#Casa della Memoria e della Storia
Explore tagged Tumblr posts
Text
"cultura manifesta. manifesti culturali del femminismo in italia". oggi, 15 novembre, a roma
CULTURA MANIFESTA Manifesti culturali del femminismo in Italia Mercoledi 15 Novembre 2023 – ore 17:30 Casa della Memoria e della Storia, Via San Francesco di Sales, 5 00165 Roma mostra curata da Archivia e promossa da Fiap, dall’Irsfar, da Biblioteche di Roma e dalla Casa della Memoria e della Storia, dell’Istituzione Biblioteche Centri culturali di Roma Capitale, con il patrocinio…
View On WordPress
#Annabella Gioia#Archivia#Assessorato alla Cultura di Roma Capitale#Bianca Cimiotta Lami#Biblioteche di Roma#Casa della memoria#Casa della Memoria e della Storia#Cecilia D&039;Elia#Federazione Italiana Associazioni Partigiane#Fiap#FIAP - Federazione Italiana Associazioni Partigiane#Giovanna Olivieri#incontro#Irsfar#Istituzione Biblioteche Centri culturali di Roma Capitale#Loretta Bondì#Manifesta#manifesti#Manifesti culturali del femminismo in Italia#Miguel Gotor#mostra
0 notes
Text
La storia della Musica!!!!
Tre giorni di pace e musica. Tre giorni che hanno fatto la storia. Si celebra oggi il 51esimo anniversario del più grande evento di libertà, umanità e lotta pacifica: il Festival di Woodstock. Più che un concerto un pellegrinaggio, una fiera di arte e musica, una comunità, un modo di vivere che ha cambiato per sempre il concetto di libertà. Sul palco, a Bethel (una piccola città rurale nello stato di New York) si sono alternati per tre giornate alcuni tra i più grandi musicisti della storia. Musicisti che provenivano da influenze, scuole musicali e storie differenti ma che avevano in comune ciò che più contava in quei favolosi anni ’60: la controcultura.
Si passava dal rock psichedelico di Jimi Hendrix (che, pur di essere l’ultimo a esibirsi, salì sul palco alle 9 di lunedì mattina per un concerto di due ore, culminato nella provocatoria versione distorta dell’inno nazionale statunitense) e dei Grateful Dead ai suoni latini dei Santana (che regalarono un memorabile set, impreziosito dallo storico assolo di batteria del più giovane musicista in scena: Michael Shrieve) passando per il rock britannico di Joe Cocker (che regalò in scaletta le splendide cover di Just Like a Woman di Dylan e With a Little Help from my Friends dei Beatles) e degli Who all’apice della loro carriera (celebre l’invasione di palco dell’attivista Habbie Hoffman, durante il loro concerto, quasi quanto il lungo assolo di Pete Townshend durante My Generation, con lancio di chitarra finale).
C’era poi il folk, con una splendida Joan Baez su tutti, che suonò nonostante fosse al sesto mese di gravidanza, genere tipicamente statunitense che si alternava a suoni più esotici e orientali, come il sitar di Ravi Shankar. Impossibile dimenticare infine l’intensa performance della regina del soul Janis Joplin, la doppia esibizione (acustica ed elettrica) di Crosby, Stills, Nash e del “fantasma” di Neil Young, che rifiutò di farsi riprendere dalle telecamere e il divertente show dei Creedence Clearwater Revival.
1969, il ‘Moon day’ in musica..
Concerti che rimarranno nella memoria di chiunque ami la musica come simbolo di cambiamento, pace e libertà. D’impatto i presenti come pesanti furono le assenze di John Lennon, che si rifiutò di esibirsi per il mancato invito di Yoko Ono, Bob Dylan, padrone di casa (lui che all’epoca viveva proprio a Woodstock) assente per la malattia del figlio, i Rolling Stones, ancora scossi per la morte di Brian Jones e i Doors, alle prese con una serie infinita di problemi legali.
Il vero protagonista dell’evento fu però il pubblico, la “vera star” secondo l’organizzatore Michael Lang, eterogeneo quasi quanto i generi musicali. Da tutta America arrivarono studenti liceali e universitari, hippie, veterani del Vietnam, filosofi, operai e impiegati. Nessuna differenziazione di razza, etnia o colore della pelle: tutti uniti dalla voglia di stare insieme in libertà con il fango a livellare ogni diversità e i capelli lunghi come simbolo di ribellione. Un sogno che oggi sembra lontano anni luce, nelle ideologie come nell'organizzazione.
Da quel 1969 si è provato a più riprese a riproporre Woodstock, con scarsi risultati culminati nell'annullamento del concerto in programma per questo cinquantesimo anniversario, organizzato proprio da Lang e non andato in porto tra una defezione e l’altra, forse perché indigesto ai grandi organizzatori di eventi musicali mondiali. Forse, a conti fatti, meglio così: quell'atmosfera irripetibile era frutto di una spontaneità organizzativa di altri tempi, una magia fuori da ogni schema il cui risultato sensazionale, iconico e significativo fu chiaro solo anni dopo anche agli stessi partecipanti.
Vanni Paleari
PhWoodstock, 1969
41 notes
·
View notes
Text
Studiate.
Per amore del sapere, mai per i voti.
Perché sapere aiuta a essere.
E sapere tanto aiuta a essere tanto.
Studiate!
Perché la cultura rende liberi
e niente vale più della libertà.
Studiate!
Perché siamo le parole che conosciamo,
perché il pensiero crea la realtà.
Studiate!
Perché non conoscerete mai la noia
se amerete un libro, un paesaggio,
un quadro o la settimana enigmistica.
Studiate!
Perché studiando capirete le vostre qualità, le vostre inclinazioni, i vostri punti deboli.
Studiate la storia, perché il passato illumina il presente.
Studiate la geografia perché ogni luogo è anche un fiume, una montagna, un vento.
Studiate la matematica perché nella vita spesso i conti non tornano e bisogna trovare soluzioni alternative.
Studiate le lingue straniere, perché i viaggi sono le lezioni di vita più belle.
Studiate la biologia perché capire come fa a battere il cuore o perché il battito accelera se vi innamorate è meraviglioso.
Studiate la filosofia perché imparerete a ragionare e a guardare il mondo dalle prospettive più originali.
Studiate la letteratura perché vivrete molte vite e vedrete posti incredibili da casa.
Studiate la grammatica perché la differenza tra un accento e un apostrofo non è mai un dettaglio.
Studiate la musica, l’arte e la poesia!
Perché la bellezza è emozione e terapia.
Studiate la fisica e la chimica perché nell’atomo e nelle molecole si celano energie potentissime.
Studiate!
Perché quando smetti di imparare smetti di vivere.
Studiate ciò che vi piace ma anche ciò che ora vi sembra inutile.
Perché un giorno, quando meno ve lo aspettate, ne capirete il senso.
Studiate!
Senza pretendere troppo da voi stessi e senza rinunciare mai allo svago, allo sport e alle emozioni.
Perché lo studio viene sempre dopo il vostro benessere!
Studiate!
Senza temere di dimenticare qualcosa.
Perché i buchi di memoria servono a fare spazio.
Perché la scuola serve a trasformare specchi in finestre, non a giudicarvi.
Francesco De Sanctis
25 notes
·
View notes
Text
La magia di una maglietta
È una maglietta ormai scolorita, con le maniche leggermente sfilacciate e ampie aperture sulle cuciture. Una T-shirt particolare che nonostante i buchi, le toppe e le macchie indelebili testimoni evidenti di avventure nel fai da te, è per me come la coperta di Linus.
Non è certo un capo di abbigliamento che indosserei per uscire, per lo meno non ora ma trent'anni fa sì, era una buona marca all'ora.
Eppure non riesco a separarmi da lei. Nonostante qualcuno mi dica "buttala, non ti vergogni?".
Ha un odore familiare, un misto di detersivo per bucato e ammorbidente, ma anche di "mio". Quel "mio" che mi ricorda la salsedine sulla mia pelle, il profumo che usai quel giorno, odori che sento solo io grazie ai miei ricordi.
Sono ricordi che aprono il cassetto degli aromi conservati nella mia memoria, che mi trasportano indietro nel tempo.
Ricordo quando la comprai, un pomeriggio d'estate, in un negozio di firme, anche se a vederla si potrebbe pensare che l'acquistai in mercatino vintage. L'avevo scelta quasi per caso, attratto dal logo ricamato posto in uno spazio sul retro del collo. Era una maglietta che mi stava un po' larga, all'epoca (sigh), mi piaceva il suo comfort, la sensazione di essere avvolto in una maglietta senza connotazione ben precisa tra i capi d'abbigliamento.
Con quella maglietta addosso ho vissuto momenti indimenticabili: viaggi in luoghi indimenticabili, serate con gli amici, viaggi avventurosi e i baci e le carezze. È stata testimone delle mie gioie, ma anche delle mie sofferenze. In quei giorni bui, infilarmi quella maglietta era come indossare un'armatura invisibile. Mi proteggeva dalle insicurezze, mi calmava l'ansia, mi faceva sentire al sicuro. Lo è ancora oggi, nonostante i buchi e il suo essere logorata dal tempo e dall'uso.
C'è qualcosa di magico in questa maglietta. Forse il fatto che è stata con me in tanti momenti importanti della mia vita, o forse è semplicemente il potere dei ricordi che mi riaccende.
Ma una cosa è certa: questa maglietta è molto più di un semplice capo di abbigliamento. È un pezzo della mia storia, un amuleto che porto sempre con me, quando sono a casa lontano dalla vista di tutti.
P.s. per questo post nessuna maglietta è stata maltrattata, forse i miei capelli.
15 notes
·
View notes
Text
Platee Sconfinate
Chi ha frequentato il Liceo Classico, probabilmente, ricorderà una versione tratta da un testo di Plutarco dal titolo Il Teatro di Euripide salva gli Ateniesi prigionieri a Siracusa. Si racconta infatti che dopo la disfatta, inaspettata, dell'esercito ateniese giunto in Sicilia per conquistare le colonie dell'Isola, i prigionieri guerrieri vennero stipati nella latomie: cave di pietra prima, furono poi "convertite" a mega carcere per le centinaia di prigionieri. Fredde d'inverno e torride d'estate, essere imprigionati nelle latomie equivaleva a una condanna a morte: i prigionieri ateniesi furono lasciati morire di fame e di stenti, senza alcuna possibilità di fuga. Plutarco racconta però che i Siracusani, popolo colto e ricco, "amavano Euripide più di tutti gli altri Greci delle colonie" dando ristoro, o addirittura liberando, i guerrieri che ne conoscevano a memoria qualche brano. I sopravvissuti, narra l'aneddoto, quando fecero ritorno a casa, andarono a ringraziare persino il grande drammaturgo.
Questa vicenda ha una parte vera e una falsa: la vera, è che i prigionieri ateniesi davvero morirono di fame nelle latomie di Siracusa. La falsa è che l'aneddoto, divenuto celeberrimo, è appunto falso, e prima di Plutarco ne scrisse uno simile un biografo di Euripide, Satiro di Callatis, autore di molte biografie, quasi tutte perdute, ma di cui è rimasta una parte di quella di Euripide. Tuttavia il nostro Satiro è famoso principe del Metodo Cameleonte, dal nome del peripatetico Cameleonte di Eraclea, che iniziò a scrivere biografie basate a pure combinazioni e deduzioni, ai pettegolezzi e alle cronache scandalose della commedia, e al romanzesco e al leggendario (che non vuol dire che sia sempre fonte inattendibile, ma che va presa con non una ma tre pinze).
Eppure questa leggenda ha ispirato un filologo libano-irlandese, Ferdia Lennon, per scrivere un romanzo, che ho amato tantissimo, che tramite il Mito affronta situazioni davvero profonde, attualissime, usando una scrittura vivace, elettrica e piena di soprese.
Lennon immagina che due vasai disoccupati, il brillante Gelone e Lampo, zoppo e frugale, presagendo che la sconfitta di Atene possa portare alla perdita del grande patrimonio culturale della stessa, si mettano in testa di fare una rappresentazione teatrale con gli atenesi prigionieri nella latomie. Ma non una cosa qualsiasi, bensì un pastiche tra Medea e Le Troiane, le due tragedie leggendarie di Euripide, opere che furono rappresentate la prima poco prima della Guerra del Peloponneso nel 431 a.C., la seconda ebbe la prima ad Atene nel 415 a.C., proprio pochi mesi prima della disfatta di Siracusa. Il progetto è già arcigno, dato lo stato cadaverico degli Ateniesi prigionieri, delle pressioni dei Siracusani e dalle difficoltà nell'allestimento, ma con una serie di imprese al limite dell'eroico, i nostri riescono a farsi fare i costumi, le maschere, le scene e mettono su lo spettacolo. Non vi dico di più, perchè la storia va avanti e di molto, e spero di incuriosirvi con questi altri aspetti per andare da soli a leggere come va a finire.
Innanzitutto la lingua di Lennon, resa magnifica dalla traduzione di Valentina Daniele: peculiare per ogni protagonista, ricca di immagini potentissime, a volte aulica a volte sporca, le invenzioni di traduzione (gli aristo, per definire le classi ricche, o l'uso del mi' ma', mi' pa' per definire colloquialmente i genitori) rende la lettura piacevolissima. La costruzione dei personaggi, soprattutto i principali, il retto e saggio Gelone contro lo spirito intraprendente, al limite del furbesco, di Lampo. Le metafore che quell'impresa offre: il rapporto con l'altro, il ruolo del ricordo, la guerra e le sue conseguenze, persino il ruolo e la potenza dell'Arte come linguaggio universale. Ne esce fuori un libro gioiello, edito tra l'altro da una casa editrice, NN, che nella quarta di copertina ha questo passo: In questo libro c'è un Uomo Nudo. Ciò vuol dire offrire ai lettori storie di uomini che si concepiscono diversi e lottano per questa diversità, lontano da modelli e maschere di padri e pari. C’è, in sostanza, la volontà di stimolare una riflessione collettiva sul maschile, quindi quando troverete questo segnale in copertina, sapete a cosa state per andare incontro.
Che è un ulteriore buon motivo per leggere un libro che mi ha affascinato come pochi.
19 notes
·
View notes
Text
Nino Benvenuti: «Senza ricordi non c’è futuro»
Campione olimpico nel 1960, campione mondiale dei Pesi superwelter tra il 1965 e il 1966 e dei pesi medi dal 1967 al 1970, Giovanni (Nino) Benvenuti è stato uno dei migliori pugili italiani di tutti i tempi e il suo nome troneggia tra i grandi del pugilato internazionale. È entrato nell’immaginario collettivo in una notte di aprile nel 1967 quando 18 milioni di italiani seguirono la diretta del suo incontro con Emile Griffith al Madison Square Garden di New York. Di quel match che gli portò il titolo di campione mondiale dei pesi medi, ma anche dell’infanzia a Isola, dei primi passi nella boxe, del significato dell’essere pugili, del rapporto con gli avversari sul ring e di tanto altro Nino Benvenuti – insignito nel 2018 dalla Can comunale del premio Isola d’Istria –, parla in un’intervista esclusiva di Massimo Cutò pubblicata di recente sulla Voce di New York, che riproponiamo.
[...]
Chi è un pugile?
“Uno che cerca sé stesso sul ring. Uno che vuole superare i propri limiti come faceva Maiorca in fondo al mare o Messner in cima alla montagna. La sfida è quella: fai a pugni con un altro da te e guardi in fondo alla tua anima”.
Lei cosa ci ha visto?
“La mia terra d’origine, una verità che molti continuano a negare. La storia di un bambino nato nel 1938 a Isola d’Istria e costretto all’esilio con la famiglia. Addio alla casa, la vigna, l’adolescenza: tutto spazzato via con violenza, fra la rabbia muta e la disperazione di un popolo. Gente deportata, gettata viva nelle foibe, fucilata, lasciata marcire nei campi di concentramento jugoslavi”.
Una memoria sempre viva?
“Ho cercato di non smarrirla, per quanto doloroso fosse. Riaffiora in certe sere. Ti ritrovi solo e sale una paura irrazionale”.
Riesce a spiegare questo sentimento?
“Il passato non passa, resta lì nella testa e nel cuore. A volte mi sembra che stiano arrivando: Nino scappa, sono quelli dell’Ozna, la polizia politica di Tito viene a prenderti. Un incubo che mi tengo stretto perché senza ricordi non c’è futuro”.
Che cosa accadde in quei giorni?
“Isola d’Istria odora di acqua salata. È il sole sulla pelle. La nostra era una famiglia benestante, avevamo terra e barche, il vino e il pesce. Vivevamo in una palazzina di fronte al mare: papà Fernando, mamma Dora, i nonni, io, i tre fratelli e mia sorella. Siamo stati costretti a scappare da quel paradiso”.
Come andò?
“Mio fratello Eliano fu rapito e imprigionato dai poliziotti titini, colpevole di essere italiano. È tornato sette mesi dopo, un’ombra smagrita, restò in silenzio per giorni. Mia madre si ammalò per l’angoscia. È morta nel ‘56 di crepacuore: aveva 46 anni. Attorno si respirava il terrore delle persecuzioni. Un giorno vidi dalla finestra della cameretta un uomo in divisa sparare alla nostra cagnetta, così, per puro divertimento”.
Finché fuggiste?
“Riparammo a Trieste dove c’era la pescheria dei nonni. Fu uno strappo lacerante, fisico. Così la mia è diventata in un attimo l’Isola che non c’è. Non potevamo più vivere lì dove eravamo nati”.
[...]
Quant’è difficile invecchiare?
“Dentro mi sento trent’anni, non ho paura della morte. Sono allenato. Sul ring risolvevo i problemi con il mio sinistro, la vita è stata più complicata però ho poco da rimproverarmi. E ho ancora un desiderio”.
Quale?
“Vorrei che un giorno, quando sarà, le mie ceneri fossero sparse da soscojo. È lo scoglio di Isola d’Istria dove ho imparato a nuotare da bambino”.
Intervista di Massimo Cutò a Nino Benvenuti per La Voce di New York, 23 luglio 2022
26 notes
·
View notes
Text
QUEL POST CON CUI EMPATIZZERANNO IN TRE (ME COMPRESO) Parte 1
Non è una storia triste, non ci sono plot twist né morali strazianti per cui togliete pure il secchio da sotto la sedia ché i testicoli rimarranno al loro posto (figura retorica gender-inclusiva).
L’altro giorno @der-papero ha rebloggato un mio post in cui c’era l’immagine di una mazza ferrata per ‘resettare’ un pc dicendo ‘Non fare male ai computer che sono stati i miei unici amici per tanti anni! (o qualcosa del genere) ed è a quel punto che io ho pensato la stessa cosa, anche se in modo più specifico e meno informatico del suo.
Dal 1979 a oggi ci sono stati degli ‘amici’ che sono diventati una sorta di pietra miliare temporale a cui posso tornare con la memoria in modo microscopico e con una precisione quasi eidetica, al punto che li posso usare come una personalissima radiodatazione al carbonio per conoscere gli eventi contestuali occorsi in un dato periodo.
Quando ero piccolo ho sempre creduto che tutti giocassero ai videogames, sia con la propria console a casa che nei bar o nelle sale giochi e invece ho lentamente scoperto che non solo quasi nessuno aveva un console per videogames a casa ma che anche i cabinati che erano nelle sale giochi o nei bar per molti non erano affatto un’attrattiva.
Beh... per il sottoscritto le cose andavano in modo molto differente.
Alle console che ho posseduto dedicherò la seconda parte di questo post ma ora vi dico che sul viale pedonale principale di Viareggio (quello del carnevale, per intenderci) c’erano due sale giochi ENORMI (posso confermarlo a distanza di anni che non era solo lo sguardo di bimbo) e mio nonno paterno lavorava li vicino, ragion per cui mi bastava mendicargli mille o duemila lire, cambiare tutto in monete da 200 lire (i gettoni dovevano ancora arrivare) e giocare come se non ci fosse un domani.
Io non so se la seguente descrizione possa avere un senso per la maggior parte di voi ma dovete considerare quanto fosse ENORME il trip sinestesico nell’entrare in uno di quei luoghi: prima di tutto passavi dalla luce del sole a una penombra che assomigliava molto a un buio luminoso, poi le tue orecchie venivano sopraffatte da parecchi decibel di musichette a 8 bit che si mescolavano a formare un meraviglioso cachinno eustordente e infine l’odore di sigaretta che permeava ogni centimetro cubo dell’ambiente con una coltre di fumo in cui lampeggiavano gli schermi dei cabinati come finestre su altri mondi.
(in effetti a posteriori posso capire perché la mia passione non fosse così condivisa)
Ho parlato del 1979 perché quello fu l’anno in cui da flipper, biliardini e altri giochi analogici (che io schifavo) si passò al primo videogame completamente elettronico a grafica vettoriale: ASTEROIDS.
Ora, siccome sono ben consapevole che la maggior parte di voi non ha la minima idea di cosa io stia parlando, sappiate che quando parlavo di finestre su altri mondi era proprio quella la sensazione che allora si provava: dalla visione passiva di un programma televisivo su tubo catodico passavi a poter FARE COSE SULLO SCHERMO, un qualcosa che pochi fra voi possono capire quanto fosse pazzesco.
E quello per me segnò un altro modo di considerare lo scorrere del tempo.
Per esempio, nell’Agosto del 1983 giocai per quindici giorni a Moon Patrol nel piccolo bar dell’Isola del Giglio dove andai in vacanza coi miei genitori
mentre al Bar Sombrero del mio quartiere nell’inverno del 1984 a Mag Max e Kung Fu Master, quest’ultimo a scrocco perché avevo imparato come accedere al sensore che veniva toccato dalla monetina e dava 1 credito
la stessa estate, nella sala giochi in pineta, scoprii e finii Bubble Bobble (l’intro musicale mi dà ancora i brividi) mentre il Juke Box mandava in loop una canzone che dopo ho scoperto essere Sweet Dreams degli Eurythmics.
Trojan nel bar Moreno sotto a una tenda minuscola, R Type al chiosco sul viale dei tigli, Tiger Road al bagno Aretusa, Circus Charlie nel bar della stazione vecchia vicino al biliardo dal panno verde consumato e segnato dalle sigarette, Knuckle Joe in un hotel in Val d’Aosta per la gita di terza media, Wiz nel bar vicino casa di mia nonna materna, Bomb Jack al maneggio dove Diego con 200 lire giocava tutto il giorno e regalava crediti, Bank Panic al bar del cinema all’aperto e New Zeland Story in quello del palazzetto dello sport mentre mangiavo un Paciugo all’amarena, prima Green Beret e poi Iron Horse nella pasticceria sotto casa di mia nonna paterna con l’odore di sfoglie alla crema, Robocop e Xain’d Sleena al bar del liceo, finiti entrambi a memoria prima che suonasse la campanella, i tornei di Dark Stalker con i miei amici al bar della stazione nuova e poi ancora X-Men e Avengers.
Centinaia di giochi che meriterebbero decine di post perché con mille lire potevo andare in un mondo dove non ero più il ciccione sfigato che non sapeva giocare a pallone... ero quello che poteva sconfiggere i nemici e alla fine vincere, sempre.
L’ultimo arcade cabinato a cui giocai - e poi dopo quella data praticamente scomparvero per essere sostituiti dalle Slot Machine - fu Metal Slug, in data 1997, dopo aver lasciato Figlia Grande all’asilo nido nel piccolo ritaglio di tempo prima di andare nello studio medico dove avevo appena cominciato a lavorare.
Naturalmente lo finii ma finì anche col chiudersi quella parentesi durata appena vent’anni ma lunga una vita intera.
Chi di voi è abbastanza vecchio da capirmi?
@axeman72? @renatoram? @ilnonnodiinternet?
64 notes
·
View notes
Text
Studiate.
Per amore del sapere, mai per i voti.
Perché sapere aiuta a essere.
E sapere tanto aiuta a essere tanto.
Studiate!
Perché la cultura rende liberi
e niente vale più della libertà.
Studiate!
Perché siamo le parole che conosciamo,
perché il pensiero crea la realtà.
Studiate!
Perché non conoscerete mai la noia
se amerete un libro, un paesaggio,
un quadro o la settimana enigmistica.
Studiate!
Perché studiando capirete le vostre qualità, le vostre inclinazioni, i vostri punti deboli.
Studiate la storia, perché il passato illumina il presente.
Studiate la geografia perché ogni luogo è anche un fiume, una montagna, un vento.
Studiate la matematica perché nella vita spesso i conti non tornano e bisogna trovare soluzioni alternative.
Studiate le lingue straniere, perché i viaggi sono le lezioni di vita più belle.
Studiate la biologia perché capire come fa a battere il cuore o perché il battito accelera se vi innamorate è meraviglioso.
Studiate la filosofia perché imparerete a ragionare e a guardare il mondo dalle prospettive più originali.
Studiate la letteratura perché vivrete molte vite e vedrete posti incredibili da casa.
Studiate la grammatica perché la differenza tra un accento e un apostrofo non è mai un dettaglio.
Studiate la musica, l’arte e la poesia!
Perché la bellezza è emozione e terapia.
Studiate la fisica e la chimica perché nell’atomo e nelle molecole si celano energie potentissime.
Studiate!
Perché quando smetti di imparare smetti di vivere.
Studiate ciò che vi piace ma anche ciò che ora vi sembra inutile.
Perché un giorno, quando meno ve lo aspettate, ne capirete il senso.
Studiate!
Senza pretendere troppo da voi stessi e senza rinunciare mai allo svago, allo sport e alle emozioni.
Perché lo studio viene sempre dopo il vostro benessere!
Studiate!
Senza temere di dimenticare qualcosa.
Perché i buchi di memoria servono a fare spazio.
Perché la scuola serve a trasformare specchi in finestre, non a giudicarvi.
Francesco De Sanctis
7 notes
·
View notes
Text
“ In Ucraina i nazisti, che sono parte dell’apparato statale, ammazzavano tutti quelli che erano contrari alle loro idee, principalmente persone di sinistra. Alcuni forse potevano essere d’accordo con la politica di Putin, però chiamarli “putiniani” è un insulto alla loro memoria, perché molti di loro non erano d’accordo con la Russia; volevano un’Ucraina indipendente, comunista oppure liberale, ma senza il nazismo e gli oligarchi. Per questo uso il termine “di sinistra”. Anche il mio amico Oles Busina era di sinistra, ma non sopportava Putin, lo criticava sempre e voleva un’Ucraina indipendente sia dai russi sia dagli occidentali, e soprattutto era antifascista e denunciava la deriva nazista in Ucraina. Proprio in nome dei nostri amati diritti civili non è ammissibile l’uccisione del mio amico Oles Busina, grande patriota ucraino, antropologo e storico, scrittore e poeta. Colpevole di essersi schierato contro la glorificazione del nazismo da parte del governo golpista di Kiev e per questo freddato a colpi di pistola davanti a casa propria. Nessuno dei nostri difensori dei diritti umani che spesso accusano la Russia di Putin di mancanza della libertà si è mai esposto contro il regime golpista attualmente al potere in Ucraina, colpevole dell’uccisione di Olga Moroz, caporedattore di «Neteshinskij Vestnik», giornale dalle cui pagine lei e i suoi colleghi si esprimevano contro il regime. Nessuno si scandalizza per l’uccisione del deputato del parlamento ucraino Oleg Kalashnikov, organizzatore delle manifestazioni in sostegno del governo legittimo ucraino, oppositore del golpe. Nessuno qui in Occidente chiede al governo ucraino perché sono stati impunemente massacrati come oppositori del regime il procuratore Oleg Melnichuk, Oleksandr Peklushenko, già governatore dell’oblast di Zaporizhya, il capo del consiglio regionale di Kharkiv Aleksei Kolesnik, il segretario del Partito comunista della provincia di Starobeševe Vyacheslav Kovshun, il vicedirettore delle ferrovie ucraine Nicolai Sergienko e molte, moltissime altre persone colpevoli soltanto di aver espresso idee contrarie al governo. L’Occidente preferisce ripetere a sfinimento il mantra sulla presunta “democraticità” dell’Ucraina, anche se si tratta del paese più corrotto tra le repubbliche ex sovietiche, e per comprendere questo non serve prestare ascolto a nessuna propaganda russa, basta leggere i rapporti delle organizzazioni internazionali che monitorano la situazione in Ucraina, dai quali emergono denunce pesantissime, da far gelare il sangue anche al più insensibile tra gli esseri umani. I politici occidentali, però, preferiscono buttare miliardi di euro strappati ai propri contribuenti in quel contenitore contaminato irrimediabilmente dall’illegalità, dalla propaganda e dall’odio che è l’Ucraina di oggi, pur di sfruttarla come un campo di battaglia contro la Russia di Putin. L’Occidente, ovvero gli USA, non vuole perdere la sua egemonia militare ed economica nel mondo, che da unipolare di una volta ormai è diventato multipolare. In tutto questo, le vere vittime sono gli ucraini, che indottrinati dalla propaganda trentennale, che gli ha raccontato di tutto pur di cementificare nelle loro coscienze tre elementi: l’odio per la Russia, la fiducia negli oligarchi pro occidentali e soprattutto un nazionalismo radicale ed estremo che si basa non sull’amore verso la propria nazione, ma sull’odio nei confronti degli altri. Un nazionalismo macchiato dagli episodi più drammatici e più bui della storia ucraina. “
Nicolai Lilin, Ucraina. La vera storia, Piemme (collana Saggi PM), Novembre 2022¹; pp. 109-111.
#Nicolai Lilin#Ucraina#letture#leggere#saggistica#saggi#Storia contemporanea#geopolitica#Europa#Russia#USA#relazioni internazionali#Unione Europea#Donbass#giornalisti#Volodymyr Zelensky#Joe Biden#Vladimir Putin#democrazia#imperialismo americano#imperialismo russo#antimilitarismo#Storia del XXI secolo#libertà di pensiero#giornalismo#NATO#crimini contro l'umanità#libertà di parola#libri#oligarchi
89 notes
·
View notes
Text
roma, 13 giugno: carlo e nello rosselli_ “giustizia e libertà, per questo morirono, per questo vivono”
cliccare per ingrandire Tavola rotonda e inaugurazione della mostra dedicata ai Fratelli Rosselli in occasione della ricorrenza dell’assassinio di Carlo e Nello Rosselli (avvenuto a Bagnoles-de-l’Orne il 9 giugno 1937) CARLO e NELLO ROSSELLI “Giustizia e Libertà, per questo morirono, per questo vivono” Mostra e iniziativa a cura della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli e della FIAP –…
View On WordPress
#Aned#Anei#Anpc#ANPI#Anppia#antifascismo#Bianca Cimiotta Lami#Carlo Rosselli#Casa della Memoria e della Storia#Cinzia Bellone#Circolo “Gianni Bosio”#Circolo Giustizia e Libertà#Federazione Italiana Associazioni Partigiane#Fiap#FIAP - Federazione Italiana Associazioni Partigiane#Fondazione Circolo Fratelli Rosselli#Fondazione G.E. e V. Modigliani#Fondazione Giacomo Matteotti#Francesco Maria Fabrocile#fratelli Rosselli#Giustizia e Libertà#il Circolo Fratelli Rosselli#Irsifar#Le Brigate Rosselli nella Resistenza a Firenze#Luca Aniasi#Luca Menconi#Lucio Villari#Miguel Gotor#mostra#Nello Rosselli
0 notes
Text
𝗘𝗹𝗶𝘇𝗮𝗯𝗲𝘁𝗵 𝗕𝗮𝗿𝗿𝗲𝘁𝘁 𝗕𝗿𝗼𝘄𝗻𝗶𝗻���, divenne una delle più popolari scrittrici, nel 1844, con l’uscita dei suoi “Poems”: al punto che, la lettura della sua raccolta di poesie, spinse Robert Browning, poeta a sua volta, prima a scriverle tutta la sua ammirazione e, poco dopo, nel 1845, chiese di incontrarla.
La storia romantica di Elizabeth e di Robert, prende, a quel punto, vita: si sposano di nascosto, contro il volere del padre di lei, e fuggono a Firenze.
La loro storia d'amore fu così passionale, al punto da aver ispirato Virginia Woolf a scrivere Flush: una specie di biografia, in cui la scrittrice ricostruisce la vita di Elizabeth attraverso gli occhi amorevoli del suo cane (un cocker spaniel).
I “sonetti dal portoghese”, che Elizabeth scrisse, in segreto (pubblicati nel 1850), sono dedicati al poeta Robert Browning, prima che diventasse suo marito e compagno di vita.
I 𝗦𝗼𝗻𝗲𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗽𝗼𝗿𝘁𝗼𝗴𝗵𝗲𝘀𝗲, furono completati due giorni prima delle nozze segrete con il poeta Robert Browning: all’epoca della stesura, lei aveva quarant’anni.
I 44 sonetti, scritti su 44 piccoli fogli, furono infilati furtivamente da Elizabeth nella tasca del marito, tre anni dopo, una mattina, in Italia, a Bagni di Lucca.
Robert le suggerì di intitolarli "Sonetti dal portoghese", in omaggio a una ballata di lei, di ispirazione portoghese, che aveva particolarmente amato.
𝙸𝚗𝚟𝚎𝚌𝚎 𝚊 𝚝𝚎
𝚒𝚘 𝚐𝚞𝚊𝚛𝚍𝚘, 𝚊 𝚝𝚎, 𝚟𝚎𝚍𝚎𝚗𝚍𝚘 𝚌𝚘𝚗 𝚕’𝚊𝚖𝚘𝚛𝚎
𝚕𝚊 𝚏𝚒𝚗𝚎 𝚍𝚎𝚕𝚕’𝚊𝚖𝚘𝚛𝚎, 𝚎 𝚊𝚕 𝚍𝚒 𝚕𝚊̀ 𝚍𝚎𝚕𝚕𝚊 𝚖𝚎𝚖𝚘𝚛𝚒𝚊
𝚊𝚜𝚌𝚘𝚕𝚝𝚊𝚗𝚍𝚘 𝚕’𝚘𝚋𝚕𝚒𝚘; 𝚌𝚘𝚖𝚎 𝚌𝚑𝚒 𝚒𝚗 𝚊𝚕𝚝𝚘
𝚜𝚒𝚎𝚍𝚊 𝚎 𝚏𝚒𝚜𝚜𝚒, 𝚘𝚕𝚝𝚛𝚎 𝚒 𝚏𝚒𝚞𝚖𝚒, 𝚒𝚕 𝚖𝚊𝚛𝚎 𝚊𝚖𝚊𝚛𝚘.
(Si: l'amore eterno esiste - ma, non è per tutti)
A Firenze, Elizabeth e Robert, risiedevano in Piazza San Felice, in un appartamento a Palazzo Guidi che oggi è diventato il museo di Casa Guidi, dedicato alla loro memoria.
I medici avevano raccomandato ad Elizabeth di vivere in Italia, poiché il clima mite avrebbe giovato alla sua malattia ai polmoni.
Elizabeth morì a Firenze nel 1861: si trova sepolta al Cimitero degli inglesi di Firenze.
Robert morì nella casa del figlio di Ca' Rezzonico, a Venezia, nel 1889; la sua tomba di trova a Londra
3 notes
·
View notes
Text
«Finché avrò la forza di parlare racconterò ai giovani la mia storia. Io vado avanti perché la memoria è fondamentale, vitale. Anche solo salvare la coscienza di dieci ragazzi significa che la mia esistenza non è stata inutile». Edith Bruck, scrittrice, sopravvissuta ai lager nazisti, continua a portare nelle scuole la sua testimonianza per non dimenticare l'orrore della Shoah. Nata in un piccolo villaggio di contadini in Ungheria, a 13 anni, nel maggio del ‘44, con il padre, la madre e altri familiari, Edith Bruck viene strappata dalla sua casa e deportata in un ghetto al confine con la Slovacchia. Da lì ad Auschwitz e poi a Kaufering, Dachau e infine a Bergen Belsen fino al 15 aprile del ‘45, quando il campo di sterminio è liberato dall'esercito britannico.
12 notes
·
View notes
Note
Ciao! Vorrei chiederti la 64 e la 72☺️
Ciao! 😊 Grazie per le domande, senza saperlo hai toccato due dimensioni a me molto care. ✨
64. Musica in streaming, Spotify, CD o vinile? 🎶
🎼 Direi proprio tutte e quattro le possibilità (anzi, tre, siccome Spotify rientra nello streaming). La musica è parte di me fin da quando ne ho memoria, pare che sia nata anche con l'orecchio assoluto. L'ho suonata, cantata, e ovviamente ascoltata. Credo che non sia mai esistito un giorno della mia vita in cui non abbia sentito almeno un brano, perché il silenzio totale mi disturba, mi sconcentra, mi innervosisce; ho bisogno di musica per studiare, guidare, lavarmi, cucinare, fare le faccende domestiche, passeggiare in solitaria, leggere, qualche rara volta anche per dormire. Ovviamente il genere cambia in base all'attività da svolgere.
💻 La modalità più utilizzata, quindi, è senza dubbio quella streaming, per una semplice questione di comodità. Tuttavia, essendo una millennial, sono cresciuta con i CD, gli mp3 e i vinili, e il primo amore si sa, non si scorda mai.
💽 Possiedo ancora uno stereo con lettore CD e alcuni dischi che i miei genitori mi facevano ascoltare da bambina, come Pino Daniele, Domenico Modugno e Tchaikovsky, ma anche i classici del jazz che ricevetti in regalo da fanciulla.
📀 Per quanto riguarda i vinili, invece, ho in casa il giradischi di mio nonno, risalente agli anni '60, a valigetta e con la puntina un po' rovinata. Ho anche i suoi dischi, come quello delle colonne sonore dei film più famosi, ma non ho rinunciato negli anni a procurarmi dei vinili miei: uno nuovo, di Edith Piaf, ricevuto in regalo, altri dell'epoca, comprati ai mercatini, come quelli di Sting, ai quali sono molto affezionata.
🎵 Ciononostante, sia i CD che i vinili li ascolto raramente. I primi quando voglio rivivere alcuni momenti della mia infanzia, i secondi, invece, li preservo per occasioni speciali e intime. Non solo perché temo per la puntina fragile del mio giradischi, ma anche perché trovo l'ascolto dei vinili un momento magico, sprecato da gustare in solitaria ma al contempo da condividere solo con chi è disposto ad entrare con te in quel mondo di suoni graffiati che trasudano di storia e mille vite, che nella loro imperfezione ti fanno sentire al sicuro e ti fanno viaggiare oltre il tempo e lo spazio, lasciandoti in una curiosa estasi, fatta di brividi e totale alienazione dal mondo.
72. Cosa non può mancare in casa tua? 🏡
Amo molto il mondo delle case e dell'interior design fin da bambina, perciò mi ritrovo spesso a fantasticare sulla mia casa ideale, intervallando tra sogni irrealizzabili e ipotesi più concrete e fattibili.
🛋️ L'unico spazio che si può creare in qualsiasi tipo di dimora e che non può assolutamente mancare in nessuna casa che abiterò è la libreria.
📚 Per me i libri non sono solo oggetti, ma anche ricordi personali. Di ciascuna opera cartacea sui miei scaffali ho memoria delle persone, dei luoghi, delle situazioni e delle emozioni coinvolti nell'ottenerla e leggerla. Per tale ragione, se non ho problemi ad entrare in negozio per regalare libri ai miei cari, non riesco a donare né a prestare quelli già miei, perché è come se mi venisse tolta una parte di me, anche se momentaneamente. Allo stesso modo, quelle rare volte in cui li ricevo in prestito, desidero ardentemente acquistarli in separata sede dopo averli restituiti, per sigillare materialmente quel pezzo di vita sugli scaffali tangibili della mia memoria. In sostanza, la mia libreria è un frammento della mia anima e dove vado io, c'è indissolubilmente anche lei, finché morte non ci separi.
🤓 Per concludere vorrei aggiungere, stavolta senza dilungarmi, altri due spazi per me molto importanti, immancabili se avessi risorse economiche sostanziose:
🌿 Un giardino o come minimo un affaccio su un ampio spazio verde, perché senza il contatto con la natura non ci so stare;
🌊 La vista mare o almeno la possibilità di raggiungerlo velocemente, perché su di me ha un potere curativo incredibile.
5 notes
·
View notes
Text
A Family Affair: Nicole Kidman per una rom-com fuori tempo massimo
A Family Affair non è un film che entrerà negli annali del cinema, e probabilmente nemmeno era sua intenzione. Piuttosto, A Family Affair (disponibile su Netflix) non vuole essere altro che una semplice commedia spinta dalla voglia di regalare un'ora e cinquanta di puro intrattenimento, riuscendo nel suo intento, senza ambizioni istrioniche, o tante sorprese, ma ricalcando fedelmente i canoni di un cinema anni Duemila, semplice, leggero, e forse per questo un po' anacronistico.
Joey King e Nicole Kidman, protagoniste del film
Forse ci siamo dimenticati delle commedie romantiche che impazzavano sui cartelloni cinematografici di vent'anni fa. Da Mi presenti i tuoi, fino a Quel pazzo venerdì o Prima o poi mi sposo, c'era un modo di realizzare le pellicole ben collaudato che al tempo piaceva, funzionava, perché si affrontava lo schermo cinematografico (e poi televisivo) senza tante pretese, ma solo per un puro, leggero, passatempo. Poi qualcosa è cambiato: lo spettatore ha cominciato a vivere in un mondo che lo aliena costantemente, bombardato di post sui social, dove tutto è edulcorato, zuccheroso, fin troppo costruito. E con le visioni streaming che sembrano non bastare più.
E così, anche le commedie si fanno più complesse, gli action-movie si fanno più adrenalinici gli horror più psicologici. Ed è in questo contesto che un film come A Family Affair, sebbene leggero e ironico, si muove su un retaggio del passato che lo fa avvicinare al proprio spettatore, per poi scivolare via, come una battuta che fa sorridere, ma incapace di radicarsi nella memoria. Il film diretto da Richard LaGravanese raggiunge facilmente il suo obiettivo, ma vive qualcosa di estremamente superficiale, di melenso e retorico in lui, che lo fa odorare di un tempo passato incapace di offrire molto di più di una storia trainata da attori capaci di far sorridere (soprattutto Joey King e un autoironico Zac Efron) ma frenati nel conquistare lo spazio di uno spettatore ora pronto a gettarsi su un'altra visione, un'altra storia, mentre tutto attorno a A Family Affair crolla come una montagna di avocado sullo scaffale di un supermercato.
A family affair: la trama della rom-com
Joey King è Zara
Zara è la giovane assistente di Chris Cole, divo del cinema d'azione un po' viziato e alquanto egocentrico. Dopo aver licenziato Zara, Chris va a casa della ragazza nella speranza di poterla avere di nuovo con sé, ed è proprio in questo frangente che l'attore fa la conoscenza della madre di lei, Brooke. Fin qui tutto niente di sorprendente, se non fosse che i due si invaghiscono l'uno dell'altra iniziando non solo una relazione che mette in imbarazzo la ragazza, ma generando una serie di equivoci e situazioni surreali molto complicate da gestire persino per una giovane pragmatica come Zara.
Una bolla di realtà illuminata da mille luci
Il ritorno di Zac Efron
È un microuniverso costantemente illuminato quello di Zara. Le luci dei set, e quelle di casa, sono abbaglianti, splendenti. Una vita da favola, la sua, entro cui nessuna lingua d'ombra, o mantelli nefasti, hanno spazio di insinuarsi, neanche nei momenti più dolorosi. Tutto brilla, ammaliando lo spettatore, e rinchiudendolo in una bolla di vetro dove ogni cosa è sospesa, ogni timore lasciato alle spalle, dove tutto sembra facile e possibile, anche l'accettare che il proprio capo abbia una storia con la propria madre. Tutto pare vivere di quell'aura di finzione che abita sui set cinematografici, dove la vita reale si blocca, e la sua versione fittizia, sognatrice, irreale, prende vita.
Il sorriso di Nicole Kidman in A Family Affair
Lo spettatore lo sa dai primi minuti che starà per barattare quasi due ore della propria esistenza con una narrazione leggera, e accetta le sue condizioni contrattuali sperando di ricevere in cambio un totale estraniamento da una routine quotidiana sempre uguale a se stessa. Quello che invece ottiene è un'opera dove la regia e il montaggio si nascondono dietro i corpi dei propri attori, lasciando che siano loro a dominare lo schermo, a farsi intermediari di ilarità e momenti di vita improbabilmente vissuta. Eppure, per quanto tentino di farsi portavoce di una commedia leggera, quelle che masticano sono battute bidimensionali, piatte, figlie di mille altre già portate sullo schermo negli anni passati.
Il potere agli attori
Tris d'assi: Nicole Kidman, Zac Efron e Joey King
I riferimenti a celebrità, eventi ed elementi contrassegnanti i nostri tempi, sicuramente sono delle esche che ci fanno abboccare all'amo, colgono la nostra attenzione, per poi rischiare di perderci nuovamente alla sequenza successiva. Se Joey King dona alla propria Zara un'espressività fisica, lasciando che le parole trovino una propria corrispondenza a livello mimico-facciale e gestuale, Nicole Kidman appare quasi bloccata, indecisa su come costruire la sua Brooke. La sua performance vuole essere minimale, giocata in sottrazione, eppure è come se la Kidman affrontasse tutto il film con il freno a mano tirato, tra il desiderio di osare e la paura di farlo veramente.
Dopo Baywatch e Nonno scatenato, con A family affair Zac Efron nuota in acque tranquille: la commedia più sofisticata, rispetto a quella demenziale, non limita la sua performance, tutta giocata su espressioni marcate e già collaudate ai tempi di High School Musical e prontamente riproposte con fare più maturo, sebbene non sempre vincente. Nell'estro (auto)ironico di Chris, Efron consolida la propria performance, risultando convincente ed esilarante, ma nel momento in cui il senso di abbandono, e il dolore per la perdita di un amore che poteva nascere e realizzarsi, inizia a insidiarsi nel suo personaggio, qualcosa si perde nello spazio del suo volto. È come se l'attore non riuscisse a rendere visibile tale diatriba interiore, perdendo quella forza vantata poco prima nei momenti di pura spensieratezza. Non è un film mal riuscito, A family affair. È solo un film uscito in un'epoca sbagliata.
Conclusioni
In conclusione A family affair, film disponibile su Netflix, non riesce ad offrire nulla più di una commedia leggera e a tratti divertente, ma poco incisiva. Seguendo le regole di un cinema tipico dei primi anni Duemila, A family affair vive sui retaggi di un passato che non offre nulla di nuovo nel panorama di oggi. Punto di forza del film è la presenza del duo Zac Efron e Joey King, affiancati da una Nicole Kidman alquanto impacciata e non sempre in parte.
👍🏻
La performance di Joey King e l'autorinoia di Zac Efron.
La capacità di rendere un fattore negativo, come l'eccessiva edulcorazione, in elemento interessante grazie a un gioco meta-filmico di vita come set cinematografico.
👎🏻
La performance di Nicole Kidman, alquanto bloccata nella costruzione della sua Brooke.
La fotografia troppo illuminata.
La resa di un racconto che tanto poteva offrire, in un qualcosa di poco probabile e troppo edulcorato.
2 notes
·
View notes
Text
Storia di Libera e di suo padre
Nella memoria della gente della valle di Cepic è rimasta la figura di Libera Sestan, una giovane donna di Novako, un paese del comune di Pisino. Era nata nel 1919 e all’epoca aveva 24 anni. Libera era bellissima e, raccontano, aveva un animo dolce e sensibile. La sua era una famiglia benestante che certo suscitava l’invidia di molti. Si era sposata con un ufficiale dei carabinieri e aveva due figlie piccole. Era solita recarsi molto spesso a Pisino, per fare compere o concludere qualche affare, abitudine che gli abitanti delle campagne attorno alla cittadina hanno mantenuto anche oggi. Questo però fu sufficiente e pretesto a un suo parente, Veljko Sestan, partigiano, per dichiararla spia e nemica del popolo. Andò a prelevarla a casa, con un manipolo di suoi collaboratori, trascinando via con lei anche il padre. Dicono che li pregasse in ginocchio di permetterle di rivedere per un’ultima volta le sue piccine, ma le fu negato. Prima di gettarla viva, insieme al padre, nella foiba di Chersano, la malmenarono e le bruciarono i capelli. Il delitto non restò impunito. Un altro suo cugino, Ervin Sestan, che le era molto affezionato, impazzì quasi dal dolore. Subito dopo quei fatti, si unì per vendetta e per disperazione all’esercito tedesco. Dopo qualche tempo arrivò insieme ai tedeschi a prendere Veljko in casa. Veljko appena li vide tentò di scappare scavalcando la finestra sul retro e correndo via per i campi, ma Ervin sparando con una pistola dalla finestra riuscì a colpirlo alla testa e ad ucciderlo.
Da “La Voce del Popolo”, 26 luglio 1990, a firma di “lama” (Laura Marchig, fiumana)
26 notes
·
View notes
Text
Domande a cui rispondere
Ringrazio @pianetatschai che mi tagga in questa simpatica catena.
1. Are you named after anyone?
Mi chiamo come mio nonno paterno, Vincenzo. Non vi dico le volte che mi hanno fatto la battuta di Miseria e Nobiltà con Totò "Vincenzo m'è padre a me". Io rispondevo che a me era nonno.
2. Quando è stata l'ultima volta che hai pianto?
Quando è morto mio padre, ormai due anni fa.
3. Hai figli?
Ho un figlio maschio che chiamo Tigrotto.
4. Fai largo uso del sarcasmo?
Solo perché l'omicidio è illegale.
5. Quali sport pratichi o hai praticato?
Ho giocato a calcio ma a livello amatoriale dilettantistico e in squadre da 5 o 8 non certo a 11. Però ho fatto l'arbitro, vale? Ho praticato tennis con scarsi risultati.
Ora faccio camminate. Cioè non ora ora perché fa troppo caldo. Se ne riparlerà a settembre. Nell'attesa farò nuoto al mare.
6. Qual è la prima cosa che noti in una persona?
Fisicamente devono colpirmi gli occhi. Mi piacciono le persone intelligenti, non invadenti e generalmente ho scoperto di preferire persone riservate.
7. Qual è il colore dei tuoi occhi?
Castano scuro. Una volta mi dissero che sono "profondi"... non ho mai ben capito cosa significhi.
8. Scary movies o happy endings?
Mi piacciono i film di spavento anche se finiscono male. Va pur detto che se almeno al cinema non c’è l’happy ending ci resto male, un po’ come nel primo Nightmare che finisce… no vabbè dai niente spoiler.
9. Qualche talento particolare?
A parte disegnare, conosco a memoria i nomi e numeri di maglia della nazionale italiana campione del mondo 1982. Pure quella del 2006. Anche quella dell’Argentina 1986. Sono campione mondiale di procrastinazione e faccio pure una discreta pizza.
10. Dove sei nata?
Nella città di Gabriele D’Annunzio e di Ennio Flaiano, nella terra famosa più per gli arrosticini che per le sue montagne. Benché molti credano che Pescara sia nelle Marche sono nato in Abruzzo. A Pescara, per l’appunto.
11. Quali sono i tuoi hobby?
Modellismo ferroviario (che però non pratico non avendo sufficiente spazio e soldi), disegnare, leggere.
12. Hai animali domestici?
No nessun animale domestico. In generale pur amando molto gli animali preferisco non tenerli in casa perché mi sembrerebbe di tenerli sempre un po’ prigionieri.
13. Quanto sei alto?
Circa 1.77 m da disteso.
14. Materia preferita a scuola?
Disegno, italiano e storia. Ma alla fine molto poco italiano e storia e molto disegno. Ho imbrattato tutti i libri nelle seconde e terze di copertina con i miei disegni. Pure i libri di italiano e storia, ovviamente.
15. Dream job?
Disegnatore di fumetti.
A questo punto dovrei taggare qualcuno e scelgo @mybittersweet @crisigenerica @surfer-osa @labluesky e chiunque si senta di farlo.
23 notes
·
View notes