#Casa di Cura
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riesco a trovare così tanta gioia nei piccoli gesti di una vita domestica ponderata; nel vivere pienamente la mia casa, abitandola nella sua interezza, nel celebrare quei rituali quotidiani che rendono la vita semplice, profonda. un piatto preparato con cura e divertimento può essere una pura e inattesa sorgente di pace. l'atto essenziale dell'avere cura è una rivoluzione silente che ha il potere di ricucire tutto ciò che sembrava lacerato.
- da una pagina del mio diario (30 novembre 2024)
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Di questo cane mi piace che sembri un pipistrello e la sua cresta da punkettone.
Così iconico che quasi viene da perdonargli il fatto che sia un pazzo sgravato che letteralmente non smette di abbaiare se non lo coccoli o non lo tieni in braccio
#(comunque non è mio)#(per dover di cronaca)#(ma di un'amica della counquilina che per vari motivi lo ha lasciato qui)#poi non parliamo delle scenate di gelosia da parte della cagnolina della coinqui#che ovviamente mi ama#però ha un bel caratterino pure lei#comunque oggi decisamente troppo lavoro di cura#voglio dire torno da quasi dieci ore di babysitting#(dopo una notte insonne terribile)#e a casa mi aspetta di badare pure a queste bestioline qui
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Daurija Campana, Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato, Guido Miano Editore, Milano 2024. Recensione di Raffaele Piazza
Daurija Campana nasce a Meldola (Forlì) nel 1977; è poetessa. scrittrice e pittrice. Nel 2013 pubblica la raccolta poetica La casa di paglia.
Daurija Campana nasce a Meldola (Forlì) nel 1977; è poetessa. scrittrice e pittrice. Nel 2013 pubblica la raccolta poetica La casa di paglia. Le sue opere pittoriche appaiono in diversi cataloghi e nel 2023 pubblica la silloge poetica Sola tra memoria e dolore, con Guido Miano Editore, La raccolta di poesie della Campana, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta un’esauriente…
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La lavanda è una pianta molto diffusa nel nostro territorio e i suoi fiori sono amati fin dall’antichità. Scopriamo come usare i fiori di lavanda e renderli alleati del nostro benessere.
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È così che ti piaccio
Lo so che impazzisci, quando mi vedi così: perché sono quella porca di tua cognata. E proprio perché non si dovrebbe, perché è assolutamente sconveniente e scorretto, io adoro farti ammattire di passione. Sono perfida e amo sorprenderti, magari mostrandomi a te parzialmente svestita o indossando dentro casa una delle mie divise da lavoro più sexy indossata in maniera provocante.
Sono abiti che uso impropriamente solo quando giochiamo la notte con mio marito e decido di eccitarlo. Ti sculetto davanti mezza nuda e tu diventi scemo. Quando di giorno tua moglie è uscita e mio marito è al lavoro, suoni il campanello e io ti apro. Tu lesto passi la porta d'ingresso; la chiudi e mi vedi tutta apparecchiata e bellissima. Diventi pazzo dalla voglia che hai di scoparmi. Lo capisco, lo vedo, lo percepisco. Allora io ti guardo, maliziosa, con un dito in bocca e inizio a spogliarmi, lentamente. E ridendo. Perché non puoi fottermi. Non te lo consentirò mai.
Ti faccio morire, mostrandoti progressivamente parti di me normalmente nascoste. E tu restando muto, a bocca aperta mi adori. Ti riempi gli occhi di bellezza e la libidine ti occupa interamente il cervello. Il tutto al suono soffuso della radio. Mi piace infine esibirmi davanti a te completamente nuda. Apro le gambe e tu osservi muto e sudato ciò che potrebbe essere un vero paradiso, per te. Apro le natiche e davanti ai tuoi occhi febbricitanti contraggo-rilascio l'ano, solo per farti sudare.
Peccato che dopo un po’ debba rivestirmi rapidamente e buttarti fuori: sono la moglie di tuo fratello e abitiamo in una bifamiliare. Ma confesso che adoro farti morire di passione e portarti al limite: tua moglie non ha un decimo della mia carica erotica e non si cura affatto. Non la desideri. È una donna spenta, trascurata, sciatta e rancorosa. Perciò ogni tanto vieni qui a lucidarti gli occhi, magari anche quando lei c'è, con una scusa qualsiasi. E io te lo lascio fare: tanto che mi costa…
Ci senti la notte quando facciamo l'amore e io faccio apposta a urlare forte di piacere, perché so che mi vorresti. Da morire. E lei si incazza: è invidiosa perché non te la scopi più. Ti struggi di passione per me. Ma non puoi avermi. Ti ammazzi di seghe pensandomi. Un giorno può darsi anche che mi decida, quando quella strega di mia cognata mi farà girare i coglioni più del solito. Vecchia befana, invidiosa e livida. Nel frattempo, tu limitati a sognarmi e a guardarmi nuda quando te lo concedo… A proposito: mi mancano diversi pezzi di intimo. Ne sai nulla, tu?
RDA
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Ho inserito Ernesto nel designato trasportino per andare a consegnarlo presso la casa vacanze dove passerà queste festività. Per strada tutti mi guardavano. Ma che idiozia. Mica guardavano me! Guardavano lui! Quanti cuori ha spezzato in pochi chilometri ma è così che deve andare. Io lo pretendo. Quando Ernesto esce di casa tutto il mondo deve capire quanto è bello e tutti devono sospirare e fermarsi e le macchine perdono il controllo e si tamponano in un incidente dopo l'altro e la gente su i balconi cade e i motorini scivolano e le ragazze gli lanciano i numeri di telefono e cani si piegano al suo cospetto. Così deve andare. Io non voglio neanche essere notato, io sono solo un paio di gambe dotate di spalle su cui caricare un trasportino a zainetto per portare in giro sua maestà Ernesto il gatto rosso bastardo e infame. L'ho lasciato da una mezz'ora e mi manca già tantissimo. È in una casa di amici che si prenderanno cura di lui in attesa di ricevere a loro volta un gatto donato dalla lotteria dei gatti universali. Quella lotteria che dispensa palle di pelo a chi ne ha bisogno. Io capisco solo adesso di cosa avevo bisogno. Di sentirmi a casa. Di sapere dove fosse casa. Casa è dove i miei vestiti si ricoprono di peli aranciobiancastri. Dove devo sottostare alle paturnie di un promettente obeso. Dopo tanto tempo però, ho una casa. Qualcosa che non dipende da altri umani. Per tantissimi anni ho vissuto da solo, sognando di non essere solo. Ora ho accettato la solitudine e mi ci rifugio e non mi spaventa più. Non mi spaventano i miei sogni irrisolti e le mie mancanze e i miei limiti perché tutto perde di valore quando devi pulire più volte al giorno i vomitazzi di un felino ingrato il cui unico riconoscimento che concede è stendersi al tuo fianco quando tutto sembra insostenibile. Per ricordarti che i tuoi problemi non valgono un cazzo. Non vali nulla. Sei minuscolo. L'universo esiste per ricordarci quanto siamo piccoli noi umani. Quando pensi agli altri pianeti, alle stelle. Poi l'universo dispensa gatti e a me ha mandato Ernesto, perché avevo un ego smisurato che andava ridimensionato e ora accetto il mio destino di gambe per trasportino. Quanto mi manca quell'infame. Ma vi rendete conto che poi c'è gente che fa figli, cioè ma dai, ma che priorità avete.
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Ho 82 anni,
4 figli, 11 nipoti, 2 pronipoti e una stanza di 3 x 3 in una casa di riposo dove mi hanno lasciato da sola.
Non ho più la mia casa né le mie cose amate, ma ho qualcuno che sistema la mia stanza, prepara il mio cibo e il mio letto, mi misura la pressione e mi pesa.
Non ho più le risate dei miei nipoti, non li vedo più crescere, abbracciarsi e litigare; alcuni vengono a trovarmi ogni 15 giorni; altri, ogni tre o quattro mesi; altri, mai...
Non faccio più crocchette, né uova ripiene, né polpette, né maglia né uncinetto.
Ho ancora un passatempo: fare Sudoku, che è un po' divertente. Non so quanto tempo mi resta, ma devo abituarmi a questa solitudine; vado alla terapia occupazionale e aiuto chi sta peggio di me per quanto posso, anche se non voglio avvicinarmi troppo.
Scompaiono spesso.
Dicono che la vita si allunga sempre di più.
Perché?
Quando sono sola posso guardare le foto della mia famiglia e alcuni ricordi di casa che ho portato con me.
E questo è tutto.
Spero che le prossime generazioni capiscano che la famiglia si forma per avere un domani (con i figli) e restituire ai nostri genitori il tempo che ci hanno dedicato crescendo noi.
"Prendersi cura di qualcuno che si è già preso cura di noi è il più grande onore."
(dal web😢)
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CONTENZIONE CONTROINTUITIVA
Certe volte tratto alcuni argomenti che mi stanno a cuore in modo prolisso e rivolgendomi ai miei interlocutori come se non sapessero distinguere il lato giusto da quello sbagliato del foglio di cartaigienica.
Non è mancanza di fiducia nelle altrui capacità intellettive ma piuttosto timore di non essere abbastanza chiaro e comprensibile nello sviscerare un qualcosa che conosciamo solo io e il poveraccio che tengo chiuso in cantina affinché ci sia almeno una persona entusiasta di ascoltarmi (sennò non gli do da mangiare).
Quello che andrò a trattare si divide in tre livelli di realtà cognitivo-esperenziale, il primo per i profani della cura sanitario-socio-assistenziale del paziente fragile, il secondo per gli addetti ai lavori e il terzo a un livello che chiameremo stato crepuscolare di coscienza.
I profani pensano in maniera assolutamente incolpevole che la cura di un soggetto fragile sia questa:
e voglio dirvi che sì, è ANCHE questa ma NON SOLO questa.
Ribadisco, in maniera del tutto incolpevole perché sia la società che gli addetti ai lavori farebbero fatica a veicolare il messaggio reale secondo il quale trattandosi di ESSERI UMANI - la quasi totalità delle volte sofferenti per una fragilità organica o per una patologia della psiche - questi possono urlare, bestemmiare, sputare, picchiare, sporcare sé e chi hanno attorno e odiare tutto e tutti con la forza della disperazione.
Queste due realtà - immaginata la prima e vissuta la seconda - implicano una gestione discordante della cura quotidiana che si traduce nel solito scontro servizio di Report su presidio sanitario lager VS parenti cintura nera di mena-dottori-e-infermiere.
E qua arriva una pratica che un professionista del sanitario conosce, accetta e che dà per scontata e che invece il profano non conosce e che aborrisce una volta scoperta la sua esistenza/frequenza di utilizzo.
Questa:
Vi avverto: l'argomento è TRAGICO nella sua esplicazione, nelle sue motivazioni e, soprattutto, nelle sue implicazioni, ragion per cui ci saranno una piccola manciata di voi che sanno PERFETTAMENTE di cosa sto parlando e altri che non possiedono proprio gli strumenti e l'esperienza anche solo per cominciare a capire la fatica di tutto ciò.
Sintetizzando (sempre a disposizione per ampliare l'argomento) l'assistenza del paziente fragile - geriatrico o giovane disabile - da sempre è passata per il metodo coercitivo-contenitivo cioè per l'applicazione di tutta una serie di misure meccaniche e ambientali che limitassero la libertà del soggetto, nel nome di una tutela della sua salute fisica quando messa a repentaglio da atti di aggressività auto o eterodiretta.
Vuoi scappare dalla finestra? -> ti lego al letto
Rischi di cadere? -> ti lego alla carrozzina
Ti mordi le dita o tiri pugni? -> ti lego le mani
Se vi sembra assurdo vuol dire che non siete mai entrati in una casa di riposo, in una RSA o in una residenza psichiatrica. Punto.
La tragicità sta tutta in un'altra discordanza, molto italiana: nel 2025 stiamo curando pazienti gravi sanitari e gravi disturbanti con tabelle di rimborso ASL risalenti al 1995... alla metà degli anni '90, infatti, chi usufruiva dei servizi di assistenza alla terza età e alla disabilità pisco-fisica erano pazienti senza supporto della rete familiare ma fondamentalmente quasi autosufficienti, mentre gli altri erano accuditi a casa dalla donna casalinga e, in seguito, dalle badanti.
Oggi non c'è nessuno a casa perché tutti lavorano fino a novantasettemila anni d'età, le badanti servono a ritardare il problema (ingigantendolo poi) e ad acquietare i sensi di colpa, col risultato che quando gli utenti accedono alle strutture sono zombie piagati e pieni di tubi che urlano, picchiano e rotolano di sotto dal letto. E quando non picchiano e riescono a camminare, vogliono scappare per andare a radunare le mucche in una stalla che è stata abbattuta dai bombardamenti dei tedeschi 80 anni prima.
I profani inorridiscono al pensiero di legare una persona e gli addetti ai lavori di non poterlo fare.
E poi ci sono io che sfiletto alla julienne il cazzo di tutte e due le categorie con quello che prima ho definito STATO CREPUSCOLARE DI COSCIENZA.
In verità la definizione non c'azzecca niente con quanto sto per dirvi ma siccome sono un appassionato di true crime, questa descrizione di psichiatria criminale m'è sempre sembrata ganzamente degna di finire su una carta di Yu-Gi-Ho! (insieme al TESTICULAR TORSION SPELL) e allora l'ho usata per fare un po' di clickbait per giusta causa.
'E poi ci sono io' però è ingiusto nei confronti di tutti quei professionisti dai quali ho imparato a ragionare sull'argomento e con i quali ho condiviso il percorso istituzionale che oggi mi vede docente di corsi di formazione sulla materia.
Sintetizzando al massimo, io insegno al personale sanitario e socio-assistenziale a fare un passo indietro™ e a considerare la contenzione non un mezzo di salvaguardia psico-fisica del paziente fragile ('Lo lego sennò cade e si fa male') ma un qualcosa che, controintuitivamente, non evita le cadute ma invece le provoca.
Come questo avvenga è controintuitivamente lungo e palloso da spiegare (perciò sviscererò l'argomento qualora vogliate farmi qualche domanda quando il tizio della cantina dorme) ma ho potuto fare mia questa teoria perché poi ho riconosciuto in essa IL MIO ATAVICO ODIO VERSO IL METODO EDUCATIVO COERCITIVO, inutile se non a creare futuri adulti frustrati facili a perpetrare questa semplificazione banale della realtà.
Per concludere, la contenzione non è male a prescindere ma che si parli di una cintura in carrozzina o di una metafora per indicare la nostra imposizione sull'altrui libertà di essere, credo sia fondamentale fare sempre un po' di metacognizione preventiva e chiederci se poi noi si sia davvero dei magister vitae proprio così infallibili.
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In questo periodo sto passando molte notti fuori e lontano da casa per lavoro. Le trasferte mi sono sempre piaciute, ma ultimamente sto incassando il colpo e ci arrivo stanca. Gli alberghi sono sempre dignitosi. Mai belli, ma puliti e spesso con i balconcini. La sera è bello tornare in una stanza in cui tutto è a posto; il bagno è pulito, il letto è rifatto, il posacenere è svuotato e le scarpe sempre allineate al muro. Io, che le scarpe le butto dove capita, gioisco sempre e penso che una volta a casa devo iniziare a metterle così. Mi godo la sensazione, per qualche giorno, di non dover occuparmi di niente, nemmeno dei pasti. Altre persone lo fanno per me e mi sta bene. Una sensazione nuova per una che ha mania di controllo. Sto facendo progressi, penso. Stare in terapia da cinque anni mi ha aiutato, penso.
Mi metto seduta per terra in balcone e fumo. E penso che l’anno scorso ero sempre in questa città lontana, mentre mia nonna aveva un ictus che l’avrebbe portata lentamente via da me in cinque mesi. Penso che da allora le trasferte le vivo con un senso di angoscia sotto traccia. Penso di non aver avuto l’occasione di vederla lucida perché ero in un posto lontano da casa a lasciare che altre persone si prendevano cura di me. E penso, come ovvio che sia, a tutto il non detto, a tutte le occasioni mancate, alle strade percorse e quelle abbandonate, al tempo che passa inesorabile, ai quarantacinque anni che si avvicinano. E penso che una figlia me la meritavo. Il pensiero di maternità sempre rifuggito perché troppo voluto mi attanaglia ora che, pur volendo, madre non posso essere più. E sì, una figlia me la meritavo proprio.
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Sono ormai cinque anni che sono nel campo sanitario, l'ho scelto per imparare certe cose pratiche che mi sarebbero potute servire in futuro, ma credo di stare imparando anche altre cose, sia non pratiche sia di me stessa.
L'empatia è una delle principali. Ti metti nei panni dell'altro e soddisfi i suoi bisogni primari, ma non solo quelli. Io sono un semplice OSS, ma fare questa parte del lavoro ti permette di conoscere bene le persone, che in quel momento sono anche pazienti.
Prima in RSA, adesso in ospedale. Vedi continuamente malattie, sofferenze ed anche morte. Io non ho mai avuto problemi a vedere, pulire, parlare di vomito, scariche, urina, sangue, escreato, lesioni da decubito, tanto che dopo un po' ti abitui a parlarne anche mentre mangi, riesci a scollegare le due cose, diventa tutto routine.
E poi c'è il fine vita, ti abitui in un certo senso anche alla morte.
Prima accudivo una persona per farle finire la sua vita nel migliore modo possibile, adesso i pazienti che mi passano davanti sono tutti diversi. Chi sta un giorno e mezzo, chi rimane settimane. Chi torna a casa sulle sue gambe, chi dopo giorni, leggi in consegna: attende hospice. E ti chiedi in qualche modo perché.
Hai già visto infarti che non si riescono a recuperare. Hai già visto chi non si cura e dopo due settimane a casa torna in ospedale un mese. Hai già visto tante persone, tanti caratteri, tante storie di vita, ma poi arriva quella che ti lascia con i pensieri. Quella che non è anziana, quella che deve fare tante cose ancora, quella che entra per un dolore, ma il problema non è lì. Quella che fino ad un minuto prima è in piedi, autonoma, e poi le dicono che deve restare a letto, che arriva il medico a parlarle. Quella che cambia la luce degli occhi dopo che forse non le hanno neanche detto tutto davvero, ma che ha capito tutto lo stesso.
E rifletti che forse non vedrà il Natale. Che avrà mille cose da sistemare. Che non sta reagendo, non si sta arrabbiando, non sta piangendo. E ti chiedi come reagiresti tu. Perché io so benissimo cosa vorrei, lo dico sempre alle persone intorno a me, ma ti devi trovare nelle situazioni prima di sapere veramente come reagirai. E pensi al "dopo di noi", a tutto quello che sarà dopo di me...
E pensi a come la vita ti cambia, quello che ti succede ti cambia, quello che vedi negli altri ti cambia. Di quanto la vita sia breve, imprevedibile, a volte bastarda.
E l'empatia ogni tanto ti molla ed hai bisogno di raccontare come stai, per buttare fuori quello che stavolta non è uscito a fine turno, uscendo semplicemente dalla porta del reparto. E ringrazi chi ti ascolta. E chiedi scusa perché ti senti un po' in colpa perché stavolta hai dovuto raccontare e ti sembra di aver lasciato un pezzo di dolore in chi ti ha ascoltato.
Boh, anche questo mio sfogo è un modo per buttare fuori, e quindi chiedo scusa anche a voi se mi avete letto fino qui. Grazie.
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I miei genitori sono stati sposati per 55 anni. Una mattina, mia madre scese in cucina per preparare la colazione a papà, quando ebbe dolore al petto e cadde. Mio padre la sollevò come meglio poteva e, quasi trascinandola, la portò in macchina. A tutta velocità, senza rispettare i semafori, la guidò fino all’ospedale.
Quando arrivò, purtroppo, non c’era più.
Durante il funerale, mio padre non parlò; il suo sguardo era perso nel vuoto. Non pianse quasi per nulla.
Quella sera, noi figli ci radunammo intorno a lui. In un’atmosfera di dolore e nostalgia, ricordammo insieme i bei momenti trascorsi, finché papà chiese a mio fratello, un teologo, di spiegargli dove si trovava in quel momento mamma. Mio fratello iniziò a parlare della vita dopo la morte, di ipotesi su come e dove potesse trovarsi.
Papà lo ascoltava attentamente. Improvvisamente, ci chiese di portarlo al cimitero.
“Papà!” rispondemmo, “sono le 11 di sera, non possiamo andare al cimitero ora!”
Alzò la voce, e con uno sguardo velato ci disse:
“Non discutete con me, per favore non discutete con un uomo che ha appena perso sua moglie dopo 55 anni.”
Ci fu un momento di silenzio rispettoso, e non discutemmo più. Andammo al cimitero, chiedemmo il permesso al custode notturno. Con una torcia, raggiungemmo la tomba.
Mio padre la accarezzò, pregò e disse a noi figli, che osservavamo la scena commossi:
“Sono stati 55 anni… sapete? Nessuno può parlare di vero amore se non ha idea di cosa significhi condividere la vita con una donna.”
Si fermò e si asciugò il viso. “Io e lei, siamo stati insieme durante quella crisi. Ho cambiato lavoro…” continuò. “Abbiamo fatto le valigie quando abbiamo venduto la casa e ci siamo trasferiti in un’altra città. Abbiamo condiviso la gioia di vedere i nostri figli laurearsi, abbiamo pianto insieme la perdita di persone care, pregato nelle sale d’attesa di vari ospedali, ci siamo sostenuti nel dolore, ci siamo abbracciati ogni Natale e ci siamo perdonati gli errori… Figli miei, ora lei è andata via, e io sono felice, sapete perché?
Perché è andata via prima di me. Non ha dovuto affrontare l’agonia e il dolore di seppellirmi, di rimanere sola dopo la mia partenza. Sarò io a passare attraverso tutto questo, e ringrazio Dio. L’amavo così tanto che non avrei voluto vederla soffrire…”
Quando papà finì di parlare, io e i miei fratelli avevamo le lacrime che ci rigavano il volto. Lo abbracciammo, e lui ci confortò: “Va tutto bene, possiamo andare a casa, è stata una buona giornata.”
Quella notte capii cos’è il vero amore; è ben lontano dal romanticismo, ha poco a che fare con l’erotismo o il sesso. Piuttosto, è legato al lavoro, al completarsi a vicenda, al prendersi cura l’uno dell’altro e, soprattutto, al vero amore che due persone realmente impegnate si promettono per tutta la vita.
✍️ Amore a distanza
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Aprire le finestre quando piove: un gesto semplice per aria più pura. Scopri come la pioggia può migliorare la qualità dell'aria in casa
Scopri come la pioggia può migliorare la qualità dell'aria in casa e perché non dovremmo avere paura di spalancare le finestre durante un temporale.
Scopri come la pioggia può migliorare la qualità dell���aria in casa e perché non dovremmo avere paura di spalancare le finestre durante un temporale. Quando piove, il nostro primo istinto è spesso quello di chiudere le finestre, sigillare la casa e tenere fuori il maltempo. Eppure, aprire le finestre durante la pioggia, anche solo per pochi minuti, potrebbe essere una scelta sorprendentemente…
#Alessandria today#Alessandria Today autori#Ambiente#ambiente domestico#ambiente sano#apertura finestre#aria fresca#aria ossigenata#aria pulita#aria stagnante#benefici della pioggia#Benessere#Casa#connessione con la natura#cura della casa#finestre#Google News#Inquinamento#italianewsmedia.com#Meteo#muffa#Natura#odore di pioggia#Ozono#particelle#petrichor#Pier Carlo Lava#Pioggia#polline#Polvere
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lo ti guarderò da lontano, perciò abbi cura di te. Non sprecare mai il tuo cuore immenso per persone che non ti meritano perché mi distrugge sapere che non saremo insieme quando la vita farà così male da non riuscire a respirare. Abbi cura di te, perché anche se non lo dici, anche se copri la verità, sei così fragile abbi cura di te, perché ti meriti che si realizzino tutti i sogni, anche quelli che sembrano così impossibili io vorrei vederli compiersi Abbi cura di te perché ti meriti di andare a dormire senza pensare quasi a niente, col sorriso sulle labbra di chi si sente a casa tu che pensi sempre così tanto, che ti immergi dentro i dubbi e poi ne esci a pezzi ti meriti il mare negli occhi nei giorni più tristi e di correre verso tutto quello che desideri senza pensare che la felicità inizi solamente per poi finire per poi spezzarti in due perché, ti giuro, ti meriti di essere felice io ti guarderò da lontano, perciò abbi cura di te.
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Litigi e sorprendenti conseguenze sull'amore
"Vieni qui, facciamo una poesia, che non sappia di nulla e dica tutto lo stesso." (E. Montale) www.canesenzafissadimora.tumblr.com
È meglio che tu non sia mai troppo vicina a me, in questo periodo! Perché è una ventina di giorni che io e mia moglie non ci parliamo e la cosa sta diventando per me insostenibile. È una frattura anche seria, quella tra noi. Non tanto per il disbrigo delle pratiche correnti, per cui il nostro essere una coppia continua ad essere saldo. O almeno lo spero. Ma perché inizio a vedere ormai soltanto te, nostra colf da anni, non più come una presenza familiare tranquilla e routinaria, bensì come un puro oggetto di desiderio. Stai diventando per me una vera ossessione erotica.
Tu lo sai e me lo fai apposta: di mattina e quando siamo soli, da una settimana circa vieni a riordinare il mio ufficio con la camicetta il più sbottonata possibile, profumatissima e spesso ti curvi a raccogliere cose immaginarie, pur di sbattermi il tuo culo perfetto in faccia. A volte, non porti il reggiseno e indossi maglie leggerissime, che danno un risalto irresistibile ai tuoi capezzoli turgidi. Se entri tu nella stanza, anche se sto lavorando a un mio progetto e cerco di restare concentrato, inizio a percepire il tuo profumo, a sentire il rumore dello strofinarsi delle tue calze mentre sfaccendi in giro. Mi vai dritta al cervello.
Io lavoro da casa e mia moglie invece passa la giornata nell'azienda della sua famiglia, ove riveste un incarico di alto profilo, che spesso la fa restare lontana da noi fino a sera e a volte in missione estera per tre o quattro giorni. Ed è successo, infine. Era inevitabile. Circa un anno fa, durante una sua assenza prolungata non abbiamo resistito e ci siamo amati. È stata una sola volta e ancora ne abbiamo il rimorso. Forse... Beh: ci siamo ripromessi comunque di non farlo più accadere. Anche perché siamo adulti, dobbiamo saperci controllare e poi spesso in casa ci sono i ragazzi e bla, bla, bla...
Però ora la tua presenza sta diventando per me sempre più una vera tortura. Capisco, anzi gongolo dentro di me senza più pudore, quando mi stai venendo vicina. Allora mi giro e ti vedo: sei giovane, giunonica e bella come una dea. Semplicemente, se ci sei smetto di ragionare. I miei sensi si acuiscono e penso solo a una cosa. Interrompo quello che stavo facendo e ti guardo. Tu mi sorridi maliziosa e continui come niente fosse. Sai perfettamente ciò che sta succedendo tra me e lei e vuoi approfittarne: ogni donna cerca solo l'amore e vuole piacere, affascinare, seminare il proprio percorso di vittime che si struggono per lei.
Una donna vuole quello che ha l'altra donna. È l'istinto naturale e insopprimibile della riproduzione. ùQuello che dopo un po’ in ogni matrimonio s'assopisce e cerca nuovi stimoli. Che più sono proibiti, più sono attraenti e irresistibili. Ti piace essere desiderata. È umano. Lo capisco da come ti curi sempre più, in questi giorni. Pare che tu non venga qui a lavorare: infatti ti prepari con cura e per non fare prigionieri. Chissà cosa dice tuo marito. Ma non mi interessa: l'unica cosa che so è che ormai ti voglio solo nuda. Per leccarti i seni, succhiarne i capezzoli mentre ti frugo ovunque, odorare tutto il tuo corpo, inebriarmene e infine farti l'amore fino a farti impazzire. Voglio portarti di nuovo a godere di noi. Moltissimo. Come meriti, mia dolce e occulta puttana.
Fino a stamattina ho resistito stoicamente. Ma adesso non ce la faccio più: ho rotto ogni indugio e ho messo da parte gli scrupoli. Appena verrai qui, ti prenderò e ti sbatterò al muro: ti strapperò letteralmente la camicetta e solleverò la tua gonna. Tu non resisterai neppure un secondo, lo so già. Mi vuoi almeno quanto ti voglio io. Voglio riassaporare il gusto del tuo interno coscia - quanto manca alla mia lingua! - per poi perdere un'ora a leccarti la fica e l'ano Infine voglio infilarmi felice dentro di te e farti strillare letteralmente dal piacere. Ho il bisogno fisico di baciarti mentre ti sborro dentro. Voglio fottere solo te. E poi ho necessità di violare il tuo culo. Sono le otto e mezza.
Ecco: sento la chiave che si infila nella serratura. Ora metti il soprabito sull'appendipanni e ti dirigi verso la cucina, sento i tacchi mentre stai passando proprio ora per la porta aperta del mio studio: "buongiorno dottore: tutto bene?" e mi sorridi, in un modo che mi fa solo arrapare. Visione di un secondo. È un nuovo amore, quello che mi pervade. “buongiorno, cara… mi porteresti un caffè, per favore? Anzi: fallo anche per te e vieni qui che dobbiamo parlare un attimo…” “si, arrivo subito. Tutto ok? Ho fatto qualcosa che non va? Però… francamente penso di avere già una mezza idea su ciò che lei voglia da me: sa, dottore?”
RDA
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ho 29 anni e mi ritengo una persona abituata alla morte. o almeno penso di esserla mentre guardo fuori dalla finestra ingnorando il telefono che mi suona in cuffia. se fossimo in quel film con tutte le emozioni probabilmente ora sarebbero tutte chiuse sottochiave mentre in plancia di comando ci sarebbe solo l'apatia. non ho ancora ben capito quale emozione provo nei confronti della morte, se paura, tristezza o rabbia. in questo momento provo apatia. poi mi fermo a rivedere le foto di Leo e mi dico che a volte qualcosa di buono questa famiglia del cazzo lo sa fare. Eri un bravo micio, ciecato completamente e quando ti abbiamo trovato in mezzo a quella boscaglia era un miracolo se il tuo cuore ancora continuasse a battere. eppure oh possiamo girarci intorno finché vogliamo ma quando dicono che l'amore è prendersi cura hanno ragione. sei arrivato che eri molto più morto che vivo e probabilmente te ne sei andato nello stesso modo, con quella stessa immensa incredibile voglia di rimanere attaccato alla vita. tutto ciò che su sull'amore l'ho imparato dagli animali non dalle persone. e ti giuro che abbiamo fatto davvero tutto il possibile ma a volte non è sufficiente cazzo, non basta, perché a volte i miracoli succedono ma non sono eterni e mi dispiace così tanto.... eri bellissimo anche se eri un gattino disastrato e adoravo giocare con te prima di andare a letto perché volevi saltarmi addosso anche se non ci vedevi un cazzo. eppure tu vedevi molto più di quanto si possa fare, anche se non avevi più gli occhi. un micetto con la 104 ti dicevo sempre.
mi sono sempre ritenuta una persona abituata alla morte.
soprattutto perché quando lavori con gli animali ne vedi tanti andarsene. la loro vita è breve, un soffio e forse tutto ciò che possiamo fare e voler loro bene e fare in modo che questa esistenza gli faccia meno male possibile. e mi fa sorridere questa cosa che non ci vedevi una minchia ma sapevi perfettamente dover'ero sempre, in ogni momento. e che quando mi sentivi rientrare a casa scendevi le scale. a raccontarla così sembra na cosa impossibile ma vi giuro che lui saliva sul divano, scendeva le scale, si arrampicava sul tetto.
e adesso che non ci sei più mi sento un pochino persa. sei solo un gatto sì, però sei uno di quegli animali che ti lasciano qualcosa quando incrociano la tua esistenza.
ah comunque non è vero che sono abituata alla morte, perché a quella non ti abitui mai.
ti porto nel cuore, ovunque io vada.
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LA LETTERA DEL TRADIMENTO
Mi è difficile scrivere questo post, a dirla tutta non so neanche perché rendo pubblico questo mio sentimento, cosi grave e profondo che sto provando.
Forse una sorta di liberazione personale, di qualcosa che ho dentro e che fa tanto male. Un qualcosa che farà sicuramente sorridere con perfidia alcune persone che mi sono consanguinee. Se mi leggeranno, dai loro profili blindati e privatissimi.
Oggi sono passato da mia madre, semplicemente per scrivere la lista della spesa da farle domani. Quella settimanale del sabato a cui lei ci tiene tanto ancora. Oltre a sistemarle le medicine nei porta pillole.
Il taccuino su cui scrivevo, per poi strappare il foglio e mettermelo in tasca, è finito. Cerco nello scrittoio e trovo un quadernetto di quelli tascabili. Si la lista della spesa l'ho scritta, ma tra quello che mi sono messo in tasca con un cura, c'era anche una paginetta scritta. Tempo fa.
"Settembre 2015", così inizia la paginetta. La calligrafia è quella di mia madre, non ci si può sbagliare. Il tratto della penna più fluido e deciso, non tremante e pieno di pause come quando scrive oggi.
Sono passati nove anni da quella confessione scritta su quella paginetta. Uno sfogo che mia madre ha scritto, nello sconforto e nell'incredulità più totale. Un dolore, il suo, che penso sia riuscito a sconfiggere la sua resistenza mentale un anno fa. Facendola precipitare in un declino cerebrale senza ritorno.
Ho letto poche righe per capire il contenuto, l'ho messo in tasca e poi con calma me lo sono letto a casa. Il tradimento.
L'essere traditi porta a una condizione interiore di crollo delle tue certezze, un punto fermo e d'appoggio che viene a mancare. All'improvviso. La certezza dell'incertezza, comprendere che chiunque faccia parte della tua vita può farti volutamente del male.
Questo sentimento diventa devastante quando a tradirti, a pugnalarti alle spalle, è un figlio. Un essere umano che hai voluto, accudito e protetto. Ma che al momento di diventare un uomo ti violenta il cuore, depreda di tutto materialmente e sentimentalmente. Lasciandoti solo e completamente privo di ogni certezza, con la consapevolezza di quanto spietato possa diventare un essere umano.
Le sue parole lette tutte d'un fiato con il cuore in gola mi hanno lasciato una devastazione interiore, alzando lo sguardo dal foglio ho guardato i miei figli. Ho provato a immaginare se uno di loro, in futuro, si comportasse come mio fratello ha fatto con mia madre. E ancor prima con me.
Chi conosce la mia famiglia sa. Alcuni nonostante sentenze e giudizi definitivi ha scelto di seguirlo, di appoggiarlo, altri di trovare soddisfazione personale per quanto successo. Attestati di solidarietà, di conforto mai pervenuti. Un senso di pietà per le loro anime aride lo provo comunque, anche se da anni ho cercato di alzare muri a protezione. Per non sentire, per non vedere.
Faccio del mio meglio per far ricredere mia madre sul fatto che un figlio sa anche essere parte e sostegno, della vita di un genitore, fino alla fine. Lo farò anche quando la sua ragione, oramai compromessa, non ricorderà più neanche chi sarò io.
Oggi era felice che gli facessi la spesa, oggi aveva tanta voglia di dettarmi la lista della spesa, contenta di essersi ricordata tutto. Senza dovermi dire "c'era ancora qualcosa ma non me lo ricordo".
Se devi dimenticare qualcosa, madre, dimentica il dolore che ti ha provocato. Dimentica lui e continua serena con me.
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