#Cattedra delle donne
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pier-carlo-universe · 20 days ago
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Intervista a Maria Pellino: scrivere è l’eco di un mistero che vibra tra il nulla e il tutto. Di Pier Carlo Lava - Alessandria today
Maria Pellino è una delle voci più intense e poliedriche del panorama letterario contemporaneo. Poetessa, narratrice, aforista, saggista, finalista e vincitrice di premi letterari nazionali e internazionali, è anche una preziosa collaboratrice della redazione di Alessandria Today. In questa intervista, ci apre le porte del suo universo creativo. Quando le chiedo quando ha capito che la scrittura…
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telefonamitra20anni · 2 years ago
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Disperato erotico stomp!
Disperato. capitolo 1.
Per Marcello, la disperazione è un sentimento da evitare, l'emotività che ne consegue, è alienante al punto tale da farlo sentire fisicamente male. Quando ci si è trovato di fronte, si è lasciato colpire. Succede, di non essere pronti. Succede, di non saper recitare la parte del cavaliere indomito e coraggioso. È successo anche a lui, di fronte all'amore. Si lasciava legare, e si accertava che il nodo fosse ben stretto ma, quando quel nodo veniva sciolto, violentemente slegato non per suo volere, era immediato smarrimento. Vuoto attorno.
" Ho sentito sofferenza. In quale altro modo si sente la passione?"
Si interrogava, su come chi amava avrebbe potuto vivere senza la sua protezione, come l'occhio di qualcun'atro avrebbe potuto essere così attento, se non fosse stato il suo.
"Lungamente Eros mi ha guardato coi suoi occhi lunghi, in me è solitudine e io nel mio letto resto sola...". "Saffo".
Appunto.
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Erotico. capitolo 2
L'eros, il motore. Marcello di passioni si nutriva, chi non lo farebbe?! A lui, di "eros" gliene hanno attribuito molto. Il connubio visivo di un gesto da seduttore navigato, le "conquiste", e di nuovo, le etichette da sconfiggere fanno la somma. Suo malgrado, erotico, lo era innatamente, a suo modo. Senza esserlo in modo disturbante, tanto da "star simpatico" anche agli uomini, mentre le loro donne sognavano. Eroticamente innocente, quasi in modo "femminile", da rasentare una certa delicata e non sfacciata "ambiguità". Nonostante la stereotipia, la giacca scura, le spalle larghe, la camminata sicura, lo sguardo seduttivo indossato apposta per l'occasione, era delicato. Erotico, per lui, era tutto ciò che precedeva l'atto, il momento. Erotica era l'intelligenza della sua donna.
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Stomp. Capitolo 3.
"Smick, Smack, smick Smack", lo vedi giocare mentre si parla di sesso. In ogni film che toccava l'argomento, l'ironia era la chiave vincente. L'apoteosi dell'ironia si fa sequenza in " Città delle donne" di Federico Fellini, il vecchio Snáporaz, si ritrova nel tempio di "Sante Cazzonius", dove si fa strada tra un cimitero di orgasmi e donne di tutti i tipi. Marcello asseconda il percorso, si intimidisce, ma curioso alimenta il suo voyeurismo sull'argomento. Quasi, non fosse altro, che una parabola della sua vita privata. In molti si sono messi in cattedra per approfondire la materia e a domanda, rispondeva sempre geniale con ironia, e Fellini, suo complice se ne veicolava. In realtà lo facevano entrambi. Sgulp! E il curiosone era additato, tutti i riflettori erano sulla sua malizia.
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alephsblog · 23 days ago
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Il mandamento friulano del Partito Democratico si è premurato di spiegare che una propria militante, Ilaria Celledoni, non rappresenta il partito quando denuncia che è di Hamas, non di altri, la responsabilità della morte dei bambini palestinesi nella guerra di Gaza.
“Le dichiarazioni di Ilaria Celledoni in merito ai tragici fatti di Gaza”, dice il comunicato della segreteria friulana, “non rappresentano in alcun modo la posizione del Partito Democratico e della nostra comunità regionale”.
Ovviamente la fogna social va in agitazione, si mobilita, si aduna nell’istigazione affinché la segretaria del Partito, Elly Schlein, allontani quella militante sconsiderata. Partecipano proprio tutti eh. Dal comune sgherro antisemita all’accademico senese – avete presente? Quel Tommaso Montanari, che ha la cattedra a La7 – tutti istigano la segretaria Elly Schlein a cacciare la militante che sfregia il buon nome dei resistenti palestinesi, cui oltraggiosamente si addebita la colpa di quanto succede nella Striscia dal 7 ottobre a questa parte.
È un caso provinciale quanto esemplare. La stecca nel coro è una militante che non partecipa al sostanziale collaborazionismo pro Hamas del Partito Democratico, il quale da un anno e mezzo e senza sosta ripete in alta fedeltà i testi delle veline da tunnel, dal genocidio alla pulizia etnica, dalla carestia al novanta per cento di civili uccisi, di cui il centodieci per cento donne e il duecentoventi per cento bambini.
E il coro è appunto questo, lo sfogo liberatorio del corpaccione del PD che non dice una parola quando i nazisti di Gaza restituiscono in altrettante bare due bambini ebrei deportati e strangolati, e invece reclama l’espulsione di una militante che osa addebitare ai nazisti di Gaza ciò che i nazisti di Gaza perfino rivendicano, e cioè di usare i propri bambini come attrezzi, come carne da martirio.
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frualeirazzifrua-blog · 4 months ago
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Di sposarsi, Maria Gaetana non ne volle mai sapere.
Terza dei 21 figli di Pietro Agnesi, patrizio milanese arricchitosi con l’industria della seta, rimase presto orfana della mamma Anna Brivio, sfinita da otto gravidanze ravvicinate.
Pochi anni più tardi, a seguirla nella tomba fu la seconda moglie del padre, spirata dopo il secondo parto.
Soltanto la terza consorte riuscì a sopravvivere al marito, seppure sfiancata dalla titanica impresa di aver messo al mondo 11 pargoli in 12 anni di matrimonio.
Ovvio che lei, a prendere marito, non ci pensò nemmeno anche perché fin da bambina il più grande desiderio di Maria Gaetana fu di consacrarsi a Dio, diventando monaca.
Se non lo fece, fu soltanto per ubbidire al babbo che di lei proprio non voleva privarsi al costo di concederle, una volta diventata ragazza, di poter “vestire semplice e decoroso, recarsi ad ogni suo arbitrio in Chiesa e totalmente lasciare i balli, i teatri e i profani divertimenti”.
Dopo tutto, ciò che maggiormente premeva a Maria Gaetana, nata a Milano il 16 maggio del 1718, oltre alla preghiera, erano gli studi, in particolare di matematica e fisica.
Intelligentissima, già a 9 anni traduceva il latino a vista e a 12, di fronte all’uditorio composto dai numerosi invitati alle “dotte adunanze” organizzate dal padre nel salotto di casa, recitava versi e orazioni in greco, francese, spagnolo, tedesco e persino ebraico.
Ventenne, sostenne davanti a un nutrito numero di professori le 191 tesi pubblicate nelle sue “Propositiones Philosophicae”, raccogliendo plauso unanime tanto che la sua fama ben presto valicò le Alpi giungendo sia nella Francia dei “Lumi”, che nell’Austria dell’Imperatrice Maria Teresa d’Asburgo cui Maria Gaetana nel 1748 dedicò le sue “Instituzioni Analitiche ad Uso della Gioventù Italiana”, ricevendone in cambio un anello di diamanti.
Si trattava del primo vero e proprio manuale di algebra, geometria e calcoli differenziali mai scritto in Europa “ad usum studentium”, un’opera colossale in due volumi per un totale di oltre mille pagine subito tradotta in francese e inglese, nota anche perché per la prima volta vi si descriveva una curva particolare, poi denominata “la versiera di Agnesi”.
Il successo fu immediato e clamoroso, tanto che l’eco di Maria Gaetana giunse anche a Roma, dove Papa Benedetto XIV da buon bolognese aveva già preso sotto la sua ala protettrice la concittadina Laura Bassi, prima docente donna dell’Università di Bologna.
Papa Lambertini nel 1750 avrebbe voluto insignirla della seconda cattedra ���al femminile” dell’Ateneo bolognese, quella di matematica, ma si sentì opporre un garbato rifiuto dall’interessata che, dopo la morte del padre, decise di vendere tutti i suoi averi e farsi povera fra i poveri per soccorrere indigenti e bisognosi sull’esempio della sorella Paola, fondatrice del milanese “Ospedale Fatebenesorelle”.
Diventata suora laica, pur continuando a dispensare pareri ai matematici e fisici che la consultavano da tutta Europa, nel 1771 Maria Gaetana fu nominata dal Cardinale Pozzobonelli, Arcivescovo di Milano, “visitatrice” delle ospiti donne del neo istituito “Pio Albergo Trivulzio”, di cui nel 1783 avrebbe assunto la direzione per mantenerla sino alla morte.
Quando spirò il 9 gennaio del 1799, lo storico monzese Antonio Francesco Frisi le dedicò un “Elogio” sul cui frontespizio campeggiava la seguente frase latina, tratta dal “De Agricola” di Tacito: “Dissimulatione famae famam auxit”, che significa “Dissimulando la sua fama, l’accrebbe”.
Senza dubbio il miglior epitaffio per una Donna meritevole di ben altri riconoscimenti, che l’intitolazione di qualche strada di periferia.
Accompagna questo scritto un’effigie postuma di Maria Gaetana Agnesi.
(Testo di Anselmo Pagani. Riproduzione consentita se indicante il nome dell’autore).
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carmenvicinanza · 4 months ago
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Cecilia Payne
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Cecilia Payne è l’astrofisica che ha scoperto di cosa sono fatte le stelle e il sole.
Contraddicendo le teorie dell’epoca, per prima ha teorizzato che fossero composte essenzialmente di idrogeno e elio.
Ogni studio sulle stelle variabili si basa sul suo lavoro.
È stata la prima donna a ottenere un dottorato in astronomia a Harvard e la prima a capo del dipartimento di astronomia, nel 1956, superando ostracismo, discriminazione e dopo che l’astronomo Henry Russell si era preso i meriti della sua scoperta sulla composizione del sole.
Cecilia Helena Payne nacque il 10 maggio 1900, a Wendover, in Inghilterra, dalla pittrice di origine prussiana, Emma Leonora Pertz e Edward John Payne, avvocato inglese, morto quando lei aveva quattro anni.
Cresciuta dalla madre, che riteneva uno spreco di soldi che una donna studiasse, si era diplomata e aveva frequentato la facoltà di astronomia aCambridge, ottenendo solo il certificato, nel 1923, le donne non potevano conseguire la laurea.
Vedendosi negata qualsiasi prospettiva di carriera in Inghilterra, aveva deciso di andare a Harvard, che offriva borse per ricercatrici.
Nel 1925 ottenne il dottorato con quella che è stata poi definita la più brillante tesi mai scritta in astronomia dal titolo “Stellar Atmospheres, A Contribution to the Observational Study of High Temperature in the Reversing Layers of Stars”.
La tesi indicava la stretta correlazione tra la classe spettrale delle stelle e la loro temperatura e come l’idrogeno fosse di gran lunga il maggior costituente del Sole, circa il 90%.
Il celebre astronomo Henry Russell, a cui si era rivolta già un anno prima per una consulenza, basandosi su conoscenze errate, le aveva sconsigliato di pubblicare il suo studio sulla composizione del Sole, ritenendo, insieme alla comunità scientifica che fosse il ferro. E, dopo pochi anni se ne prese il merito.
Nel 1930 Cecilia Payne ha editato la sua seconda pubblicazione Stars of High Luminosity, che segnava il suo interesse per le nova e le stelle variabili.
Harlow Shapley, il direttore dell’osservatorio di Harvard, cercò di ottenere per lei il titolo di professoressa, ma l’allora presidente dell’università, Abbott Lawrence Lowell, glielo aveva negato, perché era una donna.
Nel giugno 1956 ebbe finalmente la cattedra di astronomia, la notizia, per la sua eccezionalità, venne riportata anche dal New York Times. Pochi mesi dopo divenne presidente del dipartimento.
Ritiratasi dall’insegnamento attivo nel 1966, venne nominata professoressa emerita.
Si è spenta a Cambridge, il 7 dicembre 1979.
Per ricordarla è stata affissa una targa commemorativa sul muro dell’Università e niente di più.
La donna che ha scoperto di cosa è fatto l’universo è ancora praticamente sconosciuta alla maggior parte delle persone e non viene mai accennata nei libri di scuola.
Ogni studente delle scuole superiori sa che Isaac Newton ha scoperto la gravità, che Charles Darwin ha spiegato l’evoluzione e che Albert Einstein ha scoperto la relatività del tempo. Ma quando si parla della composizione dell’universo, i libri di testo si limitano a dire che l’atomo più abbondante nell’universo è l’idrogeno senza nemmeno accennare che a scoprirlo è stata Cecilia Payne.
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elmas-66 · 6 months ago
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Antologia poetica Sopravvissute curata da Angela Kosta
Foto cortesia della copertina dell’Antologia ” Sopravvissute” È andato in stampa il libro SOPRAVVISSUTE con il Patrocinio di: ONU – Cattedra delle Donne – Wikipoesia – Wikipace – Accademia Tiberina.Il devolvere andrà a Co.Tu.Le Vi. l’Organizzazione per la Difesa Contro Tutte le Violenze inclusa anche quella sulle Donne. Ringrazio di cuore tutti i partecipanti che hanno contribuito a questo…
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francyfan-bukowsky · 1 year ago
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la nostra insegnante d’inglese alle medie
Mrs Gredis, non sedeva dietro
la cattedra, lasciava libero
il primo banco e ci montava sopra
con le gambe ben accavallate e
noi fissavamo quelle lunghe gambe
di velluto, quei fianchi magici,
quella tiepida carne scintillante
mentre lei dava di anca
e riaccavallava le gambe
con quelle scarpe nere tacco a spillo
e parlava di Hawthorne
e di Melville e di Poe e di quegli altri.
noi ragazzi non sentivamo una parola
ma inglese era la nostra materia
preferita e di Mrs Gredis non
dicemmo mai male, di lei non
parlavamo nemmeno tra noi,
ci bastava star lì seduti a guardarla
e sapere che le nostre madri
non erano così e che le compagne
di classe non erano così
e che persino le donne di strada
non erano così.
nessuna era come Mrs Gredis
e lo sapeva pure Mrs Gredis,
là seduta sul primo banco,
appollaiata di fronte a 20 maschi
quattordicenni che mai l’avrebbero
dimenticata
attraverso le guerre e gli anni,
mai una così
che parlando ci studiava,
osservava noi incantati da lei,
c’era riso nei suoi occhi,
sorrideva,
accavallava e riaccavallava le gambe
ancora e di nuovo
la gonna saliva, spostandosi
delicatamente sempre più su
mentre parlava di Hawthorne
e di Poe e di Melville e d’altro
finché suonava la campana
che concludeva la lezione,
l’ora più rapida della nostra giornata.
grazie Mrs Gredis
per la più meravigliosa
delle lezioni,
con lei la scuola
era più che
facile,
grazie Mrs Gredis,
grazie.
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Charles Buk🖤wski ...
(Da quando eravamo giovani)
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personal-reporter · 1 year ago
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Diversity Management: Fòrema forma i manager per l'inclusività in Azienda
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Al via il progetto “Siadom”, finanziato dalla Regione Veneto per sviluppare nuovi modelli di integrazione per le donne. Il prossimo 25 ottobre l’evento di lancio con Marta Telatin, formatrice cieca che spiega l’inclusione bendando i partecipanti. Coinvolti 150 tra hr e imprenditori; 44 i partner coinvolti. La Regione Veneto ha finanziato alcune azioni di sistema per garantire il miglioramento della qualità di vita e di lavoro in azienda. Un'iniziativa politica dedicata a modelli comportamentali e produttivi che ha come obiettivo ultimo la parità di opportunità. La cornice legislativa è quella della direttiva ridenominata “Pari” (Progetti e azioni di rete innovativi per la parità e l’equilibrio di genere, ndr). Nel Padovano, Fòrema sta operando all’interno di “Pari” con il progetto “Siadom” (Social Innovation alliance for diversity management and innovation of organizational models, ndr), progetto che si è posto come obiettivo quello di rompere il soffitto di cristallo contro il quale oggi si fermano le aspettative delle donne. Per realizzarlo, sono stati coinvolti 44 partner tra organismi pubblici e privati, da citare tra gli altri la collaborazione delle Università di Padova e l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Il prossimo 25 ottobre “Pari” decollerà a Padova con un evento, che vedrà protagonisti quattro enti impegnati ad abbattere altrettante barriere dentro le aziende. Sono previsti quattro focus tematici: leadership femminile e percorsi di carriera (curato da Irecoop Veneto); diversity e modelli organizzativi (curato da Fòrema, che presenterà il suo “Siadom”); divario retributivo e di genere (di Ascom Padova); imprenditorialità femminile (di Cescot Padova). L’evento è previsto dalle 9 di mattina alle 18 presso il centro congressi di Villa Ottoboni, a Padova, in via Padre Ramini; nel tardo pomeriggio è programmato anche un evento di formazione tramite una esperienza teatrale. L’evento fa parte anche della rassegna del Digitalmeet 2023, uno dei più grandi festival italiani su alfabetizzazione digitale per cittadini e imprese. Gli stakeholder presenti potranno vivere un'esperienza unica nel suo genere. In cattedra salirà infatti Marta Telatin, padovana che ha perso la vista durante l’adolescenza per una malattia genetica e che da allora lavora nell’ambito della formazione e della scrittura. I presenti saranno tutti bendati e nella totale oscurità saranno chiamati a fare dei giochi di ruolo e ad interagire, senza poter usare lo sguardo. Una metafora della vita in azienda: le relazioni devono essere basate su obiettivi e competenze, il lavoro va giudicato (e pagato) non in base all’apparenza del lavoratore ma bensì in base alle sue reali capacità. “Gli obiettivi del progetto sono molteplici”, spiega Matteo Sinigaglia, direttore generale di Fòrema. “Lotta agli stereotipi e alla discriminazione basata sul genere, attraverso la promozione di interventi che possano favorire la diffusione di un diverso approccio culturale alla parità di genere. Ma anche partecipazione equilibrata al mercato del lavoro, attraverso la realizzazione di azioni per un maggior equilibrio tra vita professionale e vita privata, una redistribuzione dei carichi nei compiti di cura familiare e una migliore qualità di vita delle persone. Senza dimenticare l’implementazione di azioni volte a una maggiore autodeterminazione delle donne e all’incremento della partecipazione femminile al mercato del lavoro in tutte le sue forme, compresa l’imprenditorialità”. Concretamente, Fòrema per il progetto “Siadom” ha formato un team di lavoro che, dopo la presentazione ufficiale del 25 ottobre, creerà appuntamenti, incontri, network, scambio di informazioni, ma anche materiali didattici e work shop per un anno intero, sempre nell’ottica di favorire il diversity management nelle aziende. L’obiettivo è coinvolgere almeno 150 stakeholder, tra di loro hr, direttori del personale e imprenditori. Saranno promosse opportunità di certificazione di genere e di family audit, l’adozione di piani di diversity management, piani di welfare, bilanci di genere. Ma saranno anche facilitati lo scambio di buone pratiche riguardanti il diversity management e nuovi modelli organizzativi basati su forme di flessibilità che non causino danni ai percorsi di carriera e alla situazione economica delle donne. Read the full article
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ma-pi-ma · 4 years ago
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Simon Levis Sullivan, professore di Storia contemporanea all'Università Ca' Foscari di Venezia, capovolge a testa in giù i libro della Meloni e fotografa la sua prode impresa.
In questa Storia c'è tutta la sinistra italiana. O meglio, ciò che ne rimane.
L'intollerante e soffocante egemonia culturale con cui questa gentaglia controlla il mondo della scuola e dell'università, indottrinando gli studenti come in una sede di partito.
L'arroganza di definirsi "i buoni" e poter quindi agire impunemente, senza dover rispondere delle proprie azioni, nel totale disprezzo delle posizioni altrui e della libertà di espressione.
L'ipocrisia delle orde femministe, sempre pronte a strillare come ossesse quando ad essere anche solo sfiorate sono le donne di sinistra, ma silenti di fronte agli attacchi contro le donne di destra.
L'abissale disonestà intellettuale dei replicanti che usano le parole "odio" e "intolleranza" per imporre la propria squallida idea di mondo, a costo di demonizzare e cancellare tutto il resto.
Ora immaginate che questo modo di agire e di pensare salga in cattedra e spieghi la Storia a dei giovani studenti. Quale pensiero potrà mai veicolare? Quale mentalità potrà mai plasmare?
A voi le conclusioni.
Matteo Brandi
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corallorosso · 4 years ago
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Parli di aborto e subito spunta fuori il maschio a spiegare alle donne cosa possono o devono fare del loro corpo. Racconti della scelta coraggiosa delle ginnaste tedesche di bandire il body inguinale per una più comoda tuta ed ecco orde di uomini insorgere perché “è sempre andata così”, “nessuna si è mai lamentata” e, comunque, “i veri problemi sono altri”. Scrivi di donne che, sfidando tabù e con sacrifici immani, riescono a conciliare maternità e carriera, e immediatamente si mettono in cattedra a insegnar loro che “le donne hanno una predisposizione naturale per l’accudimento”. Cari uomini (compreso il sottoscritto), guardate che non è obbligatorio dire la propria su body che non avete mai indossato, assorbenti che non avete mai dovuto mettere, scelte che non avete mai dovuto compiere e sacrifici che nessuno vi ha mai chiesto di fare. E, se lo fate - se vi interessa davvero farlo, com’è giusto che sia in una società paritaria - fatelo, facciamolo, in punta di piedi, con rispetto. Ci sono solo tre cose che potete e possiamo fare quando si parla della vita, delle scelte e dei diritti delle donne. Ascoltare. Imparare. Sostenere. Non necessariamente in quest’ordine. Ce la possiamo fare anche noi. Grazie. Lorenzo Tosa
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pier-carlo-universe · 6 months ago
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Sopravvissute: un’opera di Angela Kosta dedicata a tutte le donne del mondo. Recensione di Alessandria today
Un progetto corale per raccontare storie di forza, resilienza e rinascita
Un progetto corale per raccontare storie di forza, resilienza e rinascita “Sopravvissute: A tutte le donne del mondo” è il nuovo libro di Angela Kosta, un’opera che raccoglie una serie di testimonianze e riflessioni sul tema della violenza di genere. Questo progetto nasce con l’obiettivo di dare voce a tutte quelle donne che hanno affrontato e superato momenti di dolore e oppressione, offrendo…
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francesca-fra-70 · 5 years ago
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Fermatevi un attimo per guardare questi volti. Un nonno e la sua nipotina. Provate a ricostruire un giorno di 22 anni fa. Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria, contava qualche migliaio di abitanti. Negli ultimi anni sulle strade correva il sangue di tanti innocenti e in pochi si domandavano perché: era così e basta. Quell'8 maggio 1998 era un venerdì, il sole stava tramontando e la piazza era animata di persone. Un giorno apparentemente normale, fino a quando quella serenità venne spezzata da alcuni spari. All'interno di una macelleria, gli affiliati delle cosche avevano assassinato due persone. Fuori c'era il fuggi fuggi e sulla piazza calò il silenzio. I killer stavano per andare via quando da un vicolo videro avanzare una fiat Croma. All'interno c'era la famiglia Biccheri, ancora ignara di quanto era appena accaduto: Giuseppe, 54 anni, la moglie Annunziata, la figlia Francesca, di 31 anni, e i nipotini Mariangela e Giuseppe. Il signor Giuseppe era un cassintegrato, una persona perbene come i suoi famigliari. La figlia Francesca aveva passato tutto il pomeriggio a scuola con i suoi due figli: Giuseppe, di sette anni, che si chiamava come il nonno e Mariangela, che di anni invece ne aveva nove, ed era felice perché le sue maestre l'avevano riempita di complimenti. Come premio per i suoi ottimi voti, sua madre le aveva promesso un gelato in compagnia dei nonni. Sorridevano, all'interno di quella fiat Croma grigia, e si raccontavano le loro giornate. Giunti nei pressi della macelleria, però, una scarica di proiettili tornò a seminare il terrore. Stavolta i bersagli erano loro. I sicari scambiarono l'auto dei Biccheri con quella del padre del macellaio ucciso poco prima e fecero fuoco all'impazzata. Quella piazza nel giro di pochi minuti si trasformò in una carneficina. Nonno Giuseppe e la nipotina Mariangela morirono sul colpo, gli altri furono ridotti in fin di vita. Il sole nel frattempo era tramontato, erano da poco passate le 20.00 e la gente era tornata in strada. C'era chi, tra le lacrime, cercava di capire se tra i morti c'erano amici o parenti. In mezzo alla folla, un ragazzo di vent'anni prese in braccio Mariangela e la portò in ospedale. Una corsa contro il tempo ma era già troppo tardi. "Me lo son visto davanti col corpicino coi vestiti imbrattati di sangue tra le braccia. Sembrava una scena della peste del Manzoni. Gli ho dovuto dire che non c'era nulla da fare e ho fatto poggiare la bimba in una stanza", raccontò il dottore. Sembra quasi di vederle le lacrime di quel ragazzo. Impotente, di fronte a quel piccolo corpo devastato, in una stanza vuota e buia, circondata da fiori e lumini. All'arrivo dei carabinieri la piazza si era nuovamente svuotata. Le case sembravano vuote. Nessun testimone, almeno così riportavano i giornali. Solo la rabbia per la morte di una bimba e di suo nonno che non avevano fatto male a nessuno. Poi di nuovo un angosciante silenzio. E quella fiat Croma, con la carrozzeria metallizzata piena di proiettili. Il piccolo Giuseppe l'indomani avrebbe compiuto otto anni ma non ci fu nessun compleanno, perché era in ospedale, con le ossa frantumate, la pancia bucata, il fegato e il polmone lacerati. Anche nonna Annunziata e mamma Francesca lottavano tra la vita e la morte. In paese la paura aveva fatto posto al dolore: atroce, inspiegabile. Il banco di Mariangela rimase vuoto, sul muro dietro la cattedra un'immagine di Padre Pio. L'aveva portata lei. Il suo ultimo regalo ai compagnetti e alla maestra, prima di essere assassinata come un boss. Senza pietà. "Per errore". Così ragionano i mafiosi: sparano quando lo ritengono opportuno, anche da lontano, quando è impossibile riconoscere il bersaglio. E poi scappano come dei vigliacchi. Vale la pena ribadirlo: non esistono errori quando si parla di questi pezzi di merda. Non uccidono per errore, uccidono e basta. Il modo migliore per raccontare quanto fanno schifo, è ricordare le vittime. Uomini, donne, bambini, ai quali quella montagna di merda che è la mafia, ha strappato sogni e speranze. Come nel caso di Mariangela. Una brava bambina di appena nove anni, con una vita davanti, che quel giorno voleva solo mangiare un gelato...
#mafiamerda #AccaddeOggi  #pernondimenticare #MariangelaAnsalone #GiuseppeBiccheri
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alephsblog · 1 year ago
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“Il primo era il modo legittimo, l’argomento non indiscutibile ma degnissimo, con il quale si chiedeva a Israele di non fare quella guerra agli autori e ai mandanti del Sabato Nero sterminatore perché essi avrebbero usato i corpi di due milioni di uomini, donne e soprattutto bambini come sacchi di sabbia a difesa delle armi e dei tunnel costruiti con i soldi delle tirannie e della cooperazione internazionale. E questo argomento non l’ha adoperato praticamente nessuno. Nessuno ha detto a Israele di non fare la guerra a quelli che vogliono distruggerlo perché quelli che vogliono distruggerlo avrebbero usato quell’esercito di inermi. Nessuno ha detto a Israele che i macellai avrebbero offerto al macello anche i propri figli, innanzitutto i propri figli e che dunque, per quanto fosse giusto e doveroso reagire, Israele avrebbe dovuto farsi carico dell’enorme onere supplementare di salvare dai macellai le famiglie e i figli dei macellai. Nessuno ha chiesto a Israele il sacrificio di sopportare il pericolo effettivo, urgente, micidiale di lasciare in vita e nella possibilità di azione decine di migliaia di stragisti, di sgozzatori, di stupratori con la motivazione che quel sacrificio, un sacrificio che a nessun altro Stato si richiede, un sacrificio che a nessun altro popolo si impone, avrebbe risparmiato la vita di molti innocenti.
Israele avrebbe avuto il diritto di respingere questo richiamo, questo appello probabilmente irrealistico ma, appunto, provvisto di degne motivazioni. E chi avesse fatto quell’appello, e l’avesse visto respinto, del tutto legittimamente avrebbe potuto accusare Israele di una noncuranza inescusabile.
Un altro è invece il modo che si è adoperato per contestare l’inizio delle operazioni militari a Gaza, ed è quest’altro modo che si ripropone da settimane in vista della prosecuzione a Rafah di quelle operazioni. È il modo dei mascalzoni e della stampa che pubblica notizie false. È il modo del giornalismo negazionista che censura ogni verità disagevole mentre spaccia ogni verità inventata, sapendo che è inventata. Si tratta di quelli per cui i civili di Gaza non contano nulla, se non per imputarne la morte allo Stato terrorista. Quelli per cui i morti negli ospedali di Gaza hanno un valore perché i soldati israeliani li hanno uccisi, non perché i terroristi si sono mischiati con loro.
Quelli per cui la scuola distrutta ha un valore perché una bomba israeliana l’ha colpita, non perché i miliziani ne hanno fatto un bunker. Quelli per cui una moschea ridotta in macerie ha un valore perché l’Idf l’ha messa nel mirino, non perché conteneva una rampa di lancio. Quelli per cui gli ostaggi israeliani hanno un valore quando sono tre, uccisi un giorno per errore dagli israeliani, non quando sono centinaia, uccisi, torturati, stuprati per mesi dai rapitori la cui reputazione è difesa dai pacifisti che strappano i volantini con le immagini degli uomini, delle donne e dei bambini portati via dalle belve di Hamas. Quelli per cui i bambini nelle scuole di Gaza hanno un valore perché un tank israeliano li colpisce, non perché sotto la cattedra c’è un sotterraneo pieno di razzi né perché lì dentro imparano la bellezza del martirio ascoltando la lezione dell’insegnante pagato con i soldi dell’Unrwa.”
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paoloxl · 5 years ago
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Angela Yvonne Davis è una figura fondamentale per il movimento femminista nero degli anni Settanta.
Nata il 26 gennaio da una coppia di insegnanti, relativamente benestante (il padre prese in gestione un distributore di benzina), visse i drammi del razzismo del profondo Sud. Abitava in una zona chiamata Dynamite Hill perché spesso, lì, le case dei neri che vi si trasferivano venivano fatte saltare con la dinamite; con la dinamite fu fatta saltare una chiesa dove morirono tre sue amiche.
Laureata con lode in letteratura francese, passò poi agli studi di filosofia e visse a Parigi e Francoforte dove fu allieva di Adorno, per ritornare poi negli Stati Uniti, dove fu allieva di Herbert Marcuse. In California continuò la sua attività di lotta politica aderendo al SNCC, un comitato di coordinamento della lotta non violenta degli studenti, e successivamente al movimento delle Black Panthers. Dopo l’assassinio di Martin Luther King aderì al Partito Comunista. Conseguita la laurea in filosofia, ottenne la cattedra all’Università di Los Angeles, che le venne dapprima revocata in quanto comunista, ma la revoca fu dichiarata incostituzionale e poté continuare ad insegnare. Tuttavia venne espulsa dall’università quando nel 1970 si adoperò in difesa dei Soledad Brothers, tre detenuti neri accusati di aver ucciso una guardia, e anche in seguito alla sua partecipazione al movimento delle Black Panthers, che andava assumendo sempre più carattere di lotta, anche armata.
Successivamente fu accusata di cospirazione, rapimento e omicidio in relazione al fallito tentativo di un gruppo di attivisti delle Black Panthers, di liberare il detenuto nero George Jackson in un’aula di tribunale: la pistola utilizzata era intestata a suo nome, e Jackson era il grande amore della sua vita (non risulta infatti che Angela abbia avuto altri legami importanti e duraturi); fu quindi arrestata e processata.
L’appassionata difesa che condusse personalmente ed efficacemente nel corso del processo, le consentì di diffondere le sue idee in tutto il mondo, diventando così popolare da mobilitare a suo favore un gran numero di persone che si riunirono in comitati e organizzazioni, non solo negli Stati Uniti ma anche in molti altri paesi.
La sua vicenda portò alla ribalta la sua figura di donna che aveva sempre combattuto per i diritti civili e per i diritti delle donne, scontrandosi talvolta anche con altri appartenenti al Movimento. Sin dagli inizi della sua attività infatti, le sue qualità intellettuali e le sue grandi capacità organizzative l’avevano portata ad assumere responsabilità e ruoli direttivi. Angela venne criticata molto pesantemente dai maschi del movimento perché “svolgeva un lavoro da uomo” e si vide contestare perfino il fatto che le donne volevano impadronirsi dell’organizzazione.
La Davis si rese conto di essere venuta così a contatto con un complesso assai diffuso e radicato tra certi attivisti neri che consideravano la mascolinità nera come qualcosa di separato dalla femminilità nera, e l’impegno diretto delle donne una minaccia all’affermazione della loro virilità. Questa mentalità affermatasi soprattutto con l’islamismo di Louis Farrakhan, contribuì certamente a determinare l’uscita della Davis dal Movimento stesso.
Attraverso il suo intenso lavoro, scritti, conferenze, lezioni universitarie e interviste, Angela Davis condusse un’intensa campagna per interpretare e smontare quello che lei indicava come un mito creato dalla cultura e dalla letteratura dei bianchi per dividere la razza nera e ostacolare il movimento di liberazione, il mito della società matriarcale nera. Da qui la necessità per la Davis di combattere il carattere oppressivo del ruolo attribuito alla donna nella società americana in generale.
Angela Davis ha dedicato la sua vita alla soluzione politica dei problemi del razzismo e dei diritti civili, e le sue vicende personali e il rilievo che ebbero in tutto il mondo la portarono ad essere, in quanto donna e afroamericana, un simbolo sia del femminismo che dell’uguaglianza razziale. La Davis aveva fatto capire alle donne che il lavoro fuori casa non solo rappresentava un importante sostegno economico e motivo di indipendenza, ma anche l’importanza di avere una vita all’esterno della famiglia, con l’opportunità di svolgere un lavoro interessante e realizzare le proprie aspirazioni. Angela insieme ad altre figure, quali Shirley Chisholm, prima donna afroamericana eletta al Congresso americano, hanno mostrato alle donne afroamericane la strada e la possibilità di modificare la propria vita.
Attualmente la Davis insegna Storia della Coscienza all’Università della California, dove dirige anche il Women Institute. Non è più iscritta al Partito Comunista statunitense, ma continua a sostenere gli ideali e i principi di sempre, con quel senso critico che l’ha portata a scagliarsi anche contro la degenerazione del movimento afroamericano verso il fondamentalismo islamico, rappresentato da Nation of Islam di Louis Farrakhan, movimento islamista e maschilista, che ha riempito il vuoto lasciato dalla scomparsa delle laiche e progressiste Pantere Nere.
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carmenvicinanza · 10 months ago
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Maaza Mengiste
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In Etiopia le donne hanno sempre combattuto in guerra. Erano presenti ma non hanno parlato della loro esperienza quotidiana. Una donna poteva essere un soldato sul campo di battaglia, ma di ritorno al campo, gli uomini potevano fare di lei quello che volevano. Il suo stesso corpo poteva essere usato come un campo di battaglia. Le donne si vergognavano di parlare di quei momenti, perché hanno sacrificato tutto ed è umiliante, per loro, ammettere che sono state in grado di difendere il territorio, la terra, ma non il proprio corpo.
Maaza Mengiste, scrittrice etiope che vive e insegna negli Stati Uniti.  
Considerata un importante riferimento per una diversa narrazione della storia dell’Etiopia, i suoi libri parlano di immigrazione, colonialismo e rivoluzione vissuta dalla parte delle donne.
Nominata New literary idol dal New York Magazine, ha ricevuto il Literature Award dall’American Academy of Arts and Letters.
Celebrata su importanti riviste come The New York Times, The New Yorker, Granta, Lettre Internationale, Enkare Review, Callaloo, ha contribuito a The Granta Anthology of the African Short Story, il suo podcast New Daughters of Africa è stato trasmesso su BBC Radio 4.
È nata a Addis Abeba, in Etiopia, nel 1971, a causa del colpo di stato, quando aveva tre anni, è stata venne costretta a lasciare il paese con la sua famiglia. Ha vissuto in Nigeria e in Kenya, prima di andare a studiare scrittura creativa all’Università di New York, dove è poi diventata docente al Queens College. 
Ha detenuto la cattedra di scrittura creativa a Princeton e insegna letteratura alla Wesleyan University. È stata anche scrittrice residente della Literaturhaus Zurich e della Fondazione PWG in Svizzera.
Il suo romanzo d’esordio, Lo sguardo del leone, pubblicato in Italia nel 2010, racconta le sofferenze delle vittime della guerra civile dal punto di vista di Hailu, medico che si trova a operare a Addis Abeba nel periodo di terrore seguito dal rovesciamento dell’Imperatore Hailé Selassié.
Il re ombra, del 2019, selezionato fra i migliori libri dell’anno da The New York Times, Npr, Elle e Time, è stato finalista al Booker Prize e vinto il Premio The Bridge per la Narrativa.
Ambientato nel periodo dell’occupazione italiana in Etiopia tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, ha come protagonista Hirut, una giovane orfana in balia di un sistema patriarcale che la vuole schiava e che trova nella resistenza armata una ragione di vivere, mobilitando le donne contro gli oppressori. Una storia in cui si intrecciano vari destini e che mette in luce la violenza e crudeltà degli occupanti italiani in Etiopia e, soprattutto, la sfortunata condizione delle donne.
Impegnata con diverse organizzazioni umanitarie come Young Center for Immigrant Children’s Rights e Words Without Borders, fa parte del comitato consultivo di Warscapes, rivista indipendente che evidenzia i conflitti in tutto il mondo.
Insieme a Edwidge Danticat e Mona Eltahawy, ha redatto una sezione del film documentario del 2013 Girl Rising sull’istruzione delle ragazze nel mondo, con la narrazione di Meryl Streep, Anne Hathaway, Alicia Keys e Cate Blanchett. 
Attiva in dibattiti pubblici e ospitata in tutto il mondo, in marzo 2024 ha tenuto la prima lectio magistralis nella cattedra intitolata a Virginia Woolf presso l’Università per Stranieri di Siena.
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Il naufragio della Costa Concordia, 2012
Il naufragio della Costa Concordia avvenne il 13 gennaio 2012 quando la nave urtò contro il gruppo di scogli noti come le Scole, nei pressi dell'Isola del Giglio, alle ore 21:45:07. La nave, di proprietà della compagnia di navigazione Costa Crociere, era comandata da Francesco Schettino.  La Costa Concordia era salpata dal porto di Civitavecchia in direzione di Savona per l'ultima tappa della crociera «Profumo d'agrumi», quando nelle acque dell'Isola del Giglio, urtando Le Scole, riportò l'apertura di una falla lunga circa 70 metri sul lato di sinistra della carena. L’impatto provocò la brusca interruzione della navigazione, un forte sbandamento e il conseguente incaglio sullo scalino roccioso del basso fondale prospiciente Punta Gabbianara, seguito dalla parziale sommersione della nave. Il naufragio ha causato 32 morti tra i passeggeri e l'equipaggio. 
All'1.46 di sabato mattina il comandante della Concordia Francesco Schettino riceve l'ennesima telefonata dalla Capitaneria di Porto. In linea c'è il comandante Gregorio Maria De Falco:
De Falco: «Sono De Falco da Livorno, parlo con il comandante?  Schettino: «Sì, buonasera comandante De Falco» De Falco: «Mi dica il suo nome per favore» Schettino: «Sono il comandante Schettino, comandante» De Falco: «Schettino? Ascolti Schettino. Ci sono persone intrappolate a bordo. Adesso lei va con la sua scialuppa sotto la prua della nave lato dritto. C'è una biscaggina. Lei sale su quella biscaggina e va a bordo della nave. Va a bordo e mi riporta quante persone ci sono. Le è chiaro? Io sto registrando questa comunicazione comandante Schettino...». Schettino: «Comandante le dico una cosa...» De Falco: «Parli a voce alta. Metta la mano davanti al microfono e parli a voce più alta, chiaro?». Schettino: «In questo momento la nave è inclinata...». De Falco: «Ho capito. Ascolti: c'è gente che sta scendendo dalla biscaggina di prua. Lei quella biscaggina la percorre in senso inverso, sale sulla nave e mi dice quante persone e che cosa hanno a bordo. Chiaro? Mi dice se ci sono bambini, donne o persone bisognose di assistenza. E mi dice il numero di ciascuna di queste categorie. E' chiaro? Guardi Schettino che lei si è salvato forse dal mare ma io la porto... veramente molto male... le faccio passare un'anima di guai. Vada a bordo, cazzo!» Schettino: «Comandante, per cortesia...» De Falco: «No, per cortesia... lei adesso prende e va a bordo. Mi assicuri che sta andando a bordo...». Schettino: «Io sto andando qua con la lancia dei soccorsi, sono qua, non sto andando da nessuna parte, sono qua...» De Falco: «Che sta facendo comandante?» Schettino: «Sto qua per coordinare i soccorsi...» De Falco: «Che sta coordinando lì? Vada a bordo. Coordini i soccorsi da bordo. Lei si rifiuta?  Schettino: «No no non mi sto rifiutando». De Falco: «Lei si sta rifiutando di andare a bordo comandante?? Mi dica il motivo per cui non ci va?»  Schettino: «Non ci sto andando perché ci sta l'altra lancia che si è fermata...». De Falco: «Lei vada a bordo, è un ordine. Lei non deve fare altre valutazioni. Lei ha dichiarato l'abbandono nave, adesso comando io. Lei vada a bordo! E' chiaro? Non mi sente? Vada, mi chiami direttamente da bordo. Ci sta il mio aerosoccorritore lì». Schettino: «Dove sta il suo soccorritore?» De Falco: «Il mio soccorritore sta a prua. Avanti. Ci sono già dei cadaveri Schettino».  Schettino: «Quanti cadaveri ci sono?»  De Falco: «Non lo so.. Uno lo so. Uno l'ho sentito. Me lo deve dire lei quanti ce ne sono, Cristo».  Schettino: «Ma si rende conto che è buio e qui non vediamo nulla ...��. De Falco: «E che vuole tornare a casa Schettino? E' buio e vuole tornare a casa? Salga sulla prua della nave tramite la biscaggina e mi dica cosa si può fare, quante persone ci sono e che bisogno hanno. Ora!». Schettino: «(...) Sono assieme al comandante in seconda». De Falco: «Salite tutti e due allora. (...) Lei e il suo secondo salite a bordo, ora. E' chiaro?».  Schettino: «Comandà, io voglio salire a bordo, semplicemente che l'altra scialuppa qua... ci sono gli altri soccorritori, si è fermata e si è istallata lì, adesso ho chiamato altri soccorritori...». De Falco: «Lei è un'ora che mi sta dicendo questo. Adesso va a bordo, va a B-O-R-D-O!. E mi viene subito a dire quante persone ci sono». Schettino: «Va bene comandante» De Falco: «Vada, subito!»
The original Italian – “Vado a bordo, cazzo” – has even been printed on T-shirts, after millions of Italians listened to the audio recordings of the increasingly frantic entreaties given by Mr De Falco to the captain as the ship ran aground on the island of Giglio on Friday night. The apparently negligent and irresponsible behaviour of Capt Francesco Schettino – who is said to have sailed so close to the island in order to give a ‘salute’ to an old friend and as a favour for a member of his crew - has prompted intense soul-searching in Italy. The top twitter trend in Italy is now #vadaabordocazzo. [The Telegraph]
«Gestione del controllo del panico» per un master in scienze criminologiche organizzato dalla cattedra di psicopatologia forense della facoltà di Medicina a La Sapienza di Roma. È questa la lezione per cui è stato chiamato l’ex capitano della Costa Concordia Francesco Schettino. Sulla vicenda si è mossa anche la procura di Grosseto, che ha incaricato la polizia giudiziaria di acquisire presso l’Università La Sapienza di Roma tutta la documentazione relativa alla lezione. Gli inquirenti cercano degli audio della lezione, con l’obiettivo di verificare se Schettino ha fatto dichiarazioni di interesse per il processo che lo vede imputato per il naufragio. È probabile che venga ascoltato il docente che ha invitato Schettino all’iniziativa. [Il Secolo XIX]
L'11 febbraio 2015 Francesco Schettino è stato condannato a 16 anni di reclusione (dieci per omicidio plurimo colposo e lesioni colpose, cinque per naufragio colposo, uno per abbandono della nave) e un mese di arresto; sia Schettino, sia Costa Crociere sono stati condannati in solido al pagamento di risarcimenti di 1,5 milioni di euro per il Ministero dell'ambiente, un milione per la Presidenza del Consiglio dei ministri, 500.000 euro per i Ministeri della della difesa, delle infrastrutture, dell'interno e per la Protezione civile, 300.000 euro per il Comune del Giglio e numerosi altri risarcimenti ai parenti delle vittime e ai feriti e naufraghi. In precedenza la Costa Crociere aveva già risarcito 2 623 passeggeri e 906 membri dell'equipaggio con 85 milioni di euro. Il 31 maggio 2016 la condanna a 16 anni è stata confermata anche in secondo grado dalla Corte d'appello di Firenze. Schettino è stato anche interdetto per 5 anni da tutte le professioni marittime. Il giudizio penale è confermato in via definitiva dalla Corte di cassazione il 12 maggio 2017. Francesco Schettino si costituisce al carcere romano di Rebibbia immediatamente dopo la sentenza, benché il suo avvocato annunci un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
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