 (1874)
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Da così minute galanterie
Da così minute galanterie, un bocciolo, o un libro, sono piantati i semi dei sorrisi – che s’aprono nell’oscurità.
J55 (1858) / F37 (1858)
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Ho derubato i boschi
Ho derubato i boschi – i fiduciosi boschi – gli alberi ignari porgevano le loro galle e i muschi lusinghe alla mia fantasia – esaminai curiosa i loro ninnoli – li afferrai – li portai via – cosa dirà l’austero abete – cosa la quercia?
F57 (1859) / J41 (1858)
*traduzione di Valentina Meloni
**In copertina: una immagine da “A Quiet Passion” (2016), film biografico di Terence Davies sulla vita di Emily Dickinson
L'articolo “Ho derubato i boschi”. Valentina Meloni traduttrice di Emily Dickinson. (O della poesia come l’apparizione di una volpe) proviene da Pangea.
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Salvini, scappato dal processo per sequestro di persona, chiama sequestratori chi salva vite di Giulio Cavalli Ci deve essere qualcosa di tossico, virulento e altamente pericoloso nel linguaggio di Matteo Salvini, ministro dell'interno che vede pirati e ONG ovunque nel Mediterraneo se davvero è riuscito a parlare della Sea Watch 3, che da giorni continua caracollare in mezzo al Mediterraneo in cerca di un approdo sicuro al limite delle acque territoriali italiane, come di pirati e di sequestratori. È una discesa verso il vocabolario degli inferi che ha radici profonde, e che non vede come protagonista solo il ministro ma parte dall'atteggiamento sospettoso verso le ONG del fu ministro Minniti, fino ai famosi taxi del mare che vennero sdoganati con tanta rilassatezza da Luigi Di Maio. Ci deve essere anche una sordità cieca, qualcosa di simile all'incapacità di intendere o forse all'ostinazione di non voler vedere, se lo stesso ministro dell'interno, smentendo centinaia di inchieste, di documenti, di testimonianze e di documenti ufficiali, continua a ripetere che la Libia sarebbe un porto sicuro per tutti quei disperati che proprio dalla Libia partano pieni di cicatrici, gonfi di vessazioni e continuano a ripeterci che preferiscono la morte certa piuttosto che tornare alla vita incerta di quelle prigioni libiche che qualcuno ha anche il coraggio di chiamare centri d'accoglienza. Così alla fine le parole piane e semplici del Consiglio d'Europa che dice "i migranti salvati in mare non dovrebbero mai essere sbarcati in Libia, perché i fatti dimostrano che non è un Paese sicuro" attraverso la voce di Dunja Mijatovic, commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, che si dice "preoccupata per l'atteggiamento del governo italiano nei confronti delle Ong che conducono operazioni di salvataggio nel Mediterraneo", risultano essere l'ennesima ripetizione di un concetto già chiaro per molti mentre dall'altra parte tra i seguaci del capitano leghista vengono vissute come l'ennesima intrusione a un respingimento che non si è mai realizzato al di fuori dei social. Così, in un processo di deturpazione delle parole accade addirittura che il ministro possa definire l'equipaggio della Sea Watch sequestratori proprio lui che per sequestro di persona è stato indagato, se n'è dichiarato fiero e poi ha deciso di scappare dal processo con la coda tra le gambe e l'aiuto dei suoi alleati grillini. E sarebbe bello che il ministro dell'interno ci dicesse come facciamo noi, che piuttosto che snaturare le parole ameremmo vedere applicate le leggi e i trattati internazionali, a valutare il suo atteggiamento messo di fronte alle regole se proprio lui, accusato di essere un sequestratore, si ritira dal processo e indica sequestratori ovunque in un rovesciamento della realtà che ha qualcosa di comicamente tragico e che al solito si svolge sulla pelle dei disperati. Sarebbe da chiedergli se non sia il caso di recuperare il senso delle parole, una sorta di ecologia del linguaggio, che confonde la realtà e che ha trasformato il linguaggio ne nuovo randello da agitare contro i nemici e gli oppositori senza dare mai spiegazioni. Ma sarà una domanda senza risposta. Sicuro.
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vivere (è un po’ come perder tempo).
C'è una scena di Alta Fedeltà, film del 2000 tratto dall'omonimo libro-culto di Nick Hornby, in cui Jack Black pone a John Cusack un semplice ma ineluttabile domanda per noi fissati di musica. “E' giusto o no - chiede il surreale commesso Barry - criticare un grande artista per i suoi gravi errori senili? Cosa è meglio, sputtanarsi o scomparire?”. La questione, in sintesi, è tutta qui. Nel film, il proprietario di dischi Rob Gordon glissa il quesito e il film prosegue, realisticamente, senza risposte certe. Io, ponendomi la stessa domanda alla notizia dell'uscita dell'ennesimo disco dei Bad Religion, ho provato a mia volta a trovare una valida risposta. Cinque anni fa, lo scrittore e critico musicale Carl Wilson, intervistato all'uscita del suo saggio Musica di Merda, si è lasciato andare a parole ben più accorate, che meritano d'essere quanto meno raccolte e valutate con considerazione. State attenti (ci ha ammoniti), l'invadenza più aggressiva delle tecnologie nel campo della fruizione musicale e della mentalità compulsiva nella disciplina dei ritmi di vita delle società avanzate produce dei frutti avvelenati: sta distruggendo, un poco alla volta, il senso autentico di esperienze un tempo primarie come quella dell'addio alle scene, la cui nozione ha scandito per tanti secoli la storia della musica; ci sta allontanando dal senso naturale di fine, sconnettendo il vissuto e la ragione quotidiana dei musicisti di questo angolo opulento ma egoista di mondo da una parte preziosa e anche sacrosanta dell'identità artistica, quella che rendendoli artefici completi di una propria storia e dell'epilogo di questa, rende noi partecipi del nascere e del morire delle carriere dei gruppi e dei singoli artisti, e ci consente di entrare in un rapporto integro con la finitezza del nostro tempo e la mediocrità della nostra cultura contemporanea. Perché è forse l'eterna rassicurante presenza dei vari Rolling Stones che rende più tollerabile/simpatica la trap. Altrimenti, in un mondo con Bob Dylan in pensione, ci accontenteremmo dei “Buh!” Ultimo senza battere ciglio?
La critica musicale, almeno quella seria, è per tradizione e cultura osservatrice capillare e sensibile dei mutamenti ideali indotti dalla modernizzazione, e dei loro effetti sulle vite di chi crea o fruisce della musica: a volte dichiaratamente prevenuta, come nel caso del file-sharing, quasi mai tuttavia totalmente infondata e gratuita nei suoi rilievi. Oggi fa i conti con una società dove, per porre fine alla propria carriera, il suicidio sembra essere una valida alternativa. Tolti infatti i Fugazi, i REM, sembra oramai impossibile, se non addirittura vietato, appendere il microfono al chiodo prima del decesso. Così, il tramonto e l'abdicazione di ogni forma di etica nel rapporto artista/pubblico ne sta esaltando il ruolo e l'utilità sociale: fino a lasciarle in molte e non marginali occasioni l'esclusività delle analisi e del dissenso di fronte agli stati di cose presenti. Da qualche tempo, poi, il suo essere pare avere assunto la prospettiva e gli accenti di una vera e propria ecologia dell'ascolto contro tutti i guasti e gli arbitri del progresso (e lo stesso libro di Wilson così come Rock Til You Drop di John Strausbaugh sono lì a dimostrarlo): proprio come la materialità della natura del pianeta va sottratta all'abuso indiscriminato delle opere degli uomini, così la natura dell'ascolto va difesa dall'azione deturpatrice degli eventi della modernità. Primo tra tutti, la bulimia di esperienze musicali che, in relazione all'arroganza di non voler spendere più come un tempo per la musica, costringe i musicisti a rimandare il ritiro in eterno e gli ascoltatori attenti a vivere in un vacuum dove passato, presente e futuro si mischiano oramai indistintamente tra di loro senza alcun senso logico e contesto. E' facile, per i giovani che abbiano fatto dell'estraneità agli insegnamenti della storia della musica il punto d'appoggio della propria formazione personale, ragazzi abituati oramai a non avere rispetto di nulla (“Ce l'hai la maglia della Ramones?“, realmente sentito dire in giro) e a ottenere tutto e subito (fosse anche il risveglio dei morti, come per l'annunciato tour di zio Frank), così come per gli adulti che si son lasciati trasportare dalla marea, sollevare fortificate barriere contro la sensatezza di simili analisi, e delle premesse che le sostengono. Così il pensiero si affolla subito di obiezioni familiari e consuete. La più celebre: “Se hanno ancora un pubblico perché devono smettere?”. Perché nessuna esperienza della nostra esistenza per quanto elementare e primaria, come quella notoria e assimilata dell'inizio e della fine, della nascita e della morte, dell'alfa e dell'omega, può sottrarsi al mutar delle condizioni sociali in cui si forma. E le condizioni sociali attuali dicono che, musicalmente parlando, chi si ferma è perduto. Anzi, se ci hai dato un taglio faresti meglio a ricominciare. Ma se i benefici dell'accelerazione e del potenziamento nella fruizione musicale sono ben noti (non per fare il Bart di turno in Santa Maradona ma, intendiamoci: non siamo più nel 500 che non succedeva mai un cazzo, ora torni a casa e scopri che è uscito un film su Burzum) non possiamo ignorarne le enormi pecche etiche e strutturali. Infatti, questo adesso può non bastare: anzi, già non basta più. E rimane, conficcata ben dentro, la sensazione che l'intuito appassionato di Wilson probabilmente al di là delle stesse intenzioni di chi lo ha concepito abbia sfiorato qualcosa di nuovo, profondo e decisivo che sta affiorando in questi anni febbrili e sospesi; qualcosa per cui non valgono le vecchie distinzioni, e che fa sbiadire ordini concettuali con i quali abbiamo avuto dimestichezza. Non è il richiamo verso lo snaturalizzarsi della vita contemporanea, a rendere così penetrante il suo richiamo, o l'esplicita denuncia nei riguardi del lato disumano dell'evoluzione del pubblico, sempre più onnivoro sempre più pretenzioso, e della relativa involuzione artistica: avevamo già sentito questi discorsi. No, è qualcosa d'altro a turbare; come la traccia di una scoperta sottesa più inquietante: se non riusciamo più a concepire la fine di una carriera, e ne stiamo rimuovendo e cancellando l'idea e l'immagine dal nostro vissuto, è perché non riusciamo nemmeno ad ammettere l'idea di morte nelle nostre vite. Viviamo cioè una costante rimozione del tempo, quando invece esso esiste, è stronzo e prima o poi finisce. Abbiamo oscurato lo specchio: al punto in cui siamo, ci rimandava a una visione insopportabilmente complicata e indecifrabile; e così ci siamo creati una sub-civiltà della ripetizione e della monotonia costante. Se no, in tutta sincerità, che motivo avremmo di pretendere ancora e ancora e ancora una volta un disco dai Bad Religion che sarà uguale a tutti gli altri dischi dei Bad Religion, ad eccezione della calvizie incipiente di Greg Graffin e Brett Gurewitz? E così, come per loro, per altre decine di artisti.
Ma la mera riduzione della morte artistica a un fallimento dell'estro compositivo così come quella umana a un fallimento di una capacità terapeutica non sono la causa del male: sono solo i sintomi di un disagio e di una insofferenza che si producono in una zona molto più impegnativa e remota della nostra tendenza evolutiva. Sono i segnali che si sta oltrepassando un limite fissato, oltre il quale una reciprocità e una simmetria antiche si spezzano: dove il presente è uno stato di appagamento solo da conservare e intensificare all'infinito. In questo senso, il rifiuto collettivo della fine, l'esaurirsi della sua produttività simbolica, funzionano esattamente come una grande metafora: come metaforica era stata la sua accettazione e la sua presenza costante, quotidiana (per certi versi persino splendente) in altre epoche della nostra storia. Questo punto è stato espresso da Ozzy riunendo i Black Sabbath: “When we first formed 40 odd years ago, I had no idea we’d be here doing this”. Perché Osbourne, a differenza del suo pubblico, ha il senso del tempo. Non so voi ma io spesso mi chiedo dove siano finiti quei tempi in cui gli zii avevano visto i Cramps di supporto ai Police al Palasport di Reggio o i Pink Floyd al Canale San Marco di Venezia e i nipoti (grazie a dio) no. Perché, non fosse chiaro, è stato in quegli anni, e con quella mentalità lì, che quei gruppi sono diventati i miti che conosciamo. Nella memoria, nel passaparola di gesta epiche e discografie irripetibili che ne rafforzavano il loro fascino nella loro unicità. Nella sana invidia di non esserci stati e nel culto del ricordo di chi poteva dire il contrario. Del resto, pure Gesù se apparisse ogni dieci anni al Coachella finirebbe per fare la figura del peracottaro, figuratevi se Maynard James Keenan non corre questo rischio con i Tool. Purtroppo, il consolidarsi e il diffondersi di un'eccessiva dose di modernità come senso comune vincente rendono sempre meno credibili ipotesi come questa che pure attraverso secoli sono state rigenerate da una tradizione musicale memorabile, e hanno prodotto una straordinaria iconografia. Ma di nuovo, forse il punto è altrove: e la tecnologia non è la vera responsabile di questa difficoltà. E' la caduta della speranza a togliere forza ed efficacia alla fantasia e all'immaginazione. In buona sostanza, mettiamo in copertina i Depeche Mode perché dei Maneskin non ci fidiamo totalmente e facciamo fatica a vederne un futuro. E' stata questa la catastrofe inaspettata e paradossale, che si è aperta proprio quando la storia sembrava consegnarci a una condizione di privilegio e di possibilità mai prima sperimentata, a inaridire sorgenti preziose della nostra fruizione. E si resta inchiodati senza alternative, senza utopie, senza futuro a un prolungamento indefinito ma proprio per questo miserevole, volgare della storia che ci è concessa di vivere, con la sua opaca abbondanza sondata da pochi e i suoi inutili privilegi. Forse è proprio da qui che si dovrebbe ripartire la lotta per ritrovare un valido e durevole futuro musicale in questo piccolo angolo di universo (almeno in apparenza) sempre più povero di talenti e ingolfato di storie già vissute.
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Le strade di tutta Italia si sono riempite oggi di centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze nel primo sciopero per il clima. Qualche impressione a caldo.
The final countdown: in tutto Italia lo sciopero mondiale per il clima
La composizione della piazza ha già da dirci molto. Generazionalmente omogenea, con pochissime persone sopra i vent’anni, con una creatività e una voglia di esserci che si leggeva nei cartelli, nei visi colorati, nei balbettamenti di cori ancora tutti da inventare. Il rifiuto di partiti e associazioni rimarca la voglia di contare, di costruire qualcosa di vero e di pulito lontano dalla sporca politica degli adulti. Giornali progressisti e altre compagini hanno fiutato l’affare un po’ in ritardo e hanno goffamente provato a metterci il cappello (“Le piazze d'Italia rispondono all'appello Instagram di Repubblica” è lo sguaiato titolo che campeggia sulla homepage del quotidiano). D’altronde la palese ipocrisia di un foglio che ogni giorno si fa cantore di tav, tap, trivelle e cemento nel nome dello Sviluppo e del Progresso ma che per due giorni si tinge di verde non avrà fatto sorridere solo noi.
In realtà chi ha messo un po’ il naso nella mobilitazione ha subito sentito che si preparava qualcosa di grosso anche se non stava passando per i consueti canali degli ambienti militanti (e che proprio per questo meriterebbero di essere indagati…). Appelli che giravano nelle chat delle classi, professori pronti a prendere posizione, scuole intere chiuse. In fondo il tema unisce e proprio per questo vive di un’ambivalenza che ne ha gonfiato la partecipazione. Disegna una società liscia, certo. Tutti insieme per il clima. Il simbolo però è Greta. Perché è forte, perché è coraggiosa, perché nelle foto non sorride mai come i politici per imbonirti. Dice le cose come stanno: siamo nella merda.
Lasciando da parte le paranoie complottarde di chi vuole sempre chiedersi il CHI per la pigrizia di non voler indagare il COSA c’è dietro fenomeni sociali ampi che interrogano le attuali forme della politica (comprese le nostre!), nei discorsi della sedicenne svedese si trova già un apprezzabile scarto rispetto a tante sicumere "ecologiste". C’è la richiesta alla politica tutta di fare qualcosa (di “tirare il freno a mano”) senza rimandare solo ai singoli comportamenti individuali la responsabilità di fermare il cambiamento climatico. È un discorso non morale ma politico in cui il problema non sono le persone ma il modello di sviluppo. C’è, insomma, una critica di sistema. Un’ipotesi anticapitalista? Certo il fatto di partire dai livelli alti delle contraddizioni è anch’esso portatore di una sua ambivalenza. Ha una radicalità intrinseca, in fondo ormai ineliminabile quando si parla seriamente di ecologia, ma rischia anche di galleggiare nel mondo delle idee. Oggi si è aperto un enorme spazio di politicizzazione. A chi ha ipotesi più radicali la capacità di fare da cerniera tra i livelli. Non dal basso verso l’alto, come nel ciclo dei movimenti contro le grandi opere, in cui la conquista collettiva è stato risalire insieme le gerarchie del dominio dal singolo progetto al sistema che ne faceva garante. Ma dall’alto verso il basso, nominando nomi, cognomi, responsabilità, imprese di chi sta cambiando il clima in nome dei propri interessi.
Verso la stessa politica, d’altronde, tra chi ha promosso in Italia FridayForFuture abbiamo visto solo diffidenza. Basta con le parole, vogliamo i fatti. I commenti dei singoli esponenti politici in favore del movimento sono apprezzati (“sono loro che decidono”) ma senza ingenuità. Il fatto che non ci fossero bandiere o simboli è stata una precondizione per tutti, non si delega, si verifica: sono tutti già colpevoli e il movimento non è un facile purgatorio.
Nelle strade d’Italia abbiamo visto qualcosa di nuovo. Ancora presto per sapere se si tratta di un nuovo tornante dei movimenti ecologisti ma il tentativo di unire le istanze contro il cambiamento climatico a quelle contro le grandi opere inutili ci sembra oggi ancora di più una scommessa che vale la pena di giocarsi fino in fondo. Appuntamento al 23 marzo a Roma allora!
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Dal profondo Fin dall’infanzia settembre è il mese degli inizi e degli incontri con i nuovi compagni di avventura e anche CreativeMornings Bologna è pronto a ripartire dopo una lunga pausa estiva. La prossima colazione creativa, sul tema DEPTH, profondità, sarà con Rita Bertoncini, artigiana delle immagini, regista e documentarista. Il titolo del suo talk sarà Dal Profondo. Immagini ed esperienze tra luce, sguardo, respiro e vita e con queste parole ci invita ad una colazione con lei: “Sono onorata di condividere la mia esperienza personale e professionale e di portare alcuni esempi di grandi maestre e maestri di ogni età che ho incontrato nel mondo del cinema reale e tra la gente comune. In una società in cui l’immagine - il suo consumo e il suo abuso – è diventata più reale del reale, il mio essere documentarista è stato un valido antidoto. Dall’ascolto attivo ed empatico delle persone che mi hanno donato – come splendidi libri viventi – la loro storia, ho elaborato, compreso e messo in pratica concetti e modus operandi quali: sospensione del giudizio, etica, ecologia dello sguardo, responsabilità, “pedagogia” dell’ironia e dell’errore, “poetica” della fragilità. E così, scendendo in profondità, come quando si cerca l’acqua, sono riuscita a convertire la rabbia in progettualità, la paura in azione, la rassegnazione in speranza e condivisione. Spero che questo incontro possa essere stimolante e fruttuoso in un momento di orizzonti incerti e foschi, in cui – credo - abbiamo bisogno di ricostruire il senso della comunità e della nostra partecipazione attiva ad essa.” La colazione creativa CMDEPTH con Rita Bertoncini sarà sabato 1 ottobre alle 10 presso BURŌ Cafè in via Sant’Isaia 57/D. Per essere accolti con cornetto e caffè potete registrarvi nel nostro sito.
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Milano, Triennale Estate: programma dal 7 all'11 settembre
Milano, Triennale Estate: programma dal 7 all'11 settembre. Triennale Estate è una nuova manifestazione che si svolge tutti i giorni nel Giardino Giancarlo De Carlo. Un progetto rivolto alla città, per tornare a vivere la cultura insieme. 4 mesi di programmazione, un ricco calendario di incontri, proiezioni, lecture, cabaret, eventi live, festival, attività per bambini e ragazzi. Triennale Estate presenta format e attività curate dal Comitato Scientifico di Triennale Milano, dai curatori del Public Program e altre sviluppate in stretto dialogo con organizzazioni culturali milanesi, come Milano Urban Center, Amici della Triennale, AriAnteo, Fondazione Maimeri, Teatro Oscar, I Ludosofici e Dynamo Camp. 7 settembre - 18.30 Velocità di fuga. Sei parole per il contemporaneo Triennale Milano presenta il libro Velocità di fuga. Sei parole per il contemporaneo di Leonardo Caffo, edito da Einaudi. Ne discute con l'autore Damiano Gullì, curatore per arte contemporanea e Public Program di Triennale. Decifrare il contemporaneo è una delle imprese più difficili. Ecco sei parole per comprenderlo davvero: Attesa, Semplicità, Ecologia, Isolamento, Anticipazione, Offlife. A partire da queste sei parole Leonardo Caffo descrive e spiega la contemporaneità. Sei capitoli scritti all'insegna della chiarezza e del concetto di velocità di fuga. 9 settembre - Dalle 9.30 Il Tempo delle Donne Organizzato da Corriere della Sera e La27esimaOra In collaborazione con Human Foundation, Università degli Studi di Milano e Valore D. Eventi online e in presenza in Triennale. Per maggiori informazioni: triennale.org Il Tempo delle Donne propone un palinsesto ricco di appuntamenti. La parola chiave di questa 9ª edizione è IMPATTO, declinata e indagata attraverso i temi di ambiente, lavoro, politica, equità e identità. Inchieste, conversazioni, performance, yoga, workshop, masterclass e incontri con ospiti italiani e internazionali del panorama culturale, artistico, scientifico e letterario, volti alla condivisione di idee e alla creazione di un racconto sull'impatto che i cambiamenti di questi ultimi anni hanno avuto sul futuro delle nuove generazioni. 10 settembre - Dalle 9.30 Il Tempo delle Donne Organizzato da Corriere della Sera e La27esimaOra In collaborazione con Human Foundation, Università degli Studi di Milano e Valore D. Eventi online e in presenza in Triennale. Per maggiori informazioni: triennale.org - 19.00 Memorie future | Love Bar - Alex Cecchetti Presso Padiglione Chiaravalle L'evento fa parte del progetto Memorie future, promosso da Triennale Milano Teatro, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Terzo Paesaggio e ABCittà nell'ambito del bando Milano è viva nei quartieri Il Love Bar esiste dal 2012 come una collezione di "storie che possono essere bevute". Si presenta come un'apparizione, un miraggio selvaggio temporaneo, uno spazio sublunare. Lo scambio di storie e drink – a base di erbe e piante locali raccolte dall'artista – avvengono al bancone del bar, che diventa un palco proto-teatrale sul quale il ruolo dello spettatore si confonde con quello del performer. Tra dimensione agreste e allure rinascimentale, Alex Cecchetti prepara un luogo in cui il bere e il parlare avvengono nello stesso momento. Per ogni storia d'amore raccontata, si riceve in cambio un cocktail, un elisir, una pozione, o un'altra storia d'amore. 11 settembre - Dalle 9.30 Il Tempo delle Donne Organizzato da Corriere della Sera e La27esimaOra In collaborazione con Human Foundation, Università degli Studi di Milano e Valore D. Eventi online e in presenza in Triennale. Per maggiori informazioni: triennale.org - 19.00 Memorie future | Love Bar - Alex Cecchetti Presso BiG Borgo intergenerazionale Greco L'evento fa parte del progetto Memorie future, promosso da Triennale Milano Teatro, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Terzo Paesaggio e ABCittà nell'ambito del bando Milano è viva nei quartieri... Read the full article
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