#Discorso di fine anno
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Discorso di fine anno di Z-D-P
Italiane, italiani, straniere, stranieri e altre persone non ben definite, anche quest'anno il discorso del presidente ce lo siamo tolti dalle balle. Sarà servito a qualcosa? Sicuramente no. Cambierà qualcosa? Assolutamente no. Come sarà il 2025? Molto probabilmente peggiore del 2024.
Il mio 2024 è stato una merda sotto tutti i punti di vista, mi auspico un 2025 un po' più tranquillo, ma anche per ciò che non riguarda direttamente me, perché onestamente il 2024 non è stato un granché dal punto di vista delle mie varie passioni, come la musica, film, serie, anime, giochi, sport vari e altra roba, poi mettiamoci in mezzo guerra di qua e di là, gente stupida che fa cose stupide, gente che se n'è andata troppo presto, gente che purtroppo ancora non si leva dalle scatole, etc.
Comunque, dal punto di vista personale spero nel 2025 di trovare qualche gioia, un livello minimo di fortuna che al momento sta sotto 0, riuscire a progredire dal punto di vista di studio, carriera, lavoro, amore(esiste?👀),hobby vari, fare nuove esperienze di qualsiasi tipo, magari andare anche all'estero, stare finalmente bene fisicamente, dimagrire, mettere su massa muscolare e ovviamente che tutti i miei cari stiano sempre bene e siano felici.
Dal punto di vista generale, spero che la gente capisca una volta e per tutte che siamo tutti esseri umani cittadini del mondo, tutti uguali e che dovremmo iniziare il prima possibile a considerarci come una unica grande comunità mondiale nell'universo, molto prima che italiani, francesi, tedeschi, inglesi, americani etc.
Vorrei che la gente migliorasse le loro skill per quanto riguarda organizzazione, puntualità, impegno, empatia.
Vorrei che la gente ricca e famosa capisse quanto è fortunata e quanto non lo sono i comuni mortali e si sforzassero un po' di più per quest'ultimi.
Chiudo infine con un messaggio speciale rivolto a te che stai leggendo: non sottovalutare mai nulla nella vita, che riguardi te o gli altri, stai vicino a chi sembra avere qualcosa che non va, pensa prima di sparare frasi e sentenze e offese gratuite, mettiti nei panni degli altri il più possibile, grazie.
Buon anno a tutti.
#Discorso di fine anno#Messaggio#Zdp#zibaldone di pensieri#Italia#buon anno#Ultimo giorno dell'anno#2024#2025#Passioni#Passione#Guerra#Guerre#Pace#Gioia#Gioie#Fortuna#Studio#Lavoro#Carriera#Amore#Esperienza#Esperienze#Vita#Benessere#Felicità#Empatia#Rispetto#Pensieri#Compagnia
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Imagine if Mina started to sing at concerts again
#we as a country would simply explode#la manderebbero a reti unificate come il discorso di fine anno di mattarella
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La cosa interessante del discorso di fine anno di Mattarella è la madonna di Raffaello che si vede dietro.
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L'illusione della comprensione
Una narrazione avvincente incoraggia un'illusione di inevitabilità. Prendiamo la storia di come Google si è trasformato in un gigante dell'industria tecnologica. Due ingegneri laureandi dell'università di Stanford inventano un modo molto efficace di cercare informazioni su Internet. Chiedono e ottengono un finanziamento per fondare un'azienda e prendono decisioni che si rivelano buone. Nel giro di pochi anni, la società cui hanno dato vita diventa una delle più quotate a Wall Street e i due ex laureandi sono tra gli uomini più ricchi del mondo. In un'occasione memorabile ebbero fortuna, il che rende la storia ancora più affascinante: un anno dopo aver fondato Google, erano disposti a vendere la società per meno di un milione di dollari, ma il compratore disse che il prezzo era troppo alto. Tuttavia menzionare il singolo episodio fortunato induce a sottovalutare gli infiniti modi in cui la fortuna ha influenzato il loro risultato.
In una cronistoria più dettagliata specificheremmo le decisioni dei fondatori di Google, ma per l'economia del nostro discorso basti dire che quasi tutte le scelte che hanno fatto, hanno avuto esiti buoni [il 5 che esce x volte di seguito nel gioco dei dadi contrariamente alle aspettative].
In una narrazione più completa verrebbe descritto il comportamento della società che Google ha sconfitto. Gli sfortunati concorrenti apparirebbero miopi, torbidi e del tutto inadeguati ad affrontare la minaccia che alla fine li ha sopraffatti.
Ho raccontato volutamente la storia in maniera approssimativa, ma avrai afferrato il concetto: c'è, qui, una bella narrazione. Se la storia venisse opportunamente rimpolpata con maggiori dettagli, avresti l'impressione di capire che cosa abbia consentito a Google di prosperare e ti parrebbe di apprendere una preziosa lezione generale su che cosa permetta a un'azienda di avere successo.
Purtroppo, vi sono buoni motivi di credere che la tua sensazione di capire e imparare dalla vicenda Google sarebbe in gran parte illusoria. Per verificare la validità della spiegazione, bisognerebbe appurare se effettivamente sarebbe stato possibile prevedere in anticipo l'evento. Nessuna storia dell'inverosimile successo di Google reggerebbe a tale prova, perché nessuna storia include le miriadi di eventi che avrebbero provocato un risultato diverso.
La mente umana non se la cava bene con i non-eventi. Il fatto che molti degli avvenimenti importanti realmente accaduti riguardino delle scelte ti induce a esagerare ulteriormente il ruolo della competenza e a sottovalutare la parte che la fortuna ha avuto nel risultato finale.
Poiché ogni decisione critica si è rivelata buona, la cronaca fa pensare a una prescienza quasi perfetta; ma la sfortuna [il caso-l'indeterminatezza] avrebbe potuto distruggere tutte le mosse successive. L'effetto alone aggiunge i tocchi finali, conferendo un'aura di invincibilità ai protagonisti della vicenda.
Daniel Kahneman
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Discorso di fine anno del Presidente Mattarella:
"Nel 2025 si festeggeranno gli 80 anni dalla Liberazione".
Che casualmente corrispondono agli 80 anni dall'occupazione militare americana ma si è dimenticato di dirlo.
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@pseudolo70 su Threads
Mi sembra di aver compreso che Trump sia osteggiato da una certa élite benestante e colta, che alla fine dei conti, grazie a lui, finirà per accrescere i propri privilegi economici, mentre viene sostenuto da una classe media e da un proletariato che, pur idolatrandolo, si ritroveranno tra qualche anno in rovina a causa delle sue scelte. Lo stesso discorso, in fondo, si può applicare alle destre europee, dove dinamiche simili portano a risultati altrettanto paradossali.
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L'unico discorso di fine anno che ha senso fare.
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tutte le esperienze negative degli ultimi 15 anni mi hanno fatto arrivare ad adesso. e adesso ho paura, vado in ansia, a stare troppo lontana da casa mia, da camera mia, dalle mie cose, dalla mia routine. qui so cosa mi aspetta, sono relativamente tranquilla e mi sembra di poter respirare
m non riesce a capirlo (chi non prova sta cosa non può capirlo forse) e invece che accettare il fatto sembra voler pungere nella nuda carne e mi accusa. so che è un suo modo per smuovermi, ma ottiene l'effetto opposto: voglio ancora più scappare e nascondermi
alla sei e mezza volevo andarmene a casa, ma siamo stati a parlare un'ora e mezza ancora per cercare di spiegarci i nostri punti di vista. lui giustamente non capisce perché in pratica non mi trasferisca da lui, io mi visualizzavo solo camera mia nel silenzio. alla fine del discorso, dopo pianti, accuse, attacchi di panico sfiorati, mi dice che è preoccupato per me perché "come la potresti prendere quando i tuoi non ci saranno più? magari non di vecchiaia, magari per un incidente". lui ha vissuto tre lutti importanti in meno di un anno quindi ha un'altra prospettiva della vita e solo il pensiero mi ha fatto venire voglia di scappare via ancora di più. non so se siamo fatti per stare insieme. mi sento una delusione
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IL DISCORSO DI FINE ANNO CHE VORRESTI SENTIRE, AL POSTO DI SONNOLENTE MENATE (che peraltro non ascolto).
"Abbiamo fatto i primi grandi tagli e ora andremo più a fondo. Nel 2025 continueremo ad eliminare le normative, favorendo ulteriormente la libertà economica. In un anno abbiamo fatto un balzo di 70 punti nella libertà economica, passando dagli ultimi 35 posti a quelli intermedi, ma abbiamo implementato solo un quarto delle riforme che vogliamo fare. Faremo progredire la privatizzazione, approfondiremo le riforme del lavoro ed elimineremo il 90% del numero di tasse, passando a un sistema semplificato con non più di sei tasse".
elab. via https://x.com/IstLiberale/status/1871143313103020120
VERO. Ovviamente, Xavier Milei. E tutto il resto è noia.
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Sì, alla fine nei miei bilanci c’è sempre questo: la nevrotica azione che riavvolge il nastro per contare il tempo che ho perso, da inizio anno fino ad adesso. Che quest’anno ha anche 4 ore in più, dato l’emisfero in cui mi trovo.
Questa cosa, mi dà però piacere e dispiacere allo stesso tempo. Sono qui in una landa desolata dell’Uruguay e mi rendo conto che il mio modo di vedere L. non è più quello di un tempo, che forse io sono cambiato e che non c’è più niente da fare per recuperare certe cose quando son rotte. Di fatto, è sempre più facile buttare via.
Dall’altro lato del mare, mi rendo conto che ho bisogno degli affetti che in questi tempi mi sono vicini, e guardando le foto tra Instagram e i gruppi in cui sono, che cominciano a fare i primi commenti sul discorso di Mattarella, mi fa così male stare distante e vedere che tra loro le cose accadono come devono accadere e io invece, ho deciso, forse in preda ad un eccesso di fede in me e in L. di provare qualche cosa di nuovo. Ma in fondo è anche questo il gioco, che a volte semplicemente le cose non vanno come devono andare.
Manca ancora tempo al mio ritorno, forse inizierò a pensare di sorridere solo quando sarò sull’aereo.
Da qui, mi porterò solo due cose: Torcido e un titolo che dice “find a codex to forgive yourself”. Che dolce pensiero sorprendersi nel riuscirsi.
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Ho ascoltato il discorso di fine anno di Mattarella.
Mi pare si lamenti di tante cose, tipo la guerra, i giovani, il fiftema affistenfiale, la ficureffa fociale, la fiolenza sulle donne. Un po' la sua rabbia va capita.
Dovrebbe parlarne con qualcuno che conta, tipo il Presidente della Repubblica.
Chi è il coglione che scrive i discorsi a Mattarella? Un fancazzista che ha preso il vocabolario italiano, lo ha frullato con il minipimer e ci ha messo dentro a cazzo un po' di tutto nel mega polpettone?
Per il prossimo anno evolvetevi: usate la AI, traducete il discorso di Macron, della Borderliner, il canto delle balene. Insomma dai, stupiteci cazzo.
Due coglioni così anche a sto giro.
Ma se proprio non ha di meglio da dire, fatelo entrare almeno in perizoma leopardato!
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10 MOTIVI PER CUI NON VORREI DIVENTARE FAMOSO
1. Quando sei famoso ti chiedono di rivelare il segreto del tuo successo, inventi una cosa sul momento e il giorno dopo su Libero fanno un titolo clickbait in cui ti attribuiscono la seguente frase: «Ha ragione Briatore. I giovani non hanno voglia di lavorare».
2. Siamo tutti protagonisti di almeno trenta foto poco edificanti scattate durante una gita scolastica. La nostra mente rimuove l'esistenza di quelle foto, ma loro sono da qualche parte e possono spuntare fuori all'apice della fama.
3. Chi è famoso non può neanche dire «forse non faccio del tutto schifo» e subito ribattono: «Ecco, lo sapevo. Si è montato la testa».
4. A una persona meticolosa potrebbe venire in mente di scrivere una biografia su di me per colpa della mia fama. Non voglio deludere aspiranti biografi mettendoli davanti alla triste realtà del mio rapporto simbiotico col divano.
5. Lo stile delle persone famose fa tendenza. E so già come va a finire. Un giorno indosso scarpe spaiate per la fretta, qualcuno lo nota, i salotti milanesi gridano al miracolo, la cosa sfugge di mano un po' a tutti, e mi ritrovo circondato da gente che sfoggia un sandalo e uno stivale da montagna.
6. I giornali mi stanno addosso. Ogni mia dichiarazione diventa un editoriale su Libero contro di me. Andrea Scanzi mi difende dicendo che sono un grande ma non quanto lui. Smetto di fare dichiarazioni. E su Libero cominciano a dire che il mio silenzio è un chiaro indizio di malafede.
7. Quando sei famoso non puoi dirti: «Ok, interessante, ma ora basta». Ogni tentativo di ridiventare sconosciuto si scontra con l'esistenza di una pagina su Wikipedia che parla di te. E quella pagina non può mica contenere elogi, altrimenti la gente pensa che te la sia scritta da solo.
8. Ho una giornata storta. Penso: «Domani andrà meglio». E invece il giorno dopo l'inviato di Striscia la Notizia mi bracca sotto casa, gira il coltello nella piaga con giochi di parole raggelanti e mi consegna il Tapiro d'Oro.
9. I famosi non possono salutare nessuno in uno spazio aperto perché qualsiasi loro gesto non ostile verso una persona viene interpretato come indizio di focosa relazione sentimentale. E su "Chi" i soliti ben informati rilasciano dichiarazioni tipo: «Si frequentano da un anno. È amore vero».
10. Dopo un bicchiere di troppo potrei accettare la proposta di fare un discorso motivazionale a Sanremo. Non voglio diventare astemio per evitare questo rischio.
FINE
[L'Ideota]
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Voci
Da quando ho avuto la diagnosi di OCD e depressione, cioè da 1 anno e mezzo a questa parte, il mio ragazzo ha iniziato ad attribuire a suoi comportamenti normalissimi l'etichetta di ossessioni.
Se si soffia il naso due volte di fila non è perché è raffreddato, ma perché ha "l'ossessione del muco".
Se fuma una canna e gli viene una paranoia non è perché la marijuana l'ha preso male, ma perché ha "l'ossessione del fumo".
Se conta il numero di pagine che mancano alla fine del capitolo che sta studiando non è perché vuole semplicemente sapere quanto ancora deve stare seduto alla scrivania, ma perché ha "l'ossessione di sapere".
Io non gli dico nulla, mi limito a sorridergli e a cambiare discorso. Non provo sinceramente alcun fastidio quando lui o altre persone attribuiscono la definizione di una patologia a loro azioni e reazioni perfettamente nella norma. Piuttosto, mi fa ridere la loro ingenuità.
Il mio ragazzo non sa - e mi auguro che non sappia mai - che il problema non sono tanto le ossessioni quanto le compulsioni.
Lui e tutte quelli che credono fermamente che essere fissati con l'ordine e la pulizia sia disturbo ossessivo compulsivo, non sanno che il vero problema non è il disordine ma le azioni più semplici.
Per un anno ho avuto paura di tenere in mano i coltelli da cucina, perché ogni volta che ne afferravo uno immaginavo di piantarmelo nei polsi.
E visto che in quello stesso anno lavoravo nella cucina di un pub, quindi non c'era modo di fuggire alla persecuzione dei coltelli, la soluzione che avevo escogitato era quella di indossare sempre i guanti in nitrile. "Così c'è una distanza tra me e i coltelli", mi dicevo.
Per le stesse ragioni mi viene da ridere quando sento una persona triste definirsi depressa.
Darei volentieri via l'anima per potermi sentire semplicemente triste per qualcosa, piuttosto che sprofondare in un baratro nero ogni due settimane senza uno straccio di ragione reale.
La mia mente non è fatta come quella della maggior parte delle persone. Per accettarlo ci ho messo più di vent'anni.
E' come se dentro di me abitassero delle Voci che ogni tanto iniziano conversazioni tra loro stesse, fregandosene di quelli che sono i miei bisogni e i miei impegni reali.
Queste Voci spesso ripetono frasi sentite dalla mia famiglia. "Non vali un cazzo". "Sei una puttana." "Sei disgustosa". "La tua laurea è inutile." "Hai sprecato la tua intelligenza". "Statti zitta che non capisci un cazzo". "Che cazzo piangi, non hai problemi".
Altre volte tirano fuori le parole delle persone con cui ho lavorato. "Come fai a non capirlo?" "Ma ci sei o ci fai?" "Tu non hai idea di cosa sia il burnout".
E per funzionare a dispetto di queste voci, mi trovo costretta a fare delle cose che sono oggettivamente strane.
Controllare le posate prima di mangiare. Sistemare le scarpe in un dato modo. Grattarmi fino a scorticare la pelle. Trascorrere ore e ore e ore con le cuffie addosso anche senza ascoltare niente. Lavare il bagno tante di quelle volte da consumare le piastrelle.
Non sono cose che voglio fare. Si tratta di azioni che devo svolgere per far stare in silenzio le Voci.
La cosa più esilarante è che se io spiegassi al mio ragazzo o alle altre persone che nella mia testa abitano queste voci, finirei per essere etichettata definitivamente come pazza da TSO.
Quindi mi rassegno ad ascoltare la loro "depressione" e le loro "ossessioni" con un sorriso sulle labbra e un sospiro nel cuore.
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Con gli anni si confermano le mie naturali certezze con le quali ho fatto a cazzotti pensando di essere sbagliata, intransigente, malata, non affidabile e quindi non lucida nelle mie reazioni.
Ma la verità è che mi accorgo che la mia incomunicabilità col prossimo si interrompe sempre nell’esatto momento in cui il prossimo non ha un vissuto particolarmente difficile.
Possiamo rigirarcela come vogliamo, e mi dispiace fare questo discorso perché non voglio far passare le “sfighe” esistenziali come un qualcosa che ti rende necessariamente superiore. Infatti qui non si tratta di sentirsi superiori, si tratta di non capirsi, si tratta del fatto che anche coloro che ti amano, se non hanno vissuto certe cose sulla loro pelle, non capiranno mai. C’è proprio un’incomunicabilità alla base. Per contro, tutte le persone (nessuna esclusa), con le quali ho interagito negli anni che hanno vissuto senza mezzi termini l’inferno in terra non c’è mai stato un momento in cui non mi sia sentita compresa o anche solo legittimata a reagire in un certo modo. Io penso che da qualche anno la narrazione che si fa sull’essere funzionali nella vita, sul trovare il lato positivo, sull’andate avanti in un modo o nell’altro, sul non fermarsi mai, siano dovute al fatto che la gente (non la società), ma le singole persone, ad oggi, non sono più disposte a soffrire per cinque minuti. Non reggono l’horror vacui, e quindi si nutrono di tutto quello che possono per evitare il problema, evitare i pensieri.
Purtroppo a me non è stata data questa attitudine, io non riesco a guardarmi in faccia se so che c’è qualcosa che non va in me o in coloro che mi circondano, non riesco a guardarmi Netflix se sono addolorata per un’amica, una relazione conclusa, non riesco ad avere quel piglio di chi ti dice “Esci e vai a fare una passeggiata!” Non ce l’ho, perché ho imparato, da qualche tempo, che il dolore, di qualsiasi natura, è parte integrante della vita di ciascuno, e quindi dobbiamo farci i conti e sentirlo, altrimenti vivremmo magari una vita felice e accomodante, ma non autentica, finta. In sostanza: avremmo davvero buttato la nostra esistenza attraverso lo sforzo di non pensare mai, non soffrire mai, non sentire mai; e che alla fine, per questo, riesce più facile sentirsi capiti da chi quel dolore lo prova ogni giorno. E forse è proprio così che si risale.
Io delle persone che mi dicono di pensare positivo, persone che stimo, che ho amato, persone a cui voglio un bene dell’anima, a questo punto della mia vita: non so che farmene. È legittimo che voi andiate via se la cosa comincia a essere pesante per voi, è legittimo però che io rimanga fedele a me stessa. E quando mi guardo allo specchio io mi riconosco. Voi, dubito.
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Un nuovo inizio

Seduto sul letto della sua nuova stanza condivisa con le spalle al muro, Alex maledisse ancora una volta suo padre. Sapeva che non si sarebbe mai adattato a un compagno di stanza, e ancora peggio a uno che era due anni più grande di lui. Era già stato preso di mira durante tutte le superiori. Un mese prima del diploma, dopo l’ennesimo scherzo sfuggito di mano, era finito in ospedale con un trauma cranico, e anche i suoi genitori invisibili alla fine si erano accorti che qualcosa non andava. In ogni caso, a suo padre non era mai importato di lui, sin da piccolo erano sempre stati troppo diversi. E Ginevra, come sua madre voleva che la chiamasse, era sempre in viaggio per lavoro. Ogni volta prima di partire prometteva che avrebbe chiamato, ma non lo aveva mai fatto.
Non aveva nemmeno un vero amico a cui sarebbe mancato nella cittadina di provincia dove era cresciuto, e la sua bacheca pietosamente vuota ne era una dimostrazione. Era partito solo da due giorni e nessuno si era ricordato del suo compleanno. Un messaggio di tre parole, una faccina con gli occhi a cuore e un po’ di soldi sulla sua carta erano gli auguri dei suoi genitori.
Alex batté la nuca un paio di volte contro la parete alle sue spalle. Poi sospirò, e tornò a scorrere il programma di studi sul telefono, sorseggiando una bibita fin troppo dolce. Finora, non era rimasto impressionato dal livello, solo il corso di programmazione attirò in parte la sua attenzione. Sembrava tutto troppo semplice, ma forse non era così per i ragazzi normali. In quel momento, però, avrebbe dato qualsiasi cosa per essere molto meno intelligente e solo un po’ più ordinario, proprio come gli altri.
"Ehi, sei il nuovo inquilino?" La voce di uno sconosciuto distolse Alex dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo sorpreso, per trovare un ragazzo alto davanti alla porta della stanza. Non l’aveva nemmeno sentito entrare in casa.
"Sì, ehm... sono Alessandro… Alex Labella", rispose imbarazzato. Parlare a un ragazzo come quello era davvero l’ultima cosa che avrebbe voluto fare.
"Sono Marco." Il ragazzo alto si appoggiò con la spalla allo stipite della porta, con noncuranza, fissandolo apertamente come se lo stesse valutando.
Alex si strinse nelle spalle, a disagio. “È… un piacere conoscerti." Farfugliò, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
"Frequenti davvero l’università?" Chiese l’altro, dubbioso.
Alex non riusciva a leggere l'espressione sul volto del ragazzo più grande. "Si!" Disse troppo in fretta. “Io… ho iniziato la scuola un anno prima.” Aggiunse quasi per giustificarsi. Anche se con il suo aspetto, probabilmente, non sarebbe passato per uno studente universitario nemmeno se avesse iniziato cinque anni prima. Era come se il suo cervello avesse assorbito tutta l’energia, senza lasciare nulla al resto del corpo per crescere come gli altri.
"Mmmh" Il ragazzo sembrò pensarci su, ma non lo contestò. "Quanti anni hai?"
Senza sapere esattamente perché, Alex sentì il suo viso riscaldarsi. "Diciotto."
"Ovvio. Ovvio, beh, sembri un tipo tranquillo e ho l’impressione che andremo d’accordo noi due." Disse alla fine Marco, che sembrava sempre terminare le sue frasi con un mezzo sorriso.
"Perché?" Sbottò Alex. Si rese conto tardivamente che era una domanda strana, ma i suoi schemi di conversazione erano già saltati quando il nuovo coinquilino gli aveva rivolto la parola, senza insultarlo o prenderlo a calci mentre era a terra.
Il ragazzo più alto lo guardò senza dire nulla per un lungo momento, dando l’impressione di essere stato preso alla sprovvista. Poi scoppiò a ridere. “Sono un tipo... turbolento. Immagino sia un bene che tu non sia come i miei soliti amici. Tendo a divertirmi… un po’ troppo con loro nei paraggi, e non sarebbe davvero una buona idea fare lo stesso anche a casa.”
Marco gli parlava in tono confidente, e Alex rimase imbambolato a fissarlo per tutto il tempo. Le piccole pause nel suo discorso gli diedero la possibilità di studiarlo con più attenzione. Teneva una mano in tasca, mentre reggeva lo zaino su una spalla con l'altra. Era davvero alto, vicino al metro e novanta. Aveva le spalle larghe e una corporatura snella che, tuttavia, suggeriva più muscoli di quanto sembrasse. La sua pelle era chiara, ma anche un po’ abbronzata, abbastanza da suggerire che gli piacesse stare all’aria aperta. I suoi occhi castani, limpidi, brillavano di intelligenza. Era bello, il tipo di ragazzo che Alex avrebbe fissato troppo a lungo, con conseguenze che di solito prevedevano qualche livido doloroso. E fissarlo era esattamente quello che stava facendo, si rese conto all’improvviso, quando il silenzio tra loro si dilungò per un tempo eccessivo.
"Oh, io non sono sicuramente quel tipo…" Borbottò Alex. “Non che ci sia niente di male, a volersi divertire, intendo. Voglio dire, è normale… ma io non…” Aveva già perso il filo del discorso e non sapeva neanche lui dove volesse andare a parare.
Il ragazzo rimasto fermo sotto la porta alzò un sopracciglio, lasciandolo parlare con un leggero sorriso sulle labbra.
“Immagino di essere solo un tipo tranquillo… proprio come hai detto.” Alex riuscì a concludere a fatica, con un nodo che andava formandosi nella gola. L’impressione di aver già rovinato tutto lo fece sgonfiare come un palloncino bucato.
Marco invece fece spallucce. "Ottimo. Sapevo che saremo andati d’accordo.” Disse, allargando il sorriso fino a mostrare i denti. "Alessandro, eh?" Aggiunse in contemplazione. “Mi è sempre piaciuto questo nome.”
Alex spalancò gli occhi, sorpreso da quell’affermazione improvvisa, e ancora una volta si ritrovò a fissare il suo nuovo coinquilino, mentre nessuno dei due diceva nulla per un po’ di tempo.
"Mi sei simpatico." Questa volta fu Marco il primo a rompere il silenzio. “Ma se vuoi un consiglio da amico, quella roba che stai bevendo non ti fa molto bene."
"Io… è solo… so che non dovrei.” Gli occhi di Alex caddero involontariamente sulla fila ordinata di lattine nel ripiano inferiore del suo comodino. Neanche suo padre sopportava che bevesse quelle cose dolci. Ma non per una questione di salute, infatti Alex aveva il sospetto che sarebbe stato orgoglioso se invece lo avesse scoperto a bere birra di nascosto.
“È tutta robaccia sintetica." Il tono di Marco era un po' cospiratorio. "Comunque io stavo per farmi un frullato. Frutta fresca e latte vegetale, ne vuoi?"
“Io…” Si, si, si, qualsiasi cosa, stava pensando Alex incantato dalle labbra in movimento dell’altro ragazzo. “D’accordo.” Disse invece cercando di mantenere calma la voce.
"Ottimo." Marco gli sorrise ancora e lanciò lo zaino sul letto identico dall’altro lato della stanza. “Banana, fragola e limone, ti piacerà, vedrai.”
"Mi piacerà qualsiasi cosa…" sospirò Alex tra sé. “Suona bene!” Esclamò a voce alta, strozzandosi leggermente.
Davvero, suonava troppo bene. Alex sentiva qualcosa agitarsi nel suo stomaco, nessuno gli aveva mai parlato in quel modo, come se fosse un essere umano. Ma aveva anche paura di illudersi. Solo perché il suo coinquilino gli aveva rivolto la parola non significava che volesse essere suo amico, pensò tormentandosi il labbro inferiore con i denti. Forse era solo un tipo educato.
Marco scivolò in soggiorno, che faceva anche da cucina e sala da pranzo. Un piccolo disimpegno all’ingresso e il bagno completavano il resto del loro appartamento. Alex pensava che fosse un po’ stretto per due persone, ma era comunque abbastanza vicino alle sue aule da non essere costretto a usare i mezzi pubblici ogni volta. Mentre Marco armeggiava rumorosamente in cucina, raccolse tutto il suo coraggio e decise di raggiungerlo.
“Posso… aiutarti?” Chiese nervoso alle spalle dell’altro ragazzo.
Marco lo guardò brevemente da sopra la spalla prima di rimettersi a lavoro. “No.” Disse allegro.
Ad Alex non importava davvero, preferiva di gran lunga stare lì ad approfittare di quella vista semplicemente perfetta.
“Però puoi registrare il tuo numero sul mio telefono.” Disse senza voltarsi. “È sopra il tavolo. Il codice è 092008. Mettici AAlex, con due a.”
Mentre l’altro azionava il frullatore, Alex spalancò gli occhi per la sorpresa. Il telefono di Marco era un modello successivo al suo, ma praticamente identico; quindi, aveva bisogno solo di qualche tocco per aggiungere il suo numero. Presto un AAlex campeggiava in prima fila nella lista dei contatti, vicino a un ALeo e un AMaxxi. Alex pensò brevemente di curiosare un po’, a Marco non sembrava dispiacere condividere le sue cose, ma non voleva tradire la sua fiducia e decise subito di non farlo. Invece chiamò il suo numero e chiuse al primo squillo, poi bloccò il telefono. Qualche secondo dopo, AAAMarco era anche il primo contatto nella sua breve rubrica, e questa piccola cosa gli diede una bella sensazione.
"Tutto bene?" La voce profonda di Marco fermò il treno dei suoi pensieri, teneva già un grande bicchiere pieno fino all’orlo in ogni mano.
"Sì, stavo solo… mi dispiace." Si scusò velocemente, bloccando appena in tempo l’imbarazzante verità che aveva rischiato di sfuggirgli dalle labbra. Alex prese il bicchiere che gli stava porgendo l’altro, e il profumo delle fragole invase i suoi sensi.
"Niente zucchero," disse Marco, osservando l'indagine di Alex. "Non mi piace troppo dolce, copre il sapore della frutta. Se non ci sei abituato all’inizio sembrerà un po’ strano, ma è meglio così, te lo garantisco."
Alex non poté fare a meno di ridacchiare. "Ti credo sulla parola." Disse gonfiando il petto per farsi scherzosamente coraggio, prima di prenderne un grande sorso. Marco aveva ragione, in realtà aveva un sapore un po’ strano, ma andò giù facilmente e non era per niente male. Il gusto delle fragole era più intenso e la dolcezza della banana dava il giusto equilibrio. Ne prese velocemente un altro sorso, leccandosi le labbra.
Marco lo aveva osservato per tutto il tempo con un sopracciglio alzato e un espressione bizzarra. "Cosa ne pensi?"
Alex ridacchiò. "Mmh, avevi ragione è un po’ strano, ma il sapore è incredibile. È molto buono… insomma, per essere un frullato.” Non riusciva a capire se il sorriso del ragazzo più grande fosse beffardo o meno.
"Allora vediamo cosa ho messo insieme." Marco fece un piccolo inchino, poi alzò la testa e rovesciò il bicchiere all'indietro, vuotandolo tutto d’un fiato in pochi secondi, prima di sbatterlo sul piano della cucina. "È così che un vero uomo beve il suo frullato alla fragola." Si asciugò rudemente la bocca con il dorso della mano, facendo balenare di nuovo il suo bel sorriso.
Alex non riuscì a trattenersi dal ridere.
E anche Marco sorrise ancora più apertamente, allungando il braccio per scompigliargli i capelli con la mano. "Mi piace quando ridi."
Alex si bloccò. Di certo non gli dispiaceva quel contatto, ma non se lo aspettava. E sicuramente non poteva ignorare la contrazione che il suo cazzo aveva dato in risposta.
"Comunque," continuò Marco incurante, come se non avesse appena accarezzato la testa di qualcuno che conosceva solo da quindici minuti. "Parlami di te, Alex. Come sei finito qui?"
Il sorriso che persisteva sulle labbra di Alex dalla risata di poco prima si offuscò leggermente. "I miei genitori… c’è la migliore facoltà di informatica del paese." Si corresse in fretta, anche se era sicuro che Marco potesse vedere da lontano la sua bugia. "Comunque credo che mi troverò bene." Disse cercando di stabilizzare la voce.
Ma ancora una volta, Marco gli sorrise soltanto, senza metterlo sotto pressione. "Beh, sono contento che tu sia qui. Ci divertiremo, vedrai."
C'era sicuramente qualcosa di strano nel modo in cui parlava il ragazzo più grande, ma ad Alex non importava molto. Comunque, probabilmente stava solo lasciando che i suoi nervi avessero la meglio su di lui. "E tu? Sembri più un tipo da re della festa, come sei finito a vivere qui da solo?"
"No, no." Negò Marco, appoggiandosi al banco della cucina. "Voglio dire, mi piace fare festa con i miei amici, ma preferisco avere un posto tranquillo dove riposare. Tipo una tana del drago, dove stare in pace quando ne ho bisogno.”
"Capisco." Non lo capiva davvero, ma era comunque stranamente affascinato da quella spiegazione.
"A proposito," Se ne uscì Marco all’improvviso. "Hai una ragazza che ti aspetta a casa, Alex?"
Il ragazzo più piccolo fece un rumore strano dal naso, sorpreso, arrossendo leggermente mentre si affrettava a scuotere la testa.
"Un ragazzo?" Ritentò Marco, in tono tranquillo.
Il rossore sul viso di Alex si scurì di diverse tonalità. "No, no!” Scosse la testa ancora più forte, alzando un po’ troppo la voce. “Ehm, non al momento." Finì per mormorare, trovando all’improvviso molto interessante fissare l’interno del suo bicchiere di frullato quasi vuoto. Qualsiasi cosa per evitare di incrociare gli occhi del ragazzo di fronte a lui, quando comprese di averlo detto davvero ad alta voce.
"Ehi, hai un sacco di tempo!". Marco gli diede una pacca sulla spalla, lasciando casualmente lì la mano. «E sono sicuro che qui avrai un sacco di pretendenti.»
Anche se non lo credeva possibile, in qualche modo, il rossore sul viso di Alex si fece ancora più profondo, e la grande mano sulla sua spalla sembrò improvvisamente troppo pesante. In realtà, tutto d’un tratto, ogni cosa sembrava più pesante. Anche il suo cuore batteva più veloce, come se non ricevesse abbastanza ossigeno, e si ritrovò ad ansimare.
"Ehi, qualcosa non va?" La voce di Marco lo scosse. "Sembra che ti stia per sentire male."
Alex si lasciò condurre verso il divano, sedendosi un po' più in fretta del previsto. "Io... Non lo so. Mi sento strano e... non riesco a respirare bene…” Un attimo prima era a posto, ma ora aveva troppo caldo, come se fosse in una sauna. E l’erezione dolorosamente stretta nei suoi pantaloni non lo faceva sentire meglio. “C'è qualcosa che non va."
"Alex." La voce di Marco era preoccupata. "Alex, guardami."
Stordito, Alex alzò a fatica lo sguardo verso il ragazzo chinato su di lui. Il tono di Marco lo stava spaventando ancora di più.
"Sei intollerante a qualcosa? Non ci ho pensato. È il latte di soia? Probabilmente non è niente, ma potresti avere una brutta reazione se fossi davvero allergico." Il ragazzo più grande sembrava seriamente preoccupato.
Alex non aveva mai avuto reazioni allergiche in vita sua e scosse la testa. "Pensi... che dovrei… chiamare un medico?" Ansimò.
"Non è il caso di reagire in modo eccessivo.” Marco cercò di mantenere la calma. “Se fosse una reazione allergica staresti molto peggio. Inoltre, se vai da un dottore forse chiamerà i tuoi genitori. Vuoi davvero preoccuparli così il primo giorno?"
"No… non voglio… chiamare... nessuno." Alex respirava con affanno, in cerca d’aria.
La mano di Marco gli sfiorò la guancia, ed era come un’àncora di salvezza, fresca e ferma. Alex si sporse inconsciamente verso quel tocco in cerca di rifugio.
"Come ti senti? Ti vuoi sdraiare? Puoi camminare o vuoi che ti porti a letto?" Marco gli rivolse quelle domande una dopo l’altra, in rapida successione e senza lasciargli davvero il tempo di rispondere.
"Posso camminare." Riuscì a dire alla fine Alex, non ne era del tutto sicuro, ma era troppo imbarazzato per consentire al suo nuovo coinquilino di portarlo davvero in braccio.
"Ehi, andrà tutto bene." Mentre lo accompagnava in camera, la voce di Marco era divenuta dolce, come se stesse parlando a un cucciolo spaventato. Nel suo stato di confusione Alex pensava che fosse tenero. "Dai, sali sul letto, lascia che ti aiuti."
Alex obbedì, strisciando sopra il morbido copriletto mentre stava diventando sempre più difficile concentrarsi. Anche la sua camicia leggera iniziava a farlo sentire soffocato.
La voce di Marco lo attirò di nuovo fuori dalla nebbia dei suoi pensieri. "Fai respiri profondi."
Atterrito, Alex, obbedì inconsciamente e lottò per controllare il suo respiro. Aveva sempre la sensazione che gli mancasse l’aria. Si rese vagamente conto che Marco gli stava ancòra accarezzando il viso, seduto sul letto proprio accanto a lui, mentre continuava parlare in tono calmo.
“Da bravo, Alex. Non credo che sia una reazione allergica. Devi solo rilassarti e andrà tutto bene.”
Nel suo stordimento, il tocco fresco di quella mano era un sollievo dal calore che lo invadeva.
“Sembra quasi che tu sia stato drogato.” Disse Marco con noncuranza. “Devi stare calmo, più forte batte il tuo cuore e più velocemente si diffonderà questa cosa."
Alex ci stava provando, anche se sentiva che c’era ancora qualcosa che gli sfuggiva, quella voce gentile lo stava davvero aiutando a calmarsi.
"La buona notizia è che non si tratta di droga da stupro". Il tono di Marco adesso era diverso, in qualche modo.
Un pensiero fugace attraversò la mente di Alex. "Come fai a saperlo?" Chiese prima che quella rivelazione gli sfuggisse.
"Perché," sussurrò Marco al suo orecchio. "Voglio che ricordi."
Alex cercò di raddrizzarsi, stordito, ma la presa sulla sua spalla si fece più pesante, trattenendolo sul letto, e un attimo dopo un paio di mani gli avvolsero la nuca, iniziando a massaggiarlo. Si sentiva bene, ma non osava concentrarsi su quello.
"Cosa… sta succedendo? Che… cosa stai facendo?" Provò ad alzare la voce, ma venne fuori debole. Anche la sua lingua era legata dentro la bocca.
"Quello che ho fatto," canticchiò Marco. “È darti un leggero rilassante muscolare e qualche goccia di sedativo. E adesso lo sto aiutando a diffondersi più velocemente". Il tono di Marco era così calmo, che ci volle qualche secondo perché Alex si rendesse conto di quanto fosse grave la sua situazione. "Tra poco... non sarai paralizzato, ma camminare, parlare e anche pensare non sarà più molto semplice per te."
Alex provò a dibattersi, considerando di alzarsi e scendere dal letto. Aprì la bocca per gridare, ma fu interrotto da due mani intorno al collo che si stringevano leggermente.
"Non combattere. Anche senza farmaci, non potresti fare davvero molto, non credi? Meno ti sforzi e meglio ti sentirai." Per dimostrarlo, Marco gli lasciò andare il collo e ricominciò a massaggiarlo dolcemente sulla nuca.
Aveva ragione, si sentiva meglio. Doveva semplicemente rilassarsi. I suoi pensieri si lasciavano guidare con facilità. No, non poteva. Questo era sbagliato. Doveva allontanarsi. Ma in quel momento, una mano si allungò tra le sue gambe per stringere la sua erezione palpitante, e tutti i pensieri sensati sfumarono dalla sua mente.
"Non devi preoccuparti, ti sto solo aiutando ad essere davvero te stesso. Forse hai sempre desiderato che un ragazzo più forte si approfittasse di te."
Alex cercò di lamentarsi, ma dalle sue labbra uscì solo un gemito quando quella mano invadente slacciò il primo bottone dei suoi jeans e scivolò all’interno.
"Come potrei lasciarti così?” Marco si sdraiò accanto a lui, continuando ad accarezzargli il cazzo attraverso la stoffa sottile. "Dopotutto, il corpo è molto più onesto della mente.” Continuò a sussurrare a pochi centimetri dal suo orecchio. “Hai solo bisogno di qualcuno che ti aiuti a prenderti cura di te stesso. Come potrei rifiutare un amico in difficoltà?" Marco si avvicinò ancora di più, iniziando a mordicchiargli delicatamente l'orecchio. "E non provare nemmeno a fingere di non aver fantasticato su di me dal primo istante. Ho notato come mi stavi guardando. E dove."
Alex piagnucolò mentre quei morsi delicati scendevano lungo il suo collo. Non era questo che voleva, giusto? Una parte della sua mente confusa non poteva fare a meno di chiederselo. No, era stato drogato. Marco lo stava molestando e non sembrava avere intenzione di fermarsi. Avrebbe dovuto gridare aiuto, avrebbe dovuto tentare di allontanarsi, ma tutto gli sembrava così difficile. Poi un’ombra passò su di lui e un secondo dopo le labbra di Marco erano sulle sue. E all'improvviso la situazione non sembrava più così grave. Il tocco di quelle labbra era morbido e tenero, il suo primo bacio era esattamente come Alex aveva sempre sognato che fosse; lo faceva sentire speciale, desiderato, come se fosse la persona più importante del mondo. E lo pervase di un tipo di calore diverso da quello che lo stava assalendo fino a quel momento.
Marco si allontanò solo dopo diversi minuti, quando entrambi avevano il respiro affannato. "Cazzo, sei gustoso, cucciolo. Sapevo che lo saresti stato." La brama pesante nella sua voce. Abbassò gli occhi sul corpo di Alex con un sorriso predatorio, mandando un brivido attraverso il ragazzo più giovane. "E non sono nemmeno arrivato al piatto principale." Disse, mostrando i denti.
Le dita agili di Marco iniziarono ad armeggiare con il colletto della camicia, sbottonandola con calma, e facendo scoppiare scintille attraverso la pelle di Alex in ogni punto che toccavano facendosi strada verso il basso.
Dopo aver sganciato l’ultimo bottone, quelle grandi mani cinsero quasi interamente la sua vita, e Alex ricordò ancora una volta quanto fossero diversi i loro corpi. E dallo sguardo negli occhi di Marco, anche lui sembrava pensare alla stessa cosa.
Il ragazzo più grande non perse altro tempo. Iniziò a sfilargli la camicia, fermandosi solo per sfiorargli i capezzoli, prima di trascinare le sue braccia inerti verso l'alto. Anche così, Alex aveva ancora troppo caldo, e Marco ancora una volta fu felice di aiutarlo, liberandolo anche dal peso dei pantaloni con movimenti abili. Un attimo dopo, le dita sorprendentemente lunghe del ragazzo più grande scivolarono sotto l’elastico della sua biancheria intima, e un brivido attraversò Alex. Con le ultime forze che gli erano rimaste riuscì a incrociare le gambe, evitando che anche l'ultimo dei suoi vestiti gli venisse portato via.
Marco scosse lievemente la testa. "Andiamo cucciolo, sappiamo entrambi che è quello che vuoi. Perché fare resistenza adesso?" La sua voce era dolce e condiscendente.
Alex piagnucolò di nuovo. Le parole stavano diventando sempre più difficili da pronunciare. "Io non... non farmi… male..." Alex odiava quanto sembrasse patetico, ma non c'era nient'altro che potesse fare.
"Cucciolo," mormorò Marco dolcemente, chinandosi su di lui finché le loro labbra non erano a meno di un centimetro di distanza. "Ti farò molte cose. Ma prometto che non ti farò mai del male."
Alex non voleva credergli, ma Marco sembrava così sicuro. Le sue gambe si rilassarono spontaneamente e il ragazzo sopra di lui sorrise, sporgendosi in avanti per posare un bacio sulla sua fronte. Riportò le dita all’elastico cedevole e senza sforzo fece scivolare la biancheria lungo le cosce del ragazzo. Lentamente, assaporando ogni istante.
Dopo i trenta secondi più lunghi della sua vita, Marco finalmente raggiunse i suoi piedi, e gettò quell’ormai inutile pezzo di stoffa da qualche parte dietro di sé. Alex emise un lieve mormorio scontento, ma il ragazzo più grande lo ignorò e intanto aveva già iniziato ad esplorare il suo corpo, come se fosse alla ricerca di qualcosa.
"Sto cercando qualche difetto…" Disse Marco, come se potesse leggere i suoi pensieri.
E la testa di Alex si riempì improvvisamente di tutti i difetti che vedeva nello specchio ogni volta che si guardava, preparandosi come poteva all’umiliazione che presto sarebbe arrivata.
"…qualcosa che rovini la tua perfezione Ma non riesco a trovarne nessuno." Concluse meravigliato il ragazzo sopra di lui. "Sei perfetto, cucciolo. Così incredibilmente perfetto." Marco stava facendo scorrere le mani lungo tutto il suo corpo, mentre parlava, facendolo rabbrividire.
Alex era sbalordito, avrebbe davvero voluto odiare tutto questo, ma le parole di Marco andavano dritte a un luogo remoto della sua mente, che contraddiceva tutte le sue convinzioni. Pensare stava diventando sempre più difficile man mano che il bisogno tra le sue gambe cresceva. E anche questo non sfuggì all'attenzione di Marco. "Dal primo momento che ti ho visto ero certo che saresti stato un cucciolo perfetto."
Alex non era un cucciolo, era abbastanza sicuro di non essere un qualche tipo di tenero animaletto, ma se questo significava che Marco avrebbe continuato a toccarlo e a parlargli in quel modo, avrebbe potuto imparare. No! Non doveva nemmeno pensarlo, era la droga a parlare…
Un altro bacio spazzò via nuovamente i pensieri dalla sua testa. "Aspettami qui per un momento, cucciolo. Tornerò tra un secondo.” Il calore e il peso di Marco si spostarono. Per la prima volta da quella che sembrava un'eternità, Alex non aveva mani estranee che vagavano su di lui. Era solo, eppure faceva ancora troppo caldo. Anche essere toccato lo faceva sentire caldo, ma in modo diverso, controllato. Questo invece era ovunque, come un incendio, e lo faceva contorcere per l'angoscia. Aveva bisogno di calmarsi, aveva bisogno di…
Il tocco di Marco rimise tutto al suo posto. Quando il calore del ragazzo più grande era di nuovo su di lui, si rese conto che il contatto con tutta quella pelle era molto meglio che essere lasciato solo.
Alex sbatté le palpebre, riuscendo a disperdere la nebbia nella sua testa per qualche secondo. Anche Marco era nudo adesso, eccitato, e la sua erezione svettava fiera, rendendo ancora una volta dolorosamente evidente tutte le differenze tra loro. Il cazzo del ragazzo più piccolo, però, si contrasse nonostante quel confronto impietoso. E mentre Marco riordinava le loro posizioni, spingendogli le ginocchia verso il petto, la realtà di ciò che stava per accadere colpì Alex come un fulmine, facendogli pompare più forte il sangue nelle vene.
"Tu… perché..." La mente di Alex stava di nuovo perdendo lucidità e non riusciva a formare frasi di senso compiuto. “Io… avrei…"
Marco rise di lui, mostrando per la prima volta un pizzico di crudeltà in contrasto con la dolcezza precedente. «Oh, lo so, cucciolo. So che mi avresti voluto comunque, ma appena ti ho visto, così indifeso, eri come un sogno a occhi aperti. Il mio sogno…"
Alex odiava il fatto che probabilmente il ragazzo sopra di lui non si sbagliasse, e piagnucolò scontento.
Nel frattempo, Marco continuò a sussurrargli all’orecchio. "…devi capire che scoparti è solo una delle tante cose che voglio farti.”
Il ragazzo più piccolo non poté fare a meno di piagnucolare ancora più forte. Probabilmente erano solo parole inquietanti per entrare nella sua testa, il fatto era che stava funzionando. Avrebbe voluto gridare, ma in quel momento, qualcosa di freddo entrò nel suo buco posteriore invadendo allo stesso tempo il suo corpo e la sua mente.
"Vedi," il tono di Marco era tornato a essere dolce. "Nemmeno un accenno di resistenza.” Spinse un dito avanti e indietro all’ingresso delle viscere di Alex, spargendo una sostanza fresca in ogni angolo nascosto. In breve tempo, un secondo dito si unì a quella danza, poi un terzo, subito dopo.
Alex sentì i muscoli stirarsi in modo innaturale, ma non gli fece male quanto si aspettava.
"Sai, pensavo che il tuo bel buchetto avrebbe richiesto un po' più di lavoro," rifletté Marco quasi fra sé, con un tono divertito. "Allora dimmi, cucciolo, cose è entrato qui prima? Solo qualche dito curioso? Hai nascosto qualche giocattolo? O hai già tentato qualcuno dei tuoi vecchi compagni di scuola a tirarti giù i pantaloncini nello spogliatoio?" Il suono dell’ultima domanda sembrava quasi aggressivo.
Alex voleva credere che fossero state le dita di Marco che premevano contro qualcosa dentro di lui, a causare la contrazione nel suo cazzo, e non il pensiero che il ragazzo che lo stava violando potesse essere geloso. Chi poteva essere geloso di lui? "Solo... solo le mie dita." Si sforzò di farfugliare, per pentirsene subito dopo.
"Quante?"
"Io… non ricordo… una... credo." Lo ricordava, ma non avrebbe mai voluto dirlo.
Marco fece qualcosa con le dita dentro di lui che lo costrinse a contorcersi e gemere allo stesso tempo. Non riusciva a dare un nome a quella sensazione, sapeva solo che era troppo intensa per essere giusta.
"Non mentirmi, cucciolo. Quante dita?"
Alex scosse la testa, cercando di resistere, e Marco aggrottò le sopracciglia scontento. Quella sensazione sbagliata si diffuse, fino a formare un nodo nel suo stomaco, che lo costrinse ad ansimare e piagnucolare. "…Tre..." Cedette alla fine. La sensazione che si era intensificata quasi fino a fargli male si affievolì subito, lasciando al suo posto una piacevole pulsazione che dalla base della spina dorsale risalì fino al suo petto.
“Vedi, non era così difficile.” Lo consolò Marco, continuando a frugare dentro di lui con un po’ più di riguardo. "Essere onesto ti farà solo stare meglio, cucciolo." Con la mano libera accarezzò la sua guancia arrossata.
Alex cercò di lamentarsi, ma ogni rumore che usciva dalla sua bocca assomigliava a un gemito di piacere, facendolo bruciare per la vergogna. Non si era mai sentito in quel modo mentre faceva la stessa cosa da solo, nemmeno lontanamente. Dovevano essere quei maledetti farmaci. O erano le dita di Marco, molto più spesse e ruvide delle sue. O forse gli piaceva solo essere trattato in quel modo. Ma non voleva davvero soffermarsi su quel pensiero terribile.
Per fortuna, all’improvviso, non pensare sembrò diventare ancora più facile. Lo strano piacere che pulsava da qualche parte dentro il suo buchetto violato si stava trasformando in una pressione appena sotto l'ombelico. I suoi muscoli si contrassero; cercando di stringersi intorno all'intruso, per spingerlo fuori o forse tenerlo dentro, ma sicuramente provando e fallendo nel fare qualunque cosa. Al contrario, il suo corpo si arrese spinto inesorabilmente sempre più vicino all’orgasmo.
Alex cercò di formare le parole. Forse riuscì a emettere qualche suono pietoso, a malapena distinguibile dai gemiti indecenti che era certo uscissero da lui. Di sicuro non abbastanza da fermare Marco, che invece sembrava incoraggiato a lavorare ancora più velocemente con le dita. Chiuse gli occhi mentre sentiva di arrivare a un limite da cui non poteva tornare indietro e le sue palle si strinsero in modo familiare. Stava per venire sotto lo sguardo attento di Marco, a causa delle sue dita invadenti, e già sapeva che sarebbe stato l'orgasmo più forte che avesse mai avuto. Gli serviva solo un momento in più e invece era sempre lì, al limite. A quel punto, il piacere sarebbe già dovuto esplodere. Avrebbe dovuto raggiungere il picco, così sarebbe riuscito a rilassarsi e a pensare più lucidamente. Invece il suo piacere continuava a crescere, sempre di più, fino a quando il bisogno di sborrare divenne quasi doloroso. Allora trovò la forza di muovere il suo corpo incontro a quelle dita, alla ricerca del punto perfetto e l’attesa dell’orgasmo imminente lo travolse al punto da non percepire che Marco si era fermato.
Almeno finché il ragazzo più grande non iniziò a ridacchiare. “Te ne sei accorto solo ora, vero?" Il sorriso soddisfatto di Marco era abbagliante.
Se la mente di Alex fosse stata più lucida, avrebbe capito che era solo una provocazione, invece si accontentò di fissarlo, vagamente risentito.
"Beh, come potrei dire di no a una richiesta così appassionata del tuo corpo?" Marco si allontanò senza preavviso, tirando fuori le dita.
Alex tornò a respirare, e la sua angoscia per essere stato lasciato proprio in quel momento svanì leggermente, quando si ricordò che non gli sarebbe dovuto piacere affatto. Proprio così, niente di tutto questo gli piaceva. Era solo colpa dei farmaci e quando il loro effetto fosse svanito, allora sarebbe tornato tutto a posto.
Mentre era perso nei suoi pensieri, Marco riprese a baciarlo, quasi con foga, facendolo sentire nuovamente meglio di quanto avrebbe dovuto. Se solo fosse riuscito ad articolare le parole, se avesse avuto il tempo di respirare, forse avrebbe potuto convincere Marco ad aspettare che l’effetto dei farmaci svanisse e…
"Sarà bello, cucciolo, te lo prometto," mormorò Marco dolcemente, quasi senza staccarsi dalle sue labbra. “Almeno per me.” Sorrise quando trovò quello che stava cercando, e una forte pressione sì schiantò contro il buchetto di Alex. Marco prese il suo viso tra le mani, in modo che fossero costretti a guardarsi dritto negli occhi, e spinse.
I muscoli cedettero, aprendosi intorno al cazzo di Marco con una facilità orribile, e permettendo al ragazzo più grande di infilarsi di un buon tratto con una sola spinta. Il dolore arrivò qualche attimo dopo, accecando Alex. Troppi nervi si erano accesi contemporaneamente e ancora non riusciva a dare un senso a quello che era successo, così chiuse gli occhi e gridò.
Ignorandolo, Marco si tirò fuori quasi completamente, con una lentezza agonizzante, poi si seppellì di nuovo. Il disordine nei sentimenti di Alex aumentò mentre il grosso cazzo incandescente infilzava quel punto magico già stimolato fin troppo con le dita. All'improvviso, in mezzo al dolore, il bisogno di sborrare tornò, crescendo rapidamente mentre Marco continuava a spingersi dentro di lui, apparentemente incurante della tempesta che stava causando.
Non ci volle molto prima che Alex si trovasse esattamente dove era prima, in bilico sul bordo di un orgasmo spettacolare, che sembrava addirittura amplificato dal dolore che provava in quel momento. Si rese conto di balbettare, le parole gli morivano nel cervello prima ancora che potessero arrivare alla bocca. Voleva pregare Marco di rallentare, e allo stesso tempo voleva implorarlo di andare più a fondo, più forte.
Alex rimase senza fiato quando l’orgasmo lo colpì tutto in una volta, il suo intero corpo si contrasse mentre ondate di piacere lo attraversavano. Eppure, non schizzò, almeno non come al solito; invece, il suo cazzo trascurato iniziò a perdere un flusso costante di sperma, che si andò ad accumulare sul suo addome. E l’orgasmo non si fermò. Il piacere bruciante indugiava oltre i normali secondi, mentre continuava a gocciolare su sé stesso, spossato da quel piacere intenso che lo portò rapidamente a perdere anche l'ultima flebile presa sulla realtà.
Da quel momento, Marco iniziò a scoparlo ancora più forte, lunghe e dure spinte che facevano sbattere Alex contro la testiera del letto. Nel suo stato di debolezza si sentiva usato, violato e incredibilmente vicino a un altro orgasmo. Non capiva come potesse venire di nuovo così presto, ma non poteva farci niente e Marco continuò ad andare avanti, colpendo tutti i suoi punti più sensibili, finché la sua vista non si offuscò e nient'altro contava. Solo lui, il cazzo che lo martellava dentro, i baci e le parole a volte dolci e altre degradanti che Marco gli sussurrava senza staccarsi dalle sue labbra. E il piacere che gli intorpidiva la mente spazzando via tutto il resto.
Alex tornò in sé solo quando il tono di Marco divenne più urgente. Gli aveva appena fatto una domanda, ma la sua mente era troppo lontana per ascoltare davvero. Allora il ragazzo sopra di lui lo strinse a sé. "Sto per sborrare…” ansimò tra un respiro pesante e l'altro. "Ti voglio… segnare… voglio farti mio… essere il primo… a riempirti…" Le sue spinte divennero irregolari man mano che il respiro diventava più veloce, finché con un ultimo grugnito affondò i denti nel collo di Alex, mordendo forte mentre il calore sbocciava nelle viscere del ragazzo più giovane.
Rimasero così per un po' di tempo; Marco si seppellì nel corpo di Alex, e il ragazzo più piccolo si rifugiò tra le sue braccia, entrambi sudati e con il respiro affannato. Alex si rese conto vagamente che stava piangendo, anche se non era sicuro del perché. Non era sicuro di nulla. Marco gli disse qualcosa a bassa voce, prima di districarsi lentamente dal loro abbraccio. Alex non lo sentì tirarsi fuori, ma all’improvviso si rese conto di essere vuoto e non era sicuro che gli piacesse.
Dopo un po’, Marco gli sollevò la testa e premette qualcosa di freddo sulle sue labbra. "Avrai sete. Bevi." Ordinò.
Alex obbedì inconsciamente, permettendo che il liquido gli venisse versato in bocca. Nella nebbia della sua mente, qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto diffidare di farlo, anche se non riusciva a ricordare perché. Ma ormai era troppo tardi e inoltre aveva molta sete.
Il tempo aveva perso il suo significato, non sapeva se fosse passato un minuto o un giorno intero quando il letto affondò di nuovo e Alex sentì un peso vicino alla testa. Poi una mano sotto il mento lo costrinse a guardare in alto verso il grosso cazzo che gli veniva appoggiato sul viso.
«Apri grande, bello addormentato, ho qualcosa per te.»
Alex era abbastanza sicuro che il qualcosa fosse proprio quel cazzo. Non voleva, ma due dita nella sua bocca lo stavano già forzando ad aprirla. Cercò di mordere, ma non aveva energie e non poté fare altro che guardare mentre il bastone di carne scivolava dentro, riempiendolo in poco tempo fino all’ingresso della gola.
Tutto in Alex voleva ribellarsi. Non riusciva a respirare. Voleva respingere l'intruso che stava invadendo le sue vie respiratorie, ma il suo corpo non rispondeva. Nemmeno il riflesso del vomito voleva saperne di fare il suo lavoro, lasciandolo impotente a soffocare mentre l’asta scivolava dolorosamente sempre più in fondo. Dopo un lungo momento, il cazzo nella sua gola si tirò indietro, permettendogli a malapena di riprendere fiato prima di rientrare, acquistando gradualmente un ritmo costante.
Gemiti compiaciuti gli arrivavano a tratti. "Succhiacazzo… mi sta ingoiando intero… Bravo cucciolo..." Sbuffava Marco eccitato.
Alex riusciva a malapena a sentire il suo discorso sconclusionato, intervallato da gemiti rochi. In qualche modo, gli sembrava di essersi quasi abituato ad essere invaso. Provò a rilassarsi e si lasciò fluttuare, mentre un’altra ondata di calore lo attraversava. Marco però non gli diede molto tempo per adattarsi, iniziando a scopargli la bocca più forte e più veloce per molto tempo. Finché, senza preavviso, si sfilò completamente, lasciandolo ancora una volta troppo vuoto.
Presto, le gambe gli furono sollevate di nuovo sul petto, e un corpo rovente premette pesante su di lui. “Cucciolo, come ti senti?" La voce dolce di Marco attirò Alex come il fuoco per una falena, facendogli dimenticare momentaneamente le responsabilità del ragazzo più grande per la sua situazione. Significava che era finita? Alex emise un lieve sospiro speranzoso, che si trasformò immediatamente in un piagnucolio quando qualcosa di grosso violò nuovamente il suo buco abusato.
Un attimo dopo, Marco bisbigliò vicino al suo orecchio. "Lo so, cucciolo, fa male rifarlo così presto dopo la prima volta. Ma non ci vorrà molto prima che torni a piacerti, te lo prometto." Le sue parole avevano un suono così confortante. Poi il ragazzo più grande gli spinse le ginocchia più in alto verso le spalle. «Fammi entrare un po’ più a fondo, cucciolo, e ti prometto che andrà tutto bene.»
Senza aspettare, Marco avvolse una mano attorno al cazzo a mezz’asta di Alex, dandogli qualche colpo, inviando una nuova ondata di elettricità attraverso la sua spina dorsale, e contemporaneamente si spinse a fondo dentro di lui.
Lavorò lentamente con la mano, portando facilmente Alex alla piena erezione. "Hai un bel cazzo, cucciolo, un po’ piccolo ma ci potremo comunque giocare in molti modi."
Sovraccarico, Alex non rispose a quella lieve presa in giro, stava per svenire e non gli importava molto. Un leggero schiaffo sulla guancia, però, lo riscosse dal torpore poco prima che perdesse conoscenza. Alzò lo sguardo e notò il ragazzo più grande che lo fissava con attenzione. "Tutto bene, cucciolo? Resta con me…"
Alex poté solo piagnucolare in risposta. Si sentiva bene, anche bene, ed era sempre più sicuro che presto avrebbe perso la testa. Non era giusto che fosse così bello.
Marco gli sorrise e Alex odiò il calore che si diffuse nel suo petto in risposta.
"Sai, non posso immaginare cosa si provi ad essere al tuo posto." Il sorriso di Marco si aprì abbagliante a pochi centimetri dal viso arrossato di Alex. "Ma devi restare concentrato, pensa a me, continua solo a guardarmi e sono sicuro che ti sentirai meglio."
Probabilmente era una assurdità. Ma nonostante tutto, Marco lo aveva davvero fatto sentire meglio di quanto fosse mai stato. Forse se lo avesse ascoltato... Alex cercò in tutti i modi di togliersi quell’idea pericolosa dalla testa. Mentre faticava a pensare, all'improvviso, il suo corpo, già sensibile e ora doppiamente stimolato iniziò a fare male. Quel sovraccarico sensoriale era allo stesso tempo troppo piacevole e troppo doloroso. I suoi gemiti si trasformarono in piagnucolii e poi in grida, ma quando alzò lo sguardo verso il ragazzo che spingeva forte dentro di lui, con la vista offuscata dalle lacrime, tutto ciò che vide fu una gioia incontenibile sul volto dell’altro.
"Sei bellissimo anche quando piangi… cucciolo..." C’era euforia nella voce di Marco. "Ma per ora…" continuò a parlargli ansimando pesantemente. "Cerca solo di sopportare un po’… e presto ti riempirò ancora di più...”
Chissà come, Alex ci credeva. Presto sarebbe finita, anche se faceva ancora male. Non poté fare a meno di continuare a piangere mentre il ragazzo sopra di lui gli baciava il collo, le labbra e gli occhi bagnati di lacrime.
Marco, lo lasciò sfogare come voleva, continuando a baciare ogni angolo del suo viso e strofinandogli cerchi confortanti tra i capelli con le sue lunghe dita agili. Sembrava che si stesse avvicinando rapidamente all’orgasmo. Le spinte dure che stavano allargando il buco posteriore di Alex fino ai suoi limiti divennero irregolari. E sembrava anche che si stesse divertendo molto a masturbare il cazzo di Alex, strofinandolo a tempo con le sue spinte sempre più profonde e con i singhiozzi soffocati del ragazzo sotto di lui. Così, quando con un ringhio Marco si irrigidì riversando un secondo copioso carico di sperma nelle viscere del ragazzo, allo stesso tempo, strinse forte la presa sul cazzo di Alex facendolo schizzare fino al mento.
Crollarono l'uno sull'altro, respirando affannosamente mentre si riprendevano. In effetti, Alex era abbastanza sicuro che non si sarebbe mai ripreso, ma almeno gli fu permesso di respirare per un minuto.
Anche quella pausa però durò troppo poco. Presto sentì il ragazzo più grande iniziare a muoversi sopra di lui, afferrarlo come una bambola e girarlo a pancia in giù. Marco cercò di farlo sollevare a quattro zampe, ma quando fu chiaro che le gambe non lo avrebbero sostenuto, si accontentò di infilargli alcuni cuscini sotto la pancia, lasciandolo con il culo per aria. Arrossendo violentemente, Alex avverti un liquido denso iniziare a fuoriuscire dal suo buco, solo perché un dito lo riportasse dentro.
"Stai andando così bene, cucciolo." La voce di Marco alle sue spalle era di nuovo carica di dolcezza. "Ma non ho ancora finito con te. mi fai venire voglia di farti cose terribili. Solo… non svenire o non sarà divertente. Urla, piangi, non trattenere nulla… prenderò tutto quello che puoi darmi...". Si chinò su di lui, sussurrando in tono cospiratorio: «Sai anche tu che è esattamente quello che vuoi.»
Alex non poté davvero impedirsi di ricominciare a piangere, quando almeno quattro delle grosse dita di Marco allargarono nuovamente il suo buco già abusato. Marco, però, sembrava diventare ancora più rude alla vista delle sue lacrime, così, chiuse semplicemente gli occhi e cercò di non pensare all’enorme intrusione che sfondava ogni resistenza dei suoi muscoli indeboliti. Dopo un tempo indefinito e l’ennesimo lampo di dolore accecante, gli sembrò di sentire una serie di esclamazioni euforiche e la parola pugno fluttuare alle sue spalle. E all’improvviso si rese conto di avere una delle mani di Marco all’interno del corpo. Allo stesso tempo, dita giocose spingevano sulla pancia da fuori tracciando i contorni del mostro dentro le sue viscere maltrattate.
L'orrore di quello che gli stava accadendo si registrò a malapena nella mente di Alex, si sentiva come se stesse ricevendo le sensazioni di qualcun altro. Se chiudeva gli occhi, poteva quasi credere che non stesse succedendo a lui. Così, quando Marco si spinse ancora più a fondo nel suo corpo, non si oppose. Esausto, Alex non fece altro che crollare mollemente sui cuscini che lo sostenevano e lasciare che la sua vista si oscurasse.
Il resto della sera passò confuso. Si svegliava brevemente con una nuova sensazione troppo piacevole o troppo dolorosa, poi sveniva di nuovo altrettanto in fretta.
Alla fine, una luce forte che gli feriva gli occhi lo svegliò abbastanza da accorgersi di non essere più sul letto. Era in una piccola stanza con piastrelle chiare sul pavimento e sui muri. Il bagno, si rese conto, ringraziando il cielo. Era preoccupato che si sarebbe fatto la pipì addosso se non ci fosse andato subito, solo che aveva dimenticato di chiederlo. Ma invece del gabinetto, Marco lo spinse verso la doccia, guidandolo a mettersi in ginocchio. Il freddo della ceramica lo scosse quel tanto che bastava per alzare lo sguardo.
«Cucciolo, apri la bocca!» Ordinò il ragazzo più grande, in piedi davanti a lui. E Alex lo fece senza pensare, già abituato a eseguire i suoi comandi.
Marco teneva il proprio cazzo semieretto puntato verso di lui, e per un momento Alex si chiese perché si fosse preso la briga di portarlo fin lì solo per farselo succhiare di nuovo. Passò solo il tempo di formulare quel pensiero, prima che un flusso di liquido caldo sgorgasse abbondante schizzandogli contro la guancia, per poi correggere rapidamente la mira e atterrare nella sua bocca ancora aperta. Mentre tossiva per istinto, soffocato e sbalordito, storse il naso allo strano pensiero che il sapore non fosse così male.
“Tieni la bocca aperta!” Ordinò di nuovo Marco, riempendola ancora una volta, per poi mirare divertito ai capelli, al petto e persino al suo cazzo ancora duro mentre ingoiava senza pensare quello che aveva in bocca.
"L’hai bevuta? Non ci credo…" La voce di Marco era l’unica cosa che ancora riusciva a fare breccia nel sogno ad occhi aperti di Alex. Alzò lo sguardo verso il ragazzo alto, che sembrava ancora più grande visto da laggiù.
Chiaramente non aspettandosi una risposta, Marco entrò nella doccia insieme a lui e chiuse la porta di vetro alle sue spalle.
L’acqua fredda colpì Alex sul fianco, facendolo sobbalzare e stringere in un angolo. Marco gli tese la mano. "Vieni su, cucciolo. Ti aiuto ad alzarti."
Alex prese la mano che gli veniva offerta e si lasciò trascinare in piedi. Era incerto sulle gambe, ma riuscì a mantenersi in equilibrio con quella mano ferma su cui fare presa.
"Bravo il mio cucciolo." Marco gli diede un leggero bacio sulla fronte, e quando l'acqua si scaldò lo spinse sotto.
Mentre erano sotto il getto d’acqua calda sembravano quasi normali. Marco gli lavò i capelli e gli insaponò il corpo con attenzione. Si soffermò molto più del necessario sul cazzo e sul culo, ma era la cosa meno strana che gli avesse fatto quella sera, quindi Alex non se ne preoccupò. Inoltre, era gentile, come se gli importasse davvero, e quando finì di occuparsi di lui lo baciò di nuovo. Prima di lavarsi a sua volta.
Quando si furono risciacquati entrambi dal sapone, Marco girò Alex verso di lui e lo attirò a sé, in modo che le erezioni di entrambi fossero premute tra loro. "Lo sai, in realtà non avevo intenzione di scoparti di nuovo. Non pensavo nemmeno di avere abbastanza energia per farlo un’altra volta. Ma cielo, cucciolo, non immagini cosa mi fai…" Sembrava che Marco stesse parlando più che altro a sé stesso mentre bisbigliava al suo orecchio.
"Ti propongo un patto.” Disse serio all’improvviso, riadattando leggermente le loro posizioni in modo che potessero guardarsi negli occhi. “Dimmi di no solo una volta, scuoti la testa, o qualsiasi cosa per comunicare che non sei interessato e ti riporto subito a letto per riposare. Oppure voltati, reggiti con le mani al saliscendi della doccia, e possiamo aiutarci a vicenda a stare bene ancora una volta.”
Alex era quasi certo che fosse un trucco. L’acqua della doccia aveva dissipato un po’ della nebbia che gli offuscava la mente, ed era quasi sicuro che, anche se avesse detto di no, Marco avrebbe fatto comunque quello che voleva. Ma forse poteva davvero scegliere, doveva solo dire di no, provarci non costava nulla. Allora perché non lo stava già facendo?
Le mani di Marco trovarono la sua vita, stringendolo a sé, e gli premette un bacio sulle labbra. "Scegli, cucciolo." Era un ordine, ma in quel momento suonava come una preghiera. E Alex si sciolse.
Girandosi a fatica, Alex riuscì ad afferrare la barra della doccia per evitare che la sua faccia colpisse il muro, quasi cadendo mentre si chinava, esponendosi. Gli sembrava di sentire il sorriso di Marco bruciargli la schiena.
"Sei un bravo cucciolo." Marco scivolò dentro di lui senza sforzo, come se il buco di Alex fosse fatto per il suo cazzo. Non disse molto di più. Iniziando a muoversi a un ritmo lento che crebbe costantemente, sempre più forte fino a quando ogni spinta non portò Alex ad ansimare. Ad un certo punto le sue gambe cedettero, così Marco lo girò e si insinuò in lui, sollevandolo di peso, inchiodandolo tra il suo ampio petto e la parete della doccia, mentre lo tirava su e giù sul suo cazzo tenendolo in braccio. Alex avvolse istintivamente le gambe intorno alla vita del ragazzo più grande, poggiando il viso sulla sua spalla e iniziò a gemere piano. Non poteva farne a meno. Ogni sensazione gli sembrava amplificata e Marco sapeva davvero come scoparlo. Come fare in modo che ogni spinta inviasse ondate di piacere attraverso di lui, che finivano inevitabilmente in un punto alla base del suo cazzo, facendolo vibrare. Sapeva come sussurrargli parole dolci all'orecchio proprio quando aveva bisogno di sentirle. Come baciarlo così ferocemente che Alex dimenticò tutto, tranne le sensazioni piacevoli che gli stava dando in quel momento. Per tutta la durata di quella scopata, Alex dimenticò di essere stato drogato e violato ripetutamente, dimenticò gli abusi e si lasciò andare al piacere. Venne senza toccarsi su entrambi i loro petti, sbiancando per l'intensità dell’ennesimo orgasmo.
Marco lo seguì pochi istanti dopo, con un ringhio basso e due colpi profondi come unico avvertimento prima che una sensazione di calore si diffondesse dentro di lui. Solo che poi lo tenne fermo, senza dire niente e senza tirarsi fuori, e dopo alcuni istanti un'altra ondata di calore si riversò nelle sue viscere. Questa volta, però, non si fermò dopo pochi secondi, continuò per quasi un minuto intero, fino a quando Alex non sentì la pancia gonfiarsi leggermente a causa del volume di piscio con cui Marco lo aveva appena riempito. Ma il ragazzo esausto era già troppo lontano per preoccuparsene.
Marco lo accompagnò fuori dalla doccia senza lasciarlo andare. L'ultima cosa che il ragazzo percepì era una pressione fastidiosa sul fondoschiena e un lieve bacio sulle labbra, prima che il mondo iniziasse a svanire.
Alex spalancò gli occhi al suono dell'allarme, poi li richiuse immediatamente perché la luce che filtrava dalle persiane socchiuse era troppo intensa, e si raggomitolò su sé stesso, stordito e dolorante. Sfortunatamente, nulla di tutto questo impedì all’allarme di continuare a suonare all’infinito. Così, alla fine, si costrinse a rotolare fuori dal letto e inciampò incerto per la breve distanza fino alla sua scrivania, dove apparentemente aveva lasciato il telefono. Lo afferrò distrattamente e silenziò la sveglia, infastidito.
Voleva solo tornare a letto. Le sue lezioni sarebbero iniziate la settimana successiva e non aveva bisogno di alzarsi. Stare in piedi, infatti, si stava dimostrando uno sforzo eccessivo, e Alex ricadde più che sedersi sul suo letto. Si sentiva come se fosse stato investito da un treno. Frugò nella sua memoria, cercando di ripercorrere il giorno precedente. Era arrivato nel suo nuovo appartamento, aveva sistemato le sue cose, poi...
Tutto gli tornò in mente in un’alluvione. Quasi tutto. Alex era profondamente consapevole di alcuni vuoti preoccupanti nella sua memoria. Ma ricordava già più di quanto volesse e proprio in quel momento, il suo telefono squillò.
Era un messaggio. Da un certo AAAMarco.
"Buongiorno cucciolo. Dormito bene?"
Maledetto. Cazzo. Cazzo. Cazzo. Non doveva rispondere. Doveva bloccare il numero e cercare di dimenticare tutto. No, dovrebbe chiamare la polizia. No, dovrebbe... Maledetto. Maledetto. Cazzo.
Poi nella tempesta che si era scatenata nella sua mente, balenò improvviso un pensiero inquietante. Come faceva Marco a sapere… “Come fai a sapere che mi sono appena svegliato?” Inviò il messaggio colto dal panico.
“Ho impostato una sveglia per cinque minuti fa. Dormire tutto il giorno non ti fa bene, cucciolo."
"Sei entrato nel mio telefono?" Il terrore si insinuò dentro Alex, gelandolo fino alle ossa.
"Il riconoscimento facciale va bene…” Scrisse Marco.
“Fino a quando non sei troppo fuori di te per impedire a qualcuno di puntare il telefono sul tuo bel viso.” Una faccina con le lacrime per le risate concludeva il messaggio.
“Oh! A proposito, tanti auguri per il tuo compleanno, cucciolo, anche se con un giorno di ritardo."
Marco fece una breve pausa prima di scrivere ancora.
"Ma non preoccuparti, non ho visto molto sul tuo telefono. Solo le cose di cui avevo bisogno."
In qualche modo, questo non servì a placare le ansie di Alex. “Se non mi lasci in pace chiamerò la polizia!” Scrisse con le dita tremanti, pregando che bastasse per spaventarlo.
"Nooooooooooo… e io che pensavo avessimo legato. Ci siamo divertiti così tanto ieri sera."
Alex stava per rispondere, ma poi molte foto iniziarono ad inondare lo schermo del suo telefono. Immagini di sé stesso. Di spalle mentre si faceva scopare. A pancia in su, in ginocchio, con la bocca piena sformata da un cazzo troppo grande. Il suo buco ancora aperto e arrossato che perdeva sperma. Lui con la bocca piena di piscio e uno sguardo sognante. E infine, un breve video di lui e Marco che si baciavano gemendo di piacere. Ogni immagine era riuscita in qualche modo a catturare un momento in cui sembrava felice. Persino beato. Se Alex non avesse vissuto quei momenti in prima persona, avrebbe creduto davvero che la persona in quelle foto fosse pienamente soddisfatta.
"Vedi? Abbiamo già un sacco di bei ricordi."
Alex era contento che Marco non potesse vederlo tremare attraverso lo schermo. "Devi cancellare tutto."
"Ma sono i nostri ricordi, cucciolo."
"Vuoi ricattarmi? Che cosa vuoi?" Dopo aver inviato il messaggio si sentì un po’ stupido. Non era che avesse qualcosa per cui valesse la pena essere ricattati.
"Voglio te." Rispose semplicemente Marco.
“???”
"Forse non mi credi, adesso, ma non ho mentito quando ho detto che sei come un sogno diventato realtà.”
“Mi piaci.” Aggiunse dopo qualche secondo.
Mi piaci. Mi piaci. Mi piaci. Alex non riusciva a smettere di rileggere il messaggio, ma non osava crederci. Non sarebbe mai potuto piacere a un ragazzo come Marco. E comunque drogarlo per costringerlo a fare sesso non era una bella dimostrazione di affetto.
“Non fraintendermi…” Scrisse Marco quando non ricevette risposta. “Ti ricatterò volentieri per averti, se necessario, ma preferirei di gran lunga che fossimo entrambi d’accordo. So che non hai odiato del tutto quello che è successo ieri sera."
Alex si arrabbiò.
"Davvero? Mi hai drogato così tanto che non riuscivo a ricordare nemmeno il mio nome e adesso vuoi convincermi che ero complice?”
“Non sono così stupido.”
“Non voglio più avere niente a che fare con te.”
Dopo quella sfilza di messaggi, Alex lanciò il telefono da parte sul letto e affondò la testa nel cuscino, gridandoci dentro.
Erano solo le droghe. Doveva essere così. Non c'era altro modo per spiegare quanto gli fossero piaciute alcune delle cose che erano successe. Perché sicuramente non era stato bello. Non avrebbe potuto. Non dovrebbe.
Contro il buon senso, riprese il telefono alla serie di suoni di notifica. Ovviamente ancora tutti messaggi da Marco.
"Beh, è un peccato, perché non era una richiesta.”
“Se collabori cercherò di non sconvolgere troppo la tua vita.”
“Ma se continui a fare resistenza, dovrò spezzarti finché potrai mangiare solo dalla mia mano, quando ti darò il permesso di farlo..."
Marco lasciò il messaggio in sospeso per un minuto prima di continuare.
"Non voglio farlo. Sarei molto più felice se fossimo insieme in questa cosa. Ma come ho detto, cucciolo, tu mi fai fare cose terribili."
Le lacrime rigarono gli occhi di Alex. "Ti odio." Scrisse d’impulso.
"No, non mi odi. Forse odi il fatto che ho ragione. Perché ancora non sai nemmeno tu cosa vuoi davvero."
Aveva ragione, ma Alex non glielo avrebbe mai detto.
"Mentre ci pensi.” Scrisse Marco con una faccina sorridente di contorno. “Potresti fare una doccia per schiarirti le idee, e magari approfittarne per svuotare il tuo bel buchetto da tutto lo sperma e dal piscio che ci ho sigillato dentro.”
Irrigidendosi, Alex si tastò intorno al sedere per la prima volta, trovando un pezzo di plastica duro. Aveva pensato che il malessere generale fosse solo una conseguenza degli abusi del giorno prima; invece, aveva una specie di tappo dentro di sé. E se Marco avesse detto la verità, sarebbe stato ancora pieno... Maledetto. Cazzo. Maledetto. Si rifiutò di riconoscere la leggera contrazione del suo cazzo a quella realizzazione.
"Oh, quasi dimenticavo. Nel frullato c’era solo un po’ di liquore alla fragola."
Alex riuscì a malapena a digitare il messaggio talmente le sue mani tremavano forte. “Cosa intendi?"
"L’idea era farti sciogliere un po’, per conoscerci meglio, ma poi sei andato nel panico e non sono riuscito a resistere alla tentazione."
La mente di Alex tornò a quel momento in cucina. Il frullato aveva un sapore strano, ma era buono e l’aveva mandato giù in fretta. Poi quella sensazione di caldo lo aveva invaso e si era un po’ spaventato, ma doveva essere per via della droga. Dopo non era più riuscito a muoversi e non poteva opporsi a quello che stava succedendo. Giusto?
Un’altra notifica lo fece sobbalzare. «Allora siamo d’accordo, adesso ti lascio riposare e prenderti cura dell'erezione che hai pensando a me. Ci vediamo a casa più tardi.” Marco lo salutò con una faccina dagli occhi a cuore.
Alex bloccò lo schermo del telefono senza rispondere e rimase a fissare il soffitto, cercando di elaborare tutto. Ci rinunciò dopo pochi minuti e invece diede al tappo di plastica incastrato nel suo buco dolorante un piccolo strattone sperimentale. Era bloccato saldamente. Quindi era più grande di quello che sembrava. Maledetto. Maledetto. Maledetto.
Si diresse verso il bagno, chiudendosi dentro anche se non c’era nessuno in casa. Per qualche minuto rimase a fissare il suo riflesso nel grande specchio sopra il lavandino. Il collo, il petto e il suo culo erano un pasticcio di piccoli ematomi più o meno scuri. Aveva i capelli scompigliati e le sue labbra erano gonfie. Non voleva nemmeno sapere che aspetto avesse il suo buco posteriore.
Entrò nella doccia e aprì l’acqua calda al massimo, mettendosi subito al lavoro per togliere il tappo, impaziente. Giustificò il fatto di masturbarsi mentre lo faceva, ripetendo a sé stesso che sarebbe stato più semplice toglierlo se fosse riuscito a rilassarsi. Alla fine, venne due volte, una volta mentre tirava fuori il mostro grande quasi come il suo pugno, e di nuovo mentre esplorava sé stesso con le dita. Solo per assicurarsi di essere davvero pulito. E mentre si abbracciava le gambe, accovacciato sotto l’acqua calda senza più energie, non poté fare a meno di chiedersi quante altre volte sarebbe finito così. E quanto sarebbe stato bello se Marco fosse stato nella doccia insieme a lui…
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La cosa interessante del discorso di fine anno di Mattarella è la madonna di Raffaello che si vede dietro....nuovo anno, stesso me...
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