#Casa delle donne di Pisa
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mezzopieno-news · 2 months ago
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RITROVA LA SORELLA DISABILE DOPO 30 ANNI DI RICERCHE
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Monica Guerra, una donna toscana di 57 anni, ha cercato la sorella da cui era stata separata da bambina ed è riuscita a trovarla, dopo 29 anni di ricerche.
Nata a Castellina Marittima in provincia di Pisa, fu data in adozione dalla sua famiglia che con 11 figli non era in grado di prendersi cura di lei. “Quando ho scoperto di essere stata adottata ho iniziato le ricerche. Ho scoperto di avere una sorella la quale era stata affidata ad una struttura cittadina”.
“Sedici anni fa ho iniziato il mio lavoro a Casa Migliorati a Calcinaia. Quando ho saputo che mia sorella poteva essere ospite nella struttura fiorentina ho chiesto alla persona giusta, nel momento giusto. Sono stata fortunata … Donatella, mia sorella vive ancora a Firenze. Affetta da una grave forma di autismo conduce la propria vita nella piena dignità, nella serenità e nell’amore di tante persone”. Le due donne, per un caso fortuito, si trovavano in due strutture dello stesso gruppo, una come impiegata e l’altra come ospite. Cosa ha provato? “Credo che sia impossibile da descrivere. Da 29 anni aspettavo quel momento: false piste, delusioni, paure. Ad un tratto me la sono trovata davanti e mi ha sorriso. Allora ho capito che la mia ricerca era terminata. Ho provato pace. Non è importante che cosa Donatella abbia capito. Io so che ha bisogno del suo tempo, ma sono anche certa che abbia provato qualcosa di incredibile anche lei. Siamo sorelle”.
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Fonte: La Nazione; immagine di Jsme Mila
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unita2org · 1 year ago
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NERA CON FORME, MA NON CONFORME...
di Redazione https://lepluralieditrice.net/11-11-nera-con-forme-a-pisa/ Sabato 11 novembre alle ore 17.30 l’autrice Marianna Kalonda Okassaka (Marianna the Influenza) presenta il suo saggio Nera con forme. Storia di un corpo grasso al Circolo ARCI Alberone, Via Pasquale Pardi, 199 Pisa. Dialogherà con Miss CreamyCreamy. L’evento è organizzato dalla Casa delle Donne di Pisa. Decostruire gli…
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Ecologia letteraria dell’immaginazione senza corpo
Ecologia letteraria dell’immaginazione senza corpo
Quando i libri sono di tutti e di nessuno. Un quaderno di lavoro condiviso su Elena Ferrante, ecologia e femminismo PRIMO Poco prima dell’estate la redazione di una rivista di critica e ricerca letteraria mi ha chiesto un contributo su un argomento che mi interessa molto, specie in questo momento che sto riflettendo in modo un po’ più accorto sulle mie scritture, quelle pubblicate, quelle…
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paoloxl · 4 years ago
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Il 18 gennaio 2021, alle 7.30 del mattino, senza alcun preavviso e approfittando del cancello aperto da uno dei figli delle donne che stanno facendo il loro percorso di fuoriuscita dalla violenza nella Casa delle donne Lucha y Siesta, le forze dell’ordine sono penetrate nella struttura, gli agenti sono saliti fin nelle camere e hanno identificato una per una tutte le persone presenti.
Una procedura violenta e ingiustificata, considerato che i nomi di donne e minori accoltз da Lucha y Siesta sono ben noti, grazie a rapporti con il servizio sociale e a screening sanitari precedenti l’ingresso nella struttura, ma soprattutto perché sono statз inviatз a Lucha y Siesta da altre strutture – pubbliche o convenzionate – che non hanno posti sufficienti per accoglierlз.
La Casa delle donne Lucha y Siesta a Roma esiste da 13 anni in uno stabile dell’ATAC, Azienda Tramvie e Autobus del Comune di Roma. Un edificio e un giardino che erano abbandonati e che sono stati trasformati in Casa delle donne, centro antiviolenza, casa rifugio e casa di semiautonomia, presidio di elaborazione politica femminista e transfemminista, spazio cittadino di solidarietà e empowerment, un vero bene comune.
L’ATAC, per ripianare i propri debiti, ha previsto di vendere l’immobile, pensando di poter cancellare un’esperienza complessa che fornisce 14 dei 25 posti letto per donne che fuoriescono da situazioni di violenza a fronte dei quasi 300 previsti dall’Expert Meeting sulla violenza contro le donne dell’Unione Europea (1999), ratificato dall’Italia nel 2013, e necessari per attuare la Convenzione di Istanbul. Un luogo che è istituzione, come testimoniato da 13 anni di collaborazione con la rete antiviolenza nazionale, sottolineato da una delibera del municipio in cui si trova, accertato da una sentenza dello stesso Tribunale di Roma, nonché confermato dall’impegno pubblico della Regione Lazio, che ha stanziato i fondi necessari a partecipare all’asta e restituire l’immobile alla comunità che lo anima. 
Quello contro la Casa delle donne Lucha y Siesta è stato un gravissimo atto di violenza istituzionale, in nome di principi come la legalità e il decoro, svuotati di significato e mal posizionati nell’ordine delle priorità collettive.
Perché tanto accanimento contro Lucha y Siesta a Roma, ma anche contro La limonaia a Pisa e la Magnifica a Firenze, spazi imprescindibili per assumere collettivamente la consapevolezza che la violenza di genere è un problema strutturale e sistemico che ci riguarda tuttз? Azioni di questo genere sono la risposta intimidatoria e autoritaria di istituzioni carenti e spaventate dall’enorme produzione di pensiero e di battaglie politiche che in spazi come Lucha y Siesta prende vita.
Sappiamo bene che preservare questi spazi di relazioni orizzontali, di decostruzione di stereotipi, privilegi e dinamiche di potere, di risignificazione della proprietà è un lavoro lungo, che richiede cura, sorellanza e consapevolezza, un lavoro che continueremo a fare ogni giorno, insieme. 
Ma sappiamo anche che una parte fondamentale di questa infinita battaglia è riprenderci, un pezzetto alla volta, ciò che ci spetta.
Quello che – immediatamente, invece – spetta alle donne identificate nella Casa delle Donne Lucha y Siesta è che non si dia seguito a quei fogli senza senso che sono state costrette a firmare.
Quello che vogliamo – come collettività tutta, rete professionale dell’antiviolenza, chiunque si senta solidale con il suo operato nonché chiunque riconosca il valore di luoghi preziosi e ricchi come Lucha y Siesta – è l’immediata archiviazione del procedimento giudiziario per infondatezza della notizia di reato.
Questa caccia alle streghe è violenta per chi ne è oggetto, imbarazzante per chi la osserva, ingiusta per tuttз. Spazi come Lucha y Siesta non possono più essere attaccati, è ora di moltiplicarli.
Aderisci scrivendo a: [email protected]
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levysoft · 4 years ago
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Nei lunghi mesi di lockdown tantissime persone hanno avuto tempo per recuperare libri, serie tv, podcast di cui avevano sentito parlare ma a cui non erano mai riuscite a dare una possibilità. In molti si sono imbattuti nei podcast che raccolgono lezioni e conferenze dello storico Alessandro Barbero, che infatti da mesi compaiono regolarmente nelle classifiche dei più ascoltati.
I podcast di Barbero, così come le centinaia di video di cui è protagonista su YouTube, sono un prodotto piuttosto unico nel panorama culturale italiano. Non sono distribuiti da alcun canale ufficiale – nella maggior parte dei casi sono registrati in maniera amatoriale, come i concerti delle rock band negli anni Sessanta – non sono promossi da giornali o case editrici, e godono di un culto trasversale che si è diffuso soprattutto col passaparola: cosa rarissima, in un momento storico in cui la stragrande maggioranza dei prodotti culturali fatica ad emergere a causa dell’enormità dell’offerta.
Ma il successo dei podcast e dei video di Barbero non è affatto casuale, ed è il frutto di un lavoro di divulgazione quasi trentennale e del suo eccezionale talento narrativo, oltre che dell’assenza di prodotti simili in lingua italiana.
Barbero è nato nel 1959 e si è laureato in Storia medievale, ancora oggi il suo principale campo di ricerca, nel 1981 all’università di Torino. Dopo un dottorato alla Scuola Normale di Pisa e un periodo da ricercatore all’università di Tor Vergata, dal 1998 insegna all’Università del Piemonte Orientale di Vercelli, dove ancora oggi tiene il corso principale di Storia medievale.
A una intensa attività accademica fatta di decine di pubblicazioni specialistiche Barbero ha legato da molti anni altre due carriere parallele, da scrittore di romanzi storici e divulgatore. Già nel 1996 si parlò moltissimo di lui quando a 37 anni vinse il Premio Strega, il più prestigioso premio letterario italiano, con un romanzo storico ambientato all’epoca delle guerre napoleoniche intitolato Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo. Il romanzo fu pubblicato grazie all’interesse di Aldo Busi, che lo presentò a Mondadori, l’editore con cui Barbero è legato ancora oggi (il suo ultimo romanzo storico, Le Ateniesi, è uscito nel 2015).
Nel 2007 iniziò la collaborazione con la nota trasmissione tv SuperQuark e con Piero Angela, con cui nel 2012 pubblicò un libro a quattro mani. Gli interventi di Barbero erano compresi in apposite rubriche chiamate Istantanee dal passato o Dietro le quinte della storia, in cui erano già presenti tutti gli elementi caratteristici della sua tecnica narrativa: un linguaggio chiaro e a tratti informale, senza tecnicismi, il gusto per l’aneddoto, la capacità nel costruire efficacemente una storia – con personaggi, ambienti e tensioni – anche in pochi minuti.
Nello stesso anno in cui diventò ospite fisso di SuperQuark, Barbero iniziò a tenere un ciclo annuale di lezioni al Festival della Mente di Sarzana, in Liguria, uno dei principali festival culturali che si tengono d’estate in Italia. Nella prima edizione Barbero tenne una lezione che ha ripetuto più volte negli anni, con alcune variazioni: una descrizione delle invasioni barbariche molto più sfumata di quella contenuta nei manuali scolastici, in cui viene raccontata come la principale causa di dissoluzione dell’Impero Romano.
Negli anni successivi Barbero tenne lezioni sulle rivolte popolari nel Medioevo, le reti clandestine, le guerre di Indipendenza italiane, i compiti dello storico, le due guerre mondiali, la condizione della donna nel Medioevo, e molto altro ancora.
La maggior parte delle lezioni assomiglia più a uno spettacolo teatrale che a una lezione universitaria: i personaggi sono descritti in maniera tridimensionale, anche quelli secondari, il filone principale ha un inizio e una fine ben definiti, e ci sono colpi di scena, battute e passaggi che fanno tenere il fiato sospeso. Barbero riesce ad unire una notevole accuratezza – anche quando si parla di periodi storici diversi dal Medioevo – a una lettura più “progressista” rispetto a quella dei manuali scolastici, attenta al ruolo delle donne, delle minoranze, delle fasce più oppresse della popolazione. In un’intervista a Repubblica, Barbero ha raccontato che ne prepara «quattro o cinque all’anno», lavorando accuratamente per evitare di dire «cose delle quali poi mi pentirei».
Gli audio delle conferenze di Sarzana, tratti dai video che circolavano su YouTube, furono i primi ad essere inclusi nel podcast che oggi raccoglie la maggior parte delle conferenze di Barbero, “Il podcast di Alessandro Barbero”. Al contrario della stragrande maggioranza dei podcast di successo, la sua produzione è molto artigianale ed è curata da uno studente di ingegneria informatica, Fabrizio Mele.
Qualche mese fa Mele ha raccontato al Festival del Podcasting che conobbe Barbero su segnalazione di un podcast, Digitalia, e che da subito rimase «stregato».
Era l’anno 2015, e per ragioni di trasporti mi sono trovato a consumare podcast come il pane: 50 minuti andata, 50 minuti ritorno, ogni giorno, avanti e indietro dall’università, da solo in macchina. Tra i vari titoli spicca quello che seguo da più tempo cioè Digitalia. Tra i Gingilli del Giorno dell’episodio 301 Massimo De Santo, speaker storico del podcast, suggerisce agli ascoltatori di dare un’occhiata alle registrazioni delle conferenze del Festival.
Arrivo in università, apro il computer e vado a vedere cos’è sta roba. Trovo una conferenza di un tizio, tale Alessandro Barbero, che dal titolo sembra promettente: Come scoppiano le guerre? La guerra delle Falkland. Uno dei casi di clickbait meglio funzionanti mai visti. Cerco un feed rss, accidenti non c’è. Poco male, scarico l’mp3 sul telefono e uso il lettore musicale di Android.
Sono rimasto stregato: forse era stato il tema, la Guerra delle Falkland che chi non ha vissuto nella cronaca, per ragioni anagrafiche, è una cosa curiosa e misteriosa. Forse era stato lo stile di Alessandro Barbero, leggero e appassionato nello snocciolare date, nomi e fatti, ironico quanto basta, al punto da fare le vocine ai lord inglesi dell’epoca (con tanto di accento posh). Arrivato a casa senza troppa esitazione mi sono scaricato altre conferenze, e da lì sono entrato in una spirale che mi ha portato nel giro di un paio di mesi ad ascoltare la trentina di lezioni del Festival della Mente.
Mele aprì il podcast soltanto tre anni dopo, nel 2018: «l’intenzione è di creare una roba che serva a me, ma visto che Anchor si offre così gentilmente di inviare il feed anche a Spotify e a iTunes facciamolo, non sia mai che ci sia qualche altro pazzo che ascolta conferenze di storia in macchina o in metro».
In breve tempo gli ascoltatori si sono moltiplicati, diventando prima centinaia e poi migliaia al giorno – numeri enormi per qualsiasi podcast italiano, specialmente se ottenuti senza alcuna promozione sui social network o sui giornali – costringendo Mele a caricare almeno una puntata a settimana, ritmo che mantiene ancora oggi sfruttando vecchie e nuove conferenze o interviste che Barbero tiene in giro per l’Italia.
Barbero sapeva del podcast di Mele già nei primi mesi della sua pubblicazione: fu avvertito con una mail, a cui rispose così.
Ancora oggi Barbero sostiene di non spiegarsi il successo delle sue conferenze, e di non seguire i commenti e le recensioni degli ascoltatori: «Finirei per concentrarmi solo sui commenti critici. Meglio starne alla larga», ha detto a Repubblica. Alla successiva domanda dell’intervistatore sul perché non apre un canale ufficiale o monetizzi in qualche modo il suo successo, Barbero ha risposto: «Ho troppe cose da fare».
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app-teatrodipisa · 5 years ago
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Clochard — Fabiano Pini
Mi siedo nella sala attesa della stazione ferroviaria di Pisa, aspettando il Freccia Bianca delle nove e zero sette per Roma. Ho alcuni minuti a disposizione, guardando l’orologio che segna le otto e quaranta. Decido di messaggiare a mia moglie la sorpresa di aver trovato le strisce blu a pagamento, dove di solito erano bianche: “Adesso dobbiamo pagare anche qui!”. Nelle panchine davanti a me, due donne intente sui loro cellulari in evidente attesa pure loro. Dietro, verso il bar, altre persone. Nella panchina di fondo, adiacente alla parete che ci separa dall’ufficio informazioni, ho notato precedentemente una clochard con il suo carico di masserizie appoggiate su due sedute accanto a lei. Mentre armeggio con il cellulare mi arriva una chiamata; ancora la consorte. Nel mentre converso a bassa voce per non disturbare, noto che la bionda senza tetto si alza, avviandosi verso l’uscita e bofonchiando qualcosa, credo all’indirizzo di una delle due donne, o a tutte e due, sedute di fronte a lei ma onestamente non ci faccio caso, non buttando neanche uno sguardo incuriosito.
Terminata la telefonata, riprendo a sbirciare su una delle maggiori reti sociali l’andamento della mia pagina, di come seguono i miei post, leggo i commenti e osservo il numero crescente dei seguaci, pensando di dover realizzare un nuovo video di ringraziamento per la fiducia dimostratami. Ormai è diventata una piacevole abitudine quando, ogni mille “mi piace” alla pagina, se ne aggiungono altri facendola crescere. Avendo superato la soglia dei seimila seguaci, ritengo opportuno dimostrare loro un segno di ringraziamento per la loro fiducia.
Non mi accorgo che nel frattempo è rientrata, onestamente non ho neanche notato se fosse veramente uscita dalla porta o se ne fosse rimasta in qualche posto della grande sala d’aspetto, quando a un certo punto del suo camminare, si ferma davanti a me, iniziando a parlarmi sottovoce con un tono simile a chi parla in modo disagiato per la mancanza della dentatura; ma lei, noto stavolta, anche se non tutti i denti ce li ha. Non capisco le sue parole e non comprendo quello che mi chiede. Restando con le gambe accavallate e le mani che tengono il cellulare appoggiato sul ginocchio, mi abbasso gli occhiali fin sulla punta del naso guardando la donna con fare indagatore misto a “questa mi vuole spillare quattrini!”
Si siede davanti a me, continuando con le sue parole ancora incomprensibili anche se qualcosa comincio a percepire.  
“Non importa che tu mi guardi così, non ti mangio mica!”, con un filo di voce gentile che lascia trasparire una timidezza strana, quasi avesse timore di provocarmi fastidio ma in realtà, non me ne ha dato nessuno; anzi.
Poi, partendo un po’ da lontano, inizia a descrivere la sua misera condizione per giungere ovviamente dove voleva arrivare: “Almeno un caffè!”, chiedendomi, aggiungendo che le tonerebbe scomodo tornarsene a casa per fare colazione, “già che sono qui, la farei al bar!”
Probabilmente una casa la possiede veramente, una di quelle costruite in mattoni intendo, non con le scatole di cartone, visto che ha rincarato la dose tirando in ballo, non so come né perché, suo padre e sua madre.
Non ha la solita faccia inespressiva o aggressiva  che alcuni suoi “colleghi” ostentano quando avanzano richieste di elemosina, né ha insistito oltre il lecito e per tutta onestà, mi ha rivolto una sola richiesta peraltro con la dovuta educazione che non ti aspetti da quel tipo di persona, lasciandomi veramente sorpreso. Ovviamente non ha un aspetto da donna di alto rango né i suoi vestiti sono sagomati da atelier di alta moda ma quel suo modo di fare garbato, fa passare in secondo piano anche la vista di quel piumino dal color celeste sbiadito dal tempo e logoro dall’uso.  
Continua a parlare con quel linguaggio altalenante e poco chiaro ma più che lo ascolto, più percepisco quei suoni come un qualcosa di intuibile, come se il prestare orecchio ripetuto e continuo, accendesse un fantomatico traduttore simultaneo rendendo comprensibilissime quelle parole.
Non so come abbia fatto ma è riuscita a farmi compiere quel gesto che non ho mai fatto con così tanta indulgenza ma che anzi, ho sempre evitato per una sorta di principi che lì per lì non mi sono venuti in mente.
Apro il portafogli e vedo che nel porta monete mi sono rimasti solamente otto centesimi, pochi per un caffè; gli altri nove euro di metallo li avevo “generosamente” consegnati in quell’infernali macchinette succhia soldi della Pisamo, l’emerita banda gestore dei parcheggi. Dovendo scegliere tra una banconota da cinque euro e una da cinquanta e pensando che chiedergli il resto pareva brutto, sfilo il taglio più piccolo e lo consegno alla donna che ancora non capisco perché abbia scelto proprio me tra le persone presenti, per attaccare bottone.
Tra una parola e l’altra, apprendo la domanda “Tu di cosa ti occupi?”, con fare quasi da conoscente che non vedevi da qualche anno e in un caso fortuito di incontro, cominci a sciorinare la tua vita cercando di colmare buchi di non convivenza.
“Mi diletto a scrivere libri”, rispondendo secco senza tentennamenti, ostentando una certa durezza che mi fa tornare al pensiero iniziale di non voler parlare con lei perché mi voglio occupare delle mie cose. Invece proseguo, meravigliandomi del mio gesto, fregandomene della gente intorno che, penso, avranno avuto da dire qualcosa tipo, “Ma guarda quello come si fa abbindolare da una barbona. Meno male è andata da lui perché se veniva da me…!”, come se avessi commesso chissà quale tipo di delitto o avesse chiesto un passaggio per tornarsene a casa.
È vero, siamo pieni di pregiudizi, lo siamo da sempre almeno da quando ci riteniamo in grado di criticare gli altri, mentre giustifichiamo il nostro operato: noi facciamo sempre bene, sono gli altri a sbagliare.
“Se l’è cercata quella vita, perché mi viene a chiedere soldi che mi guadagno onestamente? Che se ne vada a lavorare invece di importunare la gente!”. Mi pare di sentirli quelli dietro di me e pure le due donne davanti che nel mentre spippolano su Candy Saga e Facebook, girano un attimo gli occhi per osservare le gesta della donna che ho di fronte a me: figuriamoci se non mi hanno ingiuriato!
Non capisco ancora perché ma “sento” che devo continuare ad ascoltarla e mentre do una veloce occhiata all’orologio, decido di proseguire fino al tempo concessomi da quei sette minuti che mi dividono tra la sala d’aspetto e la partenza del treno.
Poi mi estraneo dalla conversazione, ricevo i suoni ma non li distinguo più, come se il traduttore si fosse inceppato ammutolendosi pure lui, lasciandomi da solo con la clochard, “Oddio e adesso?”. Mi accorgo invece, di osservare meticolosamente la sua figura in una sorta di scanner utile a memorizzare più cose possibili di lei, “Ma per cosa poi?” mi chiedo, non comprendendo l’utilità del mio gesto, il movente di tutto ciò cominciando a preoccuparmi: “Sto forse invecchiando e intenerendomi come non ho mai fatto nella mia vita?”. La luce blu elettrico e il netto rumore del mio personale scanner, continua nel suo lavoro visionando i grigi e lunghi capelli, mescolati a quel lontano ricordo di biondo platinato che un tempo, immagino, lucenti e perfettamente in ordine e profumati. Quella sciarpa di stoffa indefinita e di un grigio rovinato, trattengono dietro il collo la parte di capelli che insistono nel voler ancora crescere in ordine sparso, nonostante l’alimentazione ricevuta negli ultimi chissà quanti anni, non sia perfettamente in linea con la dieta mediterranea. Le labbra carnose e già crepate probabilmente dalle prime notti fredde di un inverno ancora in ritardo, si muovono in una danza quasi soave e beneaugurante, come se avessero trovato il compagno di ballo con il quale sfogarsi, destandosi da un torpore verbale che dura da diverso tempo, nel tentativo di sgranchire la mente e la voce, uscendo da quel logorroico tran tran quotidiano privo di socialità, privo di amore, di parole diverse da una litania giornaliera che immagino, la attanaglia nelle interminabili giornate senza niente da fare, girovagando di giorno in cerca di cibo, di compagnia o di chissà cos’altro, mentre di notte in cerca di un riparo dal freddo e dalla pioggia ma comunque da sola.
Forse è così, forse no, forse anch’io sono stereotipato dagli innumerevoli film e visione univoca dove gli homeless  sono disegnati così, dove la massa classifica queste persone come non persone o esseri umani dannatamente persi e da lasciare dove stanno, ai margini della vita ma soprattutto, lontani dalle vite delle “persone per bene”, che hanno una dignità decorosa da rispettare, da non compromettere con “quella gentaglia” neanche offrendogli un caffè gettandogli per terra quei pochi spiccioli, peraltro fastidiosi, che si ritrovano nelle tasche.
Poi per un attimo soffermo lo sguardo sulle dita delle mani, su quelle unghie vagamente colorate, alcune si altre no. “Ma dove lo trova lo smalto? Lo compra, lo ruba, lo trova nei cassonetti?”. Il tempo da dedicare alla manicure di certo non le manca ma lo smalto? Mi incuriosisce ancora di più e le osservo meglio mentre lei, concentrata sulle sue parole, continua a dire quello che vuole, il traduttore è ancora spento.
Non faccio in tempo a guardare che tipo di pantaloni indossa, pare una tuta, ma noto al volo le scarpe, una certa vaga somiglianza a un classico paio da tennis.
“Scrivi libri? Che bello! Eeh, io ho una storia da scrivere lunga una vita! E prima o poi la scrivo!” Toh, è ripartito il traduttore! “Brava, scrivilo, inizia e non fermarti fintanto che non arrivi alla fine”, di certo il tempo non le manca e probabilmente neanche gli spunti.
Chissà cosa avrà da dire, quale sarebbe la sua prima frase, come scriverebbe l’incipit e soprattutto, che razza di finale metterebbe. Probabilmente non riuscirebbe più neanche a sorreggere tra le dita una penna e forse, davanti a dei fogli bianchi, si chiuderebbe in un mutismo inespressivo rispecchiandosi in quelle pagine vuote come la sua vita, da quando è partita la sua avventura da errabonda. Niente mi toglie dalla testa che quella vita è diventata una non vita per scelta, in conseguenza di un evento o una serie di eventi bellicosi, cattivi, bastardi, talmente violenti da spingere un uomo o una donna ai margini dell’oblio, a evitare per un soffio il suicidio anche se a mio avviso, quella scelta è una sorta di suicidio controllato e continuo, un uccidersi giorno dopo giorno per il resto della propria esistenza, per quanto possa durare.
Chissà quale potrebbe mai essere la copertina di quel libro che racchiude, per adesso, un mucchio di ipotetici fogli bianchi già numerati come gli anni fin qui trascorsi, dove in prima pagina spicca il titolo, “L’inizio” e nell’ultima si intravede la scritta “Fine”. La fine di un inizio che non c’è mai stato o è stato cancellato appena scritto, come quando uno scrittore in piena crisi, non trova neanche una parola per scrivere l’inizio.
Chissà quale quarta di copertina potrebbe mai avere quel libro ben stampato, per adesso, nella mente di una donna con una maledetta voglia di chiacchierare con qualcuno, di sentirsi ascoltata per quello che ha da dire e di non essere osservata come un fenomeno da baraccone o una belva da circo rinchiusa nella sua gabbia quando non esegue il suo numero, suscitando compassione e tenerezza per quello stato di vita che pare in completo abbandono ma che non invoglia nessuno a presentarsi innanzi a lei porgendogli un saluto, guardandola con occhi umani di chi ha negli occhi il desiderio di aiuto.
“E sai come lo inizierei?”, con il sorriso stampato in volto e come intuisse i miei pensieri, all’improvviso le si accendesse una luce benevola  rischiarando per un istante la sua vita, una sorta di faro da palcoscenico che illumina l’attore protagonista, nell’intento del suo monologo lungimirante seguito da uno scroscio infinito di applausi.
“C’era una volta una principessa…”, terminando la frase al buio, spegnendo quel sorriso iniziale come se qualcuno avesse tolto d’un colpo la corrente al faro e quell’attore si fosse ritrovato istantaneamente a esibirsi in un teatro vuoto, senza applausi, con il sipario chiuso. Come resterei io, se durante una presentazione la gente cominciasse senza una spiegazione logica, a uscire dalla sala, senza motivo, lasciandomi solo con le mie parole, abbandonando i miei libri al loro destino infame, senza nessuno che li comprasse né che li leggesse. Avrei faticato per niente, ci resterei malissimo, scoppierei a piangere e urlerei “Bastardi! Ci lasciate soli me e i miei libri? Che vi abbiamo fatto?”. Ecco, adesso ho paura anch’io, paura di aprire un mio libro e di scoprire che sotto la copertina ci sia soltanto un mucchio di fogli bianchi, vuoti, come il vuoto che il pubblico mi ha lasciato andandosene via, “Bastardi…”. Che farei senza l’inchiostro per i miei pensieri, che ne sarebbe di me e delle mie giornate, come passerei il tempo forse girovagando da una libreria all’altra, incollato alle vetrine perché non mi farebbero entrare, o rovisterei dentro i sacchi della raccolta della carta, il mercoledì, nella disperata ricerca di qualche pezzo di libro strappato da poter leggere. Ma quale sacrilegio sto dicendo? I libri non si gettano né si strappano al massimo si regalano! E gli altri giorni! Dio, che disperazione! Non provo neanche a immaginare come possa trascorrere uno solo giorno così quella donna, figuriamoci un’intera vita. Eppure ci riesce, con apparente facilità, con celata nostalgia o con pianti disperati e nascosti agli occhi della “gente per bene”, magari dietro un cassonetto dell’immondizia o nei silenzi notturni di una stazione ferroviaria dove sovente trovano rifugio come la tana di un animale.
“Ma perché questa donna è venuta da me stamani? Che giorno è mai questo?” penso, mentre rifletto sull’ultima frase che il traduttore mi ha sfornato, “C’era una volta una principessa…”, rimbombandomi nel cervello, come se il mio sub inconscio stesse cercando di memorizzare quella frase. “Ancora? Anche questa? Ma  qualcuno mi vuol spiegare perché?”
Guardo nuovamente l’orologio, nel tentativo di leggere, finalmente, l’orario di partenza staccandomi da questa assurdità, contrapposta con tenacia da un’immaginabile voglia di restare e ascoltare all’infinito quale storia voglia raccontare questa donna: ancora tre minuti…
“Con mio padre le cose andavano bene ma con mia madre…”, troncando la frase con una smorfia che lascia intendere molto, mista tra terrore e nostalgia, tra dolore e voglia di vivere e con quelle parole e quella espressione, mi apre la mente lasciandomi pensare “ma allora una storia ce l’ha per davvero!”
Poi squilla la campanella, una voce gracchiante annuncia la partenza, il traduttore si spenge, “No, proprio adesso!”. Proprio ora è scaduto il tempo? Quando forse, la nebulosa che attraversava la sala d’aspetto si stava diradando lasciando intravedere un po’ di luce.
Mi alzo, prendo le mie cose e faccio il primo passo verso la porta, verso la salvezza quando il traduttore ha un sussulto, un gracchiante ritorno: “Devi partire? Tanto io sono qui!” e sono fuori dalla porta.
“Non ho capito, che ha detto?”, mentre velocemente mi inerpico per le scale che dal sottopasso mi sbarcano al binario quattro.
Forse quella principessa è vissuta veramente?
Ma perché oggi e perché proprio a me doveva capitare?
Tra tutti quelli che erano in quella sala, perché è venuta da me?
Mi stavo facendo gli affari miei, mica l’ho guardata in cagnesco, in fin dei conti ho solo spostato gli occhiali sulla punta del naso, che avrò fatto mai!
E se dovessi essere proprio io a scrivere quella frase?
“C’era una volta una principessa…”
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scillame-skinofmysoul · 6 years ago
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Non c'è piu nulla che impressioni, nessun dubbio che questo renda peggiori...
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Neppure l'implorare di un innocente, che a guardarli così da lontano sembra diano uno spettacolo, a cui anche il posto in galleria diventa troppo caro... perché possa interessare...
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Ci voltiamo ovunque per non vedere: un selfie per l'ultima trovata del politico di turno, la scelta infinita di desideri e voglie da sfogare neppure fossimo bestie da macello, gareggiando a chi ha più volgarità di linguaggio, come se il carattere e l'intelligenza si misurassero da quanto coraggio hai di scrivere parolacce o offese gratuite, senza più poesia, senza rispetto neppure per sé stessi: spacciate droghe mentali per libertà senza aver mai provato a far nulla che abbia realmente valore: una vita difficile dovrebbe insegnare di meglio ma forse non eravate attenti. I grandi stratagemmi mediatici che godono a veder annebbiato anche l'ultimo neurone, bruciati ormai, tappando le orecchie ad ogni sensazione di allarme:
Stanno affogando in mare.
Ci sono dei bambini in pericolo.
Nessuno avvisa ma stanno combattendo guerre vicinissime, alcuni, donne bambini, ragazzi vengono torturati.
Ma sai che ti dico sono altri, non siamo noi, non è qui, cosa potrei fare, non si può pensare ai problemi del mondo, ho già i miei a cui nessuno pensa, qualcuno li aiuterà.
Certo qualcuno ma non te che non guardi oltre. Capace solo di colpevolizzare un uomo dal suo colore, dalla provenienza.
Intanto vicino casa tua ci sono atrocità che non fanno notizia: 4 anni venduto dalla sua mamma per delle dosi di droga a un pedofilo di Pisa che lo seviziava continuamente. E sai perché non lo leggi ovunque sui Social? Perché non sono neri e neppure stranieri, ma italiani come te.
E ti ricordi tutte le persone e i bimbi vestiti a festa che volevano farsi abbracciare appena scesi dalle navi? Sì quelli che tu e tanti come te, aiutiamoli a casa loro, non possiamo ospitare tutto il mondo in Italia... beh, Quelli sono morti perché non li hai voluti neppure ascoltare, perché la paura di poter diventare povero come loro ti ha fatto coprire il volto davanti al rimpatrio dei sopravvissuti, a cui spettava una vita libera come la tua, con diritti, non speciali ma umani, così umani che nell'indifferenza generale sono ritornati indietro dove il meglio che possa essergli capitato è essere uccisi senza aver passato sevizie e torture...
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Ecco copriti pure ora.
Ma non mi incanti, nascondi il volto non per vergogna ma per insofferenza. Lo so. È di una noia mortale leggere sempre le stesse cose vero? Peccato non si possa uccidere di noia tutti gli indifferenti del Mondo: scriverei fino a sanguinare servisse a sterminarvi tutti.
Ah! Aspetta! Non so se ti è capitato, tra culi tette e selfie, ma c'è il tuo vicino di pianeta, sai, la Terra dove abiti? Che sta morendoti davanti agli occhi. Lo hai appena calpestato, pulisciti i piedi o ti sentirai colpevole.
_ RossellaRò ©
la tecnologia ci ha dato un'arma e ha cancellato il resto
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foxpapa · 6 years ago
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"Fearless"
9 ritratti di donne "senza paura" al PAN di Napoli 
Si inaugura domani giovedì 13 alle 17.30 e sarà visitabile fino al 1 luglio, "Fearless", personale dell'artista Pier Toffoletti, per la prima volta a Napoli
L'esposizione, appositamente concepita per l'occasione, è a cura di Marina Guida ed è composta da nove ritratti di altrettante donne, tutte straordinarie e, appunto, "fearless", ossia "senza paura". L'artista udinese rende loro omaggio, riproducendole su tele di grandi dimensioni. Qualcuna delle sue "muse" è arrivata sotto i riflettori della cronaca più recente per le sue "gesta" virtuose. Qualcun altra, invece, è meno conosciuta, ma altrettanto meritevole: tutte sono accomunate dall'aver sfidato pregiudizi, superato limiti imposti e dall'aver combattuto la discriminazione sociale e l'emarginazione. Ecco quindi la nigeriana Balkissa Chaibou, che si è opposta a un matrimonio combinato all'età di 12 anni, e che oggi studia per diventare medico. Ancora, l'afgana Negin Khpalwak, prima direttrice d'orchestra in un paese in cui il regime talebano vietava di suonare qualsiasi strumento. Seguono Tess Asplund, svedese di origini africane, che nel 2016 ha marciato da sola e silenziosamente con il pugno chiuso alzato ad un raduno di estrema destra in Svezia per dire no all'intolleranza e alla violenza; la nuotatrice siriana Yusra Mardini, la quindicenne svedese Greta Thunberg, la campionessa scacchista ucraina Anna Muzychuk e altre ancora. La mostra, corredata da un catalogo edito da "Casa d'Arte San Miniato di Pisa" e promossa dall'assessorato comunale alla Cultura è realizzata in collaborazione con l'associazione culturale "C.r.a." (acronimo di Centro raccolta Arte) di San Miniato (Pisa) e la casa d'arte "San Lorenzo" di Pisa. Ingresso libero
di PAOLO DE LUCA
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canterai · 5 years ago
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“Rampante drago viola. Ho navigato nella rete alla ricerca di tutti i nomi che esistono per il membro maschile. Non puoi immaginare! Gli uomini sono cosi ossessionati dal loro pene che hanno almeno 365 nomi per esso. Uno per ogni giorno dell'anno. Ecco qui alcuni dei miei preferiti, lasciando fuori quelli più volgari: Aguglia, Albero di Natale, Anguilla, Archibugio, Attaccapanni, Battaglio, Bestia, Bitorzolo, Blackedecker, Calibro 38, Calippo, Catenaccio, Crescinmano, Escavatore, Galletto Amburghese, Kojak, Mandrillo, Mio-fratello-più-piccolo, Rocco-e-i-suoi-fratelli, Sciupavedove, Sventrapassere, Terza Gamba, Torre di Pisa, Triccheballacche, Tronchetto della Felicità e Oboe Rosa. E sapevi che la parola "penna" deriva dal latino e significa "piccolo pene"? Non posso fare a meno di pensarci ogni volta che l'ho in mano. La penna, intendo. Siccome non siamo così ossessionate dalla nostra natura, non c'è paragone con il numero di nomi che noi donne abbiamo per la vagina, ma eccone alcuni: Il Sorriso Verticale (spagnolo) e Yoni (hindu) sono i miei preferiti. Poi, a parte l'antico e offensivo Fica, che affonda le sue origini nella lingua di oltre millecinquecento anni fa, e il ben brutto Topa, un appellativo nato anch'esso nei secoli passati, possiamo offrire: Porta del Paradiso, Casa delle Delizie, Città della Gioia, Labbra dell'Amore, nonché altri termini diffusi grazie ai famosi Monologhi della vagina quali: Vaso di Pandora, Acquasantiera, Albicocca, Bignè, Boschetto, Caverna, Centro dell'Universo, Chitarrina, Cozza, Delta di Venere, Fagiana, Farfallina, Gioia, Micia, Passera, Prugna, Pussi Pussi.”
— Aidan Chambers: Questo è tutto
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lamilanomagazine · 2 years ago
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Pisa, grande successo per le sculture di Gianfranco Meggiato
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Pisa, grande successo per le sculture di Gianfranco Meggiato. Grande entusiasmo per le sculture monumentali di Gianfranco Meggiato che animano il cuore della città di Pisa. Il pubblico si confronta con le opere e si lascia provocare dal loro messaggio; un vivace dialogo tra arte antica e contemporanea che approfondisce la poetica dell’artista, induce alla riflessione e lancia un forte messaggio di pace. La notevole esposizione "Gianfranco Meggiato. Il respiro della forma", voluta e ospitata dal Comune di Pisa fino al 4 dicembre, offre al pubblico un evento che vede quattordici opere di grandi dimensioni installate nel centro storico della città e una significativa personale nella suggestiva Chiesa di Santa Maria della Spina.  La Rassegna, curata da Riccardo Ferrucci e Alessandro Romanini, indaga la fragilità umana, fisica e spirituale oltre alla forza positiva che induce ogni uomo a vivere, resistere e crescere; questi concetti racchiusi nelle opere di Meggiato, si legano idealmente alla città e in particolare al suo simbolo più famoso la Torre di Pisa, emblema universale di resilienza che, con la sua apparente instabilità e fragilità, rappresenta una metafora della condizione umana. La mostra, promossa dal Comune di Pisa, con il patrocino della Regione Toscana, della Scuola Normale Superiore e della Scuola Superiore Sant’Anna è organizzata dall’associazione culturale C.R.A. (Centro Raccolta Arte), in collaborazione con Casa d'Arte San Lorenzo. Meggiato, da anni attento ai temi sociali come la lotta alle mafie, la cooperazione tra gli uomini e la violenza sulle donne, attraverso i suoi lavori esprime il concetto di "introscultura", invita a porre lo sguardo verso l’interiorità dell’opera, ad andare oltre le tortuose superfici esterne per trovare se stessi e la propria sfera interiore. In Piazza dei Miracoli si ammira Lo Specchio dell’Assoluto una porta verso un’altra dimensione che mette in contatto l’uomo con l’Universo, invita a una visione contemplativa e si pone in  dialogo con i contenuti simbolici dei monumenti storici che la circondano. In piazza dei Cavalieri, dove ha sede la Scuola Normale di Pisa, si incontra L’Uomo Quantico, (alto 5 metri) rappresentazione di un "uomo nuovo" in cammino verso il futuro, ogni singolo elemento è realizzato indipendentemente e assemblato all’unisono in modo da richiamare le ultime teorie della fisica quantistica; in San Paolo a Ripa d’Arno Oltre evoca un angelo bianco che avvolge una sfera e invita a seguirlo per superare la materialità. La Chiesa di Santa Maria della Spina, importante esempio di gotico pisano, ospita undici lavori di medie dimensioni, che inducono a riflettere e ad acquisire una nuova consapevolezza. Gran parte delle sculture di Meggiato possono essere ruotate dai visitatori creando un movimento di alternanza tra pieni e vuoti che l’artista descrive come "respiro delle opere". Per Gianfranco Meggiato ogni esistenza è collegata alle altre e ne ricerca l’origine nella convinzione che siamo tutti cellule dello stesso organismo: troviamo Germinazione, una catena di elementi intrecciati che crescono uniti e riportano all’origine dell’esistenza; la scultura Dio è Madre, a forma di uovo, simbolo della nascita, è composta da numerosi anelli vibranti e multiformi con all’interno tre sfere che, secondo l’artista, compongono l’essenza umana formata da razionalità, istinto e anima; Mondo Interiore, invita a non lasciarsi sopraffare dagli eventi, a trovare il coraggio di ascoltare il proprio Io e a non fermarsi alle apparenze. La mostra offre l’occasione per visitare l’affascinante Centro storico di Pisa, alla scoperta dell’arte di Gianfranco Meggiato, attraverso i QR code posizionati vicino alle opere e sui manifesti, è possibile accedere a una mappa virtuale che indica la posizione delle sculture e ne racconta il significato. L’uomo Quantico, Piazza dei Cavalieri; Sfera Quantica, chiesa di Santa Maria della Spina, Lungarno Gambacorti; Lo Specchio dell’Assoluto, Piazza dei Miracoli; Oltre, chiesa di San Paolo a Ripa d'Arno; Triade, Via S. Maria - Piazza Cavallotti; Cubo con Cubo, Piazza San Matteo antistante il museo; Il Soffio della Vita, chiostro dei Gesuati, Scuola Superiore di Sant’Anna, Piazza Martiri della Libertà; Anima Latina, Corso Italia, da P.zza Vittorio Emanuele; Doppio Totem, Corso Italia angolo Via Toselli; Taurus, Lungarno Simonelli, area pedonale di pertinenza del museo delle Navi; Sfera Sirio e Il Mio Pensiero Libero,  Piazza Terzanaia; Sfera Antares, chiesa di San Michele in Borgo, Borgo Stretto; Disco Tensione, Piazza XX Settembre. A fine mostra verrà presentato un’importante volume bilingue, italiano e inglese, edito da Editoriale Giorgio Mondadori, a cura e con testi di Riccardo Ferrucci e Alessandro Romanini. All’interno troveranno spazio altri contributi critici di personalità del mondo dell’arte e della cultura, oltre che una testimonianza dell’artista stesso. Gianfranco Meggiato nasce a Venezia nel 1963, frequenta l’Istituto Statale d’Arte studia scultura in pietra, bronzo, legno e ceramica. Guarda ai grandi maestri del 900 come Brancusi per la ricerca dell’essenzialità, Moore per il rapporto interno-esterno delle sue maternità e Calder per l’apertura allo spazio. Artista internazionale dal 1998 partecipa a numerose fiere e mostre personali e collettive in Italia e nel mondo - USA, Canada, Gran Bretagna, Danimarca, Germania, Belgio, Olanda, Francia, Austria, Svizzera, Spagna, Portogallo, Principato di Monaco, Ucraina, Russia, India, Cina, Emirati Arabi, Kuwait, Corea del Sud, Singapore, Taipei, Hong Kong, Australia -. In particolare nel 2011 e 2013 viene invitato alla Biennale di Venezia nei padiglioni nazionali, dal 2017 decide di trattare temi a carattere scientifico e sociale mediante l’esposizione di grandi installazioni in luoghi pubblici: "Il Giardino delle Muse Silenti"(Catanzaro 2017) simbolicamente posto a difesa di valori e cultura dal terrorismo. "La Spirale della Vita"(Palermo 2018) all’interno di "Manifesta 12" dedicata alle vittime innocenti della mafia; "Il Giardino di Zyz" (Matera Capitale Europea della Cultura 2019) vuole essere punto di incontro tra culture in contrasto. "L’Uomo Quantico, non c’è futuro senza memoria" (Valle dei Templi di Agrigento 2021) una grande mostra personale con lavori monumentali che unisce archeologia, filosofia e fisica dei quanti; "La Spirale della Vita" (Comune di Prato e il Museo Pecci 2022) ripropone l’installazione dedicata alle vittime della mafia. Queste installazioni gli valgono il PREMIO ICOMOS-UNESCO "per aver magistralmente coniugato l'antico e il contemporaneo in installazioni scultoree di grande potere evocativo e valenza estetica". Vive e lavora a Gran Canaria. Coordinate mostra Titolo Gianfranco Meggiato. Il respiro della forma A cura di Riccardo Ferrucci e Alessandro Romanini Sede Chiesa di Santa Maria della Spina, Centro storico Date evento 22 ottobre - 4 dicembre 2022 Date mostra Chiesa della Spina 22 ottobre - 20 novembre 2022 Orari Mostra dal mercoledì al venerdì ore 15 -19 sabato domenica e festivi ore 10 -13; 15 - 19  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Si sta come d’autunno
Si sta come d’autunno
L’autunno è arrivato decisamente portando con sé alcuni avvenimenti e temi su cui riflettere. È stato pubblicato il numero 120 de Il Segnale con i suoi quaranta anni di pubblicazione, senza interruzioni, della rivista. Sta in quel numero così importante l’articolo cui ho fatto riferimento qui la cui traccia è stata così stimolante per me che tuttora non smetto nel mio piccolo di interrogarmi su …
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paoloxl · 5 years ago
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Diffondiamo alcune testimonianze operaie che danno bene l'idea di cosa sta succedendo nelle fabbriche e nei posti di lavoro del nostro paese:
Testimonianze operaie al tempo del Coronavirus
Carmagnola, 14/3
Ciao a tutti.
Sono un operaio del gruppo FCA, lavoro in una fonderia a Carmagnola (To) da circa 4 anni.
Come tutti voi sapete in questi giorni non si parla d'altro che di #quarantena, sicurezza e problemi gravi alla nostra sanità a causa del #COVID19 che ormai da più di un mese ha minacciato il nostro paese portandolo quasi alla chiusura totale di tutte le attività lavorative, eccetto ovviamente strutture sanitarie, alimentari e grandi realtà come l'azienda in cui lavoro.
Premetto che da qualche anno a questa parte, le aziende sotto FCA con gli ultimi contratti (tipo tutele crescenti) ha dato la possibilità alle stesse di farci lavorare su turni massacranti con sabati e domeniche pagati come giorni feriali, senza mai avere le spalle coperte dai sindacati che ormai lavorano in maniera palese in accordo con l'azienda.
Ma c'è di peggio, in questi giorni mi trovo costretto nonostante la grande emergenza #CORONAVIRUS a lavorare in un luogo di circa mille persone; a cambiarmi in uno spogliatoio con quattro persone affianco a me in pochi metri di distanza, non rispettando cosi nemmeno la distanza di sicurezza. Per non parlare di guanti e mascherine che non sono mai esistite e gli igienizzanti per mani che anzichè aumentare sono diminuiti.
L' azienda qualche giorno fa aveva comunicato che avrebbe provveduto a misurare la temperatura corporea ad ogni operaio all'ingresso e regolato il flusso negli spogliatoi (cose che non hanno mai fatto).
Inoltre ieri mattina é stata evacuata l'azienda intera per una "disinfezione" per poi scoprire tramite LA STAMPA che co sono due positivi al virus in uno dei tanti reparti; in tutto questo i capi sono a casa tranquilli.
Detto ciò, secondo l'ultimo comunicato aziendale noi dovremmo rientrare Martedi come se nulla fosse successo? Dove sono i sindacati adesso? Siamo schiavi delle multinazionali in questo momento.
Ringrazio il gruppo del Centro Sociale Askatasuna per rendere pubblico tutto questo.
Un operaio.
Provincia di Torino, 12/3 sempre da Centro Sociale Askatasuna
Ciao a tutti e tutte, fino a Martedi era tutto normale, facevano finta di nulla. Alle 16 sono stati chiusi spogliatoi, mensa, caffè. L' accesso al magazzino è consentito ad una persona alla volta e qui va ancora "bene" che lo stabilimento è interamente automatizzato e si riescono ad applicare le misure di sicurezza, che comunque sono un palliativo.
Altri lavoratori come noi si trovano in stabilimenti dove ci sono vere e proprie linee di produzione e li è impossibile.
Qui da noi il personale è, come dicevo, stato ridotto ma, da Lunedi, molti hanno deciso di stare a casa. Siamo cresciuti in officina e comprendiamo quei nostri colleghi che con trasferta e ore viaggio fanno quadrare i conti, non li critichiamo…
Qui i paesi (vivo in provincia) sono controllati solo da ieri dalle guardie e ci chiediamo a cosa cazzo servano visto che in giro non c' è nessuno (il contagio è ovviamente arrivato anche qui nella zona).
Qui, comunque, ci si sta anche organizzando. Una signora che è infermiera a Savigliano lavora ininterrottamente dalle 7 alle 21.00 e ci ha raccontato che ieri è scoppiato un mezzo casino perché lavorano senza protezione (non bastano per tutti gli ospedalieri).
Qui va bene che non siamo in città e stiamo cercando, nei nostri paesi, di darci una mano.
Un saluto a tutti i lavoratori, un abbraccio solidale e complice, a chi non può stare a casa perché non ha un tetto sulla testa.
Un lavoratore metalmeccanico.
 
Pisa, 13/3 da Riscatto
 
“Evitiamo di ammalarci”. Sciopero totale degli operai Piaggio e Ceva
“Sono dieci giorni che in fabbrica la tensione è a mille. Che nella pentola a pressione l’acqua ribolle”. La molla è stata la proclamazione ufficiale dello stato di “pandemia” causata dall’espansione del coronavirus e il discorso di Conte che annunciava il nuovo decreto “ritoccato” da Confindustria sulla chiusura dei negozi, ma non delle fabbriche. Migliaia di donne e uomini, rinchiusi a forza sulle linee di montaggio o tra i corridoi dei magazzini industriali di Pontedera, hanno rifiutato questo piano governativo.
La notizia di qualche giorno fa di un lavoratore di un reparto della grande multinazionale di Pontedera risultato positivo al tampone di Coronavirus ha prodotto la quarantena per una ventina di colleghi… per gli altri 2480 operai invece… qualche mascherina e un pò di gel igienizzante sulle mani. Alla Ceva, grande centro ricambi Piaggio, i 200 operai da lunedì aspettano tutti gli stessi materiali per l’igiene, mascherine, guanti, gel. Le così tanto importanti condizioni di sicurezza valgono per tutti, dice Conte, meno che per gli operai. Così giovedì mattina i RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza) di Ceva e Piaggio chiedono ufficialmente ai responsabili di fare andare a casa gli operai, di chiudere gli stabilimenti, di mettere tutti in sicurezza. In Piaggio attivano la teleconferenza con gli alti vertici di Colaninno… rispondono dopo un’ora.
Per loro è tutto a posto! Le condizioni di sicurezza in fabbrica sono conformi a quanto dichiarato nel decreto di Conte.
Nemmeno il tempo di finire la frase… i delegati di Fiom, Usb, Si Cobas si trovano già a comunicare a una marea montante di operai lo sciopero per l’intera giornata di giovedì e venerdì. Ma questa volta è uno sciopero diverso, anche in Ceva. Vengono fuori tutti, anche i capetti, i capoturno. Solo i dirigenti rimangono barricati nei loro uffici. Tutti hanno paura di ammalarsi, tutti vogliono evitare di contagiare i propri cari. La volontà di continuare a produrre da parte aziendale non conta molto in realtà… il senso comune e l’opinione generale operaia è che il gioco (il lavoro), non vale la candela (la salute). Escono tutti.
Nei corridoi prendono forma le ovvie rivendicazioni “non si fa mica il Pane, facciamo le vespe, non sono beni di prima necessità”. “Guarda là, pensano che siamo scemi, fanno finta di metterci in sicurezza, mettendo le sedie distanti una dall’altra a mensa, cambiando la disposizione dei tavoli, facendo casino coi turni e con le pause.. tutto per continuare a farci lavorare. Ma siamo in catena e i bagni fanno schifo… qui c’è da rimanere a casa”. La contraddizione tra il #restiamoacasa e il “continuiamo a lavorare” è troppo grande. Tra i duecento ragazzi neoassunti dalla Piaggio con le agenzie interinali ce n’è qualcuno, giovanissimo, che racconta dei conflitti familiari. “Il mi babbo mi ha detto, ma cosa fai, hanno trovato uno positivo al coronavirus e continui ad andare a lavoro? Cosi ci ammali tutti!” Gli fa eco un operaio vicino al pensionamento.. “Mia moglie mi tiene fuori casa se continuo a venire in questo focolaio”
Solo a quel punto, con gli operai Ceva e Piaggio già fuori, arriva la disperata presa d’atto della Direzione Aziendale, portata per bocca dei sindacati confederali di Cisl e Uil. “Domani tutti a casa, in permesso retribuito. E fino a lunedì procederemo con una sanificazione straordinaria dei locali… ci vediamo lunedì.” così chiedono di sospendere lo sciopero agli operai. Che puntualmente rifiutano. Lo sciopero rimane attivo. “Da qui a lunedì si vedrà se il governo cambia idea e smette di considerarci carne da macello. Altrimenti rimarremo tutti a casa”! Commentano dal piazzale di Pontedera.
Fa impressione vedere il banale senso di protezione per sè e per la propria famiglia, rimbalzare di fronte alla stupidità di queste Direzioni, interessate solo ai soldi. Questa volta però anche i tradizionali sistemi di controllo e gestione della forza lavoro non funzionano, i sindacati compiacenti con le Aziende sono soli, e inutili. E’ una marea montante che mischia paura, coraggio, senso di responsabilità e la consapevolezza che non sia possibile continuare ad essere letteralmente strizzati sulle catene di montaggio in questa situazione pandemica… Rimbalzano le parole da un video che gira su facebook di un’infermiera “gli ospedali sono pieni, fatelo per noi operatori ospedalieri, operai state a casa per non aumentare il contagio!”. C’è la sensazione di una “conta” tra chi salvare e chi no, tra chi avrà tutte le cure e chi sarà sacrificato.
Per non contribuire al collasso della sanità pubblica, a Pontedera gli operai Piaggio e Ceva decidono di rimanere a casa.
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lamilanomagazine · 2 years ago
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Pisa, arriva la mostra “Gianfranco Meggiato. Il respiro della forma”
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Pisa, arriva la mostra “Gianfranco Meggiato. Il respiro della forma”. L’importante rassegna "Gianfranco Meggiato. Il respiro della forma", voluta e ospitata dal Comune di Pisa dal 22 ottobre al 4 dicembre, offre al pubblico un evento che vede quattordici opere di grandi dimensioni installate nel centro storico della città e una significativa personale nella suggestiva Chiesa di Santa Maria della Spina. Le sculture approfondiscono la poetica dell’artista, stringono una relazione intima con i visitatori e l’ambiente, inducono alla riflessione, all’introspezione e lanciano un forte messaggio di pace. L’esposizione, curata da Riccardo Ferrucci e Alessandro Romanini, indaga la fragilità umana, fisica e spirituale oltre alla forza positiva che induce ogni uomo a vivere, resistere e crescere; questi concetti racchiusi nelle opere di Meggiato, si legano idealmente alla città e in particolare al suo simbolo più famoso la Torre di Pisa, emblema universale di resilienza che, con la sua apparente instabilità e fragilità, rappresenta una metafora della condizione umana. La mostra, promossa dal Comune di Pisa, con il patrocino della Regione Toscana è organizzata dall’associazione culturale C.R.A. (Centro Raccolta Arte), in collaborazione con Casa d'Arte San Lorenzo. Meggiato, da anni attento ai temi sociali come la lotta alle mafie, la cooperazione tra gli uomini e la violenza sulle donne, attraverso i suoi lavori esprime il concetto di “introscultura”, invita a porre lo sguardo verso l’interiorità dell’opera, ad andare oltre le tortuose superfici esterne per trovare se stessi e la propria sfera interiore. In Piazza dei Miracoli si ammira Lo Specchio dell’Assoluto una porta verso un’altra dimensione che mette in contatto l’uomo con l’Universo, invita a una visione contemplativa e si pone in  dialogo con i contenuti simbolici dei monumenti storici che la circondano. In piazza dei Cavalieri, dove ha sede la Scuola Normale di Pisa, si incontra L’Uomo Quantico, (alto 5 metri) rappresentazione di un “uomo nuovo” in cammino verso il futuro, ogni singolo elemento è realizzato indipendentemente e assemblato all’unisono in modo da richiamare le ultime teorie della fisica quantistica; in San Paolo a Ripa d’Arno Oltre evoca un angelo bianco che avvolge una sfera e invita a seguirlo per superare la materialità. La Chiesa di Santa Maria della Spina, importante esempio di gotico pisano, ospita undici lavori di medie dimensioni, che inducono a riflettere e ad acquisire una nuova consapevolezza. Gran parte delle sculture di Meggiato possono essere ruotate dai visitatori creando un movimento di alternanza tra pieni e vuoti che l’artista descrive come “respiro delle opere”. Per Gianfranco Meggiato ogni esistenza è collegata alle altre e ne ricerca l’origine nella convinzione che siamo tutti cellule dello stesso organismo: troviamo Germinazione, una catena di elementi intrecciati che crescono uniti e riportano all’origine dell’esistenza; la scultura Dio è Madre, a forma di uovo, simbolo della nascita, è composta da numerosi anelli vibranti e multiformi con all’interno tre sfere che, secondo l’artista, compongono l’essenza umana formata da razionalità, istinto e anima; Mondo Interiore, invita a non lasciarsi sopraffare dagli eventi, a trovare il coraggio di ascoltare il proprio Io e a non fermarsi alle apparenze. La mostra offre l’occasione per visitare l’affascinante Centro storico di Pisa, alla scoperta dell’arte di Gianfranco Meggiato. L’uomo Quantico, Piazza dei Cavalieri; Sfera Quantica, chiesa di Santa Maria della Spina, Lungarno Gambacorti; Lo Specchio dell’Assoluto, Piazza dei Miracoli; Oltre, chiesa di San Paolo a Ripa d'Arno; Triade, Via S. Maria - Piazza Cavallotti; Cubo con Cubo, Piazza San Matteo antistante il museo; Il Soffio della Vita, chiostro dei Gesuati, Scuola Superiore di Sant’Anna, Piazza Martiri della Libertà; Anima Latina, Corso Italia, da P.zza Vittorio Emanuele; Doppio Totem, Corso Italia angolo Via Toselli; Taurus, Lungarno Simonelli, area pedonale di pertinenza del museo delle Navi; Sfera Sirio e Il Mio Pensiero Libero,  Piazza Terzanaia; Sfera Antares, chiesa di San Michele in Borgo, Borgo Stretto; Disco Tensione, Piazza XX Settembre. A fine mostra verrà presentata un’importante volume bilingue, italiano e inglese, edita per i tipi di Editoriale Giorgio Mondadori, a cura e con testi di Riccardo Ferrucci e Alessandro Romanini. All’interno troveranno spazio altri contributi critici di personalità del mondo dell’arte e della cultura, oltre che una testimonianza dell’artista stesso.... Read the full article
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Marcella Di Folco. Attivista trans
https://www.unadonnalgiorno.it/marcella-di-folco/
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Quando guardo al mio passato, vedo una vita movimentata, talmente piena di emozioni, di avventure e di avvenimenti che, se ci penso adesso, quasi mi sento schiacciata dal loro peso. E tuttavia mi reputo una persona fortunata perché non a tutti è stata concessa un’esistenza così piena e ricca.
Marcella Di Folco, attrice, politica e attivista italiana, è stata la prima persona transessuale al mondo eletta a una carica pubblica.
Leader del MIT, Movimento Identità Transessuale, è stata una delle figure più significative della lotta per i diritti civili in Italia.
È nata, col nome di Marcello, a Roma il 7 marzo 1943, in un’agiata famiglia parolina, in momento storico in cui era inconcepibile considerare e tanto meno rispettare la cosiddetta diversità. Rimasta orfana a dodici anni di un padre fascista e violento, la famiglia cadde in miseria, ma Marcello ebbe così modo di cominciare a sperimentare la sua libertà e la ricerca della propria identità sessuale. Studiava brillantemente al liceo scientifico e, dall’età di sedici anni  frequentava assiduamente l’ambiente gay romano, soprattutto quello che gravitava intorno a Il Pipistrello, locale in voga tra anni ’50 e ‘60. Dopo la scuola, fece il servizio militare, esperienza dolorosa e indelebile nella sua memoria. Dal 1965, grazie a sua sorella, la sua ispirazione quando era ancora un bambino confuso e con tante domande, ha cominciato a lavorare al Piper dove ha conosciuto Renato Zero, Gabriella Ferri, Michelangelo Antonioni, Patty Pravo, Mia Martini e tante altre personalità dello spettacolo. In quegli anni si è avvicinata anche all’ambiente del cinema, ha lavorato con Federico Fellini, conosciuto per caso, che, letteralmente folgorato dalla sua fisicità atipica, le ha aperto la strada a una brillante carriera cinematografica in cui ha sostenuto vari ruoli con grande versatilità. È stata nel cast di Fellini Satyricon, in Roma, in Amarcord, dove ha interpretato il principe Umberto di Savoia e ne La città delle donne. Tra il ’69 e l’80 ha lavorato in ventitré film, sempre accreditata col suo nome maschile. È stata diretta anche da Dino Risi, Roberto Rossellini, Sergio Corbucci, Elio Petri, Mario Monicelli.
Nel 1980 si è sottosta all’operazione di cambio di sesso a Casablanca, per racimolare i soldi necessari all’intervento, ha lavorato per anni come operatrice presso l’Italcable. Il cambio del nome sulla carta d’identità, è avvenuto soltanto nel 1984.
Nel 1986 si è trasferita a Bologna e nel 1988 è diventata presidente del MIT, dando un nuovo impulso alle sue attività. Ha creato un consultorio per l’identità di genere, il primo al mondo gestito da persone transgender che oggi fa parte effettiva del servizi A.S.L. della città.
Il suo impegno nella politica, nonostante le tante difficoltà personali, è sempre stato molto intenso e appassionato. Nel 1990 è stata eletta consigliera circoscrizionale del quartiere Saragozza; dal 1995 al 1999, nel gruppo politico dei Verdi, è stata consigliera comunale di Bologna; nel 1997 ha assunto la carica di vicepresidente dell’ONIG Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere. Nel 2000 è riuscita a ottenere l’istituzione della Commissione Diritti per l’Identità di genere. Nel 2001, alle elezioni politiche, è stata candidata del Girasole (Verdi, SDI) nelle liste proporzionali dell’Emilia-Romagna. Nel 2004, per le amministrative, è stata una candidata del PDCI per il Parlamento Europeo e candidata per il Consiglio Provinciale di Bologna. Per le elezioni politiche del 2006, sempre con i Verdi, era candidata al Senato della Repubblica.
Afflitta dal 2009 da un tumore al colon, si è spenta, a 67 anni, all’ospedale di Bentivoglio, il 7 settembre 2010. Da quel momento la sua figura ha continuato a essere celebrata in ogni modo affinché il ricordo di ciò che ha fatto non venga cancellato.
Nel 2014, al Torino Film Festival, è stato presentato il film documentario Una nobile rivoluzione, di Simone Cangelosi, che racconta la sua storia.
Il 3 ottobre 2019 Bianca Berlinguer, sua amica da anni, ha pubblicato il libro Storia di Marcella che fu Marcello. Un racconto sincero e dettagliato della sua vita coraggiosa, sempre in equilibrio tra dolorose rinunce e meritate conquiste. Un viaggio attraverso la sua storia, in quella del nostro paese, dal dopoguerra a oggi: la liberazione dal fascismo, la ricostruzione, il boom economico, la Dolce Vita, il ’68, la liberazione sessuale, il femminismo, la lotta per i diritti civili, i rigurgiti fascisti che ancora frenano il consolidamento di una società sana aperta e senza discriminazioni.
Nel 2010 l’associazione Arcigay di Salerno ha preso il suo nome. A Bologna il 5 marzo 2021 le è stato intitolato un piazzale all’interno del giardino di Villa Cassarini. Per la prima volta in Italia è stata affissa una targa dedicata a una persona transessuale con la scritta: Attivista Trans. Il luogo è stato scelto simbolicamente per il particolare significato che ha per la comunità lgbtq+ e per la vita politica di Marcella Di Folco. I giardini ospitano al proprio interno il monumento dedicato alle vittime omosessuali del nazifascismo, inaugurato negli anni ’90, e sono antistanti al Cassero di Porta Saragozza che sino al 2002 ha ospitato la prima sede assegnata da una amministrazione comunale a un’associazione omosessuale in Italia.
Nel marzo 2021 la rivista francese So Film le ha dedicato una sezione intitolata Queens de Légende assieme a altre figure del cinema italiano e internazionale, in un numero tutto dedicato a L’esplosione del genere nel cinema. Nell’aprile 2021 a Pisa le è stata intitolata la prima casa rifugio aperta in Italia per persone transessuali.
La vita di Marcella Di Folco è stata intensa, dura, difficile, tormentata, eppure gioiosamente rivoluzionaria.
Protagonista di tante battaglie per i diritti civili, dalla legge 164 in poi, ha rifiutato a gran voce l’emarginazione, facendone una forza, un monito, un esempio. Ha vissuto dignitosamente su di sé la necessità e l’urgenza di una trasformazione, pagandone il prezzo senza sconti.
La sua è una storia che deve essere raccontata e ricordata perché rappresenta una pietra miliare per tante battaglie e riconoscimenti di diritti umani nel nostro paese.
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arcadiashop · 5 years ago
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CARMILLA: IL BACIO DEL VAMPIRO - LIBROGAME 'CARMILLA. IL BACIO DEL VAMPIRO' di Francesco di Lazzaro. Un volume di circa 600 pagine in cui sarà possibile scegliere di 'giocare' con Carmilla o Laura, semplicemente capovolgendo il libro. Stiria austriaca, metà dell’800, un castello e due ragazze. Poco più che adolescenti, Laura e Carmilla si trovano nello stesso palazzo, attratte una dall’altra da una amicizia tanto forte da sembrare eccessiva. A metà tra il sogno e la realtà la loro conoscenza è talmente intima da sfiorare l’ossessione: il desiderio che hanno di stare insieme cela qualcosa di oscuro. Chi è veramente Carmilla? Laura è davvero così ingenua e inesperta come sembra? Le due donne sono legate da un rapporto molto più profondo di quello che sembra… Fra strane apparizioni e poteri inimmaginabili, scoperte imprevedibili e incontri inaspettati dovrai decidere chi sarà il tuo alter-ego: la padrona di casa Laura, piena di risorse nascoste, o l’ospite Carmilla, animata da una inestinguibile sete di sangue? Scopri qual è la vera natura delle protagoniste e gioca il libro, rovesciandolo e scegliendo il personaggio che tra i due preferisci, o interpretandoli entrambi in sequenza. In un’avventura dove niente è come sembra, il pericolo si nasconde dietro ogni pagina: usa la tua perspicacia per importi e scopri dove si nasconde il terribile male che incombe sul castello… Chi sarà il cacciatore e chi la preda? #arcadiashop #pisa #fumetteria #bandai #tamashiinations #banpresto #anime #manga #comics #fumetto #gadget #goodsmilecompany #toys #megahouse #girl #hottoys #sideshow #funko #naruto #onepiece #starwars #disney #cosplay #games #magicthegathering #nendoroid #pokemon #nintendo #tvseries #netflix @ arcadiashop (presso arcadiashop) https://www.instagram.com/p/CAYKcIzqoUh/?igshid=whvi7g22vq28
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Come seguire l’incontro del 10 dicembre a Pisa su Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante un ritratto delle italiane del XX secolo
Come seguire l’incontro del 10 dicembre a Pisa su Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante un ritratto delle italiane del XX secolo
Con l’opera di Elena Ferrante è il racconto della vita psichica delle donne che entra nella storia del XX secolo, sulla base di come questa vita è emersa al dicibile attraverso la pluralità di analisi, studi e vissuti intrapresi e trasmessi dalle donne per le donne. L’incontro che la Casa della donna di Pisa organizza su Il libro di tutti e di nessuno. Elena Ferrante un ritratto delle italiane…
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